2211-2013 - Procura Generale della Cassazione

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2211-2013 - Procura Generale della Cassazione
PROCURA GENERALE
della Corte di cassazione
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Ricorso n. 2211/2013 R.G.
Alle Sezioni Unite Civili della
Corte Suprema di Cassazione
Il sostituto Procuratore generale, con riferimento al ricorso per regolamento preventivo di
giurisdizione proposto da Umberto Vecchione nell’ambito del giudizio contabile n. 65287/12
pendente presso la Sezione Giurisdizionale per la Campania della Corte dei Conti, iniziato con atto
di citazione notificato al ricorrente dalla Procura regionale presso la predetta Sezione in data 8
novembre 2012;
vista le conclusioni già depositate;
letta l’ordinanza della Corte costituzionale 23 luglio 2013, n. 229, che si è pronunciata su diverse
previsioni del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, citate ed illustrate nelle predette conclusioni;
ritenuto necessario integrare le considerazioni già svolte;
rilevato che l’adunanza è fissata per il giorno 12 novembre 2013;
considerato che secondo l’art. 380-ter c.p.c. le conclusioni del pubblico ministero sono notificate
agli avvocati delle parti, unitamente al decreto che fissa l’adunanza, almeno venti giorni prima
dell’adunanza stessa;
DEPOSITA
le nuove conclusioni, integralmente sostitutive delle precedenti, con richiesta di notifica agli
avvocati delle parti e, conseguentemente
OSSERVA
I. Il giudizio contabile iniziato nei confronti di Umberto Vecchione.
Il giudizio contabile è stato iniziato nei confronti di Umberto Vecchione, amministratore della
SAPNA s.p.a. - società interamente partecipata dalla Provincia di Napoli ed avente ad oggetto il
servizio di gestione integrata dei rifiuti in tale contesto provinciale – per danno erariale cagionato
dal conferimento di alcune consulenze esterne.
Il ricorrente eccepisce il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti e chiede dichiararsi la
giurisdizione del giudice ordinario, invocando la giurisprudenza delle Sezioni Unite formatasi a
partire dalla nota sentenza n. 26806 del 2009, secondo cui “ spetta al giudice ordinario la
giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione
pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella specie,
consistenti nell'avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire determinate imprese
nell'aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso configurabile,
avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra
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l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o
ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Sussiste invece la
giurisdizione di quest'ultima quando l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento
di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per
esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando
il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da
compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al
perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare
direttamente pregiudizio al suo patrimonio ed in quest'ultimo caso l'azione erariale concorre con
l'azione civile prevista dagli artt. 2395 e 2476, sesto comma cod. civ.” [conformi, con affermazione
della giurisdizione del giudice ordinario, Sez. Un., n. 519/2010, n. 4309/2010, n. 16286/2010, n.
14655/2011, n. 14957/2011, n. 20941/2011, n. 1419/2012, n. 1420/2012, n. 3692/2012, n.
3038/2013, n. 7374/2013, n. 8352/2013, n. 9534/2013, n. 10299/2013 e, con affermazione della
giurisdizione del giudice contabile, Sez. Un., n. 5019/2010, n. 10062/2011, n. 295/2013, n.
1774/2013 (per quanto riguarda irregolarità od illeciti commessi dagli amministratori o dipendenti
delle società partecipate da enti pubblici con riferimento alla erogazione e gestione di contributi e/o
finanziamenti pubblici ricevuti dalle società stesse) e Sez. Un., n. 20940/2011 (in relazione al voto
espresso in assemblea dal socio pubblico). Fanno eccezione ed affermano la giurisdizione contabile
in contrasto con l’orientamento dominante, Sez. Un., n. 24672/2009 e Sez. Un, n. 10063/2011].
La Procura regionale non ha presentato scritti difensivi.
II. La natura giuridica della SAPNA s.p.a.
Va preliminarmente rilevato che la SAPNA s.p.a. non può qualificarsi come società c.d. “ in house”
della Provincia di Napoli.
L’art. 5 dello Statuto prevede, infatti, la possibilità di acquisto di azioni da parte di soggetti privati diversi dalla Provincia stessa, ad oggi socio unico (art. 6 Statuto) - da scegliersi con procedure
competitive di evidenza pubblica, secondo criteri che saranno preventivamente definiti in ossequio
alla normativa vigente e, come afferma Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1/2008 (che richiama C. giust. CE,
11 maggio 2006, C-340/04, nonché Cons. Stato, sez. VI, 1° giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n.
1514), “ la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria ma non sufficiente servendo maggiori
strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. In particolare, lo
statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa
essere alienata a soggetti privati (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072)”.
Dalla considerazione che la SAPNA s.p.a. non ha natura di società c.d. “ in house”, dovrebbe
conseguire, facendo applicazione del consolidato orientamento affermatosi a partire da Cass. Sez.
Un., n. 26806/2009 cit., la devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario.
Occorre però verificare l’attualità di tale orientamento alla luce dei numerosi interventi normativi
che, nel periodo successivo, hanno significativamente inciso sulla materia delle società partecipate
da enti pubblici.
III. L’attualità della consolidata giurisprudenza affermatasi a partire da Sez. Unite n.
26806/2009: premessa di carattere generale.
Al fine di verificare l’attualità della consolidata giurisprudenza affermatasi a partire da Sez. Unite n.
26806/2009, occorre dare conto dei numerosi interventi normativi che, nel periodo successivo,
hanno significativamente inciso sulla materia delle società partecipate da enti pubblici.
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L’esame di tali recenti modifiche normative va compiuto in relazione alla duplice valenza del
principio della necessaria “interpositio” del legislatore - costantemente affermato dalla
giurisprudenza costituzionale ai fini della individuazione delle attribuzioni della Corte dei Conti (da
ultimo, cfr. sentenza n. 355 del 2010 ed ivi rif.) - per il quale nella disciplina sostanziale rimessa al
legislatore rientrano le apposite qualificazioni legislative e le puntuali specificazioni riferite non
soltanto all'oggetto della controversia, ma anche ai soggetti responsabili (sent. n. 641 del 1987).
Ciò significa che la verifica della volontà del legislatore di prevedere la giurisdizione contabile in
tema di società partecipate, deve essere compiuta in una duplice prospettiva, da un lato
esaminando la portata delle disposizioni che espressamente prevedono la devoluzione di
determinate fattispecie alla Corte dei Conti e, dall’altro, indagando se le norme che dettano regole
speciali per le società partecipate ne comportino l’assimilazione agli enti pubblici soggetti alla
giurisdizione contabile.
Tale duplice prospettiva fu colta dalla sentenza n. 26806/2009 che, nel richiamare, ai fini del riparto
di giurisdizione, i principi generali e le linee portanti del sistema di responsabilità degli organi
societari, fece salva la previsione di “norme esplicite” che prevedano la giurisdizione del giudice
contabile, nonché “ la specificità di singole società a partecipazione pubblica il cui statuto sia
soggetto a regole legali sui generis, come nel caso della Rai”.
Sotto il primo profilo la sentenza prese in esame l’art. 16-bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248,
aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31 ("Per le società con azioni quotate in
mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o
di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli
amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie
sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario") e, pur rilevando che la
norma non era “ratione temporis” applicabile, precisò che la stessa lasciava “chiaramente intendere
che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione
pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non
si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per l'avvenire
(e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al
50%), la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario”.
Si tratta, allora, di verificare, in primo luogo, se tale area di incerta definizione sia stata riempita
dalla normativa di recente introduzione.
Per quanto riguarda il secondo versante, un criterio per individuare i parametri che rendono
assimilabili le società partecipate ad un ente pubblico può desumersi dalle decisioni di questa Corte
che hanno affermato la giurisdizione contabile in controversie per danno erariale coinvolgenti
amministratori e dipendenti di società partecipate aventi uno statuto giuridico speciale (in tema di
RAI s.p.a., Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010; in tema di
Casinò Municipale di Campione d'Italia s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010).
In tali decisioni l’assimilazione della società ad una amministrazione pubblica, nonostante la veste
formale di società per azioni, è stata effettuata sulla base di una pluralità di parametri e
precisamente:
1. la partecipazione totalitaria da parte di enti pubblici (in tema di RAI s.p.a., Sez. Un., n.
27092/2009; in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010; in tema di Casinò Municipale
di Campione d'Italia. s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
2. la costituzione previa autorizzazione ministeriale (in tema di Casinò Municipale di
Campione d'Italia. s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
3. la designazione “ex lege” della società quale concessionaria di un servizio pubblico
essenziale (in tema di servizio pubblico radiotelevisivo, Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di
ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
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4. la sottoposizione a penetranti poteri di vigilanza o da parte di un'apposita commissione
parlamentare, espressione dello Stato-comunità (sempre in tema di RAI, Sez. Un., n.
27092/2009) o da parte dei Ministeri competenti ( in tema di Casinò Municipale di
Campione d'Italia. s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
5. la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti, in quanto ente che fruisce in via
ordinaria di contributi pubblici (in tema di RAI, Sez. Un., n. 27092/2009; in tema di ENAV
s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
6. la sottoposizione alle norme sulla contabilità generale dello Stato in materia di bilancio (in
tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010), o la soggezione alla certificazione di bilancio
(in tema di Casinò Municipale di Campione d'Italia. s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010);
7. l’obbligo di osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento di appalti, in
quanto organismo di diritto pubblico, ai sensi della normativa comunitaria in materia (in
tema di RAI, Sez. Un., n. 27092/2009);
8. la copertura dei costi del servizio con somme provenienti da imposte di scopo (quale il
canone di abbonamento, gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di
trasmissioni radiofoniche e televisive, riscosso e versato alla Rai dall'Agenzia delle Entrate,
Sez. Un., n. 27092/2009) o comunque lo svolgimento di numerose attività sociali con oneri
“ex lege” totalmente a carico dello Stato (in tema di ENAV s.p.a., Sez. Un., n. 5032/2010);
9. la speciale destinazione dei proventi dell’attività, anche in deroga alle ordinarie regole di
distribuzione degli utili, ai fini dell’utilizzo di finalità di interesse generale, il che giustifica
l’affidamento in concessione di attività di regola vietata quale esercizio di giuochi d'azzardo
(in tema di Casinò Municipale di Campione d'Italia. s.p.a., Sez. Un., n. 8429/2010).
