Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
«Aspetta!» implorò l’anziano, riverso sulla sporca strada nel vicolo dietro il bar.
L’uomo con la pistola puntata sulla sua fronte abbassò l’arma e lo guardò annoiato.
«Parla in fretta, vecchio», sibilò.
«Non siamo bestie, cazzo, siamo fottute persone anche noi!»
Silenzio.
«Cosa vi rende migliori di noi?» continuò, con voce spezzata.
«I soldi»
E premette il grilletto.
«Sovrappopolazione, inquinamento, innalzamento dei mari. Ah, e la guerra, non dimentichiamoci della
guerra. Tutti questi fattori hanno portato alla costruzione di una grande città protetta per i migranti:
Iustitia. In milioni vi si sono riversati, con la promessa di una nuova casa e di una nuova vita. Promesse
mantenute, ma con qualche piccolo accorgimento, bada bene» la barista finì di lucidare il bicchiere di vetro
e lo pose di fronte al nuovo arrivato. Prese poi una bottiglia di whiskey da sotto il bancone e la usò per
riempire il bicchiere.
«Sei nuovo, giusto?» chiese lei.
Il ragazzo annuì con aria spaesata.
«Il primo lo offre la casa. Comunque, cosa stavo dicendo? Ah giusto. Non importa chi tu sia, per uscire
da Iustitia devi diventare un membro produttivo della società. Pagato il debito economico con il governo
chiunque è libero, con i propri figli minorenni, di migrare nella nazione che desidera o può diventar parte
dell’élite della città: gli Intoccabili. Di nome e di fatto intoccabili, in quanto a loro non può essere fatto alcun
male dagli Esterni»
«Esterni?»
«Come hai detto che ti chiami, ragazzo?»
«Kyle, signora» rispose passandosi una mano tra i capelli corvini mentre la barista si versava un bicchiere
di gin.
«Io sono Jen. E Cristo, avrò forse un paio di anni in più di te, non darmi della signora. Bevi» gli disse, per
poi svuotare il proprio bicchiere d’un fiato.
«Grazie della gentilezza ma sono astemio» disse, sorridendo imbarazzato.
«È maleducazione far bere una signorina da sola, Kyle. Bevi.» stavolta era un ordine.
Il ragazzo tracannò il liquore velocemente, per non sentirne il sapore, ma finì comunque per tossire a
causa del bruciore alla gola.
«Dov’ero rimasta?» riprese i bicchieri dal bancone e si mise a lavarli. «Ah si, gli Esterni. Vedi ragazzo, noi
siamo carne da macello. Ah! Se mi sentisse il mio vecchio! Lui credeva in Iustitia; che riposi in pace.
Comunque, questa città è costata miliardi, soldi che nessuna nazione aveva da stanziare. Ogni paese del
resto era in stato d’emergenza. Ma era in corso una diaspora su scala mondiale e i profughi non potevano
essere lasciati lì così. Fu così che un grande magnate, anzi un filantropo, almeno così lo descrissero, si prese
in carico i costi di costruzione. Per di più decise che gli alloggi sarebbero stati gratuiti per i migranti. Si
insomma, agli occhi dei profughi Iustitia sarebbe stata un vero e proprio paradiso dopo gli orrori provati.»
Mentre Jen parlava si spostò da dietro il bancone ed iniziò a rovesciare le sedie sui tavoli. Kyle l’aiutò, poi
prese al volo la scopa che lei gli lanciò e prese a pulire per terra. Il bar era ormai vuoto ed era ora di
chiusura.
Dopo pochi minuti di silenzio, interrotto solo dal rumore delle setole sul pavimento e dallo straccio che
Jen usò per pulire il bancone, Kyle guardò la ragazza.
«Non mi hai ancora raccontato tutto, vero?»
«Direi di no. Però se tiro la storia per le lunghe sei costretto a restare a darmi una mano per ascoltarne il
finale» gli rispose sorridendogli. Fu in quel momento che Kyle si rese conto che Jen era davvero bella:
altezza poco minore della media; capelli castani, tenuti in una comoda treccia che le arrivava poco sotto le
spalle e fisico asciutto, vestita con abiti comodi per il lavoro. Era bella, ma non era quella bellezza
prepotente, quella che fa girare la testa agli uomini quando incrociano una ragazza mentre camminano. Era
qualcosa di più nascosto, di più delicato. Era quel sorriso così intenso e vero che colpì Kyle, tanto da
stordirlo per un paio di secondi.
