RE minore: musicoterapia - counselling

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RE minore: musicoterapia - counselling
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
RE
minore
musicoterapia – counselling - psicotecnologie
Scuola di Specializzazione in: Musicoterapia e
Counselling Scolastico
Relatore: Dott. ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Centro Europeo di Musicoterapia
CEMU – Istituto MEME
Tesisti specializzandi: Alessandra Foppoli
Secondo anno Musicoterapia
Elena Rosselli
Primo anno Musicoterapia
Carlo Stanzani
Primo anno Counselling Scolastico
Modena maggio - giugno 2007
Anno accademico 2006-2007
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ
EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.BL. BRUXELLES
Alessandra Foppoli 2° Anno MT – Elena Rosselli 1° Anno MT – Carlo Stanzani 1° Anno CS – A.A. 2006/2007
“Ci sono due modi di vivere la nostra vita.
Uno è come se nulla fosse un miracolo.
L’altro è come se tutto fosse un miracolo.”
[Albert Einstein]
Disegno di una bambina del gruppo RE minore
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Indice
1 Introduzione ……………..……………………………………………………… 5
2 Nascita ed evoluzione del Progetto “RE minore” …………..………………. 7
2.1 Scelta del repertorio ……………………………….……………… 7
3 Obiettivi …………………………………………………………..…………… 13
3.1 Obiettivi di gruppo ………………………………….……………. 13
3.2 Obiettivi individuali …………………………………..…………… 14
3.3 Obiettivi specifici ……………………………………..…………... 14
4 Parte Corale …………………………………………………………………… 15
4.1 La respirazione ……………………………………..……………. 16
4.2 La fonazione ………………………………………….…………. 19
5 SoundBeam …………………………………………………………………… 24
5.1 Tra Silenzio e Manifestazione ………………………………….. 24
5.2 Abilità silenti ……………………………………………..……….. 26
5.3 Silenziosità comunicanti ………………………………..……….. 28
5.4 Maschere e ruoli ……………………………………….………… 30
5.5 Ruoli omeopatici ……………………………………….………… 32
5.6 Metodi trasformazionali …………………………………………. 35
5.7 SoundBeam : Storia e principio di funzionamento……………. 37
5.8 SoundBeam : Istruzioni sulle funzionalità di base ……………. 39
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6 Parte Orchestrale ……………………………………………………………. 43
6.1 Strumenti …………………………………………………………. 46
6.2 Giochi …………………………………………………………….. 47
6.3 Il direttore d’orchestra …………………………………………… 48
7 Modelli e metodi applicati ………………………………………………….. 49
8 Descrizione degli incontri del gruppo RE minore …………………………. 52
9 Conclusioni ……………………………………………………………………. 54
10 Bibliografia …………………………………………………………………… 56
11 Discografia …………………………………………………………………… 57
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1 Introduzione
Nessuna persona è un’isola. Non si lotta da soli.
Si ha bisogno di discutere le proprie strategie, di chiedere aiuto e di
raccontare le proprie storie.
Si danza con i compagni, ma non si attribuisce a nessuno la
responsabilità dei propri passi.
Abbiamo riscontrato una notevole difficoltà durante le stesura di
questa breve introduzione, data probabilmente dal fatto che si è
cercato di descrivere in modo obiettivo ed oggettivo un progetto che è
in continuo movimento ed evoluzione soprattutto dal punto di vista
emotivo, nostro e dei piccoli-grandi partecipanti al gruppo.
L’idea progettuale iniziale prevedeva, date le richieste giunte e gli
effettivi bisogni, di proporre sedute individuali di musicoterapia.
Credendo però, nella ricchezza di risorse che un gruppo espressivo
misto può ricavare, si sono creati piccoli gruppi fino a quando, dopo
attente osservazioni e dopo un determinato specifico lavoro, si è
deciso di allargare il gruppo ad uno unico, il RE minore.
(Parallelamente però si è mantenuto lo spazio necessario per gli
incontri individuali).
Nella parte che segue verranno descritti gli step che hanno portato
all’elaborazione metodologica, teorica e pratica del progetto.
La realizzazione del progetto RE minore prevede la collaborazione di
tre figure professionali diverse che, pur con competenze specifiche
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differenziate, hanno dato vita ad un progetto d’intervento comune.
Seppure il viaggio è cominciato da poco abbiamo riscontrato notevoli
cambiamenti in noi, nei ragazzi e in tutto ciò che riguarda la
strutturazione e la progettazione.
Quella che era un’idea iniziale ha subito in itinere profondi mutamenti
che potessero essere funzionali ed adattabili a coloro a cui è stata
rivolta la nostra attenzione.
Abbiamo quindi dovuto fare i conti con le nostre premesse ed i nostri
preconcetti.
Ci siamo confrontati e abbiamo cercato di dare un senso, un valore
condivisibile alle nostre unicità.
Le difficoltà, lo scoraggiamento che abbiamo vissuto in alcuni
momenti sono stati vinti dall’entusiasmo e dall’incoraggiamento che ci
siamo infusi reciprocamente.
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2 Nascita ed evoluzione del Progetto “RE minore”
Sorto all’interno delle attività del CEMU (Centro Europeo di
Musicoterapia), il Gruppo RE minore è nato con l’intento di
raccogliere, abbracciare, potenziare e dare vita alle infinite espressioni
creative con suoni e voci attraverso il canto, gli strumenti musicali e il
SoundBeam.
Alla base del gruppo coro-orchestra-SounBeam vi era il desiderio di
condividere lo sviluppo di proprie caratteristiche sonoro-musicali in un
contesto comune in cui si fondono le risorse affettive e relazionali di
ciascun individuo potenziandole.
In questo modo, l’attività espressiva, creativa e comunicativa era
intesa principalmente a perseguire l’accrescimento e l’integrazione di
funzioni percettive, sensoriali, emozionali ed affettive.
L’idea del nome è nata dal desiderio di coniugare significati musicali e
simbolico-evocativi: RE minore quindi come accordo dalle venature
anche melanconiche, re come apice dell’importanza personale, non
sminuita dalla minore età.
2.1 Scelta del Repertorio
Il repertorio che si è deciso di proporre inizialmente prevedeva:
- B. Coulais “Les Choristes” (arrangiamenti e trascrizioni di
Elena Rosselli);
- Musiche tradizionali dal mondo;
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- Vari canoni a più voci dalla tradizione popolare.
Durante la conduzione dei primi incontri ci si è resi consapevoli
dell’opportunità di introdurre un elemento di connessione che
rendesse più unitario l’insieme dei diversi momenti musicali.
Si è così pensato alla composizione di una favola musicale che
accogliesse nel proprio seno i brani eseguiti durante gli incontri.
Il nucleo centrale della fiaba era costituito da una breve
descrizione di un contesto iniziale sul quale, durante le sedute, il
gruppo si confrontava collettivamente al fine di co-costruire un
possibile sviluppo della vicenda narrata.
Questo modo di procedere ha permesso ai ragazzi di caricare di
ulteriori valenze emotive l’interpretazione dei diversi pezzi e di
creare un filo conduttore che orientasse la loro attenzione anche
nei passaggi tra i pezzi.
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FAVOLA-VOLA
[breve musichetta di presentazione con Stefania alle tastiere e bimbo al tamburo]
[Musica lieve di sottofondo: eseguita al pianoforte]
[Narratore1]
[Tamino1]
C'era una volta un bambino di nome Tamino che parlava con l'eco. Se
fosse lui a raccontarvi questa favola, la direbbe in questo modo:
“C'era una volta-olta un bambino-ino di nome Tamino-ino ...”
Questa cosa era contagiosa, infatti chi parlava con Tamino
rispondeva con l'eco.
[Tamino comincia ad entrare in scena]
Un giorno Tamino sentì che c'era una cosa che non
sapeva. Non capiva bene cosa fosse, ma sentiva che era importante
e che non la sapeva.
Decise allora di partire alla ricerca di una risposta. [Tamino cammina]
Dopo aver camminato a lungo, arrivò ad un monastero. Sulla porta del
campanile c'era scritto: “casa di frate Martino”.