Gli elementi presi a riferimento sono indubbiamente eterogenei, riguardando sia la fase costitutiva
della società, sia quella definitoria degli assetti partecipativi, sia quella gestionale, nei vari profili
del reperimento delle risorse e della allocazione degli utili, sia, infine, quella della vigilanza e
controllo, nonché aspetti puramente definitori dell’attività svolta (quali la natura di servizio
pubblico essenziale o quella di organismo di diritto pubblico nelle procedure di evidenza pubblica).
E’, quindi, necessario uno sforzo interpretativo ulteriore per verificare se tra tali elementi possano
individuarsi quelli effettivamente ed inequivocabilmente sintomatici della natura meramente
formale della veste societaria e della equiparazione della società ad una pubblica amministrazione.
Non soccorrono in tale ricerca le due ordinanze gemelle delle Sezioni Unite del 22 dicembre 2011
(n. 28329 e n. 28330) che hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario in relazione
all’impugnativa del bando con cui la RAI aveva indetto una selezione riservata a giornalisti
professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future esigenze, con contratti di lavoro subordinato
a tempo determinato in qualità di redattore ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali.
Le fattispecie oggetto di tali ordinanze riguardavano, infatti, controversie in materia di lavoro ed in
tale contesto fu operata la qualifica della RAI in senso privatistico, peraltro senza esaminare in
modo specifico la pluralità degli elementi utilizzati da Sez. Un., n. 27092/2009 per l’attribuzione
della natura di ente pubblico ai fini dell’affermazione della giurisdizione contabile.
Va, però, precisato che tra gli elementi individuati dalle tre sentenze relative a società aventi statuto
giuridico speciale, non tutti sembrano essere sintomatici della natura di ente pubblico.
Tale considerazione vale, innanzitutto, per la qualifica di organismo di diritto pubblico.
Come precisato da Sez. Un., n. 3692/2012, richiamando Sez. Un. n. 14655/2011, tale qualifica “non
è di ostacolo alla giurisdizione del giudice ordinario per danni inferti direttamente al patrimonio
della società per azioni, (…) perché si tratta di istituti che operano su piani differenti e quindi
rispondono a diversi principi normativi ed a diverse finalità. Segnatamente il primo attiene alla
disciplina di derivazione comunitaria in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza
pubblica di appalti e quindi di scelta da parte della società del contraente privato, mentre la
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seconda alla responsabilità amministrativa-risarcitoria dell'amministratore o del dipendente nei
confronti della società”.
Parimenti, non sembrano essere sintomatici della natura di ente pubblico anche i seguenti elementi:
1. partecipazione totalitaria della società da parte di enti pubblici, in quanto tale partecipazione
non è elemento, in sé, determinante per attribuire ad un ente la qualifica di “longa manus”
dell’amministrazione, come affermato in tema di società c.d. “in house” dall’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2008 e dalla giurisprudenza comunitaria ivi
richiamata;
2. costituzione previa autorizzazione ministeriale, in quanto l’autorizzazione non è elemento
idoneo a mutare da privata a pubblica la natura dell’attività svolta;
3. designazione “ex lege” della società quale concessionaria di un servizio pubblico essenziale,
in quanto anche società con partecipazione pubblica non totalitaria e non soggette a statuto
giuridico speciale possono svolgere servizi pubblici essenziali (si pensi al servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani svolto da società mista) e tale circostanza non è mai
stata ritenuta dalla giurisprudenza determinante ai fini della devoluzione della controversia
alla giurisdizione contabile.
In definitiva, ai fini dell’assimilazione dalla RAI s.p.a. ENAV s.p.a. e Casinò Municipale di
Campione d'Italia. s.p.a. ad una pubblica amministrazione, appaiono determinanti gli altri elementi
individuati dalla giurisprudenza e precisamente:
a) la sottoposizione a penetranti poteri di vigilanza da parte di una pubblica amministrazione
con poteri di indirizzo della gestione;
b) la sottoposizione al controllo della Corte dei Conti;
c) la sottoposizione alle norme sulla contabilità generale dello Stato in materia di bilancio;
d) la copertura dei costi del servizio con somme provenienti da imposte di scopo o comunque
lo svolgimento di primarie attività sociali con oneri “ex lege” totalmente a carico dello Stato
o di altri enti pubblici;
e) la presenza di vincoli normativi alla destinazione dei proventi dell’attività, anche in deroga
alle ordinarie regole di distribuzione degli utili, ai fini dell’utilizzo di finalità di interesse
generale.
In tutti questi casi – a ben vedere - è il regime di “governance” della società, per quanto riguarda
l’amministrazione, i controlli e la distribuzione degli utili, che subisce significative deroghe rispetto
a quello previsto in via ordinaria dal codice civile, per assumere caratteristiche prossime, anche se
non identiche, a quello degli enti pubblici che giustificano, secondo un approccio di tipo
“sostanzialista”, una qualifica che superi la veste formale societaria.
Tale impostazione offre una chiave di lettura non soltanto ai fini della qualifica di particolari società
oggetto di specifica regolamentazione, ma anche per una verifica di carattere generale sulla attualità
dell’orientamento affermatosi a partire dal 2009, in relazione alla recente evoluzione normativa in
tema di società partecipate.
Si tratta, in sostanza, di verificare se nelle discipline di nuova introduzione siano ravvisabili
elementi di specificità sintomatici di un regime di “governance” della società partecipata diverso da
quello ordinariamente previsto in via ordinaria dal codice civile ed assimilabile o, comunque,
prossimo, a quello delle pubbliche amministrazioni.
IV. La recente evoluzione normativa in tema di società partecipate.
L’esame del quadro normativo prende le mosse dall’art. 18 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008, n. 133, che non è
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stato preso in esame né dal Sez. Un., n. 26806/2009, né dalle successive conformi. La norma
prevede:
1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri
provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei
principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità
per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione
comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
2-bis. Le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si
applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione
pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero
che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale,
ovvero che svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di
natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’ articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Le predette società adeguano inoltre le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni
controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per
consulenze. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e per i
rapporti con le regioni, sentita la Conferenza unificata di cui all’ articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, e successive modificazioni, da emanare entro il 30 settembre 2009, sono definite le modalità e la modulistica per
l’assoggettamento al patto di stabilità interno delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo
che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgano attività
nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica (comma
inserito dall'art. 19, comma 1, D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102).
3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle società quotate su mercati regolamentati”.
In linea con queste previsioni, il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 14 settembre 2011, n. 148, dopo aver adeguato la disciplina
dei servizi pubblici locali al referendum popolare con l’art. 4 - norma peraltro dichiarata
incostituzionale con sentenza n. 199/2012 - con l’art. 3-bis, inserito dall'art. 25, comma 1, lett. a),
D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, e succ.
mod. ed int., ai commi 5/6 prevede:
“5. Le società affidatarie in house sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite dal
decreto ministeriale previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni. L'ente locale o l'ente di governo locale
dell'ambito o del bacino vigila sull'osservanza da parte delle società di cui al periodo precedente dei vincoli derivanti dal
patto di stabilità interno.
6. Le società affidatarie in house sono tenute all'acquisto di beni e servizi secondo le disposizioni di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni. Le medesime società adottano, con propri provvedimenti,
criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi
di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché delle disposizioni che
stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri
contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitarie e per le consulenze anche degli amministratori”.
La Corte costituzionale, con sentenza 20 marzo 2013, n. 46, ha dichiarato non fondate le
questioni di legittimità costituzionale del citato articolo 25, comma 1, lettera a), del decretolegge n. 1 del 2012, quale convertito dalla legge n. 27 del 2012, nella parte in cui introduce l'art. 3bis, commi 2, 3, 4 e 5, nel decreto-legge n. 138 del 2011.
Sul punto era stata invocata l’applicazione dei principi già affermati dalla sentenza n. 325 del 2010,
che aveva dichiarato, limitatamente alle parole: «l'assoggettamento dei soggetti affidatari diretti di
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servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e», l'illegittimità costituzionale dell'art. 23-bis,
comma 10, lettera a), prima parte, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria) - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008,
n. 133 - sia nel testo originario, sia in quello modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto-legge 25
settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per
l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, che demandava al Governo l’adozione di uno
o più regolamenti al fine di: “a) prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in
house di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno, tenendo conto delle scadenze fissate al
comma 8, e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista
pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione
di personale”.
La Corte costituzionale ha così risposto:
questa Corte, già dalla citata sentenza [n. 325 del 2010], ha ben differenziato tra l'assoggettamento delle società
in house al patto di stabilità interno, che era fuori dal giudizio, e gli strumenti per renderlo normativamente o
amministrativamente più facilmente gestibile che costituivano, invece, l'oggetto della pronuncia.
È a tali strumenti, o, per meglio dire, alla loro natura, che occorre fare riferimento, dato che la materia cui le due
disposizioni legislative attengono è la stessa, vale a dire quella del «coordinamento della finanza pubblica» di cui al
comma terzo dell'art. 117 Cost., nella quale lo Stato non può ricorrere alla potestà regolamentare.
Nel comma 10 dell'art. 23-bis si prevedeva il ricorso, da parte del Governo, ad uno o più regolamenti di cui all'art. 17,
comma 2, della legge n. 400 del 1988, cioè ad un atto di normazione secondaria generale ed astratto, idoneo a
determinare, nel rispetto dei principi che regolano la gerarchia delle fonti di produzione del diritto, innovazioni nella
materia. Invece, nella disciplina legislativa attualmente impugnata ed in quella cui questa fa riferimento si prevede il
ricorso ad un decreto ministeriale che, per quello che costituisce il suo oggetto, ha la natura di atto non regolamentare.
