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Dalla compassione alla masserizia: una 'conversione 'del messaggio di Lotario in quello di Bono Erika Papagni The Department of Italian Studies, McGill University, Montreal August, 2007 A thesis submitted to Mc Gill University in partial fulfilment of the requirements of the degree ofMasters of Arts· © Erika Papagni, 2007 0 1+1 Library and Archives Canada Bibliothèque et Archives Canada Published Heritage Bran ch Direction du Patrimoine de l'édition 395 Wellington Street Ottawa ON K1A ON4 Canada 395, rue Wellington Ottawa ON K1A ON4 Canada Your file Votre référence ISBN: 978-0-494-51397-2 Our file Notre référence ISBN: 978-0-494-51397-2 NOTICE: The author has granted a nonexclusive license allowing Library and Archives Canada to reproduce, publish, archive, preserve, conserve, communicate to the public by telecommunication or on the Internet, loan, distribute and sell theses worldwide, for commercial or noncommercial purposes, in microform, paper, electronic and/or any other formats. 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Bono Giamboni .......................................................................... p. 25 3.1. Biografia 3 .2. Storica della critica; manoscritti e edizioni a stampa 3.3. Il Della miseria dell'uomo 4. Tavole delle strutture logiche ........................................................p. 43 4.1. Struttura logica dell'opera di Lotario 4.2. Struttura logica dell' opera di Bono 5. Le affinità e le divergenze frai due testi: il senso del discorso di Bono e in che cosa differisce da Lotario ...........................................................p. 56 5 .1. Le affinità 5.2 Le divergenze 6. Il conteste storico ...................................................................... p. 67 7. Conclusioni ............................................................................ p. 70 8. Tavola delle fonti ...................................................................... p. 79 9. Storia di Firenze: Cronologia ................................................................................. p. 86 1O. Bibliografia: I. Testi, II. Studi ......................................................................... p. 99 11. Foto del Sestiere di Por San Piero ................................................p. 104 1 Ringraziamenti Sono moite le persone che devo ringraziare. Vorrei cominciare dalla mia direttrice di tesi, la professoressa Maria Bendinelli Predelli. Grazie per avermi dato l'opportunità di conoscere Bono Giamboni, per il sostegno che mi ha offerto durante tutto il periodo della mia ricerca e della redazione della tesi, e per tutte le volte che mi ha fatto ricominciare "da capo" i miei capitoli. Ringrazio SSHRC per aver contribuito alla realizzazione di questa ricerca con la SSHRC CGS Master's Scholarship. Un ringraziamento speciale va anche ai miei "padri putativi": il professor Antonio Costanzo ed il professor Bruno Villata della Concordia University. Due uomini eccezionali, fautori dell'amore per l'insegnamento e della cultura italiana. Senza i loro consigli non avrei mai iniziato il Master e non sarei mai potuta arrivare fino a questo punto. Ringrazio il Professor Eugenio Bolongaro perché le sue parole sono state a dir poco cruciali per lo sviluppo della mia ricerca. Ringrazio con ammirazione lo studioso, nonché curatore dell'edizione critica, ancora in preparazione, dell' opera di Bono Giamboni, Paolo Divizia, per essere stato estremamente disponibile e per avermi aiutato ad individuare le fonti alle quali Bono ha attinto mettendo generosamente a mia disposizione il suo lavoro non ancora pubblicato. Ringrazio infinitamente il Dottor Giuseppe Maiolo per avermi salvato la vita, e avermi sempre aiutato e sostenuto pazientemente durante tutte le cure postoperatorie. Un ringraziamento particolare va alla mia famiglia, in particolar modo a mia madre: luce e guida della mia vital E a mio padre per il sostegno economico. Alla Signora Francesca (La Maison des Pâtes Fraîches), che con la sua "pasta fresca" riesce sempre a far tomare il sole (ed il sorriso) anche nelle giomate più cupe dei gelidi invemi canadesi. A Pamela, per avermi sopportato e sempre incoraggiato con estrema pazienza nei momenti di stress. Agli amici, soprattutto a quelli che in questo ultimo difficile periodo mi sono stati accanto, anche semplicemente con la loro presenza spirituale. Sostegno indispensabile, aiuto tacito o esplicito che viene dal cuore di chi ci ama. E concludo dedicando la mia tesi a tutti quei "nobili di cuore" che perle ragioni più disparate non hanno potuto proseguire il cammino della sapienza. Ricordate sempre che il tempo è una panacea per antonomasia! (E questa non vuole essere una massima, ma solo un mio pensiero per consolare chi aiuta il prossimo). 2 Il De miseria humane conditionis di Lotario di Segni (papa Innocenzo III) ebbe, com'è noto, una grande influenza sulla cultura medievale, e fu tradotta e rielaborata in tutte le lingue europee. Poca attenzione pero è stata prestata ai volgarizzamenti di quest'opera, in particolare al primo rifacimento italiano, Della miseria dell 'uomo, realizzato probabilmente nella seconda metà del Duecento dal giudice florentino Bono Giamboni. La mia tesi consiste in un raffronto mmuztoso fra i trattati Della miseriâ dell 'uomo di Bono e il De miseria humane conditionis di Lotario, allo scopo di rilevarne le differenze, ma soprattutto di interpretarle, per capire in che modo la diversa testualità delle due opere corrisponde a due contesti storici profondamente diversi: come è stato ~. trasformato lo spirito di Lotario un secolo dopo da Bono? L'opera rivela alcune dimensioni essenziali della mentalità e della sensibilità comunale. Nel messaggio di Bono la scoraggiante analisi della vita terrena che aveva fatto Lotario diviene un trattato morale secondo una mentalità più realistica e serena: egli vuole consolare coloro che sentono il peso delle tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi e dare conforto ai buoni affinché possano migliorare, offrendo loro comunque una visione positiva della vita; non per niente Bono dedica l'ultima parte del suo trattato al paradiso. 3 Résumé Le De miseria humane conditionis de Lotario de Segni (Pape Innocent III) eut une grande importance pour la culture médiévale, et fut traduite dans toutes les langues européennes. Peu d'importance a été dédié aux traductions en langues vulgaires de cette ouvre, en particulier au premier remaniement italien, Della miseria dell 'uomo, réalisé probablement dans la deuxième moitié du treizième siècle par le juge florentin Bono Giamboni. Ma thèse consiste en une comparaison minutieùse entre les traités Della miseria dell'uomo de Bono et le De miseria humane conditionis de Lotario, afin d'en remarquer les différences, mais surtout de les interpréter, pour mieux comprendre dans quelle façon la différente textualité des deux ouvres correspond à deux contextes historiques profondément différentes : comme l'esprit de Lotario a-t-il été transformé un siècle après par Bono? L'ouvre révèle quelques dimensions essentielles de la mentalité et de la sensibilité communale. Dans le message de Bono la décourageante analyse de la vie terrestre que Lotario avait faite devient un traité morale selon une mentalité plus réaliste et sereine: il veut consoler ceux qui sentent le poids des tribulations de la vie, inviter les pécheurs à s'humilier et à se convertir et donner confort aux bons afin qu'ils puissent s'améliorer, offrant leur une vision positive de la vie; ce n'est pas pour rien que Bono dédie la dernière partie de son traité au paradis. 4 ~~ Abstract The De miseria humane conditionis (1191-1195) by Lotario di Segni (Pope Innocent III) was a greatly influential text in medieval culture, and was translated and reworked in many European languages. Early translations of the work, however, have been usually overlooked by scholars. This is true in particular of Della miseria dell'uomo, composed in the second half of the 13th century by the Florentine judge Bono Giamboni. My thesis consists in an extensive comparison of Bono's Della miseria dell'uomo with Lotario's De miseria humane conditionis. My purpose is twofold: to detect the differences between the two texts; and to understand how the two texts correspond to two completely different historical contexts. How the spirit of Lotario's text was transformed a century later into Bono's work? Bono's Della miseria reveals sorne crucial dimensions of the mentality and sensitivity of the communal age. It transforms Lotario's discouraging analysis of earthly life into a moral treaty conceived according to a more realistic and serene mentality. Bono feels compelled to console those who are burdened by the tribulations of life; to encourage sinners to humble themselves and repent; and to give hope to men of good will in order that they become better persons. He thus conveys a positive vision of life. It is not by chance that the last part of Bono's treaty deals with paradise. 5 r---. 1. Introduzione Bono Giamboni è un giudice florentino vissuto nella seconda metà del XIII secolo. Nato presumibilmente nel 1235 visse fino al 1292 circa (quasi sessanta anni). Oltre all'impegno politico e civile nella Curia del Sestiere di Por San Piero, si dedico con passione all'attività letteraria. Fu uno tra i primi e più grandi volgarizzatori di opere classiche, latine, morali e retoriche del suo tempo e fu il primo in Italia ad elaborare una prosa dottrinale, narrativa, didattica ed eloquente col suo Libro de' Vizi e delle Virtudi. Questo testo, intitolato dagli Accademici della Crusca Introduzione alle virtù, e recentemente studiato da Cesare Segre, è fondamentale per la costruzione della prosa volgare predantesca. Ma l'opera a parer mio più interessante, per diversi motivi che vedremo in seguito, anteriore al Libro de' Vizi e delle Virtudi, è senza dubbio il trattato di carattere morale Della miseria dell 'uomo, che stranamente non è mai stato studiato in profondità, e di cui ancora non esiste un'edizione critica (è in preparazione a cura di Paolo Divizia). Fonte principale del Della miseria dell 'uomo è il trattato di carattere religioso De contemptu mundi sive de miseria humane conditionis di Lotario Diacono (poi divenuto Papa Innocenzo III), scritto .fra il 1191 e il 1195, che ebbe nel Medioevo un'immensa diffusione; Bono ha pero inserito interi capitoli tratti da altri autori, e soprattutto ha trasformato completamente lo spirito dell'opera di Lotario. Nel messaggio di Bono la scoraggiante analisi della vita terrena di Lotario diviene un trattato morale secondo una mentalità più realistica e serena: egli vuole consolare coloro che sentono il peso delle tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi e dare conforto ai buoni affinché possano migliorare, offrendo loro comunque una visione positiva della 6 r~ vita. L'opera rivela cosi alcune dimensioni essenziali della mentalità e della sensibilità comunale. Dopo una breve presentazione della figura di Lotario, si offre una minuziosa analisi del De miseria humane conditionis, a cui si fa riferimento anche, secondo un costume invalso da lungo tempo, come al De contemptu mundi (cap. 2); segue una presentazione della figura di Bono Giamboni, dei pochi studi dedicati finora allo scrittore, dei testimoni che ci hanno tramandato il Della miseria dell'uomo, e l'analisi dell'opera (cap. 3). Per dare adeguatamente conto delle differenze frai due testi e per permettere al lettore di verificare le nostre affermazioni abbiamo ritenuto opportuno riproporre anche in forma di tavole il sommario delle due opere a confronto (cap. 4). Il rilievo delle principali somiglianze e differenze fra i due testi (cap. 5), e il capitolo sul contesto storico nel quale va inserita l'opera di Bono Giamboni (cap. 6) conducono ai commenti raècolti nelle Conclusioni (cap. 7) sulla diversità di senso delle due opere, e in partico lare sull'importanza dell'opera di Bono. Chiudono la tesi una tavola delle fonti del Della mise ria dell 'uomo, per la quale sono state fondamentali le informazioni ricevute da Paolo Divizia ma che, come si constaterà, è ancora largamente lacunosa, e che potrebbe essere il punto d'avvio di una più fruttuosa ricerca al livello di dottorato; e una tavola cronologica delle vicende fiorentine dell'epoca di Bono Giamboni, per dare concretezza alle affermazioni contenute nel capitolo sul contesto storico. 7 2. Lotario e il De contemptu mundi Figlio di Trasimondo conte di Segni, Lotario nacque ad Anagni nel 1160; studio teologia a Parigi alla prestigiosa scuola del monastero di S. Vittore, poi si specializzo in diritto canonico a Bologna sotto la guida di Uguccione da Pisa; fu suddiacono nel 1187, cardinale diacono nel 1190, papa, a soli 38 anni, nel 1198; mori nel 1216 a Perugia. Divenuto papa col nome di Innocenzo III, e profondamente compreso del suo ruolo di rappresentante di Cristo sulla terra, fu un grande assertore della teocrazia, cioè della supremazia del potere spirituale sul potere civile e politico. Salendo sul soglio scelse un'omelia sul passo di Geremii:t: Vedi, io ti costituisco oggi sui popoli e sui regni, per sradicare e distruggere, per rovinare e abbattere, per edificare e piantare (1, 10). Secondo Innocenzo III, il papa possedeva entrambi i poteri, quello spirituale e quello temporale, e aveva la facoltà di delegare il potere temporale all'imperatore, semplice braccio secolare della Chiesa. Il papato era la più gloriosa posizione sulla terra e il rappresentante di Cristo e la Santa Fede è posta a metà tra Dio e l 'uomo, al di sotta di Dio, ma al di sopra dell 'uomo. 1 La sua strenua difesa dell' ortodossia lo porto a farsi il banditore della IV Crociata (1202-1204), che si risolse nella conquista di Costantinopoli e porto alla formazione dell'Impero Latino d'Oriente, e di quella contro gli Albigesi (12081209), il ramo provenzale dell'eresia catara che si concluse con la distruzione della città di Albi (Francia Meridionale) e con lo sterminio dei suoi cittadini. 2 Innocenzo III fu dunque uno strenuo avversario dell' eresia, che do veva es sere punita per il bene spirituale dell'individuo e perla conservazione della Chiesa. 1 http://cronologia.leonardo.it/biogra2/innoc3 .htm L'eresia albigese era un ramo dell'eresia catara che, dalle città di Tolosa e di Albi, si era poi diffuso ampiamente, a partire dall'XI sec., in tutta la Provenza. Ad essa aderirono i nobili, che avevano preso di mira i vasti possedimenti della chiesa in Provenza, ed i più umili strati della società, disillusi dalla corruzione e dall'avidità del clero cattolico. 2 8 Nel 1197 muore l'imperatore Enrico VI di Hohenstaufen, figlio e successore di Federico Barbarossa, e lascia come erede il figlio Federico II che aveva due anni e, che da parte di madre, Costanza d' Altavilla, rappresenta l'ultimo discendente della dinastia normanna di Sicilia. Costanza riconosce la signoria feudale del papa, rinuncia all'impero per conto di Federico e affida a Innocenzo III la reggenza del regno delle due Sicilie durante tutto il periodo di minorità del figlio. Innocenzo III diventa anche l'arbitro della situazione che si era creata in Germania e si trova a prendere posizione fra i tre contendenti alla successione: Ottone di Brunswick, Filippo di Svevia .e Federico II di Svevia. In Germania la guerra civile giocava a favore di Innocenzo III: i feudatari tedeschi divisi nelle storiche schiere di guelfi, partigiani dei duchi di Baviera e di Sassonia, e di ghibellini, sostenitori della casa di Svevia, ne approfittano per condurre le loro interminabili lotte. E avviene una doppia elezione: i ghibellini eleggono Filippo di Svevia, mentre i guelfi scelgono Ottone di Brunswick. Innocenzo III ottiene da Ottone IV, in cambio del suo appoggio, la rinuncia ai diritti germanici in Italia. Cosi, il papa recuperava tutti i territori che erano stati sottratti alla Chiesa, allontanava la tanto temuta unione dell'Impero con la Sicilia e inoltre aveva il favore del re d'Inghilterra, del conte di Fiandra e dei Milanesi. Nel 1208 viene ucciso Filippo di Svevia ma il guelfo Ottone di Brunswick non puo godersi la carica di imperatore perché avanza pretese sul regno di Sicilia, di cui era legittimo erede Federico II, e viene percio scomunicato da Innocenzo Ill. Il papa fece allora alleare Federico II di Svevia (ora 16enne) col re di Francia, il quale sconfisse i guelfi a Bouvines nel 1212; Ottone scompare dalla scena politica e quindi il nipote di Federico 1 poté conservare i suoi diritti di erede dell'impero. 9 Innocenzo III fu anche un ardente sostenitore della riforma morale e disciplinare del clero corrotto e secolarizzato. In lui il sapere giuridico si fuse presto con la meditazione ascetica ed una profonda esigenza di purificazione. Il papa diede, infatti, avvio alla riforma della struttura diocesana della Chiesa e sostenne lo sviluppo deglï Ordini francescano e domenicano. 3 Dei trattati ascetici scritti durante il cardinalato ebbe partico lare fortuna il De contemptu mundi (il disprezzo del mondo) o, come si dovrebbe dire, il De miseria humane conditionis (l'infelicità della condizione umana), opera divisa in tre libri, scritta tra il 1191 ed il 1195, che ebbe una straordinaria diffusione attestata da 672 manoscritti, 52 edizioni, e numerose traduzioni, ed ebbe un forte influsso sulla vi sione del mondo dell' epoca. Fu tradotta e rimaneggiata in Francia, in Spagna, in Inghilterra (Viscardi 1932: 63-76; Nagy 1943) e in Italia, dove nel Duecento fu tradotta, o meglio rielaborata, da Bono Giamboni. Oltre al Della miseria dell 'uomo di Bono, tra le rielaborazioni italiane di epoca medievale troviamo: Agnolo Torini Breve collezzione della mise ria dell 'umana condizione e il volgarizzamento anonimo del ms. Riccardiano 1742. Come enunciato nel prologo, Lotario si propone di mostrare in questa opera la bassezza della condizione umana e, afferma che lo fa per umiliare la superbia la quale "caput est omnium vitiorum". Annuncia anche l'intenzione, in seguito, di "dignitatem humane nature Christo favente describere, quatinus ita per hoc humilietur elatus ut per illud humilis exaltetur". 4 Questa parte del programma pero non fu mai realizzata. Il De contemptu mundi è diviso in tre libri secondo l'evoluzione dell'età: il primo, 3 Durante un viaggio a Roma nel 1210 S. Francesco gli sottopose la regola che intendeva applicare alla sua nascente comunità religiosa. 4 "l'origine di tutti i vizi" e "descrivere la dignità della natura umana col favore di Cristo, di modo che, come per questa opera il superbo viene umiliato cosi per quella l'umile sia esaltato". Le traduzioni sono mie, a meno che non sia indicata un'altra fonte. 10 De miserabili humane conditionis ingressu (lo sventurato ingresso nella condizione umana), ha trentuno capitoli e parla delle sofferenze della vita fin dal concepimento e senza distinzione di condizioni, classi o età. 1 primi dieci capitoli illustrano le miserie della vita considerata nella sua corporeità, fin dalla concezione. Il primo ed il secondo capitolo parlano della viltà della materia di cui l'uomo è formato,. il terzo della peccaminosità della concezione: a) il neonato viene al mondo e alla vita già preda del peccato ancora prima di peccare e dell' errore ancor prima di errare, b) sin dal concepimento ereditiamo una duplice colpa: la prima sta nel peccato che accompagna 1' emissione del seme e la seconda ci viene trasmessa, c) i nostri genitori ci hanno dato la vita mentre erano avvolti dal peccato. Di qual cibo l'uomo si nutre nel ventre: di sangue mestruale, immondo e sporco. Il quarto capitolo parla della debolezza del neonato: a) nasciamo senza parola, senza scienza, senza virtù: flebili, "imbecilli", poco distanti dagli animali bruti, loro almeno appena nati camminano ... , b) Lotario cita Geremia (20, 14-18) ed il III cap. di Giobbe "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono la morte prima di conoscere la vita". 5 Il quinto parla del dolore del parto e del pianto del neonato: a) tutti nasciamo piangendo per esprimere la nostra miseria e b) l'uomo entra in questo mondo attraverso il peccato e per il peccato passa la morte a tutti gli uomini. Dal sesto capitolo in poi vengono introdotte le miserie della corporeità dell'età adulta. Il settimo capitolo parla della nudità dell'uomo e Lotario cita Giobbe secondo cui l'uomo, nato nudo dal ventre della madre, nudo morirà. L'ottavo capitolo parla dei frutti 5 Il passo di Giobbe completo suona: "Maledetto il giorno in cui nacqui; il giorno in cui mia madre mi diede alla luce non sia mai benedetto. Maledetto l'uomo che porto la notizia a mio padre, dicendo: «Ti è nato un figlio maschio», colmandolo di gioia. Quell'uomo sia come le città che il Signore ha demolito senza compassione. Ascolti grida al mattino e rumori di guerra a mezzogiorno, perché non mi fece morire nel grembo materno; mia madre sarebbe stata la mia tomba e il suo grembo gravido per sempre. Perché mai sono uscito dal seno materno per vedere tormenti e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?" 11 ~, prodotti dall'uomo: frutti sporchi che l'uomo, essendo sporco, produce: "tale albero, tale frutto". Il nono capitolo parla della brevità della vita e il decimo degli incomodi della vecchiaia: "Multa senem circumveniunt incommoda" (Orazio, Ars Poetica 169. Cfr. Maccarrone 1955: 16.). Lotario ci invita a riflettere sul fatto che non bisognerebbe mai molestare i vecchi, neanche quando ci ammoniscono, perché cio che siamo, loro furono, e cio che sono, diventeremo. 6 Dall'undicesimo inizia l'illustrazione delle fatiche dei mortali; dalla corporeità si passa alle attività dell'uomo, ovviamente tutte vane: gli uomini nascono alla fatica, tutti i loro giomi sono pieni di fatiche e calamità. Neanche di notte la loro mente riposa. Il dodicesimo .capitolo parla dello studio dei sapienti, cioè della ricerca del sapere: nella moita sapienza, c'è moita indignazione, chi avanza nella scienza accresce il dolore, chi si dedica alla ricerca del sapere è destinato al fallimento e alla frustrazione perché l'uomo non puo spiegare le opere di Dio (Salomone) quindi l'unico modo per trovare la salvezza è Dio. Il tredicesimo capitolo parla dei vari altri "studi" degli uomini e spiega che tutte le fatiche e tutte le cose terrene nelle quali gli uomini credono, diventano vizi vani e afflizione d'animo e nulla di tutto cio che essi raggiungono rimane. Il quattordicesimo capitolo introduce le diverse miserie degli uomini secondo il loro stato sociale, e queste vengono spiegate dal quindicesimo al diciottesimo capitolo per concludere che tutti, senza distinzione di classe o età, sono afflitti da problemi in questo mondo. Il quindicesimo capitolo parla della miseria del povero e del ricco: a) i poveri vengono disprezzati, la loro condizione è miserabile, b) è meglio morire che essere 6 L'aforisma ebbe fama larga e persistente. La si ritroverà negli affreschi del Triorifo della Morte, dipinti da Buonamico Buffalmacco nel Camposanto di Pisa (1336 circa) su commessa dei frati domenicani. Il messaggio è l'invito ad abbandonare la vita mondana per quella eremitica in vista della salvezza dell'anima. 