Gennari-Maggi - CLASSE III E - Istituto Comprensivo M.Greco di

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Gennari-Maggi - CLASSE III E - Istituto Comprensivo M.Greco di
“A24020, un numero, una storia”
Se una vacanza per un ebreo porta a stare male, io vacanze non ne voglio più fare. I miei genitori
dicevano che dovevamo partire per le vacanze, perché papà si era preso un mese di ferie e con un
treno sprovvisto di sedili stracolmo di persone ammassate, partimmo. Vedere bambini piangenti mi
rattristava. Io, tipo socievole, per il vagone cercavo qualcuno con cui parlare, un amico.
Fortunatamentenon ero l’unico ragazzo lipur se tutti più grandi di me e riservati. Tra la folla,feci
conoscenza con due ragazze. Mi presentai – Ciao, io mi chiamo Salvatore e voi?La prima ragazza, alta, con i capelli ricci e neri, rispose – Mi chiamo Ilaria.L’altra, daicapelli castani e con gli occhiali,disse –Gabriella, ma mi puoi chiamare Gabry.- Da dove venite?- Io sono italiana- rispose Ilaria -Mi sono trasferita in Germania.- Ancheio sono italiana -disse Gabry -Trasferita in Polonia, e tu?
-Bhe, sono italiano e sono rimasto in Italia. Da quanto siete in viaggio?- Chiesi loro
-Io da oggi.- Rispose Gabry.-Io da un giorno e tu Salvatò?- mi chiese Ilaria in confidenza.- Da un
paio di giorni.- Gli risposi. - Avete sentito che puzza c’è nel treno? Io non la sopporto- disse Gabry
storcendo le labbra.Ed Ilaria – Non ci sono bagni e la gente i suoi bisogni li dovrà pur fare da
qualche parte.-- Eh … fosse solo questo- dissi io in modo sarcastico. -Cosa vuoi dire? – mi chiesero
all’unisono. Io abbassai lo sguardo e iniziai a raccontare uno dei molteplici episodi che mi avevano
terrorizzato:-Ieri, durante l’ennesima fermata, sicuramente quando sei entrata tu Ilaria, ho
sentito un forte grido, curioso sono andato verso quella parte - indicando il vagone alla mia destra una bambina con la madre piangevano, affianco una persona che veniva trasportata a forza,
ciondolante, da alcuni poliziotti vestiti di grigio, … era morta! -- Oh mio Dio!- esclamò Ilaria.
- E non è tutto - aggiunsi- Ho seguito con lo sguardo i poliziotti, aprirono il quarto vagone e
lanciarono il corpo senza vita la fuori, come un sacco di patate. - Non uso questa parola per fare una
battuta, ma perché penso che il tutto sia davvero DISUMANO!-Si hai ragione, è disumano e strano,
questo è un treno per fare vacanze, non l’ultima spiaggia…- disse Gabry.- E non dovrebbero
neanche ammalarsi le persone, per lapoco igiene …
- aggiunse Ilaria.
Nel mentre dialogavamo, una signora affianco a noi iniziò a tossire, ed i colpi di tosse aumentavano
con forza, fino a vomitare. Purtroppo il liquido , andò sulle scarpe di Ilaria e lei svenne!
Mantenendola cercammo di farla rinvenire, ma niente, finalmente il treno si fermò, ed entrarono
due poliziotti grigi, così li chiamavo, la videro e la presero, noi cercammo di avvisarli che era
svenuta ma loro capivano - la “buttarono” fuori, pensando che fosse morta.
