1 - McGill University

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1 - McGill University
Dalla compassione alla masserizia: una 'conversione 'del
messaggio di Lotario in quello di Bono
Erika Papagni
The Department of Italian Studies,
McGill University, Montreal
August, 2007
A thesis submitted to Mc Gill University in partial fulfilment of the
requirements of the degree ofMasters of Arts·
© Erika Papagni, 2007
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•••
Canada
Indice
.
. ............................................................................ p. 2
Ri ngraztamentl
Sunto ....................................................................................... p. 3
Réswné ..................................................................................... p. 4
Abstract .................................................................................... p. 5
1. Introduzione ............................................................................ p. 6
2. Lotario e il De contemptu mundi ....................................................p. 8
3. Bono Giamboni .......................................................................... p. 25
3.1. Biografia
3 .2. Storica della critica; manoscritti e edizioni a stampa
3.3. Il Della miseria dell'uomo
4. Tavole delle strutture logiche ........................................................p. 43
4.1. Struttura logica dell'opera di Lotario
4.2. Struttura logica dell' opera di Bono
5. Le affinità e le divergenze frai due testi: il senso del discorso di Bono e in
che cosa differisce da Lotario ...........................................................p. 56
5 .1. Le affinità
5.2 Le divergenze
6. Il conteste storico ...................................................................... p. 67
7. Conclusioni ............................................................................ p. 70
8. Tavola delle fonti ...................................................................... p. 79
9. Storia di Firenze:
Cronologia ................................................................................. p. 86
1O. Bibliografia:
I. Testi, II. Studi ......................................................................... p. 99
11. Foto del Sestiere di Por San Piero ................................................p. 104
1
Ringraziamenti
Sono moite le persone che devo ringraziare. Vorrei cominciare dalla mia direttrice
di tesi, la professoressa Maria Bendinelli Predelli. Grazie per avermi dato l'opportunità di
conoscere Bono Giamboni, per il sostegno che mi ha offerto durante tutto il periodo della
mia ricerca e della redazione della tesi, e per tutte le volte che mi ha fatto ricominciare
"da capo" i miei capitoli.
Ringrazio SSHRC per aver contribuito alla realizzazione di questa ricerca con la
SSHRC CGS Master's Scholarship.
Un ringraziamento speciale va anche ai miei "padri putativi": il professor Antonio
Costanzo ed il professor Bruno Villata della Concordia University. Due uomini
eccezionali, fautori dell'amore per l'insegnamento e della cultura italiana. Senza i loro
consigli non avrei mai iniziato il Master e non sarei mai potuta arrivare fino a questo
punto.
Ringrazio il Professor Eugenio Bolongaro perché le sue parole sono state a dir
poco cruciali per lo sviluppo della mia ricerca.
Ringrazio con ammirazione lo studioso, nonché curatore dell'edizione critica,
ancora in preparazione, dell' opera di Bono Giamboni, Paolo Divizia, per essere stato
estremamente disponibile e per avermi aiutato ad individuare le fonti alle quali Bono ha
attinto mettendo generosamente a mia disposizione il suo lavoro non ancora pubblicato.
Ringrazio infinitamente il Dottor Giuseppe Maiolo per avermi salvato la vita, e
avermi sempre aiutato e sostenuto pazientemente durante tutte le cure postoperatorie.
Un ringraziamento particolare va alla mia famiglia, in particolar modo a mia
madre: luce e guida della mia vital E a mio padre per il sostegno economico. Alla
Signora Francesca (La Maison des Pâtes Fraîches), che con la sua "pasta fresca" riesce
sempre a far tomare il sole (ed il sorriso) anche nelle giomate più cupe dei gelidi invemi
canadesi. A Pamela, per avermi sopportato e sempre incoraggiato con estrema pazienza
nei momenti di stress. Agli amici, soprattutto a quelli che in questo ultimo difficile
periodo mi sono stati accanto, anche semplicemente con la loro presenza spirituale.
Sostegno indispensabile, aiuto tacito o esplicito che viene dal cuore di chi ci ama.
E concludo dedicando la mia tesi a tutti quei "nobili di cuore" che perle ragioni
più disparate non hanno potuto proseguire il cammino della sapienza. Ricordate sempre
che il tempo è una panacea per antonomasia! (E questa non vuole essere una massima,
ma solo un mio pensiero per consolare chi aiuta il prossimo).
2
Il De miseria humane conditionis di Lotario di Segni (papa Innocenzo III) ebbe,
com'è noto, una grande influenza sulla cultura medievale, e fu tradotta e rielaborata in
tutte le lingue europee. Poca attenzione pero è stata prestata ai volgarizzamenti di
quest'opera, in particolare al primo rifacimento italiano, Della miseria dell 'uomo,
realizzato probabilmente nella seconda metà del Duecento dal giudice florentino Bono
Giamboni.
La mia tesi consiste in un raffronto mmuztoso fra i trattati Della miseriâ
dell 'uomo di Bono e il De miseria humane conditionis di Lotario, allo scopo di rilevarne
le differenze, ma soprattutto di interpretarle, per capire in che modo la diversa testualità
delle due opere corrisponde a due contesti storici profondamente diversi: come è stato
~.
trasformato lo spirito di Lotario un secolo dopo da Bono? L'opera rivela alcune
dimensioni essenziali della mentalità e della sensibilità comunale. Nel messaggio di Bono
la scoraggiante analisi della vita terrena che aveva fatto Lotario diviene un trattato morale
secondo una mentalità più realistica e serena: egli vuole consolare coloro che sentono il
peso delle tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi e dare
conforto ai buoni affinché possano migliorare, offrendo loro comunque una visione
positiva della vita; non per niente Bono dedica l'ultima parte del suo trattato al paradiso.
3
Résumé
Le De miseria humane conditionis de Lotario de Segni (Pape Innocent III) eut une
grande importance pour la culture médiévale, et fut traduite dans toutes les langues
européennes. Peu d'importance a été dédié aux traductions en langues vulgaires de cette
ouvre, en particulier au premier remaniement italien, Della miseria dell 'uomo, réalisé
probablement dans la deuxième moitié du treizième siècle par le juge florentin Bono
Giamboni.
Ma thèse consiste en une comparaison minutieùse entre les traités Della miseria
dell'uomo de Bono et le De miseria humane conditionis de Lotario, afin d'en remarquer
les différences, mais surtout de les interpréter, pour mieux comprendre dans quelle façon
la différente textualité des deux ouvres correspond à deux contextes historiques
profondément différentes : comme l'esprit de Lotario a-t-il été transformé un siècle après
par Bono?
L'ouvre révèle quelques dimensions essentielles de la mentalité et de la sensibilité
communale. Dans le message de Bono la décourageante analyse de la vie terrestre que
Lotario avait faite devient un traité morale selon une mentalité plus réaliste et sereine: il
veut consoler ceux qui sentent le poids des tribulations de la vie, inviter les pécheurs à
s'humilier et à se convertir et donner confort aux bons afin qu'ils puissent s'améliorer,
offrant leur une vision positive de la vie; ce n'est pas pour rien que Bono dédie la
dernière partie de son traité au paradis.
4
~~
Abstract
The De miseria humane conditionis (1191-1195) by Lotario di Segni (Pope
Innocent III) was a greatly influential text in medieval culture, and was translated and
reworked in many European languages. Early translations of the work, however, have
been usually overlooked by scholars. This is true in particular of Della miseria dell'uomo,
composed in the second half of the
13th
century by the Florentine judge Bono Giamboni.
My thesis consists in an extensive comparison of Bono's Della miseria dell'uomo
with Lotario's De miseria humane conditionis. My purpose is twofold: to detect the
differences between the two texts; and to understand how the two texts correspond to two
completely different historical contexts. How the spirit of Lotario's text was transformed
a century later into Bono's work? Bono's Della miseria reveals sorne crucial dimensions
of the mentality and sensitivity of the communal age. It transforms Lotario's
discouraging analysis of earthly life into a moral treaty conceived according to a more
realistic and serene mentality. Bono feels compelled to console those who are burdened
by the tribulations of life; to encourage sinners to humble themselves and repent; and to
give hope to men of good will in order that they become better persons. He thus conveys
a positive vision of life. It is not by chance that the last part of Bono's treaty deals with
paradise.
5
r---.
1. Introduzione
Bono Giamboni è un giudice florentino vissuto nella seconda metà del XIII
secolo. Nato presumibilmente nel 1235 visse fino al 1292 circa (quasi sessanta anni).
Oltre all'impegno politico e civile nella Curia del Sestiere di Por San Piero, si dedico con
passione all'attività letteraria. Fu uno tra i primi e più grandi volgarizzatori di opere
classiche, latine, morali e retoriche del suo tempo e fu il primo in Italia ad elaborare una
prosa dottrinale, narrativa, didattica ed eloquente col suo Libro de' Vizi e delle Virtudi.
Questo testo, intitolato dagli Accademici della Crusca Introduzione alle virtù, e
recentemente studiato da Cesare Segre, è fondamentale per la costruzione della prosa
volgare predantesca. Ma l'opera a parer mio più interessante, per diversi motivi che
vedremo in seguito, anteriore al Libro de' Vizi e delle Virtudi, è senza dubbio il trattato di
carattere morale Della miseria dell 'uomo, che stranamente non è mai stato studiato in
profondità, e di cui ancora non esiste un'edizione critica (è in preparazione a cura di
Paolo Divizia).
Fonte principale del Della miseria dell 'uomo è il trattato di carattere religioso De
contemptu mundi sive de miseria humane conditionis di Lotario Diacono (poi divenuto
Papa Innocenzo III), scritto .fra il 1191 e il 1195, che ebbe nel Medioevo un'immensa
diffusione; Bono ha pero inserito interi capitoli tratti da altri autori, e soprattutto ha
trasformato completamente lo spirito dell'opera di Lotario. Nel messaggio di Bono la
scoraggiante analisi della vita terrena di Lotario diviene un trattato morale secondo una
mentalità più realistica e serena: egli vuole consolare coloro che sentono il peso delle
tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi e dare conforto ai
buoni affinché possano migliorare, offrendo loro comunque una visione positiva della
6
r~
vita. L'opera rivela cosi alcune dimensioni essenziali della mentalità e della sensibilità
comunale.
Dopo una breve presentazione della figura di Lotario, si offre una minuziosa
analisi del De miseria humane conditionis, a cui si fa riferimento anche, secondo un
costume invalso da lungo tempo, come al De contemptu mundi (cap. 2); segue una
presentazione della figura di Bono Giamboni, dei pochi studi dedicati finora allo scrittore,
dei testimoni che ci hanno tramandato il Della miseria dell'uomo, e l'analisi dell'opera
(cap. 3). Per dare adeguatamente conto delle differenze frai due testi e per permettere al
lettore di verificare le nostre affermazioni abbiamo ritenuto opportuno riproporre anche
in forma di tavole il sommario delle due opere a confronto (cap. 4). Il rilievo delle
principali somiglianze e differenze fra i due testi (cap. 5), e il capitolo sul contesto storico
nel quale va inserita l'opera di Bono Giamboni (cap. 6) conducono ai commenti raècolti
nelle Conclusioni (cap. 7) sulla diversità di senso delle due opere, e in partico lare
sull'importanza dell'opera di Bono. Chiudono la tesi una tavola delle fonti del Della
mise ria dell 'uomo, per la quale sono state fondamentali le informazioni ricevute da Paolo
Divizia ma che, come si constaterà, è ancora largamente lacunosa, e che potrebbe essere
il punto d'avvio di una più fruttuosa ricerca al livello di dottorato; e una tavola
cronologica delle vicende fiorentine dell'epoca di Bono Giamboni, per dare concretezza
alle affermazioni contenute nel capitolo sul contesto storico.
7
2. Lotario e il De contemptu mundi
Figlio di Trasimondo conte di Segni, Lotario nacque ad Anagni nel 1160; studio
teologia a Parigi alla prestigiosa scuola del monastero di S. Vittore, poi si specializzo in
diritto canonico a Bologna sotto la guida di Uguccione da Pisa; fu suddiacono nel 1187,
cardinale diacono nel 1190, papa, a soli 38 anni, nel 1198; mori nel 1216 a Perugia.
Divenuto papa col nome di Innocenzo III, e profondamente compreso del suo
ruolo di rappresentante di Cristo sulla terra, fu un grande assertore della teocrazia, cioè
della supremazia del potere spirituale sul potere civile e politico. Salendo sul soglio
scelse un'omelia sul passo di Geremii:t: Vedi, io ti costituisco oggi sui popoli e sui regni,
per sradicare e distruggere, per rovinare e abbattere, per edificare e piantare (1, 10).
Secondo Innocenzo III, il papa possedeva entrambi i poteri, quello spirituale e quello
temporale, e aveva la facoltà di delegare il potere temporale all'imperatore, semplice
braccio secolare della Chiesa. Il papato era la più gloriosa posizione sulla terra e il
rappresentante di Cristo e la Santa Fede è posta a metà tra Dio e l 'uomo, al di sotta di
Dio, ma al di sopra dell 'uomo. 1 La sua strenua difesa dell' ortodossia lo porto a farsi il
banditore della IV Crociata (1202-1204), che si risolse nella conquista di Costantinopoli e
porto alla formazione dell'Impero Latino d'Oriente, e di quella contro gli Albigesi (12081209), il ramo provenzale dell'eresia catara che si concluse con la distruzione della città
di Albi (Francia Meridionale) e con lo sterminio dei suoi cittadini. 2 Innocenzo III fu
dunque uno strenuo avversario dell' eresia, che do veva es sere punita per il bene spirituale
dell'individuo e perla conservazione della Chiesa.
1
http://cronologia.leonardo.it/biogra2/innoc3 .htm
L'eresia albigese era un ramo dell'eresia catara che, dalle città di Tolosa e di Albi, si era poi diffuso
ampiamente, a partire dall'XI sec., in tutta la Provenza. Ad essa aderirono i nobili, che avevano preso di
mira i vasti possedimenti della chiesa in Provenza, ed i più umili strati della società, disillusi dalla
corruzione e dall'avidità del clero cattolico.
2
8
Nel 1197 muore l'imperatore Enrico VI di Hohenstaufen, figlio e successore di
Federico Barbarossa, e lascia come erede il figlio Federico II che aveva due anni e, che
da parte di madre, Costanza d' Altavilla, rappresenta l'ultimo discendente della dinastia
normanna di Sicilia. Costanza riconosce la signoria feudale del papa, rinuncia all'impero
per conto di Federico e affida a Innocenzo III la reggenza del regno delle due Sicilie
durante tutto il periodo di minorità del figlio. Innocenzo III diventa anche l'arbitro della
situazione che si era creata in Germania e si trova a prendere posizione fra i tre
contendenti alla successione: Ottone di Brunswick, Filippo di Svevia .e Federico II di
Svevia.
In Germania la guerra civile giocava a favore di Innocenzo III: i feudatari tedeschi
divisi nelle storiche schiere di guelfi, partigiani dei duchi di Baviera e di Sassonia, e di
ghibellini, sostenitori della casa di Svevia, ne approfittano per condurre le loro
interminabili lotte. E avviene una doppia elezione: i ghibellini eleggono Filippo di
Svevia, mentre i guelfi scelgono Ottone di Brunswick. Innocenzo III ottiene da Ottone
IV, in cambio del suo appoggio, la rinuncia ai diritti germanici in Italia. Cosi, il papa
recuperava tutti i territori che erano stati sottratti alla Chiesa, allontanava la tanto temuta
unione dell'Impero con la Sicilia e inoltre aveva il favore del re d'Inghilterra, del conte di
Fiandra e dei Milanesi. Nel 1208 viene ucciso Filippo di Svevia ma il guelfo Ottone di
Brunswick non puo godersi la carica di imperatore perché avanza pretese sul regno di
Sicilia, di cui era legittimo erede Federico II, e viene percio scomunicato da Innocenzo
Ill. Il papa fece allora alleare Federico II di Svevia (ora 16enne) col re di Francia, il quale
sconfisse i guelfi a Bouvines nel 1212; Ottone scompare dalla scena politica e quindi il
nipote di Federico 1 poté conservare i suoi diritti di erede dell'impero.
9
Innocenzo III fu anche un ardente sostenitore della riforma morale e disciplinare
del clero corrotto e secolarizzato. In lui il sapere giuridico si fuse presto con la
meditazione ascetica ed una profonda esigenza di purificazione. Il papa diede, infatti,
avvio alla riforma della struttura diocesana della Chiesa e sostenne lo sviluppo deglï
Ordini francescano e domenicano. 3 Dei trattati ascetici scritti durante il cardinalato ebbe
partico lare fortuna il De contemptu mundi (il disprezzo del mondo) o, come si dovrebbe
dire, il De miseria humane conditionis (l'infelicità della condizione umana), opera divisa
in tre libri, scritta tra il 1191 ed il 1195, che ebbe una straordinaria diffusione attestata da
672 manoscritti, 52 edizioni, e numerose traduzioni, ed ebbe un forte influsso sulla
vi sione del mondo dell' epoca. Fu tradotta e rimaneggiata in Francia, in Spagna, in
Inghilterra (Viscardi 1932: 63-76; Nagy 1943) e in Italia, dove nel Duecento fu tradotta, o
meglio rielaborata, da Bono Giamboni. Oltre al Della miseria dell 'uomo di Bono, tra le
rielaborazioni italiane di epoca medievale troviamo: Agnolo Torini Breve collezzione
della mise ria dell 'umana condizione e il volgarizzamento anonimo del ms. Riccardiano
1742.
Come enunciato nel prologo, Lotario si propone di mostrare in questa opera la
bassezza della condizione umana e, afferma che lo fa per umiliare la superbia la quale
"caput est omnium vitiorum". Annuncia anche l'intenzione, in seguito, di "dignitatem
humane nature Christo favente describere, quatinus ita per hoc humilietur elatus ut per
illud humilis exaltetur". 4 Questa parte del programma pero non fu mai realizzata.
Il De contemptu mundi è diviso in tre libri secondo l'evoluzione dell'età: il primo,
3
Durante un viaggio a Roma nel 1210 S. Francesco gli sottopose la regola che intendeva applicare alla sua
nascente comunità religiosa.
4
"l'origine di tutti i vizi" e "descrivere la dignità della natura umana col favore di Cristo, di modo che,
come per questa opera il superbo viene umiliato cosi per quella l'umile sia esaltato". Le traduzioni sono
mie, a meno che non sia indicata un'altra fonte.
10
De miserabili humane conditionis ingressu (lo sventurato ingresso nella condizione
umana), ha trentuno capitoli e parla delle sofferenze della vita fin dal concepimento e
senza distinzione di condizioni, classi o età. 1 primi dieci capitoli illustrano le miserie
della vita considerata nella sua corporeità, fin dalla concezione. Il primo ed il secondo
capitolo parlano della viltà della materia di cui l'uomo è formato,. il terzo della
peccaminosità della concezione: a) il neonato viene al mondo e alla vita già preda del
peccato ancora prima di peccare e dell' errore ancor prima di errare, b) sin dal
concepimento ereditiamo una duplice colpa: la prima sta nel peccato che accompagna
1' emissione del seme e la seconda ci viene trasmessa, c) i nostri genitori ci hanno dato la
vita mentre erano avvolti dal peccato. Di qual cibo l'uomo si nutre nel ventre: di sangue
mestruale, immondo e sporco. Il quarto capitolo parla della debolezza del neonato: a)
nasciamo senza parola, senza scienza, senza virtù: flebili, "imbecilli", poco distanti dagli
animali bruti, loro almeno appena nati camminano ... , b) Lotario cita Geremia (20, 14-18)
ed il III cap. di Giobbe "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono la
morte prima di conoscere la vita". 5 Il quinto parla del dolore del parto e del pianto del
neonato: a) tutti nasciamo piangendo per esprimere la nostra miseria e b) l'uomo entra in
questo mondo attraverso il peccato e per il peccato passa la morte a tutti gli uomini.
Dal sesto capitolo in poi vengono introdotte le miserie della corporeità dell'età
adulta. Il settimo capitolo parla della nudità dell'uomo e Lotario cita Giobbe secondo cui
l'uomo, nato nudo dal ventre della madre, nudo morirà. L'ottavo capitolo parla dei frutti
5
Il passo di Giobbe completo suona: "Maledetto il giorno in cui nacqui; il giorno in cui mia madre mi diede
alla luce non sia mai benedetto. Maledetto l'uomo che porto la notizia a mio padre, dicendo: «Ti è nato un
figlio maschio», colmandolo di gioia. Quell'uomo sia come le città che il Signore ha demolito senza
compassione. Ascolti grida al mattino e rumori di guerra a mezzogiorno, perché non mi fece morire nel
grembo materno; mia madre sarebbe stata la mia tomba e il suo grembo gravido per sempre. Perché mai
sono uscito dal seno materno per vedere tormenti e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?"
11
~,
prodotti dall'uomo: frutti sporchi che l'uomo, essendo sporco, produce: "tale albero, tale
frutto". Il nono capitolo parla della brevità della vita e il decimo degli incomodi della
vecchiaia: "Multa senem circumveniunt incommoda" (Orazio, Ars Poetica 169. Cfr.
Maccarrone 1955: 16.). Lotario ci invita a riflettere sul fatto che non bisognerebbe mai
molestare i vecchi, neanche quando ci ammoniscono, perché cio che siamo, loro furono, e
cio che sono, diventeremo. 6
Dall'undicesimo inizia l'illustrazione delle fatiche dei mortali; dalla corporeità si
passa alle attività dell'uomo, ovviamente tutte vane: gli uomini nascono alla fatica, tutti i
loro giomi sono pieni di fatiche e calamità. Neanche di notte la loro mente riposa. Il
dodicesimo .capitolo parla dello studio dei sapienti, cioè della ricerca del sapere: nella
moita sapienza, c'è moita indignazione, chi avanza nella scienza accresce il dolore, chi si
dedica alla ricerca del sapere è destinato al fallimento e alla frustrazione perché l'uomo
non puo spiegare le opere di Dio (Salomone) quindi l'unico modo per trovare la salvezza
è Dio. Il tredicesimo capitolo parla dei vari altri "studi" degli uomini e spiega che tutte le
fatiche e tutte le cose terrene nelle quali gli uomini credono, diventano vizi vani e
afflizione d'animo e nulla di tutto cio che essi raggiungono rimane.
Il quattordicesimo capitolo introduce le diverse miserie degli uomini secondo il
loro stato sociale, e queste vengono spiegate dal quindicesimo al diciottesimo capitolo
per concludere che tutti, senza distinzione di classe o età, sono afflitti da problemi in
questo mondo. Il quindicesimo capitolo parla della miseria del povero e del ricco: a) i
poveri vengono disprezzati, la loro condizione è miserabile, b) è meglio morire che essere
6
L'aforisma ebbe fama larga e persistente. La si ritroverà negli affreschi del Triorifo della Morte, dipinti da
Buonamico Buffalmacco nel Camposanto di Pisa (1336 circa) su commessa dei frati domenicani. Il
messaggio è l'invito ad abbandonare la vita mondana per quella eremitica in vista della salvezza
dell'anima.
12
povero, c) Lotario cita Ovidio: "fin quando sarai felice avrai molti amici, ma quando i
tempi si faranno bui (nell'avversa fortuna) ti ritroverai solo" (Maccarrone 1955: 21)/ d)
inoltre più l'uomo è ricco più è considerato buono, più è povero più è considerato cattivo.
Ma la condizione del ricco non è migliore, poiché egli diviene miserabile nel momento in
cui cade nella trappola dei piaceri e della vana gloria. ln conclusione: si fatica
nell'acquistare, si terne nel possedere, si ha dolore nel perdere, e questo affatica e affligge
la mente; l'uomo dovrebbe fare di Dio il suo tesoro. Il sedicesimo capitolo parla della
miseria dei servi e dei signori: a) la misera ed estrema condizione in cui vive la servitù è
la peggiore perché va contro natura: gli uomini sono nati liberi ma la sorte li ha fatti servi,
b) Lotario cita Orazio per confermare che è sempre il popolo che deve scontare gli errori
dei govemanti e, in senso più generale, sono i subaltemi che fanno da capro espiatorio
per gli errori dei loro superiori, 8 c) i servi sono sempre afflitti e non si possono difendere
dai signori, d) anche la condizione dei signori è misera: se sono crudeli, i servi li odiano
e li temono, se sono clementi sono disprezzati dai loro sottoposti, che si fanno sfacciati. Il
timore, percio, affligge chi è severo, il disprezzo degrada il mansueto. Quindi anche i
signori sono afflitti giorno e notte. Il diciassettesimo capitolo parla delle miserie del
celibe e del maritato introdotte dall'adunaton: 9 a) "se il fuoco puo non bruciare, allora la
came puo non desiderare"; 10 secondo la citazione di Orazio anche se caccerai la natura
con la forca, essa ritomerà, b) il miglior modo per non bruciare di libidine è unirsi in
7
Donec eris felix, multos numerabis amicos, tempora si fuerint nubila, solus eris. Ovidio, Tristia 1, IX, 5-6.
Quidquid delirant reges, plectuntur Achivi, tradotta letteralmente, significa gli errori dei re sono scontati
dai Greci. (Epist., 1, 2, 14).
9
Dal greco ad)maton = cosa impossibile: metalogismo consistente nel menzionare situazioni e ipotesi
impossibili; l'adunaton corrisponde al significato "mai", espresso in maniera iperbolica e paradossale.
www.garzantilinguistica.it Ricordiamo il "s'i' fosse foco ... vento ... acqua ... morte ... " di Cecco Angiolieri, in
cui attraverso l'argomentazione assurda, in realtà si dimostra l'impossibilità che si verifichi un determinato
fatto.
10
Naturam expellas furca, tamen usque recurret (Epist., 1, 10, 24).