12 povero, c) Lotario cita Ovidio: "fin quando sarai felice avrai molti amici, ma quando i tempi si faranno bui (nell'avversa fortuna) ti ritroverai solo" (Maccarrone 1955: 21)/ d) inoltre più l'uomo è ricco più è considerato buono, più è povero più è considerato cattivo. Ma la condizione del ricco non è migliore, poiché egli diviene miserabile nel momento in cui cade nella trappola dei piaceri e della vana gloria. ln conclusione: si fatica nell'acquistare, si terne nel possedere, si ha dolore nel perdere, e questo affatica e affligge la mente; l'uomo dovrebbe fare di Dio il suo tesoro. Il sedicesimo capitolo parla della miseria dei servi e dei signori: a) la misera ed estrema condizione in cui vive la servitù è la peggiore perché va contro natura: gli uomini sono nati liberi ma la sorte li ha fatti servi, b) Lotario cita Orazio per confermare che è sempre il popolo che deve scontare gli errori dei govemanti e, in senso più generale, sono i subaltemi che fanno da capro espiatorio per gli errori dei loro superiori, 8 c) i servi sono sempre afflitti e non si possono difendere dai signori, d) anche la condizione dei signori è misera: se sono crudeli, i servi li odiano e li temono, se sono clementi sono disprezzati dai loro sottoposti, che si fanno sfacciati. Il timore, percio, affligge chi è severo, il disprezzo degrada il mansueto. Quindi anche i signori sono afflitti giorno e notte. Il diciassettesimo capitolo parla delle miserie del celibe e del maritato introdotte dall'adunaton: 9 a) "se il fuoco puo non bruciare, allora la came puo non desiderare"; 10 secondo la citazione di Orazio anche se caccerai la natura con la forca, essa ritomerà, b) il miglior modo per non bruciare di libidine è unirsi in 7 Donec eris felix, multos numerabis amicos, tempora si fuerint nubila, solus eris. Ovidio, Tristia 1, IX, 5-6. Quidquid delirant reges, plectuntur Achivi, tradotta letteralmente, significa gli errori dei re sono scontati dai Greci. (Epist., 1, 2, 14). 9 Dal greco ad)maton = cosa impossibile: metalogismo consistente nel menzionare situazioni e ipotesi impossibili; l'adunaton corrisponde al significato "mai", espresso in maniera iperbolica e paradossale. www.garzantilinguistica.it Ricordiamo il "s'i' fosse foco ... vento ... acqua ... morte ... " di Cecco Angiolieri, in cui attraverso l'argomentazione assurda, in realtà si dimostra l'impossibilità che si verifichi un determinato fatto. 10 Naturam expellas furca, tamen usque recurret (Epist., 1, 10, 24). 8 13 matrimonio, c) ma la mi seria del marito si manifesta con i moiti problemi che causano i figli, la moglie, i servi e le ancelle: d) il marito è costretto ad amar tutto cio che la moglie ama e odiar tutto cio che lei odia, e) se il marito la lascia la spinge al tradimento. Cita il libro della Genesi 2, 18-24: "Erunt duo in came una" 11 (Maccarrone 1955: 25). Il diciottesimo capitolo parla della miseria dei buoni e dei cattivi: a) l'uomo è punito da quelle medesime cose per le quali pecca e b) la sorte dei buoni non è migliore: già secondo San Paolo chi vuole vivere pienamente con Cristo, patisce le persecuzioni; i santi e i giusti hanno da sempre provato i dispregi e le offese altrui, sono anche morti per amore del Signore: "Nam peccata proximorum frixorium sunt iustorum" 12 (Maccarrone 1955: 26-27). Il diciannovesimo capitolo parla dei nemici degli uomini che fanno della vita un perpetuo combattimento: a) il Diavolo con i vizi, b) la natura con le belve feroci, c) il mondo con la furia degli elementi, d) la came con i sensi: la carne desidera sempre contro lo spirito e lo spirito contro la carne. Il ventesimo capitolo descrive il corpo come carcere dell' anima: la vita è sofferenza, timoree dolore, in nessun luogo si trova la pace, la tranquillità. I capitoli seguenti tendono a distruggere le obiezioni che si potrebbero opporre a questa visione totalmente pessimista sulla base di certi aspetti positivi della vita. Il ventunesimo capitolo parla della "breve allegria" degli uomini: il tempo muta, sempre, dalla mattina alla sera "Laudavi magis mortuos quam viventes et utroque feliciorem iudicavi qui necdum natus est" (Salomone Eccle. IV, 2 Maccarrone 1955:30). Il ventiduesimo capitolo parla del "dolore non pensato", cioè delle disgrazie impreviste: 11 12 Tramite il matrimonio "due saranno in una sola carne". 1 peccati degli altri sono sempre aftlizione dei giusti. 14 ,~ Lotario ricorda i figli di Giobbe per inculcare che nel giorno dei beni a) non bisogna mai scordarsi dei mali, b) che i mali arrivano all'improvviso, c) bisogna non peccare per non essere puniti in eterno. Il ventitreesimo capitolo parla della vicinanza della morte "Semper uitimus dies primus et nunquam primus dies uitimus reputatur" 13 (Maccarrone 1955: 30): a) il tempo passa e giorno dopo giorno si avvicina la morte, b) le cose future nascono sempre, e quelle pre senti e passate muoiono sempre, c) meglio è mo rire alla vi ta, che vi vere alla morte, d) niente è la vi ta rn ortale, se non una vi vente morte e e) la morte arriva all'istante e non pu<'> essere impedita,"A mane usque ad vesperam immutabitur tempus" 14 (Eccli. XVIII, 26. Maccarrone 1955: 29). Il ventiquattresimo capitolo parla dello spavento dei sogni che: a) causano confusione, fatiche, tormenti, b) sporcano 1' anima e hanno fatto cadere in errore moiti uomini, specialmente chi ha posto in loro la pro pria speranza; c) dove ci sono mol ti sogni ci sono infatti moite vanità. Il venticinquesimo capitolo ci ricorda che neppure nell'amore o nell'amicizia l'uomo pu<'> trovare qualche consolazione; infatti la compassione verso gli amici genera il dolore che proviamo quando i nostri amici stanno male e il timore per le persone a noi care. Nell'episodio evangelico del pianto di Gesù sulla morte di Lazzaro (Maccarrone 1955: 32) Lotario vede il pianto perle miserie che Lazzaro aveva sofferto in vita più che per la sua morte. Il ventiseiesimo capitolo parla degli infortuni inaspettati, degli scherzi della fortuna "sfortuna": a) di solito quando si terne qualcosa, accade: la morte, che quando arriva prende all'improvviso e non c'è via di scampo; b) non bisogna 13 L'ultimo giorno della nostra vita è sempre reputato come il primo, ma il primo non è mai reputato come l'ultimo. Tutti vorrebbero che l'ultimo giorno della loro vita potesse essere il primo per poter evitare il castigo divino, Lotario nel dire che il giorno della morte è sempre reputato come il primo forse intendeva dire che chi ha peccato scegliendo le vanità del mondo, vorrebbe poter tornare indietro nel tempo per poter cancellare o non commettere i peccati che ha commesso. Quando arriva il giorno della morte è troppo tardi per giustificarsi, solamente quando si ha la scelta di peccare e non si cade in tentazione, l'anima merita la salvezza, altrimenti "chi è causa del suo mal pianga se stesso". 14 La vita fugge velocemente e non pûo essere trattenuta. 15 /~' mai essere troppo sicuri, felici e spavaldi quando accade qualcosa di bello perché nessuno sa cosa succederà il giorno seguente. Fra le disgrazie inaspettate, il ventottesimo ed il ventinovesimo capitolo parlano delle malattie, delle innnumerevoli specie di infermità (tante e tante sono le specie di passioni di cui gli uomini sono portatori sin dalla creazione del mondo) e delle atrocità che gli uomini meschini sono spesso costretti a subire: vengono bastonati, pugnalati, scannati, bruciati vivi, avvelenati dagli scorpioni, strangolati, macerati dai digiuni, legati, torturati, lasciati morire di fame, rinchiusi in prigione. Il trentesimo capitolo parla dell' orrendo fatto di una donna che mangio suo figlio durante l'assedio giudaico, ricavato dalla storia di Giuseppe Flavio (Flavium Josephum, De bello Judaico, IV, 3, 4. Maccarrone 1955: 34). Il trentunesimo capitolo rivela la distorsione totale dell'umano giudizio: a) l'uomo innocente viene punito, e l'uomo reo assolto, b) il pio viene punito e l'empio onorato c) Gesù Cristo fu crocifisso e Barabba liberato. Nei quarantatre capitoli del secondo libro, De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole sviluppo della condizione umana), Lotario passa in rassegna i (falsi) beni ai quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena, e mostra come la ricerca di questi beni terreni induca inevitabilmente ai vari peccati capitali di cui l'uomo è l'unico artefice e colpevole: le ricchezze portano alla malvagità, il sapere porta al dolore, il potere e gli onori portano alle vanità, i piaceri portano alle indecenze. Nel primo capitolo Lotario spiega che ci sono principalmente tre cose che gli uomini desiderano nella vita terrena: le ricchezze, il sapere e gli onori. Dal secondo capitolo inizia a parlare del desiderio delle ricchezze e dice che da questo vengono generati due vizi: la cupidigia e l'avarizia e ne parla fino al sedicesimo capitolo. 16 /~ L' avarizia è la radiee di tutti i mali e fa commettere agli uomini azioni scellerate: furti, rapine, guerre, omicidi, inganni. Nel terzo capitolo parla degli iniqui doni, ovvero afferma che i doni acciecano gli occhi e che le persone quando li ricevono non giudicano più per "amore iustitie"ma per "amore pecunie". Nel quarto capitolo parla dell"'accettazione delle persone":a) le persone vengono giudicate in base alle loro ricchezze e b) ven go no distinti i ricchi dai poveri: i primi agevolati ed ammirati, e i secondi disprezzati ed offesi. Nel quinto capitolo parla della "vendita" della giustizia e sostiene che i ricchi sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e finiscono per imprigionare la loro anima. Nel sesto capitolo parla dell'insaziabile desiderio degli avari e nel settimo spiega perché l'avaro non si puo saziare: a) Amor nummi crescit quantum ipsa pecunia crescit15 (Giovenale, Satires 14.139), b) l'avaro non smette mai di desiderare le ricchezze, è insaziabile e c) non riceverà mai frutto da quelle. Nell'ottavo parla del falso nome delle ricchezze e sostiene che le ricchezze danno agli uomini una falsa felicità. Nel nono fa degli esempi contro l'avarizia fino a concludere che l'avarizia inganna e distrugge. Nel decimo capitolo parla.dell'ingiusta possessione delle ricchezze e spiega che moiti sono stati distrutti dall'oro e dall'argento. Nell'undicesimo capitolo risponde alla possibile difesa delle ricchezze lecite. Lotario cita la Sacra Scrittura per dire che chi crede in Dio possiede tutte le ricchezze, proprio come hanno fatto Abramo, Giobbe e David. Dio è la risposta. Bisogna sempre ricordarsi che è difficile stare nel fuoco e non bruciare, difficile possedere le ricchezze terrene e non amarle. Lotario cita Geremia per spiegare che non basta avere una conoscenza astratta dell' avarizia, infatti dal Profeta fino al Sacerdote tutti cadono in inganno. Le ricchezze sono un bene labile: ogni / -~~ avaro si sforza e combatte contro natura perchè la natura conduce l'uomo al mondo 15 L'amore peril denaro cresce tanto quanto cresce il denaro. 17 povero e alla terra nudo ritomerà (cap. XII). Bisogna cercare prima di tutto il regno di Dio ed il resto sarà aggiunto a questo (cap. XIII). Nel quattordicesimo capitolo parla del vizio dell'avarizia: a) l'avaro ha sempre bisogno di denaro anche stando nelle ricchezze e b) l'avaro è come l'infemo: riceve e non rende, quindi offende Dio, se stesso e il prossimo. Si spiega poi perché l'avarizia è servitù degli idoli e dice che l'avaro serve il tesoro, lo onora, se ne prende cura (cap. XV). Nel sedicesimo capitolo parla delle proprietà dell'avaro, ovvero: a) l'avaro disprezza donare perché ama guadagnare, b) porta il suo corpo allo stremo per far crescere il suo guadagno, c) le co se ingiuste (le cose che provengono dal male) al male pervengono e d) l'avaro è dannato nella sua vita presentee anche in quella futura. Dal sedicesimo capitolo in poi Lotario spiega che dalla ricerca dei piaceri nascono i vizi Gola, Ubriachezza e Lussuria. Nel diciassettesimo e diciottesimo capitolo parla del vizio della Go la: a) esempi contro la go la; b) non bisogna desiderare di mangiare ogni cibo altrimenti si muore, c) tutti i peccatori andranno all'infemo. Nel diciannovesimo capitolo parla del vizio dell'ubriachezza e sostiene che il vino porta alla lussuria, all'ira e a moiti problemi. Nel ventesimo ricorda degli esempi contro l'ubriachezza per concludere che porta al male, alla morte sicura. Nel ventunesimo e nel· ventiduesimo capitolo parla del vizio della lussuria: condanna la lussuria, un vizio che abita non al di fuori ma dentro ogni uomo e che corrompe, crea disordine, perturba vecchi e giovani, uomini e donne senza distinzione. Nel ventitreesimo elenca diversi esempi contro la lussuria e dice che perla bellezza moiti sono morti, inoltre a) è uno sporco vizio che debilita le forze, diminuisce i sentimenti, consumai giomi e dissipa le ricchezze. Nel /'~-- ventiquattresimo parla del peccato contro natura (donne con donne e uomini con uomini), 18 ~----, e sostiene che a) non c'è peccato peggiore di questo e che b) nella Sacra Scrittura è data la stes sa pena ad un uomo che va con uomo e ad un uomo che va con una hestia. N el venticinquesimo capitolo parla della pena di questa "scelleratezza": Dio non perdona questo peccato a nessuno; esempio della moglie di Loth che fu trasformata in statua di sale. Dalla ricerca degli onori e del potere, d'altra parte, nascono: Ambizione, Superbia e Arroganza (capp. XXVI, XXXI, XXXII). Si cita Ovidio per dire che 1'uomo ambizioso è sempre pavido, sempre attento a non dire o a non fare co sa che agli occhi degli uomini possa dispiacere e che finge sempre di essere umile, onesto, affabile (cap. XXVI). Parla poi della disordinata concupiscenza degli ambiziosi: quando gli ambiziosi non possono ottenere que llo che vogliono, fanno qualsiasi co sa per averlo (cap. XXVII). Esempi contro l'ambizione, in particolare quello di Assalonne (cap. XXVIII). Nel ventinovesimo capitolo parla della breve e misera vita dei magnati e sostiene che la vita di ogni potente è breve. Nel trentesimo capitolo parla delle diverse proprietà dei superbi e riporta esempi di superbia, arroganza e disonestà. Nel trentunesimo rammenta la caduta di Lucifero e dice che ogni uomo che si esalta sarà umiliato, e quello che si umilia, sarà esaltato. Nel trentaduesimo capitolo parla dell'arroganza degli uomini e dice che quando un uomo è superbo diventa arrogante, presuntuoso, e crede di poter essere come Dio. Insiste sull'abominazione della superbia e ripete che ogni superbo sarà umiliato nel giorno del giudizio e infine che la superbia sarà distrutta da Dio (cap. XXXIII). Nel trentaquattresimo capitolo parla contro 1' arroganza dei superbi e sostiene che mentre di ~, solito quasi ogni vizioso ama il suo simile, il superbo invece lo odia, infatti i superbi si 19 ,~ odiano a vicenda (cita Salomone). Nel trentacinquesimo capitolo fa degli esempi contro la frode .degli ambizosi, ricorda in particolare i figliuoli di Zebedeo 16 • Gli arroganti pensano di es sere migliori degli altri, superiori, come Dio (cap. XXXVI). I capitoli seguenti attaccano la più evidente manifestazione dell' arroganza, cioè il superfluo omamento. Lotario spiega che non servono vestiti preziosi per salvarsi, e parla di un uomo molto ricco che è finito ugualmente all'infemo (cap. XXXVIII). Nel mondo si onorano più le vesti delle virtù, più la vanità che l'onestà: quel che la virtù non ha potuto, l'ha ottenuto la veste (cap. XXXIX). Condanna poi la "falsificazione dei colori" e spiega che non serve a niente dipingere i muri di casa, omarsi, perché tanto quando si muore tutte queste cose sono vane (cap. XL). Il terzo libro, De dampnabili humane conditionis egressu (la condannabile uscita dalla condizione umana), ha venti capitoli e descrive la fine del mondo (l' Apocalisse), il momento della morte e le pene infemali. Nel primo capitolo si parla del momento della morte e si spiega che a) tutti i beni terreni sono vani perché ogni uomo alla fine della sua vita incontra la morte, b) nessuno è puro perché tutti gli uomini peccano e c) m conclusione: fin quando gli uomini cercheranno la felicità nei beni terreni non la troveranno mai, anzi riempiranno questo mondo di peccati, esalteranno il male, 16 ~~-~, La richiesta dei figli di Zebedeo: 35 E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". 36 Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero: 37 "Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". 38 Gesù disse loro: "Voi non sapete cio che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo". 39 E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. 40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". 41 All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. 43 Fra voi pero non è cosi; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, 44 e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. 45 Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per moiti" (V angelo secondo Marco, Cap. 10). 20 r'. accumuleranno vizi e moriranno senza potersi salvare. Nel secondo capitolo Lotario parla dei quattro dolori che i cattivi patiscono nella morte: a) l'angustia del corpo quando 1' anima si stacca dal corpo, b) gli "occhi interiori" nel momento della morte, c) il giudizio di Dio e la visione del debito tormento dell'Inferno che dovrà sopportare per ogni sua iniquità; e d) la visione degli spiriti maligni che si preparano a prendere l'anima. Nel terzo capitolo rammenta le quattro venute di Cristo sulla terra, due visibili e due invisibili: a) la nascita di Cristo sulla terra b) il giorno del giudizio universale quando Cristo tornerà per giudicare tutti gli uomini; c) la venuta per grazia di vina nell' anima di ciascun credente, nel Battesimo e d) la venuta nel momento della morte. Nel quarto capitolo parla del fetore dei corpi morti, e nel quinto della triste memoria dei dannati, in cui spiega che il peccatore si affliggerà, si turberà, sarà pieno di angoscia nel ricordare le .~"· proprie colpe. Inutili saranno il pentimento e la penitenza dei dannati perché soffriranno della pena ma non potranno mai es sere perdonati (cap. VI). Ineffabile sarà la loro angustia nel vedere i giusti glorificati; i giusti d'altra parte si rallegreranno nel vedere la vendetta di Dio sui peccatori (cap. VII). Nell'ottavo capitolo Lotario spiega quali sono le diverse pene dell'inferno, secondo i diversi peccati: la prima pena è il fuoco, la seconda è il freddo, la terza è il fetore, la quarta i vermi eterni, la quinta i "flagelli dei percutienti" (Lotario cita Salomone), la sesta le tenebre esterne e interne, la settima è la confessione dei peccati, l'ottava è l'orribile visione dei diavoli e la nona è le catene infuocate con le quali saranno legati i membri degli empi. Nel nono capitolo precisa che il fuoco infernale a) è stato creato da Dio ed è inestinguibile dalla creazione del mondo; b) arde sempre, non si consumerà mai. E l'uomo sarà punito per sempre in base ai peccati commessi in ,/'' vita, come è confermato dalla parabola del ricco Epulone. 17 Nel decimo capitolo parla 17 Nel passo di Luca 16:19-31 (il ricco ed il mendicante Lazzaro), Gesù racconta una parabola: C'era un 21 delle tenebre dell'inferno. Nell'undicesimo della "conversione delle pene" (passaggio dal caldo al freddo e viceversa) e sostiene che quelli che hanno peccato più gravemente, saranno puniti più gravemente. Il dodicesimo capitolo insiste sull'intensitàdei tormenti: a) i dannati sono posti come pecore nell'inferno, moriranno eternamente, b) la morte è immortale, c) i morti i quali sono morti alla vita cercheranno invano la morte. Nel tredicesimo capitolo spiega che i reprobi non saranno mai liberati dalle pene, Dio li punirà in eterno, perché nell'Inferno non c'è alcuna redenzione; è giusto infatti che 1' empio, il quale offende Dio nella sua eternità, sia punito da Dio in eterno. Inoltre nell'Inferno la volontà del dannato diventerà supplizio e cio che fu nel mondo un peccato si trasformerà in dolore (Cfr. Apocalisse, IX, 6, Maccarrone 1955: 88). Opportune citazione bibliche offrono infine la testimonianza dell'eternità dei supplizi infernali (cap. XIV). Il quattordicesimo capitolo presenta il giorno del giudizio: a) il giorno del Signore in cui la superbia degli infedeli cesserà, l'arroganza dei forti sarà umiliata, ogni cuore di uomo sarà distrutto; b) giorno di ira, di dolore, di angoscia, di calamità, di miserie, di tenebre. Dal quindicesimo al diciottesimo capitolo si parla della potenza, sapienza e giustizia del giudice divino, nel diciannovesimo del divino giudizio che uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giomi banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero mori e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Mori anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'infemo tra i tormenti, levo gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costi si pub attraversare fino a noi. E quegli replico: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi. 22 nessuno potrà corrompere e al quale nessuno potrà sfuggire. Nel ventesimo Lotario conclude e spiega che niente gioverà ai dannati: non serviranno a niente le ricchezze, 1' anima che ha peccato morirà. In questa opera regna un senso di angoscta e di disperazione, una vlSlone pessimista che porta al disprezzo del mondo e che descrive la miserabile condizione di tutta la vi ta dell 'uomo, corrotto dai peccato fin dai momento della nascita: 1'uomo è stato generato nel peccato, è nato per la pena, il timore e il dolore, la sua vita è fatica e, cio che è più miserevole, è nato per la morte; in più, 1' es sere umano commette "azioni vane" per cui trascura cio che è serio, utile e necessario. Lotario descrive l'infelicità della condizione umana con tenebrose riflessioni e mostra come la ricerca dei beni terreni, ai quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena, induce inevitabilmente ai vari peccati capitali: le ricchezze portano alla malvagità, il sapere porta al dolore, il potere e gli onori portano al peccato, i piaceri portano alle indecenze Lo spirito che regna sull'opera è basato sulla negazione della vita terrena, considerata come assolutamente vana e spregevole. Il messaggio implicito che si ricava dall'opera di Lotario èche l'unica vita giusta è quella monacale, proprio perché rappresenta la rinuncia al mondo e il riconoscimento che l'unica salvezza possibile è in Dio. Nessun bene terreno puo dare la felicità, che è lo scopo essenziale del genere umano. Di particolare importanza è il XXIII Capitolo (Della vicinanza della morte) del Primo Libro che racchiude in sé l'essenza della visione pessimista di Lotario e puo essere riassunto nelle frasi seguenti: Ricordatevi che il tèmpo passa e la morte si avvicina. Sempre nascono le cose future, e sempre muoiono quelle presenti, tutto quello che è passato è morto. Meglio quindi è morire alla vita, che vivere alla morte. Niente è la vita morfale, se non una vivente morte. 23 ~, Nelle parole di Salomone: la vita fugge velocemente e non puà essere trattenuta. La morte arriva all 'jstante e non puà essere impedita. Miserabile verità: la vita quanta più cresce tanta più diminuisce. Perché tanta più si a/lunga la vita più si avvicina alla fine del cammino, alla morte. La vita umana è vista dunque come un cumulo di miserie, sofferenze e brutture disgustose, e le nostre vite sono dominate dalla presenza incombente della morte. A contatto con le tentazioni della ricchezza, dei piaceri, delle ambizioni e del potere, l'uomo deve riconoscere la fallacia dei beni terreni e volgersi alla ricerca dei beni celesti, ritrovarsi in Dio che è la verità etema e porta alla salvezz:a. 24 .