-ILARIIAAAAA !- gridò Gabry .Passarono diverse ore e solo dopo lo shock iniziammo a parlare
per distrarci ma ci rimaneva impressa l’immagine della povera Ilaria. -Io per rompere il ghiaccio
dissi-Perché non diventiamo amici?- Gabry alzò la testa, ormai chiusa in se stessae rispose -Si,
perché no?! Ma prima conosciamoci meglio, raccontami un po’ della tua vita . -Bhe … da dove
posso iniziare … allora, sono nato in Italia in un piccolo paese della Puglia, il 27 Novembre 1930 e
siccome il paese è piccolo, tutti ci conosciamo, ho molti amici, da piccolo ho vissuto in campagna
in una villetta, li c’erano solo due cugini ma non parlavamo mai. In famiglia siamo cinque: mia
madre, mio padre, mio fratello che ha 11anni, mio fratello piccolo di 6anni ed io. Le giornate le
passo a studiare e a giocare. -Parlami del tuo carattere. - Chiese Gabry. -Va bene, allora, il mio
carattere è socievole, sono generoso, a volte un po’ prepotentema solo con i miei fratelli. Credo …conclusidi botto. Senza farle domande lei incominciò a raccontare. -Io invece, sono nata in una
piccola città, “Manduria”. E’ un bel paesino, con gente abbastanzasocievole e con posti che mi
piacciono tanto. Abitavoin una casa fuori città, diciamo che c’erano più campi che case. Li avevo
molti amici, in famiglia siamo anche noi in cinque: mia madre, mio padre e i miei due fratelli
maggiori, uno ha 19anni, l’altro 15. Ho molti parenti e quando sfortunatamente, ci siamo partiti in
Polonia, è stato un dispiacere lasciarli, così senzasapereil perché. Ogni volta che lo chiedevo ai
miei; mi dicevano:“Quando sarai più grande, capirai che l’abbiamo fatto per il tuo bene”. Li odio
quando fanno così. La partenza fu molto difficile da superare ma alla fine ce la feci e imparai la
lingua. Il mio carattere è … diciamo, dolce, simpatica, altruista e generosa.- così concluse.
Il treno si fermò. -Siamo arrivati !- esclamai. -Finalmente, sono stremata !-disse Gabry.
Si aprì bruscamente un portellone e vidi una luce abbagliante e rivolgendomi a Gabry
-Vado dai miei genitori, poi ci incontriamo, ovunque siamo stanne certa! Lei annuì, così ci
dividemmo.
Andai dalla mia famiglia e ci fecero subito scendere dal vagone con spintoni da
dietro, davanti. Divisi, condussero mia madre dove c’erano solo donne, io e i miei fratelli in un altra
solo di bambini, mio padre in un'altra solo di uomini. Nella mia fila riuscì ad intravedere Gabry,
ma ormai Gabry non mi importava, volevo stare con i miei genitori, non essere diviso da loro,
altro che vacanze pensai, qui c’era sotto qualcosa che mi inquietava. - Mentre i poliziotti cifacevano
camminare, qualcuno cadeva e loro senza pietà li prendevano a calci e li menavano con qualsiasi
cosa.Al mio fratellino chiusi gli occhi e proseguimmo fino ad arrivare in un capannone, dove
c’erano diversi lettini. Appena entrammo, c’erano bambini che piangevano, urlavano per la paura,
io a sentirli mi disperavo, cercavo di aiutare qualcuno, mi sforzavo di rasserenare i bambinipiccoli
dicendo loro che i genitori li avrebbero ritrovati. Mentre cercavamo di canticchiare per distrarci e
distrarre…Entrarono molti poliziotti, in mano avevano qualcosa che bruciava, si trattava di un asta
di ferro, come quella che serve per marchiare le mucche, allora si creò un silenzio non adatto a tanti
bambini messi insieme.La paura la sentivamo come parte del nostro corpo, in quel momento
accadde ciò che mai nessuno, neanche mettendo insieme tutta la fantasia di centinaia di bambini
potevaimmaginare… Un grido, poi un altro e così finché noi “gli ultimi arrivati” fummo tutti
marchiati con ferro caldo, tutti avevamo un numero inciso sulla nostra
pelle, nell’aria puzza di carne morta, più nulla poteva riuscire a distrarci dal capire, in un istante, di
non essere più bambini, ma cose senza nome … Ci guardarono, si guardarono soddisfatti, fecero un
cenno di risata e se ne andarono. Cercai di riordinare la mente, capire cosa succedeva. Ma tutto era
chiaro in cuor mio da tempo, che non si trattava di una vacanza. Entrarono altri soldati grigi e ci
tagliarono i capelli trattandoci come pecore alla tosatura; poi ci radunarono in gruppo, urlavano, ci
spingevano. Uscendo mi guardavo intorno per cercare i miei genitori, tenendo stretti i miei fratelli,
nonostante la calca che si era creata attorno a noi, vedevo solo scheletri camminare per inerzia, sotto
un acquazzone incessante. In un momento i miei occhi riuscirono ad incrociare quelli di Gabry le
urlai -Che succede? - Perché siamo qui?- Fui colpito da un soldato e non vidi più Gabry.