[Fine musica di sottofondo]
Tamino provò a bussare [knoc, knoc eseguito con uno strumento a
percussione, mentre Tamino mima il gesto] ma nessuno rispondeva.
Allora provò a chiamare:
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“Fra Martino-ino, campanaro,-aro
dormi tu? dormi tu?
Suona le campane,-ane
suona le campane -ane
din don dan
din don dan”
Finalmente frate Martino si affacciò:
[frate Martino:] “Chi è che mi cerca ?”
[Tamino:] “Buongiorno-orno. Sono Tamino-ino, sto cercando-ando la
cosa-osa che non so.”
[frate Martino:] “E quale sarebbe-ebbe la cosa-osa che non sai”.
[Tamino:] “Appunto-unto, non lo so”.
[frate Martino:] “Allora è grave-ave. Vedi quel sentiero-ero? Percorrilo e
arriverai alla Grande Porta-orta. Ma fai attenzione-one, quando
incontrerai la sentinella-ella muoviti molto lentamente-ente”.
[Narratore2]
Tamino si incamminò [SoundBeam con uccellini (124) mentre Tamino
cammina sul posto], ma ben presto trovò uno sbarramento sorvegliato
dalla Sentinella col fucile. Si ricordò delle parole di Fra' Martino e,
muovendosi molto lentamente, riuscì a superare lo sbarramento. [6
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bimbi, 3 per lato, creano uno sbarramento coi propri corpi e Tamino deve
superarli passando tra le due schiere. Il SoundBeam viene commutato sugli spari
(128)].
[Narratore3]
[Tamino2]
Tamino riprese il cammino e finalmente giunse alla Grande Porta, ma
era chiusa. [4 bimbi, formano la grande porta coi propri corpi. Il SoundBeam
viene commutato sugli oooh (54)].
[Tamino3]
Ricerca della chiave
Apertura della Porta
Dietro quel porton-ton-ton
dov'-entrò Tamin-min-min
c’era un bel giardin-din-din
senza rumoron-ron-ron
oh che bel giardin-din-din
che trovò Tamin-min-min
dietro quel porton-ton-ton
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[Narratore4]
Proprio così, oltre la Grande Porta Tamino trovò un bellissimo
giardino: era il Giardino del Silenzio. In questo luogo è possibile
seminare domande e lasciare crescere le risposte [ognuno individua una
propria domanda, la coglie dentro di sé e la semina in silenzio, compreso
Tamino]. Alcune risposte crescono in fretta, altre impiegano molti anni,
come certe piante. E i loro frutti migliori saranno altre domande.
Incontro con Tamina [canto soave di Les Choristes].
[La Fatina Danzante gira attorno ai Tamini con nastri colorati e campanellini]
Guarigione di Tamino dall'eco (proprio grazie a Tamina, perché ora
c'è lei a rispondere, e Tamino non ha più bisogno dell'eco per non
sentirsi solo).
Chagall “Solitudine”
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3 Obiettivi
3.1 Obiettivi di gruppo
Il lavoro di gruppo può essere proposto anche come integrazione alla
terapia individuale per ampliare le esperienze sociali e musicali dei
ragazzi e per fornire opportunità e materiali supplementari per il
raggiungimento degli obiettivi della singola persona.
I principali obiettivi sui quali è stato focalizzato il lavoro sono:
1. Attenzione.
2. Ascolto.
3. Apprendimento.
4. Socializzazione.
5. Integrazione.
6. Creare motivazioni.
7. Acquisizione di competenze:
- ritmico-sonore;
- coordinamento ritmico-motorio;
- emissione vocale-canto;
- movimento-suono.
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3.2 Obiettivi individuali
Contestualmente al perseguimento degli obiettivi condivisi, si è
operato in direzione di ogni singolo soggetto per supportarlo nelle sue
specifiche difficoltà.
3.3 Obiettivi specifici
Per obiettivi specifici si intendono quelli perseguiti con una particolare
attività svolta:
• Alternanza dei narratori e degli interpreti del protagonista:
fornire il proprio contributo nella forma migliore possibile e
confidare nel medesimo impegno da parte degli altri per un fine
unico.
• Fasi di ricerca collettiva di possibili sviluppi della fiaba:
sollecitazione della creatività individuale e collettiva, rispetto dei
risultati della creatività degli altri sia nei contenuti che nei tempi
e quindi sviluppo della capacità di dominare l’impellenza ad
estrinsecare un moto interiore. Capacità di attivare la mente
collettiva e coglierne i frutti.
• Ostacoli incontrati da Tamino: acquisizione dell’abitudine a
considerare gli ostacoli come normali eventi lungo qualsiasi
cammino (e sviluppo dell’attitudine a superarli).
• Ricerca della chiave: acquisizione dell’idea che non tutte le
cose che ci interessano sono immediatamente palesi.
• Giardino del Silenzio: contatto con una dimensione interiore
ed esteriore abitualmente negata dall’ambiente.
• Domande seminate: capacità di accettare la domanda come
principio attivo con valore in sé.
• Guarigione di Tamino quando non è più solo: acquisizione della
capacità di vedere un sintomo, un disagio, come manifestazione
sistemica.
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4 Parte Corale
Una voce significa questo:
c’è una persona viva,
gola, torace,
sentimenti,
che spinge nell’aria questa
voce diversa
da tutte le altre voci.
Una voce mette in gioco l’ugola,
la saliva, l’infanzia,
la patina della vita vissuta,
le intenzioni della mente,
i piacere di dare una propria
forma alle onde sonore…
Ciò che ti attira è il piacere
che questa voce
mette nell’esistere come voce,
ma questo piacere
ti porta a immaginare il modo in cui
la persona potrebbe essere
diversa da ogni altra
quanto è diversa la voce.
[I.Calvino, “Sotto il sole giaguaro]
Chagall “Adam Eve”
La voce umana è l’organo più in mostra del corpo ed è anche il nostro
più accessibile strumento sonoro.
Così come la più lieve emissione vocale massaggia il corpo facendolo
vibrare, ogni movimento del corpo, a sua volta, influisce sul modo in
cui inspiriamo ed espiriamo, e quindi ha un impatto sulla voce.
La voce può essere un modo efficace per conoscersi, darsi un nome,
scoprire il rispetto e l’odio per se stessi.
Nella società moderna, in cui gli adolescenti spesso hanno la
percezione di non essere ascoltati, le forti grida del punk, dell’heavy
metal e di altre forme di musica popolare aiutano a liberare le tensioni
dell’adolescenza.
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Allo stesso modo, quando siamo feriti, scopriamo che ci sono dei
suoni che il nostro corpo vuole emettere. Spesso la fine della
sofferenza o la liberazione dal dolore sono accompagnate dai suoni
che produciamo con la nostra voce.
In particolare, è proprio nel canto che la ricchezza emotiva della
persona si esprime, perché permette di essere creativo e ciò significa
dar senso e gratificazione alla sua esistenza.
L’esercizio dello strumento vocale e musicale e l’influsso positivo dei
nuovi rapporti sociali che si vengono a creare nello spazio profondo
del gruppo sono i confini entro i quali il cantante parte di un coro
riesce ad essere creativo.
Raggiungere tale traguardo per il corista significa dunque dare dignità
e valore alla propria vita.
4.1 La respirazione
La base della voce è il respiro: inaliamo il respiro, lo trasportiamo dai
polmoni fin nelle parti più profonde delle nostre cellule e lo
immettiamo nuovamente nel mondo.
In molte religioni respiro significa spirito, così come la parola ebraica
ruach indica respiro di Dio.
La respirazione accompagna tutti i cambiamenti della nostra vita
emotiva. Essa, infatti, è particolarmente sensibile alla vita psichica e
specialmente alle emozioni. Alcune di queste, come la paura,
possono avere l’effetto di bloccarla, mentre altre al contrario
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accelerano i suoi tempi, e altre ancora, come la vera calma interiore,
la rendono più profonda e la rallentano (come nel sonno).
Per una corretta respirazione la posizione del corpo deve essere
eretta, con la testa alta, le spalle abbassate e il petto in fuori (ma non
la pancia in dentro) e un buon appoggio su ambedue le gambe.
