Terre d`arte, in: T. Lucchetti, O. Zanini De Vita (a
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Terre d`arte, in: T. Lucchetti, O. Zanini De Vita (a
Progetto di ricerca e coordinamento di Corrado Barberis L’aratro, l’arola, l’aia storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano testi di Tommaso Lucchetti e Oretta Zanini De Vita Collaborazione nelle ricerche Lorena Straccini contributi di Massimo Biagiali, Sara Bracci, Massimo Gentile, Giancarlo Gori, Claudio Paolinelli, Sonia Pierobon, Rolando Ramoscelli e Gianfilippo Centanni, Gianni Volpe “L’aratro, l’arola, l’aia: storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano” 117 Terre d’arte di Claudio Paolinelli Poter parlare di ceramica del territorio provinciale senza definire necessariamente precisi limiti cronologici o criteri tipologici risulta cosa assai difficile ma in questa sede si intende comunque analizzare una panoramica quantomeno generale ma non del tutto esaustiva sulle produzioni vascolari ed artistiche dal Rinascimento al Novecento. Il territorio della Provincia di Pesaro e Urbino ha fornito già dai tempi antichi agli abitanti delle ampie valli che scendono dal crinale appenninico al mare, numerosi giacimenti di terre idonee ad essere plasmate specie lungo gli alvei dei fiumi dove si son depositate per secoli argille purissime. Di sicura rilevanza e dalla tradizione centenaria esistono città che legano indissolubilmente il loro nome alla produzione della maiolica: l’antica Casteldurante482 oggi Urbania, Urbino483, Pesaro484 e Fano485. Ma accanto a questi centri che anche attraverso le numerose testimonianze d’archivio dimostrano l’importanza economica e sociale della lavorazione della ceramica, si possono segnalare numerosi borghi di collina o vallivi che nei secoli hanno prodotto sia maioliche che terrecotte da mensa, ancora poco noti e che solo recentemente gli studi specifici stanno riscoprendo. Ne sono una testimonianza i giacimenti di frammenti rinvenuti durante scavi archeologici o sterri casuali conservati nei depositi dei musei o delle varie Soprintendenze, che debitamente studiati potranno rilevare la presenza di una fitta rete di botteghe ceramiche che ospitavano anche maiolicari di regioni confinanti o importavano terre, forme e colori da luoghi lontani. Anche per questo motivo molte produzioni sono frutto di contaminazioni stilistiche varie e difficilmente assegnabili ad uno specifico centro di produzione. La ricchezza ceramica del territorio è evidenziata ad esempio dai numerosi materiali ritrovati durante gli scavi di Montecopiolo486, dalle raccolte civiche di Macerata Feltria, Piobbico e Fossombrone, o dai numerosi rinvenimenti sporadici avvenuti all’interno delle antiche abitazioni di Mondavio487 e Urbania (figg. 1-2). L’arte della maiolica è stata celebrata nel corso del XVI secolo da un trattato manoscritto488 a firma di Cipriano Piccolpasso intitolato “Li tre libri dell’arte del Vasaio” che oggi si conserva al Victoria and Albert Museum di Londra. In questo testo fondamentale della cultura rinascimentale si evince l’importanza di un’arte che non era seconda alla pittura o alla scultura e che gli stessi Duchi di Urbino favorirono e protessero, consapevoli dell’enorme importanza economica che certa produzione di pregio rivestiva per l’intero territorio ducale. Tra i numerosi decori in uso presso le botteghe di Casteldurante e del Ducato si ricorda l’istoriato, cioè quella stupefacente decorazione utilizzata per narrare storie e presentare personaggi illustri del mondo antico sacro e profano (Figg. 3-4). Di quest’arte ne illustra in modo efficace le peculiarità il ceramologo faentino Gaetano Ballardini: “è il rapido diffondersi di quegli ‘istoriati’ dove il paganesimo umanistico Fig. 1. Piatto in maiolica. Mondavio (?), fine sec. XVI, Ø cm 26 c. Collezione privata, inedito. Fig. 2. Frammento di piatto in maiolica con scena mitologica in cui il gigante Anteo viene stretto da Ercole. Sul verso filature