Una vita in pista - Ouverture Edizioni
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Una vita in pista - Ouverture Edizioni
AndreA CordovAni Una vita in pista RAUL MICHELI L’uomo, La Passione, Lo Sport © 2012 Ouverture Service 1 2 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 3 Momenti di vita, racconti ed esperienze che, arrivando a toccare nel profondo l’animo umano, riescono a non farci dimenticare che “l’essenziale è invisibile agli occhi” e che “non si vede bene che col cuore”. Passaggi di vita, spesso radicali e difficili, ma che portano ad apprezzare “il colore del grano”. Con il patrocinio di: Una Vita in pista. Raul Micheli: L’uomo, la passione, lo sport Testi: Andrea Cordovani Progetto grafico e impaginazione: Ouverture Service Foto di prima e quarta di copertine e appendici: Sante Roberto Tisato Ouverture Edizioni Via Fermi 3, Loc. La Botte 58020 Scarlino (GR) Tel: 0566 2301 - Fax: 0566 230200 Web: www. ouverturedizioni. it E-mail: info@ouverturedizioni. it © 2012 Ouverture Service Tutti i diritti sono riservati, in Italia e all’Estero, per tutti i Paesi. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma senza autorizzazione scritta da parte dell’Editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge. 4 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 5 Introduzione Giri di pista Raul Micheli è stato un simbolo per i tifosi del Follonica ma, più in generale, per molti giovani della generazione degli anni Settanta e Ottanta: almeno per quelli di loro che amavano la poesia dell’hockey su pista e delle sfide a cielo aperto. È una storia avvincente che non può essere scritta come un romanzo, essendone ancora vivi molti dei protagonisti che si sentirebbero privati del diritto del vero di fronte a qualsiasi licenza narrativa. Raul Micheli è stato un allenatore campione del Mondo. Forse il commissario tecnico della Nazionale più discusso, nonostante un titolo iridato artigliato. È un racconto di vita che riporta indietro con il tempo e si sviluppa in un contesto generale ogni volta sempre più pieno di storie e personaggi. A dieci anni dalla sua morte il suo ricordo è ancora vivo. Gli è stato intitolato un palazzetto dello Sport, il suo nome è legato al Torneo delle Regioni, è rimasto l’ultimo allenatore dell’Italia a conquistare un campionato del Mondo. Ma non sono solo questi i motivi che hanno portato a scrivere un libro su di lui. Delle sue imprese in pista se n’è sempre parlato e forse straparlato. L’unica cosa certa è che il passaggio di Raul Micheli nel pianeta hockey pista ha lasciato la sua impronta evidente consegnando al Mondo la figura di un personaggio amato e discusso come pochi. 6 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 7 Ripercorrere la sua storia è stato avvincente e ha riportato a galla racconti belli, tristi e maledetti. Leggende di paese, testimonianze dirette, ritagli di giornale. Non ci sono solo questi ricordi a riscrivere la vita del giocatore che con la maglia numero 7 ha fatto innamorare torme di tifosi e impazzire schiere di rivali. Le sfide contro Antonio Livramento, il più grande di tutti. I tunnel irriverenti alla stella argentina Daniel Martinazzo. Le sue esperienze con la maglia della Nazionale. La sua vita da pascià a Roma con l’Aeronautica Militare che se ne andava in trasferta con gli Ercules C130. Le partite vinte da solo. Le prime esperienze da allenatore. La telefonata del presidente della Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio Sabatino Aracu che sembrava uno scherzo e invece era tutto vero. Il suo arrivo alla guida dell’Italia dopo i trionfi di Gianni Massari. I veleni di quei giorni. Le storie tese degli inizi. L’arrivo di Luca. La strepitosa avventura di Wuppertal. La sua Nazionale campione del Mondo. La vita da leader. E lo schiaffo più brutto che potesse regalargli il destino. Sono solo alcuni degli appunti nel viaggio del lettore ripercorsi con dovizia di particolari da chi ha vissuto al suo fianco e condiviso innumerevoli avventure. Raul Micheli è stato un amico leale e l’ideale per innamorarsi di uno sport che con lui diventava spesso imprevedibile. È stato l’eroe dietro al quale nascondersi, un moschettiere che lottava contro i mulini a vento, il piccolo mito di un paese che diventava sempre più grande al pari della crescita demografica. Raul Micheli è stato Follonica, l’Italia e il Mondo. Raccontare la sua storia è come riscoprirsi un po’ bambini, fermare l’inesorabile macchina del tempo, riscoprire le cose belle e brutte di una volta. Si parte dal punto più alto. Siamo a Wuppertal, in Germania. Raul Micheli è il terzo allenatore italiano a regalare il quarto titolo iridato all’Italia dell’hockey su pista. Chi l’avrebbe mai detto? 