~" 3. Bono Giamboni 3.1. Biografia Bono Giamboni (nato prima del 1240 e vissuto fino al 1292 circa) fu un giudice per il podestà nella curia del "sesto" di Por S. Piero a Firenze. Intraprese la stessa professione del padre, che era stato prima giudice ad Orvieto nel 1234, 1242, 1249 e poi nel 1251 a Firenze (nel 1260 risultava già morto). Diversi docillnenti lo provano giudice nel 1261-62, 1281-82, 1286, 1290-91; procuratore nel 1264 e 1284; testimone nel 1268, 1281, 1291 e 1292 (Debenedetti, 1912-1913: 271-278). Nel 1272 figura in un documenta insieme con Brunetto Latini, "allora notaio dei Consigli e membro principale della Cancelleria del Comune fiorentino" (Bolton Holloway, p. 360). Le ultime notizie sulla sua vita sono in un documenta fiorentino del 7 agosto 1292. Ebbe un fratello di nome Giovanni e un figlio di nome Iacopo, la cui morte, avvenuta il 12 marzo 1346 (1345 secondo il calendario fiorentino ), è registrata da Giovanni Villani nella Nuova cronica. L'attività di giudice e la partecipazione alla vita cittadina e comunale si rispecchiano nella produzione letteraria di Bono che, attraverso i volgarizzamenti e la scrittura di opere originali in volgare, contribuisce alla creazione della nuova cultura laica italiana del Duecento. Bono occupa una posizione di primo piano nella storia dei volgarizzamenti dallatino e della prosa italiana. 1 suoi principali volgarizzamenti sono: Historie adversus Paganos di Paolo Orosio, composto su istanza di Lamberto degli Abati e 1'Epi toma rei militaris di Publio Flavio Vegezio Renato, conservato in sei codici, dedicato a Manetto (Manente) della Scala, banchiere e uomo politico fiorentino. E' suo uno dei rimaneggiamenti del Fiore di rettorica di Fra Guidotto da Bologna (Segre 1986: 25 /-" 383). 18 Gli sono attribuite anche altre opere, ma la critica più recente ha dimostrato false le attribuzioni dei volgarizzamenti del Livres dou trésor di Brunetto Latini (compresi gli estratti: volgarizzamento dell 'Etica Nicomachea di Aristotele e volgarizzamento del De formula vite honeste di Martino da Braga), del Giardino di consolazione, del volgarizzamento del Milione di Marco Polo. Cosi Simona Foà sintetizza la figura di Bono Giamboni nel Dizionario biografico degli Italiani: "Esponente di rilievo di quella intellettualità florentina che esercitava l'attività giuridica, che partecipava attivamente alla vita politica della città e che, attraverso i volgarizzamenti e la scrittura di opere originali in volgare, era impegnata nella creazione di una nuova cultura laica" (Foà 2000: 304). Nella Toscana del Duecento, infatti, si diffonde rapidamente una letteratura in prosa, come segno della progressiva importanza del volgare, "nella predicazione, nella divulgazione scritta di materie morali e religiose, o di argomenti storici e retorici e di narrazioni laiche, grazie alla domanda del pubblico che si va costituendo nei Comuni toscani" (Squarotti 1994: 338). La sua feconda attività di traduzione gli porto da un lato moita fama, dall'altro offusco la conoscenza di Bono Giamboni come scrittore originale ed autonomo. E' soltanto in tempi recenti che le sue opere originali sono state valorizzate. Il Libro de' vizi e delle virtudi, conosciuto nell' autorevole Vocabolario della Crusca come Introduzione alle virtù, è un testo fondamentale per la prosa volgare predantesca. È conservato in dieci codici ed è un trattato di argomento morale e allegorico che rispecchia appieno certi procedimenti istituzionali della politica e della società comunale, nonché la morale laica di Bono. Il Libro è un'esposizione delle quattro 18 Va segnalato che Bono è stato riconosciuto come autore, e non più come rimaneggiatore, del Fiore di rettorica, solo recentemente dallo Speroni in Bono Giamboni, Fiore di rettorica, a cura di Gian Battista Speroni, Pavia, Dipartimento di Scienza della Letteratura e dell'Arte medioevale e modema, 1994. http://culturitalia.uibk.ac.at/atlante/atlante/autori/Giamboni!bibliografia.htm. 26 /'"~. virtù cardinali e dei sette vizi capitali, messa in bocca alla Filosofia, che risponde alle domande di un suo discepolo (I, 2); alla fine dell' opera questo interlocutore riceve il saluto augurale di Filosofia, ed è apostrofato per nome ("Bono Giamboni", XXXIII, 7). Dalla voce Bono Giamboni del Dizionario critico della letteratura italiana, curata da Cesare Segre: E' la Filosofia in persona che, dopo aver rivolto i suoi ammonimenti a Bono, lo conduce al palazzo della Fede, la quale lo sottopone a una specie di conventatio. Bono assiste poi, dall'alto di una collina, allo schieramento delle Virtù e dei Vizi con i rispettivi eserciti, agli scontri della Fede con le altre religioni e con le eresie, alla sua lotta, molto più lunga e dura, contro la Fede pagana (islamica), infine alla sconfitta dei Vizi e alla morte della Superbia. (Segre1986: 382). A causa della suggestione delle chansons de geste, della cultura francese che agisce in profondità nelle strutture mentali della cultura delle origini, Bono rappresentata l'Italia caduta in potere della fede pagana (dell'Islam), e il cristianesimo rifugiato in Francia: poscia che la Fede Pagana fu scesa in terra co la sua gente, e suo naviglio ebbe allogato ne' porti di Cecilia, da che vide che la Fede cristiana non ebbe ardimento di incontrarla, venne pigliando tutta la terra in qualunque parte andava, sicché in picciol tempo tutta Italia conquistà. E dacch'ebbe vinta l'Italia, ch'era donna de le province a quella stagione, tutti li altri reami e province fecer le comandamenta e giuraro la fedeltà, se non solamente il reame di Francia ..... "(XLVII, 3-4) 19 Dopo la sconfitta dell'esercito nemico ela vittoria della Fede cristiana, Ripreso il viaggio, Bono si reca presso le quattro Virtù cardinali, che gli espongono gli obblighi a cui deve sottostare per farsi loro fedele e, dopo il suo giuramento, lo registrano "nella matricola loro." (Segre 1986: 3 82). L' opera intitolata Della miseria dell'uomo, che Bono scnsse probabilmente prima del Libro dei Vizi e delle Virtù, è un rifacimento del trattato De miseria humane conditionis di Lotario Diacono, ma l'inserimento di interi capitoli tratti da altri autori ne trasformano completamente lo spirito. Utilizza senza economia numerosi testi latini, in parti co lare il De am ore et dilectione Dei di Albertano da Brescia, 1'Elucidarium di 19 C. Segre, lntroduzione al Libro, pag. XXV. 27 ~--~ Onorio di Autun, 1'In Rufinum di Claudiano e il De inventione di Cicerone mediato attraverso il Fiore di rettorica di frate Guidotto da Bologna (Segre 1986: 382). Nel messaggio di Bono la scoraggiante analisi della vita terrena fatta da Lotario, che tra 1' altro non viene mai citato come autore, diviene un trattato morale secondo una mentalità più realistica e serena che trasforma la visione lotariana della vita da una "valle di lacrime" ad un itinerario verso il paradiso (non per niente il penultimo degli otto libri che compongono il trattato è dedicato al paradiso ). Bono vuole consolare coloro che sentono il peso delle tribolazioni della vita, invitare i peccatori ad umiliarsi e convertirsi, ma anche dare conforto ai buoni affinché possano migliorare. Bono Giamboni, rappresenta, ai miei occhi, la chiave che apre la porta alla spiegazione del passaggio tra il Medioevo ed il Rinascimento. La sua opera, oltre a voler essere divulgativa e morale, è anche un tentativo riuscito di conferire dignità stilistica e letteraria al "volgare", e si inserisce nello stesso quadro storico-letterario che caratterizza la giovinezza e la preparazione sociale, culturale e politica di Dante Alighieri (Segre 1968). Nelle parole del Debenedetti: " se non si trascurasse tanto, come oggidi suol farsi, la nostra prosa delle origini, per correr dietro a poeti e poetucoli, senza dubbio la vita e le opere di B.G, sarebbero meglio note. Perché nel quadro della cultura florentina, dopo ser Brunetto, conviene proprio ricordar di lui, il nostro Giudice. Traduttore dai latino e dai francese in solenni periodi, apre la schiera dei forti volgarizzatori che difendono mirabilmente il toscano, e preparano l'avvento del Decameron. V omo di legge e letterato, in Italia, ove il giure e la bella letteratura si sposarono cosi per tempo, dando cosi bei frutti, favorisee anch'egli il laicizzarsi della dottrina, il suo divenir popolare" (Debenedetti 1912-1913: 271-278). 28 3.2. Storia della critica; manoscritti e edizioni a stampa dell'opera. Il primo a parlare di Bono Giamboni è il Manni che dette ne notizia nel pubblicare alcuni dei suoi volgarizzamenti nel volume L 'etica di Aristotile e la Rettorica di M Tullio, aggiuntovi illibro de' Costumi di Catane (Firenze nel 1734, p. XII). Notizie sulla vita e le opere di Bono Giamboni si trovano anche in Vite de ' santi e beati fiorentini a Firenze nel 1761 (p. 33) scritta da G. M. Brocchi e nella prefazione all'edizione del trattato Della miseria dell'uomo, scritta e pubblicata a Firenze nel 1836 da F. Tassi. Entrambi sostengono che sono pochi i particolari riguardo alla vita ed alle azioni di Bono che ci sono pervenuti. Parlano dell'ipotetica data di nascita e di morte, del lavoro che esercitava Bono e delle sue opere. Poi, ultimo in ordine crono1ogico ma importante per la storia letteraria in quanto "riusci a mettere insieme con ricerche pazienti e diligentissime ~, alcune buone pagine, di gran lunga superiori per documentazione e ricchezza a quanto prima si sapeva, intorno a Bono Giamboni" (Debenedetti 1912-1913: 272) è R. Davidshon nei suoi Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV pubblicato a Berlino nel 1908 (p. 362). Il Davidsohn ritiene che Bono appartenesse alla fazione ghibellina e questa ipotesi viene collegata in parte alle questioni relative al volgarizzamento del Trésor (che pero non è di Bono): "Alcune aggiunte di carattere storico contenute nel volgarizzamento rispetto al testo originale sarebbero infatti da far risalire a un autore che, al contrario di Brunetto Latini, di provata fede guelfa, sarebbe stato di parte ghibellina" (S. Foà, 2000: 302-304). Molto importante è anche Santorre Debenedetti (zio di Cesare Segre), che scrisse intorno al1912-1913 un articolo suddiviso in cinque capitoli: 1. Proemio bibliografico, 2. Giambono del Vecchio e famiglia, 3. Bono giudice del Podestà, 4. Altre notizie: "iudex 29 pro comuni Florentie" e "iudex", 5. Il beato Jacopo. Il Debenedetti ci dice che Bono intraprese la stessa professione del padre a Fir.enze, che il contrassegno del suo tabellionato 20 ha la forma di uno stivale capovolto. Corregge quello che avevano detto il Manni, il Brocchi ed il Tas si riguardo ali' appartenenza del Giamboni alla nobile famiglia "dei Vecchietti", Bono appartiene al ramo "del Vecchio". Tratta minuziosamente dei documenti relativi alla carica di giudice per concludere che è sbagliato credere, come sosteneva il Davidsohn osservando l'atto del 12 maggio 1268, ·che Bono si fosse allontanato dall'ufficio di giudice del Podestà. Nelle parole del Debenedetti: "quando ser Bono interviene ad un atto come giudice del Podestà, gli si rende il titolo dovuto, laddove, quand' egli, pur essendo tale, non agisce in quel determinato momento come ufficiale, il notaio si accontenta di chiamarlo iudex" (Debenedetti, 1912-1913: 276). Interessante notare che in questo articolo veniamo a conoscenza di un elogio scritto dai Villani in onore del figlio di Bono: "[1345] Nel detto anno, adi XIII di março, passo di questa vita et santifico uno Iacopo, figliuolo di messere Bono Giamboni giudice, del popolo di S. Broccolo, il quale era stato di santa vita et vergine di suo corpo, si disse, et statosi in casa rinchiuso più di XV anni, che none usciva se none alcuna volta ançi giorno a confessione o a prendere Corpus Domini. Et avea dato a' poveri ogni sua substantia et patrimonio, et poveramente in digiuni et orazioni vivea, scrivendo libri a preçço et dettando da sè di sante et buonè cose; et chi-lli mandava limosina, no-lia ricevea se non da divoti suoi amici, e'l soperchio di suo guadagno, finito poveramente suo mangiare a giomata, dava per Dio a' poveri. Fece Idio visibile et aperti miracoli per lui alla sua morte, et poi si seppelli a Santa Croce a guisa di santo. Et in sua vita predisse a' suoi amici più cose future et che avennono nella nostra città, et della signoria et cacciata del duca d' Atene, per vertù dello Spirito Santo" (Debenedetti 1912-1913: 277, Codice Rinuccini Magl. II. I. 135, c. 282 B). In seguito P. L. Oliger nel suo artico1o Servasanto da Faenza e il suo «Liber de virtutibus et vitiis», pubblicato a Roma nel 1924, tratta di quattro manoscritti che portano il titolo del Della miseria della umana generatione (tre di essi indicano Servasanto come 20 Nel medioevo, la professione del notariato; anche, il contrassegno che i notai apponevano accanto alla sottoscrizione degli atti, a garantirne maggiormente l'autenticità. 30 /-~.. fonte) e che si trovano a Firenze. Ne parla unicamente per sostenere che questo libro non sembra essere opera diretta di Servasanto, ma di Bono Giamboni. Estremamente importante è Cesare Segre che procura una scelta di testi di Bono Giamboni in La Prosa del Duecento a cura di Segre e Mario Marti (1959) e in seguito pubblica, con Introduzione, il Libro de' Vizi e delle Virtudi e delle loro battaglie e ammonimenti ( 1968); la pubblicazione dell' edizione del Libro de ' Vizi e delle virtudi era stata preceduta da un sostanzioso articolo comparso negli Studi di filologia italiana nel 1959. Nell'articolo del 59 e poi brevemente nell'introduzione all'edizione, Segre chiarisce la questione della doppia redazione del trattato, che era già stata individuata da Michele Barbi, e Segre dimostra che in questo caso si tratta di due testi ben diversi come struttura e impostazione. La novità importante degli studi di Segre è che Bono viene indicato come una figura di rilievo nella prosa italiana del Duecento e come uno degli iniziatori dei volgarizzamenti dai latino, fondamentali per la nascita di una pro sa d' arte italiana. Sui rapporti di derivazione tra Miseria, Trattato e Libro, non dice molto, ma considera la Miseria precedente perché è stata riutilizzata nel Trattato e nel Libro (forse si puo vedere un'evoluzione di queste pàrti nelle tre opere in successione), e perché il Libro rappresenta il risultato più maturo dell'autore. L'elenco dei capitoli che derivano dalla Miseria dell'uomo vengono indicati da Segre nell'introduzione all'edizione del Libro de' vizi e delle virtudi, e Il trattato di virtit e di vizî e si ritrovano nei capp. XXXXXXII del Trattato e, per altri brani, nei capitoli V, VII, VIII, XIV, XVII, XXI e LXXVI del Libro (Segre 1968: XVII). Cesare Segre compila anche la voce "Bono Giamboni" per il Dizionario critico della lette ratura italiana (Torino 1986), basandosi sull' articolo del Debenedetti, ma con 31 ~~, importanti rettifiche per quanto riguarda il catalogo delle opere di Bono. Va inoltre segnalato che Bono è stato riconosciuto recentemente come autore, e non più come rimaneggiatore, del Fiore di Rettorica da G. Speroni nell994. Poi a parlare di Bono è J. Bartuschat nella sua tesi di dottorato La littérature didactique et ses enjeux: Brunetto Latini et Bono Giamboni discussa alla Sorbonne Nuovelle nel 1995; nell'articolo su "Racconto allegorico e insegnamento didattico: appunti sul Libro de ' vizi e delle virtudi di Bono Giamboni" in Rassegna europea di lette ratura italiana, V- VI pp. 43-62 nel 1996 e in "Visage et fonctions de la philosophie dans l'allégorie de Bono Giamboni" in Revue des études italiennes, XLIII pp. 5-21 nel 1997. In quest'ultimo saggio parla dell' alle go ria medievale e dice che : / ~ la personnification apparaît comme étroitement liée au didactisme et à la littérature édifiante. Pour cette tradition, le De Consolatione de Boèce avec son allégorie de la Philosophie est un texte fondateur -nous verrons que pour Bono lui aussi ce modèle de la personnification, représentant une instance de sagesse qui console et qui aide les hommes à trouver la bonne voie, est d'une importance capitale [e che Bono] se rapproche ici, à l'intérieur de sa culture fortement religieuse, du rationalisme de ses contemporains comme Brunetto Latini, de leur exaltation de la connaissance comme couronnement de la nature humaine. [ ... ] Bono est donc l'héritier d'une tradition fondamentale de la pensée médiévale : l'admiration pour la pensée encyclopédique, pour le savoir et la sagesse renfermés dans cet héritage du monde antique que sont les Arts libéraux. [ ... ] Bono, traducteur habile et divulgateur du savoir antique, devient un excellent prosateur en vulgaire, réalisant l'unité des arts et de la théologie (Bartuschat, 1997: 7). Bartuschat sostiene che il Libro de' vizi e delle virtudi di Bono è un testo che ha una grande importanza in quanto lo considera, proprio come dice anche il Segre, uno dei grandi monumenti della prosa toscana, ma che purtroppo rimane poco conosciuto e non bene studiato. Si sofferma in particolar modo ad analizzare l'allegoria della Filosofia, che reputa importantissima per capire la cultura di Bono. Secondo Bartuschat Bono è il primo che inizia a sperimentare la forma allegorica partendo dal Della Mise ria dell 'uomo, proseguendo col Trattato di virtù e di vizi e concludendo nel Libro in cui l' evoluzione di 32 Bono arriva al culmine: un testo didattico interamente scritto sotto forma narrativa e allegorica. Bono è quindi un traduttore abile e divulgatore del sapere antico, che dimostra attraverso il suo Libro di essere un eccellente prosatore in volgare. Inoltre la sua opera contiene un messaggio nuovo: una società che si rinnova e che viene guidata da una nuova morale cristiana volta verso la felicità dell'individuo. E' un invito alla costruzione di un nuovo ordine a Firenze: una società ideale che basa i suoi valori sulle virtù, che vince le forze del male, che costruisce un tempio, un ospedale, ed un ospizio per i poveri: "Allora disse la Filosofia: -Degna cosa è che bellissimo tempio e grande spedale sia fatto in co si virtuoso luogo ( ... ) Ed io mede sima li v oglio disegnare, perché siano bellissimi e grandi" (LXIII, 8-9) E' quindi la saggezza cristiana, la Filosofia, che guiderà il destino della nuova società. Bartuschat scrive che Bono con il suo doppio atto - 1' ammissione nel circolo dei fedeli delle Virtù e la proclamazione del suo nome e co gnome : (che diventano una vera e propria firma del Libro)- ci fa assistere alla nascita di un uomo nuovo: "Ed elle [sc. les vertus] allotta si mi benedissero e segnaronmi ciascuna per sé, e dissero: -E noi t'ammettiamo per fedele e compagno: ( .... ) E dacché m'ebbero benedetto e segnato e ricevuto per fedele, scrissero BONO GIAMBONI nella matricola loro, secondo che la Filosofia disse ch'io era chiamato". (LXXVI, 18-19) E' l'amore per la filosofia che con Bono ha raggiunto il suo apice (Bartuschat, 1997: 21). Il Bartuschat fa cosi eco a Segre che aveva segnalato: "Una solenne promessa di Bono fa si che il suo nome venga iscritto nella "matricola" delle Virtù, con prospettive di serenità terrena e di felicità celeste" (Segre 1968: XIX). Nella voce "Bono Giamboni" del Dizionario biografico degli italiani, vol. 54 (Roma, 2000), S. Foà non aggiunge nulla a quanto già noto, ma fomisce una bibliografia aggiomata. 33 E infine 1'ultimo a parlare di Bono Giamboni è Paolo Divizia nei suoi articoli di carattere essenzialmente filologico: "Ancora un compendio del Libro de' Vizi e delle Virtudi di Bono Giamboni" in MedioevoRomanzo» (2003), "I quindici segni del Giudizio: appunti sulla tradizione indiretta della Legenda aurea nella Firenze del Trecento" in Studi su volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P. Rinoldi e G. Ronchi (2005), e nel "La Formula vitae honestae il Trésor e i rispettivi volgarizzamenti falsamente attribuiti a Bono Giamboni", in La parola del testo (2007, in corso di stampa). Egli individua la fonte del capitolo sui quindici segni che si legge nel libro VIII, cap. III del trattato Della miseria dell'uomo (pp. 150-153 dell'edizione Tassi) nel volgarizzamento A della Legenda aurea (P. Divizia, 2005: 2-3). Per quanto riguarda i manoscritti che ci hanno tramandato 1' opera Della miseria dell 'uomo, il più affidabile è sicuramente il Riccardiano 1775, già indicato da Francesco Tas si come il migliore (anche se lui ne aveva trascritto un altro o altri che poi aveva corretto con il Riccardiano) e poi riconfermato da Cesare Segre nella Prosa del Duecento. Un altro importante è il II.II. 16 della Nazionale di Firerize (Cesare Segre utilizzava un descriptus di questo, il Riccardiano 1317 per correggere il 1775). E anche il Riccardiano 2619 è da tenere presente (per quanto contenga vari errori). Nell'articolo sui quindici segni Paolo Divizia segnala altri manoscritti, giudicati pero poco affidabili: l' Ashbumam Appendice 1846 e l' Ashburnam 539 della Laurenziana, sui quali probabilmente il Tassi conclusse la sua edizione e che egli cita come appartenente a Giovanni Pucci. Giovanni Pucci (florentino contemporaneo di Francesco Tassi; da non confondere con Antonio Pucci autore del Libro di varie storie in cui compare un brano della miseria di Bono) aveva due manoscritti della Mise ria e li 34 /~" aveva messi a disposizione di Tassi. Tassi dice nell'introduzione e in qualche nota di possedere lui stesso un manoscritto contenente insieme la Miseria e il Giardino di Consolazione, e che anche questo trattato sarebbe attribuito a Bono nel suo manoscritto. Secondo il Divizia pero nessuno dei manoscritti noti attribuisce il Giardino a Bono. Il Tassi dice di aver messo questo manoscritto a disposizione dell'Accademia della Crusca. Il prof. Divizia ha provato a chiedere all'Accademia della Crusca, ma non ne sanno nulla, quindi ha qualche dubbio sull'esistenza di questo codice privato. A questi pare si debba aggiungere un codice attualmente in vendita a Parigi (di cui pero abbiamo visto solo le pagine disponibili su internet): http://www. textmanuscripts.com/home/archives/archivesdescription. php ?rn= 174 Poco affidabile anche il codice più antico, il Palatino 108, del primo quarto del Trecento. Il cod. più recente, il Palatino 109 è del 1521-22 e riporta un testo molto rimaneggiato e modernizzato nella lingua (ad es. "l'uomo e la femmina" di venta "l'uomo e la donna"). Non disponiamo a tutt'oggi dell'edizione critica del Della miseria dell 'uomo, in preparazione a cura di Paolo Divizia. Per quanto riguarda le edizioni a stampa riporto di seguito una pagina gentilmente fornitami dallo studioso presa da un capitolo della sua tesi di dottorato (XVII cielo: "Il testo: tradizione, lingua, interpretazione") intitolata Bono Giamboni, "Della miseria dell 'uomo. " Studio sulla tradizione del testa e edizione, coordinatore e tutore Professoressa Gabriella Ronchi all'Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filologia al Dipartimento di Italianistica nel 2005 : 35 DESCRIZIONE DELLE EDIZIONI A STAMPA Ts Della mise ria dell 'uomo. Giardino di consolazione. lntroduzione alle virtù, di BONO GIAMBONI, aggiuntavi La scala dei claustrali, testi inediti, tranne il terzo trattato, pubblicati ed illustrati con note dal dottor Francesco Tassi, Firenze, presso Guglielmo Piatti, 1836. Il trattato Della miseria dell 'uomo è contenuto alle pp. 1-158. L' edizione si basa su un manoscritto ora disperso e su A2 , corretti solo qua e là con Rt, nonostante questi fosse indicato nell'introduzione come optimus. Sporadicamente cita le lezioni degli altri codici riccardiani, mentre nullo è il ricorso agli altri testimoni elencati nell'introduzione21 • Poiché alcuni manoscritti hanno nel frattempo cambiato ubicazione e altri sono citati in forma incompleta o erronea, non sarà inutile indicare in questi casi una corrispondenza tra la segnatura (in senso lato) utilizzata da Francesco Tassi e quella attuale o corretta22 : segnatura Tassi segnatura attuale o corretta Magliabechiano, n. 16 del palchetto II Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II.II.16 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano, n. 17 del palchetto II II.II.17 Laurenziano, Pluteo LXXXIX, n. 97 Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Plut. LXXXIX sup. 97 un codice apparten~nte a Giuseppe Pucci Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Medicea Laurenziana, Ashburnham 539 un altro codice appartenente a Giuseppe Firenze, Bibl. Pucci, appartenuto a Luca di Giovanni del Ashburnham Appendice 1846 Sera, scritto tra il 1468 e il 1460 dai prete Piero di Giovanni detto «Guastafeste» Riccardiano, n. 1619 Firenze, Bibl. Riccardiana, 2619 Quanto alle altre due opere contenute in questa edizione, il Giardino di consolazione oggi non è più ritenuto opera di Bono Giamboni, mentre il terzo trattato, qui intitolato lntroduzione alle virtù, non è altro che il Libro de ' Vizi e delle Virtudi, con il titolo gli era stato attribuito dagli Accademici della Crusca. SI 21 22 Non riporta mai le loro varianti; a p. LXXIV confonde i mss. BNCF II.II.16 e BNCF II.II.l7. Per quanto riguarda i codici dispersi rimando al capitolo Notizia dei manoscritti dispersi. 