a lustro dorato e rossastro. Giacomo di Paoluccio (?), Gubbio, inizi XVI sec. cm 15 c. Museo Dicoesano di Urbania – Fondazione Corrado Leonardi, inedito. Parte III 118 I CIBI DA DISPENSA, CUCINA NEI GIORNI ORDINARI E NELLE FESTE si alterna alla spiritualità dei temi biblici e alle immagini della fede; dove l’erudizione del cliente soccorre l’inventiva del maestro; dove lo studio del corpo, del panneggio, della composizione ormai più intensamente influenzata dalle stampe che dalle xilografie ed anche dalle opere pittoriche trova la sua maggiore applicazione in una tavolozza sbalorditiva di toni e risultati, in una sicurezza di tocco, in una abilità di passaggi, in una nettezza d’espressione del colore non più raggiunta. Questi ‘istoriati’ […] sfoceranno poi nella grande e sontuosa scuola metaurense. Avendo a centro l’alta capitale dei Montefeltro – Della Rovere e propaggine a Pesaro, che vantava già un’antica tradizione essa risentirà delle opime protezioni della Corte di quel Ducato e dei generosi suggerimenti dei dotti che vi hanno raduno e per una generazione – dal 1530 al 1560 – farà quasi tutta l’Italia, può dirsi, una sua provincia.”489 Maioliche di così alto valore artistico, preziose quanto i metalli più pregiati, andavano ad ornare le tavole e le credenze di nobili, re e papi come testimoniano alcuni antichi documenti. Ad esempio il Signore di Pesaro Costanzo Sforza ne l478 donò un servizio di vasi in maiolica pesarese a Lorenzo de’Medici che per aver ricevuto un regalo simile da Galeotto Malatesti scrisse: “più li stimo che se fussino de argento, per esser molto excellenti et rari” e poi nel 1524 la duchessa di Urbino Eleonora Gonzaga scrisse a sua madre Isabella d’Este in merito ad una committenza precisa: “ho facto fare una credenza di vasi di terra, […] per havere li maestri de questo nostro paese qualche nome di lavorar bene”. Le maioliche istoriate quindi adornavano residenze prestigiose e probabilmente venivano messe in mostra su appositi mobili ma non è da escludere che si utilizzassero anche sulle mense come è ricordato in un documento del 1528 in cui Papa Clemente VII usò “piatti di terra depinta a figure” per pranzare con cardinali490. I pittori di maioliche assunsero un ruolo di prim’ordine nella vita culturale del Ducato di Urbino così non è difficile poter identificare in base a confronti stilistici e documentari personalità di spicco quali Guido Durantino, Nicola di Gabriele Sbraghe, Francesco Xanto Avelli da Rovigo e molti altri che coinvolsero anche noti pittori nella realizzazione di disegni appositi per istoriati, con scene mitologiche o ispirate alla classicità romana. Ad esempio i fratelli Zuccari491 di Sant’Angelo in Vado realizzarono disegni con le vittorie e i trionfi di Giulio Cesare per il servizio voluto da Guidobaldo II Della Rovere quale omaggio a Filippo II Re di Spagna, poi realizzato dall’atelier del maiolicaro urbinato Orazio Fontana. Ma se le maioliche istoriate rinascimentali glorificarono per secoli l’arte figulina del territorio compreso tra le valli del fiume Foglia e Cesano, entrando a far parte di collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, quale simbolo di una cultura raffinata ed elitaria intrisa di significati letterari e storici, una produzione meno raffinata e preziosa caratterizzò molti centri del territorio dell’odierna provincia di Pesaro e Urbino, senza soluzione di continuità. Durante il secolo XVIII si potrà assistere ad una rinascita della maiolica proprio in quegli stessi centri che conobbero fama e notorietà nel corso del Cinquecento. Pesaro si impose sui mercati regionali e nazionali con maioliche bianche decorate da variopinte composizioni floreali di cui la rosa ne diventò la “gemma” più preziosa, caratterizzata da toni color Fig. 3. Piatto istoriato in maiolica. La scena ritrae il toro in ottone realizzato da Perillo di Atene, mentre viene presentato al tiranno Felaride (Plinio, Naturalis historia, XXXIV, 34, 89). Urbino, 