Il negozio giuridico simulato. Note introduttive

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Il negozio giuridico simulato. Note introduttive
Il negozio giuridico simulato. Note introduttive
1. Simulazione e negozio giuridico simulato – Affinché una riflessione di
carattere generale sulla simulazione del negozio giuridico possa aspirare ad avere anche
una qualche rilevanza applicativa – posto che la stessa intitolazione tradisce
l’impostazione classica, si direbbe più tradizionale della materia, con un chiaro
sbilanciamento sul piano teorico generale – occorrerebbe muovere dalla ricerca delle
ragioni sia della disciplina codicistica in questa materia, sia soprattutto dell’interesse,
sempre mostrato nel nostro ordinamento (soprattutto dalla dottrina) nei confronti del
fenomeno giuridico dell’apparenza, cui fa capo, in modo si direbbe quasi naturale,
qualsiasi considerazione in tema di simulazione.
In questa indagine, un primo elemento di riflessione ci viene offerto dalla
comparazione nel senso che
in via di principio in Italia gli effetti del negozio sono quasi sempre i medesimi, tra le parti e nei
confronti dei terzi. Il diritto angloamericano – mediante la contrapposizione fra common law e equity,
ossia mediante la figura del trust, che assegna al trustee la proprietà operante verso i terzi, all’equitable
owner la proprietà interna – disincentiva le interposizioni fittizie. Il diritto tedesco, a sua volta, ricollega i
trapassi di proprietà ad atti esteriorizzati, e liberalizza invece la costituzione di rapporti obbligatori. In
Italia l’interposizione fittizia è anche la risposta sociale alla legge scritta che non istituzionalizza i rapporti
fiduciari.
(SACCO e [De Nova], Il contratto, 1 ed., in Trattato di diritto civile, Torino, 1993, 506 s.)
Un'altra ragione può essere colta nel legame culturale molto forte con gli
schemi contrattuali tipizzati e collaudati, che, se non impedisce, comunque limita la
costruzione di modelli diversi, nel senso che la
condotta notarile [è] propensa a tipizzare i negozi riducendoli a pochi tipi molto collaudati. Lo
scarto fra il tipo adottato esterrnamente e quello che si vuole adottare in realtà si colma con una
controdichiarazione.
(SACCO, ibid., 3 ed.)
Infine, vi è quella che potrebbe essere considerata la giustificazione pratica più
immediata, secondo un’opinione diffusa, della simulazione in chiave di tendenza
dell’autonomia privata come esigenza delle parti di aggiramento della disciplina
cogente (per lo più quella fiscale o per altro verso vincolistica, potendo ricordarsi gli
esempi, a tutti noti, delle prelazioni legali, con il caso emblematico della disciplina in
materia di trasferimento di fondi rustici e dei limiti alla libertà di testare, nella
prospettiva di tutela dei legittimari).
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Ciò premesso in termini molto generali, è necessario chiarire subito che un
problema sul piano legislativo, o in senso lato normativo, avente ad oggetto la
simulazione del negozio giuridico può sorgere essenzialmente, se non esclusivamente,
nel momento in cui ci si ponga nella prospettiva della tutela del terzo, il quale sia
interessato, in un modo o in un altro, a quanto le parti del contratto simulato hanno
inscenato.
E’ evidente, infatti, che se si trattasse di stabilire soltanto che il contratto
simulato non produce effetti fra le parti – questo è peraltro l’unico dato certo in materia,
secondo quanto rilevava già MESSINA, La simulazione assoluta, in Riv. dir. comm.,
1907, I, 393, e 1908, I, 10 e in Scritti giuridici, Milano, 1948, V, 69 ss., ripreso più tardi
da AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico. Premesse generali, Napoli, 1957,
1, proprio in apertura del suo fondamentale contributo -, non vi sarebbe la necessità di
una disciplina ad hoc, in quanto al medesimo risultato si potrebbe (e si dovrebbe)
pervenire constatando che quanto esternato non è vincolante perché manca il carattere
impegnativo dell’accordo e, quindi, la lacuna riguarderebbe l’essenza del contratto
(simulato). Così come, nel caso della cosiddetta simulazione relativa, la disciplina
dell’interpretazione del contratto, nel senso dell’accertamento della volontà comune
dei contraenti alla stregua di tutti i criteri ivi previsti, sarebbe sufficiente a rispondere
alla domanda circa l’efficacia e la vincolatività del regolamento d’interessi sancito nel
contratto “dissimulato” (ossia nella controdichiarazione), a patto ovviamente che la
mancanza dei requisiti di sostanza e forma non conducano all’invalidità di quest’ultimo
contratto.
Quanto appena considerato, lo si comprende meglio in chiave comparativa:
A rigore, la simulazione non ha bisogno di regole legali sue proprie. In nessun ordinamento è
vincolante un discorso perplesso con cui taluno dichiara che si impegna e contemporaneamente fa sapere
che l’impegno è puramente finto. Se così non fosse, le dichiarazioni sceniche o non serie sarebbero
vincolanti. Il discorso perplesso ora descritto non significa assunzione di un impegno, e giuridicamente
non è una dichiarazione di volersi impegnare. Il problema giuridico sorge solo quando un terzo invochi un
frammento di questo discorso, e precisamente il frammento pervenuto a sua conoscenza, con cui l’agente
diceva d’impegnarsi. Per il terzo quel frammento aveva tutta l’apparenza della dichiarazione, e il terzo
invoca il diritto di fidarsi dell’apparenza. La soluzione che l’ordinamento predispone per rispondere a
questa domanda dl terzo può essere varia. Può avvenire, innanzi tutto, che l’ordinamento adotti regole
generali che governano ogni fatto apparente, oppure ogni fatto esteriorizzato (né il diritto inglese né
quello tedesco hanno regole per la protezione specifica del terzo, ma hanno regole sui fatti esteriorizzati).
Può poi avvenire che il legislatore concentri la sua attenzione sulla simulazione, cioè sull’apparato cui le
parti ricorrono per simulare, sull’attività di mistificazione in quanto tale; ovvero può darsi che polarizzi le
soluzioni sul contratto apparente, soffermandosi il meno possibile sulla genesi di tale pseudocontratto.
Quest’ultimo atteggiamento consentirà di inquadrare il contratto simulato in una categoria meno nota di
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
contratto invalido: nella categoria, cioè, del flatus vocis cui non risponde una effettiva volontà
dell’interessato: flatus vocis che concordemente il diritto naturale, nonché la tradizione romano-comune,
condannano all’irrilevanza.
(SACCO, ibid., 3 ed.)
Se così è, si comprende come già il Code Napoleon, lungi dal costruire
un’impalcatura formale di disciplina della simulazione, regolasse le cosiddette
“contrelettres” (cioè le controdichiarazioni, nel gergo della nostra letteratura in
materia: l’art. 1321 dispone che “les contrelettres ne peuvent avoir leur effect qu’entre
les parties contractantes; elles n’ont point d’effect contre les tiers”, con la chiara
percezione che il problema reale è quello probatorio ossia la soluzione del conflitto tra i
relativi mezzi di prova). Anche il codice civile del 1865, in tal senso, si rifaceva alle
“controdichiarazioni fatte per privata scrittura” (art. 1319 c.c. 1865), confermando
l’impostazione.
Nonostante la presenza degli appena ricordati indici normativi (italo-francesi),
che avrebbero dovuto indirizzare gli interpreti in una certa direzione, la nostra dottrina
(dagli studi di FERRRARA, agli inizi del secolo, Della simulazione dei negozi giuridici,
Roma, 1922, in poi) si orientò per l’impostazione del discorso della simulazione in
termini di divergenza fra l’interno volere e la sua manifestazione esteriore. E’
sintomatico l’esordio dell’appena menzionato studio, assunto a punto di riferimento
obbligato dalla dottrina in materia:
una indagine fondamentale s’impone al principio del nostro studio, è quella del rapporto fra
volontà e dichiarazione.
(FERRARA, Della simulazione nei negozi giuridici, Roma, 1922, 1)
Ancora una volta la comparazione aiuta a comprendere l’evoluzione del pensiero
giuridico. Va detto infatti che un ruolo notevole, nella formazione della dottrina italiana,
giocò la pandettistica e le sue manifestazioni nella letteratura giuridica tedesca della
seconda metà del XIX secolo, in cui anche la simulazione viene ricondotta, in modo che
può oggi apparire semplicistico ma era certamente coerente alla teoria del negozio
giuridico abilmente forgiata dalla scuola di pensiero tedesca, alla grande famiglia dei
vizi del volere dichiarato, come divergenza tra volontà e dichiarazione. E’ evidente
allora che anche gli studiosi italiani si sentissero supportati, per così dire, dalla
pandettistica, tendente a raggruppare ipotesi eterogenee fra loro in grandi categorie del
pensiero giuridico, fra cui quella della divergenza fra volontà e dichiarazione,
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
ricercandosi le caratteristiche proprie della simulazione nella bilateralità della
divergenza e nella consapevolezza della divergenza.
Se questa costituiva la tradizione prevalente, non mancavano peraltro voci
dissonanti, che avrebbero avuto il merito di tracciare la linea di pensiero successiva. In
Germania, ad esempio, già Kohler (il più significativo e menzionato tra gli studiosi
tedeschi in materia, soprattutto con il lavoro Studien über mentalreservation und
Simulation, in Jhering Jahrb., 1878, 91 ss.) aveva optato per un’impostazione del
discorso che poneva a raffronto la dichiarazione con la controdichiarazione,
piuttosto che la volontà interna dei contraenti con quella esteriorizzata.
Dopo i ricordati studi di Francesco Ferrara, nel nostro ambito dottrinale,
MESSINA (La simulazione assoluta, cit.), seguito da SEGRÉ (In materia di simulazione
nei negozi giuridici, in Scritti giuridici, Cortona, 1930), da Salv. ROMANO (Contributo
esegetico allo studio della simulazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 15) e quindi
da AURICCHIO (La simulazione nel negozio giuridico, cit.), nonché da DISTASO (La
simulazione dei negozi giuridici, 1960), si ponevano in una prospettiva completamente
diversa rispetto a quella tradizionale (senza dimenticare gli studi di PUGLIATTI, La
simulazione nei negozi unilaterali, in Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica, Milano,
1951, 541). Il primo A. ricordato, in particolare affermava
Il Kohler può aver visto non esattamente l’antitesi tra l’accordo di simulare e il negozio simulato;
ma l’idea sostanziale di desumere dall’annullarsi delle dichiarazione scambiatesi tra le parti il loro intento
– e non già un conflitto tra la dichiarazione e la volontà intima – resta stabilmente acquisita.