36 Della miseria dell 'uomo. Del giardino di consolazione. Della introduzione alle virtù. Trattati morali di BONO GIAMBONI a cui si aggiunge la Scala dei claustrali, Milano, Dalla Tipografia di Gio. Silvestri, 1847 (Biblioteca scelta, 524). Riproduce tacitamente il testo dell'edizione Tassi23 • Gm Trattati morali di Bono Giamboni, Firenze, M. Mazzini e G. Gaston editori, 1867 (Biblioteca dei Classici, serie prima, volume quarto). Riproduce l'edizione Tassi, senza la Scala dei claustrali, nonostante la pretesa di aver ricontrollato i testi sui codici 24 : la citazione del manoscritto Riccardiaiio 1619 (anziché 2619) nell'avvertimento (p. 11), cioè la ripetizione di un errore di stampa già presente nell'edizione Tassi, parrebbe mostrare che gli editori non hanno effettuato alcuna verifica sui codici. Antologie: Nn VINCENZIO NANNUCCI, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, Seconda edizione ripassata dall' Autore, vol. II, Firenze, Barbèra, Bianchi e Comp., 183 7, vol. III, pp. 435-51 [testo 437-51]. Riproduce il testo dell'edizione Tassi: INTR. GEN I, 1, II, III, IIII, v II, 1, II, III III, III, IIII, V, VI, VII Tr Antologia oratoria poetica e storica dall 'edita e dall 'inedito, Fm. Torricelli compilatore, 22 gennaio 1842 e sgg. [riedita in volume: Antologia compilata da Fm. Torricelli, Fossombrone, Farina, 1842-1846, vol. I]. 23 ~' Non ho proceduto a un confronto dell'intero testo, ma mancano riferimenti ai manoscritti e a miglioramenti di qualsiasi sorta: dunque non dovrebbero esserci differenze se non errori di copia rispetto all'edizione precedente. 24 A p. 13, nell'avvertimento, si legge: «ln alcuni punti pero, dall'edizione del sig. Tassi ci allontanammo, e cio fu quando, nel confrontare il testo da lui dato con quello dei Codici, ci accorgemmo che la lezione del maggior numero di questi uniformemente differiva da quella adottata dal sig. Tassi». 37 ~, Riproduce l'edizione Tassi apportandovi correzioni desunte da un codice privato, affine a 25 M 6 , irreperibile • Sg CESARE SEGRE -MARIO MARTI (a cura di), La prosa del Duecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959. Del trattato Della miseria dell 'uomo riporta in edizione semi-critica i trattati VI e VII (introduzione sull'autore e sull'opera, con bibliografia, alle pp. 227-28; testo alle pp. 229-54; apparato alle pp. 1063-64). Il testo si basa sul ms. Riccardiano 1775, corretto con l'aiuto del Riccardiano 1317: in appendice fomisce un apparato che segnala solamente i punti in cui l'editore non segue la lezione del Riccardiano 1775, specificando se la correzione è stata fatta in base al Riccardiano 1317 o per congettura. La dipendenza dall'edizione Tassi è ancora molto forte. Nell'antologia sono inoltre riportati, sempre di Bono Giamboni, i capp. VII, XLXLIII del volgarizzamento delle Storie di PAOLO ÜROSIO (pp. 441-52; 1082-83); e i capp. 1-xxn e XL-LX del Libro de' Vizi e delle Virtudi (pp. 739-91; 1096-97): il testo presenta lievi differenze rispetto all' edizione integrale (Torino, Einaudi, 1968). 25 V d. il capitolo Notizia dei manoscritti dispersi. 38 ~, 3.3. Il Della miseria dell'uomo Il trattato Della miseria dell'uomo di Bono Giamboni è un'opera di carattere morale suddivisa in un prologo e otto trattati, preceduti da un capitolo introduttivo che dichiara il "programma della trattazione". Ispirato alla scena iniziale del De consolatione philosophiae di Boezio, il prologo annuncia che Bono si propone a) di "consolare coloro, che delle tribolazioni del mondo si sentono gravati", b) di invi tare "coloro che sono rei, [a] umiliarsi e convertirsi, considerando il loro malvagio stato e pessima condizione, a che sono dati in questo mondo e nell'altro," ma anche c) di dare "conforto e vigore a colore, che sono buoni, di migliorare, per la speranza che mostra dell oro guidardone". Dopo il prologo, il capitolo introduttivo spiega di che cosa parleranno gli otto trattati: il primo parlerà della miseria dell'uomo e della femmina dall'ora che è creata fino all'uscita del ventre della madre (la nascita); il secondo, il terzo ed il quarto trattato spiegheranno la miseria dell 'uomo dalla nascita alla morte e parleranno dei do lori, delle fatiche e delle paure; il quinto, composto di un solo capitolo, è l'unico che parla della morte naturale (riprendendo il cap. X del primo libro di Lotario ); il sesto trattato è sulla miseria dell'uomo dopo la morte e parla delle pene dell'Infemo; il settimo trattato spiega la beatitudine ela gloria del giusto e l'ottavo il giorno del giudizio. Il primo trattato, suddiviso in cinque capitoli, segue la falsariga del trattato di Lotario illustrando la miseria che è nella creatura perché nasce nel peccato originale, la viltà della cosa onde è fatta, la viltà della cosa onde si nutrica nel ventre della madre, il dolore della nascita e la miseria-debolezza della creatura appena nata (I, 1-5). Il secondo, 39 ~~. il terzo e il quarto trattato spiegano le mi serie che affliggono 1'uomo dalla nascita alla morte- dolore, fatica e paura- e cio che queste implicano. Il secondo trattato parla dunque dei dolori: i dolori della creatura appena nata, quelli che affliggono il corso della vita - fisici, psicologici, emotivi - e quelli della vecchiaia (II, 1-3). Subito dopo pero Bono introduce una serie di capitoli volti a illustrare i rimedi che si possono trovare a questi dolori: l'uomo puo evitare i mali con la previdenza, o, se non li puo evitare, puo sopportarli con pazienza, ottenendo cosi tre beni: "compiacere Dio," rendersi simile ai santi, guadagnare il paradiso (II, 4-6). Nel "programma della trattazione" che precede il terzo trattato, Bono spiega che la vita è fatica ed elenca le varie fatiche: per divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per i desideri della carne, perle signorie e gli onori. La prima è « vaga e naturale all'uomo e ciascuno vi s'affatica volentieri », le altre sono fatiche di peccato .... Il terzo trattato quindi parla delle fatiche: della fatica per divenire savio (III, 1); della fatica per divenire ricco d'avere, della vanità di queste fatiche e dei peccati che vengono generati dalla ricchezza: l'uomo diventa cupido in accattare ed avaro in ritenere; e conclude sostenendo che l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze perché l'avaro non si sazia mai; e spiega invece di che cosa l'uomo deve fare tesoro; inoltre che cosa fa buona la povertà e che cosa fa buona la ricchezza. Bono riprende poi il discorso ed annuncia gli argomenti che tratterà nei capitoli seguenti (III, 2) iniziando dalle fatiche per divenire ricco d'avere (III, 3) e afferma che le ricchezze sono false e vane (III, 4); illustra il Vizio della cupiditade (III, 5) e il Vizio dell'avarizia (III, 6); porta degli argomenti contro l'avarizia e spiega perché l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze (III, 7); tratta delle ragioni r~- per cui l'avaro non si sazia (III, 8); di che cosa l'uomo deve far tesoro e quando lodeve 40 ~, fare (III, 9); spiega come mai ci sono stati dei ricchi santi (III, 10); e cita in esempio diversi argomenti per preferire le ricchezze alla povertà (III, 11); parla di che co sa fa buona la povertà (III, 12) e di che cosa fa buona la ricchezza (III, 13) e conclude dicendo che la vita povera è migliore di quella ricca. Spiega come si devono guadagnare le ricchezze (III, 13 ), come si devono spendere e usare (III, 14), come si devono conservare (III, 15) e quali sono le altre cose che fanno buona la ricchezza (III, 16) come ad esempio la cortesia ovvero in che modo l'uomo ricco deve essere cortese e come deve usare la cortesia: deve frenare la lingua, deve temperare il cuore, deve spendere e donare le sue ricchezze (Ill, 17) e spiega infine perché la vita povera viene considerata dai Santi come beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18). Si passa alle fatiche per i desideri della came (III, 19) e ad i vizi che ne conseguono: il vizio della gola ed il male che ne segue (III, 19) ed il vizio della lussuria ed il male che ne segue (III, 20). Anche nei confronti della lussuria Bono indica dei rimedi nel cap. III, 21. ln seguito spiega le fatiche delle signorie e degli onori (III, 22), che portano a due vizi: Superbia (III, 23) e Vanagloria (III, 24). Il quarto trattato, composto di due soli capitoli, parla della paura. Il primo capitolo spiega che ci sono quattro cagioni di paura: il demonio, la came, l' uomo ela natura; ma ne aggiunge una quinta verso la fine del capitolo: la paura dei sogni (IV, 1). Il secondo e ultimo capitolo parla dei rimedi contro le paure (IV, 2). Il quinto trattato ha solo un capitolo e parla della morte naturale (V, 1). Il "programma della trattazione" che precede il sesto trattato spiega la miseria dell'uomo dopo la morte: colui che non osserva i comandamenti di Dio va all'Infemo. Il ~, trattato è di viso in dodici capitoli: il primo spiega quali sono i comandamenti (VI, 1); il 41 ~-,, secondo, terzo e quarto illustrano i maggiori comandamenti: amore di Dio (VI, 3) e amore del prossimo (VI, 4). Il quinto spiega i tre comandamenti minori che riguardano l'amore di Dio (VI, 5), il sesto i cinque comandamenti minori che riguardano l'amore del prossimo (VI, 6); il settimo la sorte dell'anima dopo la morte (VI, 7), l'ottavo ed il nono l'inferno e i suoi tormenti (VI, 8-9), il decimo il tormento dei pensieri (VI, 10); l'undicesimo presenta l'argomento della non eternità dell'inferno (VI, 11) e il dodicesimo lo contesta (VI, 12). Il settimo trattato è diviso in cinque capitoli e tratta della beatitudine e la gloria del giusto che va in Paradiso e di come è disposto il Paradiso (VII, 1). Il secondo capitolo parla della beatitudine e della gloria delle anime che vanno in Paradiso (VII, 2), il terzo delle potenze dell'anima (VII, 3) che sono: immaginare, lavorare e desiderare. Il quarto spiega la potenza che c'è nell'anima nel lavorare e perché vivendo ci si affatica senza trovare riposo e come ci si riposa invece in Paradiso (VII, 4); il quinto spiega la potenza che c' è nell' anima nel desiderare e come nel mondo non si puo saziare e come si sazia in Paradiso (VII, 5). Infine l'ottavo trattato, diviso in quattro capitoli, spiega nel primo capitolo il giorno del giudizio: (VIII, 1) le cose che avvengono prima, i segnali, il giorno del giudizio e la sentenza che dà Dio. Il secondo capitolo spiega in che modo nel giorno del giudizio finirà il mondo intero (VIII, 2), il terzo capitolo parla dei quindici segni del giudizio (VIII, 3), 26 il quarto spiega in che modo nel giorno del giudizio resusciteranno e saranno giudicate le anime (VIII, 4)27 • 26 11 Divizia individua la fonte di questo capitolo nel volgarizzamento A della Legenda aurea (P. Divizia, 1 quindici segni del Giudizio: appunti sulla tradizione indiretta della Legenda aurea nella Firenze del Trecento," in Studi su volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P. Rinoldi e G. Ronchi, Roma, Viella, 2005, pp. 47-64. 42 4. Tavole 4.1. Struttura logica dell' opera di Lotario De contemptu mundi sive de miseria humane conditionis 1. Prologus: Lotario si propone di mostrare in questa opera la bassezza della condizione umana e, afferma che lo fa per umiliare la superbia la quale è "il capo di tutti i vizi (l'origine di tutti i vizi)". L'uomo è stato generato nel peccato, è nato perla pena, il timoree il dolore, la sua vita è fatica e, cio che è più miserevole, è nato perla morte; in più, l'essere umano commette "azioni vane" per cui trascura cio che è serio, utile e necessario. Liber Primus: De miserabili huinane conditionis ingressu (lo sventurato ingresso nella condizione umana). Sofferenze della vita fin dalla nascita e senza distinzioni di condizione, classi o età. I. De miserabili humane conditionis ingressu. Miserie della corporeità della concezione fino alla nascita II. III. IV. V. VI. a. "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono la morte prima di conoscere la vita" Geremia (20, 14-18) e III cap. di Giobbe De vilitate mate rie de qua formatus est homo. (Della viltà della materia di cui l'uomo è formato) De conceptione infantis. (Peccaminosità della concezione) a. la sofferenza del neonato che viene al mondo e alla vita, già preda del peccato ancora prima di peccare e dell' errore ancor prima di errare b. sin da1 concepimento ereditiamo una duplice colpa: la prima sta nel peccato che accompagna 1' emissione del seme e la seconda ci viene trasmessa. c. , i nostri genitori ci hanno dato la vita mentre erano avvolti dai peccato Quali cibo conceptus nu triatur in utero. (Di quai cibo 1'uomo si nutre nel ventre: di sangue mestruale, immondo e sporco) De imbecillitate infantis. (Debolezza del neonato) a. nasciamo senza parola, senza scienza, senza virtù: flebili, "imbecilli", poco distanti dagli animali bruti, loro almeno appena nati cammmano ... b. "felici quelli che muoiono prima di nascere, che conoscono hi morte prima di conoscere la vita" Geremia (20, 14-18) e III cap. di Giobbe De dolore partus et eiulatu nascentis. (Del dolore del parto e del pianto del neonato) a. Tutti nasciamo piangendo per esprimere la nostra miseria 27 L'intero trattato di Bono Giamboni è disponibile soltanto nell'edizione preparata da Francesco Tassi a Firenze ne! 1836, che non corrisponde ai criteri scientifici modemi. Ciononostante ho pensato di poter intraprendere ugualmente l'analisi del trattato di Bono perché sono in contatto con Jo studioso che sta lavorando all'edizione critica, il professor Paolo Divizia dell'Università di Brno, che puo avvertirmi in quali punti l'edizione del Tassi risulta davvero inaffidabile. 43 b. L'uomo entra in questo mondo attraverso il peccato e peril peccato passa la morte a tutti gli uomini Miserie della corporeità dell' età adulta VII. VIII. IX. X. De nuditate et vestitu nascentis. (Della nudità dell'uomo) a. citazione di Giobbe che, nato nudo dal ventre della madre, nudo morirà Qualemfructum homo producit. (Quale frutto produce l'uomo) a. frutti sporchi che l'uomo, essendo sporco, produce: "tale albero, tale frutto" De brevitate huius vite. (Della brevità della vita) De incommodo senectutis. (Degli incomodi della vecchiaia) Le fatiche XI. XII. XIII. De labore mortalium. (Della fatica dei mortali) Le fatiche: Dalla corporeità dell'uomo si passa alle attività dell'uomo, ovviamente tutte vane: gli uomini nascono alla fatica, tutti i loro giomi sono pieni di fatiche e calamità. Neanche di notte la loro mente riposa De diverso studio sapientum. (Dello studio dei sapienti) La ricerca del sapere a. nella moita sapienza, c' è moita indignazione, chi avanza nella scienza accresce il dolore b. l'uomo non puo spiegare le opere di Dio (Salomone) quindi l'unico modo per trovare la salvezza è Dio De variis hominum studiis. (Dei vari "studi" degli uomini) a. tutte le fatiche e tutte le cose terrene nelle quali gli uomini credono, diventano vizi vani e afflizione d'animo e nulla di cio rimane Le diverse miserie degli uomini secondo lo stato sociale dal XV al XVIII: XIV. De diversis anxietatibus. a. il ricco e il povero, il servo e il signore, il maritato e il celibe, il buono e il cattivo b. Tutti, senza distinzione di classe o età, sono afflitti da problemi mondani XV. De miseria pauperis et divitis. (Della mi seria del povero e del ricco) b. i poveri vengono disprezzati, la loro condizione è miserabile c. è meglio morire che essere povero d. Ovidio: fin quando sarai felice avrai moiti amici, ma quando i tempi si faranno hui (nell'avversa fortuna) ti ritroverai solo e. più l'uomo è ricco più è considerato buono, più è povero più è considerato cattivo f. la condizione del ricco diviene miserabile nel momento in cui cade nella trappola dei piaceri e della vana gloria g. conclusione: si fatica nell'acquistare, si terne nel possedere, si ha dolore nel perdere, e questo affatica e affligge la mente. L 'uomo dovrebbe fare di Dio il suo tesoro 44 /--- XVI. De miseria servorum et dominorum. (Della miseria dei servi e dei signori) a. la misera ed estrema condizione in cui vive la servitù è la peggiore perché va contro natura: sono nati liberi ma la sorte li ha fatti servi b. Orazio conferma che è sempre il popolo che deve scontare gli errori dei govemanti e, in senso più generale, sono i subaltemi che fanno da capro espiatorio per gli errori dei loro superiori c. i servi sono sempre afflitti e hon si possono difendere dai signori d. anche la condizione dei signori è misera: se sono crudeli, i servi, depravati come sono, lo rispettano e lo temono, se sono clementi sono disprezzati dai suoi sottoposti, che si fanno sfacciati. Il timore, percio, affligge chi è severo, il disprezzo degrada il mansueto, infatti la crudeltà partorisce 1' odio e la confidenza il disprezzo. Quindi anche i signori sono afflitti giorno e notte. XVII. De mise ria continentis et coniugati. (Della miseria del celibe e del maritato) a. Orazio: "se il fuoco puo non bruciare, allora la came puo non desiderare", anche se caccerai la natura con la forca, essa ritomerà b. il miglior modo per non bruciare di libidine è unirsi in matrimonio c. la miseria del marito si manifesta con i moiti problemi che causano i figli, la moglie, i servi e le ancelle d. il marito e' costretto ad amar tutto cio che la moglie ama e odiar tutto cio che lei odia e. se il marito la lascia la spinge al tradimento XVIII. De miseria bonorum et malorum. (Della miseria dei buoni e dei cattivi) a. l'uomo è punito da quelle medesime cose per le quali pecca b. la sorte dei buoni non è migliore: 1. San Paolo (Maccarrone pag. 26) chi vuole vivere pienamente con Cristo, patisce le persecuzioni 11. i santi e i giusti hanno da sempre provato i dispregi e le offese altrui, sono anche morti per amore del Signore Dei nemici degli uomini che fanno della vita un perpetuo combattimento XIX. a. b. c. d. e. De hostibus hominis. il Diavolo con i vizi la natura con le belve feroci il mondo con gli elementi la came con i sensi la came desidera sempre contro lo spirito e lo spirito contro la came Il corpo come carcere dell'anima XX. Quod corpus dicitur carcer anime. a. la vita è sofferenza, timore e dolore, in nessun luogo si trova la pace, la tranquillità 45 I capitoli seguenti attaccano la validità dei momenti felici, tendono a distruggere le obiezioni che si potrebbero opporre a questa visione totalmente pessimista sulla base di certi aspetti positivi della vita: Dal XXI al XXIII ed il XVI De brevi letitia. (Della breve allegria degli uomini) a. il tempo muta, sempre, dalla mattina alla sera (Salomone) XXII. De inopinato dolore. (Del dolore non pensato: le disgrazie impreviste) a. la mondana felicità è aspersa di molte tristezze b. i figli di Giobbe: nel giorno dei beni non bisogna mai scordarsi dei mali c. i mali arrivano all'improwiso d. non peccare per non essere puniti in eterno XXIII. De vicinitate mortis. (Della vicinanza della morte) a. il tempo passa e giorno dopo giorno si avvicina la morte b. le cose future nascono sempre, e quelle presenti e passate muoiono sempre c. Meglio è morire alla vita, che vivere alla morte d. niente è la vita mortale, se non una vivente morte e. la morte arriva all'istante e non puè> essere impedita. XXI. Dello spavento dei sogni XXIV. De terrore sompniorum. a. causano confusione, fatiche, tormenti b. sporcano l'anima e hanno fatto cadere in errore molti uomini, specialmente chi ha posto in loro la propria speranza c. dove ci sono molti sogni ci sono molte vanità Della compassione XXV. De compassione. a. neppure nell'amore o nell'amicizia l'uomo puè> trovare qualche consolazione b. la compassione verso gli amici, del dolore che proviamo quando i nostri amici stanno male e di come temiamo per le persone a noi care c. 1' episodio evangelico del pianto di Gesù sulla morte di Lazzaro (Maccarrone pag. 32, 19): il pianto fu perle miserie che aveva sofferto in vita più che per la morte Degli infortuni inaspettati, degli scherzi della fortuna "sfortuna" XXVI.Quod innumere sunt species egritudinum. d. di solito quando si terne qualcosa, accade: la morte che quando arriva prende all'improvviso e non c'è via di scampo e. non bisogna mai essere troppo sicuri, felici e spavaldi quando accade qualcosa di bello perché nessuno sa cosa succederà il giorno seguente Fra le disgrazie inaspettate, le malattie: XXVI. De subitis infortuniis. (Delle innnumerevoli specie di infermità) 46 a. gli uomini sono i portatori sin dalla creazione del mondo del maggior numero di infermità: i. tante e tante specie di passioni che corrompono l'uomo ogni giorno di più XXVIII. De diversis generibus tormentorum. (Delle diverse generazioni dei tormenti) a. le atrocità che gli uomini meschini sono spesso costretti a subire: i. bastonati, pugnalati, scannati, bruciati vivi, avvelenati dagli scorpioni, strangolati, macerati dai digiuni, legati, torturati, lasciati morire di fame, rinchiusi in prigione XXIX.. De quodam horribilifacinore: de quadam muliere que comedit infante rn suum. (Di un orrendo fatto che una donna mangio suo figlio) a. storia di Giuseppe Flavio durante l'assedic giudaico Distorsione totale dell'umano giudizio XXX. Quod quandoque punitur innocens et nocens absolvitur. (Che alcuna fiata si punisce 1'innocente, e si libera il reo) a.l'uomo innocente viene punito, e l'uomo reo assolto b. il pio viene punito e 1' empio onorato c. Gesù Cristo fu crocifisso e Barabba liberato 2. Liber secundus: De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole sviluppo della condizione umana). Una rassegna dei "beni" (vane apparenze e falsi beni) ai quali di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena (le ricchezze che portano alla malvagità, il sapere che porta al dolore, il potere e gli onori che portano alle vanità, i piaceri che portano alle indecenze). La ricerca di questi beni induce inevitabilmente ai vari peccati capitali di cui l'uomo è l'unico artefice e colpevole. 