8
13
matrimonio, c) ma la mi seria del marito si manifesta con i moiti problemi che causano i
figli, la moglie, i servi e le ancelle: d) il marito è costretto ad amar tutto cio che la moglie
ama e odiar tutto cio che lei odia, e) se il marito la lascia la spinge al tradimento. Cita il
libro della Genesi 2, 18-24: "Erunt duo in came una" 11 (Maccarrone 1955: 25). Il
diciottesimo capitolo parla della miseria dei buoni e dei cattivi: a) l'uomo è punito da
quelle medesime cose per le quali pecca e b) la sorte dei buoni non è migliore: già
secondo San Paolo chi vuole vivere pienamente con Cristo, patisce le persecuzioni; i santi
e i giusti hanno da sempre provato i dispregi e le offese altrui, sono anche morti per
amore del Signore: "Nam peccata proximorum frixorium sunt iustorum" 12 (Maccarrone
1955: 26-27).
Il diciannovesimo capitolo parla dei nemici degli uomini che fanno della vita un
perpetuo combattimento: a) il Diavolo con i vizi, b) la natura con le belve feroci, c) il
mondo con la furia degli elementi, d) la came con i sensi: la carne desidera sempre contro
lo spirito e lo spirito contro la carne. Il ventesimo capitolo descrive il corpo come
carcere dell' anima: la vita è sofferenza, timoree dolore, in nessun luogo si trova la pace,
la tranquillità.
I capitoli seguenti tendono a distruggere le obiezioni che si potrebbero opporre a
questa visione totalmente pessimista sulla base di certi aspetti positivi della vita. Il
ventunesimo capitolo parla della "breve allegria" degli uomini: il tempo muta, sempre,
dalla mattina alla sera "Laudavi magis mortuos quam viventes et utroque feliciorem
iudicavi qui necdum natus est" (Salomone Eccle. IV, 2 Maccarrone 1955:30). Il
ventiduesimo capitolo parla del "dolore non pensato", cioè delle disgrazie impreviste:
11
12
Tramite il matrimonio "due saranno in una sola carne".
1 peccati degli altri sono sempre aftlizione dei giusti.
14
,~
Lotario ricorda i figli di Giobbe per inculcare che nel giorno dei beni a) non bisogna mai
scordarsi dei mali, b) che i mali arrivano all'improvviso, c) bisogna non peccare per non
essere puniti in eterno. Il ventitreesimo capitolo parla della vicinanza della morte
"Semper uitimus dies primus et nunquam primus dies uitimus reputatur" 13 (Maccarrone
1955: 30): a) il tempo passa e giorno dopo giorno si avvicina la morte, b) le cose future
nascono sempre, e quelle pre senti e passate muoiono sempre, c) meglio è mo rire alla vi ta,
che vi vere alla morte, d) niente è la vi ta rn ortale, se non una vi vente morte e e) la morte
arriva all'istante e non pu<'> essere impedita,"A mane usque ad vesperam immutabitur
tempus" 14 (Eccli. XVIII, 26. Maccarrone 1955: 29).
Il ventiquattresimo capitolo parla dello spavento dei sogni che: a) causano
confusione, fatiche, tormenti, b) sporcano 1' anima e hanno fatto cadere in errore moiti
uomini, specialmente chi ha posto in loro la pro pria speranza; c) dove ci sono mol ti sogni
ci sono infatti moite vanità. Il venticinquesimo capitolo ci ricorda che neppure nell'amore
o nell'amicizia l'uomo pu<'> trovare qualche consolazione; infatti la compassione verso gli
amici genera il dolore che proviamo quando i nostri amici stanno male e il timore per le
persone a noi care. Nell'episodio evangelico del pianto di Gesù sulla morte di Lazzaro
(Maccarrone 1955: 32) Lotario vede il pianto perle miserie che Lazzaro aveva sofferto in
vita più che per la sua morte. Il ventiseiesimo capitolo parla degli infortuni inaspettati,
degli scherzi della fortuna "sfortuna": a) di solito quando si terne qualcosa, accade: la
morte, che quando arriva prende all'improvviso e non c'è via di scampo; b) non bisogna
13
L'ultimo giorno della nostra vita è sempre reputato come il primo, ma il primo non è mai reputato come
l'ultimo. Tutti vorrebbero che l'ultimo giorno della loro vita potesse essere il primo per poter evitare il
castigo divino, Lotario nel dire che il giorno della morte è sempre reputato come il primo forse intendeva
dire che chi ha peccato scegliendo le vanità del mondo, vorrebbe poter tornare indietro nel tempo per poter
cancellare o non commettere i peccati che ha commesso. Quando arriva il giorno della morte è troppo tardi
per giustificarsi, solamente quando si ha la scelta di peccare e non si cade in tentazione, l'anima merita la
salvezza, altrimenti "chi è causa del suo mal pianga se stesso".
14
La vita fugge velocemente e non pûo essere trattenuta.
15
/~'
mai essere troppo sicuri, felici e spavaldi quando accade qualcosa di bello perché nessuno
sa cosa succederà il giorno seguente. Fra le disgrazie inaspettate, il ventottesimo ed il
ventinovesimo capitolo parlano delle malattie, delle innnumerevoli specie di infermità
(tante e tante sono le specie di passioni di cui gli uomini sono portatori sin dalla creazione
del mondo) e delle atrocità che gli uomini meschini sono spesso costretti a subire:
vengono bastonati, pugnalati, scannati, bruciati vivi, avvelenati dagli scorpioni,
strangolati, macerati dai digiuni, legati, torturati, lasciati morire di fame, rinchiusi in
prigione. Il trentesimo capitolo parla dell' orrendo fatto di una donna che mangio suo
figlio durante l'assedio giudaico, ricavato dalla storia di Giuseppe Flavio (Flavium
Josephum, De bello Judaico, IV, 3, 4. Maccarrone 1955: 34). Il trentunesimo capitolo
rivela la distorsione totale dell'umano giudizio: a) l'uomo innocente viene punito, e
l'uomo reo assolto, b) il pio viene punito e l'empio onorato c) Gesù Cristo fu crocifisso e
Barabba liberato.
Nei quarantatre capitoli del secondo libro, De culpabili humane conditionis
progressu (il colpevole sviluppo della condizione umana), Lotario passa in rassegna i
(falsi) beni ai quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena, e mostra come la
ricerca di questi beni terreni induca inevitabilmente ai vari peccati capitali di cui l'uomo è
l'unico artefice e colpevole: le ricchezze portano alla malvagità, il sapere porta al dolore,
il potere e gli onori portano alle vanità, i piaceri portano alle indecenze.
Nel primo capitolo Lotario spiega che ci sono principalmente tre cose che gli
uomini desiderano nella vita terrena: le ricchezze, il sapere e gli onori. Dal secondo
capitolo inizia a parlare del desiderio delle ricchezze e dice che da questo vengono
generati due vizi: la cupidigia e l'avarizia e ne parla fino al sedicesimo capitolo.
16
/~
L' avarizia è la radiee di tutti i mali e fa commettere agli uomini azioni scellerate: furti,
rapine, guerre, omicidi, inganni. Nel terzo capitolo parla degli iniqui doni, ovvero
afferma che i doni acciecano gli occhi e che le persone quando li ricevono non giudicano
più per "amore iustitie"ma per "amore pecunie". Nel quarto capitolo parla
dell"'accettazione delle persone":a) le persone vengono giudicate in base alle loro
ricchezze e b) ven go no distinti i ricchi dai poveri: i primi agevolati ed ammirati, e i
secondi disprezzati ed offesi. Nel quinto capitolo parla della "vendita" della giustizia e
sostiene che i ricchi sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e finiscono per
imprigionare la loro anima. Nel sesto capitolo parla dell'insaziabile desiderio degli avari
e nel settimo spiega perché l'avaro non si puo saziare: a) Amor nummi crescit quantum
ipsa pecunia crescit15 (Giovenale, Satires 14.139), b) l'avaro non smette mai di
desiderare le ricchezze, è insaziabile e c) non riceverà mai frutto da quelle. Nell'ottavo
parla del falso nome delle ricchezze e sostiene che le ricchezze danno agli uomini una
falsa felicità. Nel nono fa degli esempi contro l'avarizia fino a concludere che l'avarizia
inganna e distrugge. Nel decimo capitolo parla.dell'ingiusta possessione delle ricchezze e
spiega che moiti sono stati distrutti dall'oro e dall'argento. Nell'undicesimo capitolo
risponde alla possibile difesa delle ricchezze lecite. Lotario cita la Sacra Scrittura per dire
che chi crede in Dio possiede tutte le ricchezze, proprio come hanno fatto Abramo,
Giobbe e David. Dio è la risposta. Bisogna sempre ricordarsi che è difficile stare nel
fuoco e non bruciare, difficile possedere le ricchezze terrene e non amarle. Lotario cita
Geremia per spiegare che non basta avere una conoscenza astratta dell' avarizia, infatti dal
Profeta fino al Sacerdote tutti cadono in inganno. Le ricchezze sono un bene labile: ogni
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avaro si sforza e combatte contro natura perchè la natura conduce l'uomo al mondo
15
L'amore peril denaro cresce tanto quanto cresce il denaro.
17
povero e alla terra nudo ritomerà (cap. XII). Bisogna cercare prima di tutto il regno di
Dio ed il resto sarà aggiunto a questo (cap. XIII). Nel quattordicesimo capitolo parla del
vizio dell'avarizia: a) l'avaro ha sempre bisogno di denaro anche stando nelle ricchezze e
b) l'avaro è come l'infemo: riceve e non rende, quindi offende Dio, se stesso e il
prossimo. Si spiega poi perché l'avarizia è servitù degli idoli e dice che l'avaro serve il
tesoro, lo onora, se ne prende cura (cap. XV). Nel sedicesimo capitolo parla delle
proprietà dell'avaro, ovvero: a) l'avaro disprezza donare perché ama guadagnare, b) porta
il suo corpo allo stremo per far crescere il suo guadagno, c) le co se ingiuste (le cose che
provengono dal male) al male pervengono e d) l'avaro è dannato nella sua vita presentee
anche in quella futura.
Dal sedicesimo capitolo in poi Lotario spiega che dalla ricerca dei piaceri
nascono i vizi Gola, Ubriachezza e Lussuria. Nel diciassettesimo e diciottesimo
capitolo parla del vizio della Go la: a) esempi contro la go la; b) non bisogna desiderare di
mangiare ogni cibo altrimenti si muore, c) tutti i peccatori andranno all'infemo. Nel
diciannovesimo capitolo parla del vizio dell'ubriachezza e sostiene che il vino porta alla
lussuria, all'ira e a moiti problemi. Nel ventesimo ricorda degli esempi contro
l'ubriachezza per concludere che porta al male, alla morte sicura. Nel ventunesimo e nel·
ventiduesimo capitolo parla del vizio della lussuria: condanna la lussuria, un vizio che
abita non al di fuori ma dentro ogni uomo e che corrompe, crea disordine, perturba vecchi
e giovani, uomini e donne senza distinzione. Nel ventitreesimo elenca diversi esempi
contro la lussuria e dice che perla bellezza moiti sono morti, inoltre a) è uno sporco vizio
che debilita le forze, diminuisce i sentimenti, consumai giomi e dissipa le ricchezze. Nel
/'~--
ventiquattresimo parla del peccato contro natura (donne con donne e uomini con uomini),
18
~----,
e sostiene che a) non c'è peccato peggiore di questo e che b) nella Sacra Scrittura è data
la stes sa pena ad un uomo che va con uomo e ad un uomo che va con una hestia. N el
venticinquesimo capitolo parla della pena di questa "scelleratezza": Dio non perdona
questo peccato a nessuno; esempio della moglie di Loth che fu trasformata in statua di
sale.
Dalla ricerca degli onori e del potere, d'altra parte, nascono: Ambizione,
Superbia e Arroganza (capp. XXVI, XXXI, XXXII). Si cita Ovidio per dire che
1'uomo ambizioso è sempre pavido, sempre attento a non dire o a non fare co sa che agli
occhi degli uomini possa dispiacere e che finge sempre di essere umile, onesto, affabile
(cap. XXVI). Parla poi della disordinata concupiscenza degli ambiziosi: quando gli
ambiziosi non possono ottenere que llo che vogliono, fanno qualsiasi co sa per averlo (cap.
XXVII). Esempi contro l'ambizione, in particolare quello di Assalonne (cap. XXVIII).
Nel ventinovesimo capitolo parla della breve e misera vita dei magnati e sostiene che la
vita di ogni potente è breve.
Nel trentesimo capitolo parla delle diverse proprietà dei superbi e riporta esempi
di superbia, arroganza e disonestà. Nel trentunesimo rammenta la caduta di Lucifero e
dice che ogni uomo che si esalta sarà umiliato, e quello che si umilia, sarà esaltato. Nel
trentaduesimo capitolo parla dell'arroganza degli uomini e dice che quando un uomo è
superbo diventa arrogante, presuntuoso, e crede di poter essere come Dio. Insiste
sull'abominazione della superbia e ripete che ogni superbo sarà umiliato nel giorno del
giudizio e infine che la superbia sarà distrutta da Dio (cap. XXXIII). Nel
trentaquattresimo capitolo parla contro 1' arroganza dei superbi e sostiene che mentre di
~,
solito quasi ogni vizioso ama il suo simile, il superbo invece lo odia, infatti i superbi si
19
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odiano a vicenda (cita Salomone). Nel trentacinquesimo capitolo fa degli esempi contro
la frode .degli ambizosi, ricorda in particolare i figliuoli di Zebedeo 16 • Gli arroganti
pensano di es sere migliori degli altri, superiori, come Dio (cap. XXXVI). I capitoli
seguenti attaccano la più evidente manifestazione dell' arroganza, cioè il superfluo
omamento. Lotario spiega che non servono vestiti preziosi per salvarsi, e parla di un
uomo molto ricco che è finito ugualmente all'infemo (cap. XXXVIII). Nel mondo si
onorano più le vesti delle virtù, più la vanità che l'onestà: quel che la virtù non ha potuto,
l'ha ottenuto la veste (cap. XXXIX). Condanna poi la "falsificazione dei colori" e spiega
che non serve a niente dipingere i muri di casa, omarsi, perché tanto quando si muore
tutte queste cose sono vane (cap. XL).
Il terzo libro, De dampnabili humane conditionis egressu (la condannabile uscita
dalla condizione umana), ha venti capitoli e descrive la fine del mondo (l' Apocalisse), il
momento della morte e le pene infemali. Nel primo capitolo si parla del momento della
morte e si spiega che a) tutti i beni terreni sono vani perché ogni uomo alla fine della sua
vita incontra la morte, b) nessuno è puro perché tutti gli uomini peccano e c) m
conclusione: fin quando gli uomini cercheranno la felicità nei beni terreni non la
troveranno mai, anzi riempiranno questo mondo di peccati, esalteranno il male,
16
~~-~,
La richiesta dei figli di Zebedeo: 35 E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo,
dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". 36 Egli disse loro: "Cosa
volete che io faccia per voi?". Gli risposero: 37 "Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e
uno alla tua sinistra". 38 Gesù disse loro: "Voi non sapete cio che domandate. Potete bere il calice che io
bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo". 39 E Gesù disse: "Il
calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. 40 Ma sedere
alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". 41
All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù, chiamatili a sé,
disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi
esercitano su di esse il potere. 43 Fra voi pero non è cosi; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro
servitore, 44 e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. 45 Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto
per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per moiti" (V angelo secondo Marco, Cap.
10).
20
r'.
accumuleranno vizi e moriranno senza potersi salvare. Nel secondo capitolo Lotario parla
dei quattro dolori che i cattivi patiscono nella morte: a) l'angustia del corpo quando
1' anima si stacca dal corpo, b) gli "occhi interiori" nel momento della morte, c) il giudizio
di Dio e la visione del debito tormento dell'Inferno che dovrà sopportare per ogni sua
iniquità; e d) la visione degli spiriti maligni che si preparano a prendere l'anima. Nel
terzo capitolo rammenta le quattro venute di Cristo sulla terra, due visibili e due
invisibili: a) la nascita di Cristo sulla terra b) il giorno del giudizio universale quando
Cristo tornerà per giudicare tutti gli uomini; c) la venuta per grazia di vina nell' anima di
ciascun credente, nel Battesimo e d) la venuta nel momento della morte. Nel quarto
capitolo parla del fetore dei corpi morti, e nel quinto della triste memoria dei dannati, in
cui spiega che il peccatore si affliggerà, si turberà, sarà pieno di angoscia nel ricordare le
.~"·
proprie colpe. Inutili saranno il pentimento e la penitenza dei dannati perché soffriranno
della pena ma non potranno mai es sere perdonati (cap. VI). Ineffabile sarà la loro
angustia nel vedere i giusti glorificati; i giusti d'altra parte si rallegreranno nel vedere la
vendetta di Dio sui peccatori (cap. VII). Nell'ottavo capitolo Lotario spiega quali sono le
diverse pene dell'inferno, secondo i diversi peccati: la prima pena è il fuoco, la seconda
è il freddo, la terza è il fetore, la quarta i vermi eterni, la quinta i "flagelli dei percutienti"
(Lotario cita Salomone), la sesta le tenebre esterne e interne, la settima è la confessione
dei peccati, l'ottava è l'orribile visione dei diavoli e la nona è le catene infuocate con le
quali saranno legati i membri degli empi. Nel nono capitolo precisa che il fuoco infernale
a) è stato creato da Dio ed è inestinguibile dalla creazione del mondo; b) arde sempre,
non si consumerà mai. E l'uomo sarà punito per sempre in base ai peccati commessi in
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vita, come è confermato dalla parabola del ricco Epulone. 17 Nel decimo capitolo parla
17
Nel passo di Luca 16:19-31 (il ricco ed il mendicante Lazzaro), Gesù racconta una parabola: C'era un
21
delle tenebre dell'inferno. Nell'undicesimo della "conversione delle pene" (passaggio dal
caldo al freddo e viceversa) e sostiene che quelli che hanno peccato più gravemente,
saranno puniti più gravemente. Il dodicesimo capitolo insiste sull'intensitàdei tormenti:
a) i dannati sono posti come pecore nell'inferno, moriranno eternamente, b) la morte è
immortale, c) i morti i quali sono morti alla vita cercheranno invano la morte. Nel
tredicesimo capitolo spiega che i reprobi non saranno mai liberati dalle pene, Dio li
punirà in eterno, perché nell'Inferno non c'è alcuna redenzione; è giusto infatti che
1' empio, il quale offende Dio nella sua eternità, sia punito da Dio in eterno. Inoltre
nell'Inferno la volontà del dannato diventerà supplizio e cio che fu nel mondo un peccato
si trasformerà in dolore (Cfr. Apocalisse, IX, 6, Maccarrone 1955: 88). Opportune
citazione bibliche offrono infine la testimonianza dell'eternità dei supplizi infernali (cap.
XIV).
Il quattordicesimo capitolo presenta il giorno del giudizio: a) il giorno del
Signore in cui la superbia degli infedeli cesserà, l'arroganza dei forti sarà umiliata, ogni
cuore di uomo sarà distrutto; b) giorno di ira, di dolore, di angoscia, di calamità, di
miserie, di tenebre. Dal quindicesimo al diciottesimo capitolo si parla della potenza,
sapienza e giustizia del giudice divino, nel diciannovesimo del divino giudizio che
uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giomi banchettava lautamente. Un mendicante, di
nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla
mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero mori e fu portato dagli
angeli nel seno di Abramo. Mori anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'infemo tra i tormenti, levo gli occhi
e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e
manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi
tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti
i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un
grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costi si pub attraversare fino a
noi. E quegli replico: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li
ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno
Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si
ravvedranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti
saranno persuasi.
22
nessuno potrà corrompere e al quale nessuno potrà sfuggire. Nel ventesimo Lotario
conclude e spiega che niente gioverà ai dannati: non serviranno a niente le ricchezze,
1' anima che ha peccato morirà.
In questa opera regna un senso di angoscta e di disperazione, una vlSlone
pessimista che porta al disprezzo del mondo e che descrive la miserabile condizione di
tutta la vi ta dell 'uomo, corrotto dai peccato fin dai momento della nascita: 1'uomo è stato
generato nel peccato, è nato per la pena, il timore e il dolore, la sua vita è fatica e, cio
che è più miserevole, è nato per la morte; in più, 1' es sere umano commette "azioni vane"
per cui trascura cio che è serio, utile e necessario. Lotario descrive l'infelicità della
condizione umana con tenebrose riflessioni e mostra come la ricerca dei beni terreni, ai
quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena, induce inevitabilmente ai vari
peccati capitali: le ricchezze portano alla malvagità, il sapere porta al dolore, il potere e
gli onori portano al peccato, i piaceri portano alle indecenze Lo spirito che regna
sull'opera è basato sulla negazione della vita terrena, considerata come assolutamente
vana e spregevole. Il messaggio implicito che si ricava dall'opera di Lotario èche l'unica
vita giusta è quella monacale, proprio perché rappresenta la rinuncia al mondo e il
riconoscimento che l'unica salvezza possibile è in Dio. Nessun bene terreno puo dare la
felicità, che è lo scopo essenziale del genere umano. Di particolare importanza è il XXIII
Capitolo (Della vicinanza della morte) del Primo Libro che racchiude in sé l'essenza
della visione pessimista di Lotario e puo essere riassunto nelle frasi seguenti:
Ricordatevi che il tèmpo passa e la morte si avvicina. Sempre nascono le cose future, e
sempre muoiono quelle presenti, tutto quello che è passato è morto. Meglio quindi è
morire alla vita, che vivere alla morte. Niente è la vita morfale, se non una vivente morte.
23
~,
Nelle parole di Salomone: la vita fugge velocemente e non puà essere trattenuta. La
morte arriva all 'jstante e non puà essere impedita. Miserabile verità: la vita quanta più
cresce tanta più diminuisce. Perché tanta più si a/lunga la vita più si avvicina alla fine
del cammino, alla morte.
La vita umana è vista dunque come un cumulo di miserie, sofferenze e brutture
disgustose, e le nostre vite sono dominate dalla presenza incombente della morte. A
contatto con le tentazioni della ricchezza, dei piaceri, delle ambizioni e del potere, l'uomo
deve riconoscere la fallacia dei beni terreni e volgersi alla ricerca dei beni celesti,
ritrovarsi in Dio che è la verità etema e porta alla salvezz:a.
24
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3. Bono Giamboni
3.1. Biografia
Bono Giamboni (nato prima del 1240 e vissuto fino al 1292 circa) fu un giudice
per il podestà nella curia del "sesto" di Por S. Piero a Firenze. Intraprese la stessa
professione del padre, che era stato prima giudice ad Orvieto nel 1234, 1242, 1249 e poi
nel 1251 a Firenze (nel 1260 risultava già morto). Diversi docillnenti lo provano giudice
nel 1261-62, 1281-82, 1286, 1290-91; procuratore nel 1264 e 1284; testimone nel 1268,
1281, 1291 e 1292 (Debenedetti, 1912-1913: 271-278). Nel 1272 figura in un documenta
insieme con Brunetto Latini, "allora notaio dei Consigli e membro principale della
Cancelleria del Comune fiorentino" (Bolton Holloway, p. 360). Le ultime notizie sulla
sua vita sono in un documenta fiorentino del 7 agosto 1292. Ebbe un fratello di nome
Giovanni e un figlio di nome Iacopo, la cui morte, avvenuta il 12 marzo 1346 (1345
secondo il calendario fiorentino ), è registrata da Giovanni Villani nella Nuova cronica.
L'attività di giudice e la partecipazione alla vita cittadina e comunale si
rispecchiano nella produzione letteraria di Bono che, attraverso i volgarizzamenti e la
scrittura di opere originali in volgare, contribuisce alla creazione della nuova cultura laica
italiana del Duecento. Bono occupa una posizione di primo piano nella storia dei
volgarizzamenti dallatino e della prosa italiana. 1 suoi principali volgarizzamenti sono:
Historie adversus Paganos di Paolo Orosio, composto su istanza di Lamberto degli Abati
e 1'Epi toma rei militaris di Publio Flavio Vegezio Renato, conservato in sei codici,
dedicato a Manetto (Manente) della Scala, banchiere e uomo politico fiorentino. E' suo
uno dei rimaneggiamenti del Fiore di rettorica di Fra Guidotto da Bologna (Segre 1986:
25
/-"
383). 18 Gli sono attribuite anche altre opere, ma la critica più recente ha dimostrato false
le attribuzioni dei volgarizzamenti del Livres dou trésor di Brunetto Latini (compresi gli
estratti: volgarizzamento dell 'Etica Nicomachea di Aristotele e volgarizzamento del De
formula vite honeste di Martino da Braga), del Giardino di consolazione, del
volgarizzamento del Milione di Marco Polo.
Cosi Simona Foà sintetizza la figura di Bono Giamboni nel Dizionario biografico
degli Italiani:
"Esponente di rilievo di quella intellettualità florentina che esercitava l'attività giuridica,
che partecipava attivamente alla vita politica della città e che, attraverso i
volgarizzamenti e la scrittura di opere originali in volgare, era impegnata nella creazione
di una nuova cultura laica" (Foà 2000: 304).
Nella Toscana del Duecento, infatti, si diffonde rapidamente una letteratura in
prosa, come segno della progressiva importanza del volgare, "nella predicazione, nella
divulgazione scritta di materie morali e religiose, o di argomenti storici e retorici e di
narrazioni laiche, grazie alla domanda del pubblico che si va costituendo nei Comuni
toscani" (Squarotti 1994: 338). La sua feconda attività di traduzione gli porto da un lato
moita fama, dall'altro offusco la conoscenza di Bono Giamboni come scrittore originale
ed autonomo. E' soltanto in tempi recenti che le sue opere originali sono state valorizzate.