(MESSINA, La simulazione assoluta, 86)
In realtà, il tramonto definitivo della dottrina del negozio giuridico come
manifestazione della volontà del privato, sovrana e fondamentale, segnava anche
inevitabilmente la crisi della concezione della simulazione come ipotesi, o sottotipo se
si preferisce, di divergenza fra volontà e dichiarazione. Da un certo momento in poi,
infatti, la ricostruzione della simulazione in termini di vicenda negoziale caratterizzata
da
una
dichiarazione
(espressiva,
eventualmente,
di
un
accordo)
e
una
controdichiarazione può dirsi pacificamente condivisa ed affermata fra gli studiosi,
con l’abbandono della visione giusnaturalistica e pandettistica incline ad inquadrare e
risolvere tutti i problemi dell’efficacia del vincolo negoziale adottando il punto di vista
della (convergenza o divergenza fra) volontà e dichiarazione. Non ci vuole molto, del
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
resto, ad aderire a quanto la più autorevole dottrina civilistica del tempo ha dimostrato
con esemplificazione di solare chiarezza, sottolineando che il contrasto è:
fra una dichiarazione esterna, che le parti vogliono perché sia operativa rispetto ai terzi e una
dichiarazione interna o controdichiarazione, che le parti vogliono perché sia operativa fra loro e che è
necessaria per l’efficacia della sincera volontà delle parti
(SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1954, 133)
Da tali pur sommarie considerazioni, si può rilevare che il discorso sul contratto
simulato può ingenerare qualche ambiguità, quanto alla stessa espressione, almeno nel
momento in cui si intenda rappresentare l’intera vicenda, mentre il termine
simulazione, adottato anche dal legislatore ed anzi ripetutamente utilizzato nella
disciplina codicistica (dalle rubriche delle disposizioni, artt. 1414, 1415, 1417, al testo
normativo) rende probabilmente più esplicita la complessità del fenomeno giuridico e
l’intreccio delle dichiarazioni.
Il contratto simulato (art. 1414, 1° comma) è definito dal legislatore anche
“apparente” (art. 1414, 2° comma), per chiarire che questo non produce effetto fra le
parti e si contrappone alla cosiddetta controdichiarazione, che assume la denominazione
di contratto “dissimulato”. Così, muovendo dall’incapacità del contratto apparente di
produrre effetti (fra le parti, s’intende), la dottrina più risalente non ebbe alcuna
difficoltà a qualificare come nullo il contratto simulato (mentre taluno rilevava come
saremmo stati, in realtà, in presenza di un’ipotesi di inesistenza del negozio, sempre
coniugando ed anzi immedesimando la volontà con la vicenda negoziale).
Le teorie “dichiarazioniste”, tuttavia, che mutarono il corso degli studi sul
negozio giuridico e sul contratto negli anni ’50, consentirono di ritenere la
dichiarazione apparente – ed è questo il linguaggio anche del legislatore - in quanto
effettivamente e validamente voluta (pur nella sua funzione di costituire l’apparenza,
mentre la realtà del rapporto sarebbe stata consegnata alla controdichiarazione)
costitutiva di un negozio completo e perfetto, almeno dal punto di vista della volontà e
della liceità (in linea di principio, salva la valutazione da compiere nella concretezza
delle circostanze).
Il progressivo ridimensionamento delle dottrine fondate sulla dichiarazione
favoriva, per altro verso e sempre con riferimento al tema specifico della simulazione,
approcci attenti all’esame della causa. Secondo queste concezioni, non sarebbe
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
condivisibile ritenere il contratto simulato un contratto apparente perché privo di
accordo: infatti l’accordo è presente, e si instaura proprio sulla apparenza intenzionale
del contratto. Il contratto simulato sarebbe piuttosto un contratto apparente perché
privo di causa. Secondo una prima prospettazione, la causa sarebbe mancante in quanto
l’intesa delle parti sulla divergenza tra contratto stipulato e realtà del loro rapporto
distruggerebbe la causa del primo lasciando sussistere una mera apparenza di contratto.
Secondo altra prospettazione, che relativizza il ricorso alla categoria dell’apparenza, il
contratto simulato sarebbe privo di causa in quanto caratterizzato dall’esprimere una
causa tipica diversa dallo scopo concreto e dissimulato che le parti intendono
perseguire.
Si tratta di negozio vero e proprio, cioè di un atto di volontà (...) e non già di un mero fatto.
Codesto negozio, anzi, finché rimane occulto l’accordo simulatorio, che lo priva della sua causa, appare e
opera come negozio valido, mentre quando si scopre la simulazione deve essere dichiarato nullo, appunto
per la mancanza della causa. Esso appare diverso da quello che è, non in ordine alla sua natura, bensì in
relazione alla sua condizione: è negozio (non mero fatto), ma negozio nullo, o, se si vuole, giuridicamente
inesistente.
(PUGLIATTI, La simulazione dei negozi unilaterali, cit., 546)
Il fatto di non poter più far conto sulle teorie volontaristiche ossia sull’assenza o
sui vizi del volere, indusse così a ritenere che il contratto simulato fosse privo di causa
(in tal senso, gli studi di BETTI, PUGLIATTI e SANTORO-PASSARELLI), finché, superato
anche l’ultimo baluardo d’ordine dogmatico, costituito dall’evanescente e sempre
discussa nozione di causa del contratto, non si pervenne all’abbandono della tesi
dell’inesistenza e/o della nullità (per incompletezza, sul piano strutturale, del negozio),
in favore di una ricostruzione impostata sull’efficacia ovvero sugli effetti del contratto
simulato (che non si producono fra le parti, ex art. 1414), rinunciando in tal modo a
continuare a svolgere l’analisi sul piano della fattispecie (con gli esponenti più
autorevoli in Renato SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico,
Napoli, 1950, di recente ristampato, ma soprattutto AURICCHIO, La simulazione nel
negozio giuridico, cit.).
E’ questa la svolta più significativa in termini di storia del pensiero giuridico. Il
contratto simulato è inefficace per volontà dei contraenti, nel senso della sua
inidoneità a produrre effetti fra le parti, senza che ciò implichi alcuna incompletezza o
invalidità della fattispecie posta in essere, la quale rileva, invece, per i terzi e produce,
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
per effetto dell’ordinamento – e non certamente della volontà dei contraenti –
l’inopponibilità della simulazione a chi possa riceverne danno.
Può essere interessante, anche ai fini della migliore comprensione della
successiva evoluzione giurisprudenziale, cercare di seguire i passaggi nodali di
quest’ultima ricostruzione della disciplina, con la doverosa premessa che anch’essa si
muove pur sempre nel tentativo di rinvenire – si tratta, evidentemente, di una sorta di
Leitmotiv in tema di simulazione – il punto di equilibrio tra apparenza e realtà, che
si risolve nella scelta fra l’interesse dei contraenti e quello dei terzi e, in ultima
analisi, fra giustizia e certezza dei rapporti giuridici.
Muovendo dal dato pressoché indiscutibile secondo cui il negozio simulato è un
fatto giuridico negoziale (ossia non può dirsi inesistente, per quel che può rilevare la
nozione e la distinzione con la nullità del negozio), si afferma che il negozio è dotato di
una struttura perfetta, presentandosi con i suoi elementi costitutivi essenziali
effettivamente corrispondenti a quanto voluto dalle parti. Di qui, la piena validità e la
perfezione del negozio come titolo.
... il fenomeno della simulazione, che si manifesta per lo più attraverso la creazione di un titolo o
documento tipico, a porre in termini precisi la rilevanza del fatto negoziale e della sua struttura sul piano
legale, indipendentemente e nell’assoluta mancanza di un regolamento. Per questo si giunge a dimostrare
che la validità del negozio – e con ciò si vuol indicare solo la natura di fatto strutturalmente perfetto – non
crea tra le parti alcun rapporto giuridico, ma solo costituisce titolo idoneo per l’attribuzione ad un
soggetto di una predeterminata situazione formale nei confronti dell’ordinamento giuridico statuale e dei
soggetti ad esso subordinati: ciò che peraltro spiega la rilevanza del negozio simulato nei confronti dei
terzi.
(AURICCHIO, cit., 12)
Si può dire che il negozio simulato non «sembra» perfetto, ma lo «è», e ciò per il fatto stesso di
esser valido. È quindi inesatto dire che le parti contraenti, nel simulare, abbiano posto in essere un
contratto finto o apparente; l’apparenza si riferisce tutt’al più agli effetti finali, che invero mancano e che
i terzi credono esistenti; ma il fatto contrattuale c’è, ed è proprio come la norma prevede che sia. Né vale
obiettare che è identico riferire l’apparenza al fatto o agli effetti in base al motivo – in astratto esattissimo
– che un effetto apparente non può avere che una causa apparente. Di fronte alla validità del negozio
simulato, ogni ragionamento deve partire dal dato fondamentale della contrapposizione tra fatto reale ed
effetti apparenti. La conclusione a cui necessariamente si giunge è che non esiste rapporto di causalità
giuridica tra il fatto che esiste realmente e gli effetti che sono apparenti; e sempre per lo stesso motivo,
quel fatto reale dovrà produrre effetti reali, mentre gli effetti apparenti dovranno avere una causa
altrettanto apparente.