È molto importante attuare l’inspirazione avendo come riferimento le
stesse sensazioni di benessere suscitate dalla classica boccata d’aria
rigeneratrice quando siamo al mare o in montagna, senza
preoccuparsi di immagazzinare enormi quantità d’aria, che all’inizio
degli studi vocali risultano più nocive che utili, in quanto difficilmente
controllabili.
Quando si parla di respirazione profonda non ci si riferisce
quindi tanto alla quantità d’aria inspirata, quanto alla modalità
con cui si realizza l’inspirazione, che deve coinvolgere
attivamente il diaframma e i muscoli intercostali.
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Il diaframma è un muscolo interno (e come tale non visibile
superficialmente), ma contraendosi nell’inspirazione si abbassa,
spingendo in fuori e facendo più o meno sporgere l’addome.
Nella fase espiratoria invece esso viene risospinto in alto dall’addome
che rientra sotto l’azione dei muscoli addominali.
Diaframma visto antero-superiormente
I movimenti (in fuori durante l’inspirazione e in dentro durante
l’espirazione) dell’addome rappresentano quindi il primo mezzo di
controllo della respirazione.
Il movimento del respiro è un’onda che nasce nel centro del corpo
nell’inspirazione, sale oltrepassando la frontiera anatomica tra
addome e torace, per ridiscendere nell’espirazione, con un movimento
fluido e continuo.
Inspirare attraverso la bocca e riprodurre le stesse sensazioni di
apertura e di allargamento interno prodotte dalla fase iniziale dello
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sbadiglio, contribuisce a predisporre correttamente l’organo fonatore e
le cavità di risonanza.
Per contro, l’inspirazione effettuata soltanto attraverso il naso,
teoricamente più igienica e più profonda, non si concilia con
l’esigenza pratica, frequente nel canto, di fiati veloci e non superficiali,
per i quali l’azione di chiusura e di apertura della bocca risulterebbe di
ostacolo.
4.2 La fonazione
Gli organi fonatori sono parte integrante o accessoria di quello che si
definisce apparato respiratorio e sono:
a) laringe;
b) faringe;
c) cavità nasali e paranasali;
d) bocca;
e) polmoni.
Sono interessati alla funzione fonatoria e svolgono un ruolo
importantissimo nel controllo dell’emissione, oltre al diaframma e ai
muscoli addominali di cui abbiamo già parlato in precedenza, anche
determinati muscoli facciali.
Fonte di produzione del suono è la laringe, mentre faringe, bocca e
cavità nasali e paranasali formano il cosiddetto apparato di risonanza.
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All’interno della cavità laringea troviamo le due corde vocali, che nel
loro insieme costituiscono la glottide. Questa si chiude quando le
corde vocali, entrando in vibrazione, realizzano la funzione fonatoria.
Quanto più le corde vocali vengono tese, sollecitate dall’aria
proveniente dai polmoni, tanto più è acuto il suono da esse prodotto.
Corde vocali
L’approccio iniziale della coralità con il gruppo “RE minore” non è
stato semplice, soprattutto per la complessità del contesto esistente.
Innanzi tutto è stata inserita in un percorso che era già stato avviato
dall’operatrice Alessandra.
I
ragazzi
avevano
già
svolto,
prima
individualmente,
e
successivamente in gruppo, un grandissimo lavoro volto a sviluppare
in loro attenzione, ascolto, apprendimento, memoria, ed alcuni di loro
avevano già acquisito notevoli competenze musicali e ritmiche.
L’idea di un coro è stata abbracciata subito con grande entusiasmo,
soprattutto per la forte credenza, da parte nostra, negli effetti benefici
che un’integrazione corale possa portare sia nel singolo soggetto che
nel gruppo.
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Al primo incontro corale con i ragazzi è stata fatta ascoltare loro la
registrazione su c.d. di un brano che era in programma.
In questo caso si trattava di un brano tratto dal film “Les Choristes” (B.
Coulais).
Naturalmente il pezzo era stato preventivamente riarrangiato, in modo
da renderlo più semplice e quindi facilmente eseguibile.
Dopo l’ascolto del brano, sono state raccolte le loro impressioni,
riflessioni, gli è stato chiesto se il brano gli era piaciuto, se trovavano
che fosse difficile e anche se si sentivano in grado di impararlo, dopo
di che, avendo loro dimostrato molta volontà ed entusiasmo, si è
passati ad una fase successiva.
Innanzi tutto si è cercato di fargli capire che per cantare bene è
importante rispettare alcune regole fondamentali, fra cui:
- Posizione: stare diritti con la schiena, la testa diritta, le spalle
abbassate e rilassate, perché dentro di noi l’aria passa attraverso un
tubicino che dalla bocca porta ai polmoni. Se stiamo curvi o con il
collo piegato, il tubicino non lascia passare bene l’aria e la nostra
voce esce sgradevole (esempio di una cannuccia che, se piegata, non
lascia passare bene la coca-cola…)
- Respirazione: per cantare bene bisogna respirare bene, e respirare
bene significa avere un respiro regolare, non affannoso, e non
bisogna alzare le spalle. Si deve invece pensare di inspirare
dolcemente con il naso e, altrettanto dolcemente, espirare con la
bocca.
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- Emissione vocale: molte volte, mentre si canta, ci si dimentica di
pronunciare correttamente le parole, e questo fa si che quelle parole
escano con un suono sgradevole o, peggio, non si capisca che parola
è. A questo proposito, così come i grandi cantanti fanno appositi
esercizi, così anche noi dovremo prestare molta attenzione alla
pronuncia del testo nelle canzoni che andremo ad imparare.
Fatta questa doverosa premessa per introdurre meglio i ragazzi
nell’ottica di un lavoro corale, si è cercato di far apprendere loro il
brano musicale frammento dopo frammento, attraverso la ripetizione e
l’imitazione.
Nonostante il primo risultato non si sia potuto definire sicuramente un
canto celestiale, sono emerse comunque buone potenzialità.
Per poter poi capire e comprendere meglio le singole voci, con molto
incoraggiamento e pazienza, si è riusciti a farli cantare singolarmente.
Questo ha dato loro molta soddisfazione e creato ulteriori spinte
motivazionali.
All’incontro successivo, ci si è resi conto con gioia e stupore, che i
ragazzi ricordavano quasi tutti perfettamente il frammento del brano
imparato la volta precedente, dando così la possibilità di procedere
con l’insegnamento di un’ulteriore aggiunta musicale.
In seguito si è valutato, in considerazione del fatto che, nonostante la
semplificazione del brano, esso presentava comunque difficoltà
notevoli, di variare il repertorio, riprendendo quanto imparato finora in
una fase successiva, in modo da non rischiare di annoiare i ragazzi
facendogli perdere così entusiasmo e motivazioni.
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Da qui l’inserimento di una favola musicale, già citata in precedenza,
che ha potuto unire tanti aspetti, musicali e non, creando forte intesa e
collaborazione all’interno del gruppo.
Come repertorio corale all’interno della fiaba si è pensato di utilizzare
canti tratti dalla tradizione popolare, come ad esempio “Fra Martino
Campanaro”, “Koukaburra”, e altri, modificando, ove più opportuno
per lo specifico utilizzo, il testo, e per poterlo quindi meglio adattare al
contesto fiabesco.
La scelta di questi canti è stata fatta anche in base al fatto che sono
eseguibili a canone, una tecnica che presenta notevoli difficoltà sia da
un punto di vista ritmico che di concentrazione.
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5 SoundBeam
Se l’uomo ha esteso e potenziato i
propri sensi con i media, come non pensare
che, contemporaneamente, non abbia
proiettato all’esterno anche le proprie
attività inconsce
[Franco Vaccari, artista e psicotecnologo ante litteram]
5.1 Tra Silenzio e Manifestazione
La facoltà di produrre suoni ha da sempre rivestito per l’uomo
un’importanza che può essere rintracciata con chiarezza nell’etimo
della parola persona: per-sonar = risuonare attraverso.
Originariamente il termine indicava la maschera - portata sulla scena
dagli attori, nei teatri dell’antica Grecia - conformata in modo tale da
rafforzare il suono della voce. In seguito il significato si è esteso ed
evoluto fino ad assumere le valenze che ancora oggi gli attribuiamo.