1543, Ø cm 25 c. Sul verso scritta in blu “De perillo 1543”. Museo Diocesano Albani, Urbino, inedito. Fig. 4. Crespina istoriata in maiolica con scena biblica. Urbino, 1565, Ø cm 30 c. Sul verso scritta in blu “David quado hebbe la [?] / che era morto il re saul / 1565”. Museo Diocesano Urbania - Fondazione Corrado Leonardi, inedito. “L’aratro, l’arola, l’aia: storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano” 119 rubino distribuiti quasi a spessore ed ottenuti con una cottura a terzo fuoco. A dare impulso a questo tipo di produzione raffinata fu l’introduzione ad ampia scala sui mercati europei delle porcellane orientali, che da sempre affascinarono le corti e i notabili del vecchio continente, spingendo artigiani e vasai ad emularne decori e forme prima di ottenere con sperimentazioni anche di tipo alchemico i candidi impasti. La moda imperante delle cineserie si impose sulle scelte produttive delle botteghe artigiane, costringendo i maiolicari ad un radicale rinnovamento degli schemi tradizionali decorativi alla volta di leziosi brani naturalistici. Anche le forme ceramiche diventarono più articolate seguendo gli stilemi dell’arte barocca e rococò come testimoniano numerosi manufatti della prestigiosa manifattura pesarese Casali e Callegari492 (Fig. 5). Sulla scia dei grandi risultati ottenuti dalle botteghe pesaresi, gli artisti iniziarono a tessere relazioni commerciali e lavorative con altre realtà sviluppando in alcuni casi vere e proprie manifatture che anche se di breve durata, come la Fabbrica Roletti di Urbino493, raggiunsero risultati di notevole pregio (Fig. 6). La poco conosciuta manifattura urbinate trovò committenze di prestigio in una città che nel corso del Settecento conobbe una sorta di rinascita culturale ed artistica, come testimoniano i sontuosi palazzi dalle sobrie facciate in laterizio. Ne è esempio meraviglioso Palazzo Albani che nasconde “un’anima ceramica” al suo interno: pavimenti realizzati con “tarsie” in cotto dagli impasti di diverso colore che formano composizioni geometriche, stemmi e cartigli, in sintonia con i pregevoli stucchi del Vanvitelli e le pitture murali di Carlo Roncalli e Alessio De Marchis. Ma anche Urbania conobbe una felice ripresa delle attività manifatturiere ceramiche nel corso del XVIII secolo continuando una tradizione in realtà mai cessata che proprio nel corso del Seicento aveva conosciuto personalità di spicco quali Ippolito Rombaldoni e Martino Giovanni Doix di Anversa. Quest’ultimo fu il padre del ben più noto Francesco Maria Doix che contribuì con Francesco Maria Scatena a diffondere l’arte figulina in tutta la Val Metauro, risollevandone le sorti economiche e culturali e caratterizzando fortemente i mercati rivolti “all’altra sponda, alla sponda dalmata e attraverso questa al mondo asburgico e greco”494. La circuitazione del vasellame urbaniese per i mercati territoriali e fuori regione era mediato dalle grandi fiere e dai mercati specie delle città marittime di Ancona, Senigallia e Fano. Lo stesso Francesco Maria Scatena nel 1746 si portò a Fano per dar vita alla produzione della fabbrica di Giacomo Ferri495 che produsse sia vasellame da mensa che maiolica “fina”. La vivacità culturale ed economica della città di Fano nel corso del XVIII secolo è ben documentata dalla presenza di chiese fastose e sontuosi palazzi496, quest’ultimi impreziositi da pregevoli dipinti di autori anche locali quali potevano essere le singolari nature morte di Carlo Magini. Nelle opere pittoriche del Magini si ha un’ampia panoramica del repertorio ceramico497 disponibile presso la bottega dell’artista che probabilmente riporta fedelmente quanto caratterizzava le cucine e le mense della sua città sul finire del Settecento. Si evidenzia innanzitutto come accanto a manufatti in semplice terracotta invetriata vengano inseriti oggetti in maiolica e in porcellana. Tra i numerosi oggetti in maiolica più volte ripresi con maestria dall’artista e riproposti secondo