(AURICCHIO, 187)
Il rischio di appiattire la concezione del negozio sulla valutazione della fattispecie
operata dall’ordinamento e la conseguente tendenza a rivalutare il fenomeno
dell’autonomia privata, enfatizzando il punto di vista dinamico ossia funzionale (e
superando così il profilo esclusivamente strutturale), aveva condotto alla valorizzazione
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
dell’atto di autonomia come precetto o autoregolamento. Ma a questo punto, si
comprende che, nella simulazione, non esiste autoregolamento, l’essenza del
fenomeno negoziale (almeno secondo la teoria del negozio giuridico prospettata da
Scognamiglio all’inizio degli anni cinquanta, posta a fondamento di numerose
ricostruzioni teoriche successive in tema di autonomia privata), mentre acquista un
significato particolare – proprio per la sua indipendenza dal valore precettivo del
regolamento, che non esiste – il titolo o il documento tipico, che fa emergere la
rilevanza del fatto negoziale e, quindi, del dato strutturale in considerazione del
giudizio che ne dà l’ordinamento (s’intende, in vista della tutela di soggetti terzi,
potenzialmente pregiudicati dall’accertamento della realtà convenzionale ossia
dell’inesistenza del precetto fra le parti).
lo studio della simulazione pone in termini nuovi il rapporto tra struttura e funzione: il problema
è risolto ponendo i due termini in posizione parallela, l’uno sul piano della legge e l’altro dell’autonomia
privata, il primo come semplice fattispecie della norma legislativa ed il secondo come autoregolamento.
In concreto, nel negozio simulato vi è una fattispecie legale integra, ma l’autoregolamento manca: e
questa alternativa validità-inefficacia, riproponendosi sempre identica nei confronti di ciascun soggetto,
serve a giustificare alcuni atteggiamenti piuttosto complessi del fenomeno simulatorio, ad esempio la
situazione dei creditori chirografari.
(AURICCHIO, cit., 14 s)
Se il discorso della separazione della disciplina della fattispecie da quella della
funzione del negozio è più facilmente e, si direbbe, immediatamente riconducibile alla
vicenda della cosiddetta simulazione assoluta, è proprio, a ben vedere, la disciplina
della simulazione relativa a confermarne la correttezza sul piano sistematico, posto che
l’efficacia negoziale (ovviamente, del contratto dissimulato) dipenderà esclusivamente
dall’autoregolamento realizzato dai contraenti e dalla valutazione che questi ultimi
hanno fatto dei propri interessi, senza che ciò intacchi la (diversa) valutazione
normativa, da parte dell’ordinamento, che ha ad oggetto la fattispecie legislativa
riconducibile al fatto ovvero al comportamento dei contraenti. La conseguenza, sul
piano sistematico, è che il fenomeno dell’autonomia privata, che si realizza nel negozio
giuridico, subisce due valutazioni, che non si escludono ma concorrono e
corrispondono a due diversi punti di vista: quello dell’ordinamento (che opera, s’è detto,
sulla fattispecie) e quello dei privati (che si manifesta nel precetto o autoregolamento).
nel fenomeno dell’autonomia privata, esistono due diverse valutazioni normative. L’una, che in
questa sede si ritiene condizionata alla perfezione della fattispecie legislativa, corrisponde alla valutazione
operata dal legislatore sul comportamento delle parti. L’altra invece, interna alla prima, è proprio la
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
valutazione che le parti fanno dei propri interessi e trova la sua espressione in termini normativi
nell’efficacia negoziale.
(AURICCHIO, cit., 15)
Nulla di strano che le due valutazioni possano anche divergere in taluni casi,
come accade nella simulazione, la cui disciplina ben rappresenta la più generale
distinzione e separazione normativa degli effetti dei negozi fra le parti e nei
confronti dei terzi. La questione teorico-dogmatica è di ordine generale e attiene alla
valutazione del contratto secondo due diverse prospettive.
Invero ogni contratto pone per ciascun soggetto un duplice ordine di problemi: uno, relativo ai
rapporti con l’altro contraente, trova la sua misura più idonea nell’autoregolamento e nella sua efficacia;
l’altro, invece, riguarda la posizione che i soggetti assumono nei confronti dell’intero ordinamento
giuridico, ed è questo un problema squisitamente legale, tale da non poter trovare la sua soluzione nello
stesso atto di autonomia privata. Ordunque, il legislatore non si limita ad un rinvio puro e semplice
all’autoregolamento dei privati ed al suo contenuto, ma interviene con il proprio potere normativo a
precisare la posizione assunta dai soggetti in forza del titolo valido.
Si trovano così nell’intervento dello Stato i limiti della moderna esigenza di considerare il
fenomeno dell’autonomia privata nel suo aspetto dinamico, di valutarne in primo luogo l’atipicità e la
resistenza ad essere costretto entro schemi rigidi a cui la legge attribuisce la giuridicità per fattispecie
astratte. Il vero è che il tipico e l’atipico vivono insieme, in un intreccio di situazioni apparentemente
prive di ordine. L’ordine è qui ritrovato nel porre le due categorie di situazioni, le une tipiche legale
assolute e le altre atipiche convenzionali relative, su piani diversi e soprattutto con una diversa
giustificazione.
Per spiegare poi tale intervento dello Stato nei rapporti tra privati non è neppure necessario
ricorrere a spiegazione diversa da quella generalissima della fattispecie. Invero, una volta separati i
problemi risolti dalla legge e dall’autoregolamento, vien meno anche il principale motivo per collocare
l’autoregolamento nell’ambito della fattispecie legislativa. Vi è anzi da aggiungere che questa soluzione
si presenta poco idonea a spiegare i presupposti qui svolti, poiché nell’ipotetica corrispondenza tra
concreto ed astratto si verrebbe a nascondere l’ineliminabile differenza tra due valutazioni diverse, quella
del legislatore e quella dei contraenti. E quindi si prospetta degno di considerazione il dato offerto dallo
studio della simulazione, essere il giudizio di validità riferito non dall’autoregolamento stesso, ma solo al
suo profilo esterno, la dichiarazione.
(AURICCHIO, cit., 198)
In epoca più vicina a noi questa teoria, peraltro riccamente argomentata, dai due
grandi civilisti partenopei menzionati, con dovizia di riferimenti all’intero sistema del
diritto privato, è stata riconsiderata, muovendo da un’impostazione più analiticoformale, che fa capo appunto all’analisi del linguaggio, ove la fattispecie simulatoria si
articola
nel combinarsi di due dichiarazioni, una esterna e l’altra interna, sul cui rapporto di
combinazione ed opposizione giocano sia i simulanti sia la disciplina legale (sebbene con esiti non
sempre conformi).
(GENTILI, Il contratto simulato. Teoria della simulazione e analisi del linguaggio, Napoli, 1982)
E si è prospettata, all’esito di una meticolosa analisi storico-sistematica, la tesi
secondo la quale
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
non inconcepibile, non illecito, bensì solo inadeguato agli interessi reali delle parti, il contratto
simulato si affianca all’annullabilità, alla rescissione, alla risoluzione, alla revocazione.
Esso sembra situarsi, cioè, in una posizione in qualche modo intermedia tra nullità e
annullabilità. Ma tanto consente anche, sebbene ridondante rispetto alle necessitò dell’indagine, una
conclusione sull’annullabilità. Che lungi dal rivelarsi (...) una sorta di invalidità minore o meno grave
della nullità, viene ad esprimere una rango fenomenologico diverso e diversamente finalizzato rispetto a
questa. (...) il vero tratto distintivo della figura: la rimessione da parte dell’ordinamento al privato del
potere di decidere della validità dell’atto, sia pure subordinatamente ai presupposti dallo stesso
ordinamento richiesti.
(GENTILI, cit.)
Non si può peraltro non segnalare, a questo punto, anche la critica mossa da chi
ha rilevato, non a torto, come l’affermazione legislativa “il contratto simulato non
produce effetto” non escluda affatto che si tratti di contratto nullo, posto che
anch’esso, tipicamente, non produce l’effetto voluto dalle parti, mentre – da un altro
punto di vista, significativo per l’esame della giurisprudenza sul punto, v. infra –
esprime il pragmatismo di un legislatore attento a disciplinare il fenomeno giuridico,
senza perdersi nella faticosa ricerca di coerenza con la categorie dogmatiche. Si
afferma, infatti:
La dizione legislativa proviene da redattori che, molto opportunamente, hanno provveduto a
dettare una regola operazionale, e non si sono avventurati in uno sbandieramento classificatorio. Il
legislatore tedesco definisce il negozio simulato come nichtig (nullo, § 117 BGB). Qualcuno, fra coloro
che leggono la parola “inefficacia” nell’art. 1414 c.c., saprà indicarci una sola differenza di regolamento,
anche minima, dovuta alla pretesa diversità fra la soluzione tedesca e quella italiana?
(SACCO, cit., 1 ed., 535)
Anche la spiegazione offerta da Auricchio si confronta, del resto, con il
pragmatismo del legislatore:
Il legislatore italiano nelle espressioni adoperate e nella sistemazione stessa data alla materia ha
accuratamente evitato ogni valutazione dommatica dell’istituto, e si è limitato a dettare regole per
risolvere i conflitti di interessi che possono nascere dal comportamento dei simulanti. Dalle disposizioni
di legge non risulta che la simulazione incida sulla volontà oppure sulla causa, non sono risolte altre
questioni del genere. La mancanza di una definizione legislativa non deve indurre però a credere che sia
necessario od anche lecito dedurre od offrire un concetto di simulazione argomentando in base al buon
senso o con ricche immagini o assumendo come fondamento tradizioni giuridiche, che potrebbero essere
false o gratuite, anche se furono vere in altri tempi. Il vero è che nelle norme contenute vi è una disciplina
giuridica pressoché completa della simulazione; si leggano le rubriche dei vari articoli: art. 1414 «Effetti
della simulazione tra le parti», art. 1415 «Effetti della simulazione rispetto ai terzi»; art. 1417 «Prova
della simulazione». Esistono dunque tutti gli elementi per una elaborazione dommatica dell’istituto e dei
suoi concreti atteggiamenti nel mondo del diritto.
(AURICCHIO, cit., 23)
Aggiunge ancora un’interessante notazione, ponendo a confronto i due
orientamenti più seguiti, Rodolfo Sacco:
A questo punto può darsi che il dogmatico esperto fiuti il rischio di dover considerare valido
l’atto apparente, e dica che il contratto simulato è privo di causa [infatti, così si erano espressi Betti,
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Pugliatti, Santoro-Passarelli, n.d.r.], con che la nullità dell’atto è assicurata. Ma il discorso non tiene:
l’inettitudine dello pseudonegozio simulato ad adempiere ad una oggettiva funzione economico-sociale
apprezzabile è incontestabile; ma essa è l’effetto, e non già la causa, della nullità. Se la vendita simulata
fosse valida, la sua funzione – scambio della cosa contro presso – sarebbe incontestata.