Sembra quindi che l’uomo colga, in
questa sua capacità di rendersi
mediatore tra la sfera del silenzio e
quella della manifestazione (sonora),
la propria caratteristica peculiare,
l’unicità in grado di individuarlo.
Accanto alla potenza, l’uomo ha fin
Monumento a Lao Tze
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dall’inizio colto anche i limiti connaturati a tale processo, rendendosi
consapevole dell’impossibilità di produrre espressioni capaci di
esaurire la complessità del reale. Così Lao Tze1 inizia il Tao-TèChing2: “Il Tao che può essere detto non è il vero Tao”.
L’idea primaria evocata da questo enunciato è di una distanza, uno
scostamento ineludibile tra quanto si cerca di definire e la sua
essenza3.
Ci sono però attività, o stati, che più di altri ci consentono di
approssimare quell’essenza. Così si esprime Bateson: “l’arte è un
aspetto della ricerca della grazia”4 e ancora, citando Isadora Duncan:
“se sapessi dire cosa significa non avrei bisogno di danzarlo”5. Ci
sembrano, quello di Bateson e quello di Lao Tze, modi diversi di
esprimere la medesima ineffabilità: c’è un principio, dietro le cose, nel
silenzio, che non può essere definito; vi sono attività (artistiche) che ci
permettono di risalire alla grazia. In mezzo, come abbiamo visto, la
persona funge da mediatore. Si può così venire a creare un circolo
virtuoso raffigurabile come nel seguente schema.
1
Lao Tze - letteralmente “il vecchio bambino” - visse in Cina tra il VI e V secolo a.C. Secondo la leggenda
fu generato da una vergine.
2
“Il libro del Principio e della sua azione”. Tao indica sia il Principio Supremo, che la Via e, nella
cosmogonia cinese, emerge dal Wu-Ji, la Suprema Vacuità (assenza di manifestazione delle polarità). Anche
per questo, poco oltre, nel testo, lo accosteremo al Silenzio.
3
Ricorda curiosamente ciò che il Principio di Indeterminazione, formulato da Heisenberg nel 1927, esprime
per le grandezze misurabili: “non è possibile conoscere … un dato oggetto con precisione arbitraria”.
4
G. Bateson “Verso un’ecologia della mente” Adelphi, Milano 2005, p. 167.
5
Ibidem, p. 176.
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Persona
Maschera
risonatore
Silenzio
Grazia
Manifestazione
Arte
5.2 Abilità silenti
Possiamo estendere questa concezione - dell’uomo come mediatore a tutte le facoltà antropiche, che assurgono così a ruolo di tramite fra
la sfera dell’Essere e la sfera della Manifestazione. In sintonia con
questo principio, ogni abilità che non giunge a concretizzarsi sul piano
oggettivo la definiremo abilità silente.
All’interno del nostro intervento ci sembra, questa, indicazione
preferibile - o per lo meno complementare - a quella “diversa abilità”
che tende a dirottare verso un altrove e a rimandare ad un momento
altro. Ugualmente fuorviante sarebbe, in campo medico, vedere il
portatore di un sintomo come “diversamente sano”, annullando così
tutto il potenziale comunicativo e significante della malattia e negando
il senso alla manifestazione dell’organismo che in quei termini, e con
sofferenza, si sta esprimendo.
Può darsi che il riferimento alle abilità diverse risulti utile in un
contesto sociale che ancora stenta a riconoscere dignità all’individuo
in quanto tale, ma in ambito terapeutico può distrarre dal qui ed ora e
non concede il silenzio come possibile manifestazione dell’essere.
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Abilità silente, dunque, come scelta pragmatica. E restituzione della
responsabilità di questa scelta, a qualsiasi livello essa avvenga, fosse
anche collocata in dinamiche genetiche o condivisa dall’intera specie.
Così, ad esempio, possiamo intendere il volo come un’abilità silente
per il genere umano, o la sensibilità cromatica come un’abilità silente
nel daltonismo. L’eventuale assenza, come in questi esempi, di un
atto di volontà palese, non fa che evidenziare il coinvolgimento di
strati più profondi dell’essere, del sistema nella sua globalità, fino al
limite del livello cellulare.
La mancanza di sintonia tra questi diversi strati della persona – che in
realtà si compenetrano e formano un tutt’uno - può originare
sofferenze anche laceranti. Pensiamo all’abilità di vivere che viene
resa progressivamente silente con il processo di invecchiamento
dell’organismo, fino alla sua morte che possiamo interpretare come
una scelta operata a livello biologico (o spirituale per chi ha fede). Una
frattura tra questo livello e la sfera razionale conduce ad una
straziante quanto inutile ribellione dell’uomo contro sé stesso, di una
sua parte contro un’altra. Proprio questa capacità, di percepirsi come
un’unità composta da parti intimamente connesse e interagenti, è una
delle abilità rese silenti a livello di civiltà. Come silente è la versione
estroversa di questa capacità: la propensione a cogliere unitarietà
nelle relazioni con l’altro e con la natura.
Ogni strumento tecnologico, orientato a stimolare, supportare o
estendere una determinata abilità, assume il ruolo di facilitatore della
corrispondente manifestazione. L’aereo, il deltaplano, supportano
un’abilità silente per l’uomo e gli permettono di manifestare il volo.
Internet agisce sugli aspetti connettivi della mente investendoli di
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potenzialità prima impensabili. Il SoundBeam estende e supporta le
modalità espressive nella sfera sonora, che tanta parte, l’abbiamo
visto, riveste nella strutturazione di una persona.
5.3 Silenziosità comunicanti
L’uomo percepisce il proprio potere di comunicare come ineludibile,
sente che comporta il conferimento di un ruolo da cui non può
abdicare. La pragmatica esprime questo concetto sotto forma di
assioma: “L’intero comportamento in una situazione di interazione ha
valore di messaggio … non si può non comunicare. L’attività o
l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio.”6 .
Se, da un lato, questa caratteristica apre possibilità di elevare a livelli
di estasi una relazione costruttiva proprio perché è l’essere in ogni
sua parte – e nella sua totalità - che viene convogliato nella
comunicazione, dall’altro, in un contesto percepito come ostile e privo
di vie di fuga, può rivelarsi di una violenza inaudita. Lo stesso
Watzlawick stigmatizza il tentativo di sottrarsi al dominio di questa
legge ravvisandovi il movente che porta a manifestare i sintomi della
schizofrenia7. L’espressione comune “avrei voluto scomparire” rivela
quanto diffusamente - anche nella quotidianità, su un piano non
patologico - ci si trovi a vivere esperienze a cui si vorrebbe far fronte
con un impossibile annullamento del comportamento.
6
P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson “Pragmatica della comunicazione umana” Astrolabio, Roma
1971, p. 41.
7
“sembra che lo schizofrenico cerchi di non comunicare”. Ibidem, p. 42.
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Nei paesi democratici, la violenza di questo assioma è considerata
eccessiva anche nei confronti di un reo, o presunto tale. Ne viene
mitigata la durezza concedendo uno stato franco, una scelta
pragmatica che corrisponda ad un convenzionale annullamento della
comunicazione: “hai il diritto di restare in silenzio …”. Lo stesso
principio è reperibile nei giochi dell’infanzia come “strega in alto” o
“strega colore” dove viene riconosciuta una roccia su cui riposare, un
colore con il quale sentirsi al sicuro.
La profondità dell’atavica violenza celata dietro questo enunciato è
testimoniata dal mito della caduta dell’uomo dal Paradiso Terrestre, a
seguito dell’accesso alla conoscenza del bene e del male: “… Allora si
aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il
Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e
l’uomo con sua moglie si nascosero …”8. L’uomo si scopre nudo,
diviene consapevole che sta comunicando, che è costretto comunque
a comunicare, che anche il suo corpo nudo comunica. La
consapevolezza, una volta acquisita, è senza ritorno, viene pagata
anche con l’impossibilità di rendersi inconsapevoli. Lo stato di
consapevolezza comporta l’abbandono dello stato idilliaco del
giardino di Eden: per l’uomo (e per il figlio dell’uomo) non ci sarà più
sasso su cui posare il capo.