insolite inquadrature si trovano oggetti riconoscibili per decoro e forma: piatti sagomati con decori in monocromia blu e tazze da brodo Fig. 5. Calamaio con la personificazione del Tempo che regge un piccolo alloggiamento per l’inserimento di un orologio. Al di sotto del calamaio compare la scritta “Pesaro 1785”. Collezione privata. Fig. 6. Vassoio in maiolica. Sul verso scritta in blu “Urbino / F.a Roletti / 1772”. Urbino, Fabbrica Roletti, 1772. Museo Dicoesano di Urbania – Fondazione Corrado Leonardi, inedito. Parte III 120 I CIBI DA DISPENSA, CUCINA NEI GIORNI ORDINARI E NELLE FESTE decorate “alla rosa” di produzione pesarese, tazze da brodo con fiori “alla barbettina” avvicinabile a manifatture lombarde, boccali con paesaggi stilizzati e caffettiere marroni di probabile manifattura urbaniese. Merita invece una nota a parte il ricco repertorio di ceramiche d’uso in terracotta presente nelle diverse composizioni pittoriche. Essendo ben nota e apprezzata la produzione di terrecotte di Fratte Rosa, spesso si è cercato di ricondurre solo a questo centro i manufatti dipinti nelle nature morte ma in realtà in tutto il territorio provinciale ed in particolare nella Val Metauro erano presenti numerose botteghe artigiane come quelle di Barchi, Saltara, Fossombrone, Sant’Ippolito e Orciano498 che rifornivano i mercati e le fiere di stufarole, orci, pigne, tegami, scaldini e truffe. Questa breve “divagazione pittorica” permette di evidenziare come una capillare produzione di ceramica d’uso nel territorio provinciale dell’entroterra abbia costituito fino al secondo dopoguerra e prima dell’avvento massiccio dell’alluminio e della plastica, il perno di un’economia fiorente e d’eccellenza. I vasai hanno prodotto per secoli “una svariata miriade di oggetti dalle forme a volte anche bizzarre che accompagnano l’uomo nel suo vivere quotidiano da tempi remoti, difficilmente riconducibili a specifiche botteghe o classificabili cronologicamente. Ma in questi oggetti, comunque affascinanti per la materia povera e pesante, è la forma a dare loro vita e a prevalere sul decoro. Le forme pulite, a volte anche arricchite da applicazioni, fanno delle ceramiche popolari degli oggetti di designer, apprezzabili per aver coniugato la funzionalità all’essenzialità delle linee”499. Ne è un esempio il servizio da tavola realizzato per il ristorante “Furlo”, vicino ad Acqualagna, dalla bottega dei Fratelli Fabiani di Fratte Rosa, voluto per celebrare la visita di Benito Mussolini alla fine degli anni Trenta del secolo scorso (Figg. 7-8). In realtà la nota bottega frattese produsse nel corso degli anni diversi oggetti commemorativi per il piccolo locale di ristoro gestito dalla famiglia Candiracci che utilizzava le ceramiche come souvenir del luogo per nostalgici e curiosi. Il primo servizio realizzato per l’arrivo del Duce, rigorosamente di color nero con i noti riflessi metallici, fu esposto nella piazzetta antistante la chiesa parrocchiale di San Giorgio a Fratte Rosa e benedetto dal parroco come testimoniato da Olanda Fratini, proprietaria dell’antica fornace Pierangeli in località Fonte Romana500, dismessa nel 1942. La ricca produzione ceramica di Fratte Rosa è testimoniata dalle raccolte del locale “Museo delle Terrecotte” presso il Convento di Santa Vittoria, ma oggetti frattesi e di altri centri ancora poco studiati si possono ammirare anche al “Museo delle Terre Marchigiane” di San Lorenzo in Campo e al “Museo degli orci e orciai e Banda Grossi” di Barchi. Nel gergo popolare spesso questi oggetti d’uso vengono chiamati anche “cocci” o “terraglie” ma quest’ultimo termine è usato impropriamente in quanto identifica una particolare tipologia ceramica ad impasto chiaro e poroso, con rivestimento vetroso trasparente prodotto anche ad Urbania e a Pesaro nel corso dell’Ottocento. La terraglia chiamata “all’uso inglese”, molto ricercata sul mercato, costrinse Fig. 7. Cartolina. Passo del Furlo – Salottino del Ristorante Furlo dove