Il dichiarazionista esperto sa che il pretesto della causa è indifendibile. Il discorso, a questo
punto, viene revisionato. Il contratto simulato consterà allora di tutti gli elementi: soggetti, consenso,
causa, forma. Esso corrisponderà dunque alla fattispecie contrattuale legale. Non potrà dirsi né inesistente
né assolutamente nullo. Se i suoi effetti stentano a prodursi, ciò sarà dovuto ad un fatto ulteriore e diverso,
che opera non già sulla fattispecie, ma su questi effetti [è la posizione dottrinale di Salv. Romano, R.
Scognamiglio, Auricchio, n.d.r.]. Si chiederà all’analisi del linguaggio di sponsorizzare questa logica
[Gentili, n.d.r.]. Si chiamerà a testimone la lettera dell’art. 1414, che con le parole “non produce effetto”
imporrebbe all’interprete di qualificare l’atto come inefficace.
(SACCO, 3 ed., cit., 666 s.)
In conclusione, ponendo a confronto le due ricostruzioni più significative del
fenomeno, se è vero che l’idea dell’inefficacia in senso stretto sembrerebbe far
‘tornare i conti’, con la rilevanza che il contratto apparente ha per i terzi di buona fede,
e che, quindi, la disciplina delle vicende più significative in tema di simulazione,
riguardanti appunto i terzi, induce a risolvere la questione teorica più spinosa sul piano
dell’opponibilità (invece che guardare alle vicende dell’autoregolamento di privati
interessi).
Peraltro, un approccio pragmatico al tema, dopo aver tentato di comprenderne le
implicazioni teorico-generali, nella loro contestualizzazione in termini di cultura
prevalente in un dato momento della storia del pensiero giuridico, induce a convincersi,
anche in virtù dell’esame della giurisprudenza che
la contrapposizione della inefficacia alla nullità, essendo di tipo classificatorio, ha importanza
scarsa per i giudici che saviamente uniformano il proprio linguaggio all’idea tradizionale della nullità.
Con la nullità andrà di pari passo la rilevabilità d’ufficio della simulazione, la tendenziale non
convaidabilità, e l’imprescrittibilità dell’azione.
(SACCO, cit., 3 ed. 668)
2. Simulazione, nullità e illiceità - Il riscontro con l’utilizzazione
giurisprudenziale delle categorie giuridiche tradizionali, nelle vicende giudiziarie della
simulazione, sembra effettivamente dimostrare la fungibilità di taluni concetti giuridici
fondamentali nella nostra tradizione e la promiscuità della loro apparizione nelle
decisioni, che induce – lungi da una sterile critica di taglio meramente teorico – a
domandarsi quali siano le ragioni pratiche per le quali si fa uso di qualificazioni fra loro
notevolmente diverse, non soltanto dal punto di vista terminologico, ma anche sul piano
della disciplina applicabile. Si pensi, per fare soltanto due esempi, al diverso trattamento
11
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
dell’azione di simulazione rispetto a quella per far accertare la nullità, in relazione alla
disciplina della trascrizione ex art. 2652 c.c. (l’art. 2652 n. 4 c.c. prevede che la
sentenza che dichiara la simulazione non pregiudica i diritti acquisiti da terzi in buona
fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla domanda di simulazione,
laddove l’art. 2652 n. 6 c.c. dispone che la sentenza dichiarativa della nullità non
pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede con contratti trascritti
successivamente a quello dichiarato nullo e precedentemente alla trascrizione della
domanda di nullità, sempreché quest’ultima sia stata trascritta decorsi cinque anni dalla
prima trascrizione [del contratto nullo]) e alla possibilità per i contraenti di limitare la
simulazione ad un elemento del contratto, il prezzo nel caso più tipico v. infra, mentre
la nullità parziale non può che seguire, come effetto giuridico, alla valutazione da parte
dell’ordinamento ex art. 1419 c.c.).
Ad esempio, l’affermazione della nullità del negozio (di norma motivata con il
difetto della causa, anche in considerazione dell’autorevolezza dei giuristi che avevano
elaborato o rielaborato questa tesi) affetto da simulazione assoluta ha consentito di
affermare la rilevabilità d’ufficio del vizio (v. infra), nel senso che
la simulazione assoluta, costituendo motivo di nullità del negozio per difetto di
causa, è rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 1421 c.c.
Cass., 14-01-1985, 32/1985, in Foro it., Rep. 1985, voce Simulazione civile, n. 6
Occorrerebbe, tuttavia, ricordare in proposito anche la giurisprudenza relativa al
rapporto tra dichiarazione di nullità del contratto e principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.
In tema di simulazione, atteso il principio della corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, il giudice non può ritenere la simulazione se nessuna delle parti ne alleghi
l’esistenza, incorrendo altrimenti nella violazione dell’art. 112 c.p.c.; tale principio dev’essere
coordinato con gli ulteriori limiti stabiliti dalla legge processuale, per effetto dei quali la
simulazione, che può essere fatta valere sia in via di azione che di eccezione, nel primo caso
dev’essere proposta nel giudizio di primo grado, a pena d’inammissibilità rilevabile anche
d’ufficio, mentre nel secondo caso può essere riproposta anche nel giudizio di appello.
Cass., 9-06-2006, n. 13459/2006, in Foro it., Rep. 2002, voce Simulazione civile, n. 3
Nello stesso senso: Cass. civ., 20-10-2004, n. 20548; Cass. civ., 14-01-2003, n. 435.
Un discorso diverso si fa relativamente ai limiti di prova della simulazione nei
rapporti tra le parti, in relazione alla non rilevabilità d’ufficio degli stessi, operando
esclusivamente nell’interesse della parte.
12
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Con riguardo all’azione di simulazione di un contratto, che sia proposta dall’erede di
un contraente, questi ove agisca quale legittimario per la reintegrazione della quota di riserva
assume la veste di terzo in quanto, pur avendo causa dalla parte che ha partecipato all’accordo
simulatorio fa valere un suo diritto personale, per contro quando abbia di mira l’acquisizione al
patrimonio ereditario di un bene che ha formato oggetto di un contratto simulato, cui ha
partecipato il de cuius, è soggetto alle limitazioni previste dagli art. 1417 e 2722 c.c., in quanto
si vale di un titolo che lo pone nella identica situazione giuridica del suo dante causa; per altro i
detti limiti di prova della simulazione nei rapporti tra le parti, non avendo natura
pubblicistica ed essendo diretti esclusivamente alla tutela dell’interesse delle parti medesime, in
caso di loro inosservanza, non sono rilevabili d’ufficio nel giudizio del merito, né possono
farsi valere, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.
Cass., 18-12-1986, n. 7674, in Foro it., Rep. 1986, voce Simulazione civile, n. 11
Si può comprendere come accada, talvolta, che la giurisprudenza sia attenta a
tenere distinti i diversi concetti, affermando, ad esempio, che, nell'ipotesi di
simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi elementi, ad
eccezione di quello interessato dalla simulazione,
con la conseguenza che, non essendo il contratto né nullo né annullabile, ma
soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono
essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti; pertanto la prova
per testimoni della simulazione del prezzo della vendita non incontra fra le parti i limiti dettati
dall'art. 1417 c.c. né contrasta col divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di
celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia
strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha
scopo e natura semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni
testimoniali.
Cass., 24-04-1996, 3857/1996, in Vita not., 1996, 1319
L’esigenza di evadere, per così dire, dalle strettorie di ordine probatorio induce
poi a far convergere la simulazione relativa con l’illiceità (parziale) del contratto in
materia di locazioni abitative:
la nullità delle clausole del contratto locativo per uso abitativo in contrasto con le
disposizioni della legge sull'equo canone relative alla durata ed al canone, essendo
espressamente sancita dall'art. 79 della legge in considerazione dello scopo di tutela delle
primarie esigenze abitative perseguite dalla predetta legge, configura una ipotesi di illiceità dal
contratto; ne consegue che il contratto di locazione stipulato per eludere tale nullità, con la
previsione di durata a misura del canone, diverse, da quelle legali, realizza una fattispecie
negoziale simulata relativamente, che ai sensi dell'art. 1417 c.c., è dato alle parti contraenti
di provare con testimoni per far valere il contratto dissimulato, in cui le clausole nulle sono
sostituite di diritto da quelle previste dalla l. n. 392 del 1978.
Cass., 16-05-1995, 5371/1995, in Foro it., Rep. 1995, voce Locazione, n. 203
Ove l’esigenza sia poi quella di far valere l’illiceità del patto commissorio
(dissimulato), la simulazione viene qualificata come mera “causa petendi”, sempre per
superare i limiti probatori dell’art. 1417.
13
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Nel caso in cui venga dedotta la nullità di un contratto preliminare di compravendita
siccome dissimulante un patto commissorio, vietata a norma dell'art. 2744 c.c. la simulazione,
costituisce soltanto causa petendi, cioè il fatto rivelatore del vietato patto commissorio, posto a
base dell'azione di nullità del contratto, sicché il relativo accertamento non è soggetto alle
limitazioni ex art. 1417 c.c. quanto alla prova testimoniale, essendo volta a far valere
l'illiceità ex lege del negozio dissimulato.
Cass., 16-08-1990, 8325/1990, in Foro it., Rep. 1990, voce Simulazione civile, n. 19
La parificazione dell’interposizione reale a quella fittizia, e la qualificazione di
entrambe come in frode alla legge, serve poi a tutelare i creditori, nel caso della
responsabilità dell’unico azionista.
Ai fini della responsabilità dell'unico azionista di società per azioni, l'interposizione
reale di persona intestataria di azioni deve essere equiparata alla interposizione fittizia, in
quanto attuata in frode alla legge e pertanto nulla.
Cass., 29-11-1983, 7152/1983, in Giust. civ., 1984, I, 3127
Il risvolto del discorso dal punto di vista processuale, in senso tecnico, si coglie
ad esempio nella qualificazione delle domande come domande nuove, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 345, 1° comma c.p.c.