Quando si accorse del silenzio e che Jen aspettava che lui parlasse, tornò a pulire il pavimento,
distogliendo lo sguardo. «Bastava chiedere», sperò di non essere arrossito.
«Molto bene, allora ti chiedo di darmi una mano Kyle. Ti va?» Lui annuii. «Grazie, sei gentile. Purtroppo
ho perso il filo del discorso. Io tiro giù le sedie, tu pulisci i tavoli, per favore.»
«Stavi parlando di Iustitia come se fosse un paradiso…» le ricordò, avvicinandosi ad un tavolo.
«Giusto. Pensaci: alloggio gratuito, assegnato dal governo di Iustitia. Una nuova vita davanti. Qua ti
offrivano la possibilità di lavorare, di vivere normalmente, per sanare il debito con il miliardario che ha
costruito tutto questo.»
«E dov’è la fregatura?» chiese lui.
«Ci sto arrivando. Questo ricco signore ottenne piena autorità su tutta Iustitia. Si, hai capito bene,
viviamo in una vera e propria tirannia. So che a te non può sembrare. Non sei obbligato a vestirti in un certo
modo, di aderire ad un partito o ad appartenere ad una specifica etnia. Quel che conta è quanto tu sia
produttivo. Vedi, ognuno di noi che abita qua a Iustitia vale una somma, che cresce in base al lavoro svolto,
alle tasse pagate. Questa è la fregatura.»
«Non capisco Jen.»
«Per rientrare nei costi di costruzione di Iustitia, questa città è stata progettata per essere un parco di
divertimento folle per i ricchi delle altre nazioni, gli Esterni. Noi siamo carne da macello Kyle. Noi siamo
bestie per loro. Pagando cifre enormi possono entrare in città e uccidere quante persone vogliono, a patto
di risarcire Iustitia della somma di ogni morto che si lasciano dietro. Dura lex sed lex.» Kyle smise di pulire e
guardò la ragazza, aspettandosi che sarebbe scoppiata a ridere da lì a poco, ma trovando solo lo sguardo
serio e duro di lei.
«Stai scherzando, non è possibile una cosa del genere» disse, sorridendole incerto.
«Ascolta, so che sembra paradossale e credimi, so che sei spaesato perché non nessuno prima di entrare
in città ti ha detto nulla, ma devi ascoltarmi.» si avvicinò a lui e gli mise le mani sulle spalle. Lui non si
scansò, ma non la guardò nemmeno negli occhi. «Il vecchio Myles, il cadavere con un buco in testa nel
vicolo qua fuori, è stato freddato ieri da uno di quei bastardi perché era menomato e non poteva lavorare.
Non valeva nulla secondo i canoni di Iustitia.»
Kyle finalmente la guardò con il volto impassibile di chi non sa a cosa credere.
«In che zona ti hanno assegnato l’alloggio?» gli chiese.
«In periferia, quartiere B-4.»
«C’era da aspettarselo, i nuovi li piazzano sempre nelle vicinanze dei punti d’ingresso degli Estranei.
Ascoltami, sei giovane e da quando mio padre non c’è più mi serve una mano per gestire il locale. Rimani
qua. Non ti mento, sarà un part-time perché per non venire scannata da quelle bestie avrò bisogno di
essere più produttiva possibile, quindi dovrai trovarti anche un altro lavoro. Ma tanta gente ti invidierebbe
per una proposta del genere, te lo assicuro» s’interruppe perché Kyle in quel momento si staccò dalla sua
presa. «Non mi credi, non ancora» non era una domanda quella di Jen, ma una semplice affermazione.
«Come potrei?» le chiese Kyle, infilandosi il giubbotto di pelle logoro, facendo per andare via.
«Aspetta. Concedimi pochi minuti del tuo tempo. Vieni con me, ti mostro Myles. E se i becchini non li
hanno ancora portati via, anche i coniugi Ghern.» gli disse, dirigendosi verso la porta che dava sul retro.
Mezz’ora dopo Kyle accettò la proposta di Jen.
Nei tre anni successivi gli Estranei vennero, innumerevoli volte. Senza uno schema logico. Ci fu chi venne
in gruppi ben armati e protetti da corazze d’ultima generazione, chi si presentò con cani e fucili da caccia,
chi solamente per trovare una persona precisa. Tutti saziarono i propri impulsi animaleschi per poi tornare
alle loro amate famiglie, nel mondo cosiddetto civile.