mangiava B. Mussolini, Ed. Eredi Candiracci. Fototipia Berretta S. A. Terni. Collezione privata. Fig. 8. Piatto in terracotta verniciata realizzato per il ristorante “Furlo”. Sul verso scritta incisa sul manufatto crudo “F.lli / Fabiani / Fratte Rosa / (Pesaro)”. Fratte Rosa, F.lli Fabiani, 1940 c., Ø cm 23 c. Collezione privata, inedito. “L’aratro, l’arola, l’aia: storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano” 121 l’industria figulina italiana per ragioni economiche e commerciali ad accoglierla e farne un prodotto appetibile, quanto più accostabile agli originali anglosassoni, leggeri, bianchi e raffinatissimi. Ad Urbania si iniziò a produrre terraglia bianca e poi a decorarla a decalcomania già dal 1820 con la fabbrica Casa Albani che cessò l’attività nel 1892501. La terraglia permetteva anche di realizzare “ricami” ottenuti traforando i bordi dei calamai, delle fruttiere, dei sottobottiglia e degli scaldini, dando agli oggetti una maggiore leggerezza ed un’eleganza in piena sintonia con il gusto neoclassico imperante specie nella Pesaro del primo Ottocento, in cui oltre alla già ricordata fabbrica Casali e Callegari, operavano le ditte Ignazio Callegari e Benucci e Latti che produssero anche la terraglia “marmorata” ottenuta impastando in modo similare alle venature dei marmi terre di diversa riuscita cromatica nella cottura502. Negli anni Ottanta del XIX secolo, un giovane artigiano, Vincenzo Molaroni, già impiegato nelle fabbriche pesaresi di terraglie, iniziò a sperimentare una produzione variopinta ad imitazione delle maioliche rinascimentali, abbandonando le delicate decorazioni monocrome e le ceramiche color avorio, imponendosi sul mercato quale principale artista in linea con il nuovo gusto storicistico e floreale che caratterizzerà il primo Novecento503. La ditta Molaroni si impose sul panorama ceramico nazionale partecipando a numerose mostre ed esposizioni artistico-industriali ed ebbe il merito di “allevare” numerosi giovani artigiani artisti che se dapprima si formarono creando forme e decori ormai consolidati della tradizione come le raffaellesche e l’istoriato rinascimentale o la rosa e la margherita settecentesca, poi crearono sull’impulso moderno delle tendenze artistiche nazionali degli anni Cinquanta504 opere dai toni marcati e dalle linee geometriche (Fig. 9). Tutt’oggi nel territorio provinciale si formano giovani artisti505 o personaggi già noti del panorama culturale italiano si avvicinano al mondo della ceramica raggiungendo anche posizioni di rilievo essendo riconosciuti da autorevoli critici e arricchendo con le loro opere sia collezioni pubbliche che private. Di sicuro riferimento anche per le nuove generazioni è l’enorme retaggio culturale che si è sedimentato nei borghi di campagna, essi stessi piccoli gioielli di mattoni quindi di terracotta, o nei ricchi musei civici e diocesani delle città di lunga tradizione, veri e propri scrigni di tesori ceramici tutti da scoprire. Il territorio provinciale di Pesaro e Urbino è un giacimento di “terre d’arte” pronte per essere plasmate e dare forma ad oggetti che con i loro “contorni rotondeggianti richiamano i crinali delle nostre colline, … dolci declivi a volte inattesi che possono sparire in una macchia verde di un querceto o perdersi nell’orizzonte azzurro del mare… e ad un tratto la terra genitrice diventa donna, madre, amante e figlia di un mondo contadino ormai lontano…”506 (Fig. 10). Fig. 9. Vaso in maiolica. con “Vittoria alata” sul litorale di Pesaro. Nel verso scritta: “A.M.A. / PESARO / * / E. Sora”. Pesaro, Elso Sora, 1950 c., h. cm 29. Collezione privata, inedito. Fig. 10. Scultura ceramica. Agrà (Natale Patrizi), “Venere Nera”, 1999, h. cm 20 c. Collezione privata, inedito. “L’aratro, l’arola, l’aia: storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano” 255 Annamaria (San Giorgio di Pesaro, 1917) sostiene che l’aggiunta di “un litro di latte(tiene giù)”. Elda (Barchi, 1931) 437 V. VALENTINI, Tutti a tavola: le ricette della provincia pesarese, Fano 2004, p. 270 438 A. NEBBIA, Il cuoco maceratese, a cura di E. H. ERCOLI, Macerata 2004, p. 242. 