Mentre, difatti, nel comma 10 dell'art. 23-bis si precisava che il regolamento avrebbe avuto come oggetto quello di
«prevedere l'assoggettamento dei soggetti affidatari così detti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilità
interno», con possibilità, quindi, di dettare regole che disciplinassero anche nel merito questo assoggettamento o che, in
ogni caso, potessero, nel limite del rispetto di quanto contenuto nella legge che lo prevedeva, determinare innovazioni
normative, nella disposizione legislativa cui rinvia il censurato comma 5 dell'art. 3-bis è previsto che il decreto
ministeriale definisca esclusivamente le «modalità e la modulistica» dell'assoggettamento al patto di stabilità. Si
tratta, quindi, di un atto che non ha contenuti normativi, ma che adempie esclusivamente ad un compito di
coordinamento tecnico, volto ad assicurare l'uniformità degli atti contabili in tutto il territorio nazionale.
Per ciò, poi, che riguarda il secondo dei termini usati per delimitare la materia del decreto ministeriale, cioè la
«modulistica», ci si trova di fronte ad una materia che rientra nella legislazione esclusiva dello Stato (cioè il
«coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale» di
cui alla lettera r del comma secondo dell'art. 117 Cost.) e, quindi, poiché era possibile, per lo Stato, anche il
ricorso allo strumento regolamentare, non può ravvisarsi un'illegittimità nel ricorso ad una fonte non
regolamentare.
Con la norma impugnata, pertanto, il legislatore statale non ha oltrepassato i limiti posti dall'art. 117, comma terzo,
Cost., né è venuto a ledere la competenza regolamentare della Regione, di cui al comma sesto dell'art. 117 Cost.
Altro versante in cui il legislatore è intervenuto assimilando le società partecipate alle pubbliche
amministrazioni partecipanti, è quello della razionalizzazione della spesa.
In tale prospettiva, il D.L. 7 maggio 2012, n. 52, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, L. 6 luglio 2012, n. 94, all’art. 2, così dispone:
“ 1. Nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica ed ai fini di coordinamento della finanza pubblica, di
perequazione delle risorse finanziarie e di riduzione della spesa corrente della pubblica amministrazione, garantendo
altresì la tutela della concorrenza attraverso la trasparenza ed economicità delle relative procedure, il Presidente del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per i rapporti con il
Parlamento delegato per il programma di Governo, può nominare un Commissario straordinario, al quale spetta il
compito di definire il livello di spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il
Commissario svolge anche compiti di supervisione, monitoraggio e coordinamento dell'attività di
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approvvigionamento di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in considerazione dei
processi di razionalizzazione in atto, nonché, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività di
ottimizzazione, in collaborazione con l'Agenzia del demanio, dell'utilizzazione degli immobili di proprietà pubblica,
anche al fine di ridurre i canoni e i costi di gestione delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario collabora altresì
con il Ministro delegato per il programma di governo per l'attività di revisione della spesa delle pubbliche
amministrazioni.
2. Tra le amministrazioni pubbliche sono incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organismi,
uffici, agenzie o soggetti pubblici comunque denominati e gli enti locali, nonché le società a totale partecipazione
pubblica diretta e indiretta e le società non quotate controllate da soggetti pubblici nonché, limitatamente alla spesa
sanitaria, le amministrazioni regionali commissariate per la redazione e l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo
sanitario. Alle società a totale partecipazione pubblica e alle loro controllate che gestiscono servizi di interesse generale
su tutto il territorio nazionale la disciplina del presente decreto si applica solo qualora abbiano registrato perdite negli
ultimi tre esercizi. Ciascuna amministrazione può individuare, tra il personale in servizio, un responsabile per l'attività
di razionalizzazione della spesa pubblica di cui al presente decreto; l'incarico è svolto senza corresponsione di indennità
o compensi aggiuntivi”.
Un intervento ancor più incisivo è stato attuato con l’art. 4 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7 agosto 2012, n. 135, e succ. mod. ed int.
(entrato in vigore, ai sensi dell’art. 25, il 7 luglio 2012, cioè il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
La norma ai commi 1/3 (poi oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale da parte di Ord. 23
luglio 2013, n. 229) così disponeva in tema di messa in liquidazione e privatizzazione di società
pubbliche:
“1. Nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da
prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si procede,
alternativamente:
a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013. Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle
pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della società sono esenti da
imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle
imposte di registro, ipotecarie e catastali;
b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del
presente decreto entro il 30 giugno 2013 [termine prorogato al 31 dicembre 2013 dall’art. 49 D.L. 21 giugno 2013, n.
69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98] ed alla contestuale assegnazione del servizio per
cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014 [termine prorogato al 1° luglio 2014 dall’art. 49 D.L. n.
69, cit.]. Il bando di gara considera, tra gli elementi rilevanti di valutazione dell'offerta, l'adozione di strumenti di tutela
dei livelli di occupazione. L'alienazione deve riguardare l'intera partecipazione della pubblica amministrazione
controllante.
2. Ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito ai sensi del comma 1, a decorrere dal 1° gennaio 2014
le predette società non possono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, né possono fruire del rinnovo di
affidamenti di cui sono titolari. I servizi già prestati dalle società, ove non vengano prodotti nell'ambito
dell'amministrazione, devono essere acquisiti nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale.
3. Le disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano alle società che svolgono servizi di interesse
generale, anche aventi rilevanza economica, alle società che svolgono prevalentemente compiti di centrali di
committenza ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché alle società di cui all'articolo
23-quinquies, commi 7 e 8, del presente decreto, e alle società finanziarie partecipate dalle regioni, ovvero a quelle che
gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari, individuate, in relazione alle
esigenze di tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati, nonché all'esigenza di assicurare l'efficacia dei controlli
sulla erogazione degli aiuti comunitari del settore agricolo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da
adottare su proposta del Ministro o dei Ministri aventi poteri di indirizzo e vigilanza, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Le medesime disposizioni non si
applicano qualora, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche
territoriale, di riferimento non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al
mercato. In tal caso, l'amministrazione, in tempo utile per rispettare i termini di cui al comma 1, predispone un'analisi
del mercato e trasmette una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e
del mercato per l'acquisizione del parere vincolante, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della relazione. Il
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parere dell'Autorità è comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le disposizioni del presente articolo non si
applicano altresì alle società costituite al fine della realizzazione dell'evento di cui al decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 30 agosto 2007, richiamato dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 15 maggio
2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100”.
Il successivo comma 3-sexies dell’art. 4 d.l. D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., parimenti oggetto della
predetta pronuncia di incostituzionalità, prevedeva la realizzazione di appositi piani di
ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate:
“Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto le pubbliche
amministrazioni di cui al comma 1 possono predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle
società controllate. Detti piani sono approvati previo parere favorevole del Commissario straordinario per la
razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi di cui all'articolo 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94, e prevedono l'individuazione delle attività connesse
esclusivamente all'esercizio di funzioni amministrative di cui all'articolo 118 della Costituzione, che possono essere
riorganizzate e accorpate attraverso società che rispondono ai requisiti della legislazione comunitaria in materia di in
house providing. I termini di cui al comma 1 sono prorogati per il tempo strettamente necessario per l'attuazione del
piano di ristrutturazione e razionalizzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, adottato su proposta del Commissario straordinario per la razionalizzazione
della spesa per acquisto di beni e servizi”.
La Corte costituzionale, con l’ordinanza 23 luglio 2013, n. 229, riguardo a tali disposizioni, ha
affermato quanto segue:
10.1.– Quanto all’oggetto, già dalla rubrica dell’art. 4 si desume che esso è costituito dalla «messa in liquidazione e
privatizzazione di società pubbliche», volta a ridurne il numero in vista della riduzione delle spese. Il comma 1 del
predetto articolo chiarisce che oggetto della disciplina da esso dettata sono le società pubbliche o, più precisamente,
quelle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del
d.lgs. n. 165 del 2001, che siano titolari di affidamenti diretti di servizi svolti a favore delle medesime pubbliche
amministrazioni e cioè di quelle società che producono beni o servizi strumentali alle pubbliche amministrazioni. Con
riguardo a tali società pubbliche strumentali, il comma 1 dispone che esse siano sciolte entro il 31 dicembre 2013 o che
siano privatizzate entro il 30 giugno dello stesso anno, qualora abbiano conseguito nell’anno 2011 più del 90 per cento
del fatturato da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione; e stabilisce anche che, nel caso di mancato
adeguamento a tali indicazioni, le predette società non possano più ottenere nuovi affidamenti diretti, né il rinnovo degli
affidamenti preesistenti (comma 2, al quale si collega il comma 8). Per ovviare ai predetti esiti, alle amministrazioni
pubbliche controllanti è solo consentito: a) di predisporre un’analisi di mercato sulla base della quale risulti che, per le
peculiari caratteristiche economiche e sociali, ambientali e geo-morfologiche del contesto, anche territoriale, di
riferimento, non è possibile un efficace ed utile ricorso al mercato, analisi tuttavia soggetta al parere vincolante
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 3, ultimo periodo); b) ovvero (entro 90 giorni dall’entrata
in vigore della legge di conversione) di predisporre piani di razionalizzazione e ristrutturazione delle predette società, i
quali, tuttavia, sono assoggettati al previo parere favorevole del Commissario straordinario per la razionalizzazione
della spesa per l’acquisto di beni e servizi di cui all’articolo 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni
urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.
A tali disposizioni, chiaramente finalizzate alla riduzione dell’uso delle società pubbliche strumentali, si aggiunge,
da un lato, la previsione secondo cui, dal 1° gennaio 2014, le amministrazioni pubbliche acquisiscono i servizi
strumentali alla propria attività sul mercato nel rispetto delle regole concorrenziali stabilite dal d.lgs. n. 163 del 2006
(comma 7); dall’altro, una serie di norme che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento delle predette società,
che siano rimaste operative in base all’applicazione della predetta normativa, sia imponendo limiti al numero dei
componenti dei consigli di amministrazione (commi 4 e 5), nonché alle spese per il personale delle medesime società e
per il relativo trattamento economico (commi 9, 10 ed 11), sia, infine ponendo in capo agli amministratori e dirigenti
delle medesime società la responsabilità contabile in caso di violazione dei vincoli di spesa (comma 12).