8 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 9 Una vita in pista Raul Micheli L’uomo, La Passione, Lo Sport 10 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 11 1° capitolo UN MONDIALE VINTO IN GARAGE Occhi assonnati imprecano alla levataccia mattutina. Fette biscottate colme di marmellata e un caffèlatte non agitano il risveglio di giocatori abituati a tirarsi su dal letto all’ora dei signori. A rendere elettrica l’atmosfera in un anonimo albergo di Wuppertal, cittadona del bacino della Ruhr, ci ha appena pensato Raul Micheli. Ha il viso più tirato del solito, il mister. “Ragazzi sono stato sveglio tutta la notte. Adesso finite di fare colazione: tra dieci minuti ci vediamo giù nel garage dell’hotel. Vi voglio in tuta e scarpette. Stamattina ci dobbiamo per forza arrangiare!” 21 settembre 1997. Siamo in Germania. Tra poche ore si gioca Italia - Argentina. Ed è la finalissima del campionato del Mondo. Il commissario tecnico più discusso nella storia della Nazionale di hockey su pista non ha chiuso occhio. Ha trascorso la notte a pensare a Velasquez e Montserrat, a Gaby Cairo e David Paez, Facundo Salinas e Carlitos Lopez. A un certo punto passata in rassegna tutta la formazione albiceleste aveva anche sorriso. Se qualcuno gli avesse detto anni prima che si sarebbe ritrovato a soffrire per una partita di hockey l’avrebbe sonoramente invitato ad andare a quel paese. La tivù aveva mandato in onda ossessivamente una compilation di puntate dell’Ispettore Derrik: Wuppertal era proprio la città 12 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 13 di nascita di Horst Tappert, l’attore con impermeabile, capelli impomati, occhiali e sguardo buono che risolveva anche i casi impossibili. Anche quello di Micheli, per molti, era un caso impossibile. Già battuta nel girone di qualificazione dall’Argentina, l’Italia aveva reagito alla grande raggiungendo la finale. E adesso che gli azzurri avrebbero riaffrontato i sudamericani cresciuti nel nostro campionato come sarebbe andata a finire? “So per certo che gli argentini hanno analizzato i nostri schemi e il nostro gioco. Velasquez e Montserrat hanno giocato nel mio Follonica. Sanno come la penso e come mi muovo. Dobbiamo fare qualcosa per sorprenderli. Io questa finale la voglio vincere e credo anche voi!” Non ci sarebbe stato niente di strano nelle parole di Raul se queste non fossero state pronunciate in un garage, dove era stata sistemata una porta, con i giocatori stecca in mano e senza pattini. Una scena comica per una squadra a un passo da un titolo iridato. Era diventata la sua ossessione l’Argentina. “Questi pensano di fregarmi ma stavolta lo scherzetto glielo farò io! - Fu la sua considerazione - È impossibile cambiare gli schemi: ormai quelli sono collaudati da anni di allenamenti. Dobbiamo però mutare la loro posizione di partenza.” E chi l’avrebbe mai detto? “Ho 44 anni, un figlio piccolo e ho speso la mia vita in giro per le piste. L’hockey è sempre stato al primo posto della mia esistenza. Ho debuttato in Serie A a 15 anni. Da giocatore non ho mai vinto un cazzo e adesso sono qui a giocarmi il campionato del Mondo. So che un’occasione così non ricapita!” Le confessioni le aveva riservate a un amico giornalista della sua città, Follonica, dove non era mai stato un uomo ma un mito. Aggiungeva: “Devi vedere come mi prendono per i fondelli “Pancho” e Raul dopo che ci hanno battuto. Stasera ce li faccio rimanere male!” 14 © 2012 Ouverture Service Al clic, fine della comunicazione, Micheli aveva definitivamente dato il rompete le righe ai suoi. La seduta di allenamento in garage era conclusa. Per battere l’ansia da prestazione era sufficiente un po’ di relax. Non è soltanto un luogo comune: i grandi giocatori in momenti come questi sanno solo esaltarsi. Da mesi gli azzurri ci avevano dato dentro. Scottata dal secondo posto nell’Europeo di Salsomaggiore, la truppa di Micheli guardava al Mondiale tedesco quasi con sospetto. Di sicuro non partiva favorita. Dario Rigo, trissinese, classe 1970, difensore con licenza di segnare, era il capitano coraggioso di quella Nazionale: “La nostra preparazione in vista dei Mondiali 