Il Libro de' vizi e delle virtudi, conosciuto nell' autorevole Vocabolario della
Crusca come Introduzione alle virtù, è un testo fondamentale per la prosa volgare
predantesca. È conservato in dieci codici ed è un trattato di argomento morale e
allegorico che rispecchia appieno certi procedimenti istituzionali della politica e della
società comunale, nonché la morale laica di Bono. Il Libro è un'esposizione delle quattro
18
Va segnalato che Bono è stato riconosciuto come autore, e non più come rimaneggiatore, del Fiore di
rettorica, solo recentemente dallo Speroni in Bono Giamboni, Fiore di rettorica, a cura di Gian Battista
Speroni, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell'Arte medioevale e modema, 1994.
http://culturitalia.uibk.ac.at/atlante/atlante/autori/Giamboni!bibliografia.htm.
26
/'"~.
virtù cardinali e dei sette vizi capitali, messa in bocca alla Filosofia, che risponde alle
domande di un suo discepolo (I, 2); alla fine dell' opera questo interlocutore riceve il
saluto augurale di Filosofia, ed è apostrofato per nome ("Bono Giamboni", XXXIII, 7).
Dalla voce Bono Giamboni del Dizionario critico della letteratura italiana, curata da
Cesare Segre:
E' la Filosofia in persona che, dopo aver rivolto i suoi ammonimenti a Bono, lo conduce
al palazzo della Fede, la quale lo sottopone a una specie di conventatio. Bono assiste poi, dall'alto
di una collina, allo schieramento delle Virtù e dei Vizi con i rispettivi eserciti, agli scontri della
Fede con le altre religioni e con le eresie, alla sua lotta, molto più lunga e dura, contro la Fede
pagana (islamica), infine alla sconfitta dei Vizi e alla morte della Superbia. (Segre1986: 382).
A causa della suggestione delle chansons de geste, della cultura francese che
agisce in profondità nelle strutture mentali della cultura delle origini, Bono rappresentata
l'Italia caduta in potere della fede pagana (dell'Islam), e il cristianesimo rifugiato in
Francia:
poscia che la Fede Pagana fu scesa in terra co la sua gente, e suo naviglio ebbe allogato
ne' porti di Cecilia, da che vide che la Fede cristiana non ebbe ardimento di incontrarla, venne
pigliando tutta la terra in qualunque parte andava, sicché in picciol tempo tutta Italia conquistà. E
dacch'ebbe vinta l'Italia, ch'era donna de le province a quella stagione, tutti li altri reami e
province fecer le comandamenta e giuraro la fedeltà, se non solamente il reame di
Francia ..... "(XLVII, 3-4) 19
Dopo la sconfitta dell'esercito nemico ela vittoria della Fede cristiana,
Ripreso il viaggio, Bono si reca presso le quattro Virtù cardinali, che gli espongono gli
obblighi a cui deve sottostare per farsi loro fedele e, dopo il suo giuramento, lo registrano "nella
matricola loro." (Segre 1986: 3 82).
L' opera intitolata Della miseria dell'uomo, che Bono scnsse probabilmente
prima del Libro dei Vizi e delle Virtù, è un rifacimento del trattato De miseria humane
conditionis di Lotario Diacono, ma l'inserimento di interi capitoli tratti da altri autori ne
trasformano completamente lo spirito. Utilizza senza economia numerosi testi latini, in
parti co lare il De am ore et dilectione Dei di Albertano da Brescia, 1'Elucidarium di
19
C. Segre, lntroduzione al Libro, pag. XXV.
27
~--~
Onorio di Autun, 1'In Rufinum di Claudiano e il De inventione di Cicerone mediato
attraverso il Fiore di rettorica di frate Guidotto da Bologna (Segre 1986: 382). Nel
messaggio di Bono la scoraggiante analisi della vita terrena fatta da Lotario, che tra
1' altro non viene mai citato come autore, diviene un trattato morale secondo una mentalità
più realistica e serena che trasforma la visione lotariana della vita da una "valle di
lacrime" ad un itinerario verso il paradiso (non per niente il penultimo degli otto libri che
compongono il trattato è dedicato al paradiso ). Bono vuole consolare coloro che sentono
il peso delle tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi, ma
anche dare conforto ai buoni affinché possano migliorare.
Bono Giamboni, rappresenta, ai miei occhi, la chiave che apre la porta alla
spiegazione del passaggio tra il Medioevo ed il Rinascimento. La sua opera, oltre a voler
essere divulgativa e morale, è anche un tentativo riuscito di conferire dignità stilistica e
letteraria al "volgare", e si inserisce nello stesso quadro storico-letterario che caratterizza
la giovinezza e la preparazione sociale, culturale e politica di Dante Alighieri (Segre
1968). Nelle parole del Debenedetti:
" se non si trascurasse tanto, come oggidi suol farsi, la nostra prosa delle origini, per
correr dietro a poeti e poetucoli, senza dubbio la vita e le opere di B.G, sarebbero meglio note.
Perché nel quadro della cultura florentina, dopo ser Brunetto, conviene proprio ricordar di lui, il
nostro Giudice. Traduttore dai latino e dai francese in solenni periodi, apre la schiera dei forti
volgarizzatori che difendono mirabilmente il toscano, e preparano l'avvento del Decameron.
V omo di legge e letterato, in Italia, ove il giure e la bella letteratura si sposarono cosi per tempo,
dando cosi bei frutti, favorisee anch'egli il laicizzarsi della dottrina, il suo divenir popolare"
(Debenedetti 1912-1913: 271-278).
28
3.2. Storia della critica; manoscritti e edizioni a stampa dell'opera.
Il primo a parlare di Bono Giamboni è il Manni che dette ne notizia nel pubblicare
alcuni dei suoi volgarizzamenti nel volume L 'etica di Aristotile e la Rettorica di M
Tullio, aggiuntovi illibro de' Costumi di Catane (Firenze nel 1734, p. XII). Notizie sulla
vita e le opere di Bono Giamboni si trovano anche in Vite de ' santi e beati fiorentini a
Firenze nel 1761 (p. 33) scritta da G. M. Brocchi e nella prefazione all'edizione del
trattato Della miseria dell'uomo, scritta e pubblicata a Firenze nel 1836 da F. Tassi.
Entrambi sostengono che sono pochi i particolari riguardo alla vita ed alle azioni di Bono
che ci sono pervenuti. Parlano dell'ipotetica data di nascita e di morte, del lavoro che
esercitava Bono e delle sue opere. Poi, ultimo in ordine crono1ogico ma importante per la
storia letteraria in quanto "riusci a mettere insieme con ricerche pazienti e diligentissime
~,
alcune buone pagine, di gran lunga superiori per documentazione e ricchezza a quanto
prima si sapeva, intorno a Bono Giamboni" (Debenedetti 1912-1913: 272) è R.
Davidshon nei suoi Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV pubblicato a Berlino nel
1908 (p. 362). Il Davidsohn ritiene che Bono appartenesse alla fazione ghibellina e questa
ipotesi viene collegata in parte alle questioni relative al volgarizzamento del Trésor (che
pero non è di Bono): "Alcune aggiunte di carattere storico contenute nel volgarizzamento
rispetto al testo originale sarebbero infatti da far risalire a un autore che, al contrario di
Brunetto Latini, di provata fede guelfa, sarebbe stato di parte ghibellina" (S. Foà,
2000: 302-304).
Molto importante è anche Santorre Debenedetti (zio di Cesare Segre), che scrisse
intorno al1912-1913 un articolo suddiviso in cinque capitoli: 1. Proemio bibliografico, 2.
Giambono del Vecchio e famiglia, 3. Bono giudice del Podestà, 4. Altre notizie: "iudex
29
pro comuni Florentie" e "iudex", 5. Il beato Jacopo. Il Debenedetti ci dice che Bono
intraprese la stessa professione del padre a Fir.enze, che il contrassegno del suo
tabellionato 20 ha la forma di uno stivale capovolto. Corregge quello che avevano detto il
Manni, il Brocchi ed il Tas si riguardo ali' appartenenza del Giamboni alla nobile famiglia
"dei Vecchietti", Bono appartiene al ramo "del Vecchio". Tratta minuziosamente dei
documenti relativi alla carica di giudice per concludere che è sbagliato credere, come
sosteneva il Davidsohn osservando l'atto del 12 maggio 1268, ·che Bono si fosse
allontanato dall'ufficio di giudice del Podestà. Nelle parole del Debenedetti: "quando ser
Bono interviene ad un atto come giudice del Podestà, gli si rende il titolo dovuto,
laddove, quand' egli, pur essendo tale, non agisce in quel determinato momento come
ufficiale, il notaio si accontenta di chiamarlo iudex" (Debenedetti, 1912-1913: 276).
Interessante notare che in questo articolo veniamo a conoscenza di un elogio scritto dai
Villani in onore del figlio di Bono:
"[1345] Nel detto anno, adi XIII di março, passo di questa vita et santifico uno
Iacopo, figliuolo di messere Bono Giamboni giudice, del popolo di S. Broccolo, il quale
era stato di santa vita et vergine di suo corpo, si disse, et statosi in casa rinchiuso più di
XV anni, che none usciva se none alcuna volta ançi giorno a confessione o a prendere
Corpus Domini. Et avea dato a' poveri ogni sua substantia et patrimonio, et poveramente
in digiuni et orazioni vivea, scrivendo libri a preçço et dettando da sè di sante et buonè
cose; et chi-lli mandava limosina, no-lia ricevea se non da divoti suoi amici, e'l soperchio
di suo guadagno, finito poveramente suo mangiare a giomata, dava per Dio a' poveri.
Fece Idio visibile et aperti miracoli per lui alla sua morte, et poi si seppelli a Santa Croce
a guisa di santo. Et in sua vita predisse a' suoi amici più cose future et che avennono
nella nostra città, et della signoria et cacciata del duca d' Atene, per vertù dello Spirito
Santo" (Debenedetti 1912-1913: 277, Codice Rinuccini Magl. II. I. 135, c. 282 B).
In seguito P. L. Oliger nel suo artico1o Servasanto da Faenza e il suo «Liber de
virtutibus et vitiis», pubblicato a Roma nel 1924, tratta di quattro manoscritti che portano
il titolo del Della miseria della umana generatione (tre di essi indicano Servasanto come
20
Nel medioevo, la professione del notariato; anche, il contrassegno che i notai apponevano accanto alla
sottoscrizione degli atti, a garantirne maggiormente l'autenticità.
30
/-~..
fonte) e che si trovano a Firenze. Ne parla unicamente per sostenere che questo libro non
sembra essere opera diretta di Servasanto, ma di Bono Giamboni.
Estremamente importante è Cesare Segre che procura una scelta di testi di Bono
Giamboni in La Prosa del Duecento a cura di Segre e Mario Marti (1959) e in seguito
pubblica, con Introduzione, il Libro de' Vizi e delle Virtudi e delle loro battaglie e
ammonimenti ( 1968); la pubblicazione dell' edizione del Libro de ' Vizi e delle virtudi era
stata preceduta da un sostanzioso articolo comparso negli Studi di filologia italiana nel
1959. Nell'articolo del 59 e poi brevemente nell'introduzione all'edizione, Segre
chiarisce la questione della doppia redazione del trattato, che era già stata individuata da
Michele Barbi, e Segre dimostra che in questo caso si tratta di due testi ben diversi come
struttura e impostazione. La novità importante degli studi di Segre è che Bono viene
indicato come una figura di rilievo nella prosa italiana del Duecento e come uno degli
iniziatori dei volgarizzamenti dai latino, fondamentali per la nascita di una pro sa d' arte
italiana. Sui rapporti di derivazione tra Miseria, Trattato e Libro, non dice molto, ma
considera la Miseria precedente perché è stata riutilizzata nel Trattato e nel Libro (forse
si puo vedere un'evoluzione di queste pàrti nelle tre opere in successione), e perché il
Libro rappresenta il risultato più maturo dell'autore. L'elenco dei capitoli che derivano
dalla Miseria dell'uomo vengono indicati da Segre nell'introduzione all'edizione del
Libro de' vizi e delle virtudi, e Il trattato di virtit e di vizî e si ritrovano nei capp. XXXXXXII del Trattato e, per altri brani, nei capitoli V, VII, VIII, XIV, XVII, XXI e LXXVI
del Libro (Segre 1968: XVII).
Cesare Segre compila anche la voce "Bono Giamboni" per il Dizionario critico
della lette ratura italiana (Torino 1986), basandosi sull' articolo del Debenedetti, ma con
31
~~,
importanti rettifiche per quanto riguarda il catalogo delle opere di Bono. Va inoltre
segnalato che Bono è stato riconosciuto recentemente come autore, e non più come
rimaneggiatore, del Fiore di Rettorica da G. Speroni nell994.
Poi a parlare di Bono è J. Bartuschat nella sua tesi di dottorato La littérature
didactique et ses enjeux: Brunetto Latini et Bono Giamboni discussa alla Sorbonne
Nuovelle nel 1995; nell'articolo su "Racconto allegorico e insegnamento didattico:
appunti sul Libro de ' vizi e delle virtudi di Bono Giamboni" in Rassegna europea di
lette ratura italiana, V- VI pp. 43-62 nel 1996 e in "Visage et fonctions de la philosophie
dans l'allégorie de Bono Giamboni" in Revue des études italiennes, XLIII pp. 5-21 nel
1997. In quest'ultimo saggio parla dell' alle go ria medievale e dice che :
/
~­
la personnification apparaît comme étroitement liée au didactisme et à la littérature
édifiante. Pour cette tradition, le De Consolatione de Boèce avec son allégorie de la
Philosophie est un texte fondateur -nous verrons que pour Bono lui aussi ce modèle de la
personnification, représentant une instance de sagesse qui console et qui aide les hommes
à trouver la bonne voie, est d'une importance capitale [e che Bono] se rapproche ici, à
l'intérieur de sa culture fortement religieuse, du rationalisme de ses contemporains
comme Brunetto Latini, de leur exaltation de la connaissance comme couronnement de la
nature humaine. [ ... ] Bono est donc l'héritier d'une tradition fondamentale de la pensée
médiévale : l'admiration pour la pensée encyclopédique, pour le savoir et la sagesse
renfermés dans cet héritage du monde antique que sont les Arts libéraux. [ ... ] Bono,
traducteur habile et divulgateur du savoir antique, devient un excellent prosateur en
vulgaire, réalisant l'unité des arts et de la théologie (Bartuschat, 1997: 7).
Bartuschat sostiene che il Libro de' vizi e delle virtudi di Bono è un testo che ha
una grande importanza in quanto lo considera, proprio come dice anche il Segre, uno dei
grandi monumenti della prosa toscana, ma che purtroppo rimane poco conosciuto e non
bene studiato. Si sofferma in particolar modo ad analizzare l'allegoria della Filosofia, che
reputa importantissima per capire la cultura di Bono. Secondo Bartuschat Bono è il primo
che inizia a sperimentare la forma allegorica partendo dal Della Mise ria dell 'uomo,
proseguendo col Trattato di virtù e di vizi e concludendo nel Libro in cui l' evoluzione di
32
Bono arriva al culmine: un testo didattico interamente scritto sotto forma narrativa e
allegorica. Bono è quindi un traduttore abile e divulgatore del sapere antico, che dimostra
attraverso il suo Libro di essere un eccellente prosatore in volgare. Inoltre la sua opera
contiene un messaggio nuovo: una società che si rinnova e che viene guidata da una
nuova morale cristiana volta verso la felicità dell'individuo. E' un invito alla costruzione
di un nuovo ordine a Firenze: una società ideale che basa i suoi valori sulle virtù, che
vince le forze del male, che costruisce un tempio, un ospedale, ed un ospizio per i poveri:
"Allora disse la Filosofia: -Degna cosa è che bellissimo tempio e grande spedale
sia fatto in co si virtuoso luogo ( ... ) Ed io mede sima li v oglio disegnare, perché siano
bellissimi e grandi" (LXIII, 8-9)
E' quindi la saggezza cristiana, la Filosofia, che guiderà il destino della nuova
società. Bartuschat scrive che Bono con il suo doppio atto - 1' ammissione nel circolo dei
fedeli delle Virtù e la proclamazione del suo nome e co gnome : (che diventano una vera e
propria firma del Libro)- ci fa assistere alla nascita di un uomo nuovo:
"Ed elle [sc. les vertus] allotta si mi benedissero e segnaronmi ciascuna per sé, e
dissero: -E noi t'ammettiamo per fedele e compagno: ( .... ) E dacché m'ebbero benedetto
e segnato e ricevuto per fedele, scrissero BONO GIAMBONI nella matricola loro,
secondo che la Filosofia disse ch'io era chiamato". (LXXVI, 18-19)
E' l'amore per la filosofia che con Bono ha raggiunto il suo apice (Bartuschat,
1997: 21). Il Bartuschat fa cosi eco a Segre che aveva segnalato: "Una solenne promessa
di Bono fa si che il suo nome venga iscritto nella "matricola" delle Virtù, con prospettive
di serenità terrena e di felicità celeste" (Segre 1968: XIX).
Nella voce "Bono Giamboni" del Dizionario biografico degli italiani, vol. 54
(Roma, 2000), S. Foà non aggiunge nulla a quanto già noto, ma fomisce una bibliografia
aggiomata.
33
E infine 1'ultimo a parlare di Bono Giamboni è Paolo Divizia nei suoi articoli di
carattere essenzialmente filologico: "Ancora un compendio del Libro de' Vizi e delle
Virtudi di Bono Giamboni" in MedioevoRomanzo» (2003), "I quindici segni del Giudizio:
appunti sulla tradizione indiretta della Legenda aurea nella Firenze del Trecento" in Studi
su volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P. Rinoldi e G. Ronchi (2005), e
nel "La Formula vitae honestae il Trésor e i rispettivi volgarizzamenti falsamente
attribuiti a Bono Giamboni", in La parola del testo (2007, in corso di stampa). Egli
individua la fonte del capitolo sui quindici segni che si legge nel libro VIII, cap. III del
trattato Della miseria dell'uomo (pp. 150-153 dell'edizione Tassi) nel volgarizzamento A
della Legenda aurea (P. Divizia, 2005: 2-3).
Per quanto riguarda i manoscritti che ci hanno tramandato 1' opera Della miseria
dell 'uomo, il più affidabile è sicuramente il Riccardiano 1775, già indicato da Francesco
Tas si come il migliore (anche se lui ne aveva trascritto un altro o altri che poi aveva
corretto con il Riccardiano) e poi riconfermato da Cesare Segre nella Prosa del Duecento.
Un altro importante è il II.II. 16 della Nazionale di Firerize (Cesare Segre
utilizzava un descriptus di questo, il Riccardiano 1317 per correggere il 1775). E anche il
Riccardiano 2619 è da tenere presente (per quanto contenga vari errori).
Nell'articolo sui quindici segni Paolo Divizia segnala altri manoscritti, giudicati
pero poco affidabili: l' Ashbumam Appendice 1846 e l' Ashburnam 539 della
Laurenziana, sui quali probabilmente il Tassi conclusse la sua edizione e che egli cita
come appartenente a Giovanni Pucci. Giovanni Pucci (florentino contemporaneo di
Francesco Tassi; da non confondere con Antonio Pucci autore del Libro di varie storie in
cui compare un brano della miseria di Bono) aveva due manoscritti della Mise ria e li
34
/~"
aveva messi a disposizione di Tassi. Tassi dice nell'introduzione e in qualche nota di
possedere lui stesso un manoscritto contenente insieme la Miseria e il Giardino di
Consolazione, e che anche questo trattato sarebbe attribuito a Bono nel suo manoscritto.
Secondo il Divizia pero nessuno dei manoscritti noti attribuisce il Giardino a Bono. Il
Tassi dice di aver messo questo manoscritto a disposizione dell'Accademia della Crusca.
Il prof. Divizia ha provato a chiedere all'Accademia della Crusca, ma non ne sanno nulla,
quindi ha qualche dubbio sull'esistenza di questo codice privato. A questi pare si debba
aggiungere un codice attualmente in vendita a Parigi (di cui pero abbiamo visto solo le
pagine disponibili su internet):
http://www. textmanuscripts.com/home/archives/archivesdescription. php ?rn= 174
Poco affidabile anche il codice più antico, il Palatino 108, del primo quarto del
Trecento. Il cod. più recente, il Palatino 109 è del 1521-22 e riporta un testo molto
rimaneggiato e modernizzato nella lingua (ad es. "l'uomo e la femmina" di venta "l'uomo
e la donna").
Non disponiamo a tutt'oggi dell'edizione critica del Della miseria dell 'uomo, in
preparazione a cura di Paolo Divizia. Per quanto riguarda le edizioni a stampa riporto di
seguito una pagina gentilmente fornitami dallo studioso presa da un capitolo della sua
tesi di dottorato (XVII cielo: "Il testo: tradizione, lingua, interpretazione") intitolata Bono
Giamboni, "Della miseria dell 'uomo. " Studio sulla tradizione del testa e edizione,
coordinatore e tutore Professoressa Gabriella Ronchi all'Università degli Studi di Parma,
Facoltà di Lettere e Filologia al Dipartimento di Italianistica nel 2005 :
35
DESCRIZIONE DELLE EDIZIONI A STAMPA
Ts
Della mise ria dell 'uomo. Giardino di consolazione. lntroduzione alle virtù, di BONO
GIAMBONI, aggiuntavi La scala dei claustrali, testi inediti, tranne il terzo trattato,
pubblicati ed illustrati con note dal dottor Francesco Tassi, Firenze, presso Guglielmo
Piatti, 1836.
Il trattato Della miseria dell 'uomo è contenuto alle pp. 1-158.
L' edizione si basa su un manoscritto ora disperso e su A2 , corretti solo qua e là
con Rt, nonostante questi fosse indicato nell'introduzione come optimus. Sporadicamente
cita le lezioni degli altri codici riccardiani, mentre nullo è il ricorso agli altri testimoni
elencati nell'introduzione21 •
Poiché alcuni manoscritti hanno nel frattempo cambiato ubicazione e altri sono
citati in forma incompleta o erronea, non sarà inutile indicare in questi casi una
corrispondenza tra la segnatura (in senso lato) utilizzata da Francesco Tassi e quella
attuale o corretta22 :
segnatura Tassi
segnatura attuale o corretta
Magliabechiano, n. 16 del palchetto II
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale,
II.II.16
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale,
Magliabechiano, n. 17 del palchetto II
II.II.17
Laurenziano, Pluteo LXXXIX, n. 97
Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plut.
LXXXIX sup. 97
un codice
apparten~nte
a Giuseppe Pucci
Firenze,
Bibl.
Medicea
Laurenziana,
Medicea
Laurenziana,
Ashburnham 539
un altro codice appartenente a Giuseppe Firenze,
Bibl.
Pucci, appartenuto a Luca di Giovanni del Ashburnham Appendice 1846
Sera, scritto tra il 1468 e il 1460 dai prete
Piero di Giovanni detto «Guastafeste»
Riccardiano, n. 1619
Firenze, Bibl. Riccardiana, 2619
Quanto alle altre due opere contenute in questa edizione, il Giardino di
consolazione oggi non è più ritenuto opera di Bono Giamboni, mentre il terzo trattato, qui
intitolato lntroduzione alle virtù, non è altro che il Libro de ' Vizi e delle Virtudi, con il
titolo gli era stato attribuito dagli Accademici della Crusca.
SI
21
22
Non riporta mai le loro varianti; a p. LXXIV confonde i mss. BNCF II.II.16 e BNCF II.II.l7.
Per quanto riguarda i codici dispersi rimando al capitolo Notizia dei manoscritti dispersi.
36
Della miseria dell 'uomo. Del giardino di consolazione. Della introduzione alle virtù.
Trattati morali di BONO GIAMBONI a cui si aggiunge la Scala dei claustrali, Milano, Dalla
Tipografia di Gio. Silvestri, 1847 (Biblioteca scelta, 524).
Riproduce tacitamente il testo dell'edizione Tassi23 •
Gm
Trattati morali di Bono Giamboni, Firenze, M. Mazzini e G. Gaston editori, 1867
(Biblioteca dei Classici, serie prima, volume quarto).
Riproduce l'edizione Tassi, senza la Scala dei claustrali, nonostante la pretesa di aver
ricontrollato i testi sui codici 24 : la citazione del manoscritto Riccardiaiio 1619 (anziché
2619) nell'avvertimento (p. 11), cioè la ripetizione di un errore di stampa già presente
nell'edizione Tassi, parrebbe mostrare che gli editori non hanno effettuato alcuna verifica
sui codici.
Antologie:
Nn
VINCENZIO NANNUCCI, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana,
Seconda edizione ripassata dall' Autore, vol. II, Firenze, Barbèra, Bianchi e Comp., 183 7,
vol. III, pp. 435-51 [testo 437-51].
Riproduce il testo dell'edizione Tassi:
INTR. GEN
I, 1, II, III, IIII, v
II, 1, II, III
III, III, IIII, V, VI, VII
Tr
Antologia oratoria poetica e storica dall 'edita e dall 'inedito, Fm. Torricelli compilatore,
22 gennaio 1842 e sgg. [riedita in volume: Antologia compilata da Fm. Torricelli,
Fossombrone, Farina, 1842-1846, vol. I].
23
~'
Non ho proceduto a un confronto dell'intero testo, ma mancano riferimenti ai manoscritti e a
miglioramenti di qualsiasi sorta: dunque non dovrebbero esserci differenze se non errori di copia rispetto
all'edizione precedente.
24
A p. 13, nell'avvertimento, si legge: «ln alcuni punti pero, dall'edizione del sig. Tassi ci allontanammo,
e cio fu quando, nel confrontare il testo da lui dato con quello dei Codici, ci accorgemmo che la lezione del
maggior numero di questi uniformemente differiva da quella adottata dal sig. Tassi».
37
~,
Riproduce l'edizione Tassi apportandovi correzioni desunte da un codice privato, affine a
25
M 6 , irreperibile •
Sg
CESARE SEGRE -MARIO MARTI (a cura di), La prosa del Duecento, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1959.