1. De culpabili humane conditionis progressu. Ci sono principalmente tre cose che gli uomini desiderano nella vita terrena: le ricchezze, il sapere e gli onori Del desiderio delle ricchezze vengono generati 2 vizi: la Cupidigia el' Avarizia dai II al XVI De cupiditate. II. a. 1' avarizia è la radiee di tutti i mali e fa commettere agli uomini azioni scellerate: furti, rapine, guerre, omicidi, inganni De iniquis muneribus. (Degli iniqui doni) III. a. i doni acciecano gli occhi e che le persone quando li ricevono non giudicano più per "amore iustitie" ma per "amore pecunie" De acceptione personarum. (Dell'accettazione delle persone) IV. a. le persone vengono giudicate in base alle loro ricchezze b. vengono distinti i ricchi dai poveri: i primi agevolati ed ammirati, e secondi disprezzati ed offesi V. De venditione iustitie. (Della vendita della giustizia) a. i ricchi sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e finiscono per imprigionare la loro anima 47 VI. De insatiabili desiderio cupidorum. (Dello insaziabile desiderio degli avari) VII. Qua re cupidus satiari non potest. (Perché 1' avaro non si puo saziare) a. 1' arno re per il denaro cresce tanto quanto cresce il denaro b. l'avaro non smette mai di desiderare le ricchezze, è insaziabile c. non riceverà mai frutto da quelle VIII. De falso no mine divitiarum. (Del falso nome delle ricchezze) a. le ricchezze danno agli uomini una falsa felicità IX. Exempla contra cupiditatem. (Esempi contro l'avarizia) a. 1' avarizia inganna e distrugge X. De iniqua possessione divitiarum. (Della ingiusta possessione delle ricchezze) a. moiti sono stati distrutti dall'oro e dall'argento XI. De licitis opibus. (Delle ricchezze lecite) a. chi crede in Dio possiede tutte le ricchezze b. è difficile stare nel fuoco e non bruciare, difficile possedere le ricchezze terrene e non amarle XII. De incertitudine divitiarum. (Della incertezza delle ricchezze) a. ogni avaro si sforza e combatte contro natura perchè la natura conduce 1'uomo al mondo povero e alla terra nudo ritomerà .XIII. De contempnenda possessione divitiarum. (Della superflua sollecitudine degli avari) a. bisogna cercare prima di tutto il regno di Dio ed il resto sarà aggiunto a questo XIV. De avaro et cupido. (Il vizio dell'avarizia) a. l'avaro ha sempre bisogno di denaro anche stando nelle ricchezze b. l'avaro è come l'infemo: riceve e non rende, quindi offende Dio, se stesso e il prossimo XV. Cur avaritia dicatur servitus ydolorum. (Perché 1' avarizia è servitù degli idoli) a. 1' avaro serve il tesoro, lo onora, se ne prende cura XVI. De proprietatibus avari. (Delle proprietà dell' avaro) a. disprezza donare perché ama guadagnare b. porta il suo corpo allo stremo per far crescere il suo guadagno c. le cose ingiuste, le cose che provengono dal male al male pervengono d. 1' avaro è dannato nella sua vita presente e anche in quella futura Dalla ricerca dei piacere nascono questi vizi: Gola, Ubriachezza e Lussuria Il vizio della go la dal XVII al XX XVII. XVIII. De gu/a. Exempla contra gu/am. (Degli esempi contro la gola) a. non bisogna desiderare di mangiare ogni cibo altrimenti si muore b. tutti i peccatori andranno all'infemo 48 Il vizio della ubriachezza XIX. XX. De ebrietate. a. Il vino porta alla lussuria, ira e moiti problemi Exempla contra ebrietatem. (Degli esempi contro l'ubriachezza) a. porta al male, porta alla morte sicura Il vizio della lussuria . ~. XXI. De luxuria. XXII.De generalitate luxurie. (Della generalità della lussuria) b. condanna la lussuria, un vizio che abita non al di fuori ma dentro ogni uomo c. corrompe, crea disordine, perturba vecchi e giovani, uomini e donne senza distinzione XXIII.De diversis speciebus luxurie. (Delle diverse specie di lussuria e delle pene di quelle) a. i Sodomiti, degli esseri immondi, per la bellezza moiti sono morti b. sporco vizio debilita le forze, diminuisce i sentimenti, consuma i giomi e dissipa le ricchezze XXIV. De coitu contra naturam. (Del peccato contro natura) a. donne con donne e uomini con uomini b. non c' è peccato peggiore di questo c. nella Sacra Scrittura è data la stessa pena ad un uomo che va con uomo e ad un uomo che va con una hestia. xxv. De pena huius sceleris. (Della pena di questa scelleratezza) a. il fetore della lussuria b. Dio non perdona questo peccato a nessuno c. La moglie di Loth che fu trasformata in statua di sale Dell' am bizioso Dalla ricerca degli onori e del potere nascono: Ambizione, Superbia, Arroganza XXVI. De ambitioso. Ovidio: l'uomo ambizioso è sempre è pavido, sempre attento a non dire o a non fare cosa che agli occhi degli uomini possa dispiacere a. finge di essere umile, mente, fa finta di essere onesto, fa finta di essere affabile XXVII.De nimia concupiscentia ambitionis. (Della disordinata concupiscenza degli ambiziosi) a. quando gli ambiziosi non possono ottenere quello che vogliono, fanno qualsiasi cosa per averlo XXVIII. Exemplum de ambitioso. (Esempio dell'ambizioso) a. Assalonne XXIX.. Quod brevis est et misera vita magnatum. (Della breve e misera vita dei maganti) a. la vita di ogni potente è breve 49 XXX. ~·. ( De diversis proprietatibus superborum. (Delle diverse proprietà dei superbi) a. esempi di superbia, arroganza e disonestà XXXI. De superbia et casu Luciferi. (Della superbia e cadimento di Lucifero) a. il vizio della superbia e della caduta di Lucifero b. ogni uomo che si esalterà, sarà umiliato, e quello che si umilia, sarà esaltato XXXII. De arrogantia hominum. (Dell'arroganza degli uomini) a. quando un uomo è superbo diventa arrogante, presuntuoso, e crede di poter essere come Dio XXXIII. De abhominatione superbie. (Dell'abominazione della superbia) a. ogni superbo sarà umiliato nel giorno del giudizio e infine la superbia sarà distrutta da Dio XXXIV. Contra arrogantiam superborum. (Contro l'arroganza dei superbi) a. di solito quasi ogni vizioso ama il suo simile, ma il superbo invece lo odia, infatti i superbi si odiano a vicenda (Salomone) XXXV. Contra fraude rn ambitiosorum. (Esempio contro la frode degli ambitiosi) a. i figliuoli di Zebedeo come esempio contro la frode degli ambiziosi XXXVI. De proprietatibus arrogantium. (Della proprietà degli arroganti) a. pensano di essere migliori degli altri, superiori, come Dio XXVII. De superjluo cultu. (Del superfluo omamento) a. non servono vestiti preziosi per salvarsi, e parla di un uomo molto ricco che è finito ugualmente all'infemo XXXVIII. Contra superjluum ornatum. (Contro il superfluo omamento) XXXIX. Quod plus defertur vestibus quam virtutibus. (Perché si onorano più le vesti invece delle virtù) a. quel che la virtù non ha potuto, l'ha ottenuto la veste: si onorano più i vestiti che le virtù, più la vanità che l'onestà. XL. De ornatu persane, mense et dom us. (La falsificazione dei co lori) a. non serve a niente dipingere i muri di casa, omarsi, perché tanto quando si muore tutte queste cose sono vane 3. Liber tertius: De dampnabili humane conditionis egressu (la condannabile uscita dalla condizione umana). L'apocalisse, il momento della morte e le pene infernali. Il momento della morte 1. De dampnabili humane conditionis egressu. a. tutti i beni terreni sono vani perché ogni uomo alla fine della sua vita incontra la morte b. nessuno è puro perché tutti gli uomini peccano c. conclusione: che gli uomini fin quando cercheranno la felicità nei beni terreni non la troveranno mai, anzi riempiranno questo mondo di peccati, esalteranno il male, accumuleranno vizi e moriranno senza potersi salvare 50 Dei dolori che i cattivi patiscono nella morte: 4 dolori: II. De do/oribus quos mali patiuntur in morte. a. 1' angustia del corpo quando 1' anima si stacca dal corpo b. "occhi interiori" nel momento della morte c. l'anima viene giudicata e vede per ogni sua iniquità il debito tormento dell'Infemo che dovrà sopportare d. l'anima ancora nel corpo vede gli spiriti maligni che si preparamo a prenderla Dell'avvenimento di Cristo al giorno della morte di ciascun uomo. Le 4 venute di Cristo sulla terra, due visibili e due invisibili: III. IV. V. VI. VII. De adventu Christi ad diem mortis cuiuslibet hominis. a. la nascita di Cristo sulla terra b. il giorno del giudizio universale quando Cristo tornerà per giudicare tutti gli uomini c. nella mente per grazia di vina (V angelo) nell' anima di ciascun credente nel Battesimo d. nel momento della morte (Giovanni nell' Apocalisse) De putredine cadaverum. (Del fetore dei corpi morti) De tris ti me mo ria dampnatorum. (Della triste memoria dei dannati) a. il peccatore si affliggerà, si turberà, sarà pieno di angoscia De inutili penitentia reproborum. (Della inutile penitenza dei dannati) a. l'inutile pentimento dei dannati che soffriranno della pena ma non potranno mai essere perdonati De ineffabili angustia dampnatorum. (Della ineffabile angustia dei dannati) a. i dannati vedono i giusti glorificati. 1 giusti si rallegrano nel vedere la vendetta di Dio sui peccatori Delle diverse pene dell'inferno VIII. IX. De diversis penis inferni. a. le pene infemali sono secondo i diversi peccati: 1. la prima pena è il fuoco 11. la seconda è il freddo 111. la terza è il fetore 1v. la quarta i vermi eterni v. la quinta i "flagelli dei percutienti" (Lotario cita Salomone) v1. la sesta le tenebre esterne e interne v11. la settima è la confessione dei peccati vm. l'ottava è l'orribile visione dei diavoli 1x. la nona è le catene infuocate con le quali saranno legati i membri degli empi De igne gehennali. (Del fuoco infernale) a. il fuoco infernale è stato creato da Dio è inestinguibile dalla creazione del mondo (Santo V angelo) 51 b. arde sempre, non si consumerà mai. E l'uomo sarà punito per sempre in base ai peccati commessi in vita, come è confermato dalla parabola del ricco Epulone x. De te ne bris inferni. (Delle tenebre dell 'inferno) XI. De conversione penarum. (Della confusione delle pene) a. quelli che hanno peccato più gravemente, saranno puniti più gravemente De diffidentia dampnatorum. (Della penitenza dei tormenti) XII. a. i dannati sono posti come pecore nell'Inferno, moriranno eternamente b. la morte è immortale c. i morti i quali sono morti alla vita cercheranno invano la morte XIII. Cur reprobi numquam liberabuntur a penis. (Che i reprobi mai saranno liberati dalle pene) a. Dio punisce in eterno i reprobi b. nell'Inferno non c'è alcuna redenzione c. i reprobi saranno puniti eternamente perché è giusto che l' empio, il quale offende Dio nella sua eternità, sia punito da Dio in eterno d. nell'Inferno la volontà del dannato, diventerà supplizio e cio che fu nel mondo un peccato si trasformerà in dolore (San Giovanni nell' Apocalisse) XIV. Testimonia de suppliciis eternalibus. (I testimoni dei supplizi eterni) a. 1'uomo empio non avrà nessuna speranza, sarà distrutto Del giorno del giudizio XV. De die iudicii. a. il giorno del Signore in cui la superbia degli infedeli cesserà, 1' arroganza dei forti sarà umiliata, ogni cuore di uomo sarà distrutto b. un giorno di ira, di dolore, di angoscia, di calamità, di miserie, di tenebre De precedente tribulatione. (Della precedente tribolazione) XVI. XVII. Qualiter veniet Dominus ad iudicium. XVIII. De potentia et sapientia et iustitia iudicis. (Della potenza, sapienza e giustizia del giudice) XIX. De divino iudicio. (Del divino giudizio) il giudizio universale a. nessuno potrà corrompere la giustizia di Dio, nessuno potrà sfuggirgli xx. Quod nichil proderit dampnandis. (Che niente gioverà ai dannati) a. nierite gioverà ai dannati: non serviranno a niente le ricchezze, l'anima che ha peccato morirà 52 4.2. Struttura dell'opera di Bono: Della miseria dell'uomo 1. miseria dell'uomo e dellafemmina dall'ora che è creata infino all'uscita del ventre della madre (Capitolo introduttivo :il programma della trattazione) a. nasce nel peccato originale (1, 1) b. viltà della cosa onde è fatta (1, 2) c. · viltà della cosa onde si nutrica nel ventre della madre (1, 3) d. dolore della nascita (1, 4) e. miseria della creatura (1, 5) 2. miseria dalla nascita alla morte :dolore -fatica- paura (il programma della trattazione) a. Dolori: 1. do lori della creatura app ena nata (II, 1) 11. dolore nel corso della vita : fisici, psicologici, emotivi (II, 2) 111. dolori dellavechiaia (II, 3) iv. Rimedi: 1. L'uomo puo evitare i mali con la previdenza, o, se non li puo evitare, sopportarli con pazienza per "compiacere Dio" (primo bene: II, 4) 2. si rende simile ai santi (secondo bene : II, 5) 3. guadagna il paradiso (terzo bene: II, 6) b. Fatiche. La vita è fatica; programma della trattazione : fatiche per divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per i desideri della came, per le signorie e gli onori. La prima è « vaga e naturale all'uomo e ciascuno vi s'affatica volentieri », le altre sono fatiche di peccato .... (il programma della trattazione) 1. Fatica per divenire savio (III, 1) 11. Fatica per ragunare ricchezze; programma della trattazione: per divenire ricco d'avere; vanità di queste fatiche; peccati generati dalla ricchezza: l'uomo diventa cupido in accattare ed avaro in ritenere; l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze; l'avaro non si sazia; di che cosa l'uomo deve fare tesoro; altre considerazioni; che cosa fa buona la povertà; che cosa fa buona la ricchezza. (III, 2) 1. Fatiche per divenire ricco d'avere (III, 3) 2. Le ricchezze sono false e vane (Ill, 4) 3. Vizio della cupiditade (III, 5) 4. Vizio dell'avarizia (III, 6) i. Argomenti contro l'avarizia e perché l'uomo non deve desiderare di fare ricchezze (III, 7) ii.le ragioni per cui l'avaro non si sazia (III, 8) 53 iii.di che cosa l'uomo deve far tesoro e quando lodeve fare (III, 9) 5. Come mai ci sono stati dei ricchi santi (III, 10) Rimedi i. Argomenti per preferire le ricchezze alla povertà (III, 11) ii. Che cosa fa buona la povertà (III, 12) iii. Che cosa fa buona la ricchezza (III, 13) iv. La vita povera è megliore di quella ricca 1. Come si devono guadagnare le ricchezze (Ill, 13) 2. Come si devono spendere e usare (III, 14) 3. Come si devono conservare (Ill, 15) 4. Altre cose che fanno buona la ricchezza (III, 16) 5. La cortesia (Branca su Boccaccio) in che modo l'uomo ricco deve essere cortese e come deve usare la cortesia: frenare la lingua, temperare il cuore, spendere e donare le sue ricchezze (Ill, 17) 6. Perché la vita povera viene considerata dai Santi come beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18) 1. Fatiche per i desideri della carne (Ill, 19) 1. Vizio della gola ed il male che ne segue (III, 19) 2. Vizio della lussuria ed il male che ne segue (III, 20) 3. 1 rimedi contro la lussuria (III, 21) 11. Fatiche delle signorie e degli onori (III, 22) 1. Vizio della superbia (III, 23) 2. Vizio della vanagloria (Ill, 24) c. paura; (il programma della trattazione) i. quattro paure : demonio, came, uomo, natura; sogni (IV, 1) ii. 1 rimedi (IV, 2) 3. morte (V, 1) 4. miseria dopo la morte (il programma della trattazione) a. va in infemo colui che non osserva i comandamenti di Dio. Quali sono i comandamenti (VI, 1) 1. i maggiori comandamenti (VI, 2) 1. amore di Dio (VI, 3) 2. amore del prossimo (VI, 4) 11. i tre comandamenti minori che riguardano l'amore di Dio (VI, 5) m. i cinque comandamenti minori che riguardano l'amore del prossimo (VI, 6) b. sorte dell'anima dopo la morte (VI, 7) c. l'infemo e i suoi tormenti (VI, 8-9) i. il tormento dei pensieri (VI, 10) 54 ii. Argomento della non eternità dell'inferno (VI, 11) iii. Contestazione del precedente (VI, 12) 5. beatitudine e gloria del giusto che va in Paradiso (VII, 1) a. come è disposto il Paradiso b. la beatitudine ela gloria delle anime che vanno in Paradiso (VII, 2) c. delle potenze dell'anima: (VII, 3) . . . 1. 1mmagmare ii. lavorare iii. desiderare d. la potenza che c'è nell'anima nellavorare e perché vivendo ci si affatica senza trovare riposo e come ci si riposa invece in Paradiso (VII, 4) e. la potenza che c' è nell' anima nel desiderare e come nel mondo non si puo saziare e come si sazia in Paradiso (VII, 5) 6. die del giudicio : (VIII, 1) a. le cose che avvengono prima b. isegnali c. il giorno del giudizio d. la sentenza di Dio e. in che modo nel giorno del giudizio finirà il mondo intero (VIII, 2) f. i quindici segni del giudizio (VIII, 3) g. in che modo nel giorno del giudizio le anime resusciteranno e saranno giudicate (VIII, 4) 55 5. Affinità e divergenze frai due testi: il senso del discorso di Bono e in che cosa differisce da Lotario 5.1 Le affinità Anche un confronta superficiale delle due Tavole dimostra che Bono segue la falsariga dell'opera di Lotario. Bono presenta gli stessi argomenti e nello stesso ordine, ripete le stesse citazioni; spesso si trovano coincidenze testuali che appaiono vere e proprie traduzioni del testo latino. Alcuni esempi sparsi: Lota rio Bono Quare de vu/va matris egressus sum, ut viderem laborem et dolorem et consummerentur in confusione dies mei? (1 libro Cap. I pagina 7) Perché sono io uscito del ventre della madre mia, acciochè io veggafatiche e dolo ri, e consumi i di miei in confusione? (Prologo pagina 6) quia quanto sunt delicatiora cibaria, tanto feditiora sunt stercora (II libro Cap. VIII pagina 52) quanto più sono delicati i mangiari, tanto è più puzzolente la feccia (III trattato Cap. XIX pagina 78) Planetas et ste/las fecit ex igne, jlatus et ventos fecit ex aere, pisce set volucres fecit ex aqua: hom ines et iumenta fecit de terra (1 libro Cap. II pagina 8) Le ste/le e i pianeti sono fatti di fuoco; i jiati e i venti sono fatti d'aria; i pesci e gli uccelli sono fatti d'acqua; e gli uomini e le bestie sono fatti di terra (1 trattato Cap. II pagina 17) Nolite diligere mundum, neque ea que in mundo sunt; quia quidquid est in mundo concupiscentia carnis est et concupiscentia oculorum et superbia vite (Il libro Cap. I pagina 39) Non amate il mondo, né le cose che ne! mondo sono, perché tutte sono disiderio della carne, o disiderio dell 'occhio, o superbia della vita (III trattato Cap.VI pagine 35-36) Arcta est enim via et angusta porta, per Stretta è la via, e picco/a è la porta, che ne mena alla vita quam itur et intratur ad vitam (II libro Cap. X pagina 46) (Ill trattato Cap .IX pagina 51) 56 Noli avidus esse in omni epulatione, et non te effundas super omnem escam, in muftis enim escis erit infirmitas et propter crapulam mufti obierunt (Il libro Cap. XVII pagina 52) . Non sie disideroso d'agni mangiare, e non ti gittare sopra agni esca, perché in moiti mangiari ha pericolose e gravissime infermitadi (Ill trattato Cap. XIX pagina 79) Cu/pa domini, servi pena (1 libro Cap. XVI pagina 21) e se il ricco commette il peccato, il povero ne porta la pena (Ill trattato Cap. XI pagina 57) « Omnis potentatus brevis vita ». (II libro Cap. XXVIII pagina 62) tutti i grandi e potenti signori sono di picco/a vita (III trattato Cap. XXI pagina 89) A volte Bono si discosta da una traduzione letterale, rna incorpora le frasi di Lotario in un /-- discorso che appartiene a lui. Per esernpio: Nel secondo libro De culpabili humane conditionis progressa (il colpevole sviluppo della condizione urnana) di Lotario nel XIV capitolo intitolato De avaro e cupido, alla pagina 49 Lotario scrive: "Est quasi dives curn nichel habeat, et est quasi pauper curn in rnultis divitiis sit". Avarus et infemus uterque cornedit et non digerit, recipit et non reddit. Avarus nec patientibus cornpatitur nec mi seris rniseretur, sed offendit Deum, offendit proximurn, offendit seipsurn. Nam Deo detinet debita, proxirnurn denegat necessaria, sibi subtrahit opportuna. Deo ingratus, proxima impius, sibi crudelis. « Viro cupido et tenaci sine ratione est substantia, et hornini livido ad quid aururn? Qui sibi nequarn est, quornodo alii bonus erit? Et non iucundabitur in bonis suis. Qui habet substantiarn huius mundi, et viderit fratrern suurn necessitatern habere et clauserit viscera sua ab eo, quornodo caritas Dei manet in eo? ». Nel III trattato di Bono: Miseria dalla nascita alla morte: nel sesto capitolo intitolato Del vizio dell 'avarizia, il quale è in 57 ritenere, e non in ispendere, a pagina 46 Bono scrive: "L'uomo che è cupido, e tenace, è una sustanzia sanza ragione, il quale da che non è buono a sé, non sarà buono ad altrui, pero non riceverà nè giuoco, nè sollazzo, nè alcuna allegrezza ne' beni suoi, ma perderannosi con lui. E ragione è che si debbano perdere, accio che non venga a bene quello, che non procede di bene: perla qual cosa possiamo vedere, che l'avaro è dannato in questo mondo e nell'altro". Nel secondo libro De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole sviluppo della condizione umana) di Lotario nel VII capitolo intitolato Quare cupidus satiari non potest alla pagina 44 Lotario scrive: "Si vis ergo, cupide, satiari, desinas esse cupidus, quia dum fueris cupidus satiari non poteris. Non est enim conventio lucis ad tenebras, neque Christi ad Belial, quia nemo potest servire Deo et mammone". Nel III trattato di Bono: Miseria dalla nascita alla morte, nell' ottavo capitolo intitolato Qui si prova apertamente perché il cupido e l 'avaro non si sazia, a pagina 50 Bono cita il Vangelo e scrive: "che niuno non puote pigliare Iddio e Mammone, cioè le ricchezze, perché Dio non ha a fare niente col Diavolo, secondo che la luce non ha a far niente con le tenebre. E perché il cupido e 1' avaro empiere non si puote, si è per li Savi agguagliato al fuoco, il quale non resta mai d' ardere infino che trova co sa, ove egli si possa appigliare". Nella tavola delle fonti, (pp. 78-82) a sinistra ho riportato l'indice dell'opera di Bono e nella colonna di destra le fonti (quelle che sono riuscita" ad identificare) dalle quali Bono ha attinto. La tavola dimostra chiaramente che la maggior parte dei capitoli dell'opera di Bono è stata presa dall'opera di Lotario. Ma quello che è più interessante tra queste due opere sono le divergenze. 