439 A. RONDINI, S’l’arola, Roma 1991, p. 266. Anche in questo testo si riporta il ciambellone “arlecchino”. 440 Graziella (Sant’Andrea di Suasa, 1948) 441 J. DICKIE, Con gusto: storia degli italiani a tavola, Roma - Bari 2008, p. 230 442 Olanda (Montalfoglio di San Lorenzo in Campo, 1930) 443 Si fa riferimento a COMUNITÀ MONTANA DELL’ALTA VALLE ESINA, Antologia della cucina popolare, cit., p.149 444 Luisa (Serrungarina, 1949) 445 Ulderica (Pergola) 446 Olanda (Montalfoglio di San Lorenzo in Campo, 1930) 447 Luigia (Saltara, 1916) 448 A. RONDINI, cit., p. 268. 449 V. VALENTINI, Tutti a tavola: le ricette della provincia pesarese, Fano 2004, p. 273 450 Ottorina (Pergola, 1934) 451 V. AGNOLETTI, Manuale del cuoco e pasticciere di raffinato gusto moderno, Pesaro 1832, vol. II, p. 76. 452 Archivio Privato Bellagamba di San Lorenzo in Campo, Ricettario manoscritto, 1930 circa 453 D. BORETTI – T. LUCCHETTI, La cucina dei conventi e dei monasteri. Ricette golose tra sacro e profano, Bari 2007, p. 90. 454 Giuseppa (Mondavio, 1919) 455 Giuseppa (Mondavio, 1919) 456 Giuseppa (Mondavio, 1919) 457 Giuseppa (Mondavio, 1919); Teodolinda (Cagli, 1928) assortiva così le misticanze cotte, “pappatele, gruspigni, lassene, grugni, spragne, pisciacani, barbabietola” 458 Silvana (San Lorenzo in Campo, 1944) 459 Giuseppa (Mondavio, 1919) 460 Marina (Isola del Piano, 1935) 461 Annamaria (San Giorgio di Pesaro, 1917) 462 Dina (San Lorenzo in Campo, 1928) 463 Giuseppa (Frontone, 1918) e Pierina (Frontone, 1915) 464 Stella (Pergola, 1920) 465 Rina (Orciano, 1936) 466 Lodovina (Barchi, 1924) 467 Assunta (Sant’Ippolito, 1938) 468 Rina (Orciano, 1936) 469 Veridiana (Montemaggiore, 1928) 470 Silvana (San Lorenzo in Campo, 1944); questa la sua ricetta: 6 uova, farina e si condiva con il sugo di coradella e maghetti di pollo, la cottura avveniva nel forno a legna. 471 Silvana (San Lorenzo in Campo, 1944) 472 Maria (Frontone, 1934) 473 Anna (Frontone, 1920) 474 Adelise (Pergola, 1941) 475 Grazziana (Cagli, 1947) 476 Mariella (Montesecco di Pergola, 1942) 477 Olanda (Montalfoglio di San Lorenzo in Campo, 1930) 478 Lucia (Sassoferrato, 1908) 479 Antoniana (Pergola, 1937) 480 Teodolinda (Cagli, 1928) 481 Teodolinda (Cagli, 1928) 482 Cfr. C. FIOCCO C. – G. GHERARDI G., Profilo storico della maiolica durantina nel secolo XVI, in C. FIOCCO - G. GHERARDI (a cura di), La Maiolica Rinascimentale di Casteldurante, Jesi, 1997, pp. 13483 T. WILSON, Committenza roveresca e committenza delle botteghe maiolicare del Ducato di Urbino nell’epoca roveresca, in P. DAL POGGETTO (a cura di), I Della Rovere. Piero della Francesca. Raffaello. Tiziano, Milano, 2004, pp. 203-209. 484 Cfr. P. BERARDI, L’antica maiolica di Pesaro, dal XIV al XVII secolo, Firenze, 1984; A. Ciaroni, Maioliche 435 436 Parte I 256 NOTE del Quattrocento a Pesaro. Frammenti di storia dell’arte ceramica della bottega dei Fedeli, Firenze, 2004. 485 Cfr. C. PAOLINELLI, Maioliche quattrocentesche nel Museo Civico di Fano, Fano, 2003; C. Giardini, Per una storia della ceramica a Fano (secc. XIV-XVII), in Maiolika-Keramos. Ceramiche restaurate del Museo Civico dal XIV al XVII secolo, <Quaderni del Museo>, n. 1, Fano, 2008, pp. 17-34. 486 Cfr. A. L. ERMETI - D. SACCO (a cura di), Il castello di Montecopiolo nel Montefeltro. Ricerche e scavi 20022005, Pesaro, 2006. 487 Cfr. C. DE SANTI - C. PAOLINELLI, La maiolica a Mondavio dal XV al XVI secolo, in corso di preparazione. 488 Cfr. C. FIOCCO - G. GHERARDI, Li tre libri dell’arte del vasaio di Cipriano Piccolpasso: nei quai si tratta non solo la pratica ma brevemente tuttoi gli secreti di essa cosa che per sino aldi d’oggi e stata sempre tenuta ascosta del cavalier Cipriano Piccolpasso. Facsimile del manoscritto di Cipriano Piccolpasso, Vendin-leVieil, 2007. 