Del trattato Della miseria dell 'uomo riporta in edizione semi-critica i trattati VI e
VII (introduzione sull'autore e sull'opera, con bibliografia, alle pp. 227-28; testo alle pp.
229-54; apparato alle pp. 1063-64). Il testo si basa sul ms. Riccardiano 1775, corretto con
l'aiuto del Riccardiano 1317: in appendice fomisce un apparato che segnala solamente i
punti in cui l'editore non segue la lezione del Riccardiano 1775, specificando se la
correzione è stata fatta in base al Riccardiano 1317 o per congettura. La dipendenza
dall'edizione Tassi è ancora molto forte.
Nell'antologia sono inoltre riportati, sempre di Bono Giamboni, i capp. VII, XLXLIII del volgarizzamento delle Storie di PAOLO ÜROSIO (pp. 441-52; 1082-83); e i capp.
1-xxn e XL-LX del Libro de' Vizi e delle Virtudi (pp. 739-91; 1096-97): il testo presenta
lievi differenze rispetto all' edizione integrale (Torino, Einaudi, 1968).
25
V d. il capitolo Notizia dei manoscritti dispersi.
38
~,
3.3. Il Della miseria dell'uomo
Il trattato Della miseria dell'uomo di Bono Giamboni è un'opera di carattere
morale suddivisa in un prologo e otto trattati, preceduti da un capitolo introduttivo che
dichiara il "programma della trattazione".
Ispirato alla scena iniziale del De consolatione philosophiae di Boezio, il prologo
annuncia che Bono si propone a) di "consolare coloro, che delle tribolazioni del mondo si
sentono gravati", b) di invi tare "coloro che sono rei, [a] umiliarsi e convertirsi,
considerando il loro malvagio stato e pessima condizione, a che sono dati in questo
mondo e nell'altro," ma anche c) di dare "conforto e vigore a colore, che sono buoni, di
migliorare, per la speranza che mostra dell oro guidardone".
Dopo il prologo, il capitolo introduttivo spiega di che cosa parleranno gli otto
trattati: il primo parlerà della miseria dell'uomo e della femmina dall'ora che è creata fino
all'uscita del ventre della madre (la nascita); il secondo, il terzo ed il quarto trattato
spiegheranno la miseria dell 'uomo dalla nascita alla morte e parleranno dei do lori, delle
fatiche e delle paure; il quinto, composto di un solo capitolo, è l'unico che parla della
morte naturale (riprendendo il cap. X del primo libro di Lotario ); il sesto trattato è sulla
miseria dell'uomo dopo la morte e parla delle pene dell'Infemo; il settimo trattato spiega
la beatitudine ela gloria del giusto e l'ottavo il giorno del giudizio.
Il primo trattato, suddiviso in cinque capitoli, segue la falsariga del trattato di
Lotario illustrando la miseria che è nella creatura perché nasce nel peccato originale, la
viltà della cosa onde è fatta, la viltà della cosa onde si nutrica nel ventre della madre, il
dolore della nascita e la miseria-debolezza della creatura appena nata (I, 1-5). Il secondo,
39
~~.
il terzo e il quarto trattato spiegano le mi serie che affliggono 1'uomo dalla nascita alla
morte- dolore, fatica e paura- e cio che queste implicano.
Il secondo trattato parla dunque dei dolori: i dolori della creatura appena nata,
quelli che affliggono il corso della vita - fisici, psicologici, emotivi - e quelli della
vecchiaia (II, 1-3). Subito dopo pero Bono introduce una serie di capitoli volti a illustrare
i rimedi che si possono trovare a questi dolori: l'uomo puo evitare i mali con la
previdenza, o, se non li puo evitare, puo sopportarli con pazienza, ottenendo cosi tre beni:
"compiacere Dio," rendersi simile ai santi, guadagnare il paradiso (II, 4-6). Nel
"programma della trattazione" che precede il terzo trattato, Bono spiega che la vita è
fatica ed elenca le varie fatiche: per divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per
i desideri della carne, perle signorie e gli onori. La prima è « vaga e naturale all'uomo e
ciascuno vi s'affatica volentieri », le altre sono fatiche di peccato .... Il terzo trattato
quindi parla delle fatiche: della fatica per divenire savio (III, 1); della fatica per divenire
ricco d'avere, della vanità di queste fatiche e dei peccati che vengono generati dalla
ricchezza: l'uomo diventa cupido in accattare ed avaro in ritenere; e conclude sostenendo
che l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze perché l'avaro non si sazia mai; e
spiega invece di che cosa l'uomo deve fare tesoro; inoltre che cosa fa buona la povertà e
che cosa fa buona la ricchezza. Bono riprende poi il discorso ed annuncia gli argomenti
che tratterà nei capitoli seguenti (III, 2) iniziando dalle fatiche per divenire ricco d'avere
(III, 3) e afferma che le ricchezze sono false e vane (III, 4); illustra il Vizio della
cupiditade (III, 5) e il Vizio dell'avarizia (III, 6); porta degli argomenti contro l'avarizia e
spiega perché l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze (III, 7); tratta delle ragioni
r~-
per cui l'avaro non si sazia (III, 8); di che cosa l'uomo deve far tesoro e quando lodeve
40
~,
fare (III, 9); spiega come mai ci sono stati dei ricchi santi (III, 10); e cita in esempio
diversi argomenti per preferire le ricchezze alla povertà (III, 11); parla di che co sa fa
buona la povertà (III, 12) e di che cosa fa buona la ricchezza (III, 13) e conclude dicendo
che la vita povera è migliore di quella ricca. Spiega come si devono guadagnare le
ricchezze (III, 13 ), come si devono spendere e usare (III, 14), come si devono conservare
(III, 15) e quali sono le altre cose che fanno buona la ricchezza (III, 16) come ad esempio
la cortesia ovvero in che modo l'uomo ricco deve essere cortese e come deve usare la
cortesia: deve frenare la lingua, deve temperare il cuore, deve spendere e donare le sue
ricchezze (Ill, 17) e spiega infine perché la vita povera viene considerata dai Santi come
beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18).
Si passa alle fatiche per i desideri della came (III, 19) e ad i vizi che ne
conseguono: il vizio della gola ed il male che ne segue (III, 19) ed il vizio della lussuria
ed il male che ne segue (III, 20). Anche nei confronti della lussuria Bono indica dei
rimedi nel cap. III, 21. ln seguito spiega le fatiche delle signorie e degli onori (III, 22),
che portano a due vizi: Superbia (III, 23) e Vanagloria (III, 24). Il quarto trattato,
composto di due soli capitoli, parla della paura. Il primo capitolo spiega che ci sono
quattro cagioni di paura: il demonio, la came, l' uomo ela natura; ma ne aggiunge una
quinta verso la fine del capitolo: la paura dei sogni (IV, 1). Il secondo e ultimo capitolo
parla dei rimedi contro le paure (IV, 2). Il quinto trattato ha solo un capitolo e parla della
morte naturale (V, 1).
Il "programma della trattazione" che precede il sesto trattato spiega la miseria
dell'uomo dopo la morte: colui che non osserva i comandamenti di Dio va all'Infemo. Il
~,
trattato è di viso in dodici capitoli: il primo spiega quali sono i comandamenti (VI, 1); il
41
~-,,
secondo, terzo e quarto illustrano i maggiori comandamenti: amore di Dio (VI, 3) e
amore del prossimo (VI, 4). Il quinto spiega i tre comandamenti minori che riguardano
l'amore di Dio (VI, 5), il sesto i cinque comandamenti minori che riguardano l'amore del
prossimo (VI, 6); il settimo la sorte dell'anima dopo la morte (VI, 7), l'ottavo ed il nono
l'inferno e i suoi tormenti (VI, 8-9), il decimo il tormento dei pensieri (VI, 10);
l'undicesimo presenta l'argomento della non eternità dell'inferno (VI, 11) e il dodicesimo
lo contesta (VI, 12).
Il settimo trattato è diviso in cinque capitoli e tratta della beatitudine e la gloria
del giusto che va in Paradiso e di come è disposto il Paradiso (VII, 1). Il secondo capitolo
parla della beatitudine e della gloria delle anime che vanno in Paradiso (VII, 2), il terzo
delle potenze dell'anima (VII, 3) che sono: immaginare, lavorare e desiderare. Il quarto
spiega la potenza che c'è nell'anima nel lavorare e perché vivendo ci si affatica senza
trovare riposo e come ci si riposa invece in Paradiso (VII, 4); il quinto spiega la potenza
che c' è nell' anima nel desiderare e come nel mondo non si puo saziare e come si sazia in
Paradiso (VII, 5).
Infine l'ottavo trattato, diviso in quattro capitoli, spiega nel primo capitolo il
giorno del giudizio: (VIII, 1) le cose che avvengono prima, i segnali, il giorno del
giudizio e la sentenza che dà Dio. Il secondo capitolo spiega in che modo nel giorno del
giudizio finirà il mondo intero (VIII, 2), il terzo capitolo parla dei quindici segni del
giudizio (VIII, 3), 26 il quarto spiega in che modo nel giorno del giudizio
resusciteranno e saranno giudicate le anime (VIII, 4)27 •
26
11 Divizia individua la fonte di questo capitolo nel volgarizzamento A della Legenda aurea (P. Divizia, 1
quindici segni del Giudizio: appunti sulla tradizione indiretta della Legenda aurea nella Firenze del
Trecento," in Studi su volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P. Rinoldi e G. Ronchi, Roma,
Viella, 2005, pp. 47-64.
42
4. Tavole
4.1. Struttura logica dell' opera di Lotario
De contemptu mundi sive de miseria humane conditionis
1. Prologus: Lotario si propone di mostrare in questa opera la bassezza della
condizione umana e, afferma che lo fa per umiliare la superbia la quale è "il capo di
tutti i vizi (l'origine di tutti i vizi)".
L'uomo è stato generato nel peccato, è nato perla pena, il timoree il dolore, la sua vita è
fatica e, cio che è più miserevole, è nato perla morte; in più, l'essere umano commette
"azioni vane" per cui trascura cio che è serio, utile e necessario.
Liber Primus: De miserabili huinane conditionis ingressu (lo sventurato ingresso
nella condizione umana). Sofferenze della vita fin dalla nascita e senza distinzioni di
condizione, classi o età.
I.
De miserabili humane conditionis ingressu.
Miserie della corporeità della concezione fino alla nascita
II.
III.
IV.
V.
VI.
a. "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono la morte
prima di conoscere la vita" Geremia (20, 14-18) e III cap. di Giobbe
De vilitate mate rie de qua formatus est homo. (Della viltà della materia
di cui l'uomo è formato)
De conceptione infantis. (Peccaminosità della concezione)
a. la sofferenza del neonato che viene al mondo e alla vita, già preda del
peccato ancora prima di peccare e dell' errore ancor prima di errare
b. sin da1 concepimento ereditiamo una duplice colpa: la prima sta nel
peccato che accompagna 1' emissione del seme e la seconda ci viene
trasmessa.
c. , i nostri genitori ci hanno dato la vita mentre erano avvolti dai peccato
Quali cibo conceptus nu triatur in utero. (Di quai cibo 1'uomo si nutre
nel ventre: di sangue mestruale, immondo e sporco)
De imbecillitate infantis. (Debolezza del neonato)
a. nasciamo senza parola, senza scienza, senza virtù: flebili, "imbecilli",
poco distanti dagli animali bruti, loro almeno appena nati
cammmano ...
b. "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono hi morte
prima di conoscere la vita" Geremia (20, 14-18) e III cap. di Giobbe
De dolore partus et eiulatu nascentis. (Del dolore del parto e del pianto
del neonato)
a. Tutti nasciamo piangendo per esprimere la nostra miseria
27
L'intero trattato di Bono Giamboni è disponibile soltanto nell'edizione preparata da Francesco Tassi a
Firenze ne! 1836, che non corrisponde ai criteri scientifici modemi. Ciononostante ho pensato di poter
intraprendere ugualmente l'analisi del trattato di Bono perché sono in contatto con Jo studioso che sta
lavorando all'edizione critica, il professor Paolo Divizia dell'Università di Brno, che puo avvertirmi in
quali punti l'edizione del Tassi risulta davvero inaffidabile.
43
b. L'uomo entra in questo mondo attraverso il peccato e peril peccato
passa la morte a tutti gli uomini
Miserie della corporeità dell' età adulta
VII.
VIII.
IX.
X.
De nuditate et vestitu nascentis. (Della nudità dell'uomo)
a. citazione di Giobbe che, nato nudo dal ventre della madre, nudo morirà
Qualemfructum homo producit. (Quale frutto produce l'uomo)
a. frutti sporchi che l'uomo, essendo sporco, produce: "tale albero, tale
frutto"
De brevitate huius vite. (Della brevità della vita)
De incommodo senectutis. (Degli incomodi della vecchiaia)
Le fatiche
XI.
XII.
XIII.
De labore mortalium. (Della fatica dei mortali) Le fatiche: Dalla
corporeità dell'uomo si passa alle attività dell'uomo, ovviamente tutte
vane: gli uomini nascono alla fatica, tutti i loro giomi sono pieni di
fatiche e calamità. Neanche di notte la loro mente riposa
De diverso studio sapientum. (Dello studio dei sapienti) La ricerca del
sapere
a. nella moita sapienza, c' è moita indignazione, chi avanza nella scienza
accresce il dolore
b. l'uomo non puo spiegare le opere di Dio (Salomone) quindi l'unico
modo per trovare la salvezza è Dio
De variis hominum studiis. (Dei vari "studi" degli uomini)
a. tutte le fatiche e tutte le cose terrene nelle quali gli uomini credono,
diventano vizi vani e afflizione d'animo e nulla di cio rimane
Le diverse miserie degli uomini secondo lo stato sociale dal XV al
XVIII:
XIV. De diversis anxietatibus.
a. il ricco e il povero, il servo e il signore, il maritato e il celibe, il
buono e il cattivo
b. Tutti, senza distinzione di classe o età, sono afflitti da problemi
mondani
XV. De miseria pauperis et divitis. (Della mi seria del povero e del ricco)
b. i poveri vengono disprezzati, la loro condizione è miserabile
c. è meglio morire che essere povero
d. Ovidio: fin quando sarai felice avrai moiti amici, ma quando i tempi si
faranno hui (nell'avversa fortuna) ti ritroverai solo
e. più l'uomo è ricco più è considerato buono, più è povero più è
considerato cattivo
f. la condizione del ricco diviene miserabile nel momento in cui cade
nella trappola dei piaceri e della vana gloria
g. conclusione: si fatica nell'acquistare, si terne nel possedere, si ha
dolore nel perdere, e questo affatica e affligge la mente. L 'uomo
dovrebbe fare di Dio il suo tesoro
44
/---
XVI. De miseria servorum et dominorum. (Della miseria dei servi e dei signori)
a. la misera ed estrema condizione in cui vive la servitù è la peggiore
perché va contro natura: sono nati liberi ma la sorte li ha fatti servi
b. Orazio conferma che è sempre il popolo che deve scontare gli errori
dei govemanti e, in senso più generale, sono i subaltemi che fanno da
capro espiatorio per gli errori dei loro superiori
c. i servi sono sempre afflitti e hon si possono difendere dai signori
d. anche la condizione dei signori è misera: se sono crudeli, i servi,
depravati come sono, lo rispettano e lo temono, se sono clementi sono
disprezzati dai suoi sottoposti, che si fanno sfacciati. Il timore, percio,
affligge chi è severo, il disprezzo degrada il mansueto, infatti la
crudeltà partorisce 1' odio e la confidenza il disprezzo. Quindi anche i
signori sono afflitti giorno e notte.
XVII. De mise ria continentis et coniugati. (Della miseria del celibe e del maritato)
a. Orazio: "se il fuoco puo non bruciare, allora la came puo non
desiderare", anche se caccerai la natura con la forca, essa ritomerà
b. il miglior modo per non bruciare di libidine è unirsi in matrimonio
c. la miseria del marito si manifesta con i moiti problemi che causano i
figli, la moglie, i servi e le ancelle
d. il marito e' costretto ad amar tutto cio che la moglie ama e odiar tutto
cio che lei odia
e. se il marito la lascia la spinge al tradimento
XVIII.
De miseria bonorum et malorum. (Della miseria dei buoni e dei cattivi)
a. l'uomo è punito da quelle medesime cose per le quali pecca
b. la sorte dei buoni non è migliore:
1.
San Paolo (Maccarrone pag. 26) chi vuole vivere pienamente con
Cristo, patisce le persecuzioni
11.
i santi e i giusti hanno da sempre provato i dispregi e le offese altrui,
sono anche morti per amore del Signore
Dei nemici degli uomini che fanno della vita un perpetuo
combattimento
XIX.
a.
b.
c.
d.
e.
De hostibus hominis.
il Diavolo con i vizi
la natura con le belve feroci
il mondo con gli elementi
la came con i sensi
la came desidera sempre contro lo spirito e lo spirito contro la came
Il corpo come carcere dell'anima
XX.
Quod corpus dicitur carcer anime.
a. la vita è sofferenza, timore e dolore, in nessun luogo si trova la pace, la
tranquillità
45
I capitoli seguenti attaccano la validità dei momenti felici, tendono a distruggere le
obiezioni che si potrebbero opporre a questa visione totalmente pessimista sulla
base di certi aspetti positivi della vita: Dal XXI al XXIII ed il XVI
De brevi letitia. (Della breve allegria degli uomini)
a. il tempo muta, sempre, dalla mattina alla sera (Salomone)
XXII.
De inopinato dolore. (Del dolore non pensato: le disgrazie impreviste)
a. la mondana felicità è aspersa di molte tristezze
b. i figli di Giobbe: nel giorno dei beni non bisogna mai scordarsi dei mali
c. i mali arrivano all'improwiso
d. non peccare per non essere puniti in eterno
XXIII. De vicinitate mortis. (Della vicinanza della morte)
a. il tempo passa e giorno dopo giorno si avvicina la morte
b. le cose future nascono sempre, e quelle presenti e passate muoiono
sempre
c. Meglio è morire alla vita, che vivere alla morte
d. niente è la vita mortale, se non una vivente morte
e. la morte arriva all'istante e non puè> essere impedita.
XXI.
Dello spavento dei sogni
XXIV.
De terrore sompniorum.
a. causano confusione, fatiche, tormenti
b. sporcano l'anima e hanno fatto cadere in errore molti uomini,
specialmente chi ha posto in loro la propria speranza
c. dove ci sono molti sogni ci sono molte vanità
Della compassione
XXV.
De compassione.
a. neppure nell'amore o nell'amicizia l'uomo puè> trovare qualche
consolazione
b. la compassione verso gli amici, del dolore che proviamo quando i
nostri amici stanno male e di come temiamo per le persone a noi care
c. 1' episodio evangelico del pianto di Gesù sulla morte di Lazzaro
(Maccarrone pag. 32, 19): il pianto fu perle miserie che aveva sofferto
in vita più che per la morte
Degli infortuni inaspettati, degli scherzi della fortuna "sfortuna"
XXVI.Quod innumere sunt species egritudinum.
d. di solito quando si terne qualcosa, accade: la morte che quando arriva
prende all'improvviso e non c'è via di scampo
e. non bisogna mai essere troppo sicuri, felici e spavaldi quando accade
qualcosa di bello perché nessuno sa cosa succederà il giorno seguente
Fra le disgrazie inaspettate, le malattie:
XXVI.
De subitis infortuniis. (Delle innnumerevoli specie di infermità)
46
a. gli uomini sono i portatori sin dalla creazione del mondo del maggior
numero di infermità:
i. tante e tante specie di passioni che corrompono l'uomo ogni giorno di
più
XXVIII. De diversis generibus tormentorum. (Delle diverse generazioni dei
tormenti)
a. le atrocità che gli uomini meschini sono spesso costretti a subire:
i. bastonati, pugnalati, scannati, bruciati vivi, avvelenati dagli scorpioni,
strangolati, macerati dai digiuni, legati, torturati, lasciati morire di fame,
rinchiusi in prigione
XXIX.. De quodam horribilifacinore: de quadam muliere que comedit
infante rn suum. (Di un orrendo fatto che una donna mangio suo figlio)
a. storia di Giuseppe Flavio durante l'assedic giudaico
Distorsione totale dell'umano giudizio
XXX.
Quod quandoque punitur innocens et nocens absolvitur. (Che alcuna
fiata si punisce 1'innocente, e si libera il reo)
a.l'uomo innocente viene punito, e l'uomo reo assolto
b. il pio viene punito e 1' empio onorato
c. Gesù Cristo fu crocifisso e Barabba liberato
2. Liber secundus: De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole sviluppo
della condizione umana). Una rassegna dei "beni" (vane apparenze e falsi beni) ai
quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena (le ricchezze che portano
alla malvagità, il sapere che porta al dolore, il potere e gli onori che portano alle
vanità, i piaceri che portano alle indecenze). La ricerca di questi beni induce
inevitabilmente ai vari peccati capitali di cui l'uomo è l'unico artefice e colpevole.
1.
De culpabili humane conditionis progressu. Ci sono principalmente tre
cose che gli uomini desiderano nella vita terrena: le ricchezze, il sapere
e gli onori
Del desiderio delle ricchezze vengono generati 2 vizi:
la Cupidigia el' Avarizia dai II al XVI
De cupiditate.
II.
a. 1' avarizia è la radiee di tutti i mali e fa commettere agli uomini azioni
scellerate: furti, rapine, guerre, omicidi, inganni
De iniquis muneribus. (Degli iniqui doni)
III.
a. i doni acciecano gli occhi e che le persone quando li ricevono non
giudicano più per "amore iustitie" ma per "amore pecunie"
De acceptione personarum. (Dell'accettazione delle persone)
IV.
a. le persone vengono giudicate in base alle loro ricchezze
b. vengono distinti i ricchi dai poveri: i primi agevolati ed ammirati, e
secondi disprezzati ed offesi
V.
De venditione iustitie. (Della vendita della giustizia)
a. i ricchi sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e finiscono per
imprigionare la loro anima
47
VI.
De insatiabili desiderio cupidorum. (Dello insaziabile desiderio degli
avari)
VII.
Qua re cupidus satiari non potest. (Perché 1' avaro non si puo saziare)
a. 1' arno re per il denaro cresce tanto quanto cresce il denaro
b. l'avaro non smette mai di desiderare le ricchezze, è insaziabile
c. non riceverà mai frutto da quelle
VIII.
De falso no mine divitiarum. (Del falso nome delle ricchezze)
a. le ricchezze danno agli uomini una falsa felicità
IX.
Exempla contra cupiditatem. (Esempi contro l'avarizia)
a. 1' avarizia inganna e distrugge
X.
De iniqua possessione divitiarum. (Della ingiusta possessione delle
ricchezze)
a. moiti sono stati distrutti dall'oro e dall'argento
XI.
De licitis opibus. (Delle ricchezze lecite)
a. chi crede in Dio possiede tutte le ricchezze
b. è difficile stare nel fuoco e non bruciare, difficile possedere le
ricchezze terrene e non amarle
XII.
De incertitudine divitiarum. (Della incertezza delle ricchezze)
a. ogni avaro si sforza e combatte contro natura perchè la natura conduce
1'uomo al mondo povero e alla terra nudo ritomerà
.XIII.
De contempnenda possessione divitiarum. (Della superflua
sollecitudine degli avari)
a. bisogna cercare prima di tutto il regno di Dio ed il resto sarà aggiunto a
questo
XIV.
De avaro et cupido. (Il vizio dell'avarizia)
a. l'avaro ha sempre bisogno di denaro anche stando nelle ricchezze
b. l'avaro è come l'infemo: riceve e non rende, quindi offende Dio, se
stesso e il prossimo
XV. Cur avaritia dicatur servitus ydolorum. (Perché 1' avarizia è servitù degli
idoli)
a. 1' avaro serve il tesoro, lo onora, se ne prende cura
XVI.
De proprietatibus avari. (Delle proprietà dell' avaro)
a. disprezza donare perché ama guadagnare
b. porta il suo corpo allo stremo per far crescere il suo guadagno
c. le cose ingiuste, le cose che provengono dal male al male
pervengono
d. 1' avaro è dannato nella sua vita presente e anche in quella futura
Dalla ricerca dei piacere nascono questi vizi: Gola, Ubriachezza e
Lussuria
Il vizio della go la dal XVII al XX
XVII.
XVIII.
De gu/a.
Exempla contra gu/am. (Degli esempi contro la gola)
a. non bisogna desiderare di mangiare ogni cibo altrimenti si muore
b. tutti i peccatori andranno all'infemo
48
Il vizio della ubriachezza
XIX.
XX.
De ebrietate.
a. Il vino porta alla lussuria, ira e moiti problemi
Exempla contra ebrietatem. (Degli esempi contro l'ubriachezza)
a. porta al male, porta alla morte sicura
Il vizio della lussuria
.
~.
XXI.
De luxuria.
XXII.De generalitate luxurie. (Della generalità della lussuria)
b. condanna la lussuria, un vizio che abita non al di fuori ma dentro ogni
uomo
c. corrompe, crea disordine, perturba vecchi e giovani, uomini e donne
senza distinzione
XXIII.De diversis speciebus luxurie. (Delle diverse specie di lussuria e delle pene
di quelle)
a. i Sodomiti, degli esseri immondi, per la bellezza moiti sono morti
b. sporco vizio debilita le forze, diminuisce i sentimenti, consuma i
giomi e dissipa le ricchezze
XXIV.
De coitu contra naturam. (Del peccato contro natura)
a. donne con donne e uomini con uomini
b. non c' è peccato peggiore di questo
c. nella Sacra Scrittura è data la stessa pena ad un uomo che va con uomo
e ad un uomo che va con una hestia.
xxv. De pena huius sceleris. (Della pena di questa scelleratezza)
a. il fetore della lussuria
b. Dio non perdona questo peccato a nessuno
c. La moglie di Loth che fu trasformata in statua di sale
Dell' am bizioso
Dalla ricerca degli onori e del potere nascono: Ambizione,
Superbia, Arroganza
XXVI.