Proposta inizialmente domanda di accertamento della simulazione assoluta di un contratto di
compravendita, costituiscono domande nuove, come tali improponibili in appello ai sensi
dell'art. 345, 1º comma, c.p.c., e non mere eccezioni, comportando l'accertamento di fatti nuovi
e diversi con efficacia di giudicato, e non il mero rigetto della avversa domanda, sia la domanda
di accertamento della simulazione relativa del contratto di compravendita, sia la domanda di
nullità della vendita perché dissimulante un mutuo con patto commissorio, sia la domanda di
accertamento della interposizione fittizia di persona.
Cass., 25-01-1995, 869/1995, in Foro it., Rep. 1995, voce Appello civile, n. 28
Con la sanzione di nullità si è soliti spiegare il regime della rilevabilità d’ufficio
della simulazione - si è appena avuto modo di osservarlo – ma anche
dell’imprescrittibilità dell’azione per farla valere, a parte l’ovvia preclusione alla
convalida del contratto simulato.
In ordine alla prescrizione dell’azione, la distinzione fondamentale non è tanto
fra simulazione assoluta e relativa, quanto fra il carattere meramente dichiarativo
dell’azione, che induce ad affermarne l’imprescrittibilità (indipendentemente dalla
prospettazione della domanda di simulazione come assoluta, che importa senz’altro un
mero accertamento negativo, ovvero come relativa) e la natura costitutiva dell’azione
tendente all’affermazione di un diverso assetto di rapporti fra le parti rispetto a quello
14
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
desumibile dal contratto simulato, che sconta invece la prescrizione decennale,
rapportata ai diritti che si intendono affermare in quanto nati dal negozio dissimulato o
pregiudicati da quello simulato. Alcune massime indiscusse chiariscono il senso del
discorso.
Quando l'azione di simulazione relativa è diretta a far emergere il reale mutamento
della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, tale azione si prescrive
nell'ordinario termine decennale; quando invece è finalizzata ad accertare la nullità tanto del
negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di
forma), rilevando l'inesistenza di qualsiasi effetto tra le parti, tale azione non è soggetta a
prescrizione (nella specie, non è soggetta a prescrizione l'azione con la quale l'attrice chiede
l'imputazione o il rientro nella massa ereditaria di beni venduti a terzi, sostenendo che in
realtà tali compravendite dissimulano una donazione ad un soggetto diverso, nulla per difetto di
forma).
Cass., 18-08-1997, 7682/1997, in Giur. it., 1998, 1342
Anche l'azione di simulazione relativa, come quella di simulazione assoluta, è
imprescrittibile, se, anziché tendere ad accertare il negozio dissimulato per farne valere gli
effetti, è volta ad accertarne la nullità, come nel caso in cui un legittimario agisca per accertare
l'appartenenza al patrimonio ereditario di beni solo apparentemente alienati dal de cuius, ma in
realtà donati ad altro legittimario, per interposta persona, con atto nullo per difetto di forma.
Cass., 18-08-1997, 7682/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Simulazione civile, n. 23
L'azione di simulazione relativa, in quanto diretta ad accertare la nullità del negozio
simulato, è imprescrittibile (al pari dell'azione di simulazione assoluta), potendo il decorso del
termine incidere solo indirettamente sulla proponibilità di tale azione, nel senso che la
prescrizione dei diritti che presuppongono l'esistenza del negozio dissimulato può far venir
meno l'interesse all'accertamento della simulazione del negozio apparente.
Cass., 16-01-1997, 382/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Simulazione civile, n. 24
Cass., 06-05-1991, 4986/1991, in Giust. civ., 1991, I, 2285
L'azione di simulazione relativa - al pari di quella di simulazione assoluta - essendo
rivolta all'accertamento della nullità del negozio simulato, è imprescrittibile ai sensi dell'art.
1422 c.c., potendo colpire eventualmente la prescrizione i diritti che presuppongono la
esistenza del negozio dissimulato.
Cass., 23-10-1991, 11215/1991, in Vita not., 1992, 572
L'azione di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona, in quanto non
mira a far riconoscere gli elementi costitutivi di un negozio diverso da quello voluto, bensì a
quell'identificazione del vero contraente celato dall'interposto, che è in rapporto di derivazione
immediata dall'accertamento della simulazione, ha carattere dichiarativo e, quindi, è
imprescrittibile, al pari della corrispondente eccezione.
Cass., 05-04-1984, 2225/1984, in Foro it., Rep. 1984, voce Simulazione civile, n. 8
L'azione diretta a far dichiarare la simulazione soggettiva dell'atto costitutivo di spa
per interposizione fittizia di persona è imprescrittibile in quanto rivolta a sostituire nella
titolarità delle azioni i soggetti reali a quelli fittizi.
Trib. Napoli, 30-12-1981, in Dir. e giur., 1982, 652
15
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
3. La simulazione degli atti unilaterali – Se si ragiona in termini di simulazione
del negozio giuridico, un cenno va fatto anche alla fattispecie prevista espressamente
dall’art. 1414, 3° comma, con riferimento agli “atti unilaterali destinati a una persona
determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario”.
La logica giuridica è quella tracciata dall’art. 1324 c.c., secondo cui le norme
che regolano i contratti si applicano, in quanto compatibili, agli atti unilaterali tra vivi
aventi contenuto patrimoniale. Il limite della compatibilità, esplicitato dal legislatore
nella regola sulla simulazione, è dato dalla partecipazione del destinatario dell’atto
unilaterale all’intesa simulatoria (diversamente, la simulazione sarebbe oggetto di una
mera riserva mentale dell’autore dell’atto, come tale irrilevante). L’ambito di
applicazione è dunque quello degli atti recettizi (art. 1334 c.c.), potendosi rilevare che,
nell’ipotesi di atto non recettizio, ma destinato a produrre effetti nei confronti di un solo
soggetto o soltanto di alcuni soggetti, non si può escludere che possa darsi intesa
simulatoria tra tali soggetti e l’autore dell’atto.
In giurisprudenza, il problema dell’applicabilità della norma appena esposta s’è
presentato, innanzitutto, in relazione alla promessa di pagamento e alla ricognizione
di debito, ritenuti assoggettabili al controllo della loro natura simulata (Cass. 22 maggio
1997, n. 4563).
L’idea di fondo, nell’esame degli atti unilaterali asseritamente simulati, è che
l’indagine debba incentrarsi sull’accordo sottostante, come dimostra l’interessante
vicenda della girata nel trasferimento di azioni:
il principio secondo cui le formalità previste dall'art. 2022 c.c., per il trasferimento dei
titoli nominativi, compresi quelli azionari, attengono alla fase esecutiva, certificativa e
pubblicitaria del trasferimento stesso e non alla fase costitutiva, per la quale non è richiesta
alcuna specifica forma, si estende anche al trasferimento mediante girata regolato dall'art. 2023
c.c., che non presuppone necessariamente la esistenza fra i soggetti di un rapporto causale
oneroso, giacché è dichiarazione unilaterale, caratterizzata dall'autonomia e dall'astrattezza;
pertanto, qualora si deduca l'esistenza di un accordo simulatorio in ordine ad un trasferimento di
azioni, avvenuto mediante girata, occorre prendere in considerazione, al fine di accertare la
ammissibilità della prova testimoniale di tale accordo, non già la girata, ma il contratto di borsa
sottostante alla girata stessa, il quale non deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità e
neppure ad probationem.
Cass., 03-11-1981, 5792/1981, in Foro it., Rep. 1981, voce Società, n. 224
16
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Altre volte, la questione ha avuto ad oggetto la quietanza, ribadendosi che per
discorrere di simulazione è necessario un accordo sottostante fra il dichiarante e il
destinatario:
la simulazione della quietanza, che è un atto unilaterale recettizio contenente la
confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata, presuppone, ai sensi
dell'art. 1414, 2º comma, c.c., un precedente o coevo accordo, tra il dichiarante ed il
destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio.
Cass., 28-08-1993, 9135/1993, in Foro it., Rep. 1993, voce Simulazione civile, n. 6
Di norma, tuttavia, la vicenda della rilevanza della simulazione del contenuto della
dichiarazione rappresentata dalla quietanza ha finito per risolversi sul piano meramente
probatorio, in quanto essa
costituisce atto unilaterale di riconoscimento del pagamento ed integra quindi, tra le
parti, quale confessione stragiudiziale proveniente dal creditore e rivolta al debitore, piena prova
della corresponsione di una specifica somma di denaro per un determinato titolo; ne consegue
che l'esistenza del fatto estintivo (pagamento) attestato dalla quietanza può essere contestata
soltanto mediante la prova degli stessi fatti (errore di fatto o violenza) richiesti dall'art. 2732 c.c.
perché venga meno l'efficacia della confessione, per cui sono da ritenersi irrilevanti il dolo e la
simulazione.
Cass., sez. lav., 07-10-1994, 8229/1994, in Foro it., Rep. 1994, voce Confessione civile, n. 6
Se è vero che, in tema di prova testimoniale, il divieto sancito dall'art. 2722 c.c., di
provare, per testi, patti aggiunti o contrari al contenuto contrattuale, non opera quando si tratti di
scrittura che provenga da una sola parte e contenga una dichiarazione unilaterale, tuttavia l'art.
2726 c.c. arreca una deroga a tale principio, statuendo che "le norme stabilite per la prova
testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento"; da ciò consegue che non sono
ammissibili prove testimoniali dirette a provare fatti anteriori o contestuali alla quietanza, la
quale costituisce la documentazione scritta del pagamento; stante l'applicabilità, in virtù dell'art.
1324 c.c., anche agli atti di quietanza, della disciplina di cui all'art. 1417 c.c., un tal divieto
posto dall'art. 2726 c.c. opera anche nel caso in cui si adduca la simulazione assoluta della
quietanza, in quanto un accordo simulatorio rappresenta proprio uno di quei fatti, anteriori o
contestuali al documento, che il combinato disposto degli art. 2722 e 2726 c.c. vieta di provare
in contrasto con quella prova documentale del pagamento che è rappresentata dalla quietanza.
