L`atteso e il disatteso: la busta arancione

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L`atteso e il disatteso: la busta arancione
angolo del consulente
Il Quindicinale di Investors' 23/2/2017
L’atteso e il disatteso: la busta
arancione
10 min.
DILATANDO UN PO’ L’ACCEZIONE DEL
TERMINE “RENDIMENTO ATTESO”,
FIL ROUGE DI QUESTO INVESTORS’,
HO DECISO DI PROSEGUIRE NELLA
DIREZIONE INTRAPRESA CON IL MIO
ULTIMO ARTICOLO E DI CONTINUARE A
PARLARE DI PENSIONI, ANALIZZANDO
QUESTA VOLTA IL CONTENUTO DELLA
“BUSTA ARANCIONE”. FORSE PIÙ
CHE DI RENDIMENTO, SI PARLERÀ DI
Viviana
Durosini
Viviana Durosini, laureata magistrale in
filosofia, iscritta all’albo dei consulenti
finanziari dal 2010.
Credendo che non si possa essere un
buon formatore in ambito finanziario se
non si ha provato davvero a insegnare,
divide il suo tempo tra la docenza nelle
scuole superiori e la professione di
consulente finanziario.
Dal 2016 è, inoltre, iscritta all’Albo dei
Consulenti Tecnici per il Tribunale di
Brescia.
[email protected]
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ATTESA, O MEGLIO, DI… PROMESSE
DISATTESE.
Come mio solito, l’idea alla base di questo articolo mi viene dal
mio vissuto e in particolare da un incontro in un bar. Una mattina, sorseggiando un caffè con mia mamma, anche lei consulente finanziario, ho sentito un altro avventore dire al barista che
sarebbe andato in pensione di lì a qualche anno con una cifra
ragguardevole; tutto questo gli era stato promesso dalla “Bu-
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punto di vista
La “Busta arancione” è costituita da quattro parti: ad una introduzione
e una breve illustrazione del contenuto, segue una previsione della
pensione e un estratto conto contributivo utile ai fini previdenziali!
sta arancione” appena recapitata a casa. Non ho potuto stare
zitta e, da buon consulente, ho provato a farlo ragionare sui
conteggi e sulla necessità di integrare al più presto l’assegno
pensionistico con un’altra forma di risparmio. Mi è andata male,
anzi, credo di essere stata presa per una catastrofista: una busta contenente conteggi elaborati dall’Istituto Nazionale della
Previdenza Sociale; chi sono io per saperne più dell’INPS?! Non
metto in dubbio che sia una lotta impari, soprattutto laddove
ci si applica per dimostrare la veridicità di uno scenario molto
più pessimistico di quello prospettato da un istituto nazionale;
resta il fatto che sento il dovere morale (di kantiana memoria!)
di fare capire alle persone cosa leggono nel momento in cui si
trovano davanti alla “Busta arancione” contenente le previsioni
pensionistiche per ogni contribuente. Stessa cosa dicasi per le
simulazioni usufruibili sul sito dell’INPS.
Credo che sia necessario continuare a parlare di questo argomento, anche se potrebbe sembrare non più così attuale (il
boom delle spedizioni è stato ad aprile dello scorso anno!),
perché si è di fronte a “una trappola ben costruita” (Il Fatto
Quotidiano, 28 maggio 2016), non un atto di coraggio, ma una
mezza verità. Piccola parentesi: se per caso doveste incorrere
nel sopracitato articolo del Fatto Quotidiano, non date retta a
Beppe Scienza: prevenire è meglio che curare! I fondi pensione non sono il male, possono
salvarvi: se il problema è la
loro non trasparenza, basta
affidarsi a una persona onesta e di fiducia che vi faccia
vedere nero su bianco costi e
benefici della sottoscrizione
di un piano previdenziale.
Ma, torniamo alla “Busta arancione”.
Cosa contiene la Busta
arancione?
La “Busta arancione” è costituita da quattro parti: ad
una introduzione e una breve
illustrazione del contenuto,
segue una previsione della
pensione e un estratto conto
contributivo utile ai fini previdenziali. La busta si chiude,
infine, con una simulazione
dei contributi futuri.
All’interno, quindi, si trovano alcuni dati fondamentali e, soprattutto, la risposta alle domande che tutti ci poniamo: quando andrò in pensione? E, soprattutto, con quanto?
Trovano spazio anche due concetti chiave: il tasso di sostituzione lordo e quello netto, calcolati in base all’ipotesi adottata
dall’INPS, cioè un tasso di crescita del PIL reale del 1,57%,
un’inflazione del 2% e una crescita della retribuzione individuale reale del 1,51% annuo.
Come vanno interpretate tutte queste informazioni?
Prima di capire se l’ipotesi adottata dall’INPS sia o meno adeguata, è necessario definire i concetti di tasso di sostituzione
lordo e netto.