De ambitioso.
Ovidio: l'uomo ambizioso è sempre è pavido, sempre attento a non dire o a non
fare cosa che agli occhi degli uomini possa dispiacere
a. finge di essere umile, mente, fa finta di essere onesto, fa finta di essere
affabile
XXVII.De nimia concupiscentia ambitionis. (Della disordinata concupiscenza
degli ambiziosi)
a. quando gli ambiziosi non possono ottenere quello che vogliono, fanno
qualsiasi cosa per averlo
XXVIII. Exemplum de ambitioso. (Esempio dell'ambizioso)
a. Assalonne
XXIX.. Quod brevis est et misera vita magnatum. (Della breve e misera vita dei
maganti)
a. la vita di ogni potente è breve
49
XXX.
~·.
(
De diversis proprietatibus superborum. (Delle diverse proprietà dei
superbi)
a. esempi di superbia, arroganza e disonestà
XXXI.
De superbia et casu Luciferi. (Della superbia e cadimento di Lucifero)
a. il vizio della superbia e della caduta di Lucifero
b. ogni uomo che si esalterà, sarà umiliato, e quello che si umilia, sarà
esaltato
XXXII. De arrogantia hominum. (Dell'arroganza degli uomini)
a. quando un uomo è superbo diventa arrogante, presuntuoso, e crede di
poter essere come Dio
XXXIII. De abhominatione superbie. (Dell'abominazione della superbia)
a. ogni superbo sarà umiliato nel giorno del giudizio e infine la superbia
sarà distrutta da Dio
XXXIV. Contra arrogantiam superborum. (Contro l'arroganza dei superbi)
a. di solito quasi ogni vizioso ama il suo simile, ma il superbo invece lo
odia, infatti i superbi si odiano a vicenda (Salomone)
XXXV. Contra fraude rn ambitiosorum. (Esempio contro la frode degli
ambitiosi)
a. i figliuoli di Zebedeo come esempio contro la frode degli ambiziosi
XXXVI. De proprietatibus arrogantium. (Della proprietà degli arroganti)
a. pensano di essere migliori degli altri, superiori, come Dio
XXVII. De superjluo cultu. (Del superfluo omamento)
a. non servono vestiti preziosi per salvarsi, e parla di un uomo molto ricco
che è finito ugualmente all'infemo
XXXVIII.
Contra superjluum ornatum. (Contro il superfluo omamento)
XXXIX. Quod plus defertur vestibus quam virtutibus. (Perché si onorano più le
vesti invece delle virtù)
a. quel che la virtù non ha potuto, l'ha ottenuto la veste: si onorano più i
vestiti che le virtù, più la vanità che l'onestà.
XL.
De ornatu persane, mense et dom us. (La falsificazione dei co lori)
a. non serve a niente dipingere i muri di casa, omarsi, perché tanto
quando si muore tutte queste cose sono vane
3. Liber tertius: De dampnabili humane conditionis egressu (la condannabile uscita
dalla condizione umana). L'apocalisse, il momento della morte e le pene infernali.
Il momento della morte
1.
De dampnabili humane conditionis egressu.
a. tutti i beni terreni sono vani perché ogni uomo alla fine della sua vita
incontra la morte
b. nessuno è puro perché tutti gli uomini peccano
c. conclusione: che gli uomini fin quando cercheranno la felicità nei
beni terreni non la troveranno mai, anzi riempiranno questo mondo di
peccati, esalteranno il male, accumuleranno vizi e moriranno senza
potersi salvare
50
Dei dolori che i cattivi patiscono nella morte: 4 dolori:
II.
De do/oribus quos mali patiuntur in morte.
a. 1' angustia del corpo quando 1' anima si stacca dal corpo
b. "occhi interiori" nel momento della morte
c. l'anima viene giudicata e vede per ogni sua iniquità il debito tormento
dell'Infemo che dovrà sopportare
d. l'anima ancora nel corpo vede gli spiriti maligni che si preparamo a
prenderla
Dell'avvenimento di Cristo al giorno della morte di ciascun uomo.
Le 4 venute di Cristo sulla terra, due visibili e due invisibili:
III.
IV.
V.
VI.
VII.
De adventu Christi ad diem mortis cuiuslibet hominis.
a. la nascita di Cristo sulla terra
b. il giorno del giudizio universale quando Cristo tornerà per giudicare
tutti gli uomini
c. nella mente per grazia di vina (V angelo) nell' anima di ciascun credente
nel Battesimo
d. nel momento della morte (Giovanni nell' Apocalisse)
De putredine cadaverum. (Del fetore dei corpi morti)
De tris ti me mo ria dampnatorum. (Della triste memoria dei dannati)
a. il peccatore si affliggerà, si turberà, sarà pieno di angoscia
De inutili penitentia reproborum. (Della inutile penitenza dei dannati)
a. l'inutile pentimento dei dannati che soffriranno della pena ma non
potranno mai essere perdonati
De ineffabili angustia dampnatorum. (Della ineffabile angustia dei
dannati)
a. i dannati vedono i giusti glorificati. 1 giusti si rallegrano nel vedere la
vendetta di Dio sui peccatori
Delle diverse pene dell'inferno
VIII.
IX.
De diversis penis inferni.
a. le pene infemali sono secondo i diversi peccati:
1.
la prima pena è il fuoco
11.
la seconda è il freddo
111.
la terza è il fetore
1v.
la quarta i vermi eterni
v.
la quinta i "flagelli dei percutienti" (Lotario cita
Salomone)
v1.
la sesta le tenebre esterne e interne
v11.
la settima è la confessione dei peccati
vm.
l'ottava è l'orribile visione dei diavoli
1x.
la nona è le catene infuocate con le quali saranno legati i
membri degli empi
De igne gehennali. (Del fuoco infernale)
a. il fuoco infernale è stato creato da Dio è inestinguibile dalla creazione
del mondo (Santo V angelo)
51
b. arde sempre, non si consumerà mai. E l'uomo sarà punito per sempre
in base ai peccati commessi in vita, come è confermato dalla parabola
del ricco Epulone
x.
De te ne bris inferni. (Delle tenebre dell 'inferno)
XI.
De conversione penarum. (Della confusione delle pene)
a. quelli che hanno peccato più gravemente, saranno puniti più
gravemente
De diffidentia dampnatorum. (Della penitenza dei tormenti)
XII.
a. i dannati sono posti come pecore nell'Inferno, moriranno
eternamente
b. la morte è immortale
c. i morti i quali sono morti alla vita cercheranno invano la morte
XIII.
Cur reprobi numquam liberabuntur a penis. (Che i reprobi mai saranno
liberati dalle pene)
a. Dio punisce in eterno i reprobi
b. nell'Inferno non c'è alcuna redenzione
c. i reprobi saranno puniti eternamente perché è giusto che l' empio, il
quale offende Dio nella sua eternità, sia punito da Dio in eterno
d. nell'Inferno la volontà del dannato, diventerà supplizio e cio che fu
nel mondo un peccato si trasformerà in dolore (San Giovanni
nell' Apocalisse)
XIV.
Testimonia de suppliciis eternalibus. (I testimoni dei supplizi eterni)
a. 1'uomo empio non avrà nessuna speranza, sarà distrutto
Del giorno del giudizio
XV.
De die iudicii.
a. il giorno del Signore in cui la superbia degli infedeli cesserà,
1' arroganza dei forti sarà umiliata, ogni cuore di uomo sarà distrutto
b. un giorno di ira, di dolore, di angoscia, di calamità, di miserie, di
tenebre
De precedente tribulatione. (Della precedente tribolazione)
XVI.
XVII.
Qualiter veniet Dominus ad iudicium.
XVIII.
De potentia et sapientia et iustitia iudicis. (Della potenza, sapienza e
giustizia del giudice)
XIX.
De divino iudicio. (Del divino giudizio) il giudizio universale
a. nessuno potrà corrompere la giustizia di Dio, nessuno potrà sfuggirgli
xx. Quod nichil proderit dampnandis. (Che niente gioverà ai dannati)
a. nierite gioverà ai dannati: non serviranno a niente le ricchezze, l'anima
che ha peccato morirà
52
4.2. Struttura dell'opera di Bono: Della miseria dell'uomo
1. miseria dell'uomo e dellafemmina dall'ora che è creata infino all'uscita
del ventre della madre (Capitolo introduttivo :il programma della
trattazione)
a. nasce nel peccato originale (1, 1)
b. viltà della cosa onde è fatta (1, 2)
c. · viltà della cosa onde si nutrica nel ventre della madre (1, 3)
d. dolore della nascita (1, 4)
e. miseria della creatura (1, 5)
2. miseria dalla nascita alla morte :dolore -fatica- paura (il programma della
trattazione)
a. Dolori:
1. do lori della creatura app ena nata (II, 1)
11. dolore nel corso della vita : fisici, psicologici, emotivi (II, 2)
111. dolori dellavechiaia (II, 3)
iv. Rimedi:
1. L'uomo puo evitare i mali con la previdenza, o, se non
li puo evitare, sopportarli con pazienza per
"compiacere Dio" (primo bene: II, 4)
2. si rende simile ai santi (secondo bene : II, 5)
3. guadagna il paradiso (terzo bene: II, 6)
b. Fatiche. La vita è fatica; programma della trattazione : fatiche per
divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per i desideri della
came, per le signorie e gli onori. La prima è « vaga e naturale
all'uomo e ciascuno vi s'affatica volentieri », le altre sono fatiche di
peccato .... (il programma della trattazione)
1. Fatica per divenire savio (III, 1)
11. Fatica per ragunare ricchezze; programma della trattazione:
per divenire ricco d'avere; vanità di queste fatiche; peccati
generati dalla ricchezza: l'uomo diventa cupido in accattare
ed avaro in ritenere; l'uomo non deve desiderare di fare
ricchezze; l'avaro non si sazia; di che cosa l'uomo deve fare
tesoro; altre considerazioni; che cosa fa buona la povertà; che
cosa fa buona la ricchezza. (III, 2)
1. Fatiche per divenire ricco d'avere (III, 3)
2. Le ricchezze sono false e vane (Ill, 4)
3. Vizio della cupiditade (III, 5)
4. Vizio dell'avarizia (III, 6)
i. Argomenti contro l'avarizia e perché l'uomo non
deve desiderare di fare ricchezze (III, 7)
ii.le ragioni per cui l'avaro non si sazia (III, 8)
53
iii.di che cosa l'uomo deve far tesoro e quando lodeve
fare (III, 9)
5. Come mai ci sono stati dei ricchi santi (III, 10)
Rimedi
i. Argomenti per preferire le ricchezze alla povertà (III,
11)
ii. Che cosa fa buona la povertà (III, 12)
iii. Che cosa fa buona la ricchezza (III, 13)
iv. La vita povera è megliore di quella ricca
1. Come si devono guadagnare le ricchezze (Ill, 13)
2. Come si devono spendere e usare (III, 14)
3. Come si devono conservare (Ill, 15)
4. Altre cose che fanno buona la ricchezza (III, 16)
5. La cortesia (Branca su Boccaccio) in che modo
l'uomo ricco deve essere cortese e come deve usare la
cortesia: frenare la lingua, temperare il cuore, spendere e
donare le sue ricchezze (Ill, 17)
6. Perché la vita povera viene considerata dai Santi
come beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18)
1. Fatiche per i desideri della carne (Ill, 19)
1. Vizio della gola ed il male che ne segue (III, 19)
2. Vizio della lussuria ed il male che ne segue (III, 20)
3. 1 rimedi contro la lussuria (III, 21)
11. Fatiche delle signorie e degli onori (III, 22)
1. Vizio della superbia (III, 23)
2. Vizio della vanagloria (Ill, 24)
c. paura; (il programma della trattazione)
i. quattro paure : demonio, came, uomo, natura; sogni (IV, 1)
ii. 1 rimedi (IV, 2)
3. morte (V, 1)
4. miseria dopo la morte
(il programma della trattazione)
a. va in infemo colui che non osserva i comandamenti di Dio.
Quali sono i comandamenti (VI, 1)
1. i maggiori comandamenti (VI, 2)
1. amore di Dio (VI, 3)
2. amore del prossimo (VI, 4)
11. i tre comandamenti minori che riguardano l'amore di Dio (VI,
5)
m. i cinque comandamenti minori che riguardano l'amore del
prossimo (VI, 6)
b. sorte dell'anima dopo la morte (VI, 7)
c. l'infemo e i suoi tormenti (VI, 8-9)
i. il tormento dei pensieri (VI, 10)
54
ii. Argomento della non eternità dell'inferno (VI, 11)
iii. Contestazione del precedente (VI, 12)
5. beatitudine e gloria del giusto che va in Paradiso (VII, 1)
a. come è disposto il Paradiso
b. la beatitudine ela gloria delle anime che vanno in Paradiso (VII, 2)
c. delle potenze dell'anima: (VII, 3)
. .
.
1. 1mmagmare
ii. lavorare
iii. desiderare
d. la potenza che c'è nell'anima nellavorare e perché vivendo ci si
affatica senza trovare riposo e come ci si riposa invece in Paradiso
(VII, 4)
e. la potenza che c' è nell' anima nel desiderare e come nel mondo non
si puo saziare e come si sazia in Paradiso (VII, 5)
6. die del giudicio : (VIII, 1)
a. le cose che avvengono prima
b. isegnali
c. il giorno del giudizio
d. la sentenza di Dio
e. in che modo nel giorno del giudizio finirà il mondo intero (VIII, 2)
f. i quindici segni del giudizio (VIII, 3)
g. in che modo nel giorno del giudizio le anime resusciteranno e
saranno giudicate (VIII, 4)
55
5. Affinità e divergenze frai due testi: il senso del discorso di Bono e in che
cosa differisce da Lotario
5.1 Le affinità
Anche un confronta superficiale delle due Tavole dimostra che Bono segue la
falsariga dell'opera di Lotario. Bono presenta gli stessi argomenti e nello stesso ordine,
ripete le stesse citazioni; spesso si trovano coincidenze testuali che appaiono vere e
proprie traduzioni del testo latino. Alcuni esempi sparsi:
Lota rio
Bono
Quare de vu/va matris egressus sum, ut
viderem laborem et dolorem et
consummerentur in confusione dies mei?
(1 libro Cap. I pagina 7)
Perché sono io uscito del ventre della
madre mia, acciochè io veggafatiche e
dolo ri, e consumi i di miei in confusione?
(Prologo pagina 6)
quia quanto sunt delicatiora cibaria, tanto
feditiora sunt stercora
(II libro Cap. VIII pagina 52)
quanto più sono delicati i mangiari,
tanto è più puzzolente la feccia
(III trattato Cap. XIX pagina 78)
Planetas et ste/las fecit ex igne, jlatus et
ventos fecit ex aere, pisce set volucres fecit
ex aqua: hom ines et iumenta fecit de terra
(1 libro Cap. II pagina 8)
Le ste/le e i pianeti sono fatti di fuoco; i
jiati e i venti sono fatti d'aria; i pesci e
gli uccelli sono fatti d'acqua; e gli uomini
e le bestie sono fatti di terra
(1 trattato Cap. II pagina 17)
Nolite diligere mundum, neque ea que in
mundo sunt; quia quidquid est in mundo
concupiscentia carnis est et concupiscentia
oculorum et superbia vite
(Il libro Cap. I pagina 39)
Non amate il mondo, né le cose che ne!
mondo sono, perché tutte sono disiderio
della carne, o disiderio dell 'occhio, o
superbia della vita
(III trattato Cap.VI pagine 35-36)
Arcta est enim via et angusta porta, per Stretta è la via, e picco/a è la porta, che
ne mena alla vita
quam itur et intratur ad vitam
(II libro Cap. X pagina 46)
(Ill trattato Cap .IX pagina 51)
56
Noli avidus esse in omni epulatione, et non
te effundas super omnem escam, in muftis
enim escis erit infirmitas et propter
crapulam mufti obierunt
(Il libro Cap. XVII pagina 52) .
Non sie disideroso d'agni mangiare, e
non ti gittare sopra agni esca, perché in
moiti mangiari ha pericolose e
gravissime infermitadi
(Ill trattato Cap. XIX pagina 79)
Cu/pa domini, servi pena
(1 libro Cap. XVI pagina 21)
e se il ricco commette il peccato, il
povero ne porta la pena
(Ill trattato Cap. XI pagina 57)
« Omnis potentatus brevis vita ».
(II libro Cap. XXVIII pagina 62)
tutti i grandi e potenti signori sono di
picco/a vita
(III trattato Cap. XXI pagina 89)
A volte Bono si discosta da una traduzione letterale, rna incorpora le frasi di Lotario in un
/--
discorso che appartiene a lui. Per esernpio:
Nel secondo libro De culpabili humane conditionis progressa (il colpevole
sviluppo della condizione urnana) di Lotario nel XIV capitolo intitolato De avaro e
cupido, alla pagina 49 Lotario scrive: "Est quasi dives curn nichel habeat, et est quasi
pauper curn in rnultis divitiis sit". Avarus et infemus uterque cornedit et non digerit,
recipit et non reddit. Avarus nec patientibus cornpatitur nec mi seris rniseretur, sed
offendit Deum, offendit proximurn, offendit seipsurn. Nam Deo detinet debita, proxirnurn
denegat necessaria, sibi subtrahit opportuna. Deo ingratus, proxima impius, sibi crudelis.
« Viro cupido et tenaci sine ratione est substantia, et hornini livido ad quid aururn? Qui
sibi nequarn est, quornodo alii bonus erit? Et non iucundabitur in bonis suis. Qui habet
substantiarn huius mundi, et viderit fratrern suurn necessitatern habere et clauserit viscera
sua ab eo, quornodo caritas Dei manet in eo? ». Nel III trattato di Bono: Miseria dalla
nascita alla morte: nel sesto capitolo intitolato Del vizio dell 'avarizia, il quale è in
57
ritenere, e non in ispendere, a pagina 46 Bono scrive: "L'uomo che è cupido, e tenace, è
una sustanzia sanza ragione, il quale da che non è buono a sé, non sarà buono ad altrui,
pero non riceverà nè giuoco, nè sollazzo, nè alcuna allegrezza ne' beni suoi, ma
perderannosi con lui. E ragione è che si debbano perdere, accio che non venga a bene
quello, che non procede di bene: perla qual cosa possiamo vedere, che l'avaro è dannato
in questo mondo e nell'altro".
Nel secondo libro De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole
sviluppo della condizione umana) di Lotario nel VII capitolo intitolato Quare cupidus
satiari non potest alla pagina 44 Lotario scrive: "Si vis ergo, cupide, satiari, desinas esse
cupidus, quia dum fueris cupidus satiari non poteris. Non est enim conventio lucis ad
tenebras, neque Christi ad Belial, quia nemo potest servire Deo et mammone". Nel III
trattato di Bono: Miseria dalla nascita alla morte, nell' ottavo capitolo intitolato Qui si
prova apertamente perché il cupido e l 'avaro non si sazia, a pagina 50 Bono cita il
Vangelo e scrive: "che niuno non puote pigliare Iddio e Mammone, cioè le ricchezze,
perché Dio non ha a fare niente col Diavolo, secondo che la luce non ha a far niente con
le tenebre. E perché il cupido e 1' avaro empiere non si puote, si è per li Savi agguagliato
al fuoco, il quale non resta mai d' ardere infino che trova co sa, ove egli si possa
appigliare".
Nella tavola delle fonti, (pp. 78-82) a sinistra ho riportato l'indice dell'opera di
Bono e nella colonna di destra le fonti (quelle che sono riuscita" ad identificare) dalle
quali Bono ha attinto. La tavola dimostra chiaramente che la maggior parte dei capitoli
dell'opera di Bono è stata presa dall'opera di Lotario. Ma quello che è più interessante tra
queste due opere sono le divergenze.
58
5.2 Le divergenze
Raggruppo gli argomenti principali trattati nella struttura logica dell' opera di Lotario:
Miserie della vita nella sua corporeità fin dalla concezione; Miserie della corporeità
dell'età adulta; le fatiche dei mortali; le diverse miserie secondo lo stato sociale; i nemici
dell'uomo che fanno della vita un perpetua combattimento; il corpo come carcere
dell'anima; lo spavento dei sogni; dolori dovuti alla compassione; gli infortuni
inaspettati, gli scherzi della fortuna "sfortuna"; la distorsione totale dell'umano giudizio;
il desiderio delle ricchezze che porta a due vizi: la cupidigia e l'avarizia; la ricerca dei
piaceri che porta a tre vizi: gola, ubriachezza e lussuria; la ricerca degli onori e del potere
che fa nascere: ambizione, superbia e arroganza; la disordinata concupiscenza degli
ambiziosi; l'arroganza degli uomini; il momento della morte; i quattro dolori che i cattivi
patiscono nella morte; le quattro venute di Cristo sulla terra; le diverse pene dell'infemo;
il giorno del giudizio.
Raggruppo gli argomenti principali trattati nella struttura logica dell' opera di Bono:
Miseria dell'uomo e della femmina dall'ora che è creata fino all'uscita del ventre della
madre; Miseria dalla nascita alla morte : dolore - fatica - paura; i rimedi; le fatiche: per
divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per i desideri della came, per
conseguire signorie e onori; il vizio della« cupiditade » e il vizio dell'avarizia; i rimedi;
che cosa fa buona la ricchezza (la cortesia); dai desideri della came nascono due vizi: il
vizio della gola ed il vizio della lussuria; i rimedi contro la lussuria; dal desiderio delle
signorie e degli onori nascono due vizi: superbia e vanagloria; le quattro paure: demonio,
came, uomo, natura; sogni; i rimedi; la morte; la miseria dopo la morte; quali sono i
comandamenti di Dio che devono essere osservati per non andare all'infemo; la sorte
59
dell'anima dopo la morte : l'infemo e i suoi tormenti (discussione sulla non etemità
dell'infemo); la beatitudine e gloria del giusto che va in Paradiso; come è disposto il
Paradiso e come le potenze dell'anima (immaginare, lavorare e desiderare) trovano
compimento e soddisfazione in Paradiso; il giorno del giudizio: i quindici segni del
giudizio.
Come si puo vedere dalle descrizioni degli argomenti principali delle due opere, la
differenza più importante tra i due testi sta nel fatto che a tutte le fatiche e le miserie
riprese dall 'opera di Lotario, Bono giustappone dei rimedi: i rimedi contro il dolore, la
fatica e la paura; i rimedi contro i vizi; i rimedi contro le quattro paure; e nel fatto che alla
descrizione dell'infemo Bono giustappone la visione del Paradiso, indicando anche quali
sono i comandamenti che devono essere osservati per meritare il Paradiso. Insomma per
Bono la vita è fatica ma tutti hanno la possibilità di raggiungere il meritato riposo e
di saziarsi in Paradiso. La prima volta in cui Bono parla dei rimedi, egli afferma che i
mali si possono evitare con la previdenza, ma, se non si possono evitare, la pazienza porta
con sé tre beni : infatti, chi porta le tribolazioni di questo mondo in pace ha il vantaggio
di "compiacere Dio" (primo bene: II, 4); si rende simile a Dio e ai santi e questa è "la via
de' buoni, non vuole essere buono chi delle tribolazioni del mondo non vuole sentire"
(seconde bene : II, 5); guadagna il paradiso - e Bono cita l' Apostolo: "Se noi siamo
compagni di Dio nelle passioni, si saremo suoi compagni nelle consolazioni" (terzo bene:
II, 6).
La seconda volta che Bono parla dei rimedi è a partire dall 'undicesimo capitole
del terzo trattato, in cui (vedere tavola della struttura logica di Bono) inizia a parlare della
questione delle ricchezze. Va notato che Bono dedica moiti più capitoli a questo
60
argomento rispetto a Lotario ed inoltre affronta il discorso in modo diverso. Insiste che ci
sono modi per usare le ricchezze in modo corretto, anche se rivela comunque il suo
interesse per la salvezza etema quando conclude che la povertà è migliore della ricchezza
emette l'accento, come abbiamo visto nel primo rimedio, sulla virtù della pazienza (di
cui Lotario non parla). Bono indica dunque che cosa fa buona la ricchezza (III, 13): non
bisogna desiderare di volere troppo, ma cio che basta per vivere bene. Spiega come si
devono guadagnare le ricchezze (III, 13: "nel suo guadagnare non offende Dio, non
offende la sua coscienza, non offende la sua dominanza e fama." Tassi 1836: 60); come si
devono spendere e usare (III, 14: "l'uomo ricco dee far bene delle ricchezze sue a sè
imprimamente, perchè ogni perfetta caritade, cioè amore, da sè medesimo si comincia. E
poscia ne dee far bene ad altrui ... .in prima far bene alla sua famiglia, la quale è diputata
al suo servigio ... E poscia ne dee far bene e ispendere, e metteme agli amici, perchè dice
il proverbio: Dando e togliendo si ritengono gli amici ..... E poscia ne dee l'uomo ricco
ispendere, per l'amore di Dio, a' poveri bisognosi .... " Tassi 1836: 63-64); come si
devono conservare (III, 15: "E se nello spendere sarai ben savio, sempre sarai una cosa, e
quando ti abbonderanno le spese, e quando non ti fia bisogno di spendere, perchè secondo
che richiederà il mutamento del tempo e il variamento delle cose, ti adatterai al tempo, e
non ti muterai di niente, secondo che una è la mano che quando impalma si stende, e
quando impugna si racchiude." Tassi 1836: 65) e quali sono le altre cose che fanno buona
la ricchezza (III, 16) come ad esempio la cortesia ovvero in che modo 1'uomo ricco deve
essere cortese e come deve usare la cortesia: deve frenare la lingua, deve temperare il
cuore, deve spendere e donare le sue ricchezze in base alle sue possibilità (III, 17). Dà
spazio all'opinione secondo cui le ricchezze sono preferibili alla povertà (III, 11), ma
61
afferma poi che anche la povertà puo essere buona (III, 12); e spiega perché la vita
povera viene considerata dai Santi come beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18).