Kyle apprese ben presto le altre regole di Iustitia. Nessun minore o donna incinta era mai stato ferito
dagli Estranei, cosa che ai suoi occhi donò alla città una piccola e opaca parvenza di umanità. Chi scontava il
proprio debito con Iustitia poteva emigrare o diventare un Intoccabile assieme ai propri figli non ancora
maggiorenni. Questo consisteva nell’essere al sicuro dai raid degli Esterni e nell’essere trasferito in centro
della città, tra gli altri Intoccabili, quindi tra l’élite che si era tirata fuori da quella realtà disumana.
Nessun’arma da fuoco poteva essere tenuta dai cittadini pena l’esecuzione da parte della polizia
governativa della città. In questo modo i cittadini vennero resi di fatto impotenti, seppur la legge non
vietasse la legittima difesa contro gli Esterni.
Kyle fu particolarmente colpito dal fatto che gli Esterni dovessero evitare il più possibile di arrecare
danno alla proprietà privata a Iustitia durante le loro barbarie. Il danneggiamento di una casa, di un’attività
o di qualunque cosa che potesse ridurre la produttività del singolo non era visto di buon occhio dal
governo, il quale multava pesantemente l’Esterno, costringendolo a ripagare il cittadino con gli interessi.
A Iustitia dovevi produrre.
Non ci vivevano persone, ma numeri.
«Torniamo a casa?» chiese Jen prendendo la mano fredda di Kyle. Era inverno e Jen era vestita con un
giaccone marrone, dei pantaloni scuri ed era avvolta dalla sciarpa bordeaux che le aveva regalato Kyle per il
suo compleanno, poche settimane prima. Kyle, dal canto suo, era vestito tutto di nero con un giubbino
pesante e dei jeans. Non che non gli piacessero i colori, solo non pensava che gli stessero bene.
Il ragazzo scosse brevemente la testa e la guardò sorridendo. «Si, scusa, mi ero incantato», si abbassò e
riprese le borse della spesa che aveva appoggiato sul marciapiede. Era da poco passata l’ora di cena e la
strada del distretto commerciale era trafficata. Quel giorno veniva celebrato l’anniversario della fondazione
di Iustitia. Kyle e Jen erano riusciti a chiudere in anticipo il bar.
«Lascia che ti aiuti.» propose lei.
«Assolutamente no» rispose lui dandole un bacio. «Stai già portando qualcosa, del resto» finì,
staccandosi da lei e accarezzandole la pancia, lievemente gonfia, con la mano libera dalle buste del
supermercato.
«Si, ma non pesa così tanto. È ancora presto.»
«Non importa.» le diede la mano e si incamminarono verso casa.
Nonostante l’aria fredda, stare all’aperto era piacevole quella sera. L’anniversario della fondazione era
forse l’unico giorno di festa che poteva essere chiamato tale a Iustitia. Se volevi sopravvivere in
quell’inferno dovevi produrre e gli abitanti cercavano di prendersi meno giorni di riposo possibili.
All’improvviso uno sparo.
Un signore che stava attraversando la strada, a poco più di una ventina di metri da loro, cadde a terra,
Un pozza di sangue si allargò sotto di lui. Il tempo sembrò fermarsi. Sulle facce confuse dei passanti affiorò
lentamente la consapevolezza e, subito dopo, il terrore.
La gente iniziò a sparpagliarsi correndo in tutte le direzioni, in preda al panico. Si udirono altri spari e
altre persone caddero a terra, in pose innaturali.
«Corri!» gridò Kyle cercando di sovrastare le urla terrorizzate. Prese Jen per mano, lasciando cadere le
borse, e fuggì dalla parte opposta rispetto agli spari.
Quando un colpo colpì alla schiena una ragazza che stava correndo in strada di fianco a loro, Jen si gettò
nel vicolo più vicino, seguita da Kyle.
Lo stretto vicolo finiva poco più in là con un edificio di mattoni rossi. Non c’era via d’uscita.
«Merda! Merda!», tutte le finestre, poco più in alto di loro, avevano delle ante di spesso metallo che ne
impedivano l’accesso. Il ragazzo chiese aiuto a gran voce, implorando che li facessero entrare. Nessuno gli
rispose. Se davvero c’era qualcuno dietro le finestre, allora era troppo spaventato per aiutarli.
Dalla strada alla fine del vicolo si sentirono altri spari, altre urla.
«Kyle, guardami» disse Jen prendendogli la testa fra le mani. «Calmati, maledizione!» gli bisbigliò
nell’orecchio, abbracciandolo. «Possiamo uscire di qui. Sono incinta, ricordi? Non possono farmi del male.