1997 era stata eccezionale sia dal punto di vista tecnico-tattico che fisico. Eravamo più potenti rispetto al passato. Consapevoli delle nostre forze. Ci conoscevamo a memoria.” Il parto dei dieci da portare a Wuppertal era stato travagliato. Il grande escluso era stato Enrico Mariotti: tutti gli altri, infatti, erano stati riconfermati. Dai portieri Cunegatti e Ventra, ai fratelli Alessandro e Alberto Michielon, da Alessandro Bertolucci a Rigo, da Orlandi a Polverini e Amato. L’unica faccia diversa era stata quella di Gianluigi Bresciani, per tutti “Gigio”, fortemarmino figlio e nipote d’arte tornava in Nazionale dopo le esperienze di Madeira e Recife. Come undicesimo col solo fine di fargli fare esperienza, Raul aveva poi aggregato Valerio Antezza, materano tutto genio e fosforo, ragazzino con un potenziale enorme. “Avevo appena 18 anni e il CT mi convocò a Fanano nell’Appennino modenese per il raduno in preparazione di quel campionato del Mondo. Io all’epoca giocavo nella Juniores. Nessuno da anni considerava più i ragazzi da inserire nella squadra maggiore. Lui lo stava facendo. E questa cosa me lo fece vedere con occhi diversi.” Era stato tristissimo per Micheli il ritiro di Fanano. Giorni disperati dopo la morte di sua madre Liana, la mamma tifosa e appassionata. L’aveva persa alla vigilia del suo secondo © 2012 Ouverture Service 15 mondiale da allenatore dell’Italia. Lei, che con occhi estasiati l’aveva seguito e ammirato da giocatore, se n’era andata vedendolo comunque pieno del solito inguaribile entusiasmo. Faticava a farsene una ragione e cercava negli occhi vispi del figlio Luca, in quelli dolci della moglie Franca e in quelli feriti di babbo Edo le immagini per andare oltre e trovare quella forza inevitabile per andare avanti. Da quattro anni era alla guida della Nazionale maggiore: la sua vita come commissario tecnico non era stata semplice. Era arrivato in un periodo balengo. Dopo l’epopea di Gianni Massari, il professore pugliese maniaco della tecnica, vincitore di due campionati del Mondo, un Europeo e con una compilation infinita di titoli con le Nazionali Juniores e Giovanili. Dopo un Olimpiade solo illusoria e chiusa con una medaglia di bronzo. Dopo la cacciata del Professore e quella successiva di Giovanni Innocenti che aveva visto sfuggire quello che avrebbe potuto essere il quarto Mondiale nella storia dell’hockey su pista italiano solo ai rigori in finale contro il Portogallo. Comunque la vedesse, Raul era sempre arrivato dopo. La storia fino a quel momento l’avevano scritta altri. Lui dalla sua Follonica aveva sempre guardato tutto con molto distacco. Ma poi c’era stata una telefonata. “Ma che cazzo dici?” Era stata questa la risposta di Micheli alla domanda “Vuoi fare il CT della Nazionale?” postagli dal suo ex commilitone Sabatino Aracu divenuto, nel frattempo, presidente della Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio. Ma poi era partito un progetto di rilancio che non aveva guardato in faccia nessuno. Giocatori di 28 anni e con una bacheca infolgata di ogni tipo di cimelio erano stati messi ai margini. Altri avevano puntato i piedi. Molti s’erano pure stupiti per la sua nomina. “Ma che cazzo ha mai vinto Raul Micheli?” 16 © 2012 Ouverture Service Era stato un giocatore di grandissimo talento. Un “fuoriclasse”, per molti. Il simbolo, la bandiera, l’eroe del Follonica. Quello che nelle serate da star non ce n’era per nessuno. Anche se si chiamavano Antonio Livramento, Daniel Martinazzo, Antonio Zabalia ed erano le stelle più splendenti del firmamento. Talento irriverente e discontinuo, aveva collezionato pochi scalpi. Due Coppa Italia (anche se sarebbe più giusto dire una e mezzo visto che sentendosi già sconfitto non partecipò alla finale di Giovinazzo), una Coppa di Lega. Aveva giocato con la Nazionale Juniores tre campionati d’Europa e disputato con la Nazionale Seniores al Torneo Montreaux prima della trasformazione dell’Italia in una sorta di esclusiva Lega Veneta. Era stato un grande giocatore. Ma senza mai vincere come gli altri. Bronzo agli Europei di Madeira, quinto posto al Mondiale di Recife, argento all’Europeo di Salsomaggiore. Non c’erano ancora i fucili puntati ma le munizioni erano già state caricate e neanche messe in sicura. Wuppertal, insomma, era divenuto lo snodo cruciale per misurare le capacità del tecnico maremmano consapevole di avere a disposizione una squadra forte che aveva tutto per diventare