Lotario, invece, dedica moiti più capitoli alla condanna dei vizi della cupidigia e
dell'avarizia e al contrario di Bono mette l'accento sull'influenza delle ricchezze
nell'amministrare la giustizia. Insiste sulla corruzione dei giudici che accettano gli
"iniqui doni" e che non vivono per la giustizia, ma per il denaro, parla "della vendita
della giustizia": i ricchi (giudici) sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e
finiscono per imprigionar la loro anima. E' interessante notare che Bono, che pure è un
giudice, non parla affatto di questa questione. Lotario dedica poi gran parte della sua
opera ai vizi che nascono dalla ricerca del piacere: Gola, Ubriachezza e Lussuria e ai vizi
che nascono dalla ricerca degli onori: Ambizione, Superbia e Arroganza. Bono ripete le
condanne di Lotario, ma preferisce "trovare i rimedi ai vizi".
La terza volta che parla dei rimedi è nel ventunesimo capitolo:
'~De'
rimedj che
sono trovati, che l'uomo dee usare contro al vizio della lussuria" (Tassi 1836: 83). Frai
tanti vizi generati dai desideri degli uomini, Bono si sofferma soprattutto su questo, forse
proprio perché la lussuria è "vizio naturale dell'uomo e della femmina," e i suoi interessi
laici lo portano verso l'accettazione della vita terrena e alle possibili soluzioni dei suoi
problemi morali. Bono cita Orazio (Lotario, Libro I, Cap. XVII) per sostenere che
essendo un vizio naturale non vi è completamente rimedio: "la natura discaccerai dalla
forca, ma ella sempre vi ritomerà" 28 e "né la morte, né l'amore non si puo fuggire".
Nessuno quindi puo scampare alla lussuria. Ma alla fine si persuade che ci sono due
rimedi possibili: il matrimonio per coloro che non vogliono essere casti, "per discacciare
28
Naturam expellas furca, tamen usque recurret (Epist., 1, 10, 24).
62
le tentazioni del nimico, soddisfacendo alla natura" (Tassi 1836: 83-84) e la fuga "per
coloro che casti vogliono stare". E' il caso qui di osservare che, al contrario di Lotario,
Bono include sempre frai suoi destinatari e nella società di cui parla anche "la femmina",
a conferma dell'orizzonte laico al quale Bono fa riferimento. L'orizzonte monastico di
Lotario, invece, escludeva la donna, o la considerava semplicemente fonte di peccato.
La quarta volta che Bono parla dei rimedi è nel secondo capitolo del quarto
trattato: " De' rimedj che debbono pigliare le genti sopra le paure". Come detto in
precedenza le paure principali sono quattro: demonio, carne, uomo, natura; e
secondariamente i sogni: "l'uomo e la femmina sempre debbono stare ammannati per
difendersi da loro" (Tassi 1836: 97). Ri toma a parlare della pazienza, uni ca virtù capace
di salvare chiunque e, ricorda che spesso i giusti sono tormentati ed i peccatori esaltati:
"l'uno commette il peccato e l'altro ne porta la pena; Cristo iusto è crocifisso e Barabas
ladro è liberato" (Tassi 1836: 98). Il giusto sarà sempre perseguitato e disprezzato dal
mondo, è per questo che deve avere molta più pazienza affinché possa portare in pace le
pene del peccatore ma infine meriterà la pace eterna, il Paradiso.
1 più importanti 'rimedi' sono probabilmente quelli che si trovano nel sesto
trattato. Bono offre infatti una succinta guida alla salvezza nell' esposizione · dei
comandamenti da seguire: "Qui si dice delle due comandamenta maggiori, le quali sono
principali e capo delle altre". Il primo è "Ama lddio Signore tuo di tutto il cuore tuo, e di
tutta l'anima tua, e di tutte le forze tue" e il secondo è "Ama il prossimo tuo siccome te
medesimo" (Tassi 1836: 109). Bono sostiene che bisogna rispettare i due comandamenti
principali, tutti gli altri nascono da questi, per salvarsi e poter meritare il Paradiso. Anche
qui notiamo che quando parla degli uomini c'è sempre la presenza della donna: "l'uomo e
63
la femmina, per lo comandamento primario, sm tenuto ad amare Iddio .... e per lo
comandamento seconda sia tenuto ad amare il prossimo" (Tassi 1836: 11 0).
Bono trova un rimedio ad ogni problema, cerca una speranza, una via d'uscita
all'inevitabile condanna lotariana. Passiamo in un certo senso dall'infemo al Paradiso. In
Lotario ogni essere umano è condannato all'inevitabile fatica, va ricordato il suo motto:
"meglio morire nel ventre della madre piuttosto che nascere." Lotario è prima di tutto
un monaco, ed ha quindi rinunciato per definizione alla vita terrena: nel cattolicesimo, il
monaco è membro di un ordine religioso che ha pronunciato i voti solenni di povertà,
castità e obbedienza. L'unica scelta di vita accettabile agli occhi di Lotario è la sua:
quella monacale. Entrambi si rivolgono ai laici, ma Lotario lo fa soltanto per ammonirli e
per concludere che non "valgono nulla" e che l'unica strada di salvezza possibile è
rinunciare al mondo terreno e dedicare la propria vita alla ricerca di Dio. Il messaggio di
Bono è l'anti De contemptu e il suo motto potrebbe essere: "la vita è fatica ma esistono i
rimedi!". Anche Bono si rivolge ai laici ma le sue parole confortano chi legge, guidano
ogni lettore, qualsiasi sia illoro stato sociale, a trovare il modo di vivere bene in questa
vita e a meritare il Paradiso dopo la morte. Con Lotario assistiamo alla svalutazione
assoluta di tutto quello che è terreno; egli si pone al di sopra dei comuni mortali, si eleva
al di sopra dei laici ed è quindi in uno stato superiore e separato dai mondo. Tutti gli
esseri umani devono riconoscere le vanità e rinunciare alla vita terrena per potersi
salvare, proprio come fanno i monaci. Con Bono, invece, assistiamo alla rivalutazione di
quello che è terreno, egli fa parte di questo mondo, non si eleva al di sopra degli altri,
anzi riconosce di far parte del pubblico al quale rivolge la sua opera. Scrive per consolarsi
64
e per consolare: trova i rimedi per vivere bene in questo mondo e nell'altro con il
Paradiso. Cerca quindi la salvezza nella vita terrena non al di fuori di essa.
Altra profonda differenza tra i due testi è lo stile. Lotario procede per brevi
citazioni, parla tramite autorità e infatti la miseria della condizione umana trova la sua
auctorictas 29 nelle citazioni dalle sacre Scritture: salmi spesso parafrasati, i libri
sapienzali, il libro di Giobbe e quelli dei profeti dell' Antico Testamento, il V angelo di
Matteo e di Luca del Nuovo Testamento. Una vera e propria guida alla riflessione sulla
miseria della condizione umana: "onde viene superbia a te, uomo, che il tuo
ingeneramento è peccato, il tuo nascere è pena, la tua vita è fatica, e fa pure bisogno che
tu muoia?" (la frase riassume il Cap. I dellibro III del De Miseria). Lo stile di Bono, al
contrario, è colloquiale e amichevole, guida i lettori attraverso un ragionamento, per
trovare insieme a loro una o più soluzioni ai problemi che devono affrontare nella vita
terrena. Possiamo dire che Bono quindi parla alla razionalità dell'uomo, non solo vuole
convincere i suoi lettori ma li fa partecipare al ragionamento per arrivare infine alle
stesse conclusioni: esistono i rimedi a tutti i problemi quotidiani ma soprattutto non
bisogna mai perdersi d'animo perché la vita terrena ci permette di conquistare il
Paradiso!
Lo spirito che regna sull'opera è retto da una prospettiva che volge verso un punto
di fuga positivo, Bono vuole consolare e confortare chi legge e dare una speranza di
salvezza sia in questa vita che dopo la morte. Va ricordato che Bono è un giudice e fa
parte della nuova borghesia comunale come vedremo in seguito nel capitolo sul contesto
29
La mentalità medioevale imponeva un'importanza cruciale nelle auctoritas, una forma di reverenza e di
fiducia che si riponeva nelle sacre scritture, quali strumenti della rivelazione divina: esse non potevano
essere messe in discussione, ma essendo oggetto di fede, rappresentavano oltre che testi religiosi, le fonti
più importanti per qualsiasi campo del sapere.
65
storico. La sua mentalità lo porta a cercare delle soluzioni pratiche ai problemi che si
erano instaurati all'interno del Comune e, a parer mio, sotto questo punto di vista la sua
opera di venta un vero e proprio manuale per vivere sereni.
66
/--
6. Il contesto storico
Bono, nato prima del 1240, ha vissuto le vicende del "popolo" florentino fin dal
suo primo costituirsi nel 1244 entro un regime di prevalenza ghibellina. Ha assistito a
colpi di mano di eretici e reazioni inquisitoriali, e al ricostituirsi del "popolo" per effetto
di un'insurrezione scoppiata nel1250, quando Bono aveva circa quindici anni. Ha vissuto
fra l'insurrezione, la repressione, l'esodo ed il ritomo dei nobili gue1fi, ha visto che con
l'espulsione dei ghibellini si crearono moite guerre in Toscana. E tutti gli altri numerosi
eventi molto importanti per capire la tensione che si era creata fra le classi nel XIII
secolo:
"la pacificazione fra le Parti in Firenze, la cacciata popolare del podestà del comune, le violenze
degli Uberti e l'irruzione di popolo nelle loro case ed il successivo esodo di ghibellini dalla città,
fino alla disfatta guelfa di Montaperti del 1260, e all'interruzione violenta della prevalenza dei
guelfi a Firenze, come del regime di "popolo" ormai concomitante con essa"(Romano, Vivanti
1974: 224).
Ci ritroviamo in un elima di crisi caratterizzato da episodi violenti, in cui tutti
puntano al potere e alla sopravvivenza. Bono, come abbiamo visto precedentemente, era
giudice dal1261-62 e quindi possedeva la stessa cultura giuridica dei 'giudici e notai' ed
era a conoscenza del calcolato modo di operare dei grandi mercanti. La sua cultura gli
suggeriva soluzioni più razionali e più stabili, rispetto a quelle lotariane, dei problemi
riguardanti le imposizioni pubbliche, la partecipazione al potere e la costituzione stessa
del potere nella città. Ci troviamo in un momento storico di distruzione, in cui il
"disordine" consentiva ai gruppi in ascesa sociale o in dilatazione numerica, di porsi in
concorrenza con quelli di tradizione più antica sul piano del potere" (Romano, Vivanti
1974: 225). In altre parole:
"la legislazione antimagnatizia, [ ... ] esprimeva anche l'esigenza di una repressione delle vendette
e dei colpi di mano, delle lotte antinobiliari. Un'esigenza di pacificazione civile. A Firenze le
prime norme in proposito, comprese in un costituto del comune del marzo 1281, si trovano sotto
67
~-,
una rubrica de securitatibus prestandis a magnatibus civitatis: ogni magnate, quando ne sia
richiesto dai podestà, dai capitano conservatore della pace e dalla magistratura dei quattordici
(rappresentante in quel momento i vari sestieri di Firenze), dovrà prestare garanzia di non
offendere e di non provocare offese" (Romano, Vivanti 1974: 225).
Si inizia a parlare di tutela della pace pubblica:
"Nel mese di luglio successivo i quattordici, considerando che uomini di mala condizione, usi a
vivere fra taverne e giochi, furti e assassini, senz'arte né beni propri, minacciano di sovversione
Jo stato pacifico della città e del distretto di Firenze ed eccitano anche magnati e potenti dell'una
e dell' altra Parte per provocare scandali e guerre che consentano ]oro di rapinare più
agevolmente, fanno approvare dai consigli del podestà e del capitano l'attribuzione dei pieni
poteri al podestà medesimo, perché egli proceda con pene severe contro i perturbatori della pace.
Viene costituito un corpo armato di mille cittadini per coadiuvare il podestà ed il capitano ogni
volta che turbamenti gravi della pace Jo esigano" (Romano, Vivanti 1974: 225).
In questo episodio legislativo del 1281 si coglie chiaramente un bisogno di
pacificazione all'interno del comune, e quindi della vita cittadina, di un'apposita
legislazione antimagnatizia, ma si allude anche all'esistenza di un ceto di nullatenenti,
capace di collusione con le forze magnatizie. In questo elima di tensione sociale i grandi
mercanti e banchieri fiorentini riuscirono a rafforzare la propria influenza politica in quel
comune ufficialmente imparziale, in quanto utilizzarono le Arti maggiori, da cui si trasse
dal 1282, anno in cui Bono lavorava come giudice nella curia del sesto di PorS. Piero, la
nuova magistratura dei priori, ma in pari tempo si strinsero in gran parte ai magnati di
Parte guelfa. Le agitazioni popolari favorirono la tendenza all'inserimento delle
corporazioni d'arte fra gli organi del potere, ma per qualche anno l'inserimento si
restrinse appunto alle sette Arti maggiori, a vantaggio pressoché esclusivo delle
corporazioni che attraverso l' Arte di Calimala, l' arte che su tutte esercitava la sua
egemonia economica, vennero a trovarsi in collegamento con la persistente potenza
militare dei magnati. Le formazioni artigiane non avevano più in questi anni il sostegno
delle compagnie d'armi di un tempo! Quando poile guerre in Toscana indussero la classe
politica a un più largo contatto con le formazioni artigiane, risorsero pure le vecchie
68
.~.
associazioni armate di popolo, la reaz10ne contro l'oligarchia guelfo-magnatiziomercantesca si espresse nei famosi Ordinamenti di Giustizia di carattere duramente e
dichiaratamente punitivo contro la classe magnatizia del 1293 (Romano, Vivanti 1974:
226-229). Anno in cui è lecito supporre che Bono fosse già morto: come detto m
precedenza, l'ultimo documento che abbiamo sulla sua vita è del 7 agosto del1292.
69
7. Conclusioni
Bono ha quindi vissuto nel periodo in cui a Firenze si affermava una nuova classe
sociale: la borghesia. Si diffonde una nuova mentalità, più aperta e più terrena, e allo
stesso tempo fiorisce una nuova cultura laica che per esprimersi sceglie il volgare al posto
del latino. La nuova cultura comunale trasformo e laicizzo il contenuto delle opere: cio
che per lungo tempo era stato sotto il patrocinio esclusivo della Chiesa, ora fa parte degli
interessi mondani e quindi delle nuove esigenze di una società borghese e mercantile.
Bono sentiva chiaramente i problemi che si erano creati a causa dei profondi contrasti
della società e della vita politica comunale.
Nell'opera di Lotario ci troviamo all'intemo della società feudale che:
"con la sua · salda organizzazione gerarchica, riceveva generalmente il consenso dei propri
membri, anche di coloro che ne formavano la stragrande maggioranza e pagavano il costo umano
più alto (mi riferisco ovviamente alla popolazione contadina): probabilmente il feudalesimo
offriva un modello sociale ordinato, almeno nella teoria, dotato di un senso e di una scala di
valori" (Squarotti 1994: 70).
Con Bono invece siamo all'intemo dell'organizzazione comunale:
"meno restrittiva nella base del reclutamento, che si apre ad esponenti della nobiltà come ai
membri della borghesia mercantile, e controllata da una minoranza strutturata in modo
orizzontale,[ma] non era esente a sua volta da inconvenienti assai gravi. Sei costi del feudalesimo
vengono generalmente accettati dalla coscienza dell'epoca, non altrettanto avviene con le
profonde disfunzioni della vita comunale. La lotta delle fazioni, la successione degli esili e delle
confische imposte dalla parte di volta in volta prevalente, sono all'origine di un contrasta molto
forte tra l'interessee il bene generale, espresso dalla denominazione stessa di comune, ela spinta
alla prevaricazione che sorge dalle parti in lotta fra loro" (Squarotti 1994: 70).
Leggendo questi due estratti, la situazione appare pienamente delineata: Bono, che
vive nell'Italia dei Comuni, sente un bisogno di pacificazione, di solidarietà verso il
prossimo, è per questo che nella sua opera adotta un atteggiamento cordiale e aperto a
tutte le classi sociali.
Al contrario di Lotario che porta con sé un messaggio prettamente negativo, Bono
che in cuor suo cerca un progetto di vita civile per l'Italia comunale, ci trasmette un
70
,/--...
messaggio totalmente positivo. Inizia il prologo dicendo che vuole dare "conoscimento
perché si possano consolare coloro che delle tribolazioni del mondo si sentono gravati", e
qui vediamo già l'anti De contemptu.
Leggendo Della miseria dell 'uomo i lettori vengono avvertiti delle conseguenze
negative che le loro azioni potranno avere e di come difendersi dai pericoli che assediano
la vita degli uomini, quella terrena e soprattutto quella dopo la morte. Lo scopo principale
che Bono si propone è quello di dare a chi legge dei consigli morali per vivere bene in
questa vita e per salvarsi in base alla propria posizione sociale. Come abbiamo visto
in precedenza nel capitolo sul contesto storico, nel 1250 a Firenze si instaura il Comune
del Popolo, ci troviamo in un elima di mobilità sociale all'intemo di un Comune che
funge da città-stato e con una politica autonoma: una realtà in movimento con valori ben
diversi da quelli della statica società feudale. La classe che finisce con 1' avere 1' egemonia
nella società comunale (il popolo-borghesia) valorizza il successo, lo spirito d'iniziativa,
l'intelligenza volta alla realizzazione di un progetto, l'accumulazione, il "far masserizia".
Il mercante si sostituisce al guerriero, i commerci, gli scambi, la gestione della cosa
pubblica esigono nuove competenze, una figura di intellettuale diversa dai "chierico",
una modifica delle strutture scolastiche. Esigenze di rinnovamento e di cambiamento che
trovano espressione nel trattato di Bono nonostante la falsariga del modellp lotariano.
E' sbagliato affermare che durante il medioevo si sia ignorato l'uomo: basti
pensare al valore che si dà a lui e al suo lavoro nell'età dei comuni. L'arte-letteratura è
espressione di un determinato periodo storico, con tutti i molteplici motivi che lo hanno
formato e che sono irripetibili; essa stessa percio è irripetibile; ognuno di noi è quello
/---
che è perché nasce e si forma in un certo momento storico. Né è possibile, d'altra parte,
71
/'~'
supporre di poter comprendere un'età ignorando gli immediati predecessori: non si puo
capire l' atteggiamento di Bono se non si conosce il disprezzo del mondo di Lotario. E
tuttavia la sua opera è cosi di versa perché è diversa la situazione culturale.
Per comprendere in che cosa consiste il Della miseria dell 'uomo è inevitabile
studiare e osservare attentamente il De contemptu mundi, meditare sulle scelte di chi ha
preceduto Bono (Lotario ), esaminare quindi il comportamento-mentalità di chi ha vissuto
prima di lui. "Colloquiando" con Lotario, possiamo capire Bono: è il passato che si fa
presente, che perde ogni significato imitativo e si rinnova nell'eredità spirituale che i
nostri predecessori ci trasmettono. L'antico viene rivissuto, è cultura; conoscere la
tradizione significa essere liberi di agire in modo personale. Lotario non viene imitato,
ma capito intellettualmente, e il suo pessimismo non è un ostacolo alla visione ottimista
della vita di Bono.
Vorrei infine focalizzare l'attenzione su un capitolo ben preciso, quello sulla
miseria del povero e del ricco (Ill, 11), perché è un capitolo importantissimo per capire la
sensibilità di Bono. Il capitolo undicesimo del terzo trattato mette in luce chiaramente il
distinto contesto storico nel quale le due opere si collocano. Abbiamo visto che Lotario
viveva nella società feudale e Bono in quella comunale. Quando Bono parla della miseria
del ricco e del povero, si riferisce alle classi sociali all'intemo del comune florentino,
dove la stragrande maggioranza della popolazione era formata da mercanti, artigiani, da
persone che dovevano produrre per vi vere ..... .le parole di Lotario "culpa domini, servi
pena" (Cap. XV, 1 libro) ovvero "se il signore commette il peccato, il servo ne porta la
pena" vengono sentite e descritte da Bono in maniera molto più realistica: "e sono moiti
di servigi richiesti e di fazioni gravati [ ... ] e si ne sono straziati e sono ingiurati e battuti,
72
e niuno se ne duole" (Cap. XII, III libro, pag. 57)? 0 Lotario, al contrario di Bono, non
sente la sofferenza dei poveri e ne rimane estraneo e distante.
Va ricordato che Bono non cita mai Lotario come autore, non lo riconosce, non
dice mai che la sua opera è ripresa da Lotario, ma lo rielabora, e capovolge il messaggio
negativo di Lotario fino a farlo diventare positivo. Infatti Bono utilizza la descrizione
della povertà unicamente per mostrare ai lettori che non è una cosa negativa, come
abbiamo visto in precedenza nei rimedi quando tratta la questione delle ricchezze. Nella
descrizione della miseria del povero e del ricco presa dal capitolo undicesimo vediamo
che i poveri stanno a cuore a Bono: "furono certi, che dissono: Pogniamo che le ricchezze
siano ree; io t~ vo' mostrare che la povertà è vie peggiore, pero voglio fuggire povertade e
abbracciare ricchezze, perché coloro, che sono poveri d'avere, di manicare e di bere, ecc"
(Tassi 1836: 56). Notiamo che la descrizione della povertà non viene fatta da Bono, ma è
l'opinione di "certi". Inoltre Bono sostiene, con Boezio, che: "Neuna cosa è misera
all'uomo, se non in quanto egli pensa che misera sia". Bono si trasforma in una sorta di
educatore. Prende per mano i lettori-destinatari della sua opera e li conduce attraverso un
viaggio immaginario, adoperando un linguaggio amichevole, e quando incontrano la
"miseria del povero e del ricco", vedono che la povertà puo essere una cosa positiva,
specialmente da un punto di vista morale, e affinché lo sia bisogna osservare determinate
condizioni (Cap. XII):
"a ris pondere alle cose, che sono dette di sopra, e accio che possiamo vedere certi ammonimenti,
che pongono i Savi sopra la povertade, [ .... ] perché la povertade ela ricchezza puo essere buona
e rea, si ti voglio in prima mostrare, che cose debbono essere nel povero, accio che sia buona la
sua povertade; appresso che cose debbono essere nel ricco, accio che sia buona la sua ricchezza.
30
Maria, Bendinelli Predelli. "Dame Poverty among Saints, Poets, and Humanists: ltalian Intellectuals
Confronted with the Question of Poverty", in The Sign Languages of Poverty. International Round TableDiscussion. Krems-an-der Donau, 2005. Gerhard Jaritz editor. Wien: Verlag der ë>sterreichen Akademie
der Wissenschaften, 2007, 119-148:125.
73
/---.
Appresso ti mostrerà come la vita povera è migliore che la ricca, perché ne mena al buono fine
con minore rischio, e per più piana via" (Tassi 1836: 58).
L'approccio è totalmente diverso da quello di Lotario, qui lo scrittore parla
direttamente ai lettori, partecipa e comunica utilizzando la prima persona plurale, e punta
ad un pubblico di persone che come lui si avventurano nella nuova vita comunale, che
cercano delle risposte nella saggezza della letteratura gnomica, come in una sorta di guida
al successo o a come evitare l'insuccesso ed i pericoli incombenti della vita quotidiana,
col fine di trovare la salvezza etema, qualunque sia la loro condizione sociale. Nel
mo sai co di citazioni nell' opera di Lotario vediamo che tutti sono miserevoli, tranne che i
monaci naturalmente: Papa Innocenzo III sosteneva che la vita terrena non è che miseria
dal momento del concepimento fino alla morte, e questo senza distinzione di classe
sociale, e che tutti gli uomini che desiderano le ricchezze, i piaceri, e gli onori, cadranno
inevitabilmente nel peccato e saranno puniti nei secoli dei secoli. Bono cerca di autoconvincersi e di convincere i suoi lettori che tutti possono salvarsi, tutti possono
raggiungere la salvezza etema nel mondo. E che "chi sopra tutte le avversitadi che
gl'incontrano nel mondo vorrà pensare, non sentirà mai bene che sia, perché questo
mondo non è altro che mi seria ..... ma quelli sono meno tormentati, che per pazienza
sanno le cose passare e comportare; percio che la pazienza .... tutte le avversitadi vince
(Tassi 1836: 28-29).
La novità di Bono in confronta a Lotario sta nella rivendicazione della dignità
della condizione laica, che puo anch'essa condurre al Paradiso. Come Lotario, Bono non
parla mai della condizione monacale, ma per ragioni opposte: per Lotario quella era
l'unica condizione umana non soggetta alla depravazione e alla bassezza, perché rivolta
esclusivamente verso il cielo; Bono non ne parla perché vuole riscattare la condizione del
74
."-~
laicato dal giudizio di Lotario. Stranamente, non accenna mai a nessuna figura religiosa,
neanche ai francescani.
Questa rivendicazione della condizione del lai co va di pari passo con 1' opera di
volgarizzamento delle opere latine: Bono vuole offrire ai laici l'accesso al sapere che era
fino ad allora appannaggio esclusivo dei chierici o di un gruppo molto ristretto di laici
(giudici e notai). E' lo stesso programma di Brunetto Latini che scrive il Trésor (il tesoro
della sapienza), la sua enciclopedia, in francese, e il Tesoretto in italiano, è lo stesso
programma del Convivio ("banchetto della conoscenza") di Dante. L'inizio stesso del
Convivio parla di amore della conoscenza a cui hanno diritto anche coloro che "in ozio di
speculazione esser non possono" perché impediti dalla "cura familiare e civile, la quale
convenevolmente a sé tiene de li uomini lo maggior numero":
"Si come dice il Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti gli uomm1
naturalmente desiderano di sapere [ ... ] La ragione di questo puo es sere ed è che ciascuna
cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione,
onde, accio che la scienza è ultima perfezione della nostra anima, ne la quale sta la
nostra ultima felicitade, tutti naturalmente a suo desiderio semo subietti." (Convivio,
Cap. I).
Nelle parole di Cesare Segre:
"Brunetto e Bono, insomma, scelsero il loro materiale didattico guardando a un
pubblico di commercianti e banchieri e piccoli imprenditori, abbozzando una dottrina
morale che favorisse, invece di ostacolarla, l'attività civile. ( ... )Dante, che fu il primo a
circondare di un alone mitico la sua attività di scrittore, non cita mai il più modesto Bono;
eppure a lui si sarebbero in parte adattate le enfatiche espressioni del primo libro del
Convivio. A lui ch'è forse il maggior prosatore toscano del Duecento" (Segre 1968:
XXVII e XXIX).
Bono da un lato condanna, come aveva fatto Lotario, tutto il sapere umano come
vano ma dall'altro considera l'aspirazione al sapere (l'amore perla conoscenza) come un
dono naturale dell'uomo e il tutto paradossalmente all'intemo della stessa frase: ""La
prima, cioè per essere savio delle cose, avvenga che sia fatica vana, si è molto vaga e
75
naturale all'uomo e ciascheduno vi si affatica volentieri; e pero disse un Filosafo:
Naturalmente disidera l'uomo di volere imparare. E uno Savio disse: S'io fossi si presso
alla morte, che già tenessi l'uno piede nel sepolcro, ancora s'io potessi mi penerei
d'imparare" (Tassi 1836: 35). Bono si avvicina ai suoi contemporanei e sceglie la ricerca
del sapere per celebrare l'incoronazione della natura umana.
Inoltre, estremamente importante per capire la concezione del sapere che
SI
perfeziona e diventa simile alla conoscenza divina, quindi perfetta, in paradiso, è il III
capitolo del VII trattato in cui Bono parla delle facoltà dell' anima, che riporto qui:
Ora ti vaglio mostrare come stanno le sediora vote in questo mondo e come
s 'adempiono in paradiso, e di /oro potenzia.
Le potenzie dell' anima sono tre, si come immaginare e lavorare e desiderare.
Per la potenze ch'è nell'anima d'immaginare, non resta mai in questo mondo di
volere imparare, e pero si diletta in udire e vedere cose nuove, accio che immaginando
l'appari, credendosi di potere empiere di sapienzia. Ma no.lle vale niente, perché non fue
anche niuno che potesse sapere tutta la sapienzia del mondo; ma l'uno è savio d'una cosa,
e l'altro è savio d'un'altra. E uno solo uomo non puo sapere cio che si sa nel mondo per
tutte le genti. Ma pogniamo che per uno uomo tutte le cose che nel mondo si sanno si
potessero sapere, non sarebbe ancora piena l'anima di colui, perché dice la Scrittura che
la sapienza di questo mondo è quasi una mattia appo Dio; ma nel paradiso s' adempie la
potenzia ch'è nell' anima dello 'mmaginare, perché l'è tanta sapienzia data, quanta ella ne
puo ricevere, e pero si riposa, e non va più inanzi per sapere. E avena che la sapienzia di
Dio è via più che non ne riceve l'anima, perch'è è tanta che non si potrebbe contare, pur
questo interviene da che l'anima è piena, e più no ne riceve, si si riposa, e non si pena più
d'aparare. E l'anima e gli angioli che sono in paradiso, catino riceve della sapienzia di
Dio, chi più e chi meno, secondo che più beato si trova, e in maggiore ordine, e in più
perfetto luogo." (Segre 1959: 251 ).
Bono trasforma il pensiero del De contemptu mundi e quindi si distacca
totalmente dal pessimismo che regna sull'opera. L'insegnamento morale del De miseria
lo porta dall'infemo lotariano al paradiso per trovare una rigenerazione morale: un ritomo
verso la saggezza e verso Dio ma da un punto di vista laico. Non è più l'uomo peccatore
che si allontana da Dio ma è l'uomo che cerca di trovare una soluzione giusta da un punto
76
/~',.
di vista morale laico. E' importante tenere in considerazione che è proprio la rilettura del
De Consolatione di Boezio che porta Bono a trovare la "consolazione" finale: un'autorità
quindi non biblica, che fa appello alla riflessione umana e rappresenta il ricorso alla
saggezza trasmessa dalla filosofia classica. Il discorso di Boezio si accorda con la
rivelazione cristiana ma parte dalla ragione, quindi un punto di vista umano e laico.
Anche Brunetto Latini inizia il Trésor rimandando al De Consolatione: "Pour çou dist
Boesces el livre de la Consolation" (I,I). E sarà poi Dante che affermerà nel Convivio il
ruolo di Boezio come maestro di spiritualità: "e misimi a leggere quello non conosciuto
da moiti libro di Boezio, nel quale, cattivo o discacciato, consolato s'avea" (II, XII, 1-2).
E nel canto X del Paradiso ai versi 124-130:
Per vedere ogni ben dentro vi gode
1' anima santa che '1 mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode:
lo corpo ond' ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro ; ed essa da martiro
e da esilio venne a questa pace
"Perché vede Dio, che è la somma di ogni bene, dentro quella luce gode, è beata,
1' anima santa di quel Boezio che, a chi sa ben comprendere la lezione che viene dalla sua
opera, dai suo libro (a chi da lei ben ode) rivela, manifesta la fallacia dei beni mondani: il
corpo, dai quale l'anima fu cacciata con violenza (Boezio fu fatto uccidere da Teodorico),
è sepolto (giace) nella chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, ed essa giunse a questa
beatitudine celeste direttamente dai martirio e dall'esilio terreno".
Bono anticipa quindi la visione di Dante che in questi versi parla di Severino
Boezio, patrizio romano, prima protetto e poi sospettato di tradimento da Teodorico che
lo fece uccidere nel 526. In prigione scrisse il celebre trattato De consolatone
philosophiae, che fu testo molto amato e studiato durante il Medioevo.
Concludo il mio studio affermando che è 1' accesso al sapere che segna la maturità
della nuova classe sociale; e questa nuova classe sociale non vuol sentir parlare di
77
rinuncia al mondo; al contrario, cerca una legittimazione anche morale e religiosa del
proprio posto nella società e una valorizzazione della propria attività: è in questo che
l'opera di Bono è 'organica' alle esigenze della borghesia emergente nel Comune
medievale.
/~-
78
r~
8. Tavola delle fonti
79
Bono
1 trattato: Miseria dell'uomo e della femmina
dall'ora che è creata fino alla nascita.
1.
Lotario
LIBRO PRIMO Cap.I. De miserabili humane
conditionis ingressu (Io sventurato ingresso della
condizione umana)
Cap. III. De conceptione infantis.
Della miseria, ch 'è ne/la creatura ne/la
sua creazione, perché nasce nef peccato
originale.
II. Della miseria, che è ne/la creatura, per la
viltà della cosa onde è fatta.
Cap. II. De vilitate materie de quaformatus est
homo.
III. Della miseria ch 'è nella creatura per la
cosa, onde si nutrica e cresce nef ventre
della madre.
Cap. IV. Quali cibo conceptus nutriatur in utero.
Cap. VI. De dolore partus et eiulatu nascentis.
IV. Della miseria ch 'è ne/la creatura per le
pene, che dà alla madre stando nef ventre,
e per quelle che le dà nell 'uscita, che fa
nef mondo.
Cap. VIII. Qualem fructum homo producit.
V. Della miseria ch 'è ne/la creatura, che
neasce nef mondo, per la viltà della cosa,
a che assimigliata per li Savi.
II trattato: Miseria dalla nascita alla morte: il
dolore.
1.
RIPRESA DEL Cap. VIII. Qualem fructum homo
producit. Cap. VII. De nuditate et vestitu
nascentis e Cap. VI. De imbecilliate infantis
Delle doglie e pene, che soffera la
creatura incontanente ch ' è nata in questo
mondo.
Cap. XXVI.
egritudinum
II. Delle doglie e delle tribulazioni e delle
pene, che so.ffora la creatura da che va
innanzi co' di suoi.
Quod innumere
sunt species
Cap. X. De incommdo senectutis
III. Delle doglie, pene e miserie, che soffera
la creatura dell 'uomo e della femmina
ne/la .fine della vita, cioè ne/la vecchiezza.
Pietro di Blois De duodecim utilitatibus
tribulationi/
IV. De' rimedi, che dee pigliare l 'uomo in su
le tribulazioni, e de' beni che ne incontra
a colui, che i rimedj serva. E del primo
bene.
Cap. XI. De lahore mortalium (in parte). Pietro di
Blois De duodecim utilitatibus tribulationis
V. Del secondo bene, che nasce all'uomo di
portare le tribulazioni di questo mondo in
pace
1
Petrus Blesensis, De duodecim utilitatibus tribulationis, in
J. P. Migne, Patrologia Latina 207,989-1005
80
VI. il terza bene. Portare le tribolazioni in
pace. Se non le porta in pace da Dio non è
meritato.
Cap. XII. De diverso studio sapientum (in parte).
Pietro di Blois De duodecim utilitatibus
tribulationis.
III trattato: Miseria dalla nascita alla
morte: la fatica.
Introduzione
LIBRO SECONDO
Cap.I. De culpabili humane conditionis progressu
(il colpevole sviluppo della condizione umana)
Libro 1.12. De diverso studio sapientum (in parte)
1. Delle fatiche per divenire savio delle
cose, e come da sezzo tornano a vanità e
a nul/a.
II. Il trattato della seconda fatica, cioè delle
ricchezze. Pongonsi i Capitoli sopra i
quali si dee dire, e mostrasi l'ordine, che
dee te nere. 2
III. Delle fa tiche, che soffèra l 'uomo per
Cap. II. De cupiditate.
divenire ricco d'avere.
IV. come le fatiche per diventare ricco
d'avere s 'alluogano male, perchè le
ricchezze sono fa/se e vane, e ritornano a
nul/a.
Cap.VIII. Defalso nomine divitiarum.
V. come colui, che vuole diventare ricco, si
Ripresa del Cap.II. De cupiditate. E
Cap. XVI De proprietatibus avari.
si fa cupido in accattare, e avaro in
ritenere. E in prima veggiamo del vizio
della cupidigia.
VI. Del vizio dell'avarizia, il quale è in
ritenere, e non in ispendere.
Cap. XVI De proprietatibus avari. Cap. XV Cur
avarizia dicatur servitus ydolorum.
Cap. VI. De insatiabili desiderio cupidorum.
Cap. VIII. De falso nomine divitiarum.
Cap. XIV. De avaro e cupido.
Albertano De amore et dilectione dei et proximi
et aliarum rerum et de forma vitae III, 1 De
acquirendis et conservandis opibus e III, VIII De
opibus utendis et eciam contempnendis. 3
Cap. XI. De licitis opibus (prima parte) e Cap.XII
De incertitudine divitiarum
VII. Pongosi certe ragioni perché l 'uomo non
dee essere cupido, né avaro.
3
Albertano da Brescia, De amore et dilectione Dei et
proximi et a/iarum rerum et de forma vitae, in S.L. HILTZ,
Albertanus Brixiensis: De amore et dilectione Dei et
proximi et aliarum rerum et de forma vite. An edition (Latin
Text), Diss. University of Pennsylvania, 1980, University
Microfilms International (edizione elettronica curata da
Angus
Graham,
consultabile
sul
sito:
http://freespace. virgin.net/an gus. graham/Albertano.htm)
81
VIII. Qui si prova apertamente perché il
cupido e 1'avaro non si sazia.
Cap. VII. Quare cupidus satiari non potest.
IX. Qui si po ne co/à ove 1'uomo dee far
tesoro in questo monda, e di che cose.
Cap. X. De iniqua possessione divitiarum.
X. Fassi questione, alla quale si risponde
come puote essere di moiti, che, essendo
ricchi d'avere, sono stati santi appo Dio.
Cap. XI. De licitis opibus.
XI. Pongosi certe cose, laonde pare che
siano migliori le ricchezze, che la povertade.
Libro 1.16. De miseria servorum et dominorum e
il Cap. 17 De miseria continentis et coniugati
XII. Che cose debbono essere ne/ povero, a
valere che sia buona la sua povertade.
XIII. Che cose debbono essere ne/ ricco,
accio che la sue ricchezze siano buone appo
lui. E prima veggiamo come le dee sapere
guadagnare.
Albertano De amore et dilectione dei et proximi
et aliarum rerum et de forma vitae. III, II De
conscientia bona in opibus et inopibus rebus e
De am. III, III De bona fama
XIV. Come l'uomo ricco le sue ricchezze dee
sapere spendere ed usare.
Albertano De am. II, 1 Unde oriatur amor et
qualiter e III, VIII De opibus utendis et eciam
contempnendis
Albertano De am. III, VIII De opibus utendis et
eciam contempnendis.
XV. Come 1'uomo che è ricco dee le sue
ricchezze sapere conservare e ritenere.
XVI. Pongosi certe altre cose, che dee
1'uomo ricco avere in sè, ac cio che siano
buone le sue ricchezze.
Albertano De am. III, VIII De opibus utendis et
eciam contempnendis.
XVII. Come 1'uomo ricco dee essere cortese,
e come de' usare la cortesia.
AlbertanoDe am. I, nDe locutione et cohibendo
spiritu et Zingua cohercenda e De am. II, VI De
amicitia loquacis vellingosi.
XVIII. Qui si dichiara perché la vita pavera è
per li Savi detta beata, e più perfetta e
migliore, che non è la ricca.
XIX. De' desiderj della carne nasce il vizio
della go/a, e quello desta lussuria. Dicesi in
prima de' desiderj della gola, e del male che
ne segue.
Cap. XVII De gu/a e Cap. XVIII Exempla contra
gulam. Cap. XIX De ebrietate
XX. Delle fatiche del seconda VlZlO della
carne, cioè di quello della lussuria, e del
male che ne segue.
Cap. XXI De luxuria
82
XXI. De' rimedj che sono trovati, che 1'uomo
dee usare contro al vizio della lussuria.
Cap. XXII De generalitate luxurie
Cap. XXIII De diversis speciebus luxurie
Albertano De am. III, VI De luxuria et luxurioso.
XXII. Qui si vede delle fatiche delle signorie
e degli onori, e ponsi il male che ne seguita
all'uomo.
Cap. XXIX Quod brevis est et misera vita
magnatum
Cap. XXXIII De abhominatione superbie
Cap. XXI De luxuria e Cap.XXX De diversis
proprietatibus superborum
XXIII. Del vizio della superbia, che nasce
delle signorie degli onori.
Cap. XXXI De superbia et casu Luciferi
Cap. XXXII De arrogatia hominum
Cap. XXXIII De abhominatione superbie
XXIV. Del vizio della vanagloria, e del male
che ne seguita.
IV trattato: Miseria dalla nascita alla
morte: la paura.
1. Qui si pongono i quattro nimici, onde in
questo mondo nascono le paure alle genti, e
le paure della notte.
Libro 1.24. De terrore sompniorum
Il. De' rimedi che debbono pigliare le genti
sopra le paure.
V trattato: Miseria dalla nascita alla
morte: la morte.
1. La morte naturale.
Libro 1.9. De brevitate huius vite
II. Come l'uomo è tenuto d'amare Iddio, e
che cose egli è tenuto di fare per quello
amore.
VI trattato: Miseria dopo la morte (pene
dell'lnferno).
Le mi serie e le pene che sostiene 1'anima
dopa la morte.
LIBROTERZO
Cap. 1. De dampnabili humane conditionis
egressu (la condannabile uscita dalla condizione
umana) descrive l' Apocalisse, il momento della
morte e delle pene infernali
1. Qui si dice come l'uomo e lafemmina, che
muore senza la fe de va in iriferno, e quale è la
83
fede nostra, e che va in inferno colui che la
comandamenta di Dio non osserva. 4
Il. Qui si dice delle due comandamenta
maggiori, le quali sono principali e capo
delle altre.
III. Come l'uomo è tenuto d'amare Iddio, e
che cose egli è tenuto di fare per quello
amore.
IV. Come l 'uomo de' amare il prossimo suo,
e che cose egli è tenuto di fare per quello
amore.
V. Delle tre comandamenta minori, che
s 'appartengono ad amare Iddio.
VI.. Delle cinque comandamenta minori, che
s 'appartengono a adattare l 'uomo ali 'amore
del prossimo.
VII. Pongonsi i Capitoli sopra la materia
che seguita, che è dell 'uomo dopo la morte. 5
~-
VIII. Qui si mostra in quai luogo è il
Ninferno, e in che modo è disposto.
Cap. VIII .. De diversis penis inferni
IX. Mostrasi in quanti modi l'anima, che va
in Ninferno, è tormentata, e di che pene e
tormenti.
Cap. IX. De igne gehennali
X. In che modo l'anima, che va in Ninferno,
per li pensieri è tormentata.
Cap. XII. De diffidentia dampnatorum
XI. Risponsione a certi detti, per li quali pare
che si provi, che Dio non si cruccia col
peccatore eternamente.
Cap. XIII. Cur reprobi numquam
liberabuntur a penis
XII. Provasi per moite autorità che Dio si
cruccia col peccatore eternalmente.
Cap.XIV. Testimonia de suppliciis
eternalibus
4
L'unica volta in cui papa Innocenzo è nominato, compare
una citazione che riassume il suo pensiero ma non
corrisponde ad alcun passo preciso (o non sono stata in
grado di trovarlo) non deriva da Lotario (da dove?)
5
Capitolo strutturale con funzione di indice.
84
VII trattato: Beatitudine e gloria del giusto
che va in Paradiso.6
1. [Introduzione: 1'ordine che dee te nere, e
come è disposto il Paradiso}.
Il. Della beatitudine e della gloria delle
anime, che vanno in Paradiso.
III. Delle potenze dell 'anima.
IV. Della potenza che è nell'anima del
lavorare. E perché nef mondo s 'affatica sanza
niuno riposo; e come si riposa in Paradiso.
Della potenza ch 'è nell 'anima del
desiderare. E come in questo mondo sia
vuota, e non si sazia, e nel Paradiso
s'adempie.
V.
VIII trattato: il Giorno del giudizio. 7
1. [Introduzione: l'ordine che dee tenere, e
che cose debbono essere innanzi che il detto
divengaj.
II. Come nef di' del Giudicio si de' disfare
tutto il mondo.
Ill. Qui determina brevemente de' quindici
segni, che andranno innanzi al Giudicio.
IV.Come nef di' del Giudicio debbono
risuscitare le anime. E come saranno
esaminate, e sopra /oro si darà la sentenza
6
Non deriva da Lotario (Segre indica l'Elucidarium di
Onorio di Autun).
7
Secondo Paolo Divizia deriva da vari capitoli del terzo
libro di Lotario, ma il cap. VIII, 3 dell'edizione Tassi è un
capitolo spurio che compare soltanto in un ramo basso e
infido della tradizione; è un brano del volgarizzamento A
della Legenda Aurea. P. Divizia, I quindici segni del
Giudizio: appunti sulla tradizione indiretta della Legenda
aurea nella Firenze del Trecento, in Studi su
volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P.
Rinoldi e G. Ronchi, Roma, Viella, 2005, pp. 47-64.
85
.~
9. STORIA DI FIRENZE: CRONOLOGIA
http://www.dssg.unifi.it/SDF/cronologia/secoloxiii.htm
SECOLO Xlii
A cura di Enrico Faini, con la collaborazione di Marco Bicchierai
f
!Accorda d~i fi~ren~ini
:?~
gli Ubaldini.
-_---·····,!Fi.·:
[Pagane.lloda..F>orcari.èiï··-p;:ïn:;c;·pc;aë51àtô.·rëstiero····-·
. ....
. ' ...· apparentemente scelto d~_i fiorentini.
......
.
,..__ _............._ ..........._ _, ~ fCOstitUZiOne"dewf\~të~a·e;TMerC8t8rlti.---·----, .------~
[1201 marzo 29
f!Accordo trafiorentini e senesi.
--·~
f
[fioreïlfuïiëlistru99o.noiïCaStëïî·a-d~ic~o~m~··t,iate:--~
- - - - - - - - - , . ~ llmposizione della libra.
~io·2
..apriïe3_ ..______ [P~
.------
no Semifonte.
f 1 fiore~tini si ~lleano con Mo~tepulciano contra Siena. i
,................................_...........................- .... rfill~~;~f~~otra-Firenze.ësiëna···sullaquestionë_dei...... ; ··············---·----···
r-i1-20...:...4~g-iu_g_n_o_3_ _ _
r
siena
Nel trattato con
cÔmpaionoTconsÔii delle
nuove Arti: della Lana e di Par S. Maria.
fE. .
1
1 fiorentini sono i.m
. p. eg···n·a···t.. i. in una lotta contra Guido
Borgognone degli Alberti e i pistoiesi. Guido si
sottomette. Fondazione di Montelupo in opposizione
al castello di Capr(iia ~egli Alberti.
. riEpiscopatodi
r··-·--·-·--·········-···..···-········..··--·-···
re
Gi~vanni da Velletri.
[Vië"necoslituita"i;;\rtë"ëlëï"ëamb.io.·······-·············
r
La magistratura deii'Opus Pontis cura la
manutenzione del ponte suii'Arno e l'affitto delle
botteghe.
11201------.
[iT jviene terminata la chiesa di San Miniato al Monte.
[12o7---..-·------~ f
20
[F>Oëlestàtore.stiero: Guifredotto Graselli da Mila_n_o_.~
IP;.•.·
1. •
ntini vincono l'esercito senese rinforzato da
ni e pistoiesi a Montalto.
entini sconfiggono i senesi.
86
.~ . 11208
ott~~~~ 6
209
u
.f !T~;~ttat~ di p~c~ tra Firenze e Sien a.
fli. r-aocum.elltaia.ïariazza.Cii.or5aï1micheïe~---
~~~~~f
fli[E'dûc~
~;.;....-~;.;._;.;._;.;._~··-~.!Di
.
mato il Lungarno tra il Ponte e la foce del
1 ' MUQJ1()ne.
r--------fiPodestà Ro~olf~ conte di Capraia.
''""~nPmP-"~~~~~mmn•-•
p
8
rs-
11218/1219
tini conquistano il castello di Mortennano
andolo agli Scorcialupi.
87
·r·
1fiorenti~i-Od~rigo Fifanti e Mosca Lamberti sono
' presenti all'incoronazione di Federico Il a Roma.
' Contesa, in tale occasione, tra gli inviati fiorentini e
. quelli di Pisa.
1220 novembre 22
:11~~1
(inizio)
~~---. f
1221
11221
. . . . f[Bando imperiale contro i fiorentini.
jPodestà il perugino Bombarone·-..~..---~~---
r
a~rile
~~~ti~~r;1~;;~~ ~r~~;~~~~~:~i:e~cardinale e legato ~------
fP
ni di Poggibonsi stipulano con i fiorentini
J 1un'all1earlza difensiva e offensiva .
lio 10
.
· -·---·-- . . . .
t-~~~nove~-~re·a·-····fü!
11222.
1 , ~~~·u~ lio
r
.[Pf"""""""----~-----~----··--
17 ... -.~
r""""'_ _;_;_l_;_;_ie_;_;_ri_;_;_f_;_;_io_;_;_re~n~t~in-i~m-u-o-vo_n_o""'""""p_;_;_er_;_;_a_i_u~ta_;_;_re""'""""L-u-cc-a-co-n-t-ro
'[1222ï_u_giio-21. . ····--- [P·:
orentini
vincono-iPisani-aCaste-lëiël8osëO·.·--~
r··-----........................
fi~o~:~t~ Gherardo Orlandi.
j1223
1223
·----~----~----
. . .,r•. ~:~~i~:~.slo:~:~~;~f~~:~~~~~~~·~ ~~~~~::~:;f~~~;:~; acquistano altri castelli nel contado per il controllo
i elle strade.
f
tà lngerramo da Magreto.
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1
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[1224
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~p~""·=~--=««---~-~-r---'-""'""""=««««
~~~-f
[Ur-F-ra_;_;_·-la_;_;_c_o_p_;_;_o_,-fr-an-c~""e-s_;_;_c_a_;_;_no_;_;_,_o_r_n_;_;_a_;_;_d_;_;,i·m--o_;_;_s_a-ic-ia_l_c_;_;_un_;_;_e""'""""p-art-i
del Battistero.
1
------ -----~"P- [P"üCïestiliTromano"GüiCïo-·drGiovanr1T'di-<3ükio~Pape....:
'
~~-26..............
ru.
1
••
•••••
''
lnizio dell'insediamento dei francescani presso
1Croce~
"'1.;_;,2_2_7~-""'""""---..-. [P- [Podestà Guido de ~~na~terio.
[1228_________ f
N••
s_
•
1"........._______ ..__ ~----·..-·-------
0
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""'""""---
nd rea Jacobi.
.----·. --.---·-
~ Il papa accorda il trasferimento della sede episcopale '
1 . da
...
Fiesole
a Firenze.
..
.
,----'------..-'-'--·· -----------·· · --.. . . . . . . . . . [P" fFirer1iëïnüüv:ë·c:c;ïltrü-P:i5toia
. ~------.
f
..
Santa Croce risulta già edificata.
j.-1-2-2-~_-a-u-tu_n_n_o_.- - - f ~~i~:~_:E!_costringe Pistoia a~~~~ pace umiliante.
229
I"P
IDr.r~ ...,+., Giovanni Bocca cci.
88
r·----·-·--·...·---·---------..-·--·
~~-.
·r··Fi;~~ze,
1229
Pistoia, Lucca, Arezzo, Orvieto e
M.ontepulciano contra Montalcino, Cortona, Pisa e
.. S1ena .
......