58 5.2 Le divergenze Raggruppo gli argomenti principali trattati nella struttura logica dell' opera di Lotario: Miserie della vita nella sua corporeità fin dalla concezione; Miserie della corporeità dell'età adulta; le fatiche dei mortali; le diverse miserie secondo lo stato sociale; i nemici dell'uomo che fanno della vita un perpetua combattimento; il corpo come carcere dell'anima; lo spavento dei sogni; dolori dovuti alla compassione; gli infortuni inaspettati, gli scherzi della fortuna "sfortuna"; la distorsione totale dell'umano giudizio; il desiderio delle ricchezze che porta a due vizi: la cupidigia e l'avarizia; la ricerca dei piaceri che porta a tre vizi: gola, ubriachezza e lussuria; la ricerca degli onori e del potere che fa nascere: ambizione, superbia e arroganza; la disordinata concupiscenza degli ambiziosi; l'arroganza degli uomini; il momento della morte; i quattro dolori che i cattivi patiscono nella morte; le quattro venute di Cristo sulla terra; le diverse pene dell'infemo; il giorno del giudizio. Raggruppo gli argomenti principali trattati nella struttura logica dell' opera di Bono: Miseria dell'uomo e della femmina dall'ora che è creata fino all'uscita del ventre della madre; Miseria dalla nascita alla morte : dolore - fatica - paura; i rimedi; le fatiche: per divenire savio delle cose, per ragunare ricchezze, per i desideri della came, per conseguire signorie e onori; il vizio della« cupiditade » e il vizio dell'avarizia; i rimedi; che cosa fa buona la ricchezza (la cortesia); dai desideri della came nascono due vizi: il vizio della gola ed il vizio della lussuria; i rimedi contro la lussuria; dal desiderio delle signorie e degli onori nascono due vizi: superbia e vanagloria; le quattro paure: demonio, came, uomo, natura; sogni; i rimedi; la morte; la miseria dopo la morte; quali sono i comandamenti di Dio che devono essere osservati per non andare all'infemo; la sorte 59 dell'anima dopo la morte : l'infemo e i suoi tormenti (discussione sulla non etemità dell'infemo); la beatitudine e gloria del giusto che va in Paradiso; come è disposto il Paradiso e come le potenze dell'anima (immaginare, lavorare e desiderare) trovano compimento e soddisfazione in Paradiso; il giorno del giudizio: i quindici segni del giudizio. Come si puo vedere dalle descrizioni degli argomenti principali delle due opere, la differenza più importante tra i due testi sta nel fatto che a tutte le fatiche e le miserie riprese dall 'opera di Lotario, Bono giustappone dei rimedi: i rimedi contro il dolore, la fatica e la paura; i rimedi contro i vizi; i rimedi contro le quattro paure; e nel fatto che alla descrizione dell'infemo Bono giustappone la visione del Paradiso, indicando anche quali sono i comandamenti che devono essere osservati per meritare il Paradiso. Insomma per Bono la vita è fatica ma tutti hanno la possibilità di raggiungere il meritato riposo e di saziarsi in Paradiso. La prima volta in cui Bono parla dei rimedi, egli afferma che i mali si possono evitare con la previdenza, ma, se non si possono evitare, la pazienza porta con sé tre beni : infatti, chi porta le tribolazioni di questo mondo in pace ha il vantaggio di "compiacere Dio" (primo bene: II, 4); si rende simile a Dio e ai santi e questa è "la via de' buoni, non vuole essere buono chi delle tribolazioni del mondo non vuole sentire" (seconde bene : II, 5); guadagna il paradiso - e Bono cita l' Apostolo: "Se noi siamo compagni di Dio nelle passioni, si saremo suoi compagni nelle consolazioni" (terzo bene: II, 6). La seconda volta che Bono parla dei rimedi è a partire dall 'undicesimo capitole del terzo trattato, in cui (vedere tavola della struttura logica di Bono) inizia a parlare della questione delle ricchezze. Va notato che Bono dedica moiti più capitoli a questo 60 argomento rispetto a Lotario ed inoltre affronta il discorso in modo diverso. Insiste che ci sono modi per usare le ricchezze in modo corretto, anche se rivela comunque il suo interesse per la salvezza etema quando conclude che la povertà è migliore della ricchezza emette l'accento, come abbiamo visto nel primo rimedio, sulla virtù della pazienza (di cui Lotario non parla). Bono indica dunque che cosa fa buona la ricchezza (III, 13): non bisogna desiderare di volere troppo, ma cio che basta per vivere bene. Spiega come si devono guadagnare le ricchezze (III, 13: "nel suo guadagnare non offende Dio, non offende la sua coscienza, non offende la sua dominanza e fama." Tassi 1836: 60); come si devono spendere e usare (III, 14: "l'uomo ricco dee far bene delle ricchezze sue a sè imprimamente, perchè ogni perfetta caritade, cioè amore, da sè medesimo si comincia. E poscia ne dee far bene ad altrui ... .in prima far bene alla sua famiglia, la quale è diputata al suo servigio ... E poscia ne dee far bene e ispendere, e metteme agli amici, perchè dice il proverbio: Dando e togliendo si ritengono gli amici ..... E poscia ne dee l'uomo ricco ispendere, per l'amore di Dio, a' poveri bisognosi .... " Tassi 1836: 63-64); come si devono conservare (III, 15: "E se nello spendere sarai ben savio, sempre sarai una cosa, e quando ti abbonderanno le spese, e quando non ti fia bisogno di spendere, perchè secondo che richiederà il mutamento del tempo e il variamento delle cose, ti adatterai al tempo, e non ti muterai di niente, secondo che una è la mano che quando impalma si stende, e quando impugna si racchiude." Tassi 1836: 65) e quali sono le altre cose che fanno buona la ricchezza (III, 16) come ad esempio la cortesia ovvero in che modo 1'uomo ricco deve essere cortese e come deve usare la cortesia: deve frenare la lingua, deve temperare il cuore, deve spendere e donare le sue ricchezze in base alle sue possibilità (III, 17). Dà spazio all'opinione secondo cui le ricchezze sono preferibili alla povertà (III, 11), ma 61 afferma poi che anche la povertà puo essere buona (III, 12); e spiega perché la vita povera viene considerata dai Santi come beata, perfetta e migliore di quella ricca (III, 18). Lotario, invece, dedica moiti più capitoli alla condanna dei vizi della cupidigia e dell'avarizia e al contrario di Bono mette l'accento sull'influenza delle ricchezze nell'amministrare la giustizia. Insiste sulla corruzione dei giudici che accettano gli "iniqui doni" e che non vivono per la giustizia, ma per il denaro, parla "della vendita della giustizia": i ricchi (giudici) sono corrotti (putrefatti) per amor del denaro e finiscono per imprigionar la loro anima. E' interessante notare che Bono, che pure è un giudice, non parla affatto di questa questione. Lotario dedica poi gran parte della sua opera ai vizi che nascono dalla ricerca del piacere: Gola, Ubriachezza e Lussuria e ai vizi che nascono dalla ricerca degli onori: Ambizione, Superbia e Arroganza. Bono ripete le condanne di Lotario, ma preferisce "trovare i rimedi ai vizi". La terza volta che parla dei rimedi è nel ventunesimo capitolo: '~De' rimedj che sono trovati, che l'uomo dee usare contro al vizio della lussuria" (Tassi 1836: 83). Frai tanti vizi generati dai desideri degli uomini, Bono si sofferma soprattutto su questo, forse proprio perché la lussuria è "vizio naturale dell'uomo e della femmina," e i suoi interessi laici lo portano verso l'accettazione della vita terrena e alle possibili soluzioni dei suoi problemi morali. Bono cita Orazio (Lotario, Libro I, Cap. XVII) per sostenere che essendo un vizio naturale non vi è completamente rimedio: "la natura discaccerai dalla forca, ma ella sempre vi ritomerà" 28 e "né la morte, né l'amore non si puo fuggire". Nessuno quindi puo scampare alla lussuria. Ma alla fine si persuade che ci sono due rimedi possibili: il matrimonio per coloro che non vogliono essere casti, "per discacciare 28 Naturam expellas furca, tamen usque recurret (Epist., 1, 10, 24). 62 le tentazioni del nimico, soddisfacendo alla natura" (Tassi 1836: 83-84) e la fuga "per coloro che casti vogliono stare". E' il caso qui di osservare che, al contrario di Lotario, Bono include sempre frai suoi destinatari e nella società di cui parla anche "la femmina", a conferma dell'orizzonte laico al quale Bono fa riferimento. L'orizzonte monastico di Lotario, invece, escludeva la donna, o la considerava semplicemente fonte di peccato. La quarta volta che Bono parla dei rimedi è nel secondo capitolo del quarto trattato: " De' rimedj che debbono pigliare le genti sopra le paure". Come detto in precedenza le paure principali sono quattro: demonio, carne, uomo, natura; e secondariamente i sogni: "l'uomo e la femmina sempre debbono stare ammannati per difendersi da loro" (Tassi 1836: 97). Ri toma a parlare della pazienza, uni ca virtù capace di salvare chiunque e, ricorda che spesso i giusti sono tormentati ed i peccatori esaltati: "l'uno commette il peccato e l'altro ne porta la pena; Cristo iusto è crocifisso e Barabas ladro è liberato" (Tassi 1836: 98). Il giusto sarà sempre perseguitato e disprezzato dal mondo, è per questo che deve avere molta più pazienza affinché possa portare in pace le pene del peccatore ma infine meriterà la pace eterna, il Paradiso. 1 più importanti 'rimedi' sono probabilmente quelli che si trovano nel sesto trattato. Bono offre infatti una succinta guida alla salvezza nell' esposizione · dei comandamenti da seguire: "Qui si dice delle due comandamenta maggiori, le quali sono principali e capo delle altre". Il primo è "Ama lddio Signore tuo di tutto il cuore tuo, e di tutta l'anima tua, e di tutte le forze tue" e il secondo è "Ama il prossimo tuo siccome te medesimo" (Tassi 1836: 109). Bono sostiene che bisogna rispettare i due comandamenti principali, tutti gli altri nascono da questi, per salvarsi e poter meritare il Paradiso. Anche qui notiamo che quando parla degli uomini c'è sempre la presenza della donna: "l'uomo e 63 la femmina, per lo comandamento primario, sm tenuto ad amare Iddio .... e per lo comandamento seconda sia tenuto ad amare il prossimo" (Tassi 1836: 11 0). Bono trova un rimedio ad ogni problema, cerca una speranza, una via d'uscita all'inevitabile condanna lotariana. Passiamo in un certo senso dall'infemo al Paradiso. In Lotario ogni essere umano è condannato all'inevitabile fatica, va ricordato il suo motto: "meglio morire nel ventre della madre piuttosto che nascere." Lotario è prima di tutto un monaco, ed ha quindi rinunciato per definizione alla vita terrena: nel cattolicesimo, il monaco è membro di un ordine religioso che ha pronunciato i voti solenni di povertà, castità e obbedienza. L'unica scelta di vita accettabile agli occhi di Lotario è la sua: quella monacale. Entrambi si rivolgono ai laici, ma Lotario lo fa soltanto per ammonirli e per concludere che non "valgono nulla" e che l'unica strada di salvezza possibile è rinunciare al mondo terreno e dedicare la propria vita alla ricerca di Dio. Il messaggio di Bono è l'anti De contemptu e il suo motto potrebbe essere: "la vita è fatica ma esistono i rimedi!". Anche Bono si rivolge ai laici ma le sue parole confortano chi legge, guidano ogni lettore, qualsiasi sia illoro stato sociale, a trovare il modo di vivere bene in questa vita e a meritare il Paradiso dopo la morte. Con Lotario assistiamo alla svalutazione assoluta di tutto quello che è terreno; egli si pone al di sopra dei comuni mortali, si eleva al di sopra dei laici ed è quindi in uno stato superiore e separato dai mondo. Tutti gli esseri umani devono riconoscere le vanità e rinunciare alla vita terrena per potersi salvare, proprio come fanno i monaci. Con Bono, invece, assistiamo alla rivalutazione di quello che è terreno, egli fa parte di questo mondo, non si eleva al di sopra degli altri, anzi riconosce di far parte del pubblico al quale rivolge la sua opera. Scrive per consolarsi 64 e per consolare: trova i rimedi per vivere bene in questo mondo e nell'altro con il Paradiso. Cerca quindi la salvezza nella vita terrena non al di fuori di essa. Altra profonda differenza tra i due testi è lo stile. Lotario procede per brevi citazioni, parla tramite autorità e infatti la miseria della condizione umana trova la sua auctorictas 29 nelle citazioni dalle sacre Scritture: salmi spesso parafrasati, i libri sapienzali, il libro di Giobbe e quelli dei profeti dell' Antico Testamento, il V angelo di Matteo e di Luca del Nuovo Testamento. Una vera e propria guida alla riflessione sulla miseria della condizione umana: "onde viene superbia a te, uomo, che il tuo ingeneramento è peccato, il tuo nascere è pena, la tua vita è fatica, e fa pure bisogno che tu muoia?" (la frase riassume il Cap. I dellibro III del De Miseria). Lo stile di Bono, al contrario, è colloquiale e amichevole, guida i lettori attraverso un ragionamento, per trovare insieme a loro una o più soluzioni ai problemi che devono affrontare nella vita terrena. Possiamo dire che Bono quindi parla alla razionalità dell'uomo, non solo vuole convincere i suoi lettori ma li fa partecipare al ragionamento per arrivare infine alle stesse conclusioni: esistono i rimedi a tutti i problemi quotidiani ma soprattutto non bisogna mai perdersi d'animo perché la vita terrena ci permette di conquistare il Paradiso! Lo spirito che regna sull'opera è retto da una prospettiva che volge verso un punto di fuga positivo, Bono vuole consolare e confortare chi legge e dare una speranza di salvezza sia in questa vita che dopo la morte. Va ricordato che Bono è un giudice e fa parte della nuova borghesia comunale come vedremo in seguito nel capitolo sul contesto 29 La mentalità medioevale imponeva un'importanza cruciale nelle auctoritas, una forma di reverenza e di fiducia che si riponeva nelle sacre scritture, quali strumenti della rivelazione divina: esse non potevano essere messe in discussione, ma essendo oggetto di fede, rappresentavano oltre che testi religiosi, le fonti più importanti per qualsiasi campo del sapere. 65 storico. La sua mentalità lo porta a cercare delle soluzioni pratiche ai problemi che si erano instaurati all'interno del Comune e, a parer mio, sotto questo punto di vista la sua opera di venta un vero e proprio manuale per vivere sereni. 66 /-- 6. Il contesto storico Bono, nato prima del 1240, ha vissuto le vicende del "popolo" florentino fin dal suo primo costituirsi nel 1244 entro un regime di prevalenza ghibellina. Ha assistito a colpi di mano di eretici e reazioni inquisitoriali, e al ricostituirsi del "popolo" per effetto di un'insurrezione scoppiata nel1250, quando Bono aveva circa quindici anni. Ha vissuto fra l'insurrezione, la repressione, l'esodo ed il ritomo dei nobili gue1fi, ha visto che con l'espulsione dei ghibellini si crearono moite guerre in Toscana. E tutti gli altri numerosi eventi molto importanti per capire la tensione che si era creata fra le classi nel XIII secolo: "la pacificazione fra le Parti in Firenze, la cacciata popolare del podestà del comune, le violenze degli Uberti e l'irruzione di popolo nelle loro case ed il successivo esodo di ghibellini dalla città, fino alla disfatta guelfa di Montaperti del 1260, e all'interruzione violenta della prevalenza dei guelfi a Firenze, come del regime di "popolo" ormai concomitante con essa"(Romano, Vivanti 1974: 224). Ci ritroviamo in un elima di crisi caratterizzato da episodi violenti, in cui tutti puntano al potere e alla sopravvivenza. Bono, come abbiamo visto precedentemente, era giudice dal1261-62 e quindi possedeva la stessa cultura giuridica dei 'giudici e notai' ed era a conoscenza del calcolato modo di operare dei grandi mercanti. La sua cultura gli suggeriva soluzioni più razionali e più stabili, rispetto a quelle lotariane, dei problemi riguardanti le imposizioni pubbliche, la partecipazione al potere e la costituzione stessa del potere nella città. Ci troviamo in un momento storico di distruzione, in cui il "disordine" consentiva ai gruppi in ascesa sociale o in dilatazione numerica, di porsi in concorrenza con quelli di tradizione più antica sul piano del potere" (Romano, Vivanti 1974: 225). In altre parole: "la legislazione antimagnatizia, [ ... ] esprimeva anche l'esigenza di una repressione delle vendette e dei colpi di mano, delle lotte antinobiliari. Un'esigenza di pacificazione civile. A Firenze le prime norme in proposito, comprese in un costituto del comune del marzo 1281, si trovano sotto 67 ~-, una rubrica de securitatibus prestandis a magnatibus civitatis: ogni magnate, quando ne sia richiesto dai podestà, dai capitano conservatore della pace e dalla magistratura dei quattordici (rappresentante in quel momento i vari sestieri di Firenze), dovrà prestare garanzia di non offendere e di non provocare offese" (Romano, Vivanti 1974: 225). Si inizia a parlare di tutela della pace pubblica: "Nel mese di luglio successivo i quattordici, considerando che uomini di mala condizione, usi a vivere fra taverne e giochi, furti e assassini, senz'arte né beni propri, minacciano di sovversione Jo stato pacifico della città e del distretto di Firenze ed eccitano anche magnati e potenti dell'una e dell' altra Parte per provocare scandali e guerre che consentano ]oro di rapinare più agevolmente, fanno approvare dai consigli del podestà e del capitano l'attribuzione dei pieni poteri al podestà medesimo, perché egli proceda con pene severe contro i perturbatori della pace. Viene costituito un corpo armato di mille cittadini per coadiuvare il podestà ed il capitano ogni volta che turbamenti gravi della pace Jo esigano" (Romano, Vivanti 1974: 225). In questo episodio legislativo del 1281 si coglie chiaramente un bisogno di pacificazione all'interno del comune, e quindi della vita cittadina, di un'apposita legislazione antimagnatizia, ma si allude anche all'esistenza di un ceto di nullatenenti, capace di collusione con le forze magnatizie. In questo elima di tensione sociale i grandi mercanti e banchieri fiorentini riuscirono a rafforzare la propria influenza politica in quel comune ufficialmente imparziale, in quanto utilizzarono le Arti maggiori, da cui si trasse dal 1282, anno in cui Bono lavorava come giudice nella curia del sesto di PorS. Piero, la nuova magistratura dei priori, ma in pari tempo si strinsero in gran parte ai magnati di Parte guelfa. Le agitazioni popolari favorirono la tendenza all'inserimento delle corporazioni d'arte fra gli organi del potere, ma per qualche anno l'inserimento si restrinse appunto alle sette Arti maggiori, a vantaggio pressoché esclusivo delle corporazioni che attraverso l' Arte di Calimala, l' arte che su tutte esercitava la sua egemonia economica, vennero a trovarsi in collegamento con la persistente potenza militare dei magnati. Le formazioni artigiane non avevano più in questi anni il sostegno delle compagnie d'armi di un tempo! Quando poile guerre in Toscana indussero la classe politica a un più largo contatto con le formazioni artigiane, risorsero pure le vecchie 68 .~. associazioni armate di popolo, la reaz10ne contro l'oligarchia guelfo-magnatiziomercantesca si espresse nei famosi Ordinamenti di Giustizia di carattere duramente e dichiaratamente punitivo contro la classe magnatizia del 1293 (Romano, Vivanti 1974: 226-229). Anno in cui è lecito supporre che Bono fosse già morto: come detto m precedenza, l'ultimo documento che abbiamo sulla sua vita è del 7 agosto del1292. 69 7. Conclusioni Bono ha quindi vissuto nel periodo in cui a Firenze si affermava una nuova classe sociale: la borghesia. Si diffonde una nuova mentalità, più aperta e più terrena, e allo stesso tempo fiorisce una nuova cultura laica che per esprimersi sceglie il volgare al posto del latino. La nuova cultura comunale trasformo e laicizzo il contenuto delle opere: cio che per lungo tempo era stato sotto il patrocinio esclusivo della Chiesa, ora fa parte degli interessi mondani e quindi delle nuove esigenze di una società borghese e mercantile. Bono sentiva chiaramente i problemi che si erano creati a causa dei profondi contrasti della società e della vita politica comunale. Nell'opera di Lotario ci troviamo all'intemo della società feudale che: "con la sua · salda organizzazione gerarchica, riceveva generalmente il consenso dei propri membri, anche di coloro che ne formavano la stragrande maggioranza e pagavano il costo umano più alto (mi riferisco ovviamente alla popolazione contadina): probabilmente il feudalesimo offriva un modello sociale ordinato, almeno nella teoria, dotato di un senso e di una scala di valori" (Squarotti 1994: 70). Con Bono invece siamo all'intemo dell'organizzazione comunale: "meno restrittiva nella base del reclutamento, che si apre ad esponenti della nobiltà come ai membri della borghesia mercantile, e controllata da una minoranza strutturata in modo orizzontale,[ma] non era esente a sua volta da inconvenienti assai gravi. Sei costi del feudalesimo vengono generalmente accettati dalla coscienza dell'epoca, non altrettanto avviene con le profonde disfunzioni della vita comunale. La lotta delle fazioni, la successione degli esili e delle confische imposte dalla parte di volta in volta prevalente, sono all'origine di un contrasta molto forte tra l'interessee il bene generale, espresso dalla denominazione stessa di comune, ela spinta alla prevaricazione che sorge dalle parti in lotta fra loro" (Squarotti 1994: 70). Leggendo questi due estratti, la situazione appare pienamente delineata: Bono, che vive nell'Italia dei Comuni, sente un bisogno di pacificazione, di solidarietà verso il prossimo, è per questo che nella sua opera adotta un atteggiamento cordiale e aperto a tutte le classi sociali. Al contrario di Lotario che porta con sé un messaggio prettamente negativo, Bono che in cuor suo cerca un progetto di vita civile per l'Italia comunale, ci trasmette un 70 ,/--... messaggio totalmente positivo. Inizia il prologo dicendo che vuole dare "conoscimento perché si possano consolare coloro che delle tribolazioni del mondo si sentono gravati", e qui vediamo già l'anti De contemptu. Leggendo Della miseria dell 'uomo i lettori vengono avvertiti delle conseguenze negative che le loro azioni potranno avere e di come difendersi dai pericoli che assediano la vita degli uomini, quella terrena e soprattutto quella dopo la morte. Lo scopo principale che Bono si propone è quello di dare a chi legge dei consigli morali per vivere bene in questa vita e per salvarsi in base alla propria posizione sociale. Come abbiamo visto in precedenza nel capitolo sul contesto storico, nel 1250 a Firenze si instaura il Comune del Popolo, ci troviamo in un elima di mobilità sociale all'intemo di un Comune che funge da città-stato e con una politica autonoma: una realtà in movimento con valori ben diversi da quelli della statica società feudale. La classe che finisce con 1' avere 1' egemonia nella società comunale (il popolo-borghesia) valorizza il successo, lo spirito d'iniziativa, l'intelligenza volta alla realizzazione di un progetto, l'accumulazione, il "far masserizia". Il mercante si sostituisce al guerriero, i commerci, gli scambi, la gestione della cosa pubblica esigono nuove competenze, una figura di intellettuale diversa dai "chierico", una modifica delle strutture scolastiche. Esigenze di rinnovamento e di cambiamento che trovano espressione nel trattato di Bono nonostante la falsariga del modellp lotariano. E' sbagliato affermare che durante il medioevo si sia ignorato l'uomo: basti pensare al valore che si dà a lui e al suo lavoro nell'età dei comuni. L'arte-letteratura è espressione di un determinato periodo storico, con tutti i molteplici motivi che lo hanno formato e che sono irripetibili; essa stessa percio è irripetibile; ognuno di noi è quello /--- che è perché nasce e si forma in un certo momento storico. Né è possibile, d'altra parte, 71 /'~' supporre di poter comprendere un'età ignorando gli immediati predecessori: non si puo capire l' atteggiamento di Bono se non si conosce il disprezzo del mondo di Lotario. E tuttavia la sua opera è cosi di versa perché è diversa la situazione culturale. Per comprendere in che cosa consiste il Della miseria dell 'uomo è inevitabile studiare e osservare attentamente il De contemptu mundi, meditare sulle scelte di chi ha preceduto Bono (Lotario ), esaminare quindi il comportamento-mentalità di chi ha vissuto prima di lui. "Colloquiando" con Lotario, possiamo capire Bono: è il passato che si fa presente, che perde ogni significato imitativo e si rinnova nell'eredità spirituale che i nostri predecessori ci trasmettono. L'antico viene rivissuto, è cultura; conoscere la tradizione significa essere liberi di agire in modo personale. Lotario non viene imitato, ma capito intellettualmente, e il suo pessimismo non è un ostacolo alla visione ottimista della vita di Bono. Vorrei infine focalizzare l'attenzione su un capitolo ben preciso, quello sulla miseria del povero e del ricco (Ill, 11), perché è un capitolo importantissimo per capire la sensibilità di Bono. Il capitolo undicesimo del terzo trattato mette in luce chiaramente il distinto contesto storico nel quale le due opere si collocano. Abbiamo visto che Lotario viveva nella società feudale e Bono in quella comunale. Quando Bono parla della miseria del ricco e del povero, si riferisce alle classi sociali all'intemo del comune florentino, dove la stragrande maggioranza della popolazione era formata da mercanti, artigiani, da persone che dovevano produrre per vi vere ..... .le parole di Lotario "culpa domini, servi pena" (Cap. XV, 1 libro) ovvero "se il signore commette il peccato, il servo ne porta la pena" vengono sentite e descritte da Bono in maniera molto più realistica: "e sono moiti di servigi richiesti e di fazioni gravati [ ... ] e si ne sono straziati e sono ingiurati e battuti, 72 e niuno se ne duole" (Cap. XII, III libro, pag. 57)? 