Mi segui?» il respiro veloce di Kyle iniziò a rallentare. La guardò, gli occhi prima annebbiati dalla paura ora
sembravano più presenti. La cinse con le braccia e la strinse a sé.
«Ora usciamo da questo vicolo. Tu devi correre il più velocemente possibile lontano da qua, hai capito?»
gli disse, scandendo bene le parole.
«E tu?» riuscì ad articolare lui tra i respiri ancora affannosi.
«Io mi metterò sulla loro linea di fuoco per darti tempo di fug…»
«No!» la interruppe.
«Kyle usa la testa, so che sei spaventato, ma usa la testa. Non possono spararmi. Non corro nessun
pericolo. Ti fidi di me?» gli chiese.
Lui annuii, stringendola più forte.
«Ci vediamo a casa, va bene?» gli disse, prima di liberarsi dal suo abbraccio e di dargli un veloce bacio.
I due si avvicinarono all’ingresso del vicolo, tendendo le orecchie. Gli spari erano più radi ora, ma erano
sempre vicini. Jen sporse leggermente la testa da dietro l’angolo. Gli Estranei erano due, vestiti con abiti
civili ed imbracciavano una pistola a testa. Entrambi indossavano degli occhiali che fungevano da scanner, i
quali riportavano età, costo ed eventuale stato di gravidanza, o di intoccabilità, di ogni cittadino di Iustitia.
Gli Estranei, due ragazzi di circa vent’anni ognuno, stavano ridendo. Parlavano con spensieratezza, come
se non avessero ucciso degli esseri umani poco prima. Jen riuscì a comprendere che quella strage era in
realtà il regalo di compleanno di uno dei due. La ragazza represse un conato di vomito, non seppe se la
nausea le fosse data dalla gravidanza o da ciò che aveva appena sentito, e non indagò oltre. Poco dopo gli
Estranei si divisero: uno seguì la strada percorsa poco prima da Kyle e Jen, l’altro imboccò quella
perpendicolare ad essa.
«Erano in due ma hanno preso strade diverse. Penso per calcare più terreno e trovare più gente. Uno sta
venendo da questa parte.» bisbigliò lei, prendendolo per mano e stringendogliela. «Questo è un bene, devo
solo coprire una linea di fuoco in questo modo, ok?»
Lui non rispose, si limitò a fissare l’asfalto.
«Corri come non hai mai fatto prima, ti prego. Non so come potrei fare senza di te.» la voce di Jen,
prima ferma e decisa, ora era spezzata, stava per piangere. «Maledetti ormoni.» disse asciugandosi le
lacrime.
«Ti amo, Jen.» riuscì a dire, nonostante il groppo alla gola.
«Anche io ti amo.» rispose sorridendogli.
Detto questo non persero ulteriore tempo. Kyle si gettò in strada e scattò dalla parte opposta
dell’Estraneo, senza degnarlo di un’occhiata; Jen uscì dal vicolo con le braccia spalancate, per impedire il
più possibile una colpo pulito al ragazzo che amava. Guardò con rabbia l’assassino di fronte a lei.
Kyle stava correndo con la velocità che solo la disperazione può dare. Non aveva mai corso così in vita
sua.
L’Estraneo sparò.
Kyle si fermò bruscamente, aspettandosi il dolore. Nulla. Si girò, appena in tempo per vedere Jen
accasciarsi lentamente a terra.
«No...»
Per Kyle il mondo turbinò pericolosamente in quegli istanti. Si dimenticò in che situazione fosse. Nulla
aveva più importanza. Senza nemmeno essersi reso conto di essersi avvicinato, si ritrovò in ginocchio nel
sangue, accanto a Jen. Il proiettile l’aveva colta al cuore, dal quale era sgorgato il liquido che ora le
imbrattava il cappotto, rendendolo lucido e appiccicoso. Con le mani tremanti le prese delicatamente la
testa e se la mise sulle gambe, cullandola. Kyle pianse come mai fatto prima. Non era giusto, non era lei che
doveva essere morta, era a lui che dovevano sparare. In pochi attimi gli avevano strappato le due cose più
importanti della sua vita, in pochi istanti non aveva più una famiglia. Non poté smettere di pensare che era
lui quello doveva essere al posto di Jen, al posto di suo figlio.
Kyle riuscì solo ad emettere dei rantolii mentre guardava gli occhi spenti di Jen, una volta così pieni di
vita. A causa del suo pianto non si accorse dei passi che si stavano avvicinando e per colpa delle lacrime non
vide l’Estraneo fermarsi ad un metro da lui.