489 G. BALLARDINI (a cura di), Corpus della maiolica italiana. Le maioliche datate fino al 1530, I, Roma, 1933, p. 19. 490 Cfr. T. WILSON, Breve storia del collezionismo della maiolica, in: T. WILSON - E. P. SANI (a cura di), Le maioliche rinascimentali nelle collezioni della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia, Città di Castello, 2007, pp. 11-28. 491 C. ACIDINI LUCHINAT, Taddeo e Federico Zuccari, fratelli pittori del Cinquecento, vol. I, Milano-Roma, 1998, pp. 79-102. 492 Crf. C. GIARDINI, Ceramica pesarese nel XVIII secolo. La manifattura Casali e Callegari (1763-1816), Montorio, 1995. 493 La produzione della Fabbrica Roletti è attestata in Urbino dal 1771 al 1790. Cinque pezzi firmati sono conservati al Museo di Palazzo Madama a Torino ed uno al Victoria and Albert Museum di Londra. Cfr. L. MALLÈ, Maioliche italiane dalle origini al Settecento, Milano, 1974, tav. 80; B. RACKAM, Catalogue of italian maiolica, London, 1940, n. 1264. Sulla base dei confronti con le maioliche firmate ad oggi si possono ricondurre alla manifattura urbinate anche alcuni oggetti in collezione privata privi di firma come la caffettiera comparsa recentemente ad un’asta di Sotheby’s a Milano (Collezione Vivolo - 13 novembre 2007). Per le indicazioni documentarie cfr: G. ANDREA LAZZARINI, Notizie intorno al fabbricar la maiolica fina raccolta dal canonico Gianandrea Lazzarini parte in Roma, parte dal Sig. Filippo Antonio Callegari e molto più dal Sig. Roletti, Professore di detta manifattura nelle fabbriche di Torino e Milano, Pesaro, 1879. Manoscritto, Biblioteca Oliveriana di Pesaro; E. BIAVATI, Gianandrea Lazzarini di Pesaro pittore, ceramologo, sperimentatore di porcellane (1710-1801), <Faenza>, LX, IV-VI, 1974, pp. 117-120; V. ALBERINI, La rinascita delle ceramiche a Pesaro nel Settecento e l’opera mediatrice di Giovanbattista Passeri e Gianandrea Lazzarini: tre lettere inedite (1755-1760), <Faenza>, LXXXIV, I-III, 1998, pp. 117-133. 494 C. LEONARDI, La maiolica di Urbania nel Settecento, in C. LEONARDI (a cura di), Maioliche del ‘700 tra Urbania e Pesaro, Sant’Angelo in Vado, 1987, p. 20. 495 Cfr. L. CAMPANELLI, L’arte della ceramica a Fano nel XVIII secolo, <Faenza>, n. I-III, a. LXXXV, 1999, pp. 127-143; C. PAOLINELLI, Un corredo ceramico della ‘Schola di san Michele’ in Fano, in G. VOLPE (a cura di), Il complesso monumentale di S. Michele a Fano, Fano, 2008, pp. 68-77. 496 Cfr. C. PAOLINELLI, Palazzo Montevecchio in Fano: considerazioni su alcune nuove testimonianze storiche e gli inediti documenti dal modello ligneo della Federiciana, <Nuovi Studi Fanesi>, n. 20, Fano, 2006, pp. 39-60. 497 Cfr. G. C. BOJANI, Per uno studio delle ceramiche in Carlo Magini, in: R. BATTISTINI - B. CLERI - C. GIARDINI, et alii (a cura di), L’anima e le cose. La natura morta nell’Italia pontificia nel XVII e XVIII secolo, Modena, 2001, pp. 50-51. 498 Cfr. G. VOLPE, Sulle tracce dei vasai. Laboratori, fornaci, artigiani, mercati tra Metauro e Cesano, Fano, 2008. 499 C. PAOLINELLI, Ceramiche d’uso, in Calendario 2009, Associazione Amici della Ceramica di Pesaro, Urbania, 2009. 500 Oggi in località Fonte Romana si trova un piccolo “borghetto” realizzato in mattoni e pietra arenaria, databile dal 1710 al 1734 (come testimoniano antichi mattoni incisi) e caratterizzato da una torre colombaia, un forno e un mulino da olio in pietra. Cfr. D. SACCO, I borghi di terracotta, V, Pesaro, 2007, pp. 113-117. 501 Cfr. C. LEONARDI (a cura di), Maiolica metaurense 1800-1940, Urbania, 1997. 502 Cfr. G. BISCONTINI UGOLINI, Ceramiche pesaresi dal XVIII al XX secolo, Casalecchio di Reno, 1986. 503 Cfr. L. L. LORETI - J. LORETI, Ceramiche Artistiche Molaroni. Storia della fabbrica dal 1880 ai giorni nostri, Milano, 1998. 504 Cfr. L. L. LORETI (a cura di), Un’esplosione di forme e di colori. Ceramiche pesaresi dal 1950 al 1960, Urbania, 2003. “L’aratro, l’arola, l’aia: storie e memorie di tradizioni, colture, cucine e feste tra Metauro e Cesano” 257 Cfr. Kéramos a Palazzo Gradari. La ceramica delle Associazioni, Urbino, 2008. C. PAOLINELLI, Agrà: un artista conterraneo, in C. PAOLINELLI (a cura di), Mondolfo. La terra di Agrà, Fano, 2007, p. 5. 