0 Lotario, al contrario di Bono, non sente la sofferenza dei poveri e ne rimane estraneo e distante. Va ricordato che Bono non cita mai Lotario come autore, non lo riconosce, non dice mai che la sua opera è ripresa da Lotario, ma lo rielabora, e capovolge il messaggio negativo di Lotario fino a farlo diventare positivo. Infatti Bono utilizza la descrizione della povertà unicamente per mostrare ai lettori che non è una cosa negativa, come abbiamo visto in precedenza nei rimedi quando tratta la questione delle ricchezze. Nella descrizione della miseria del povero e del ricco presa dal capitolo undicesimo vediamo che i poveri stanno a cuore a Bono: "furono certi, che dissono: Pogniamo che le ricchezze siano ree; io t~ vo' mostrare che la povertà è vie peggiore, pero voglio fuggire povertade e abbracciare ricchezze, perché coloro, che sono poveri d'avere, di manicare e di bere, ecc" (Tassi 1836: 56). Notiamo che la descrizione della povertà non viene fatta da Bono, ma è l'opinione di "certi". Inoltre Bono sostiene, con Boezio, che: "Neuna cosa è misera all'uomo, se non in quanto egli pensa che misera sia". Bono si trasforma in una sorta di educatore. Prende per mano i lettori-destinatari della sua opera e li conduce attraverso un viaggio immaginario, adoperando un linguaggio amichevole, e quando incontrano la "miseria del povero e del ricco", vedono che la povertà puo essere una cosa positiva, specialmente da un punto di vista morale, e affinché lo sia bisogna osservare determinate condizioni (Cap. XII): "a ris pondere alle cose, che sono dette di sopra, e accio che possiamo vedere certi ammonimenti, che pongono i Savi sopra la povertade, [ .... ] perché la povertade ela ricchezza puo essere buona e rea, si ti voglio in prima mostrare, che cose debbono essere nel povero, accio che sia buona la sua povertade; appresso che cose debbono essere nel ricco, accio che sia buona la sua ricchezza. 30 Maria, Bendinelli Predelli. "Dame Poverty among Saints, Poets, and Humanists: ltalian Intellectuals Confronted with the Question of Poverty", in The Sign Languages of Poverty. International Round TableDiscussion. Krems-an-der Donau, 2005. Gerhard Jaritz editor. Wien: Verlag der ë>sterreichen Akademie der Wissenschaften, 2007, 119-148:125. 73 /---. Appresso ti mostrerà come la vita povera è migliore che la ricca, perché ne mena al buono fine con minore rischio, e per più piana via" (Tassi 1836: 58). L'approccio è totalmente diverso da quello di Lotario, qui lo scrittore parla direttamente ai lettori, partecipa e comunica utilizzando la prima persona plurale, e punta ad un pubblico di persone che come lui si avventurano nella nuova vita comunale, che cercano delle risposte nella saggezza della letteratura gnomica, come in una sorta di guida al successo o a come evitare l'insuccesso ed i pericoli incombenti della vita quotidiana, col fine di trovare la salvezza etema, qualunque sia la loro condizione sociale. Nel mo sai co di citazioni nell' opera di Lotario vediamo che tutti sono miserevoli, tranne che i monaci naturalmente: Papa Innocenzo III sosteneva che la vita terrena non è che miseria dal momento del concepimento fino alla morte, e questo senza distinzione di classe sociale, e che tutti gli uomini che desiderano le ricchezze, i piaceri, e gli onori, cadranno inevitabilmente nel peccato e saranno puniti nei secoli dei secoli. Bono cerca di autoconvincersi e di convincere i suoi lettori che tutti possono salvarsi, tutti possono raggiungere la salvezza etema nel mondo. E che "chi sopra tutte le avversitadi che gl'incontrano nel mondo vorrà pensare, non sentirà mai bene che sia, perché questo mondo non è altro che mi seria ..... ma quelli sono meno tormentati, che per pazienza sanno le cose passare e comportare; percio che la pazienza .... tutte le avversitadi vince (Tassi 1836: 28-29). La novità di Bono in confronta a Lotario sta nella rivendicazione della dignità della condizione laica, che puo anch'essa condurre al Paradiso. Come Lotario, Bono non parla mai della condizione monacale, ma per ragioni opposte: per Lotario quella era l'unica condizione umana non soggetta alla depravazione e alla bassezza, perché rivolta esclusivamente verso il cielo; Bono non ne parla perché vuole riscattare la condizione del 74 ."-~ laicato dal giudizio di Lotario. Stranamente, non accenna mai a nessuna figura religiosa, neanche ai francescani. Questa rivendicazione della condizione del lai co va di pari passo con 1' opera di volgarizzamento delle opere latine: Bono vuole offrire ai laici l'accesso al sapere che era fino ad allora appannaggio esclusivo dei chierici o di un gruppo molto ristretto di laici (giudici e notai). E' lo stesso programma di Brunetto Latini che scrive il Trésor (il tesoro della sapienza), la sua enciclopedia, in francese, e il Tesoretto in italiano, è lo stesso programma del Convivio ("banchetto della conoscenza") di Dante. L'inizio stesso del Convivio parla di amore della conoscenza a cui hanno diritto anche coloro che "in ozio di speculazione esser non possono" perché impediti dalla "cura familiare e civile, la quale convenevolmente a sé tiene de li uomini lo maggior numero": "Si come dice il Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti gli uomm1 naturalmente desiderano di sapere [ ... ] La ragione di questo puo es sere ed è che ciascuna cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione, onde, accio che la scienza è ultima perfezione della nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente a suo desiderio semo subietti." (Convivio, Cap. I). Nelle parole di Cesare Segre: "Brunetto e Bono, insomma, scelsero il loro materiale didattico guardando a un pubblico di commercianti e banchieri e piccoli imprenditori, abbozzando una dottrina morale che favorisse, invece di ostacolarla, l'attività civile. ( ... )Dante, che fu il primo a circondare di un alone mitico la sua attività di scrittore, non cita mai il più modesto Bono; eppure a lui si sarebbero in parte adattate le enfatiche espressioni del primo libro del Convivio. A lui ch'è forse il maggior prosatore toscano del Duecento" (Segre 1968: XXVII e XXIX). Bono da un lato condanna, come aveva fatto Lotario, tutto il sapere umano come vano ma dall'altro considera l'aspirazione al sapere (l'amore perla conoscenza) come un dono naturale dell'uomo e il tutto paradossalmente all'intemo della stessa frase: ""La prima, cioè per essere savio delle cose, avvenga che sia fatica vana, si è molto vaga e 75 naturale all'uomo e ciascheduno vi si affatica volentieri; e pero disse un Filosafo: Naturalmente disidera l'uomo di volere imparare. E uno Savio disse: S'io fossi si presso alla morte, che già tenessi l'uno piede nel sepolcro, ancora s'io potessi mi penerei d'imparare" (Tassi 1836: 35). Bono si avvicina ai suoi contemporanei e sceglie la ricerca del sapere per celebrare l'incoronazione della natura umana. Inoltre, estremamente importante per capire la concezione del sapere che SI perfeziona e diventa simile alla conoscenza divina, quindi perfetta, in paradiso, è il III capitolo del VII trattato in cui Bono parla delle facoltà dell' anima, che riporto qui: Ora ti vaglio mostrare come stanno le sediora vote in questo mondo e come s 'adempiono in paradiso, e di /oro potenzia. Le potenzie dell' anima sono tre, si come immaginare e lavorare e desiderare. Per la potenze ch'è nell'anima d'immaginare, non resta mai in questo mondo di volere imparare, e pero si diletta in udire e vedere cose nuove, accio che immaginando l'appari, credendosi di potere empiere di sapienzia. Ma no.lle vale niente, perché non fue anche niuno che potesse sapere tutta la sapienzia del mondo; ma l'uno è savio d'una cosa, e l'altro è savio d'un'altra. E uno solo uomo non puo sapere cio che si sa nel mondo per tutte le genti. Ma pogniamo che per uno uomo tutte le cose che nel mondo si sanno si potessero sapere, non sarebbe ancora piena l'anima di colui, perché dice la Scrittura che la sapienza di questo mondo è quasi una mattia appo Dio; ma nel paradiso s' adempie la potenzia ch'è nell' anima dello 'mmaginare, perché l'è tanta sapienzia data, quanta ella ne puo ricevere, e pero si riposa, e non va più inanzi per sapere. E avena che la sapienzia di Dio è via più che non ne riceve l'anima, perch'è è tanta che non si potrebbe contare, pur questo interviene da che l'anima è piena, e più no ne riceve, si si riposa, e non si pena più d'aparare. E l'anima e gli angioli che sono in paradiso, catino riceve della sapienzia di Dio, chi più e chi meno, secondo che più beato si trova, e in maggiore ordine, e in più perfetto luogo." (Segre 1959: 251 ). Bono trasforma il pensiero del De contemptu mundi e quindi si distacca totalmente dal pessimismo che regna sull'opera. L'insegnamento morale del De miseria lo porta dall'infemo lotariano al paradiso per trovare una rigenerazione morale: un ritomo verso la saggezza e verso Dio ma da un punto di vista laico. Non è più l'uomo peccatore che si allontana da Dio ma è l'uomo che cerca di trovare una soluzione giusta da un punto 76 /~',. di vista morale laico. E' importante tenere in considerazione che è proprio la rilettura del De Consolatione di Boezio che porta Bono a trovare la "consolazione" finale: un'autorità quindi non biblica, che fa appello alla riflessione umana e rappresenta il ricorso alla saggezza trasmessa dalla filosofia classica. Il discorso di Boezio si accorda con la rivelazione cristiana ma parte dalla ragione, quindi un punto di vista umano e laico. Anche Brunetto Latini inizia il Trésor rimandando al De Consolatione: "Pour çou dist Boesces el livre de la Consolation" (I,I). E sarà poi Dante che affermerà nel Convivio il ruolo di Boezio come maestro di spiritualità: "e misimi a leggere quello non conosciuto da moiti libro di Boezio, nel quale, cattivo o discacciato, consolato s'avea" (II, XII, 1-2). E nel canto X del Paradiso ai versi 124-130: Per vedere ogni ben dentro vi gode 1' anima santa che '1 mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode: lo corpo ond' ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro ; ed essa da martiro e da esilio venne a questa pace "Perché vede Dio, che è la somma di ogni bene, dentro quella luce gode, è beata, 1' anima santa di quel Boezio che, a chi sa ben comprendere la lezione che viene dalla sua opera, dai suo libro (a chi da lei ben ode) rivela, manifesta la fallacia dei beni mondani: il corpo, dai quale l'anima fu cacciata con violenza (Boezio fu fatto uccidere da Teodorico), è sepolto (giace) nella chiesa di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, ed essa giunse a questa beatitudine celeste direttamente dai martirio e dall'esilio terreno". Bono anticipa quindi la visione di Dante che in questi versi parla di Severino Boezio, patrizio romano, prima protetto e poi sospettato di tradimento da Teodorico che lo fece uccidere nel 526. In prigione scrisse il celebre trattato De consolatone philosophiae, che fu testo molto amato e studiato durante il Medioevo. Concludo il mio studio affermando che è 1' accesso al sapere che segna la maturità della nuova classe sociale; e questa nuova classe sociale non vuol sentir parlare di 77 rinuncia al mondo; al contrario, cerca una legittimazione anche morale e religiosa del proprio posto nella società e una valorizzazione della propria attività: è in questo che l'opera di Bono è 'organica' alle esigenze della borghesia emergente nel Comune medievale. /~- 78 r~ 8. Tavola delle fonti 79 Bono 1 trattato: Miseria dell'uomo e della femmina dall'ora che è creata fino alla nascita. 1. Lotario LIBRO PRIMO Cap.I. De miserabili humane conditionis ingressu (Io sventurato ingresso della condizione umana) Cap. III. De conceptione infantis. Della miseria, ch 'è ne/la creatura ne/la sua creazione, perché nasce nef peccato originale. II. Della miseria, che è ne/la creatura, per la viltà della cosa onde è fatta. Cap. II. De vilitate materie de quaformatus est homo. III. Della miseria ch 'è nella creatura per la cosa, onde si nutrica e cresce nef ventre della madre. Cap. IV. Quali cibo conceptus nutriatur in utero. Cap. VI. De dolore partus et eiulatu nascentis. IV. Della miseria ch 'è ne/la creatura per le pene, che dà alla madre stando nef ventre, e per quelle che le dà nell 'uscita, che fa nef mondo. Cap. VIII. Qualem fructum homo producit. V. Della miseria ch 'è ne/la creatura, che neasce nef mondo, per la viltà della cosa, a che assimigliata per li Savi. II trattato: Miseria dalla nascita alla morte: il dolore. 1. RIPRESA DEL Cap. VIII. Qualem fructum homo producit. Cap. VII. De nuditate et vestitu nascentis e Cap. VI. De imbecilliate infantis Delle doglie e pene, che soffera la creatura incontanente ch ' è nata in questo mondo. Cap. XXVI. egritudinum II. Delle doglie e delle tribulazioni e delle pene, che so.ffora la creatura da che va innanzi co' di suoi. Quod innumere sunt species Cap. X. De incommdo senectutis III. Delle doglie, pene e miserie, che soffera la creatura dell 'uomo e della femmina ne/la .fine della vita, cioè ne/la vecchiezza. Pietro di Blois De duodecim utilitatibus tribulationi/ IV. De' rimedi, che dee pigliare l 'uomo in su le tribulazioni, e de' beni che ne incontra a colui, che i rimedj serva. E del primo bene. Cap. XI. De lahore mortalium (in parte). Pietro di Blois De duodecim utilitatibus tribulationis V. Del secondo bene, che nasce all'uomo di portare le tribulazioni di questo mondo in pace 1 Petrus Blesensis, De duodecim utilitatibus tribulationis, in J. P. Migne, Patrologia Latina 207,989-1005 80 VI. il terza bene. Portare le tribolazioni in pace. Se non le porta in pace da Dio non è meritato. Cap. XII. De diverso studio sapientum (in parte). Pietro di Blois De duodecim utilitatibus tribulationis. III trattato: Miseria dalla nascita alla morte: la fatica. Introduzione LIBRO SECONDO Cap.I. De culpabili humane conditionis progressu (il colpevole sviluppo della condizione umana) Libro 1.12. De diverso studio sapientum (in parte) 1. Delle fatiche per divenire savio delle cose, e come da sezzo tornano a vanità e a nul/a. II. Il trattato della seconda fatica, cioè delle ricchezze. Pongonsi i Capitoli sopra i quali si dee dire, e mostrasi l'ordine, che dee te nere. 2 III. Delle fa tiche, che soffèra l 'uomo per Cap. II. De cupiditate. divenire ricco d'avere. IV. come le fatiche per diventare ricco d'avere s 'alluogano male, perchè le ricchezze sono fa/se e vane, e ritornano a nul/a. Cap.VIII. Defalso nomine divitiarum. V. come colui, che vuole diventare ricco, si Ripresa del Cap.II. De cupiditate. E Cap. XVI De proprietatibus avari. si fa cupido in accattare, e avaro in ritenere. E in prima veggiamo del vizio della cupidigia. VI. Del vizio dell'avarizia, il quale è in ritenere, e non in ispendere. Cap. XVI De proprietatibus avari. Cap. XV Cur avarizia dicatur servitus ydolorum. Cap. VI. De insatiabili desiderio cupidorum. Cap. VIII. De falso nomine divitiarum. Cap. XIV. De avaro e cupido. Albertano De amore et dilectione dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae III, 1 De acquirendis et conservandis opibus e III, VIII De opibus utendis et eciam contempnendis. 3 Cap. XI. De licitis opibus (prima parte) e Cap.XII De incertitudine divitiarum VII. Pongosi certe ragioni perché l 'uomo non dee essere cupido, né avaro. 3 Albertano da Brescia, De amore et dilectione Dei et proximi et a/iarum rerum et de forma vitae, in S.L. HILTZ, Albertanus Brixiensis: De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vite. An edition (Latin Text), Diss. University of Pennsylvania, 1980, University Microfilms International (edizione elettronica curata da Angus Graham, consultabile sul sito: http://freespace. virgin.net/an gus. graham/Albertano.htm) 81 VIII. Qui si prova apertamente perché il cupido e 1'avaro non si sazia. Cap. VII. Quare cupidus satiari non potest. IX. Qui si po ne co/à ove 1'uomo dee far tesoro in questo monda, e di che cose. Cap. X. De iniqua possessione divitiarum. X. Fassi questione, alla quale si risponde come puote essere di moiti, che, essendo ricchi d'avere, sono stati santi appo Dio. Cap. XI. De licitis opibus. XI. Pongosi certe cose, laonde pare che siano migliori le ricchezze, che la povertade. Libro 1.16. De miseria servorum et dominorum e il Cap. 17 De miseria continentis et coniugati XII. Che cose debbono essere ne/ povero, a valere che sia buona la sua povertade. XIII. Che cose debbono essere ne/ ricco, accio che la sue ricchezze siano buone appo lui. E prima veggiamo come le dee sapere guadagnare. Albertano De amore et dilectione dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae. III, II De conscientia bona in opibus et inopibus rebus e De am. III, III De bona fama XIV. Come l'uomo ricco le sue ricchezze dee sapere spendere ed usare. Albertano De am. II, 1 Unde oriatur amor et qualiter e III, VIII De opibus utendis et eciam contempnendis Albertano De am. III, VIII De opibus utendis et eciam contempnendis. XV. Come 1'uomo che è ricco dee le sue ricchezze sapere conservare e ritenere. XVI. Pongosi certe altre cose, che dee 1'uomo ricco avere in sè, ac cio che siano buone le sue ricchezze. Albertano De am. III, VIII De opibus utendis et eciam contempnendis. XVII. Come 1'uomo ricco dee essere cortese, e come de' usare la cortesia. AlbertanoDe am. I, nDe locutione et cohibendo spiritu et Zingua cohercenda e De am. II, VI De amicitia loquacis vellingosi. XVIII. Qui si dichiara perché la vita pavera è per li Savi detta beata, e più perfetta e migliore, che non è la ricca. XIX. De' desiderj della carne nasce il vizio della go/a, e quello desta lussuria. Dicesi in prima de' desiderj della gola, e del male che ne segue. Cap. XVII De gu/a e Cap. XVIII Exempla contra gulam. Cap. XIX De ebrietate XX. Delle fatiche del seconda VlZlO della carne, cioè di quello della lussuria, e del male che ne segue. Cap. XXI De luxuria 82 XXI. De' rimedj che sono trovati, che 1'uomo dee usare contro al vizio della lussuria. Cap. XXII De generalitate luxurie Cap. XXIII De diversis speciebus luxurie Albertano De am. III, VI De luxuria et luxurioso. XXII. Qui si vede delle fatiche delle signorie e degli onori, e ponsi il male che ne seguita all'uomo. Cap. XXIX Quod brevis est et misera vita magnatum Cap. XXXIII De abhominatione superbie Cap. XXI De luxuria e Cap.XXX De diversis proprietatibus superborum XXIII. Del vizio della superbia, che nasce delle signorie degli onori. Cap. XXXI De superbia et casu Luciferi Cap. XXXII De arrogatia hominum Cap. XXXIII De abhominatione superbie XXIV. Del vizio della vanagloria, e del male che ne seguita. IV trattato: Miseria dalla nascita alla morte: la paura. 1. Qui si pongono i quattro nimici, onde in questo mondo nascono le paure alle genti, e le paure della notte. Libro 1.24. De terrore sompniorum Il. De' rimedi che debbono pigliare le genti sopra le paure. V trattato: Miseria dalla nascita alla morte: la morte. 1. La morte naturale. Libro 1.9. De brevitate huius vite II. Come l'uomo è tenuto d'amare Iddio, e che cose egli è tenuto di fare per quello amore. VI trattato: Miseria dopo la morte (pene dell'lnferno). Le mi serie e le pene che sostiene 1'anima dopa la morte. LIBROTERZO Cap. 1. De dampnabili humane conditionis egressu (la condannabile uscita dalla condizione umana) descrive l' Apocalisse, il momento della morte e delle pene infernali 1. Qui si dice come l'uomo e lafemmina, che muore senza la fe de va in iriferno, e quale è la 83 fede nostra, e che va in inferno colui che la comandamenta di Dio non osserva. 4 Il. Qui si dice delle due comandamenta maggiori, le quali sono principali e capo delle altre. III. Come l'uomo è tenuto d'amare Iddio, e che cose egli è tenuto di fare per quello amore. IV. Come l 'uomo de' amare il prossimo suo, e che cose egli è tenuto di fare per quello amore. V. Delle tre comandamenta minori, che s 'appartengono ad amare Iddio. VI.. Delle cinque comandamenta minori, che s 'appartengono a adattare l 'uomo ali 'amore del prossimo. VII. Pongonsi i Capitoli sopra la materia che seguita, che è dell 'uomo dopo la morte. 5 ~- VIII. Qui si mostra in quai luogo è il Ninferno, e in che modo è disposto. Cap. VIII .. De diversis penis inferni IX. Mostrasi in quanti modi l'anima, che va in Ninferno, è tormentata, e di che pene e tormenti. Cap. IX. De igne gehennali X. In che modo l'anima, che va in Ninferno, per li pensieri è tormentata. Cap. XII. De diffidentia dampnatorum XI. Risponsione a certi detti, per li quali pare che si provi, che Dio non si cruccia col peccatore eternamente. Cap. XIII. Cur reprobi numquam liberabuntur a penis XII. Provasi per moite autorità che Dio si cruccia col peccatore eternalmente. Cap.XIV. Testimonia de suppliciis eternalibus 4 L'unica volta in cui papa Innocenzo è nominato, compare una citazione che riassume il suo pensiero ma non corrisponde ad alcun passo preciso (o non sono stata in grado di trovarlo) non deriva da Lotario (da dove?) 5 Capitolo strutturale con funzione di indice. 84 VII trattato: Beatitudine e gloria del giusto che va in Paradiso.6 1. [Introduzione: 1'ordine che dee te nere, e come è disposto il Paradiso}. Il. Della beatitudine e della gloria delle anime, che vanno in Paradiso. III. Delle potenze dell 'anima. IV. Della potenza che è nell'anima del lavorare. E perché nef mondo s 'affatica sanza niuno riposo; e come si riposa in Paradiso. Della potenza ch 'è nell 'anima del desiderare. E come in questo mondo sia vuota, e non si sazia, e nel Paradiso s'adempie. V. VIII trattato: il Giorno del giudizio. 7 1. [Introduzione: l'ordine che dee tenere, e che cose debbono essere innanzi che il detto divengaj. II. Come nef di' del Giudicio si de' disfare tutto il mondo. Ill. Qui determina brevemente de' quindici segni, che andranno innanzi al Giudicio. IV.Come nef di' del Giudicio debbono risuscitare le anime. E come saranno esaminate, e sopra /oro si darà la sentenza 6 Non deriva da Lotario (Segre indica l'Elucidarium di Onorio di Autun). 7 Secondo Paolo Divizia deriva da vari capitoli del terzo libro di Lotario, ma il cap. VIII, 3 dell'edizione Tassi è un capitolo spurio che compare soltanto in un ramo basso e infido della tradizione; è un brano del volgarizzamento A della Legenda Aurea. P. Divizia, I quindici segni del Giudizio: appunti sulla tradizione indiretta della Legenda aurea nella Firenze del Trecento, in Studi su volgarizzamenti italiani due-trecenteschi, a cura di P. Rinoldi e G. Ronchi, Roma, Viella, 2005, pp. 47-64. 85 .~ 9. STORIA DI FIRENZE: CRONOLOGIA http://www.dssg.unifi.it/SDF/cronologia/secoloxiii.htm SECOLO Xlii A cura di Enrico Faini, con la collaborazione di Marco Bicchierai f !Accorda d~i fi~ren~ini :?~ gli Ubaldini. -_---·····,!Fi.·: [Pagane.lloda..F>orcari.èiï··-p;:ïn:;c;·pc;aë51àtô.·rëstiero····-· . .... . ' ...· apparentemente scelto d~_i fiorentini. ...... . ,..__ _............._ ..........._ _, ~ fCOstitUZiOne"dewf\~të~a·e;TMerC8t8rlti.---·----, .------~ [1201 marzo 29 f!Accordo trafiorentini e senesi. --·~ f [fioreïlfuïiëlistru99o.noiïCaStëïî·a-d~ic~o~m~··t,iate:--~ - - - - - - - - - , . ~ llmposizione della libra. ~io·2 ..apriïe3_ ..______ [P~ .------ no Semifonte. f 1 fiore~tini si ~lleano con Mo~tepulciano contra Siena. i ,................................_...........................- .... rfill~~;~f~~otra-Firenze.ësiëna···sullaquestionë_dei...... ; ··············---·----··· r-i1-20...:...4~g-iu_g_n_o_3_ _ _ r siena Nel trattato con cÔmpaionoTconsÔii delle nuove Arti: della Lana e di Par S. Maria. fE. . 1 1 fiorentini sono i.m . p. eg···n·a···t.. i. in una lotta contra Guido Borgognone degli Alberti e i pistoiesi. Guido si sottomette. Fondazione di Montelupo in opposizione al castello di Capr(iia ~egli Alberti. . riEpiscopatodi r··-·--·-·--·········-···..···-········..··--·-··· re Gi~vanni da Velletri. [Vië"necoslituita"i;;\rtë"ëlëï"ëamb.io.·······-············· r La magistratura deii'Opus Pontis cura la manutenzione del ponte suii'Arno e l'affitto delle botteghe. 11201------. [iT jviene terminata la chiesa di San Miniato al Monte. [12o7---..-·------~ f 20 [F>Oëlestàtore.stiero: Guifredotto Graselli da Mila_n_o_.~ IP;.•.· 1. • ntini vincono l'esercito senese rinforzato da ni e pistoiesi a Montalto. entini sconfiggono i senesi. 86 .~ . 11208 ott~~~~ 6 209 u .f !T~;~ttat~ di p~c~ tra Firenze e Sien a. fli. r-aocum.elltaia.ïariazza.Cii.or5aï1micheïe~--- ~~~~~f fli[E'dûc~ ~;.;....-~;.;._;.;._;.;._~··-~.!Di . mato il Lungarno tra il Ponte e la foce del 1 ' MUQJ1()ne. r--------fiPodestà Ro~olf~ conte di Capraia. ''""~nPmP-"~~~~~mmn•-• p 8 rs- 11218/1219 tini conquistano il castello di Mortennano andolo agli Scorcialupi. 87 ·r· 1fiorenti~i-Od~rigo Fifanti e Mosca Lamberti sono ' presenti all'incoronazione di Federico Il a Roma. ' Contesa, in tale occasione, tra gli inviati fiorentini e . quelli di Pisa. 1220 novembre 22 :11~~1 (inizio) ~~---. f 1221 11221 . . . . f[Bando imperiale contro i fiorentini. jPodestà il perugino Bombarone·-..~..---~~--- r a~rile ~~~ti~~r;1~;;~~ ~r~~;~~~~~:~i:e~cardinale e legato ~------ fP ni di Poggibonsi stipulano con i fiorentini J 1un'all1earlza difensiva e offensiva . lio 10 . · -·---·-- . . . . t-~~~nove~-~re·a·-····fü! 11222. 1 , ~~~·u~ lio r .[Pf"""""""----~-----~----··-- 17 ... -.~ r""""'_ _;_;_l_;_;_ie_;_;_ri_;_;_f_;_;_io_;_;_re~n~t~in-i~m-u-o-vo_n_o""'""""p_;_;_er_;_;_a_i_u~ta_;_;_re""'""""L-u-cc-a-co-n-t-ro '[1222ï_u_giio-21. . ····--- [P·: orentini vincono-iPisani-aCaste-lëiël8osëO·.·--~ r··-----........................ fi~o~:~t~ Gherardo Orlandi. j1223 1223 ·----~----~---- . . .,r•. ~:~~i~:~.slo:~:~~;~f~~:~~~~~~~·~ ~~~~~::~:;f~~~;:~; acquistano altri castelli nel contado per il controllo i elle strade. f tà lngerramo da Magreto. ·-------~--- ,..-----·------ 1 r""""'2_;_;_24;.__ _ _ _ _ _ _ ru " ' "} [1224 ''' !C 1 UU(;urrrt:: ~p~""·=~--=««---~-~-r---'-""'""""=«««« ~~~-f [Ur-F-ra_;_;_·-la_;_;_c_o_p_;_;_o_,-fr-an-c~""e-s_;_;_c_a_;_;_no_;_;_,_o_r_n_;_;_a_;_;_d_;_;,i·m--o_;_;_s_a-ic-ia_l_c_;_;_un_;_;_e""'""""p-art-i del Battistero. 1 ------ -----~"P- [P"üCïestiliTromano"GüiCïo-·drGiovanr1T'di-<3ükio~Pape....: ' ~~-26.............. ru. 1 •• ••••• '' lnizio dell'insediamento dei francescani presso 1Croce~ "'1.;_;,2_2_7~-""'""""---..-. [P- [Podestà Guido de ~~na~terio. [1228_________ f N•• s_ • 1"........._______ ..__ ~----·..-·------- 0 . ""'""""--- nd rea Jacobi. .----·. --.---·- ~ Il papa accorda il trasferimento della sede episcopale ' 1 . da ... Fiesole a Firenze. .. . ,----'------..-'-'--·· -----------·· · --.. . . . . . . . . . [P" fFirer1iëïnüüv:ë·c:c;ïltrü-P:i5toia . ~------. f .. Santa Croce risulta già edificata. j.-1-2-2-~_-a-u-tu_n_n_o_.- - - f ~~i~:~_:E!_costringe Pistoia a~~~~ pace umiliante. 229 I"P IDr.r~ ...,+., Giovanni Bocca cci. 88 r·----·-·--·...·---·---------..-·--· ~~-. ·r··Fi;~~ze, 1229 Pistoia, Lucca, Arezzo, Orvieto e M.ontepulciano contra Montalcino, Cortona, Pisa e .. S1ena . ...... -------- .--~~~---------~ [Fil fL:;eserëiiü'fiorenti.no..en.irainte.r.rita-,.-i-o_s_e-nese~------ .--.. . . . . ----::-::---IPl.· , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .~.-· .. ······«««•«•«««•: etramento dei fiorentinL 1 senesi si padroniscono di Tornano. 1 1 ,.......---------. fjj~od:~t~il.mila~:se Otto da Mandello. '1-2-30 ......-(. c......i.r_c_a_)_.............................. re·· r~:~;!~~n~:.e"e G-e-sta. ï=ïorentino-ru_m_.aeï·ë-ronista-·· fP , [Scorrerie senesi int-er-ri-to-rio-f-io-re-n-tino. ...--......;_,_______ JP ji ,.......--------- fior:~tini in m~~~ia contra Siena. JP 11 fiorentini vincono sottole mura di Siena. · · - - - - ~ 230~state JP [1 fiorentini strappano ai senesi il castello diSelvole. - ,;-;-_;__------- 1231-1w--·~--f1Episcopato diArdingo F?r~boschL j1231-12~2 JP iPodestà Andrea J~cobL .---------r [Pli fio·r··e····n· ti···n· i e i lucchesi, alleati, sono sconfitti dai pisani l i a Bar~ct 1 fiorentini si spingono in territorio senese fino a ,...-----Quercegrossa, ma subiscono una sconfitta sul fronte !pisano. JPIL'impe~~~?re cita ..i~_giudizi~ i fior:ntinL ,--·-------[P. . ~nche il p~pa i.nvit~ i fiorentini a una paciticazione con senes1 e p1san1. 1 ' ,----------r ., ' ' ' '""'' "'" . rü-[A-'Firenze un incendia sviluppatosi dalle case dei -···lcaponsacchi devasta il Mercato Vecchio. 11 tribunale imperiale condanna Firenze a una multa enorme e avalla la guerra di Siena contra Firenze a scapa di risarcimento. ,--....-......;___ __ JPrPodestà Torello de Strata. ----rE'·· r.A:·Fi-renze si co~ pila no re~istri ~e!la..po~ola~ion.e····e si .: [ ,;-;--_ _;___;__....;___;___ _ f j laccerta la cond1z1one degh uom1n1 (servi o hben). ; !' fiorentini si ~ccampano pres~o Siena. ,...--------. ~~-.: f~d-. . esiè . ilrama. no.Giov.anni·G·i-üdici~ ..................._ ..........] lr1:. .;.2:. .;.....~4-:...;.d_ic:...;.e_m_b:...;.r_e:...;.2_5_;___;f g~r~r~~~dio devasta la zona di Santa Felicita in ~~,;-;----......;_......;_~ f j ~-tà_i_l_m_a_n-to_v_a_n_o_C_o_m_p_a_g_n_o_n_e_d.-e-i_P_?_Itr_o_n_L_ ___, f1235 ·---~. JP !Pace con i senesL '11-2-35----·-.- - r.. . .;_____ ----~~~~--~ ... ~----~ !comincia la coni~zio~e del fio~i~o d'argenta: va lore ~~~~~~==~-~==---==---~~~ 89 R · Il monastere di Settimo passa ai Cistercensi di S. 1 Galgano che si insediano anche a S. Frediano in Oltrarno. arzo-apr~ fp Cacciata del p-odestà-Guglielmo Venta; eletto r [ Rolando Rossi, vicino all'imperatore. ~alando Ugonis Rubeus diParma. ICeiTIDireggio- fP: Podestà il milanese Rubaconte da Man-de-1-lo-,-----, antiimperiale e contrario al vescovo Ardingo: .... ·--;· .... _.. c~s~rÜ-i~-~;:~=~~~~~~Üta~~nd-t~-~~~~~~e-à-.aÏiË~. ---..~...... -....... r ...............- - - - - - - - · 1 .· r·····............_ _..............- ............................. [~- n 1237 giugno Firenze interviene nelle contese che a Pistoia oppongono il popolo alla nobiltà. Prende le parti della : : ..... nobiltà e impone due podestà fiorentini. [Firenze invia truppe a Roma in appoggio a papa ,------1 jGregorio in rotta con la popolazione cittadina. .---------fP: ~ Federico Il batte i comuni a Cortenuova. 1deb. itori esterni dei fiorentini non pagano: grave crisi finanziaria. ''' 1237 (fine) '' ' ,,,. ' E acciata di Rubaconte da Mandello. Si insedia a irenze Gerhard di Arnstein, funzionario imperiale. 1238 (2° semestre)ffodestà Angelo Malabranca-··--· [P: Nuova insurrezione a Firenze in occa. s. ione della f238 dicembre ;[ . . . . .. l f123a.ctiëëmïlrë··················-· 11239 (1° semestre) f·: 'f- 1239 --j ~~~:;~~~~~~~;~~~~r l'anno successive. Le lotte 1 ~~;~iï~;~~nie5ta-Ciisirü~eëîëiîa-ctïië5a . Ciië5rsan--.. r - Guglielmo Usimbardi. liT 90 .------~ ·f1239j~~r .•. . . r ·····----------....-----···················-·---···· .............................................. rR·; , __ ,--------······................................. Umiliati si insediano nel convento di San Donato a ;:.:...;..=======--[R-'Is-t=itu=z=io=n=e~;;;...:..de=l=la=M=is=e=ri=co-~r.=d.~ia_V __ecchia. r - - - - - - - - - - f ~està Ugo Ugolini da Città di Castello. 11241 ·a···P···r·ile ---fPl .. !Re Enzo figlio de.l. l.'.im. peraton3Federico Il soggiorna 1 1 per una decina di giorni a Firenze. ;;;.11-24-2==-==-fjscontritra guelfi e ghibellini in r 11~42 citt~. ~~1=24=2-g-iu=g=n=o==~-fr--------=~=~--==--===~~====~ ~- . ,.-----~ ~:~--~- -r~~àï~~~~~~ ,. . . :. . :. ._ _:_ _ _ _ _ ._ _ r fPl Prima organizzazio.ne del Popolo in parte politica retta da due Capitani. 1 . . ~~~=ftà-iT-parm~ns-ësë-rn-arCiiïïoCiiorïal'lCioCiêi __ .......~. -f!Si insediano a Fire_n_z_e_iT-e-m-pl-a-ri-. __. . .----==--·-f[Pietro ~-~Verona (san ··-r ,------..- - Pier~artire):~ Fir:nze. lstituzione delle compa-gnie del Bigallo, della Vergine . Maria, dei Laudesi di Santa Maria Novella per opera ' • di San Pier Martire. ! Fra' Ruggero Calcagni, domenicano di S. Maria ..-------, Novella, è inquisitore con giurisdizione su tutta la • Toscana. ;;.:.1=2-4-4====-~ [R 1 r 1 r,1-.~-~-s===--- f 1245 estate IPodestà il be~~amasco PacePeSami~ola. 1 domenicani e il vescovo si sollevano contro il - -•.----...------"""'1 governo della città, ma il podestà ghibellino, con grande concorso di popolo, ha la meglio. !124ii;-:477~-~-f IPl__ ~~~~~~~~~e~nt;o~p~e~r~il~c~o~n~ta~dto~fF~io~r~e~nt~in~o~.~ll~n~u~o~v~o-r=·--------=~1 1.: · j1246 247 ~~~gio 19 · · · opolo. -fiMuore la beata Umiliana de_iCerchi. IP 1Fio.r...ên . . . ti.ni···presentineïf"ëSerc"iio-diFedericô.·----.. . . ____ L__ ;~·~n!iochia contro Perugia e L~cca. .. j1247_magQI03_____ [R . --. f 1124~~b;;~- e del vescovo Ardingo. ~i ~~~=-~-u=el-fi=:-g-h=i=be=l=lin=i-in-c=itt=_~=_.__- = = - guelfi escono dalla città. 91 !Ul . . . . i Se~i ~i Mari~ co~inciano 1~ costruzione della 1 J Sant1ss1ma Annunz1ata. F------------"---------------"'--[Ul!~~~t~uzione del BargeÎTo·--.------"------------------1.1...2. . 5.. 0.. o··t·t·obre 2o -ri r 1 !12:s<imi11_ _ _ _ r251-1274 j1251 gen naio-7-~ 1ghibellini hanno-iapeggio com-battendo a-F-ig-li-ne--,.----- ~~~~r~~~lfi fuoriusciti. Il Popolo organizza un proprio F!lippo ~ontana, già vescovo di Ferrara, è vescovo d i : , - - - - - - - - rrfiïPKïPc)IOfiOrënt:iOOrichiamaiQïueifi ~r-----~: ~.: . . . . . . . . ___ ;;.,,. _.:. . . . 11252 1 ~~------"""'"---·-··""-------··"··'"'--·--·---'""---~'- fe~braio 9 .. 252 luglio 2 [1252r1ëvêï1lb"re 11253 gi~gno 20 contra pisani e senesi a Pontedera. ·lE; jconiatTitiorinT d'oro. fP ... . _-i -a-pp_o_g_g-ia_t_i 11254 febbraio 1 _. fP !Pace trél j=>i~t~ia e Firenze.. 11254 _______ JIP-···-· I'F~ir-e~nz-e~-~a~t-te~ p~i-~t-o-ie_s_i_ 9ïU~rï-ë_F _d_a_s_e-ne_s_i~e-p~is_a_n_i. r--~"-~-~ [raëë-c:ür1-siër1a·~--- ·[1254estatë·-~--[P-fPresa di Volterra e di PüQgibërï~-· j1254dicembre 11 imavera fP !Pace con Pisa: ~ ... 'P-re_s_a_d_a_i-fi-o~re-n-ti-n-i,-P-o-g-.g.-ib_o_n_s_iè-o-b-bl-ig-a-ta_a____ , - - - - - - ! .. ~~~~~ lu~ li() 31 1·1-255········ ............................................... emolire parte delle proprie mura. fP jAIIeanza con Sien a. ,u.j llt,~!~~=~~~struzionedel···palazzo.ëiëï.ropola:···i)üidê-tiü···· [1256~---~----- fR-I(31i Url"]iliélti E!ntrano nel convën"to di Ognissanti. 11256 ....----·---- fP 11 fiorentini vincono i pisani sul Serchio. r ··2---5·7----(·i··n··'·i:.:z....i.)·'-_~:.....:..:............. ~~ P .......o......P . . .o ......1.o:. :...:s. . . i.....r. .i. .~. . .e .....U . . .a ......è ........c...a::.c.'c'--ia--i-1--p ...o...d . .:..e..s. . t.. , ... à: ........................................: ........................ , .............................................................. , : 1 fP [Pacëtra-Firenze e pisa. 1 [1257Se·tt--e-m-b-re-24 ___ ----- L'esecuzione di alcuni ghibellini (un Uberti e un : lnfa~gat1) c~nvmce ~o~tl.gh. ~~. . e. lhm d1 .Firenze a : lasc1are la c1ttà. Molt1 SI nfug1ano a S1ena. '11-2~5-S~s-e_tt_e_m_b__r_e_ _ fP [ESecuzione dell'abate generale dei vallombrosani ·--"'=~~ 92 ·r~~~~~sato di con~iv~·nza con i ghibellini. f12_6_0_a_p_r._ile_ _ _ _ [Fi: IL'esercito fiorentino si mette in marcia._c_o_n-tr_o_S-ie_n_a_.11260 setten1b~~4 fPlll.fior~~!i~i~()~() sconfitti dai senesi a Monté!p~rti.. 1 1 ~260settembre 9 rp"'[ïGUëlti abbandor1anolâ''ëittà. .12Ëiosettemt)re. s.-··· [P.. 1 partigiani dei Ghibellini di Firenze si sollevano contrai Guelfi. ' ' l1260settembre 12 :fPlll Ghibellini entrano in città. i262 settembre 20 : r "' ., .-------- ' ---....., .------- r··. otto le mentite spoglie di penitenti i lucchesi e i iorentini esiliati tentano un'assalto in territorio · iorentino. · ·'"""' '' 1263 giugno ~P-· 1264 agosto 14 rp ·1 ,. '' Sollev.azione del Popolo fio. rentin. o che riesce ad imporre al regime ghibellino l'elezione di un Capitano del Popolo. . .. .... Sotta i colpi della Lega Ghibel-lin....:.a....;.d_i-To-scana cade--~ Lucca, ultimo rifugio in T.osca.·n···a dei Guelfi fio.rentini. ... Essi trovano scampo a Bolo~na. r::-::"-:-:-~~--:--~-~ [P Ne lia battaglia di Benevento i Guelfi fiorentini si distinguono per la furia in combattimento. Vittoria di : Carlo d'Angi6 contra Manfredi e lo schieramento ... . ..... ' ~h,i~ellino. . ... . ..... ;rms-ma~oü~--······· r~J r~~;~f~t~fsottÔmette"alpapa,·ma.resta.in.manoai-1266 aprile fPl Moto popolare a·Firenze:-per poco tempo le Arti j : (torse anche le minori) tengono il potere accanto ai capi del passato regime ghibellino, Napoleone degli Alberti e Guido Novella . 1 . - - - - - - - - - [ P A seguito di un nuovo moto popolare Guido Novella · con una schiera di cavalieri, moiti dei quali tedeschi, abbandona la città. Fine della dominazione ghibellina di Firenze. 1267 aprile 19 e 20 93 ,....-----·-··-· lregim~9~~1!() difirenze: .~·. - [Pi 1guelfi fiorentini prendono Lamp~o-re~c-c-hi·a--,-se-d-,-e_d_i___ 1.. 1 Ghibellini esuli.. -· Fi2:s9ailu-ciino..1.7·-·····-~P 1 11269 .. . Colle Valdelsa i Guelfi fiorentini hanna la meglio sui ,--·······------·-··--····--···-- ~ IAnnata di carestia. f127o8Pï~-r ~~~-r. --~-----~· -------------~~ r-------------- [1271 estate 11.271-êsiaiê--·--·· 2731ugUo 12 · - · ·. - .··-····-·-·····-···---···- [1273 agosto 5 o 6 1273 agosto 20 1275 settembre 9 rna dai concilia di Liane, papa Gregorio X si a Santa Croce in Mugello, pressa il palazzo 94 no in conflitto .~\ ..-l1_2_7_9_o-tt_o_b_r_e_8---, (P 111 cardinal~ Lé! ti no Malél~ranca entra i~ Fire~ze. ,-~-···- ........................... r Parlamento del popolo fiorentino. Pieni poteri attribuiti. al cardinal Latino. .. rR~ fr::fasceia.ëorrip~~~~a . ëii···~~nia•·•rv1a-ria-del" c·arminë:·· ....... ,..-..- ..................................... , ,.,. ' '··"-' ' ~~~~eda~l ~~~~i~~~~L;~~~~~~~~~~;~t~i~~~~~!~ët~~dT... P: : ~~acificazione tra Guelfi e Ghibellini. f1280t._e;....b_br-a-io;.._;.._18-- [P !Pace tra <3uelfi e (~hibellini di Firenze. ~------ ·11280 aprile 26 [P j11 Cél~~i~éll ~éltino las~ia Firenze. ',.....11_2_8_1_ .. -·-····-···-····-···--[R;jsi tien~ aFir~~ze un capitolo d·-e-id_o_m_e_n_i.c_a_n_i.__ IR' ~~ia~~~·~~~~~~~9.iii:a···ëii . saiitaRe.paraia(d.etia . aïlc.tïë... 1 ~~~--·---·----- p L'imperatore Rodolfo d'Asburgo invia in Toscana due suoi vicari generali: Giovanni di Enstall, vescovo di Gurk, e Rodolfo di Hoheneck. Rodolfo cerca di · onvincere i Fiorentini a cedere alcuni poteri, tra uesti il diritto di discutere le cause d'appello . . Peggiorano i rapporti tra Firenze e l'lmpero. ,.. . __.........:.:.:_.............. :. . . . ............._ ~ ~~-~E1 él!.él9) (;é!E.f3Stiél: . . 283 marzo 14-18 fP·; tc.~rÏo~·~ii~i68"ï=irënze~·· . - - [E rLe Arti diventano anche soCiëtàarmate. - - - - - ~83 giu~no 11. 2....8 ..3. giugno 24 ·IF Nel popolo di Santa Felicita si costituisce un a compagnia di divertimenti fondata dai Rossi. 1 ,..1--2.. -8 .....3-.-d-ic-e-'--m-'-'b-re_;_;_;_;:__: ~. 1 . . ..... ......... - . ;1 , . . .. ~iena deii'Arno: il sesto di San Pier Scheragio è 1nondato. . "'"' Dom en ica delle·~ Nuova inondazione e fra na di parte della. Costa di !Palme 1 , San Giorgio. . . . ... 1284 6............ ·~··P····~ï.risanis. on_o..sconfittiëiai·'G····enovesfnelle.. ueëiëlla..: .. : MeloriR.. .. . ...... .... .... · 112a4î. agosto acq. 95 tto tra Firenze, Genova e Lucca per combattere 11_ ·a. s·ma.·ggÏo.2s:·····--.IR. di Firenze Jacopo Rainucci di Perugia. 2. 11~8~ é1gosto 16 ....... ~~~~~:ortinarlfoïïdâ-l~àspedale dÏ~Santa M·~a-ri~a--- 11286 ,[ j1286-12~~ · [R] IJ\ndrea de' Mozzi vescovo. 11286 lu~l_i~- ,----------------- [Pli~· a_Firenze ilvicario imperiale P~rcivalle di Lavagna. ~~ ----~----~-·--·-"'"""''' '""-''"'""'''"~· ,_,." • .., .. ,.,._,. .. ~·-•-'''''"~''"' '"'""''"''" P : Corso Donati cerca di impedire l'esecuzione pubblica : di un magnate. Il Popolo lo ferma. ln questo periodo ' i vengono ricostituite le vecchie società armate di ! Popolo, abolite do po Mont~perti. [~: · · . . ni.· nze il capitolo generale degli r ~~~~~-~ Nel Battistero si riuniscono i rap. presentanti della lega tra città della Toscana assieme ai guelfi fuggiti da rezzo. Si delibera di muover guerra ad Arezzo. j12~~ g·-.i_u_g__rl. ~-1--- [Pll~'esercito fiorentino ma~cia contro Arezzo. ,-----------, ,--·-·-·-·--··-·-···-·············-···-··--····-·-····-·-···--·-·· ........ ---···---------------·····--·-········-------··--····-----·-·-------·····•"< ----------·---·· 288 giugno 24 F 1Fiorentini corrono il palio di San Giovanni sotto le mura di Arezzo. Tuttavia si ritirano dopo aver : conquistato qualche castello perché non preparati all'assedio. [P. 11 ~iorentinieiltranoëiinüüVüîl-ë~n-o:--·-----. : [E IAnnata di carestia. ,---~-~-- [12a85eueinbiê~ 11289 112~~ _ . . [Pllopera~i~~i_'!l!litari contro. Pis a.... 11289maggio2·--·----~~11 d'A~giô, transitéJper Firenze. [PliL'esercito fiorentino muove contro--A-re_z_z_o_.---~-. . r---------fP;IIFiorentini sconfiggono gli Aretini a Campaldino. r . ·---·------------------------·-·--------------·--· fË. 1 Fiorentini corrono di nuovo il palio di San Giovanni sotto le mura di Arezzo, ma devono ritirarsi circa un mese dopo. _ . !Diyi~!~-~~ïlaveïïdita_ë_C!eïFacqu-fsiü~Tüünïini. ------- [Pl [Scorreria fiorentina contro Arezzo._ 11290 gillgno 1 r------- --r:. r··----.....;.._ _ __ ·--[Pl [l'ësercito fiorentino mu ove an cora controArëzzo.-- Palio di San Giovanni corso sotto le mura di Arezzo. r - - - - - - . A fine mese, per6, il grosso dell'esercito ritorna in . : !città. .;;_;___;;_;___;;_;___~- [PllrL-.~-i()-Ee__ n-t-in-i-m~u~o-v-o-no-.-c-o~nt-ro-._-P-.i~-a-.-_------------------- 1290 giugno 24 [P-1 Fiorentini espugnano Anghiari, neii'Aretino. _.........,_[E !Annata 'dTcarestia. ,----------[Ej11 re di Francia fa arrestare i banchieri italiani. r··--·--·-········--··---·-·-··--·- ---~""""m~~---•••--•~•,..,,._.,,~--•-m"'"""'''''"'''" 96 ''''""""'''-.'''" ;11293 gennai~ R293Qen_n_ca-io~1-C8~c__ 1293 marzo 11293 luglio 12 294 :11294 marzo :["129~ gennaio 19 ato prevalgono i nemici di Giano della Bella. i essi un Velluti. Cacciata di Giano della Bella. [Pl Nella speranza di-metter detinitivamente fine al governo popolare alcune famiglie magnatizie 1 stringono paci tra di loro. 1295 maggio l,..-1-~9-5_m_a. ~-g-io_3_ _ _ j1~95 s;~iugno 24 i r 1 6~~~e~ella prima pietra della nuova chiesa di Santa [Pllvendetta dei Velluti contro iMannf:llli. ,. . . .2·-··-9s··-·~··u···g···-~-i-o-6····---·--······· fp. .! !ru·m·· ulto. . . d.·e·····Tma9rïaiCJ\ëëorCïopac.fiiëoconla-p-arte···--· '1 ..iIPc:>P()I~r~. ..... lu:.. . .. ..... . ...· Demo. lizione d_e_ll_o-sped-ale_d_i·san Giovâ-n-ni---·--c ~--·----······--· ,------r . .1 .. 1 Evangelista in Firenze. !1~96 a. [Pllço~ti~9e~ti fiorentini mandati in aiuto dei Bc:Jic:>9~eSf- r1296-iugÏÏo_..._............. ,P~ ~~/~~~~·~····Fire~-eii ..le.gatop·o-ntiticfoPi.~tro cia·-------·- ,.... o . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .- [1296~Sëttemïlre8··-~ . . . . . . . .. fU: !Posa della prima pietra della nuo~a cattedrale. j1296 settembre 10 --[Plj1 Mani~ri uccidono PE;lryendE;ltta un (3~erardini. fE IPrilllf:l attesta2:ioni do~umentarie dellaMisericordia. . 11297 r297 giugno 26 . j12~S,. --~.. r~~~~~~~~=~ co~~iglio del Cent~un aiutoal papacontro. tp: !Predomina éJ Firenz~ la fazione dei Donati. r-~:_ _c~--;..! 0 ~ ..... dicembre 20 [ïi".P .. :_'lz.utfa tra Cerchi da una parte e Ubertini e Donati l 1 'jdall'altra. I129S,d icem bre 29 [Pl riP-a-ce-tr_a_B_o_lo_cg_cn_a_e_d_cE_cs=te=n-s=i=s_ci9-Cié:)=ta-a=F=ir-.~-.nz_e___. 11299 febbraio 24 [U;[Posa della prima pietra del Palazzo dei Priori 0 97 r-I(Palazzo Vecchio). r::-::~---::--~-~, ri:.. oto popolare che rovescia il podestà e, con esso, la azione dei Donati. Corso è in pericolo, ma ottiene la : podesteria di Orvieto che lo allontana dalla città. : Prevale la fazione dei Cerchi. -m . . . .a. . .g. . . n. . .a. . . t.. i. . .a . . . .c. . .c. . .u. . .s. . a . . . .n.. . o .. . . . .l.a. . . . .c.. . . .e·. .--p-..o . . . p. . .o . . . .l.a . . . .r. _e_a. . .l.. . p......o. . t.. . ,.. . . . . . . . . . . . . . . _........................................ ,. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IP . ,. ,• "'"=" ~ N _o_a~-1-iz~io-··n~ e.-r~e~ malversazioni. f1299novembre--liTrcostruzione del carcere delle ·stinche. 11299 novembre 20 fUIInizia la costruzione dell'ultima cerchia di mura. 11300 aprile ..18 ['Pjco~danna di alcuni Fiorentini fiduciari del papa. l130oïJïaggio 1 r· L. . .. ggio (inizio) ...... . . l1300agosto29 IP F. a.tto di sangu.e che oppone i Donati ai Cerchi: a uno 1 dei Cerchi è tagliato il naso. . . ... Convegno segreto in Santa.. Trinita nel qua le si manovra per un ritorno di Corso Donati. Si mira alla cacciata dei Cerchi. La congiura è sventata. [CIMuore Guido Cavalcanti. 1300 giugno (inizio) ~-P Matteo d'Acquasparta inviato da papa com.e pacierea Firenze. giugnolluglio . ['P \ïanlïe"dei"Gtler.ard inTuc.ciCie-per~ver1Ciëtta::Neri . . Cia, ....:. :. . :.:.:. :. . :.:. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... ..; -------~--~--:. 1300 giugno 23 rp l · iano. ... . to di Dante Alighieri. . Durante una processione in onore di San Giovanni, alcuni magnati assaltano i componenti delle Capitudini delle Arti. U r-1-3_o_o~s-e~tt~e~m-b~r~e~2-a-o~n Matteo d'Acquasparta scomunica il governo 29 300 ottobre 2 fiorentino dato che non ave. va trovato la volo. ntà sincera di giungere a una pacificazione. .... IP~ l~atieo'd-;A"cC!uas'Parta:.~~s~ia_F= irenze:- . . ·---·· ..---·-·· . . . . . . . .. . .~~-~~~-----~ 98 ~· 10. Bibliografia I. Testi Lotharii Cardinalis (Innocentii III). De miseria humane conditionis. Michele Maccarrone editor. Lucani: in aedibus Thesauri Mundi, 1955. Poeti del Duecento, a cura di Gianfranco Contini. Milano-Napoli: Ricciardi, 1960. Lotario di Segni. De Miseria Conditionis Humane. Robert E. Lewis editor. Athens: The University of Georgia Press, 1978. Albertano da Brescia, De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae, edited by S.L. Hiltz. Diss. University of Pennsylvania, 1980, University Microfilms International. 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