Quelle donne né vestite né spogliate

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Quelle donne né vestite né spogliate
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“Quelle donne né vestite né spogliate”
Inviato da Laura Corallo
martedì 08 luglio 2008
Parlano diversi clienti che “andavano a donne” ai tempi delle case
chiuse. Che a Sassuolo in teoria non esistevano, ma che in realtà…
Cinquant’anni fa molti
italiani, tra cui anche i sassolesi, assisterono alla chiusura delle
case di tolleranza. Il bordello, infatti conservò la sua funzione
“istituzionale” fino al 20 settembre 1958 quando la legge Merlin abolì
la regolamentazione della prostituzione in Italia con la soppressione
delle cosiddette “case chiuse”. Prima della loro chiusura, la
frequentazione di questi luoghi di piacere era una pratica consueta e
molti sassolesi, seguendo i dettami del costume sessuale italiano
dell’epoca, apprendevano l’arte amatoria nei bordelli, alcove del
piacere e altari celebrativi del loro orgoglio virile.
Questi luoghi erano diffusi in città: Modena, Reggio Emilia, Bologna. Non esistevano case chiuse a Sassuolo, anche se,
da un documento conservato all’archivio storico di Sassuolo datato 1944, si legge che, nell’ambito di un sequestro di beni
in un’abitazione in via Quattro Ponti, ad ordine della Prefettura di Modena, fu scoperta una casa di tolleranza abusiva, poi
trasferita.
A Sassuolo sono ancora tanti gli uomini, all’epoca diciottenni, che furono iniziati ai piaceri del sesso in un patrio casino. E
volentieri, anche se in forma anonima, hanno accettato di rispolverare memorie ed aneddoti di un tempo in cui l’amore
era vissuto con spensieratezza. Ricordi che però spesso prendono il sopravvento sul reale squallore e solitudine in cui
vivevano le ‘signorine’ . “ Per noi, ragazzi all’epoca, andare nelle case chiuse era un’abitudine – dice un sassolese -. Nei
bordelli non ci si andava mai da soli, sempre in compagnia, il sabato e la domenica. Salivamo sulla bicicletta o in
motorino e ci dirigevamo nelle case di tolleranze delle vicine Modena o Reggio Emilia. Era un momento di svago ma
anche per fare un’esperienza erotica diversa che non potevamo permetterci con le nostre fidanzate, riluttanti a
concedersi prima del matrimonio. Ed è forse per questo motivo che le nostre “incursioni” nelle case chiuse erano
tacitamente tollerate”.
Tra i clienti non mancava nessuno: soldati e ufficiali, operai e impiegati, politici ma non solo. Al fine di proteggere la
privacy di personaggi influenti, venivano adottati alcuni accorgimenti, ad esempio un semplice separé all’ingresso per
impedire la vista ad occhi indiscreti. Ma non alle orecchie... “Una volta mi capitò di sentire la maitresse accogliere il nuovo
cliente con ‘buonasera reverendo’ - ricorda un ex cliente sassolese -. In quel momento capii che in un luogo come quello
eravamo tutti uomini e nulla contava, né il titolo né lo status sociale”. I clienti erano ricevuti in un salone ben arredato e
ad accoglierli tante donne ‘né vestite, né spogliate’. “Alle pareti erano affisse le tabelle dei prezzi – dicono -. Lo standard
delle professioniste era da stakanovisti: 40 – 50 marchette al giorno per non più di quindici giorni. I prezzi andavano dalle
200 lire per una prestazione breve fino alle 2000 lire”.
L’offerta di sesso a pagamento a Sassuolo era gestita dalle donne in forma autonoma. “C’erano pensioni, locande ed
osterie che affittavano le stanze - dicono -. Di questi luoghi, presenti fino agli anni ’60 (vedi piantina a pagina 2), in via
Fenuzzi, via Caula, via XX settembre, Piazza Martiri Partigiani e Piazza Piccola, Rocca, non c’è più traccia. Le giornate
migliori per ‘andare a donne’ erano quelle del mercato - racconta un ex artigiano -. Al mattino presto arrivava la corriera
con donne e ragazze dai paesi della montagna, per le quali i giorni di mercato erano dedicati alle ‘marchette’. Per loro,
vendere il proprio corpo era una libera scelta, seppur sofferta. Non erano professioniste ma donne normali. Ragazze
madri o abbandonate sull’alta. Donne che, per miseria o sfortuna, entravano a far parte della schiera delle prostitute con
poche possibilità, poi, di affrancarsi.
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