507 I manoscritti sono in corso di pubblicazione a cura di U. BELLESI, T. LUCCHETTI, A.M. NAPOLIONI. 508 Cfr. V. LANCELLOTTI, Lo scalco prattico, Roma 1627, rist. anast. Sala Bolognese 1994; A. LATINI, Lo scalco alla moderna, 2 voll., Napoli 1692, rist. anast. Lodi 1992; il trattato di V. MATTEI (Teatro nobilissimo di scalcheria, Roma 1669) non è mai stato ristampato, né in anastatica né in altre edizioni. 509 Cfr. C. BENPORAT, Storia della gastronomia italiana, Milano 1990, p. 276 e segg. 510 Su questa antica raccolta libraria pergolese cfr. M. TENTI, La storia della Biblioteca Guazzugli – Marini di Pergola nei dati della statistica delle biblioteche del 1869, <Anicò: Rivista della Società Studi Storici Cesanensi>, 2, 2003, pp. 149-156. 511 A.NEBBIA, Il cuoco maceratese, a cura di E. H. ERCOLI, Macerata 2004 512 Il cuoco delle Marche, Loreto 1861. Cfr. Il cuoco delle Marche, in in Le Marche a tavola: la tradizione gastronomica regionale, a cura di R. NOVELLI, Ancona 1987, pp. 89-106 513 Il cuoco perfetto marchigiano, a cura di E. FACCIOLI, Ancona 1982. 514 C. LEONARDI, La cucina borghese del Montefeltro nel XIX secolo: il ricettario della famiglia Feligiotti di Urbania, in Le Marche a tavola: la tradizione gastronomica regionale, a cura di R. NOVELLI, Ancona 1987, pp. 149-164 515 F. PELOSI, Il ricettario di Annita Spongia Fucci, in Ricette del Settecento: un manoscritto fanese del XVIII secolo trascritto da Annita Spongia Fucci, a cura di R. MANNA e F. PELOSI, dipinti e bozzetti di M. FUCCI, Fano 2005, p. 23. 516 Ricette del Settecento: un manoscritto fanese del XVIII secolo trascritto da Annita Spongia Fucci, a cura di R. MANNA e F. PELOSI, dipinti e bozzetti di M. FUCCI, Fano 2005 517 Archivio privato famiglia Luchetti, Isola del Piano, [ricettario] 518 Alma (Monastero di Montebello di Isola del Piano, 1924) 519 Alma (Monastero di Montebello di Isola del Piano, 1924) 520 Elisabetta (Isola del Piano, 1949) 521 Alma (Monastero di Montebello di Isola del Piano, 1924) 522 Alma (Monastero di Montebello di Isola del Piano, 1924) 523 Marta (Fratte Rosa, 1927) 524 Luigia (Saltara, 1916) 525 S. APHEL BARBINI, Così mangiavamo: cinquant’anni di storia italiana fra tavola e costume, Roma 2006, pp. 41-42. 526 P. MONTECCHINI, La strada Flamina detta del Furlo e i luoghi da essa attraversati nel tratto da ponte Voragine alla città di Fano, Pesaro 1879, ristampa anastatica a cura di M.LUNI, Pesaro 1993, p. 43: “Anticamente invece, con più comodità, eravi sicuramente un’osteria che diede nome al ponte, essendo noto che di queste tabernae ve n’erano parecchie sulle strade pubbliche nelle quali, come nelle popinae, il viandante trovava di che rifocillarsi e…qualche altra cosa. Vi erano poi anche, sebbene alquanto più rade, le Cauponae, dove inoltre si dava alloggio; ed abbiamo ancora tra Pesaro e Urbino, un’osteria che, col vocabolo corrotto di Cappone, conserva ancora il nome e l’uso antico”. 527 Cfr. G. GORI, Taverna, Casalis Tavernula, Tavernelle, in P. SANCHIONI – M. PIERBONI, Da Tavernelle a Serrungarina per Brisighella, Urbania 1993 528 P. SANCHIONI – M. PIERBONI, Da Tavernelle a Serrungarina per Brisighella, Urbania 1993, p. 21 529 Sezione Archivio di Stato di Fano, Notarile: notaio Ludovico, 141v., 1523; ; da P. SANCHIONI – M. PIERBONI, Da Tavernelle a Serrungarina per Brisighella, Urbania 1993 530 V. VALENTINI, Tutti a tavola: le ricette della provincia pesarese, Fano 2004, p. 140. 531 Veridiana (Montemaggiore, 1928) 532 A. RONDINI, cit., p. 199. 533 Irma (San Lorenzo in Campo, 1920) 534 Angela (Pergola, 1929) 535 Wilma (Mondavio, 1920) 536 Marta (Fratte Rosa, 1927) 537 Luigia (Saltara, 1916) 538 Olanda (Montalfoglio di San Lorenzo in Campo, 1930) 539 Marina (Isola del Piano, 1935) 540 Rina (Orciano, 1936) 541 Annamaria (San Giorgio di Pesaro, 1917) 505 506