Tale essendo il contenuto delle norme in esame, emerge chiaramente che le stesse dettano una disciplina puntuale delle
società pubbliche strumentali, che si aggiunge ai numerosi interventi del legislatore statale sulle medesime società, i
quali, negli anni più recenti, ne hanno accentuato i profili di specialità rispetto al regime generale delle società di
diritto comune.
Fra tali interventi si colloca la disciplina restrittiva stabilita, dapprima, con il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa
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pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla
legge 4 agosto 2006, n. 248; e, poi, con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008). In particolare, con l’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006, si è
disposto che le società interamente pubbliche o miste, costituite o partecipate da amministrazioni pubbliche regionali e
locali per lo svolgimento di attività strumentali ovvero per lo svolgimento esternalizzato delle funzioni amministrative
dell’ente (fatta eccezione per i servizi pubblici locali e i servizi e centrali di committenza), a decorrere dal 4 gennaio
2010, devono operare esclusivamente a favore degli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere
prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel
territorio nazionale. Con l’art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, si è, inoltre, stabilito il divieto per le
amministrazioni pubbliche di cui al citato articolo 1, comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 di costituire società aventi ad
oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali,
ovvero il divieto di assumere o mantenere – direttamente – partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
Sulla richiamata disciplina restrittiva delle società pubbliche strumentali questa Corte ha già avuto occasione di
pronunciarsi, rilevando come sia il divieto per le predette società strumentali di svolgere prestazioni a favore di altri
soggetti pubblici o privati, in affidamento diretto o con gara, e di partecipare ad altre società o enti (art. 13 del d.l. n.
223 del 2006), sia il divieto per le pubbliche amministrazioni di costituire società aventi per oggetto la produzione di
beni e servizi, non strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e di assumere e mantenere
le partecipazioni in tali società (art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007), «mirano, da un canto, a rafforzare la
distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica (posta in essere da società che operano per una pubblica
amministrazione) ed attività di impresa di enti pubblici, dall’altro, ad evitare che quest’ultima possa essere svolta
beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in quanto pubblica amministrazione» (sentenza n. 148 del
2009).
Esse sono, quindi, dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei
quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche al fine di eliminare eventuali
distorsioni della concorrenza (sentenza n. 326 del 2008).
In altri termini, in tali previsioni restrittive si è ravvisata la finalità di assicurare che le società pubbliche che svolgono
servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni non approfittino del vantaggio che ad esse deriva dal particolare
rapporto con le predette pubbliche amministrazioni operando sul mercato, al fine di evitare distorsioni della
concorrenza, ma concentrino il proprio operato esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica”
per le medesime amministrazioni pubbliche. E ciò in linea con la normativa dell’Unione europea, il cui primario
obiettivo è quello di evitare che l’impresa pubblica goda di regimi privilegiati e di assicurare – ai fini dell’ammissibilità
degli affidamenti diretti di servizi a società pubbliche – che l’ente affidante eserciti sull’affidatario un controllo analogo
a quello che esso esercita sui propri servizi e che l’affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con
l’ente controllante (per tutte, sentenza Corte di giustizia, sez. V, 18 novembre 1999, n. C-107/98, Teckal c. Comune di
Viano).
La disciplina dettata dai commi 1 e 2 dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, tuttavia, lungi dal perseguire l’obiettivo di
garantire che le società pubbliche che svolgono servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni concentrino il
proprio operato esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica” per le predette
amministrazioni pubbliche e non operino sul mercato «beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in
quanto pubblica amministrazione» (sentenza n. 326 del 2008), colpisce proprio le società pubbliche che hanno
realizzato tale obiettivo. Essa, infatti, impone a tutte le amministrazioni, quindi anche a quelle regionali, di sciogliere o
privatizzare proprio le società pubbliche strumentali che, nell’anno 2011, abbiano conseguito più del 90 per cento del
proprio fatturato da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione controllante (comma 1), sanzionandole, in caso
di mancato adeguamento agli obblighi di scioglimento o privatizzazione, con il divieto del rinnovo di affidamenti in
essere e di nuovi affidamenti diretti in favore delle predette società (comma 2, cui si congiunge il comma 8).
In tal modo, è sottratta alle medesime amministrazioni, di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, la scelta in
ordine alle modalità organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni o servizi strumentali alle proprie
finalità istituzionali, in quanto si esclude la possibilità che, pur ricorrendo le condizioni prescritte dall’ordinamento
dell’Unione europea, le medesime amministrazioni continuino ad avvalersi di società in house. Di queste ultime, infatti,
si impone lo scioglimento o la privatizzazione, consentendosi che le stesse sopravvivano e continuino ad essere titolari
di affidamenti diretti (comma 8) solo nelle rare ipotesi nelle quali «per le peculiari caratteristiche economiche e sociali,
ambientali e geo-morfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non è possibile un efficace ed utile ricorso
al mercato», soggette comunque alla valutazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 3,
secondo periodo), o negli ancor più ridotti casi nei quali siano stati predisposti dei piani di razionalizzazione e di
ristrutturazione delle medesime società, i quali devono peraltro aver avuto il parere favorevole (vincolante) del
Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi di cui all’articolo 2 del
d.l. n. 52 del 2012 (comma 3-sexies).
In sostanza, le richiamate disposizioni (in specie i commi 1 e 2, ai quali sono strettamente collegati il comma 3, secondo
periodo, il comma 3-sexies, ed il comma 8) precludono anche alle Regioni, titolari di competenza legislativa residuale e
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primaria in materia di organizzazione, costituzionalmente e statutariamente riconosciuta e garantita, la scelta di una
delle possibili modalità di svolgimento dei servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali. Siffatta scelta costituisce
un modo di esercizio dell'autonomia organizzativa delle Regioni, e cioè quello di continuare ad avvalersi di quelle
società che, svolgendo esclusivamente "attività amministrativa in forma privatistica" nei confronti delle pubbliche
amministrazioni, sono in armonia sia con i vincoli "costitutivi" imposti dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244 del
2007, sia con i limiti di attività delineati dall'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 e sono, peraltro, contraddistinte da un
legame con le medesime, basato sulla sussistenza delle condizioni prescritte dalla giurisprudenza comunitaria del
"controllo analogo" e dell'"attività prevalente", tale da configurarle quali «longa manus delle amministrazioni
pubbliche, operanti per queste ultime e non per il pubblico», come da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza
amministrativa (per tutte, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 4 agosto 2011, n. 17).
Le predette norme (commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies, 8) incidono, pertanto, sulla materia dell'organizzazione e
funzionamento della Regione, affidata dall'art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza legislativa regionale
residuale delle Regioni ad autonomia ordinaria ed alla competenza legislativa regionale primaria delle Regioni ad
autonomia speciale dai rispettivi statuti, tenuto conto che esse inibiscono in radice una delle possibili declinazioni
dell'autonomia organizzativa regionale.
Tale collocazione per materia delle norme impugnate qui in esame non risulta, tuttavia, totalmente assorbente.
Occorre, infatti, tener conto del fatto che l'impugnato art. 4 si inserisce fra le disposizioni recate dal d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, con le quali il legislatore statale ha inteso «razionalizzare la
spesa pubblica attraverso la riduzione delle spese per beni e servizi, garantendo al contempo l'invarianza dei servizi ai
cittadini». È, quindi, indiscutibile che la disciplina impugnata obbedisce anche alla finalità del contenimento della spesa
pubblica. Poiché la giurisprudenza costituzionale ha espressamente riconosciuto che disposizioni statali di principio in
tema di coordinamento della finanza pubblica, ove costituzionalmente legittime, possono «incidere su una materia di
competenza della Regione e delle Province autonome (sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003), come
l'organizzazione ed il funzionamento dell'amministrazione regionale e provinciale» (sentenza n. 159 del 2008), si tratta
di verificare se le singole disposizioni impugnate dalle Regioni siano riconducibili a principi di coordinamento della
finanza pubblica.
Questa Corte ha ripetutamente ribadito al riguardo che è consentito imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali
alla duplice condizione: a) di porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio
contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; b) di non prevedere in modo esaustivo
strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 289 del 2008). Può essere, in altri termini,
imposto alle Regioni un «limite globale, complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di darvi
attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il
risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale» (sentenza n. 36 del 2013; sentenza n. 211 del 2012).
Nella specie, le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8, delineano, invece, una disciplina
puntuale e dettagliata che vincola totalmente anche le amministrazioni regionali, senza lasciare alcun margine di
adeguamento, anche a Regioni e Province autonome, con conseguente lesione dell'autonomia organizzativa della
Regione, nonché della competenza regionale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.
I commi 4 e 5 dell’art. 4 d.l. D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., rispetto ai quali la Corte ha dichiarato
non fondate le questioni di legittimità costituzionale, introducono specifiche previsioni sulla
composizione dei consigli di amministrazione delle società partecipate, così disponendo:
4. I consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1 devono essere composti da non più di tre membri, di
cui due dipendenti dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa
tra le amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti
dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti
d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione
indiretta. Il terzo membro svolge le funzioni di amministratore delegato. I dipendenti dell'amministrazione titolare della
partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del
trattamento economico, ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi
assembleari all'amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del
trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza. E’ comunque consentita la nomina di un
amministratore unico. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di
amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
5. Fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge, i consigli di amministrazione
delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta, devono essere composti da tre o cinque
membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte. Nel caso di consigli di amministrazione
composti da tre membri, la composizione è determinata sulla base dei criteri del precedente comma. Nel caso di consigli
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di amministrazione composti da cinque membri, la composizione dovrà assicurare la presenza di almeno tre dipendenti
dell'amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le
amministrazioni medesime, per le società a partecipazione diretta, ovvero almeno tre membri scelti tra dipendenti
dell'amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti
d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a partecipazione
indiretta. In tale ultimo caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente
potranno essere affidate dal Consiglio di amministrazione deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e
istituzionali e supervisione delle attività di controllo interno. Resta fermo l'obbligo di riversamento dei compensi
assembleari di cui al comma precedente. La disposizione del presente comma si applica con decorrenza dal primo
rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
La Corte costituzionale, con l’ordinanza 23 luglio 2013, n. 229, riguardo a tali disposizioni, ha
affermato quanto segue.