«Sai, è un errore comune questo» iniziò l’Estraneo scuotendo il dito con finto fare ammonitorio. «La
gente di qua pensa che gravide e bambini siano salvi da noialtri» si avvicinò ancora, parlando con la stessa
leggerezza che userebbe un adulto mentre spiega ad un bambino perché non deve mangiare la terra. «No,
no, no, no! Errore madornale, mio caro, errore madornale.» si tolse gli occhiali. Quando gli fu accanto si
piegò, postando la sua faccia a pochi centimetri dall’orecchio di Kyle. «La verità è che sono immensamente
costosi rispetto alla gente comune» gli bisbigliò, con una chiara nota di compiacimento nella voce. «Quindi
per la maggior parte di noi costa troppo farli fuori, è semplice. Vedi?» chiese, posizionando gli occhiali tra
Kyle e Jen. Il ragazzo vide attraverso le lenti che puntavano verso la donna che amava un piccolo numero,
posto vicino al bordo superiore. Era l’attuale valore di Jen.
Zero.
«Ah che sbadato, certo che non puoi vederlo. È già troppo tar…» il primo pugno che Kyle sferrò stordì
l’Esterno e gli ruppe il naso, facendolo barcollare indietro e cadere. Si contorse per il dolore.
Kyle appoggiò con cura la testa di Jen sulla strada e le chiuse gli occhi: ciò che sarebbe successo non
avrebbe dovuto vederlo. Le sfilò la sciarpa bordeaux e se l’avvolse intorno al collo.
Si alzò. Prese la pistola dell’Estraneo e se la infilò nei pantaloni. Poi si avvicinò a quel giovane che
imprecava cercando di fermare il sangue che usciva dal proprio naso con le mani. Gridò quando arrivò su di
lui, ma Kyle non ci badò. Lo colpì ancora una, due, tre volte. Lo colpì finché il viso si tumefece, rendendolo
irriconoscibile. Lo colpì finché ebbe fiato in corpo. Finché non lo credette morto. Poi rimase lì, con lo
sguardo fisso sull’orrore che aveva appena commesso, non pago però di ciò che aveva fatto.
Kyle si guardò le mani: sporche e malridotte, ma ancora forti e salde.
Dopo un tempo che sembrò interminabile si udì uno colpo d’arma da fuoco provenire dalla strada
adiacente.
Una nuova calma, spinta da dolore e rabbia prepotenti, crebbe nel suo petto, prendendo il posto della
furia che aveva appena scatenato.
Si mise in piedi, imbrattato del sangue della ragazza che amava e del suo carnefice, e si diresse
lentamente all’incrocio.
Si appoggiò al muro che faceva da angolo all’incrocio e aspettò in silenzio, tendendo le orecchie. Ascoltò
i passi dell’Estraneo e non appena fu abbastanza vicino, Kyle girò l’angolo alzando la pistola.
Esplose velocemente un colpo che frantumò il ginocchio destro dell’Estraneo, il quale crollò a terra tra
urla strazianti. La pistola gli volò di mano lontano sull’asfalto umido.
Molti scappavano a Iustizia dalla fame o da luoghi fortemente inquinati. In tanti invece dalla guerra. Kyle
era uno di questi.
Le urla che proruppero dal ragazzo si espansero per la strada, amplificate dal silenzio innaturale delle
vie. Nessuno che voleva sopravvivere a Iustitia ascoltava le grida dei disperati in cerca di aiuto.
Nessuno in questo caso avrebbe comunque voluto salvarlo.
Kyle puntò l’arma contro di lui.
«Ti prego. Ti prego!» implorò l’Esterno alzando la mano verso Kyle, come per fermarlo dall’avanzare.
«Posso pagare il tuo debito, sai che posso!» cercò di strisciare, ma il dolore alla gamba lo fece desistere.
Vide però che Kyle si era fermato e ciò gli diede speranza. Così continuò a parlare. «Posso… posso renderti
un Intoccabile! Ho i soldi… Davvero! Lasciami andare e penserò a tutto io, lo giuro! Vivrai da ricco, nessuno
ti cercherà più!»
Ci fu silenzio per qualche secondo, rotto solo dalla leggera pioggia che iniziò a cadere.
Kyle toccò distrattamente la sciarpa di Jen e se la portò al naso. Nonostante fosse zuppa di sangue
poteva ancora sentirne lievemente il profumo. Il suo profumo.
Quando parlò la sua voce era ferma, come la mano che teneva la pistola.
«Io voglio che mi trovino.»
E premette il grilletto.