Il tasso di sostituzione lordo esprime la variazione del reddito
lordo nel passaggio dalla fase attiva a quella di quiescenza: si
misura, quindi, in percentuale il rapporto fra l’importo annuo
della prima rata di pensione e quello dell’ultima retribuzione o
reddito da lavoro per i lavoratori autonomi.
Invece, con il tasso di sostituzione netto si misura, a tutti gli effetti, quanto il reddito disponibile di un lavoratore si modifichi
a seguito della cessazione dell’attività lavorativa perché, sempre in percentuale, si misura il rapporto tra la retribuzione e la
Figura 1: I tassi di sostituzione netti secondo la ragioneria dello Stato
Fonte: Itinerari Previdenziali – Rapporto n.5 anno 2016
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Il Quindicinale di Investors' 23/2/2017
pensione al netto del prelievo contributivo e fiscale.
Ora, non è possibile non sottolineare quanto le informazioni contenute nella Busta
arancione siano frutto di una
stima soggetta a variabili, prima fra le altre il PIL, la cui media quinquennale moltiplica
i contributi previdenziali: una
differenza minima anche di un
solo punto percentuale del PIL
causa una differenza dei tassi
di sostituzione molto rilevante. Riporto, nelle figure 1 e 2,
alcuni grafici contenuti in un
corso del Campus OnLine Fideuram: credo parlino più di
mille parole.
Figura 2: I tassi di sostituzione netti utilizzando l’ipotesi del PIL a 0,5%
Fonte: Itinerari Previdenziali – Rapporto n.5 anno 2016
Uno sguardo ai grafici
Traduciamo in parole semplici quanto è possibile notare nei grafici. Rispetto ai tassi di
sostituzione ai quali si era abituati con il sistema retributivo (in
media l’80%), con il contributivo siamo decisamente a livelli
inferiori, ancora di più se si è lavoratori autonomi.
Questo al netto delle stime troppo ottimistiche dell’INPS rispetto alla realtà delle cose. Sulla base della legge Dini che
prevede un PIL reale di periodo pari all’1,5%, nel periodo dal
2008 alla fine del 2014, infatti, avremmo dovuto avere una crescita del PIL reale pari al 10,984% (e ancora più alto sulla base
delle ipotesi RGS). La realtà è ben diversa: la rivalutazione in
termini reali dei montanti contributivi è stata negativa per il
-4,541%, portando la rivalutazione dei contributi versati pari
in realtà al -16%.
Le cose non vanno meglio per l’altro parametro, cioè le retribuzioni individuali, le quali da tempo crescono poco e hanno,
per altro, modeste prospettive di crescita nei prossimi anni.
Il problema è serio, perché tassi di sostituzione già di per sé
bassi, andranno ulteriormente calando. Si prenda l’ipotesi di
un lavoratore che andrà in pensione con un tasso di sostituzione netto del 70% e che abbia maturato nel corso degli anni
una retribuzione mensile di 1.500 euro (un buon stipendio,
se ci pensate!); tale persona avrà un assegno pensionistico di
1.050 euro, vedendo scendere il proprio reddito mensile di
ben 450 euro: una bella differenza!
E quindi, come possiamo salvaguardarci?
Gli strumenti a sostegno della previdenza statale sono la sola
risposta plausibile alla situazione sopra descritta. Solo così possiamo migliorare il nostro tenore di vita futuro. L’importante è
agire preventivamente, perché i nodi arriveranno al pettine fra
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qualche decina d’anni, cioè quando andranno in pensione i
primi lavoratori a cui si applicherà il sistema contributivo puro.
Da consulenti finanziari, è necessario iniziare a correggere gli
errori comportamentali legati alla procrastinazione, ancora con
più forza laddove riguardassero la previdenza complementare. Spostare nel tempo la decisione di sottoscrivere un fondo
pensione o un piano individuale pensionistico non è altro che
una perdita di rendimento. È necessario far capire che l’inerzia,
l’incapacità di agire subito e bene, porta a un grosso svantaggio in termini di benessere futuro.
Da risparmiatori non bisogna essere meno attenti. Suggerirei
di seguire tre semplici regole:
1. Pianificare oculatamente. Più è lontana la pensione, più
l’investimento in previdenza complementare deve essere azionario. Non ha senso concentrarsi sulla garanzia del
capitale quando si hanno davanti vent’anni di versamenti:
non rischiare, in questo caso, è un altro modo per perdere
rendimento e benessere futuro.
2. È necessario controllare sempre i costi di sottoscrizione e
di gestione dei fondi pensione o piani pensionistici individuali che si ha l’intenzione di sottoscrivere: devono essere il più bassi possibili. Chiedete di visionare il prospetto
e soffermatevi esclusivamente sui costi. Il rendimento in
questo caso è un aspetto minore.
3. Una volta intrapresa questa retta via, mantenerla. Smettere di versare denaro su un fondo pensione può costare
caro. Meglio un piccolo sacrificio ora, che un grosso sacrificio nel momento in cui, finita la stagione lavorativa, si
dovrebbe vivere esclusivamente per i proprio hobby e per
i propri desideri finora non realizzati. ©