-SALVATOREEE- urlai. Queste le mie ultime parole, ero una ragazza sola, i miei occhi, gonfi di
lacrimefurono attratti da un enorme cancello dallemura altissime che circondavano una struttura.
Non avevo più nulla perdere. La mia amicizia, appena iniziata con Ilaria e Salvatore, era già finita.
Mi guardavo attorno e non c’era alcun viso sorridente, se non di qualche bambino inconsapevole di
ciò che accadeva, come noi d’altronde. L’atmosfera di quel posto era triste e per
nienterassicurante,con quelle guardie tedesche che controllavano ciascuno di noi,affinché non
potessimo fuggire,né portare strumenti di evasione con noi.Per ogni persona che oltrepassava il
cancello dell’entrata, le guardie gridavano frasi incomprensibili nella loro lingua,spintonando con la
punta del proprio fucile l’ultimo entrato.Quando fuidentro si intravedevano da lontano donne e
uomini che lavoravano sotto la pioggia, nel fango,stremati, con qualche donna che si accasciava a
terra per la stanchezza dei muscoli.Ad un tratto le guardie decisero di collocarmi con forza in stanze
con sole ragazzemaancor prima di entrare incrociai gli sguardi di mia madre e mio padre che
piangendo mi salutavano,quasi come se stessero dicendomi addio.Dopo averli tristemente salutati
parlai subito con la prima ragazza che vidi nella stanza,chiedendolecosa stesse succedendo e in
quale posto ci trovassimo.L’unica risposta che ebbi fu-Ma come, dove ci troviamo?!Ti trovi in un
campo di concentramento dove tutti gli ebrei vengono deportati per compiere lavori pesanti fino a
esaurire le loro forze e…-La ragazza coprì la bocca con la mano e mentre la consolavo compresi di
essere sola. Nel mentre mi accasciavosu una panca entrò dalla portauna donna
grassa e brutta che spingendoci una ad una ci obbligava asedere, a terra faceva mostra una miriade
di capelli. Si sentiva il rumore assordante del rasoio che passava con violenza sul capo delle povere
ragazze. Avevo paura, tanta paura! I miei bellissimi capelli si trovarono di colpo nella montagna, i
colori erano tanti, diversi: rossi, biondi, neri, ciocche e ciocche. Non feci in tempo ad alzarmi che
mi spinsero con forza verso l’uscita. Senza i miei capelli mi sentivo nuda, alzai gli occhi e vidi
terrore ovunque, bambini che andavano alle fornaci inconsapevoli che ci sarebbero finiti dentro,
donne senza un’anima, uomini esausti e morenti, un cielo grigio coperto dalla nube di esseri umani
bruciati. Si formò una lunga fila di ragazze con i visi preoccupati e terrorizzati che si dirigevano in
stanze.Cercai di fuggire per poter salutare un ultima volta imiei cari ma sfortunatamente le guardie
mi individuarono e mi rimisero in fila.La folla era tanta, ci fecero spogliare, eravamo tutti nudi, ero
a disagio.I soldati ci urlavano, noi non capivamo, ci spinsero, prendevano i bambini più piccoli e li
lanciavano all’interno. La stanza enorme, con tante docce, aspettava una moltitudine di gente, tutti
si guardavano speranzosi.
- Acqua, acqua!- gridavano e si spingevano l’uno con l’altro accalcandosi sempre più.
La luce si spense e fu il buio …!
Gabriella Gennari
Salvatore Maggi
Classe III E