Cass., 28-07-1997, 7021/1997, in Foro it., Rep. 1997, voce Prova testimoniale, n. 13
E ancora:
Poiché la quietanza costituisce solo una dichiarazione della parte che la rilascia di aver
ricevuto una determinata somma, senza vincolare anche la parte cui è diretta, quando il
venditore deduca che, nonostante nel contratto abbia rilasciato quietanza liberatoria per l'intero
prezzo della vendita, aveva in realtà ricevuto parte del prezzo stesso, e chieda di provare tale
assunto, non si è in presenza di una simulazione del negozio, neppure con riguardo al prezzo
della compravendita, sicché l'ipotesi esula dalla disciplina degli art. 1414 e ss. c.c., comportando
soltanto l'indagine sulla verità della dichiarazione unilaterale del venditore di aver ricevuto il
prezzo integrale.
Cass., 16-04-1993, 4522/1993, in Foro it., Rep. 1993, voce Simulazione civile, n. 5
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Sempre sul piano della prova della simulazione, per quel che concerne, ad
esempio, la controdichiarazione sottoscritta dai soli venditori (e destinata a documentare
la simulazione del prezzo dichiarato rispetto a quello realmente versato), si è detto che
questa
non può legittimamente considerarsi "dichiarazione unilaterale non destinata a persona
determinata" - per la quale il 2º comma dell'art. 2704 c.c. prevede l'esonero dalle rigorose forme
di accertamento di cui al 1º comma - essendo, per converso, funzionalmente diretta alla
controparte del negozio, con la conseguenza che la richiesta di prova testimoniale circa la data
delle suddette controdichiarazioni deve ritenersi inammissibile.
Cass., 14-01-1999, 351/1999, in Foro it., Rep. 1999, voce Simulazione civile, n. 2
Da un altro punto di vista, è stata ritenuta
configurabile la simulazione della dichiarazione unilaterale contenuta nell'atto pubblico
di compravendita con cui il venditore specifica quanta parte del prezzo complessivo convenuto
è stata da lui già riscossa.
App. Ancona, 19-05-1987, in Foro it., 1987, I, 3328
La rinuncia ereditaria, in quanto atto giuridico in senso stretto – secondo le
tradizionali classificazioni – non destinato ad una persona determinata (e quindi privo
del tipico effetto negoziale), è stata ritenuta estranea alla previsione di cui all’art. 1414,
3° comma (Cass. 9 marzo 1956, n. 701, in Giust. civ., 1956, I, 1728).
Fra le ipotesi particolari, si ricorda la dichiarazione del coniuge non
acquirente, richiesta dall'art. 179, ult. comma, c.c. al fine di escludere un bene
immobile o mobile registrato dalla comunione legale, che, secondo la giurisprudenza,
non ha natura negoziale, con la conseguenza che
non è ammissibile contro di essa l'azione di simulazione, ma l'azione di accertamento
del falso unilaterale e concordato.
Trib. Napoli, 17-11-1993, in Dir. e giur., 1995, 218
Infine, una disciplina a parte è quella della cambiale, che per le caratteristiche
sue proprie non potrebbe neanche essere soggetta alle regole in tema di simulazione
Non è legittimamente configurabile (e non è conseguentemente opponibile ai terzi) una
presunta simulazione in materia cambiaria (nella specie, per interposizione fittizia di persona
nel contratto di sconto con fido), sia perché la cambiale è atto non necessariamente recettizio,
sia perché il campo di operatività in cui, per la sua essenza, il titolo è destinato ad esplicare la
sua funzione non consente alcuna utile distinzione tra apparenza e realtà, attesa la
irrilevanza, ai fini della sua operatività nei confronti dei terzi, del rapporto causale originario
sotto il profilo della sua validità e della sua stessa esistenza (con conseguente inammissibilità di
ogni eccezione, nei confronti del terzo giratario, dell'eventuale origine di favore - o di
finanziamento - del titolo), sia perché, infine, l'eccezione di simulazione verrebbe a paralizzare
l'eventuale azione causale scaturente dal titolo, ma non anche la (diversa) azione cambiaria
18
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
(nella specie, il giudice di merito era stato chiamato a decidere di una vicenda processuale in cui
un imprenditore, raggiunta un'intesa con un istituto bancario e con un altro imprenditore al fine
di consentire a quest'ultimo di eludere le restrizioni in materia di fidi previsti dalla banca
d'Italia, aveva scontato presso la banca una cambiale a firma dell'imprenditore che aveva
esaurito tutti i suoi fidi, era stato, poi, convenuto in giudizio dall'istituto di credito con
procedimento monitorio per il pagamento della somma risultante dalla cambiale, e si era difeso
opponendo la natura simulatoria del rapporto trilatero così disegnato; respinta l'opposizione
all'ingiunzione, e condannato l'ingiunto al pagamento, la suprema corte, nel rigettare il
conseguente ricorso, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima).
Cass., 24-08-1998, 8400/1998, in Foro it., Rep. 1998, voce Simulazione civile, n. 6
4. Riserva mentale e accordo simulatorio – L’esame della disciplina della
simulazione negli atti unilaterali può aiutare a comprendere il ruolo del cosiddetto
“accordo simulatorio”, soprattutto al fine di prendere le distanze da qualsiasi ipotesi di
rilevanza dell’interno volere del contraente, tradizionalmente espresso con la formula
della riserva mentale.
La distinzione fra simulazione e riserva mentale è chiarissima già in linea di
principio. Essa ha avuto una sua ricaduta pratica nel momento in cui si è trattato, nella
delicata materia delle locazioni abitative, di ritenere irrilevante
il proposito unilaterale ed inespresso dell'aspirante conduttore di adibire a propria
stabile abitazione l'immobile che gli venga offerto in locazione a titolo transitorio configura una
riserva mentale del tutto irrilevante; ne consegue che la nullità ai sensi dell'art. 79 l. n. 392 del
1978 delle clausole concernenti la misura del canone e la durata del rapporto, contenute in un
contratto di locazione che appaia stipulato per sopperire ad esigenze abitative di carattere
transitorio, può essere ritenuta soltanto ove consti l'accordo dei contraenti inteso a simulare
tale apparenza negoziale e cioè a dissimulare una locazione intesa a soddisfare esigenze
abitative stabili, perché soltanto in questo caso può ritenersi che la dichiarata "transitorietà"
della locazione costituisca il mezzo concordemente previsto dai contraenti per eludere le norme
più favorevoli al conduttore dettate dalla stessa legge in via generale.
Cass., 18-05-1999, 4802/1999, in Foro it., Rep. 1999, voce Locazione, n. 50
In materia di locazioni di immobili urbani disciplinate dalla l. n. 392 del 1978, affinché
la non corrispondenza tra la realtà effettiva, costituita dalla utilizzazione dell’immobile per
esigenze abitative stabili e primarie, e la realtà apparente, consistente nella stipulazione di una
locazione per uso diverso da quello abitativo (nella specie per uso ufficio), possa assumere
rilevanza giuridica è necessario che sussistano gli estremi della simulazione relativa,
configurabile nel caso in cui risulti solo formale la volontà delle parti di concludere una
locazione per uso ufficio e sia dimostrata la volontà di entrambe di concludere il contratto
dissimulato, potendo la relativa prova essere offerta anche per testimoni e per presunzioni, data
l’illiceità della clausola simulata; pertanto, l’intento del solo conduttore di adibire
l’immobile ad uso abitativo, in contrasto con la destinazione stabilita dal contratto, resta
circoscritto entro i confini di una irrilevante riserva mentale; l’eventuale dimostrazione che il
locatore era a conoscenza della finalità locativa concretamente perseguita dal conduttore non
può sostituire il consenso del medesimo alla stipula del negozio dissimulato, ma costituisce
19
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
soltanto un elemento utilizzabile dal giudice di merito allo scopo di accertare, in relazione alle
circostanze del caso concreto, la simulazione del contratto di locazione apparente e la
conclusione del contratto dissimulato.
Cass. 17-01-2003, n. 614, in Arch. locazioni, 2003, 490.
In sostanza, la proclamata (ed ovvia) irrilevanza della riserva mentale si
comprende nel momento in cui si richiede all’attore che alleghi la divergenza fra realtà
effettiva e realtà contrattuale la dimostrazione dell’intesa o accordo simulatorio, sì da
poter far scattare la tutela che conduce all’operatività giuridica della realtà effettiva.
In caso di locazione stipulata per esigenze abitative transitorie, il conduttore che assuma
la nullità della clausola di "transitorietà", ai sensi dell'art. 79 l. 392/78, per inesistenza in
concreto della natura transitoria delle sue esigenze abitative, ha l'onere di dimostrare (anche
per testimoni o avvalendosi di presunzioni, e disponendo d'altra parte il giudice di ampi poteri di
iniziativa al riguardo, ex art. 447 bis, 3º comma, c.p.c. riformato) la sussistenza dell'accordo
simulatorio volto ad eludere la normativa della l. 392/78, ovvero che il locatore aveva
consapevolezza (desumibile anche da univoci elementi indiziari) della effettiva natura primaria
e stabile, anziché transitoria, delle sue esigenze abitative.
Cass., 07-07-1997, 6145/1997, in Foro it., 1997, I, 3200
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, qualora le parti,
dopo avere concordato in sede di conciliazione giudiziale una data per il rilascio dell'immobile,
stipulino con riferimento ad esso un contratto costitutivo di diritto reale d'uso a favore del
conduttore per un ulteriore periodo di tempo, quest'ultimo contratto non può ritenersi simulato
(al fine di dissimulare una nuova locazione, per eludere le norme imperative dettate dalla l.
392/78), in difetto di prova dell'accordo simulatorio, né può ritenersi nullo ai sensi dell'art. 79
l. 392/78.
Cass., 26-09-1995, 10155/1995, in Foro it., 1996, I, 2185
Integra una ipotesi di simulazione per interposizione fittizia di persona la stipulazione di
un contratto di locazione per il soddisfacimento di esigenze abitative di natura transitoria con
conduttore apparente (persona interponente), nell'intesa (accordo simulatorio) che gli effetti
della convenzione locatizia si producano nei confronti di altro soggetto (persona interposta), che
sia portatore di esigenza abitativa primaria (nella specie la prova della intesa simulatoria e della
natura primaria delle esigenze abitative dell'effettivo conduttore è stata desunta, oltre che da
dichiarazioni testimoniali, anche da elementi indiziari, plurimi e concordanti, non essendosi
ritenuto operante il divieto di prova per testi della simulazione del contratto, posto dall'art.