Nelle tradizioni di tutte le latitudini il Saggio, l’Illuminato, può ritrovare
la Grazia, può avverare il Regno dei Cieli nel qui ed ora. Sia il saggio
che lo schizofrenico stanno risalendo verso il Paradiso, ma da
8
Genesi 3,7.
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direzioni opposte. Il saggio ha circumnavigato la materia e l’esistenza,
ha completato l’Opera agendo – o ricevendo, a seconda della
tradizione - una trasformazione catartica, rinnovando l’integrità
conciliativa delle opposte polarità in uno stato di consapevole
innocenza (“se non ritornerete come bambini …”). Lo schizofrenico è
indotto a tentare di sottrarsi anche a sé stesso pur di lenire il dolore di
una relazione folle ma irrinunciabile che gli ingiunge di non
comunicare. Dunque, saggezza come veicolo di un compiuto ritorno
alla Grazia, schizofrenia come tentativo di un’impossibile regressione
ad uno stato pre-umano di inconsapevole innocenza.
5.4 Maschere e ruoli
Abbiamo visto come il primo uomo abbia reagito alla scoperta della
propria nudità comunicativa tentando di celarne l’esuberanza e di
nascondersi. Questi temi, velamento della comunicazione e ricerca di
un rifugio, rientrano nel dominio di azione della maschera, della quale
già abbiamo evidenziato quella funzione mediatrice che condivide con
la persona. Vale la pena riflettere sulle considerazioni formulate al
riguardo da Peter Brook, regista inglese che si occupò a fondo del
teatro tradizionale balinese. Secondo il suo pensiero, la spiccata
bidirezionalità della maschera - che proietta un messaggio
verso
l’esterno e un altro all’interno - rende, chi l’indossa, istantaneamente
consapevole che quel volto con cui viviamo, e che trasmette in
continuazione9, d’un tratto non c’è più. Ci si trova improvvisamente
liberati della propria soggettività e ciò innesca l’immediato risveglio
9
Anche qui, le tracce del primo assioma: non è possibile non comunicare.
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della consapevolezza del proprio corpo.
Lasciamoci guidare dalle sue parole per estendere questa funzione
svolta dalla maschera: “un attore … deve accostarsi alla maschera
proprio nello stesso modo in cui affronta di solito un nuovo ruolo. Un
ruolo è un incontro; è l'incontro tra un attore, che è un insieme di
potenzialità, e un catalizzatore. … sebbene la sua forma sembri
fissata, come per la maschera, una volta per tutte, è vero proprio il
contrario. La sua apparente fissità è, appunto, soltanto un'apparenza;
in realtà, poiché un ruolo opera come catalizzatore, quando entra in
contatto con il materiale umano proprio del singolo attore esso crea
ogni volta nuove specificità.10
Il fatto che la maschera … fornisce qualcosa dietro cui celarsi, rende
superfluo il nascondersi. Questo è il paradosso fondamentale di ogni
tipo di recitazione: poiché si è al sicuro, ci si può esporre al pericolo. É
molto strano, ma tutto il teatro è fondato su questo: quanto più vi è
sicurezza, tanto più si possono correre rischi e poiché non si tratta di
sé stessi e tutto di sé è celato ci si può permettere di far apparire la
propria vera natura. É questo il compito della maschera; la cosa che
più temi di perdere, la perdi subito: le tue normali difese, le tue
espressioni ordinarie, la faccia di tutti i giorni, dietro cui ti nascondi.” 11
10
Peter Brook, “Il Punto in Movimento” Ubulibri, Milano, 1988, p. 202.
11
ibidem, p. 208.
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5.5 Ruoli omeopatici
Come sottolinea Peter Brook, la fissità - che la maschera e il ruolo
interpretato
in
una
narrazione
hanno
in
comune
-
diviene
paradossalmente liberatoria. Proiettata all’interno del nostro setting
questa fissità richiama, per analogia, la tipica ripetitività del
comportamento sintomatico. Ma un’analogia è rivelatrice di una
relazione di risonanza fra i termini su cui opera. Siamo quindi portati a
ritenere che in ambito terapeutico, ma non solo, la fissità di un ruolo
narrativo crei spazi di esplicazione al principio omeopatico secondo
cui la persona viene sostenuta, nel cammino verso il proprio
benessere, dall’azione di un agente catalizzatore che risuoni con il
suo disagio. L’individuo si trova al riparo dietro lo schermo del ruolo, e
si sente libero di riappropriarsi di più ampi margini di azione, non più
impegnato a sostenere un comportamento stereotipato perché a
questo provvede il personaggio interpretato.
Cerchiamo di approfondire alcuni concetti per meglio chiarire questo
passaggio. Secondo l’omeopatia, ed in particolare nell’interpretazione
di George Vithoulkas, grande omeopata greco che utilizza anche
riferimenti dell’area cibernetica, un sistema altamente organizzato
(come l’uomo) reagisce ad ogni sollecitazione attivando la migliore
risposta che gli è possibile in quel momento. In particolare, la risposta
ad un attacco morboso sarà la migliore che il sistema di difesa
dell’organismo è in grado di produrre in quel momento, dato il suo
attuale stato di salute.
Ovviamente l’azione del sistema di difesa produce effetti, a volte
anche vistosi, in particolare quando nella malattia viene superata una
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certa soglia. Questi effetti, che rappresentano ciò che classifichiamo
come sintomi, sono i segni del tentativo dell’organismo di guarire sé
stesso. Costituiscono anche l’unico canale che ci permette di
percepire il funzionamento del meccanismo di difesa il quale, lo
ribadiamo, sta agendo nel miglior modo che gli è attualmente
possibile in quella situazione.
Serviamoci, per il prossimo passaggio, delle parole esatte di
Vithoulkas:
“Poiché l’unica espressione del meccanismo di difesa percepibile ai
nostri sensi è rappresentata dai sintomi e dai segni forniti dalla
persona, ne consegue che dovremmo cercare una sostanza che
possa produrre nell’organismo umano una totalità simile di sintomi e
segni. … può verificarsi un notevole rafforzamento del meccanismo di
difesa attraverso il principio di risonanza.” 12
Queste idee e queste parole, che condensano i pilastri portanti
dell’omeopatia, ci aiutano a meglio comprendere alcuni elementi del
nostro setting. Come abbiamo visto, un ruolo interpretato possiede
caratteristiche di fissità che possono risuonare con la rigidità dei
sintomi, intesi come manifestazione dei meccanismi di difesa
dell’organismo.
Attraverso
il
ruolo
viene
quindi
fornito
un
rafforzamento al sistema difensivo della persona che si trova così
liberata dalla ripetitività, altrimenti percepita necessaria, della
manifestazione sintomatica e dello stato interiore atto a produrla. È
come se la maschera, il ruolo, si facesse carico della produzione di
quei sintomi.
12
George Vithoulkas, “La Scienza dell’Omeopatia” Edizioni Libreria Cortina Verona, 1986, p. 84.
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L’ampiezza dello spazio che in questo modo viene restituito alla
fruibilità della persona dipende dalla riuscita del tentativo di adesione
al ruolo interpretato o, detto in termini complementari, dal successo
dell’operazione di affrancamento dal ruolo vissuto nella vita “reale”.13
Qui entra in gioco una seconda possibilità di risonanza: tra ruolo
vissuto e ruolo interpretato, tra manifestazioni del primo, sentite come
proprie dall’individuo perché credute spontanee, e manifestazioni del
secondo, percepite come finte perché simulate, ma non meno “vere”
delle altre.
Emerge quindi l’importanza di lasciare spazio alla ricerca di azioni ed
espressioni, anche sonore, sentite come assonanti dalla persona. In
questo il SoundBeam può fornire un ausilio che apre nuove
potenzialità di intervento. La ritmicità che sorge spontaneo imprimere
ai propri gesti quando si opera con questo strumento sospinge poi
verso la sperimentazione di varianti, anche lievi, che trovano diretta e
precisa corrispondenza interiore. Questa corrispondenza tra gesti e
moti interiori ha trovato rigore formale nell’opera di Rudolf Laban,
studioso ungherese che con grande efficacia ha indagato il
movimento, e che è giunto a formulare l’espressione “pensare in
termini di movimento”: “questo modo di pensare, a differenza del
pensare in parole, non serve ad orientarsi nel mondo esterno, ma
piuttosto perfeziona l’orientamento dell’uomo nel suo mondo interiore,
dal quale sorgono continuamente impulsi che cercano uno sbocco
13
Per la verità potrebbe valere un principio analogo alla “dinamizzazione” omeopatica. In tal caso l’effetto
terapeutico di un ruolo, se ben centrato, verrebbe potenziato e non smorzato dalla sua diluizione. La
definizione dei termini entro i quali ciò sia vero e delle modalità con cui attuare la diluizione li proponiamo,
attualmente, come possibile campo di indagine.
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nell’agire” 14
Questi impulsi ad agire, combinati con la natura della relazione tra
suono e gesto impressa dal SoundBeam, conferiscono immediata
circolarità al sistema complessivo: il movimento crea suono, che ispira
il movimento, che crea suono, che ispira il movimento, ...
suono ⇔ movimento ⇔ pensiero
5.6 Metodi trasformazionali
In ambito matematico, così come nelle scienze applicate, si sono da
tempo scoperti i metodi trasformazionali. Questi consentono di
proiettare il problema che si vuole studiare in uno spazio immagine
nel quale certi processi possono risultare facilitati. È così possibile
operare su piani paralleli, spostandosi dall’uno all’altro quando ciò sia
reso opportuno dalle situazioni via via incontrate. Ogni intervento, ogni
mutamento su di un piano, trova corrispondenza nell’altro.
Ecco quindi un altro modo di intendere le interazioni tra maschere,
ruoli, principi omeopatici e abilità silenti. L’immagine suggerita
dall’espressione di Laban “pensare in termini di movimento”,
individuando una corrispondenza tra gli elementi e gli eventi di due
diversi domini, non fa che esprimere in termini analogici ciò che la
14
Rudolf Laban, “L’arte del Movimento”, Ephemeria, Macerata, 1999, p. 21.
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matematica codifica in forma numerica tramite le trasformate.
La potenza di questi strumenti in ambito terapeutico trova forse la
formulazione più esplicita nel concetto di metafora. Con la sua
funzione di mediatrice tra campi semantici diversi, la metafora
manifesta le caratteristiche tipiche degli operatori trasformazionali.
Attraverso slanci abduttivi, l’individuo intuisce connessioni tra il
verificarsi di mutamenti su di un dominio e le conseguenti nuove
possibilità scaturite su di un altro. Connessioni che esistono ed
operano comunque, al di là della consapevolezza della persona.
Del resto, anche in ambito mitologico e religioso si ritrova questo
principio di perfetta corrispondenza su piani tra loro connessi. Si pensi
all’antico Egitto, dove il riverbero tra il mondo del Faraone e quello
divino era tale da creare addirittura identità e sincronia dei gesti
compiuti nei due mondi. O all’aforisma della tradizione ermetica “come
in alto così in basso”. È come se esistessero mondi affini e tra essi si
potesse operare per analogie. Da questa angolazione
possiamo
rileggere le parole rivolte a Pietro: “ciò che scioglierai sulla terra sarà
sciolto nei cieli”15: assolvere su di un piano assolve anche sull’altro.
Così come, in matematica, risolvere in uno spazio risolve nell’altro;
nella narrazione, sciogliere (un nodo) in una storia scioglie nelle altre.
Anche alla luce di queste considerazioni, nel corso degli incontri del
progetto “RE minore” si è cercato, con lievità, di offrire ai ragazzi
diversi campi di gioco/intervento contemporaneamente. Da qui, l’idea
di un impianto narrativo che accogliesse e rendesse coesi canto,
orchestrazione, movimento e SoundBeam.
15
Matteo 16, 19.
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5.7 SoundBeam: Storia e principio di funzionamento
Il Soundbeam traduce i nostri movimenti in suoni. Antesignano in
questo campo fu il russo Lev Thermen che nel 1919 costruì il
cosiddetto “Theremin”. Anche questo strumento è in grado di
convertire gesti in suoni, ma si basa su principi diversi e offre minori
possibilità nella scelta dei movimenti efficaci.
La prima versione del Soundbeam risale al 1989. Viene prodotto a
Bristol, in Inghilterra, da
un'azienda di piccole dimensioni che si
avvale della preziosa collaborazione di David Jackson, sassofonista
dei Van der Graaf Generator, da anni impegnato nel campo della
musicoterapia.
Per monitorare i movimenti, che poi saranno convertiti in suoni, viene
sfruttato un principio del tutto analogo a quello usato nei sistemi radar
per rilevare la presenza di oggetti nella sfera di scansione. A tal fine,
una sorgente di ultrasuoni emette degli impulsi che verranno riflessi
da un eventuale ostacolo (la parte del nostro corpo che stiamo
usando per “suonare”) presente nelle vicinanze. Un rivelatore di
ultrasuoni, posto in prossimità della sorgente, sarà in grado di rilevare
tale presenza grazie all'eco che si crea. Valutando il ritardo tra l'istante
di emissione dell'impulso e quello del suo ritorno (il tempo di volo
dell'impulso), il sistema potrà risalire alla distanza dell'ostacolo. Tale
informazione,
relativa
al
movimento,
viene
poi
convertita
in
un'istruzione MIDI per la produzione di note o sequenze sonore precampionate.
La zona di sensibilità è costituita da un cono avente come vertice il
generatore/rivelatore di ultrasuoni. L'estensione di tale zona viene
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scelta in funzione dell'ampiezza dei movimenti che si vogliono
abbinare alle note e può andare da qualche decina di centimetri a
qualche metro.
Vi sono poi molti altri parametri su cui intervenire per calibrare la
risposta del sistema e ottenere un'infinità di effetti diversi. Così, ad
esempio, è possibile impostare il numero di frazioni in cui dividere il
cono di sensibilità, al fine di produrre poche note con movimenti ampi
o, all'opposto, molte note con movimenti modesti. Si riesce in questo
modo ad adattare lo strumento a seconda delle necessità e delle
possibilità motorie di chi lo utilizza.
Si può selezionare il tipo di strumento destinato ad emettere le note, o
decidere invece di produrre effetti particolari (scegliendo tra telefoni
che squillano, uccelli che cinguettano, fucili che sparano, … ecc.).
Se due o più persone vogliono interagire col Soundbeam, possono
farlo o riferendosi al medesimo generatore/rivelatore, e quindi
condividendo
lo
stesso
spazio
sensibile,
o
attivando
più
generatori/rivelatori, così che ognuno possa delimitare il proprio
spazio entro il quale agire.
Nel sito ufficiale di David Jackson (www.jaxontonewall.com) vengono
fornite le seguenti indicazioni:
… Il Soundbeam fornisce un mezzo attraverso cui anche persone con
disabilità fisiche importanti o con difficoltà dell'apprendimento possono
divenire espressive e comunicative usando la musica e il suono. Il
senso di controllo e indipendenza che ciò conferisce può divenire un
importante agente motivazionale e stimolare l'apprendimento e
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l'interazione.
Applicazioni del Soundbeam:
• È un mezzo espressivo in grado di motivare alla mobilità, alla
composizione, e all'esplorazione del movimento e del suono.
• Può essere calibrato per rispondere a gesti minimi oppure ampi,
così da potere essere adattato alle specifiche abilità/mobilità.
• È un eccellente esempio di lavoro con semplice connessione
causale, permettendo di esperire un controllo che aiuta a gettare
le basi dell'apprendimento.
• Può venire usato in composizioni e progetti ambiziosi.
5.8 SoundBeam: Istruzioni sulle funzionalità di base
Programma da lanciare: DeskTop Soundbeam.
Output Device: va selezionato 1: Edirol SD-20 PartA (se impostato
su “Sintetizzatore SW Microsoft” o su “MIDI Mapper Microsoft”
l’emissione dei suoni avviene tramite gli altoparlanti del PC e non sulla
cassa esterna).