--------
.--~~~---------~
[Fil fL:;eserëiiü'fiorenti.no..en.irainte.r.rita-,.-i-o_s_e-nese~------
.--.. . . . . ----::-::---IPl.·
, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .~.-· .. ······«««•«•«««•:
etramento dei fiorentinL 1 senesi si
padroniscono di Tornano.
1 1
,.......---------.
fjj~od:~t~il.mila~:se Otto da Mandello.
'1-2-30
......-(. c......i.r_c_a_)_..............................
re·· r~:~;!~~n~:.e"e G-e-sta. ï=ïorentino-ru_m_.aeï·ë-ronista-··
fP , [Scorrerie senesi int-er-ri-to-rio-f-io-re-n-tino.
...--......;_,_______ JP ji
,.......---------
fior:~tini in m~~~ia contra Siena.
JP 11 fiorentini vincono sottole mura di Siena. · · - - - -
~ 230~state
JP [1 fiorentini strappano ai senesi il castello diSelvole.
-
,;-;-_;__-------
1231-1w--·~--f1Episcopato diArdingo F?r~boschL
j1231-12~2
JP iPodestà Andrea J~cobL
.---------r
[Pli fio·r··e····n· ti···n· i e i lucchesi, alleati, sono sconfitti dai pisani
l i a Bar~ct
1 fiorentini si spingono in territorio senese fino a
,...-----Quercegrossa, ma subiscono una sconfitta sul fronte
!pisano.
JPIL'impe~~~?re cita ..i~_giudizi~ i fior:ntinL
,--·-------[P. . ~nche il p~pa i.nvit~ i fiorentini a una paciticazione
con senes1 e p1san1.
1
'
,----------r
., ' '
'
'""''
"'"
. rü-[A-'Firenze un incendia sviluppatosi dalle case dei -···lcaponsacchi devasta il Mercato Vecchio.
11 tribunale imperiale condanna Firenze a una multa
enorme e avalla la guerra di Siena contra Firenze a
scapa di risarcimento.
,--....-......;___ __
JPrPodestà Torello de Strata.
----rE'·· r.A:·Fi-renze si co~ pila no re~istri ~e!la..po~ola~ion.e····e si .:
[
,;-;--_ _;___;__....;___;___ _ f j
laccerta la cond1z1one degh uom1n1 (servi o hben).
;
!' fiorentini si ~ccampano pres~o Siena.
,...--------.
~~-.: f~d-. . esiè . ilrama. no.Giov.anni·G·i-üdici~ ..................._
..........]
lr1:. .;.2:. .;.....~4-:...;.d_ic:...;.e_m_b:...;.r_e:...;.2_5_;___;f g~r~r~~~dio devasta la zona di Santa Felicita in
~~,;-;----......;_......;_~
f j ~-tà_i_l_m_a_n-to_v_a_n_o_C_o_m_p_a_g_n_o_n_e_d.-e-i_P_?_Itr_o_n_L_ ___,
f1235
·---~. JP !Pace con i senesL
'11-2-35----·-.- -
r.. . .;_____
----~~~~--~
...
~----~
!comincia la coni~zio~e del fio~i~o d'argenta: va lore
~~~~~~==~-~==---==---~~~
89
R · Il monastere di Settimo passa ai Cistercensi di S.
1
Galgano che si insediano anche a S. Frediano in
Oltrarno.
arzo-apr~ fp Cacciata del p-odestà-Guglielmo Venta; eletto
r
[
Rolando Rossi, vicino all'imperatore.
~alando Ugonis Rubeus diParma.
ICeiTIDireggio-
fP: Podestà il milanese Rubaconte da Man-de-1-lo-,-----,
antiimperiale e contrario al vescovo Ardingo: ....
·--;· .... _.. c~s~rÜ-i~-~;:~=~~~~~~Üta~~nd-t~-~~~~~~e-à-.aÏiË~. ---..~...... -....... r ...............- - - - - - - - ·
1 .·
r·····............_ _..............- ............................. [~-
n
1237 giugno
Firenze interviene nelle contese che a Pistoia
oppongono il popolo alla nobiltà. Prende le parti della :
:
..... nobiltà e impone due podestà fiorentini.
[Firenze invia truppe a Roma in appoggio a papa
,------1
jGregorio in rotta con la popolazione cittadina.
.---------fP:
~
Federico Il batte i comuni a Cortenuova. 1deb. itori
esterni dei fiorentini non pagano: grave crisi
finanziaria.
'''
1237 (fine)
''
'
,,,.
'
E
acciata di Rubaconte da Mandello. Si insedia a
irenze Gerhard di Arnstein, funzionario imperiale.
1238 (2° semestre)ffodestà Angelo Malabranca-··--·
[P: Nuova insurrezione a Firenze in occa. s. ione della
f238 dicembre
;[ . . . .
..
l
f123a.ctiëëmïlrë··················-·
11239 (1° semestre)
f·:
'f-
1239
--j
~~~:;~~~~~~~;~~~~r l'anno successive. Le lotte
1
~~;~iï~;~~nie5ta-Ciisirü~eëîëiîa-ctïië5a . Ciië5rsan--..
r
- Guglielmo Usimbardi.
liT
90
.------~
·f1239j~~r
.•. . .
r
·····----------....-----···················-·---···· ..............................................
rR·;
,
__ ,--------······.................................
Umiliati si insediano nel convento di San Donato a
;:.:...;..=======--[R-'Is-t=itu=z=io=n=e~;;;...:..de=l=la=M=is=e=ri=co-~r.=d.~ia_V
__ecchia.
r - - - - - - - - - - f ~està Ugo Ugolini da Città di Castello.
11241 ·a···P···r·ile
---fPl
.. !Re Enzo figlio de.l. l.'.im. peraton3Federico Il soggiorna
1 1 per una decina di giorni a Firenze.
;;;.11-24-2==-==-fjscontritra guelfi e ghibellini in
r
11~42
citt~.
~~1=24=2-g-iu=g=n=o==~-fr--------=~=~--==--===~~====~
~-
.
,.-----~
~:~--~- -r~~àï~~~~~~
,. . . :. . :. ._ _:_ _ _ _ _ ._ _ r
fPl Prima organizzazio.ne del Popolo in parte politica
retta da due Capitani.
1
.
.
~~~=ftà-iT-parm~ns-ësë-rn-arCiiïïoCiiorïal'lCioCiêi
__ .......~.
-f!Si insediano a Fire_n_z_e_iT-e-m-pl-a-ri-.
__. .
.----==--·-f[Pietro ~-~Verona (san
··-r
,------..- -
Pier~artire):~ Fir:nze.
lstituzione delle compa-gnie del Bigallo, della Vergine .
Maria, dei Laudesi di Santa Maria Novella per opera '
• di San Pier Martire.
!
Fra' Ruggero Calcagni, domenicano di S. Maria
..-------, Novella, è inquisitore con giurisdizione su tutta la
• Toscana.
;;.:.1=2-4-4====-~ [R
1
r
1
r,1-.~-~-s===--- f
1245 estate
IPodestà il
be~~amasco PacePeSami~ola.
1 domenicani e il vescovo si sollevano contro il - -•.----...------"""'1
governo della città, ma il podestà ghibellino, con
grande concorso di popolo, ha la meglio.
!124ii;-:477~-~-f
IPl__ ~~~~~~~~~e~nt;o~p~e~r~il~c~o~n~ta~dto~fF~io~r~e~nt~in~o~.~ll~n~u~o~v~o-r=·--------=~1
1.:
· j1246
247
~~~gio 19
·
·
·
opolo.
-fiMuore la beata Umiliana de_iCerchi.
IP 1Fio.r...ên
. . . ti.ni···presentineïf"ëSerc"iio-diFedericô.·----.. . .
____ L__ ;~·~n!iochia contro Perugia e L~cca. ..
j1247_magQI03_____
[R .
--. f
1124~~b;;~-
e del vescovo Ardingo.
~i ~~~=-~-u=el-fi=:-g-h=i=be=l=lin=i-in-c=itt=_~=_.__- = = - guelfi escono dalla città.
91
!Ul
. . . . i Se~i ~i Mari~ co~inciano 1~ costruzione della
1
J Sant1ss1ma Annunz1ata.
F------------"---------------"'--[Ul!~~~t~uzione del BargeÎTo·--.------"------------------1.1...2. . 5.. 0.. o··t·t·obre
2o
-ri
r
1
!12:s<imi11_ _ _ _
r251-1274
j1251 gen naio-7-~
1ghibellini hanno-iapeggio com-battendo a-F-ig-li-ne--,.-----
~~~~r~~~lfi fuoriusciti. Il Popolo organizza un proprio
F!lippo ~ontana, già vescovo di Ferrara, è vescovo d i : , - - - - - - - -
rrfiïPKïPc)IOfiOrënt:iOOrichiamaiQïueifi
~r-----~: ~.:
. . . . . . . . ___ ;;.,,. _.:. . . .
11252
1
~~------"""'"---·-··""-------··"··'"'--·--·---'""---~'-
fe~braio 9 ..
252 luglio 2
[1252r1ëvêï1lb"re
11253 gi~gno 20
contra pisani e senesi a Pontedera.
·lE; jconiatTitiorinT d'oro.
fP
...
. _-i
-a-pp_o_g_g-ia_t_i
11254 febbraio 1
_. fP !Pace trél j=>i~t~ia e Firenze..
11254
_______ JIP-···-·
I'F~ir-e~nz-e~-~a~t-te~ p~i-~t-o-ie_s_i_
9ïU~rï-ë_F
_d_a_s_e-ne_s_i~e-p~is_a_n_i.
r--~"-~-~
[raëë-c:ür1-siër1a·~---
·[1254estatë·-~--[P-fPresa di Volterra e di PüQgibërï~-·
j1254dicembre 11
imavera
fP !Pace con Pisa:
~
... 'P-re_s_a_d_a_i-fi-o~re-n-ti-n-i,-P-o-g-.g.-ib_o_n_s_iè-o-b-bl-ig-a-ta_a____ , - - - - - -
! ..
~~~~~ lu~ li() 31
1·1-255········ ...............................................
emolire parte delle proprie mura.
fP jAIIeanza con Sien a.
,u.j
llt,~!~~=~~~struzionedel···palazzo.ëiëï.ropola:···i)üidê-tiü····
[1256~---~----- fR-I(31i Url"]iliélti E!ntrano nel convën"to di Ognissanti.
11256
....----·----
fP 11 fiorentini vincono i pisani sul Serchio.
r
··2---5·7----(·i··n··'·i:.:z....i.)·'-_~:.....:..:............. ~~
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........................................: ........................ , .............................................................. ,
:
1
fP [Pacëtra-Firenze e pisa.
1
[1257Se·tt--e-m-b-re-24
___
-----
L'esecuzione di alcuni ghibellini (un Uberti e un
: lnfa~gat1) c~nvmce ~o~tl.gh. ~~. . e. lhm d1 .Firenze a
: lasc1are la c1ttà. Molt1 SI nfug1ano a S1ena.
'11-2~5-S~s-e_tt_e_m_b__r_e_ _
fP [ESecuzione dell'abate generale dei vallombrosani
·--"'=~~
92
·r~~~~~sato di con~iv~·nza con i ghibellini.
f12_6_0_a_p_r._ile_ _ _ _ [Fi: IL'esercito fiorentino si mette in marcia._c_o_n-tr_o_S-ie_n_a_.11260 setten1b~~4
fPlll.fior~~!i~i~()~() sconfitti dai senesi a Monté!p~rti..
1
1
~260settembre 9
rp"'[ïGUëlti abbandor1anolâ''ëittà.
.12Ëiosettemt)re. s.-··· [P.. 1 partigiani dei Ghibellini di Firenze si sollevano
contrai Guelfi.
'
'
l1260settembre 12
:fPlll Ghibellini entrano in città.
i262 settembre 20
:
r
"'
.,
.--------
'
---.....,
.-------
r··.
otto le mentite spoglie di penitenti i lucchesi e i
iorentini esiliati tentano un'assalto in territorio
· iorentino.
·
·'"""'
''
1263 giugno
~P-·
1264 agosto 14
rp
·1
,.
''
Sollev.azione del Popolo fio. rentin. o che riesce ad
imporre al regime ghibellino l'elezione di un Capitano
del Popolo. .
..
....
Sotta i colpi della Lega Ghibel-lin....:.a....;.d_i-To-scana cade--~
Lucca, ultimo rifugio in T.osca.·n···a dei Guelfi fio.rentini.
...
Essi trovano scampo a Bolo~na.
r::-::"-:-:-~~--:--~-~ [P Ne lia battaglia di Benevento i Guelfi fiorentini si
distinguono per la furia in combattimento. Vittoria di
: Carlo d'Angi6 contra Manfredi e lo schieramento
...
. ..... ' ~h,i~ellino. . ... . .....
;rms-ma~oü~--······· r~J r~~;~f~t~fsottÔmette"alpapa,·ma.resta.in.manoai-1266 aprile
fPl Moto popolare a·Firenze:-per poco tempo le Arti
j : (torse anche le minori) tengono il potere accanto ai
capi del passato regime ghibellino, Napoleone degli
Alberti
e Guido Novella .
1
. - - - - - - - - - [ P A seguito di un nuovo moto popolare Guido Novella
· con una schiera di cavalieri, moiti dei quali tedeschi,
abbandona la città. Fine della dominazione ghibellina
di Firenze.
1267 aprile 19 e 20
93
,....-----·-··-·
lregim~9~~1!() difirenze:
.~·.
-
[Pi 1guelfi fiorentini prendono Lamp~o-re~c-c-hi·a--,-se-d-,-e_d_i___
1.. 1 Ghibellini
esuli..
-·
Fi2:s9ailu-ciino..1.7·-·····-~P 1
11269 ..
.
Colle Valdelsa i Guelfi fiorentini hanna la meglio sui ,--·······------·-··--····--···--
~ IAnnata di carestia.
f127o8Pï~-r
~~~-r.
--~-----~·
-------------~~
r--------------
[1271 estate
11.271-êsiaiê--·--··
2731ugUo 12
· - · ·. - .··-····-·-·····-···---···-
[1273 agosto 5 o 6
1273 agosto 20
1275 settembre 9
rna dai concilia di Liane, papa Gregorio X si
a Santa Croce in Mugello, pressa il palazzo
94
no in conflitto
.~\
..-l1_2_7_9_o-tt_o_b_r_e_8---, (P 111 cardinal~ Lé! ti no Malél~ranca entra i~ Fire~ze.
,-~-···-
...........................
r
Parlamento del popolo fiorentino. Pieni poteri attribuiti.
al cardinal Latino.
..
rR~ fr::fasceia.ëorrip~~~~a . ëii···~~nia•·•rv1a-ria-del" c·arminë:·· ....... ,..-..- .....................................
, ,.,.
'
'··"-'
'
~~~~eda~l ~~~~i~~~~L;~~~~~~~~~~;~t~i~~~~~!~ët~~dT...
P:
: ~~acificazione tra Guelfi e Ghibellini.
f1280t._e;....b_br-a-io;.._;.._18-- [P !Pace tra <3uelfi e (~hibellini di Firenze.
~------
·11280 aprile 26
[P j11 Cél~~i~éll ~éltino las~ia Firenze.
',.....11_2_8_1_
.. -·-····-···-····-···--[R;jsi tien~ aFir~~ze un capitolo d·-e-id_o_m_e_n_i.c_a_n_i.__
IR' ~~ia~~~·~~~~~~~9.iii:a···ëii . saiitaRe.paraia(d.etia . aïlc.tïë...
1
~~~--·---·-----
p L'imperatore Rodolfo d'Asburgo invia in Toscana due
suoi vicari generali: Giovanni di Enstall, vescovo di
Gurk, e Rodolfo di Hoheneck. Rodolfo cerca di
· onvincere i Fiorentini a cedere alcuni poteri, tra
uesti il diritto di discutere le cause d'appello .
. Peggiorano i rapporti tra Firenze e l'lmpero.
,.. . __.........:.:.:_.............. :. . . . ............._ ~ ~~-~E1 él!.él9) (;é!E.f3Stiél: . .
283 marzo 14-18
fP·; tc.~rÏo~·~ii~i68"ï=irënze~·· .
- - [E rLe Arti diventano anche soCiëtàarmate. - - - - -
~83 giu~no
11. 2....8
..3. giugno 24
·IF Nel popolo di Santa Felicita si costituisce un a
compagnia di divertimenti fondata dai Rossi.
1
,..1--2.. -8
.....3-.-d-ic-e-'--m-'-'b-re_;_;_;_;:__: ~.
1
. .
.....
......... -
.
;1
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~iena deii'Arno: il sesto di San Pier Scheragio è
1nondato.
.
"'"'
Dom en ica delle·~ Nuova inondazione e fra na di parte della. Costa di
!Palme
1 , San Giorgio. .
.
. ...
1284
6............ ·~··P····~ï.risanis. on_o..sconfittiëiai·'G····enovesfnelle.. ueëiëlla..:
.. : MeloriR.. ..
. ......
.... ....
·
112a4î.
agosto
acq.
95
tto tra Firenze, Genova e Lucca per combattere
11_
·a. s·ma.·ggÏo.2s:·····--.IR.
di Firenze Jacopo Rainucci di Perugia.
2.
11~8~ é1gosto 16
.......
~~~~~:ortinarlfoïïdâ-l~àspedale dÏ~Santa M·~a-ri~a---
11286
,[
j1286-12~~
· [R] IJ\ndrea de' Mozzi vescovo.
11286 lu~l_i~-
,-----------------
[Pli~· a_Firenze ilvicario imperiale P~rcivalle di Lavagna.
~~
----~----~-·--·-"'"""'''
'""-''"'""'''"~·
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.., .. ,.,._,. ..
~·-•-'''''"~''"'
'"'""''"''"
P : Corso Donati cerca di impedire l'esecuzione pubblica
: di un magnate. Il Popolo lo ferma. ln questo periodo '
i vengono ricostituite le vecchie società armate di
! Popolo, abolite do po Mont~perti.
[~: · · . . ni.· nze il capitolo generale degli
r
~~~~~-~
Nel Battistero si riuniscono i rap. presentanti della lega
tra città della Toscana assieme ai guelfi fuggiti da
rezzo. Si delibera di muover guerra ad Arezzo.
j12~~ g·-.i_u_g__rl. ~-1--- [Pll~'esercito fiorentino ma~cia contro Arezzo.
,-----------,
,--·-·-·-·--··-·-···-·············-···-··--····-·-····-·-···--·-·· ........ ---···---------------·····--·-········-------··--····-----·-·-------·····•"< ----------·---··
288 giugno 24
F 1Fiorentini corrono il palio di San Giovanni sotto le
mura di Arezzo. Tuttavia si ritirano dopo aver
: conquistato qualche castello perché non preparati
all'assedio.
[P. 11 ~iorentinieiltranoëiinüüVüîl-ë~n-o:--·-----. : [E IAnnata di carestia.
,---~-~--
[12a85eueinbiê~
11289
112~~ _ .
. [Pllopera~i~~i_'!l!litari contro. Pis a....
11289maggio2·--·----~~11 d'A~giô, transitéJper Firenze.
[PliL'esercito fiorentino muove contro--A-re_z_z_o_.---~-.
.
r---------fP;IIFiorentini sconfiggono gli Aretini a Campaldino.
r
.
·---·------------------------·-·--------------·--· fË.
1 Fiorentini corrono di nuovo il palio di San Giovanni
sotto le mura di Arezzo, ma devono ritirarsi circa un
mese dopo.
_
.
!Diyi~!~-~~ïlaveïïdita_ë_C!eïFacqu-fsiü~Tüünïini. -------
[Pl [Scorreria fiorentina contro Arezzo._
11290 gillgno 1
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r··----.....;.._ _ __
·--[Pl [l'ësercito fiorentino mu ove an cora controArëzzo.--
Palio di San Giovanni corso sotto le mura di Arezzo. r - - - - - - . A fine mese, per6, il grosso dell'esercito ritorna in
.
: !città.
.;;_;___;;_;___;;_;___~- [PllrL-.~-i()-Ee__ n-t-in-i-m~u~o-v-o-no-.-c-o~nt-ro-._-P-.i~-a-.-_-------------------
1290 giugno 24
[P-1 Fiorentini espugnano Anghiari, neii'Aretino.
_.........,_[E !Annata 'dTcarestia.
,----------[Ej11 re di Francia fa arrestare i banchieri italiani.
r··--·--·-········--··---·-·-··--·-
---~""""m~~---•••--•~•,..,,._.,,~--•-m"'"""'''''"'''"
96
''''""""'''-.'''"
;11293 gennai~
R293Qen_n_ca-io~1-C8~c__
1293 marzo
11293 luglio 12
294
:11294 marzo
:["129~ gennaio 19
ato prevalgono i nemici di Giano della Bella.
i essi un Velluti. Cacciata di Giano della Bella.
[Pl Nella speranza di-metter detinitivamente fine al
governo popolare alcune famiglie magnatizie
1
stringono paci tra di loro.
1295 maggio
l,..-1-~9-5_m_a. ~-g-io_3_ _ _
j1~95 s;~iugno 24
i
r
1
6~~~e~ella prima pietra della nuova chiesa di Santa
[Pllvendetta dei Velluti contro iMannf:llli.
,. . . .2·-··-9s··-·~··u···g···-~-i-o-6····---·--······· fp.
.! !ru·m·· ulto. . . d.·e·····Tma9rïaiCJ\ëëorCïopac.fiiëoconla-p-arte···--·
'1 ..iIPc:>P()I~r~. .....
lu:..
.
.. .....
.
...·
Demo. lizione d_e_ll_o-sped-ale_d_i·san Giovâ-n-ni---·--c ~--·----······--·
,------r .
.1 .. 1 Evangelista in Firenze.
!1~96
a.
[Pllço~ti~9e~ti fiorentini
mandati in aiuto dei
Bc:Jic:>9~eSf-
r1296-iugÏÏo_..._............. ,P~ ~~/~~~~·~····Fire~-eii ..le.gatop·o-ntiticfoPi.~tro cia·-------·- ,....
o . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .-
[1296~Sëttemïlre8··-~
. . . . . . . ..
fU: !Posa della prima pietra della nuo~a cattedrale.
j1296 settembre 10 --[Plj1 Mani~ri uccidono PE;lryendE;ltta un (3~erardini.
fE IPrilllf:l attesta2:ioni do~umentarie dellaMisericordia.
. 11297
r297 giugno 26
.
j12~S,. --~..
r~~~~~~~~=~ co~~iglio del Cent~un aiutoal papacontro.
tp: !Predomina éJ Firenz~ la fazione dei Donati.
r-~:_ _c~--;..!
0
~
..... dicembre 20
[ïi".P
.. :_'lz.utfa tra Cerchi da una parte e Ubertini e Donati
l
1 'jdall'altra.
I129S,d icem bre 29
[Pl riP-a-ce-tr_a_B_o_lo_cg_cn_a_e_d_cE_cs=te=n-s=i=s_ci9-Cié:)=ta-a=F=ir-.~-.nz_e___.
11299 febbraio 24
[U;[Posa della prima pietra del Palazzo dei Priori
0
97
r-I(Palazzo Vecchio).
r::-::~---::--~-~, ri:..
oto popolare che rovescia il podestà e, con esso, la
azione dei Donati. Corso è in pericolo, ma ottiene la
: podesteria di Orvieto che lo allontana dalla città.
: Prevale la fazione dei Cerchi.
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_o_a~-1-iz~io-··n~
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malversazioni.
f1299novembre--liTrcostruzione del carcere delle ·stinche.
11299 novembre 20
fUIInizia la costruzione dell'ultima cerchia di mura.
11300 aprile ..18
['Pjco~danna di alcuni Fiorentini fiduciari del papa.
l130oïJïaggio 1
r·
L. .
..
ggio (inizio)
...... . .
l1300agosto29
IP F. a.tto di sangu.e che oppone i Donati ai Cerchi: a uno
1 dei Cerchi è tagliato il naso.
.
. ...
Convegno segreto in Santa.. Trinita nel qua le si
manovra per un ritorno di Corso Donati. Si mira alla
cacciata dei Cerchi. La congiura è sventata.
[CIMuore Guido Cavalcanti.
1300 giugno (inizio) ~-P Matteo d'Acquasparta inviato da papa com.e pacierea Firenze.
giugnolluglio . ['P \ïanlïe"dei"Gtler.ard inTuc.ciCie-per~ver1Ciëtta::Neri
.
. Cia, ....:. :. . :.:.:. :. . :.:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ...
..;
-------~--~--:.
1300 giugno 23
rp l
· iano.
...
.
to di Dante Alighieri.
.
Durante una processione in onore di San Giovanni,
alcuni magnati assaltano i componenti delle
Capitudini delle Arti.
U
r-1-3_o_o~s-e~tt~e~m-b~r~e~2-a-o~n Matteo d'Acquasparta scomunica il governo
29
300 ottobre 2
fiorentino dato che non ave. va trovato la volo. ntà
sincera di giungere a una pacificazione.
....
IP~ l~atieo'd-;A"cC!uas'Parta:.~~s~ia_F= irenze:- . . ·---·· ..---·-·· . . . . . . . ..
.
.~~-~~~-----~
98
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L'edizione è stata condotta sulla base del ms. Urbani 55 della Biblioteca Franzoniana di Genova appartenuto con segnatura 31.3.23 (già 31.3.7) alla soppressa Biblioteca delle Missioni Urbane di Genova
-ma, a giudizio del prof. Divizia, è completamente inaffidabile.
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,--~,
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http://culturitalia.uibk.ac.at/atlante/atlante/autori/Giamboni/bibliografia.htm
www. garzantilinguistica.it
http :/1cronologia.leonardo.it/biogra2/innoc3 .htm
103
1~
Allego una foto di Por San Piero scattata da Paolo Diviz ia quest
a è la porta che si trovava
nef sestiere di San Piero in cui viveva Bono Giamboni
104