esplosiva. Certo le altre continuavano a far paura. I campioni del Mondo dell’Argentina erano sicuramente i più temuti. Soprattutto da Raul, affascinato dai gesti tecnici di certi giocatori sudamericani. Ma anche le altre non scherzavano. Il Portogallo che aveva battuto l’Italia l’anno prima a Salsomaggiore non poteva non incutere timore. E agitava anche la Spagna che dopo la cacciata di Andres Carames lanciava in panca Miquel Umbert. “Con gli iberici, però, abbiamo una tradizione davvero positiva. - Spiegava Micheli nei lunghi giorni di vigilia - È vero che loro ci hanno battuti nelle semifinali a Madeira anche se ai rigori. Ma tutte le altre volte abbiamo sempre vinto. Sono quelli che fanno maggiore fatica contro il nostro gioco.” Mentre in Italia ci si accapiglia per mettere le mani sull’in-line © 2012 Ouverture Service 17 che sta togliendo interesse e ossigeno al pattino tradizionale servirebbe proprio un trionfo iridato per una specialità che sembra quasi in caduta libera. I palazzetti sono sempre più vuoti. E i nostri giocatori più bravi stanno tessendo accordi per un futuro all’estero. Era composta da 19 elementi la spedizione che dal 13 al 21 settembre 1997 avrebbe preso parte del campionato del Mondo che tornava in Germania dopo la bellezza di 61 anni. La prima edizione dei Mondiali di hockey pista era andata in scena a Stoccarda nel 1936, la preistoria di uno sport che aveva regalato tre titoli iridati all’Italia. Del primo, quello del 1953 a Ginevra, Raul ne aveva sentito parlare da Ferruccio Panagini, uno dei leoni di quell’avventura quando aveva scelto di andare a prendere la pensione nelle fila del Follonica e lui era solo un ragazzino secco e vivace. E altri particolari glieli aveva forniti anche Luigi Dagnino, un altro eroe di quella spedizione, che da CT della Nazionale nel 1973 convocò Micheli a Montreaux. Degli altri due titoli sapeva abbastanza. L’era Massari era stata la più sconvolgente e trionfale nella storia della Nazionale. Ora toccava a lui. Ne discuteva spesso in ritiro coi suoi ragazzi e anche con uno staff tecnico composto da nove personaggi. Oltre al capodelegazione Claudio Bicicchi, c’erano il preparatore atletico Pietro Damonte, il preparatore dei portieri Eros Merlo, il meccanico Luigi Vigotti, il fisioterapista Giuseppe Mecchelli, il medico Angelo Pizzi, il componente organizzativo Alessandro Pardini. Erano dodici le squadre al via del Mondiale di Wuppertal divise in due gironi. Del Gruppo A facevano parte con l’Italia anche l’Argentina, la Spagna, l’Angola, la Francia e l’Olanda. Un girone di ferro. Molto più tosto del Gruppo B dove il Portogallo non avrebbe avuto alcun tipo di problema contro Germania, Brasile, Svizzera, Stati Uniti e Colombia. Con i suoi 3000 spettatori il Palasport dell’Università diventava 18 © 2012 Ouverture Service così la maggiore attrazione degli azzurri. Superava di gran lunga anche la Schwebebahn, la ferrovia monorotaia sospesa e imponente, la caratteristica attrazione di Wuppertal, situata nel Land della Renania Settentrionale - Vestfalia. L’impatto col Mondiale era stato dolcissimo. 15 a 1 all’Angola, 6 a 1 alla Francia. Al terzo turno era già tempo di grossi esami per l’Italia che trovava sulla sua strada la Spagna reduce da uno stupendo pareggio contro l’Argentina. Micheli aveva disegnato il suo quintetto iniziale con Cunegatti, Rigo, Alessandro Michielon, Polverini e Alessandro Bertolucci asfaltando (5 a 2) le furie rosse. “Il primo tempo è stata la croce della Spagna. - Scriveva El Mundo Deportivo di martedì 15 settembre - Senza gioco, con numerose palle perse e praticamente nulla in attacco. L’Italia ha sfruttato alla grande tutte le sue occasioni e ha fatto anche un’ottima pressione sugli arbitri.” Messa sotto con un 11 a zero indiscutibile anche l’Olanda, l’Italia a punteggio pieno andava così ad affrontare l’Argentina. Non c’era stata assolutamente partita. I sudamericani senza neanche troppo faticare avevano mandato in tilt il dispositivo tattico di Micheli. Gli argentini avevano visionato tutte le videocassette degli azzurri. Ogni schema di Raul era stato vivisezionato e ribaltato con le appropriate contromosse. Era finita 7 a 2. Un massacro. “Purtroppo, - spiegava il commissario tecnico - in ogni torneo c’è sempre una partita in cui ci dimentichiamo come si gioca ad hockey e con l’Argentina è successo proprio questo.” Ai quarti l’ostacolo Brasile fu aggirato con una vittoria per 3 a 1. