Singole Marzo 2016 - Cinema Teatro Astra

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Singole Marzo 2016 - Cinema Teatro Astra
l’altro
inema
STAGIONE 2015/2016
ANNO XXIV
cineforum
IL CINEFORUM viene SOSPESO il 7 - 8 - 9 marzo. Il Comitato del Cinema Teatro Astra vi invita a:
19 the revenant - redivivo
di Alejandro Gonzalez Iñárritu/drammatico, avventura/USA/156’
Con Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Will Poulter,
Domhnall Gleeson, Paul Anderson, Lukas Haas,
LUNEDÌ 29 FEBBRAIO ORE 20.45
MARTEDÌ 1 MARZO ORE 21.00
MERCOLEDÌ 2 MARZO ORE 21.15
OSCAR 12 candidature tra cui miglior film, miglior regia e
miglior attore protagonista; GOLDEN GLOBE miglior film,
miglior regia e miglior attore protagonista; BAFTA 5 premi
tra cui: miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista; CRITICS' CHOICE MOVIE AWARDS miglior attore
protagonista e mglior fotografia.
Ispirato a eventi realmente accaduti, Revenant Redivivo è una storia epica sul tema della sopravvivenza e della trasformazione, sullo sfondo della
frontiera americana.
Molti si possono considerare bei film, pochi possono essere
capolavori. "The Revenant" di Alejandro G. Iñárritu, ma
potremmo anche dire del direttore della fotografia Emmanuel
Lubezki, è un gioiello della storia del cinema che ci ricorderemo per molto tempo. Basato sulla novella di Michael Punke
"The Revenant: A Novel of Revenge", ma con l'aggiunta di
alcuni elementi per renderla più romanzata, l'epopea del
cacciatore di pellicce Hugh Glass rappresenta una delle
trasposizioni più bella mai trasmesse sul grande schermo.
Ci sono film che, anche se premiati in passato sono stati
dimenticati, e nonostante la trama in alcuni aspetti può risultate simile a quanto visto precedentemente in film come "Il
Gladiatore" e "Cast Away" qui c'è una perfezione naturalistica
con i territori del grande e selvaggio West nell'America del
1823 che neanche nella ricostruzione del Colosseo si era
vista. La vera citazione cinematografica è al film "Uomo
bianco, va' col tuo dio!" diretto da Richard C. Sarafian con
protagonista il compianto Richard Harris, che le generazioni
più giovani ricorderanno per il ruolo di Albus Silente nei primi
due capitoli della saga di Harry Potter. La fotografia di "The
Revenant" mista al piano sequenza iniziale e finale rappresentano la massima espressione della settima arte. Il tutto
supportato da una prova immensa di Leonardo DiCaprio e,
soprattutto, Tom Hardy che rappresenta l'incarnazione del
modello perfetto di villain. Il divo che ha dato vita sul grande
schermo personaggi come "Howard Hughes" e "Jordan
Belfort" ha regalato una performance fisica da brividi, anche
se per quasi tutto il film non spiccica parola comunicando
solo con lo sguardo e la sofferenza fisica. La sua grandezza è
proprio nel parlare attraverso il proprio corpo e gli occhi.
Leonardo DiCaprio ha sempre sfoggiato interpretazioni
uniche, ma mai come questa volta si è imbruttito, ferito, quasi
umiliato strisciando pur di poter regalare una performance
perfetta. [...] Potrebbe essere probabilmente l'Academy
Award con meno battute della storia, con una prestazione che
per la qualità ricorda quella di Johnny Depp in "Edward Mani di
Forbice", anche se quel film eterno era di un genere che il più
opposto non si potrebbe. La cosa impressionante è che l'epopea del cacciatore di pellicce Glass è ispirata ad una storia
vera, una storia di vendetta che ha spinto il protagonista a
tornare dall'inferno dei morti con 5' di duello pazzesco con un
orso che da soli valgono il prezzo del biglietto. Il suo inseguimento implacabile diventa un'epopea che sfida il tempo e le
avversità, alimentata dal desiderio di tornare a casa e ottenere
la meritata giustizia. Un film girato interamente con luce naturale che riesce a regalare degli effetti speciali da Oscar, un
paradosso diventato realtà grazie al sapiente genio di Iñárritu.
Il regista era affascinato da come le situazioni più estreme ci
possono spogliare di tutto, facendoci capire cos'è che ci
sostiene; come possono far riemergere pensieri e istinti che
forse sarebbero rimasti nascosti, se la porta dell'immortalità
non fosse mai stata aperta. Nel momento della perdita Hugh
Glass si attacca alla vita in ogni modo possibile, diventando
quasi un highlander. Molti spettatori potrebbero pensare che
un viaggio di 156' possa risultare noioso alla lunga, ma la
realtà è che è un'esperienza cinematografica talmente completa e inebriante da volerla contemplare ancora dopo i titoli di
coda.
Thomas Cardinali
via Roma 3/b, San Giovanni Lupatoto (Vr) - tel/fax 045 9250825 - [email protected] - www.cinemateatroastra.it
IL CINEFORUM viene SOSPESO il 7 - 8 - 9 marzo. Il Comitato del Cinema Teatro Astra vi invita a:
[email protected]
www.vienicomesei.it
20 suffragette
di Sarah Gavron/Drammatico/Gran Bretagna/106’
MISSIONE
2-13 marzo 2016
LUNEDÌ 14 MARZO ORE 20.45
MARTEDÌ 15 MARZO ORE 21.00
MERCOLEDÌ 16 MARZO ORE 21.15
BRITISH INDEPENDENT FILM AWARDS miglior attore non
Con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Meryl Streep,
protagonista; SATELLITE AWARDS 2 candidature; HOLBen Whishaw, Brendan Gleeson,
LYWOOD FILM AWARDS MIGLIOR attrice, migliori musiche;
sette premi al WOMEN FILM CRITICS CIRCLE
L'incredibile storia delle prime esponenti del
movimento femminista. Donne costrette nella
clandestinità a ribellarsi contro l'oppressione
politica e sociale del proprio tempo.
Film consigliato da Rosalupo
nell’anno del 70° Anniversario dell'affermazione del diritto di voto alle donne italiane.
Asciutto e rigoroso, Suffragette è una pellicola britannica al
femminile che ricostruisce le fasi salienti della lotta per il diritto
al voto delle donne. Il film non indulge nel ricatto emotivo nei
confronti dello spettatore - rischio che, visto il tema trattato e
il taglio scelto dalla regista Sarah Gavron, era dietro l'angolo ma si focalizza sulla storia di una donna come tante per poi
universalizzare un tema che coinvolge il 50% della popolazione. Quasi più toccanti della pellicola stessa sono i titoli di
coda, inaugurati dall'elenco delle date in cui ogni paese ha
concesso il diritto di voto alle donne. Se i fatti narrati in Suffragette sono il preludio del suffragio universale inglese introdotto nel 1928, e l'Italia raggiunge questo importante traguardo
nel 1945, nella civilissima Svizzera il voto per le donne è stato
introdotto solo nel 1971 e in molti paesi, tra cui l'Arabia Saudita, se ne comincia a parlare solo ora. Quella per il voto è una
battaglia trasversale che ha coinvolto donne di ogni ceto
sociale ma il film di Sarah Gavron si concentra su Maude
Watts, madre e moglie interpretata da Carey Mulligan. Creatura appartenente alla working class, Maude è priva di istruzione perché cresciuta all'interno della stessa lavanderia in cui
lavorano lei e il marito e in cui la madre è morta a causa delle
precarie condizioni lavorative. Vessata da un capo che le ha
riservato attenzioni "particolari" per anni e che ora ha messo
gli occhi su un'altra giovane dipendente, unita a un marito che
sembra amarla, ma nei fatti non la considera sua pari, Maude
non si è mai ribellata alla propria condizione, ma a risvegliare
in lei lo spirito combattivo è l'incontro con alcuni membri del
movimento delle Suffragette in azione. Lo shock spingerà la
donna ad aprire gli occhi e a prendere coscienza della situazione radicalizzando, lei apparentemente così mite e ubbidiente, le proprie posizioni fino a sacrificare famiglia e amore.
Tristemente attuale, perfino più del previsto, Suffragette
propone un'acuta riflessione sui metodi di lotta. La bruciante
Casa Bonuzzi
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sequenza iniziale, che vede Maude testimone di un'azione
dimostrativa in cui le Suffragette prendono a sassate le vetrine
di un negozio del West End, e la successiva escalation di
violenza non possono non riportare la mente agli interventi dei
vari gruppi armati nella storia passata e presente fino agli
attentati di Parigi. [...] Suffragette acquista una concretezza
improvvisa nei vetri rotti, nelle sassate, nelle esplosioni provocate dalle pasionarie, guidate da una volitiva farmacista
interpretata da Helena Bonham Carter, e nelle violente scene
carcerarie segnate dallo sciopero della fame attuato dalle
militanti. La mente corre a Hunger, sconvolgente pellicola di
Steve McQueen che raccontava un'altra lotta, quella dell'irlandese Bobby Sands, e l'influenza non è casuale visto che la
sceneggiatrice Abi Morgan è anche autrice di Shame, altra
pellicola di McQueen. Carey Mulligan si dimostra ancora una
volta un'attrice di talento. L'interprete inglese sembra aver
raggiunto una maturazione che le permette di misurarsi con
personaggi molto diversi risultando sempre credibile, senza
mai cadere nella maniera. Di forte impatto è la farmacista
interpretata da Helena Bonham Carter, a cui l'attrice infonde lo
stesso temperamento guerriero che le appartiene nella vita.
Credibile e appassionata anche la Violet di Anne-Marie Duff.
Meryl Streep si ritaglia un breve, ma significativo cameo nel
ruolo di Emmeline Pankhurst, storica leader del movimento
impegnata in un sentito discorso motivatore. Cast ben assortito, tematiche pregnanti, Suffragette è un film importante che,
però, ci lascia con la sensazione di aver scorto solo la punta
dell'iceberg. Saggiamente, la regista Sarah Gavron lascia che
a parlare siano i fatti, eliminando il superfluo. Sull'argomento,
però, c'è ancora molto da dire.
Valentina D'Amico
21 il labirinto del silenzio
di Giulio Ricciarelli/Drammatico/Germania/124’
Con André Szymanski, Alexander
Fehling, Friederike Becht
LUNEDÌ 21 MARZO ORE 20.45
MARTEDÌ 22 MARZO ORE 21.00
MERCOLEDÌ 23 MARZO ORE 21.15
OSCAR condidato per miglior film straniero per la Germania
PALM SPRINGS INTERNATIONAL FILM FESTIVAL premio del
pubblico
1958. Nessuno ha voglia di ricordare i tempi del
regime nazionalsocialista. Il giovane procuratore
Johann Radmann si imbatte in alcuni documenti
che aiutano a dare il via al processo contro alcuni
importanti personaggi pubblici che avevano prestato servizio ad Auschwitz. Ma gli orrori del passato e l'ostilità che avverte nei confronti del suo
lavoro portano Johann vicino all'esaurimento. E'
quasi impossibile per lui trovare l'uscita da
questo labirinto: tutti sembrano essere stati coinvolti o colpevoli.
Nella Germania hitleriana, il procuratore baby-face Johann
Radmann sarebbe stato molto probabilmente un bravo
ragazzo ariano, il candidato ideale - perché alto, biondo e dal
portamento eretto - per diventare un ufficiale al servizio delle
SS. Nell’anno 1958 in cui è ambientato Il labirinto del silenzio,
però, la patria di Goethe è un paese diverso dalla terra che ha
ospitato il Terzo Reich, è una nazione in ripresa, baciata dal
sole e dal chiarore della birra, dove si può o gioire delle sottogonne e del rock’n roll oppure risvegliarsi dall’amnesia collettiva post-bellica per riaprire le porte delle stanze degli orrori.
Così, ecco che nel film tedesco scelto per gli Oscar, il Pubblico Ministero in cui Giulio Ricciarelli ha riunito i tre procuratori
che lavorarono al processo di Auschwitz prende le distanze
dai padri per sposare le ragioni di quella disgraziata gente
uccisa con il gas o marchiata di infamia e di stella di David
sulle divise da prigioniero. Ora, Radmann non è la prima
persona, o il primo personaggio a cui questa bella cosa
succede, ma la sua vicenda doveva (secondo noi) essere
raccontata, perché se è vero che le macchine da presa di
un’infinità di registi si sono inoltrate, nel tempo, fra i dormitori
e i cortili dei campi di sterminio nazisti, i film sul dopo-Olocausto non sono ancora abbastanza e soprattutto quasi nessuno
immagina che, nei dieci anni immediatamente successivi alla
fine della Seconda Guerra Mondiale, ben poco si sapesse a
proposito dell’inferno in Polonia in cui morirono più di un milione di ebrei. A dire la verità, nemmeno Ricciarelli ne era al
corrente, e quando lo ha scoperto, ha avvertito quel sentimento che in un film è spesso garanzia di onestà e di rigore:
l’urgenza. Con un’ansia di un testimone con un’importante
dichiarazione da rilasciare e un’umiltà sconosciuta a tanti
esordienti, il regista si è lasciato prendere per mano dalla
storia e ha assecondato il suo calmo fluire con un ritmo giusto
- né troppo lento né forsennato - lasciando il non detto e il non
visto fuori campo e creando un’interessante corrispondenza
fra l’esattezza dei fatti riportati e la precisione di un montaggio
decisamente classico. E’ venuto fuori un film limpido, forse
ingenuo come il suo protagonista (che a un certo punto spera
di catturare il “dottor morte” Josef Mengele), ma semplice e
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perciò incisivo.Certo, in questo whodunit in cui più o meno
conosciamo l’identità degli assassini e l’esito conclusivo, non
tutto è essenziale: c’è una love-story un po’ debole forse
pensata per conquistare una fetta più larga di pubblico, per
esempio, e a volte il racconto perde un pizzico di vitalità, ma
quello che è importante sottolineare, e che con il legal thriller in
fondo non c’entra, è un'attenta riflessione sulla giustizia, una
giustizia che occulta ma poi torna ad essere un pilastro, e non
perché la legge sia aprioristicamente uguale per tutti, ma per
l’iniziativa di singoli uomini: perché è sempre l’individuo che
porta il cambiamento e che spinge avanti la civiltà. E' questo
che importa più di ogni altra cosa a Giulio Ricciarelli, che ci
tiene così tanto allo sviluppo piscologico dei suoi protagonisti
da non abbandonarli mai, con il rischio di indugiare nella
descrizione di momenti apparentemente non fondamentali
della loro esistenza. E se anche, così facendo, toglie mordente
al film, lo perdoniamo in nome dello humour gentile con cui
accompagna alcune tranche de vie. Si chiama leggerezza, ed
è un dono raro. Il labirinto del silenzio non è un film per spettatori cervellotici, ma per chi desidera semplicemente imparare
qualcosa, meglio se attraverso un processo di identificazione
con un eroe che, proprio come uno degli X-Men, dubita ed
entra in crisi, precipitando temporaneamente nel gorgo della
rinuncia. Eichmann e la banalità del male Ricciarelli li lascia ad
altri, così come i giudizi sulla follia da svastiche. In fondo, il
romanzo di formazione di Radmann coincide anche con il suo
apprendistato di regista e per entrambi, di nuovo, contano in
primo luogo i fatti.
Carola Proto
Mescolando personaggi reali (il giornalista Thomas Gnielka e il
procuratore Fritz Bauer, a cui il film rende omaggio) e di finzione (il protagonista ‘composto’ da tre procuratori esistiti),
l’autore realizza un dramma giuridico e personale storicamente irreprensibile. Il labirinto del silenzio scorre una pagina
rilevante della storia in fondo alla quale il male avrà finalmente
“un nome, un viso, un’età, un indirizzo”
Marzia Gandolfi
22 perfetti sconosciuti
LUNEDÌ 28 MARZO ORE 20.45
MARTEDÌ 29 MARZO ORE 21.00
MERCOLEDÌ 30 MARZO ORE 21.15
di Paolo Genovese/Commedia/italia/97’
Con Kasia Smutniak, Marco Giallini, Valerio Mastandrea, Anna
Foglietta, Giuseppe Battiston, Edoardo Leo, Alba Rohrwacher
Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una
privata e una segreta. Un tempo quella segreta
era ben protetta nell'archivio nella nostra memoria, oggi nelle nostre sim. Cosa succederebbe se
quella minuscola schedina si mettesse a parlare? Perfetti sconosciuti è un film dove tutto è il
contrario di tutto, dove ognuno può raccontare
la sua esperienza, può fissare dei confini tra
cose giuste e sbagliate, corrette e scorrette,
parlando di vite segrete, di quello che non possiamo o non vogliamo raccontare.
Sembra lontano il tempo in cui Paolo Genovese esordì al
cinema con Incantesimo napoletano. Era il 2001 e lui era in
coppia con Luca Miniero. E la storia denotava da subito quella
originalità espressa ancora con Miniero e poi, a partire dal
2010, da solo con una serie di commedie tutte di crescente
successo (Immaturi, Immaturi il viaggio, Una famiglia perfetta,
Tutta colpa di Freud). Ed ora ecco questo Perfetti sconosciuti
dove Rocco, chirurgo plastico, ed Eva, psichiatra, invitano a
casa alcuni amici per vivere insieme la notte dell’eclisse di
luna. Arrivano anche Bianca e Cosimo, Lele e Carlotta, e
infine Peppe, da solo perché, dice, la sua nuova compagna
non si sente troppo bene. Ad un certo punto della cena, la
conversazione si ferma sui cellulari, sulla loro capacità di
diventare i custodi di segreti inconfessabili. Parte allora il gioco
di invitare tutti i presenti a posare i telefoni aperti sulla tavola,
aspettando al buio eventuali chiamate… I nuovi dispositivi
telefonici sono ormai in grado di accogliere tutti gli aspetti più
imprevedibili della nostra vita quotidiana. Sono memoria,
archivio, agenda, posta, conversazione. Dopo quella pubblica
e quella privata – dice Genovese – sono diventati la nostra vita
segreta. Quella che non vogliamo far sapere e della quale ci
accorgiamo però sempre troppo tardi. Il ‘non detto’ che
diventa il ‘tutto in piazza’ è al centro del copione scritto da
Genovese con alcuni collaboratori e da lui diretto con la
consueta scioltezza narrativa. L’unità di luogo e di tempo
rafforza il taglio di una dialettica serrata e incalzante, e opportunamente il copione si allarga a coinvolgere non solo argomenti di coppia e affettivi ma anche di lavoro, professionali,
realistici. Ne emerge uno spaccato di forte modernità, a
definire con esattezza la finta ‘libertà’ nella quale abbiamo tutti
l’illusione di essere coinvolti. Mentre è esattamente il contrario. Tra equivoci, sorprese, colpi di scena, il racconto procede
con crescente disappunto dei protagonisti, affidati ad un
gruppo di attori che si muove e dialoga in bella e stringente
sintonia (Giallini, Mastandrea, Leo, Battiston, Foglietta,
Rorhwacher, Smutniak). Film dunque piacevole, non privo di
qualche passaggio un po’ compiaciuto, e tuttavia nell’insieme
di esatta attualità.ù
Massimo Giraldi
FAGGIONI srl
37050 Santa Maria di Zevio (VR)
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telefono 045 6069038
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Pare che tutto abbia avuto origine dalla frase dello scrittore e
giornalista colombiano Gabriel García Marquez "Ognuno di noi
ha una vita pubblica, una privata e una segreta"; prima ancora
che Paolo Genovese riflettesse sul fatto che, mentre la terza
era un tempo ben protetta nella nostra memoria, nel XXI
secolo si trova nelle Sim personali, rese in fin dei conti protagoniste di Perfetti sconosciuti. Un cast in ottima forma che
sarebbe anche bastato da solo a sostenere la situazione in
interni di taglio decisamente teatrale estesa all'intero lungometraggio, ma che, invece, è ulteriormente valorizzata dall'ottimo
script che assume un sapore fortemente cinematografico. Del
resto, man mano che viene esposta la differenza tra una milf e
una vecchia autentica e che ci si chiede se le uniche coppie
che durano siano quelle in cui uno dei due riesce a fare un
passo indietro, è soprattutto la tensione generata dal desiderio
di conoscere quali segreti nasconda ciascuno dei personaggi
a garantire l'alto coinvolgimento di un insieme che attinge in
maniera evidente dalla migliore commedia tricolore, che si
tratti de La terrazza di Ettore Scola o Parenti serpenti di Mario
Monicelli. Insieme che, nel mucchio di battute divertenti non
manca di ricordare che gli uomini sono come i pc, in quanto
costano poco, si prendono i virus e possono fare solo una
cosa alla volta, mentre, veloci, intuitive ed eleganti, le donne
sono paragonabili ai Mac, compatibili esclusivamente tra loro
e dal prezzo alto. Fino al susseguirsi di sorprese poste nella
fase conclusiva di quello che, caratterizzato da un inaspettato
twist ending e volto a ribadire, inoltre, che siamo tutti frangibili,
non possiamo fare a meno di classificare tra i più riusciti titoli
sfornati dal suo genere nel XXI secolo.
Francesco Lomuscio
Paolo Genovese ha cotruito una delle commedie italiane più
divertenti, ben recitate e ricche di trovate degli ultimi anni. Una
sorpresa inaspettata perché raramente, anche dalle parti di
Hollywood, si era vista una sceneggiatura così brillante (scritta
a dieci mani), senza cali di ritmo, capace di alternarsi tra
grottesco e drammatico in maniera impeccabile, con sorpresa
finale davvero imprevedibile
di Maurizio Acerbi Il Giornale