Sotto un primo profilo:
Le norme impugnate hanno ... evidente attinenza con i profili organizzativi degli enti locali, posto che esse
coinvolgono le modalità con cui tali enti perseguono, quand'anche nelle forme del diritto privato, le proprie
finalità istituzionali.
Con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia, questa Corte ha già affermato che «spetta al legislatore
statale [...] disciplinare i profili organizzativi concernenti l'ordinamento degli enti locali (art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost.)»: pertanto, posto che le società controllate sulle quali incide la normativa impugnata svolgono attività
strumentali alle finalità istituzionali delle amministrazioni degli enti locali, strettamente connesse con le previsioni
contenute nel testo unico degli enti locali, legittimamente su di esse è intervenuto il legislatore statale (sentenza n. 159
del 2008).
Sotto un secondo profilo:
Tali commi sono impugnati nella parte in cui determinano il numero massimo dei componenti dei consigli di
amministrazione delle società pubbliche di cui al comma 1 (comma 4) e delle società a totale partecipazione pubblica
(comma 5), individuando anche le modalità di composizione dei predetti consigli e le funzioni dei componenti. Essi
vanno ricondotti ad una materia diversa da quelle sopra individuate in relazione agli altri commi.
Una volta, infatti, che la Regione abbia esercitato la sua autonomia organizzativa, operando la scelta fra i vari moduli
organizzativi possibili per lo svolgimento dei servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali in favore
dell'affidamento diretto a società pubbliche, essa ha anche accettato di rispettare lo speciale statuto che
contraddistingue tali società, il quale, pur connotato da rilevanti profili di matrice pubblicistica, è comunque
riconducibile, in termini generali, al modello societario privatistico che ha radice nel codice civile.
La disciplina puntuale delle modalità di composizione dei consigli di amministrazione di tali società, nonché
l'individuazione del numero e delle funzioni dei componenti deve, pertanto, essere ricondotta alla materia dell'
"ordinamento civile", di competenza esclusiva del legislatore statale. Quest'ultima «comprende gli aspetti che
ineriscono a rapporti di natura privatistica, per i quali sussista un'esigenza di uniformità a livello nazionale; [...] non è
esclusa dalla presenza di aspetti di specialità rispetto alle previsioni codicistiche; [...] comprende la disciplina delle
persone giuridiche di diritto privato», nonché «istituti caratterizzati da elementi di matrice pubblicistica, ma che
conservano natura privatistica (sentenze n. 159 e n. 51 del 2008, n. 438 e n. 401 del 2007 e n. 29 del 2006)» (sentenza n.
326 del 2008). Di qui la non fondatezza delle censure.
I commi 9, 10 e 11, dell’art. 4 d.l. D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., rispetto ai quali la Corte ha
dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, introducono specifiche previsioni in
tema di assunzioni e trattamento stipendiale dei dipendenti delle società partecipate, così
disponendo:
9. A decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015, alle società di cui al comma 1 si
applicano le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l'amministrazione controllante. Resta fermo, sino
alla data di entrata in vigore del presente decreto, quanto previsto dall'articolo 9, comma 29, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 [che recita: “ Le società non
quotate, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi
del comma 3 dell’ articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, controllate direttamente o indirettamente dalle
amministrazioni pubbliche, adeguano le loro politiche assunzionali alle disposizioni previste nel presente articolo].
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Salva comunque l'applicazione della disposizione più restrittiva prevista dal primo periodo del presente comma,
continua ad applicarsi l'articolo 18, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
10. A decorrere dall'anno 2013 le società di cui al comma 1 possono avvalersi di personale a tempo determinato
ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta
per le rispettive finalità nell'anno 2009. Le medesime società applicano le disposizioni di cui all'articolo 7, commi 6 e
6-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in materia di presupposti, limiti e
obblighi di trasparenza nel conferimento degli incarichi.
11. A decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2014 il trattamento economico complessivo dei singoli
dipendenti delle società di cui al comma 1, ivi compreso quello accessorio, non può superare quello
ordinariamente spettante per l'anno 2011.
I commi 12/13, dell’art. 4 D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., disciplinano la verifica della
amministrazioni vigilanti sul rispetto dei vincoli di cui ai commi 9/11, con espressa previsione di
un’ipotesi di responsabilità contabile per gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili
della società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, così disponendo:
“ 12. Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di
violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a
titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati.
13. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle società quotate ed alle loro controllate. Le medesime
disposizioni non si applicano alle società per azioni a totale partecipazione pubblica autorizzate a prestare il servizio di
gestione collettiva del risparmio. L'amministrazione interessata di cui al comma 1 continua ad avvalersi degli organismi
di cui agli articoli 1, 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 114. Le disposizioni del
presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale
partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe
espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali.
14. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto è fatto divieto, a pena di nullità, di inserire clausole arbitrali in
sede di stipulazione di contratti di servizio ovvero di atti convenzionali comunque denominati, intercorrenti tra società a
totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, e amministrazioni statali e regionali; dalla predetta data perdono
comunque efficacia, salvo che non si siano già costituiti i relativi collegi arbitrali, le clausole arbitrali contenute nei
contratti e negli atti anzidetti, ancorché scaduti, intercorrenti tra le medesime parti”.
La Corte costituzionale, con l’ordinanza 23 luglio 2013, n. 229, ha dichiarato non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 e 12 dell'art. 4, in quanto:
Tali norme disciplinano aspetti rilevanti del regime speciale che contraddistingue le predette società pubbliche,
inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti ed al loro trattamento economico, nonché alle forme di responsabilità
degli amministratori e dirigenti.
Esse - che peraltro perseguono evidentemente l'obiettivo del contenimento della spesa in ordine ad un rilevante
aggregato della stessa, qual è quello relativo al comparto del personale, recando, pertanto, principi di coordinamento
della finanza pubblica (sentenza n. 130 del 2012; sentenza n. 169 del 2007) - devono, dal punto di vista dell'oggetto,
ricondursi, sulla base degli argomenti svolti con riferimento ai commi 4 e 5, alla materia dell' "ordinamento civile", di
competenza esclusiva del legislatore statale.
Il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., all’art. 6, ha poi così disciplinato il “rafforzamento della funzione
statistica e del monitoraggio dei conti pubblici”:
“1. Le disposizioni di cui ai commi 587, 588 e 589 dall'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Legge
Finanziaria 2007), costituiscono principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai fini del rispetto dei
parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea e si applicano anche alle Fondazioni,
Associazioni, Aziende speciali, Agenzie, Enti strumentali, Organismi e altre unità istituzionali non costituite in forma di
società o consorzio, controllati da amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali indicate nell'elenco ISTAT ai
13
sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica), e
successive modifiche e integrazioni. Per controllo si deve intendere la capacità di determinare la politica generale
o il programma di una unità istituzionale, se necessario scegliendo gli amministratori o i dirigenti.
2. Le modalità di effettuazione della trasmissione delle informazioni di cui al precedente comma rese disponibili alla
banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, sono definite con
apposito decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentito l'Istat.
3. Fermo restando quanto previsto da altre disposizioni legislative, il potere ispettivo attribuito dalla vigente normativa
al Dipartimento della funzione pubblica ed al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato nei confronti delle
amministrazioni pubbliche è esteso alle società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, con riferimento agli
obblighi previsti dall'articolo 4, commi 4, 5, 9, 10 e 11 del presente decreto.
4. A decorrere dall'esercizio finanziario 2012, i Comuni e le Province allegano al rendiconto della gestione una nota
informativa contenente la verifica dei crediti e debiti reciproci tra l'Ente e le società partecipate. La predetta nota,
asseverata dai rispettivi organi di revisione, evidenzia analiticamente eventuali discordanze e ne fornisce la
motivazione; in tal caso il Comune o la Provincia adottano senza indugio, e comunque non oltre il termine dell'esercizio
finanziario in corso, i provvedimenti necessari ai fini della riconciliazione delle partite debitorie e creditorie.
Va precisato che i commi 587, 588 e 589 dall'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006,
prevedono l’obbligo per le amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali di comunicare al
Dipartimento della funzione pubblica l'elenco dei consorzi di cui fanno parte e delle società a totale
o parziale partecipazione da parte delle amministrazioni medesime.
Il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 7
dicembre 2012, n. 213, all’art. 3, al fine di rafforzare i controlli in materia di enti locali, ha
sostituito l'articolo 147 del TUEL con gli articoli 147/147-quater.
In particolare, l’art. 147-quater di nuova introduzione disciplina i controlli sulle società partecipate
non quotate, prevedendo:
“1. L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate,
partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono
responsabili.
2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1 del presente articolo, l'amministrazione definisce preventivamente,
in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo
parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari
tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio,
la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico sull'andamento delle
società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni
correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente.
4. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate sono rilevati
mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase
di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015. Le disposizioni del
presente articolo non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del
codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al presente articolo si intendono le società
emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati”.
L’art. 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, cit., ha poi introdotto significative modifiche al TUEL.
In particolare, sono stati aggiunti:
 l’art. 148-bis (“1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i
rendiconti consuntivi degli enti locali ai sensi dell'articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre
2005, n.266, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza
del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della
sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva,
gli equilibri economico-finanziari degli enti. 2. Ai fini della verifica prevista dal comma 1, le sezioni regionali
14
di controllo della Corte dei conti accertano altresì che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle
partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività locale
e di servizi strumentali all'ente”);
 nell'articolo 243, dopo il comma 3, il comma 3-bis (“ I contratti di servizio, stipulati dagli enti locali con le
società controllate, con esclusione di quelle quotate in borsa, devono contenere apposite clausole volte a
prevedere, ove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di personale delle
società medesime, anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008”);
 dopo l'articolo 243, l’art. 243-bis che, al comma 5 prevede che “il consiglio dell'ente locale, entro il termine
perentorio di 60 giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un piano di
riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di dieci anni, compreso quello in corso, corredato del
parere dell'organo di revisione economico-finanziario”, ed al comma 8, lett. f) prevede che “al fine di
assicurare il prefissato graduale riequilibrio finanziario, per tutto il periodo di durata del piano, l'ente (…) è
tenuto ad effettuare una rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiettivi di riduzione della
stessa, nonché una verifica e relativa valutazione dei costi di tutti i servizi erogati dall'ente e della situazione di
tutti gli organismi e delle società partecipati e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio
dell'ente”.
Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 dicembre
2012, n. 221, all’art. 34, commi 22 e 38, prevede:
“ 22. Gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate
in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza
prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; gli affidamenti che non prevedono una data di
scadenza cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre
2020.
38. Ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica riguardanti le
società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
si intendono per società quotate le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati”.
La legge 6 novembre 2012, n. 190 (recante “ Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”) all’articolo 1, comma 34, recita:
“Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società
partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile,
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea.
I commi da 15 a 33, contengono una serie di disposizioni in tema di trasparenza
amministrativa per le pubbliche amministrazioni.
L’applicazione di tali disposizioni è stata ribadita dal D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (recante “
Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di
informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”) che, nel delineare il proprio ambito
soggettivo di applicazione, all’art. 11 recita:
“ 1. Ai fini del presente decreto per «pubbliche amministrazioni» si intendono tutte le amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
2. Alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 e alle società da esse controllate ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile si applicano, limitatamente alla attività di pubblico interesse disciplinate dal diritto
nazionale o dell'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 1, commi da 15 a 33, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
3. Le autorità indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione provvedono all'attuazione di quanto previsto della
normativa vigente in materia di trasparenza secondo le disposizioni dei rispettivi ordinamenti”.
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Sempre il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 all’art. 22, prevede:
1. Ciascuna amministrazione pubblica e aggiorna annualmente:
a) l'elenco degli enti pubblici, comunque denominati, istituiti, vigilati e finanziati dalla amministrazione medesima
ovvero per i quali l'amministrazione abbia il potere di nomina degli amministratori dell'ente, con l'elencazione delle
funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
b) l'elenco delle società di cui detiene direttamente quote di partecipazione anche minoritaria indicandone
l'entità, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle
attività di servizio pubblico affidate;
c) l'elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell'amministrazione, con l'indicazione delle
funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate. Ai
fini delle presenti disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a
controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei
quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei
componenti degli organi;
d) una o più rappresentazioni grafiche che evidenziano i rapporti tra l'amministrazione e gli enti di cui al precedente
comma.
2. Per ciascuno degli enti di cui alle lettere da a) a c) del comma 1 sono pubblicati i dati relativi alla ragione sociale,
alla misura della eventuale partecipazione dell'amministrazione, alla durata dell'impegno, all'onere complessivo a
qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, al numero dei rappresentanti dell'amministrazione
negli organi di governo, al trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, ai risultati di bilancio degli
ultimi tre esercizi finanziari. Sono altresì pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell'ente e il relativo
trattamento economico complessivo.
3. Nel sito dell'amministrazione è inserito il collegamento con i siti istituzionali degli enti di cui al comma 1, nei quali
sono pubblicati i dati relativi ai componenti degli organi di indirizzo e ai soggetti titolari di incarico, in applicazione
degli articoli 14 e 15.
4. Nel caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli enti di cui al comma 1, è vietata l'erogazione in
loro favore di somme a qualsivoglia titolo da parte dell'amministrazione interessata.
5. Le amministrazioni titolari di partecipazioni di controllo promuovono l'applicazione dei principi di
trasparenza di cui ai commi 1, lettera b), e 2, da parte delle società direttamente controllate nei confronti delle
società indirettamente controllate dalle medesime amministrazioni.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo non trovano applicazione nei confronti delle società, partecipate da
amministrazioni pubbliche, quotate in mercati regolamentati e loro controllate.
Il dato comune che si ricava dall’articolato quadro normativo di recente emersione è che le
società con partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria sono state, a vario titolo, ma
costantemente, prese in considerazione dalla manovre di razionalizzazione della spesa
pubblica e di rafforzamento della trasparenza amministrativa.
V. La prima (ed assorbente) ragione per la (ri)affermazione della giurisdizione del giudice
contabile.
Occorre, in primo luogo farsi carico della portata del comma 12, dell’art. 4 D.L. 6 luglio 2012, n.
95, cit., che espressamente prevede un’ipotesi di responsabilità contabile per gli amministratori
esecutivi e i dirigenti responsabili della società controllate direttamente o indirettamente dalle
pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 in
caso di assunzione ed erogazione di compensi in violazione delle disposizioni di cui ai commi 9/11.
Secondo la Corte dei Conti, Sez. I centrale Appello, n. 809/2012, tale norma e l’art. 2 del D.L. 7
maggio 2012, n. 52, hanno carattere interpretativo (e non già innovativo) in quanto “ non fanno
altro che ribadire e specificare i canoni fondamentali, già fissati dalle norme generali (europee,
costituzionali e ordinarie) prima esaminate, e concretizzati da plurimi (e convincenti) arresti
giurisprudenziali, in tema di coordinamento e salvaguardia dell'integrità della finanza pubblica,
16
complessivamente intesa, nell'ottica del più generale rispetto dei vincoli imposti dalla UE: norme,
in altri termini, che non lasciano alcun residuo dubbio circa 1) la natura pubblica di determinati
organismi, al di là della forma giuridica o del nomen iuris per essi adottato; 2) ma, soprattutto, il
carattere erariale dei relativi danni, siccome inferti, in definitiva, al patrimonio pubblico”.
Si ribatte, da alcuni commentatori, che la norma ha natura speciale, sia perché si riferisce alle sole
società strumentali, sia per la previsione dell’ultima parte del comma 13, secondo cui “ le
disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di
società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non
diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile
in materia di società di capitali”.
Si deve, però osservare che non è in questione la specialità della norma, quanto la sua portata
sistematica.
Da un lato, invero, l’applicabilità delle norme del codice civile ribadita dal comma 13, presuppone
che ne ricorrano le condizioni e non è automatica, né in sé riferibile alle azioni sociali di
responsabilità.
Dall’atro, va tenuto presente che, in termini generali, il contenuto ed i limiti della giurisdizione della
Corte dei conti in tema di responsabilità trovano la loro base normativa nella previsione del R.D. 12
luglio 1934, n. 1214, art. 13, secondo cui la corte giudica sulla responsabilità per danni arrecati
all'erario da pubblici funzionari nell'esercizio delle loro funzioni. Tali limiti sono stati
successivamente ampliati della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, che ha esteso il giudizio
della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni
cagionati ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza. La giurisdizione di
detta corte non è quindi circoscritta alla sola ipotesi di responsabilità contrattuale dell'agente, ma
può esplicarsi anche in caso di responsabilità aquiliana.
Tali norme, evidentemente, contengono un rinvio dinamico alla normativa via via vigente nel
tempo, che definisce la figura di amministratori e dipendenti pubblici.
La questione, quindi, è se la norma, al di là della sua portata, abbia introdotto principi che indicono
ad un ripensamento delle posizioni del 2009.
In tale prospettiva, la norma verrebbe ad assumere una duplice valenza: dispositiva, per le
fattispecie espressamente regolate; ed interpretativa, quanto al resto.
Orbene, sembra che vi sia diversi ordini di considerazioni che inducono ad un ripensamento e
precisamente:
1. La norma non risponde all’introduzione di un nuovo regime giuridico particolare per le società
cui si riferisce, ma introduce solo delle limitazioni alle assunzioni ed al trattamento economico dei
dipendenti. Tali divieti, presuppongono, evidentemente, una natura diversa dalle società ordinarie,
ma non la determinano.
2. La Corte costituzionale, con l’ordinanza 23 luglio 2013, n. 229, ha espressamente qualificato i
recenti interventi normativi in tema di società con partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria
come di finanza pubblica. In particolare:
- riguardo ai commi 4 e 5 (limitazioni ai consigli di amministrazione e disposizioni affini) ha
affermato che “ Le norme impugnate hanno (...) evidente attinenza con i profili
organizzativi degli enti locali, posto che esse coinvolgono le modalità con cui tali enti
perseguono, quand'anche nelle forme del diritto privato, le proprie finalità istituzionali.
Con riferimento alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia, questa Corte ha già affermato che
«spetta al legislatore statale [...] disciplinare i profili organizzativi concernenti
l'ordinamento degli enti locali (art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.)»: pertanto, posto
che le società controllate sulle quali incide la normativa impugnata svolgono attività
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-
strumentali alle finalità istituzionali delle amministrazioni degli enti locali, strettamente
connesse con le previsioni contenute nel testo unico degli enti locali, legittimamente su di
esse è intervenuto il legislatore statale (sentenza n. 159 del 2008).
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 e 12
dell'art. 4, in quanto: Tali norme disciplinano aspetti rilevanti del regime speciale che
contraddistingue le predette società pubbliche, inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti
ed al loro trattamento economico, nonché alle forme di responsabilità degli amministratori
e dirigenti. Esse - che peraltro perseguono evidentemente l'obiettivo del contenimento della
spesa in ordine ad un rilevante aggregato della stessa, qual è quello relativo al comparto del
personale, recando, pertanto, principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenza
n. 130 del 2012; sentenza n. 169 del 2007) - devono, dal punto di vista dell'oggetto,
ricondursi, sulla base degli argomenti svolti con riferimento ai commi 4 e 5, alla materia
dell' "ordinamento civile", di competenza esclusiva del legislatore statale.
3. I principi su cui si fonda l’orientamento inaugurato da Sez. U, Sentenza n. 26806 del 2009 sono:
a) non sembra si possa prescindere dalla distinzione tra la posizione della società partecipata,
cui eventualmente fa capo il rapporto di servizio instaurato con la pubblica amministrazione,
e quella personale degli amministratori (nonché dei sindaci o degli organi di controllo della
stessa società): i quali, ovviamente, non s'identificano con la società, sicché nulla consente
di riferire loro, sic et simpliciter, il rapporto di servizio di cui la società medesima sia parte.