Set-up: consiste nel setting dei sensori e degli switch.
Pitch sequence: una sequenza di singole note (fino a 64) o di accordi
(fino a 10).
Può venire assegnata alle divisioni (fino a 64) di un
sensore.
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Nella libreria di sequenze ve ne sono 17 non modificabili.
Reverse: la sequenza viene scandita in ordine inverso rispetto la
vicinanza al sensore dell'oggetto percepito.
Enable: trasmette o no la sequenza al MIDI Output port.
RANGE
Max.Range: può venire impostato nell'intervallo [0.56 m, 6.0 m].
Min.Range: può venire impostato nell'intervallo [0.2 m, Max.Range –
0.4 m].
Viene definita “Area Attiva del raggio” la zona compresa tra
Min.Range e Max.Range.
Viene definita “Area Inattiva del raggio” la zona compresa tra il
sensore e Min.Range. Una presenza in quest'area non produce suoni,
anzi, interrompe note o accordi generati nei modi con effetto sustain.
DIVISIONI
Divisioni: numero di sezioni (da 1 a 64) in cui il raggio viene diviso.
Ogni divisione può contenere da una a 10 note.
OFFSET
Offset: definisce la nota (o l'accordo) da cui far partire la “Pitch
sequence”. Ad esempio un offset di 32 farà corrispondere al
Max.Range la nota 32 della sequenza (invece che la nota 1).
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TRANSPOSE
Transpose: definisce il numero di semitoni di cui shiftare l'intera
“Pitch sequence”.
TRIGGER MODES
Vi sono diversi modi con cui innescare e fermare le note suonate.
Single Shot: viene suonata una singola nota che dura per tutto il
tempo dell'interruzione del raggio. La nota suonata è quella
corrispondente al punto iniziale di interruzione. I movimenti all'interno
del raggio non innescano ulteriori suoni.
Re-Trigger: ogni divisione che viene invasa innesca la corrispondente
nota. È il modo usato più di frequente.
Poly Sustain: come il “Single Shot”, ma la nota continua a suonare
anche dopo l'uscita dall'area del raggio. Nuove interruzioni del raggio
produrranno nuove note che si sovrappongono a quelle già attive. Per
ricreare il silenzio è necessario invadere la “Area Inattiva”. 16
Re-Trigger Sustain: come il “Re-Trigger”, ma le note innescate
dall'invasione
delle
varie
divisioni
continuano
a
suonare
sovrapponendosi alle precedenti. Il silenzio lo si ottiene invadendo la
“Area Inattiva”.
Cyclic Trigger: come il “Single Shot”, ma la nota continua a suonare
anche dopo l'uscita dall'area del raggio e verrà interrotta solo
16
Funziona effettivamente così con strumenti come l'organo (selezionabile in "MIDI Setup>Program"),
altrimenti le note vengono sostenute per un po' poi si smorzano.
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dall'innesco della nota successiva ad opera di una nuova invasione.
La successione delle note è determinata dalla scansione della “Pitch
sequence” selezionata (e non dalla zona in cui avviene l'invasione); la
lunghezza della sequenza è data dal numero di divisioni impostate.
POLYPHONY SETTING
Polyphony:
numero
di
note
che
possono
essere
suonate
simultaneamente (può essere impostato fino a 32). Permette di
regolare la densità del suono nei modi “Polysustain” e “Retrigger
Sustain”.
MIDI SETUP
Program: permette di selezionare i vari tipi di suono.
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Parte Orchestrale
“Un’orchestra fa la musica: ma è
altrettanto vero che la musica fa
l’orchestra”
[L. Sbattella]
Chagall “Green Violinist”
Perché un’orchestra?
Vedendo i progressi che i ragazzi hanno ottenuto nelle attività
individuali e nei piccoli gruppi (di due, tre, quattro bambini)
dall’acquisire competenze prassico-motorie alla consapevolezza del
proprio ritmo corporeo e musicale, ma soprattutto, osservando la loro
capacità di condividere il piacere di fare musica insieme si è pensato
di costituire un gruppo, di unire dunque coloro che già erano inseriti
all’interno del CEMU per le attività di musicoterapia, insieme a tutti
coloro che desideravano e che desiderano parteciparvi.
Se invece che pensare alla musicoterapia come ad una cura, come
ad una ricetta, leggiamo in questa parola musica e terapia intese
come presa in carico della persona attraverso la musica, anzi,
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attraverso il gioco musicale, allora non si avrà più tanto timore e non
ci si sentirà un gruppo di “diversamente abili” ma un insieme di
persone che desiderano esserci, imparare, lasciare un segno.
E poiché solo attraverso la diversità impariamo ad apprendere, nasce
la necessità di creare innanzi tutto un gruppo misto.
La forza di un gruppo è data dalle sintonie armoniche che vi si
instaurano, dalle risorse e dalla capacità di leggere queste in tempo
reale, interpretarle e in questo contesto trasformarle in musica
attraverso l’uso del corpo.
Se chi coordina il gruppo, organizza e progetta il lavoro, non è in
grado di variare il programma in modo empatico coi partecipanti non
si otterrà che caos.
Solo con un attento ascolto di noi stessi e degli altri e nel rispetto della
libera scelta otterremo una qualità differente.
Perchè l’esecuzione partecipata dei componenti diventi sicura e
piacevole si richiederà loro un impegno gradualmente calibrato e
condiviso.
L’orchestra rappresenta una sorta di enciclopedia di tutte le
componenti del gioco musicale coi suoni.
L’immagine sociale e collettiva dell’appartenenza, resa possibile dal
congegno del fare e del pensare musicale, è qui in massima
evidenza: l’orchestra rende visibile e udibile il tratto senso-motorio,
gestuale, intenzionalmente interattivo del fare musica e del pensare
musicalmente.
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La metafora dell’orchestra è del resto di impiego corrente, nel
linguaggio comune, per alludere alla gradevole impressione di un
gruppo coeso, efficacemente interattivo, organicamente funzionale,
armonicamente integrato.
Affinché si ottenga la percezione di un effetto estetico piacevole
occorrerà avere nelle premesse il fine di un obiettivo comune dunque
un
costante
“addestramento”
nonché
esercizio
necessari
al
raggiungimento del livello d’esecuzione richiesto.
La difficoltà sta nell’unire le competenze, nell’affidare ruoli, nel
motivare i bambini all’ascolto e all’impegno quando non risulta essere
naturale.
Che cosa fare per aiutarli?
Giocare con loro.
Attraverso giochi ritmico-musicali legati innanzi tutto al corpo ed al
coordinamento di esso da cui otterremo un movimento e un suono.
La ricerca del ritmo parte dall’ascolto della propria pulsazione (cuorerespiro) per poi indagare nell’ambiente all’ascolto di suoni che si
ripetono con stessa o diversa frequenza (le lancette dell’orologio ad
esempio).
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6.1 Strumenti
Pianoforte; strumenti a percussione vari; soundbeam; voce (parte
corale); violoncello; cd-stereo.
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6.2 Giochi
Per aumentare l’attenzione e la percezione:
- a un suono corrisponde un movimento (al silenzio corrisponde
silenzio);
- esercizi sulle diverse ritmiche; pulsazione;
- divisione in sottogruppi (strumenti ritmici-melodici, maschifemmine, piccoli-grandi, …);
- direttore d’orchestra;
- esecuzione, senza interruzioni, di un intero brano.
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6.3 Il direttore d’orchestra
A turno ogni bimbo dirige l’orchestra.
Per far parte di un gruppo bisogna farsi rispettare, fidarsi dei
compagni di gioco, conoscersi (socializzazione – integrazione →
diversità = ricchezza) e capire quanto possa essere semplice
comunicare senza imporsi, senza alzare la voce ma con uno sguardo,
un gesto. Dirigere è complesso perché non importa che ordine dai ma
come lo dai.
L’espressività, la mimica, la gestualità ed il sorriso in volto conducono
e coinvolgono di per sé.
Gli
orchestrali
nell’eseguire
trovano
il
piacere
di
migliorarsi
divertendosi senza vivere l’incubo di sentirsi incapaci, ma,al contrario,
indispensabili, ognuno, alla ben riuscita complessiva.
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7 Metodi e modelli applicati
“La musicoterapia è un processo indirizzato ad uno
scopo in cui il terapista aiuta il paziente a migliorare,
mantenere o recuperare uno stato di benessere
utilizzando delle esperienze musicali e le relazioni che
si sviluppano per mezzo di esse come forze dinamiche
di cambiamento”.
[K. Bruscia]
La musicoterapia può coinvolgere il paziente con un’ampia serie di
esperienze musicali tra cui:
- Improvvisare.
- Eseguire.
- Comporre.
- Verbalizzare.
- Ascoltare musica.
Alcuni modelli usano la musica come terapia, quando ad esempio non
è possibile verbalizzare con il paziente, o in terapia, quando, al
contrario, il paziente ha bisogno di verbalizzare con il terapeuta.
I modelli di Musicoterapia sono moltissimi. Per citarne alcuni:
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- Immaginazione Guidata e Musica (GIM) sviluppato da Helen
Bonny, dove, attraverso l’ascolto musicale, vengono evocate immagini
che permettono di far emergere tutti gli aspetti dell’inconscio.
- Musicoterapia Analiticamente Orientata (AOM) sviluppato da
Mary Priestley, che coinvolge attivamente il paziente nelle attività
musicali, soprattutto con l’uso dell’improvvisazione.
- Terapia della Libera Improvvisazione sviluppato da Juliette Alvin,
dove terapeuta e paziente improvvisano senza regole musicali, con
ogni tipo di attività, per permettere alla personalità del paziente di
poter emergere liberamente.
- Musicoterapia Creativa sviluppato da Paul Nordoff e Clive Robbins,
un modello in cui sono richieste abilità musicali specifiche da parte del
terapeuta, in quanto è principalmente sull’uso di uno strumento
armonico che si stabilisce la relazione musicale fra terapeuta e
paziente.
- Musicoterapia Comportamentale sviluppata da Clifford K. Madsen,
dove
la
musica
viene
utilizzata
per
la
modificazione
del
comportamento. Può essere usata come una guida per il movimento,
come un centro d’attenzione o perfino come una ricompensa.
- Musicoterapia Benenzoniana sviluppata da Rolando Benenzon.
Si tratta di un modello, come lui stesso definisce, come una
psicoterapia non verbale rivolta all’uomo in generale, in quanto è un
aiuto per migliorare la qualità della vita dell’essere umano.
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Il modello Benenzon si basa sul principio di ISO (Identità Sonora),
cioè quell’insieme di suoni, movimenti e silenzi che caratterizzano
ogni essere umano e, proprio attraverso l’ISO, si cercano i canali di
comunicazione.
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8 Descrizione degli incontri del gruppo RE minore
Gli incontri, della durata di un’ora, hanno cadenza settimanale.
Un momento di pre-seduta tra gli operatori permette, di volta in volta,
di stabilire il programma delle attività che verranno svolte.
Analogamente, nella post-seduta, si analizzano gli eventi salienti
emersi, confrontandoli con quanto era nelle aspettative. Ciò permette
anche di meglio orientare le azioni delle sedute successive.
La seduta viene suddivisa in diversi momenti:
- Accoglimento: i ragazzi vengono via via ricevuti nel setting da un
accompagnamento musicale di sottofondo.
- Ambientazione: ci si muove in cerchio al tempo di una musica che
ispiri lentezza nei movimenti.
È un momento di comunicazione non verbale in cui la musica guida
ed ispira i movimenti. Può accadere che i ragazzi, a turno, entrino nel
cerchio e si muovano liberamente seguendo il ritmo e fungendo così
da specchio per gli altri, che li imitano a loro volta. Questo permette di
creare rilassamento e sintonia tra i componenti del gruppo.
- Fase operativa: si procede in questa fase alla costruzione vera e
propria della favola, insegnando ai ragazzi le parti recitate ed i brani
musicali, proseguendo in una fase successiva in cui sono i ragazzi
stessi, stimolati dagli operatori, a contribuire alle future evoluzioni
della fiaba, per poi inscenarla nelle sedute future.
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- Orchestrazione: attività orchestrale inserita opportunamente per dare
effetti sonori all’ambientazione della favola (ad es. il tamburo per
creare suspance, tensione, … ecc.).
- Coralità: vengono suddivise le voci all’interno del gruppo per timbro
ed estensione al fine di suscitare un’immagine evocativa nella storia.
La tecnica scelta è il “Canone”, dal greco kanon, che indicava una
legge o una regola.
Il Canone è una composizione contrappuntale che unisce ad una
melodia una o più imitazioni, che sono eseguite dopo un tempo
prestabilito.
Entra quindi in gioco anche la distanza temporale tra ciascuna voce.
- Momento di raccoglimento: è il momento in cui, prima dei saluti, i
ragazzi esprimono liberamente le loro riflessioni sulla seduta appena
finita e propongono suggerimenti per quella successiva.
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9 Conclusioni
Se gli uomini non commettessero
talvolta delle sciocchezze, non
accadrebbe assolutamente nulla di
intelligente.
Nella vita, come nell’arte, è
difficile dire qualche cosa che sia
altrettanto efficace del silenzio
[Ludwig Wittgenstein]
Chagall “Dance”
Il lavoro di questi mesi si è sviluppato attraverso momenti sempre
intensi e a volte contrastanti, come gli stati d’animo con cui sono stati
vissuti.
La ricerca di integrazione tra aspetti corali, orchestrali, narrativi e
tecnologici ha creato contesti, a volte del tutto nuovi, che hanno
investito operatori e ragazzi con l’irruenza degli eventi inattesi.
Come spesso succede, sono proprio le situazioni di maggiore
smarrimento a rivelarsi, a posteriori, le più feconde di risultati. Così è
stato per noi di fronte alle iniziali difficoltà nel condurre il progetto nei
modi che si erano precedentemente ipotizzati. Quando, ormai nello
scoramento, ci si è aperti ai mutamenti che il setting suggeriva, il
lavoro ha iniziato ad evolvere con naturalezza verso le forme con cui
ora si presenta.
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Per il resto, l’entusiasmo diffuso che ha caratterizzato gli incontri ha
consentito il superamento di slancio degli ostacoli che sorgevano,
creando l’humus adatto a indicare soluzioni e generare alternative.
Non si è voluto in alcun modo forzare i tempi di sviluppo della fiaba
(ritenuti specchio di quelli evolutivi del gruppo) e quindi lo stato di
incompiutezza nel quale si trova non viene percepito come limite, ma
come un aspetto della sua natura dinamica.
Un pensiero di particolare gratitudine va alla coordinatrice del progetto
e a tutti i ragazzi che ad ogni incontro hanno portato il proprio
contributo.
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10 Bibliografia
•
SBATTELLA, L. (2006) “La Mente Orchestra” Ed. Vita e Pensiero.
•
BRUSCIA, K. E. (1987)
Musicoterapia” Ed. Ismez.
•
CANEVA, P.A. “Modelli e Metodi di Musicoterapia” Dispensa Istituto
MEME.
•
MUNGAI, M. “Laboratorio Vocale” Dispensa Istituto MEME.
•
JUVARRA, A. (1987) “Il canto e le sue tecniche” Ed. Ricordi.
•
LABAN, R. (1999) “ L’arte del movimento” Ed. Ephemeria.
•
BROOK, P. (1988) “Il Punto in movimento” Ed. Ubulibri.
•
VITHOULKAS, G. (1986) “La scienza dell’Omeopatia” Ed. Libreria
Cortina Verona.
•
VACCARI, F. (1979) “Fotografia e inconscio tecnologico“ Ed. Punto
e Virgola.
“Modelli
di
improvvisazione
in
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11 Discografia
•
COULAIS, B. “Les Choristes”.
•
AA.VV., “Popolari”.
•
BEETHOVEN “Marcia Turca”.
•
BRAHMS “Danze Ungheresi”.
•
FAURE’, G. “ Cantico di Jean Racine”.
•
MENDELSSHON, F. “Wie der hirch schreit nach Frischem Wasser”.
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