1417 c.c., in considerazione del fatto che il conduttore ha inteso far valere la "illiceità" e nullità
del contratto dissimulato di locazione con riferimento alla clausola di "transitorietà" dell'uso
abitativo per violazione della norma imperativa dell'art. 79 l. 392/78).
P. Busto Arsizio, 29-01-1997, in Giust. civ., 1997, I, 1220
Il contratto di locazione che, pur intestato, quale conduttore, a soggetto diverso dal
concreto fruitore dell'immobile e pur relativo ad immobile destinato ad uso foresteria sia
finalizzato nella realtà, con il consenso del locatore, al soddisfacimento dell'esigenza abitativa
primaria e continuativa della persona fisica che occupa l'immobile, configura un'ipotesi di
simulazione sia sotto il profilo soggettivo (c.d. interposizione fittizia di persona) sia sotto
20
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
quello della destinazione, con conseguente nullità delle pattuizioni del negozio dissimulato
contrarie alle norme imperative di legge.
T. Milano, 18-10-1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 684
5. L’accordo simulatorio nell’interposizione fittizia – Senza volere indagare la
complessa tematica della cosiddetta interposizione fittizia, può essere opportuno, per
ragioni sistematiche, accennare alla rilevanza dell’accordo simulatorio anche in questa
ipotesi, che vede operare tre protagonisti: interponente, interposto e terzo. La regola
giurisprudenziale, assolutamente indiscussa e condivisa, richiede la partecipazione
all’accordo di tutti i soggetti, con la conseguenza – rilevante sul piano pratico – che
all’attore compete l’onere probatorio della produzione del documento in cui è
consacrato l’accordo e del quale sia parte anche il terzo, ove si tratti di trasferimento
immobiliare, non sostituibile né dalla controdichiarazione proveniente dall’interposto,
né dalla confessione resa da quest’ultimo in sede di interrogatorio.
L’unica concessione che la giurisprudenza è disposta a fare in favore della
“realtà” da provare attiene alla possibilità che l’accordo simulatorio (in sostanza, la
partecipazione del terzo) sia successivo al contratto simulato, individuandosi, in tal
modo, una fattispecie “a formazione progressiva” non poco singolare, anche se
perfettamente funzionale allo scopo che si vuole raggiungere sul piano processuale
(probatorio).
Posto che l'interposizione fittizia di persona nella vendita ha, quali presupposti
essenziali, la partecipazione all'accordo simulatorio dell'interponente, dell'interposto ed
anche la espressa adesione, intesa quale cognizione di accettazione, del terzo contraente, la
prova dell'accordo simulatorio, in una compravendita immobiliare deve avere necessariamente
ad oggetto anche la partecipazione ad esso del terzo.
Cass., 15-05-1998, 4911/1998, in Foro it., 1998, I, 2420
Nella interposizione fittizia di persona la simulazione ha come indispensabile
presupposto la partecipazione all'accordo simulatorio non solo dell'interposto e
dell'interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione
all'intesa raggiunta tra i primi due soggetti assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei
confronti dell'interponente; la prova dell'accordo simulatorio deve pertanto avere ad oggetto la
partecipazione del terzo all'accordo stesso con la conseguenza che, in caso di compravendita
immobiliare, la domanda diretta all'accertamento della simulazione, ai fini della invalidazione
del negozio simulato inter partes, non può essere accolta se l'accordo simulatorio non risulti
da atto scritto, proveniente anche da terzo contraente, mentre restano del tutto inidonee ai
fini suddetti la controdichiarazione scritta proveniente dal solo interposto o la confessione da
questi resa a seguito di formale interrogatorio.
Cass., 4-08-1997, 7187/1997, in Foro it., 1998, I, 145
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
L'interposizione fittizia di persona, pur avendo come presupposto indispensabile
l'accordo simulatorio fra i tre soggetti che vi partecipano, non esige tuttavia che questo
preesista alla stipulazione del contratto che si assume simulato, poiché l'intesa trilaterale può
attuarsi anche contestualmente all'atto o addirittura per formazione progressiva.
Cass., 18-12-1996, 11322/1996, in Rass. locazioni, 1996, 421
Nell'ipotesi di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona riguardante
contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, quale una compravendita
immobiliare, nel conflitto tra preteso compratore apparente ed acquirente effettivo, partecipe
dell'accordo simulatorio e perciò soggetto da considerarsi parte del contratto, la prova della
simulazione, traducendosi nella dimostrazione del presunto negozio dissimulato, a mente
dell'art. 2725 c.c. può essere data solo a mezzo di atto scritto, e cioè con un documento
contenente la controdichiarazione sottoscritta dalla parte contro cui sia prodotto in giudizio,
salva la prova testimoniale per la sola ipotesi di perdita incolpevole del documento, ai sensi
dell'art. 2724, n. 3, c.c., che però non ricorre nel caso in cui si alleghi che il preteso documento
dell'accordo simulatorio, redatto in unico esemplare, sia stato consensualmente rilasciato, al
momento della relativa formazione, nelle mani di una delle parti, essendosi in tal caso in
presenza della mera impossibilità di procurarsi la prova scritta del contratto (art. 2724, n. 2, c.c.)
non rilevante ai fini della deroga al divieto della prova testimoniale.
Cass., 27-07-1994, 7021/1994, in Foro it., 1995, I, 1250
L'interposizione fittizia di persona, costituendo una dissimulazione non già del
contratto, ma di una delle parti contraenti, prevede come necessario presupposto l'accordo
simulatorio tra i tre soggetti contraenti (il contraente apparente, quello effettivo e la
controparte); conseguentemente, ai fini dell'accoglimento della domanda diretta ad ottenere la
dichiarazione di nullità per simulazione relativa di un contratto di compravendita immobiliare
e l'accertamento che il compratore effettivo è persona diversa da quella indicata nel contratto, è
indispensabile che l'accordo simulatorio risulti da atto scritto a norma dell'art. 1350 c.c. salvo il
caso di perdita incolpevole del documento ovvero l'ipotesi di impugnazione da parte dei
creditori del dissimulato acquirente.
Cass., 13-02-1985, 1210/1985, in Foro it., Rep. 1985, voce Simulazione civile, n. 18
Si segnala, così, la vicenda dei soci apparenti (di una società di capitali), in cui
il ricorso allo schema astratto del negozio fiduciario (e della cosiddetta interposizione
reale) ha consentito alla giurisprudenza di superare le limitazioni alla prova del carattere
fittizio del conferimento, sempre a patto che non sia in gioco il trasferimento di diritti su
beni immobili.
Integra una fattispecie di negozio fiduciario stipulato mediante interposizione reale di
persona, e non già di simulazione relativa per interposizione fittizia, l'accordo con il quale due o
più persone convengono di dare vita ad una società di capitali il cui capitale sociale sia stato
conferito effettivamente da uno solo di essi, mentre gli altri sono solo apparentemente e
fiduciariamente intestatari di azioni o quote sociali ed hanno assunto l'obbligo di trasferire dette
azioni o quote a chi ne ha somministrato i relativi mezzi economici; pertanto, a tale negozio non
si applicano le limitazioni di prova previste dal codice civile, qualora non venga in
considerazione il trasferimento di diritti per i quali la legge richieda l'atto scritto ad substantiam.
Cass., 28-09-1994, 7899/1994, in Foro it., 1995, I, 1527
22
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
La sensazione è quella, ancora una volta, dell’interscambiabilità delle categorie
giuridiche in questione, come dimostra la massima che segue.
L'acquisto di un immobile avvenuto ad opera di un soggetto con denaro altrui,
nell'intesa che l'acquirente avrebbe provveduto alla intestazione del bene a soggetti
predeterminati, può integrare le figure della simulazione relativa di persona (interposizione
fittizia) o del negozio fiduciario.
App. Bologna, 14-06-1991, in Foro pad., 1992, I, 407
6. Gli effetti del contratto simulato e i terzi: il caso della simulazione del
prezzo- Si ripete da più parti che l’essenza della disciplina codicistica in materia di
simulazione è nelle disposizioni relative agli effetti della simulazione nei confronti dei
terzi (1415) e ai rapporti con i creditori (1416). Le quattro regole dettate dalle
menzionate
disposizioni
non
sembrano
particolarmente
complesse.
E’
stato
correttamente notato che il linguaggio può apparire di tipo processuale, facendo capo al
concetto di opponibilità, ma le norme ivi espresse sono certamente di diritto
sostanziale. La protezione del terzo è quella dell’acquirente a non domino, qualificato
dalla buona fede, salvi gli effetti dei meccanismi di pubblicità.
L’ipotesi che maggiormente ha interessato la giurisprudenza è certamente quella
dell’opponibilità della simulazione al curatore del fallimento, nel caso di revocatoria
fallimentare della cessione di diritti apparentemente posta in essere in danno dei
creditori ossia ad un prezzo inferiore a quello di mercato, al punto tale da far scattare la
tutela della par condicio ex art. 67 l.f. Superata una posizione tendente ad attribuire al
curatore, nella posizione di terzo, una sorta di impermeabilità rispetto alla dimostrazione
della simulazione del corrispettivo dell’alienazione, la giurisprudenza ha correttamente
riportato il curatore nella sua giusta veste di terzo ‘semplice’ ovvero non qualificato
dall’avere acquistato in buona fede diritti dal titolare apparente o, in funzione di
creditore, dall’avere compiuto in buona fede atti di esecuzione sui beni oggetto del
contratto simulato. Quel che si richiede, sul piano processuale probatorio, è che il
documento che smentisce l’atto simulato sia provvisto, nel rispetto dell’art. 2722 c.c., di
data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (a parte la tempestività della
trascrizione della domanda di simulazione, ex art. 1415).
23
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Nell'azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un contratto di compravendita
rispetto al quale si assume sussistere la sproporzione fra le prestazioni, il curatore assume la
posizione di terzo con la conseguenza che l'eccezione di simulazione parziale del prezzo
indicato nell'atto può essere provata soltanto con documenti aventi data certa anteriore al
fallimento idonei a dimostrare l'esistenza di un patto aggiunto dissimulato contestuale al
negozio impugnato.