Nel caso in cui l'azione sia proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della
società, non solo, come detto, non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente
pubblico partecipante e l'amministratore (o componente di un organo di controllo) della
società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall'atto di mala gestio, ma neppure
sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come
pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della
suindicata società sia socio.
b) L'esattezza di tale conclusione trova conferma anche nell'impossibilità di realizzare,
altrimenti, un soddisfacente coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di
responsabilità dinanzi giudice contabile e l'esercizio delle surriferite azioni di
responsabilità (sociale e dei creditori sociali) contemplate dal codice civile. L'azione del
procuratore contabile ha presupposti e caratteristiche completamente diverse dalle azioni di
responsabilità sociale e dei creditori sociali contemplate dal codice civile: basta dire che
l'una è obbligatoria, le altre discrezionali; l'una ha finalità essenzialmente sanzionatoria
(onde non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio
danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante), le
altre hanno scopo ripristinatorio; l'una richiede il dolo o la colpa grave, e solo in determinati
casi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; per le altre è
sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi.
D'altronde, almeno in tutti i casi nei quali vi siano anche soci privati la cui partecipazione è
suscettibile di subire danno per effetto del comportamento illegittimo degli organi sociali,
sarebbe impossibile escludere l'esperibilità degli ordinari strumenti di tutela approntati dal
codice civile a beneficio della società (e dei soci privati, nonché eventualmente dei
creditori). E però, se si ipotizzasse il possibile concorso tra l'azione del procuratore contabile
e l'azione sociale di responsabilità contemplata dal codice civile, occorrerebbe poter
individuare il modo di disciplinare tale concorso, stante la descritta diversità delle rispettive
caratteristiche delle differenti azioni. L'assenza del benché minino abbozzo di
coordinamento normativo in proposito suona palese conferma della non configurabilità, in
18
simili situazioni, di un'azione diversa da quelle previste dal codice civile, che sia destinata a
ricadere nella giurisdizione del giudice contabile.
Tale impostazione è stata smentita dal legislatore.
Ed infatti, la violazione delle limitazioni alle assunzioni ed al trattamento economico dei dipendenti
delle società partecipate previste dai commi 9, 10 e 11, non costituisce un illecito avente un
carattere di specialità rispetto ad altre condotte omologhe, comunque appartenenti al medesimo
“genus” della “mala gestio”, quali, ad esempio, l’affidamento illecito di incarichi di consulenza,
acquisti del tutto inutili o dannosi per l’ente, o l’erogazione di trattamenti retributivi o di fine
rapporto non dovuti.
Qualora si confermasse l’orientamento affermatosi a partire dalla nota sentenza n. 26806 del 2009,
si dovrebbe ammettere la incongrua soluzione che, per fatti appartenenti al medesimo “genus” e
che pacificamente provocano un danno al patrimonio della società partecipata, sono
esercitabili, a tutela della parte pubblica, due azioni tra loro del tutto distinte e precisamente:
l’azione contabile, per le condotte costituenti violazione dei commi 9/11 dell'art. 4 del D.L. 6 luglio
2012, n. 95 e l’azione sociale di responsabilità prevista dal codice civile per le altre, delle quali, a
chiare lettere, fu affermata l’incompatibilità con la predetta sentenza n. 26806/2009.
4. Occorre poi tenere conto delle irrisolte incertezze, in punto di giurisdizione, conseguenti
all’entrata in vigore dell’art. 16-bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26806/2009, riconobbero come tale norma lasciasse
“chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società
a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella
ordinaria. Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che,
per l'avvenire (e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica
inferiore al 50%), la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario”.
L’art. 16-bis conteneva, quindi, in sé, due affermazioni in punto di giurisdizione:
 una, esplicita, di affermazione della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in
tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle “società con azioni quotate
in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre
amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate”;
 l’altra, implicita, e di incerta perimetrazione, recante l’affermazione della giurisdizione
contabile nelle controversie in tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti
delle società partecipate diverse da quelle individuate dalla norma.
Veniva, quindi, implicitamente ammesso, attraverso la specifica enunciazione di una regola
contraria, che, con riferimento alle società partecipate, esisteva uno spazio appartenente alla
giurisdizione contabile.
Spazio da individuarsi, sulla base del rinvio dinamico contenuto nell’art. 13 del R.D. 12 luglio
1934, n. 1214 e nell’art. 1, comma 4, della L. 14 gennaio 1994, n. 20, verificando se nella normativa
via via vigente nel tempo, definitoria della figura di amministratori e dipendenti pubblici, siano
individuabili le condizioni per l’assimilazione a tale fugura anche degli amministratori e dipendenti
delle società partecipate.
5. L’intera disciplina di recente emersione ha sancito definitivamente il principio di assimilazione
tra società a totale o parziale partecipazione dell’ente pubblico ed ente stesso, secondo uno schema
tipico della c.d. coamministrazione, ravvisabile quando più soggetti, sia pure distinti, operano in
modo coordinato per l’espletamento della medesima funzione o servizio (per analoga impostazione
dei rapporti tra enti in tema di coamministrazione, si rinvia alla disciplina della tutela degli interessi
19
finanziari UE ed alla enunciazione del principio di assimilazione da parte dell’art. 325 del Trattato
UE)
6. L’elemento del controllo, quale fattore sintomatico della assimilazione degli interessi tra ente
pubblico e soggetto controllato, è enunciato anche dall’art. 6 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, cit., che,
in tema di “rafforzamento della funzione statistica e del monitoraggio dei conti pubblici”, dispone:
“1. Le disposizioni di cui ai commi 587, 588 e 589 dall'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Legge
Finanziaria 2007), costituiscono principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai fini del rispetto dei
parametri stabiliti dal patto di stabilità e crescita dell'Unione europea e si applicano anche alle Fondazioni,
Associazioni, Aziende speciali, Agenzie, Enti strumentali, Organismi e altre unità istituzionali non costituite in forma
di società o consorzio, controllati da amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali indicate nell'elenco
ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza
pubblica), e successive modifiche e integrazioni. Per controllo si deve intendere la capacità di determinare la
politica generale o il programma di una unità istituzionale, se necessario scegliendo gli amministratori o i
dirigenti.
Viene, quindi, ad essere enunciata una nozione di controllo di carattere dinamico,
strettamente connessa alla “governance” dell’ente controllato, attraverso la diretta incidenza
sulla sua politica e sui programmi, mediante la scelta degli amministratori o dirigenti.
Possono allora rivedersi ed integrare le affermazioni precedenti alle Sezioni Unite del 2009.
Tali posizioni possono sintetizzarsi in due passaggi fondamentali.
Il primo attiene alla conferma della attribuzione alla Corte dei conti dei “giudizi di responsabilità amministrativa, per
fatti commessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ultimo comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, anche nei confronti
di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità
contabile), essendo irrilevante il fatto che detti enti - soggetti pubblici per definizione, istituiti per il raggiungimento di
fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura - perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un'attività
disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato” (Sez. U, Ordinanza n. 19667 del 22/12/2003, Rv. 569157, Presidente
Carbone, Estensore Sabatini, P.M. Maccarone)
Il secondo è rappresentato dalla applicazione di tale impostazione anche nel caso di “ affidamento, da parte di un
Comune (nella specie: quello di Milano) ad un ente privato esterno (nella specie una società per azioni, avente un
capitale detenuto in misura assolutamente maggioritaria dallo stesso Comune), della gestione del servizio relativo agli
impianti e all'esercizio dei mercati annonari all'ingrosso di Milano, [che] integra una relazione funzionale incentrata
sull'inserimento del soggetto privato controllato nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e ne implica,
conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale
per danno erariale, non rilevando, in contrario, né la natura privatistica dell'ente stesso, né la natura privatistica dello
strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto in questione” (Sez. U, Sentenza n. 3899 del
26/02/2004, Rv. 570588, Presidente Corona, Estensore Varrone, P.M. Palmieri).
Tale sentenza, pur rilevando che “ con un revirement giurisprudenziale di grande importanza, validamente auspicato,
oltre che dalla Procura Generale della Corte dei Conti, dalla dottrina ed anticipato da diverse iniziative legislative
(ancorché non tutte portate a termine), questa Corte ha affermato che sono attribuiti al giudice contabile i giudizi di
responsabilità amministrativa, per fatti connessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, ult. co. l. n. 20 del 1994, anche nei
confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (Cass. sez. un. 22 dicembre 2003 n. 19667)”, ha
affermato che “l'innovativo indirizzo - pur idoneo a confutare alcune delle deduzioni degli attuali resistenti - non sembra
decisivo nel caso di specie, per la cui soluzione sono sufficienti i criteri tradizionali. (…) Ora, fermo il carattere
pubblico del servizio relativo all'impianto ed all'esercizio di mercati annonari all'ingrosso di Milano, anche escludendo
che la SO.GE.MI. agisse come longa manus del Comune e quindi in una situazione di compenetrazione organica, non
può certamente negarsi che tra la suddetta società e l'ente territoriale si fosse stabilito un rapporto di servizio,
ravvisabile ogni qual volta sì instauri una relazione (non organica ma) funzionale caratterizzata dall'inserimento del
soggetto esterno nell'iter procedimentale dell'ente pubblico come compartecipe dell'attività a fini pubblici di
quest'ultimo. Rapporto di servizio che, per costante giurisprudenza, implica l'assoggettamento alla giurisdizione della
Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando in contrario la natura
privatistica dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in
questione (ex plurimis, Cass. ord., 22 gennaio 2002 n. 715).
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È appena il caso di aggiungere che non rileva in questa sede la problematica (…) in tema di danno subito in via diretta
ed immediata dalla SO.GE.MI. ed in via mediata ed indiretta dal Comune solo in sede di ripartizione degli utili,
trattandosi di questione non di giurisdizione ma di merito, estranea al presente giudizio, volto esclusivamente a
determinare, nel caso di specie, i limiti esterni della giurisdizione contabile (e non l'esercizio di tale giurisdizione, cui
appartiene l'accertamento in concreto dell'esistenza o meno di un danno erariale risarcibile)”.
La sentenza delle Sezioni unite n. 26806 del 2009 ritiene le affermazioni contenute nella sentenza n.
3899/2004 non del tutto univoche “ perché si ha cura di specificare, per un verso, che l'elemento
determinante della decisione era costituito, in quel caso, dal rapporto di servizio intercorrente tra
la società privata ed il comune (piuttosto che dal rapporto partecipativo e dal conseguente
investimento di risorse finanziarie pubbliche nel patrimonio della società privata) e, per altro
verso, che la questione se il danno subito dal comune partecipante alla società fosse diretto, o
meramente riflesso, rispetto a quello arrecato al patrimonio sociale, costituiva un profilo estraneo
al giudizio sui limiti della giurisdizione”.
La risposta a tali antinomie non può più riposare sui principi affermati nel 2009, ormai
smentiti dal legislatore, ma deve fondarsi sul ripensamento della negazione della
configurabilità di un rapporto di servizio in capo ad amministratori e dirigenti esecutivi della
società partecipata.
Al riguardo, possono svolgersi cinque ordini di considerazioni.
1. Va ricordata la nozione ampia di rapporto di servizio, che è, come noto, configurabile anche
quando il soggetto, benché estraneo alla pubblica amministrazione, venga investito, anche di fatto,
dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della pubblica
amministrazione, con inserimento nell'organizzazione della medesima, e con particolari vincoli ed
obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell'attività stessa alle esigenze generali cui è
preordinata.
2. L’ente pubblico, tramite il controllo sulla società partecipata, pone in essere per suo tramite, sia
pure in forma privatistica, un’attività che è comunque di natura amministrativa (secondo
l’orientamento pacifico in dottrina e giurisprudenza) della quale è in condizione di determinare la
politica generale ed il programma operativo, attraverso la scelta di amministratori e dirigenti di sua
fiducia.
3. Se è vero che il contratto di servizio si instaura tra la società partecipata e l’ente pubblico
partecipante, occorre però considerare che l’attuazione ed esecuzione di tale contratto è rimessa
a soggetti (amministratori, dirigenti e dipendenti) in rapporto organico con la società stessa.
La valorizzazione del rapporto organico quale elemento che fonda la responsabilità di
amministratori di società che riceve contributi pubblici è costante nella giurisprudenza di questa
Corte (ex multis, da ultimo, Sez. U, Sentenza n. 295 del 09/01/2013 (Rv. 624669): “
L'amministratore di una società privata destinataria di fondi pubblici, del quale si prospetti una
condotta di dolosa appropriazione dei finanziamenti, è soggetto alla responsabilità per danno
erariale e alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la società beneficiaria dell'erogazione
concorre alla realizzazione del programma della P.A., instaurando con questa un rapporto di
servizio, sicchè la responsabilità amministrativa attinge anche coloro che intrattengano con la
società un rapporto organico”).
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4. Occorre, allora, combinare il principio di assimilazione tra interessi dell’ente di controllo e quelli
dell’ente partecipato, con quello secondo cui tra quest’ultimo, gli amministratori e i dipendenti si
instaura un rapporto organico finalizzato a perseguire interessi che sono propri ad entrambi i
soggetti e la cui attuazione trova fonte e regolamentazione proprio nel contratto di servizio.
In definitiva, gli amministratori e i dipendenti della società partecipata devono orientare l'attività
sociale verso i fini pubblici e dare attuazione al contratto di servizio.
Autorevole dottrina afferma l’esistenza di un rapporto fiduciario tra l'ente pubblico e
l'amministratore, nominato o dall’ente pubblico, nell’ipotesi di cui all’art. 2449 c.c., ovvero con il
concorso determinante della sua volontà, a fronte del quale risulta “difficile negare l'esistenza di una
relazione organizzatoria idonea a configurare un rapporto di servizio. Di conseguenza, pare assai
problematico negare in radice un giudizio di responsabilità amministrativa degli amministratori e
dei dipendenti ogniqualvolta dal comportamento dei medesimi scaturisca un danno al patrimonio
sociale che ridondi quale perdita finanziaria per l'ente pubblico”.
5. Occorre, quindi, distinguere tra il contratto di servizio che riguarda soltanto l’ente pubblico e la
società partecipata, ed il rapporto di servizio che riguarda tutti i soggetti operanti nella seconda ed
in una situazione di rapporto organico con essa e che insorge, “di rimbalzo”, essendo funzionale
all’attuazione ed esecuzione del contratto di servizio che lega i due enti.
In conclusione, l’art. 4 comma 12, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, induce ad una rilettura del R.D. 12
luglio 1934, n. 1214, art. 13, e della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, nel senso che sono
devolute alla giurisdizione contabile tutte le controversie in tema di responsabilità di amministratori
e dipendenti di società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di
cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
L’effetto interpretativo, esplicandosi nei confronti delle norme generali in tema di responsabilità
contabile, e non dell’art. 16-bis, comporta l’affermazione della giurisdizione contabile non solo in
fattispecie anteriori all’entrata in vigore dell’art. 4 comma 12, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, ma
anche all’art. 16-bis.
VI. La seconda ragione per la (ri)affermazione della giurisdizione del giudice contabile.
All’affermazione della giurisdizione contabile si perviene anche quando si sia in presenza di società
a totale partecipazione pubblica.
Tali società rientrano, espressamente, tra le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 2 del D.L. 7
maggio 2012, n. 52, cit.
“ 1. Nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica ed ai fini di coordinamento della finanza pubblica, di
perequazione delle risorse finanziarie e di riduzione della spesa corrente della pubblica amministrazione, garantendo
altresì la tutela della concorrenza attraverso la trasparenza ed economicità delle relative procedure, il Presidente del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per i rapporti con il
Parlamento delegato per il programma di Governo, può nominare un Commissario straordinario, al quale spetta il
compito di definire il livello di spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il
Commissario svolge anche compiti di supervisione, monitoraggio e coordinamento dell'attività di
approvvigionamento di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in considerazione dei
processi di razionalizzazione in atto, nonché, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività di
ottimizzazione, in collaborazione con l'Agenzia del demanio, dell'utilizzazione degli immobili di proprietà pubblica,
anche al fine di ridurre i canoni e i costi di gestione delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario collabora altresì
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con il Ministro delegato per il programma di governo per l'attività di revisione della spesa delle pubbliche
amministrazioni.
2. Tra le amministrazioni pubbliche sono incluse tutte le amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organismi,
uffici, agenzie o soggetti pubblici comunque denominati e gli enti locali, nonché le società a totale partecipazione
pubblica diretta e indiretta e le società non quotate controllate da soggetti pubblici nonché, limitatamente alla spesa
sanitaria, le amministrazioni regionali commissariate per la redazione e l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo
sanitario. Alle società a totale partecipazione pubblica e alle loro controllate che gestiscono servizi di interesse generale
su tutto il territorio nazionale la disciplina del presente decreto si applica solo qualora abbiano registrato perdite negli
ultimi tre esercizi. Ciascuna amministrazione può individuare, tra il personale in servizio, un responsabile per l'attività
di razionalizzazione della spesa pubblica di cui al presente decreto; l'incarico è svolto senza corresponsione di indennità
o compensi aggiuntivi”.
Anche tale norma ha natura interpretativa.
L’intero sistema normativo di nuova introduzione, con l’affermazione di elementi di controllo e
condizionamento tali da imporre scelte e limitazioni nell’attività di amministrazione, forme di
vigilanza e controllo, nonché di integrazione contabile con quella dell’ente partecipante, più che
modificare la natura delle società partecipate, si fonda sulla loro specificità rispetto a quelle
ordinariamente previste dal codice civile, connotazione che appariva “in nuce” fin dall’introduzione
di tale particolare modulo organizzativo della P.A. e che ora può dirsi confermata, sia pure in un
quadro normativo complessivamente disorganico e non omogeneo.
In tale prospettiva, l’art. 2 del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 ha una portata definitoria di carattere
generale e non si limita ad individuare i soggetti cui si riferiscono le disposizioni in tema di
razionalizzazione della spesa pubblica si cui all’art. 2 del d.l. 7 maggio 2012, n. 52.
In proposito, va sottolineata la diversa valenza di tale definizione rispetto a quella di organismo di
diritto pubblico.
Quest’ultima, infatti, si applica alle società partecipate non tanto per caratterizzarne la gestione in
termini derogatori rispetto al codice civile, quanto, piuttosto, per attuare la regola dell’evidenza
pubblica anche in relazione all’attività di tali soggetti, in funzione evidentemente espansiva della
garanzia di trasparenza e di tutela della concorrenza e del mercato. Ed è coerente con tale
impostazione la conclusione che la qualifica quale organismo di diritto pubblico di una società
partecipata, anche in via totalitaria, non è di ostacolo alla giurisdizione del giudice ordinario per
danni inferti direttamente al patrimonio della società per azioni (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 3692 del
09/03/2012 ed Ordinanza n. 8511 del 29/05/2012, entrambe riferite a Poste Italiane S.p.A.).
Al contrario, la definizione di amministrazione pubblica prevista dall’art. 2 del D.L. 7 maggio 2012,
n. 52, cit., è strettamente connessa ad un aspetto gestionale centrale della società, quale è quello del
concorso alla razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi ed è, quindi, diretta
conseguenza di uno speciale regime di “governance” che caratterizza l’ente.
La società in esame, in quanto a totale partecipazione pubblica, rientra, quindi, tra le
amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 2 del D.L. 7 maggio 2012, n. 52, cit. (entrato in vigore
prima della citazione da parte della Procura regionale).
P.Q.M.
chiede alla Corte Suprema di Cassazione il rigetto del ricorso con l’affermazione della giurisdizione
del giudice contabile.
Roma, 11 ottobre 2013
Il sostituto Procuratore generale
Pasquale Fimiani
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