Cass., 17-07-1997, 6577/1997, in Foro it., 1997, I, 2819
Il convenuto con azione revocatoria fallimentare per un atto a titolo oneroso, a causa
dell'asserito squilibrio delle prestazioni a danno del fallito (art. 67 l.fall.), può dimostrare, con
riferimento ai pagamenti effettuati, di avere versato un corrispettivo effettivo superiore a quello
indicato nell'atto impugnato, purché ciò risulti da documento avente data certa anteriore alla
dichiarazione di fallimento; all'opponibilità di tale circostanza al fallimento non ostano gli art.
1415 e 1416 c.c., atteso che il curatore, pur essendo terzo, quale organo pubblico della
procedura fallimentare, non è un terzo che in buona fede abbia acquistato diritti dal titolare
apparente ovvero un creditore del titolare apparente che in buona fede abbia compiuto atti di
esecuzione sui beni oggetto del contratto simulato e che le menzionate disposizioni non si
occupano della simulazione relativa - del caso cioè che sia stata voluta fittiziamente una
qualsiasi clausola, come quella relativa alla misura del prezzo, di un contratto realmente
concluso - ma regolano le sole ipotesi di simulazione assoluta e di interposizione fittizia.
Cass., 26-09-1996, 8500/1996, in Fallimento, 1997, 79
La prova della simulazione del prezzo può essere opposta al curatore quando la
controdichiarazione ha data certa anteriore alla sentenza di fallimento (nella specie, la corte
ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano desunto tale prova dalla
dichiarazione contenuta nel ricorso con il quale i fallendi avevano chiesto il loro fallimento).
Cass., 22-05-1993, 5792/1993, in Foro it., 1995, I, 653
L'acquirente di un bene, convenuto in revocatoria dal fallimento del venditore, per
eccepire la simulazione del prezzo della compravendita e giovarsi quindi del prezzo
dissimulato, ha l'onere di provare l'esistenza del contratto dissimulato con un documento di
data certa, idoneo a dimostrare l'avvenuto pagamento e, comunque, la riferibilità di
quest'ultimo al contratto dissimulato stesso.
Cass., 20-02-1992, 2097/1992, in Foro it., 1993, I, 531
Sempre in tema di simulazione del prezzo (questa volta minore rispetto a quello
figurante dal contratto “parzialmente” simulato), è stata ammessa la possibilità per il
retraente, nella disciplina della prelazione nell’acquisto di fondi rustici, di dedurre la
simulazione ed offrire il rimborso di un prezzo equo (superando così il principio della
parità di condizioni, almeno inteso nel suo significato più rigidamente formale).
In tema di prelazione agraria il riscattante il quale deduca la simulazione del prezzo
indicato nella vendita al terzo è tenuto a fare un'offerta di rimborso del prezzo
ragionevolmente proporzionata al valore del fondo.
Cass., 02-03-1990, 1655/1990, in Giur. agr. it., 1990, 280
24
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
In tema di riscatto agrario, ai sensi dell'art. 8 l. 26 maggio 1965 n. 590 e successive
modificazioni, nell'interpretazione autentica di cui alla l. 8 gennaio 1979 n. 2, il prezzo da
versarsi al terzo acquirente deve rispondere a requisiti di determinatezza, completezza e serietà;
pertanto, il riscattante, ove deduca la simulazione del corrispettivo indicato nell'atto di
compravendita, non può esimersi dall'offrire il quantum che assuma di dover effettivamente
pagare, in conformità del presumibile valore del fondo.
Cass., 19-11-1990, 11162/1990, in Foro it., Rep. 1990, voce Agricoltura, n. 196
Talvolta l’inefficacia del contratto simulato fra le parti, distinta dalla nullità e/o
dall’annnullabilità dell’atto, è servita ad affermare che gli elementi contrattuali
interessati dalla simulazione (ad esempio, il prezzo) potessero essere sostituiti o
integrati con quelli effettivamente voluti dalle parti, con la conseguente ammissibilità
della prova testimoniale (del prezzo), superando i limiti posti dall’art. 1417 e il
disposto dell’art. 2722.
Nell'ipotesi di simulazione relativa parziale, il contratto conserva inalterati i suoi
elementi, ad eccezione di quello interessato dalla simulazione, con la conseguenza che, non
essendo il contratto né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi
negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli
effettivamente voluti dai contraenti; pertanto la prova per testimoni della simulazione del
prezzo della vendita non incontra fra le parti i limiti dettati dall'art. 1417 c.c. né contrasta col
divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può
essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di
dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e natura semplicemente
integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali.
Cass., 24-04-1996, 3857/1996, in Vita not., 1996, 1319
7. La simulazione e i diritti dei legittimari - Altra ipotesi classica in cui
vengono in gioco le disposizioni in tema di simulazione per la tutela del diritto di
soggetti terzi è quella del legittimario, ammesso a provare con ogni mezzo, in quanto
terzo, la simulazione del negozio dispositivo posto in essere dal de cuius, discutendosi
in giurisprudenza se la regola valga in ogni caso o soltanto quando contestualmente
all'azione di dichiarazione della simulazione sia proposta la domanda di riduzione per la
reintegrazione della quota ereditaria.
Il legittimario che per far valere il suo diritto alla quota di riserva chiede l'accertamento
della simulazione e la nullità, per difetto dei requisiti di forma, di un atto dissimulato, stipulato
dal de cuius - nella specie donazione dissimulata da una vendita per scrittura privata - non ha
bisogno di esperire contestualmente la domanda di riduzione - necessaria invece nel caso in cui
l'atto dissimulato è valido - per non soggiacere ai limiti di prova previsti dall'art. 1417 c.c.,
perché l'accoglimento di detta domanda di nullità comporta la declaratoria di appartenenza del
25
Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
relativo bene all'asse ereditario, con conseguente calcolo di esso nella determinazione della
quota spettante al suddetto legittimario.
Cass., 1-04-1997, 2836/1997, in Vita not., 1997, 882
Il legittimario è ammesso a provare con ogni mezzo, in quanto terzo, la simulazione
del negozio dispositivo posto in essere dal de cuius solo quando contestualmente all'azione di
dichiarazione della simulazione proponga domanda di riduzione per la reintegrazione della
quota ereditaria.
Cass., 5-12-1996, 10849/1996, in Foro it., 1997, I, 3337
Il legittimario che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius può proporre
nello stesso processo una domanda per la tutela della sua quota di riserva, denunciando la
lesione del relativo diritto; in tal caso egli assume, per la domanda che propone come
legittimario, la qualità di terzo, che gli consente di avvalersi delle facilitazioni della prova
stabilite dall'art. 1417 c.c.; la riduzione può essere richiesta anche implicitamente, in quanto la
domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche
e, soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle finalità che la parte intende
perseguire.
Cass., 24-05-1995, 5700/1995, in Notariato, 1995, 539
Il legittimario che invochi la simulazione al fine di conseguire le proprie ragioni, con la
riduzione della donazione dissimulata, va considerato terzo ed è quindi ammesso - come tale ad avvalersi della prova per testi e per presunzioni.
Cass., 1-12-1993, 11873/1993, in Corriere giur., 1994, 324
L'erede legittimario può considerarsi "terzo", al fine della prova della simulazione
degli atti posti in essere dal de cuius, solo quando, contestualmente all'azione di dichiarazione
della simulazione, proponga una domanda diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse
ereditario o che la quota spettantegli va calcolata tenendo conto del bene stesso con eventuale
riduzione della donazione dissimulata.
Cass., 4-04-1992, 4140/1992, in Foro it., Rep. 1992, voce Successione ereditaria, n. 80
Se la domanda diretta a far dichiarare la simulazione di un contratto è proposta, non da
uno dei contraenti, ma da creditori o da terzi, fra i quali ultimi rientrano anche gli eredi delle
parti che agiscano per far valere non un diritto ereditario ma un diritto proprio quale quello
inerente alla qualità di legittimario, tutelato mediante l'azione di riduzione, la prova della
simulazione può essere data anche mediante testimoni o per presunzioni semplici.
Cass., 23-08-1986, 5141/1986, in Riv. giur. sarda, 1988, 49
L'erede legittimario, che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal
de cuius celante in realtà una donazione dissimulata, non è terzo solo perché estraneo alla
stipulazione dell'atto asseritamente simulato, ma agisce per la tutela di un proprio diritto (ex
art. 1415 c.c.) e deve considerarsi terzo rispetto alle parti contraenti, con conseguente
ammissibilità senza limiti della prova presuntiva, quando, contestualmente all'azione di
simulazione, proponga in concreto, sulla premessa che l'atto simulato comporti una diminzione
della sua quota di riserva, una domanda di riduzione (o di nullità o d'inefficacia) della donazione
dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell'asse ereditario e che la quota
spettantegli va calcolata tenendo conto del bene stesso, e non pure quando proponga in via
principale ed autonoma solo la domanda di simulazione, la quale sia quindi semplicemente
preordinata a consentire la proposizione della domanda di riduzione in un futuro giudizio.
Cass., 21-12-1987, 9507/1987, in Foro it., Rep. 1987, voce Simulazione civile, n. 13
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Francesco Macario – La simulazione nel negozio giuridico
Ai fini della domanda diretta a far valere la simulazione di atti compiuti dal de cuius, il
legittimario ha veste di terzo soltanto quando chieda nel medesimo giudizio la reintegrazione
della quota di riserva; di conseguenza, non potrà valersi delle facilitazioni probatorie
concesse ai terzi dalla legge, qualora non esperisca l'azione di riduzione contestualmente a
quella di dichiarazione della simulazione.
Cass., 11-10-1986, 5947/1986, in Foro it., 1987, I, 1175
Per il legittimario, il quale è terzo rispetto all'accordo simulatorio, il termine di
prescrizione dell'azione di simulazione di un contratto di compravendita stipulato dal de cuius,
esercitata in funzione dell'azione di riduzione della donazione dissimulata, decorre
dall'apertura della successione perché è da tale momento che l'avente diritto alla quota di
riserva acquista la legittimazione a proporre la domanda di simulazione.
Cass., 6-11-1986, 6493/1986, in Vita not., 1986, 1103
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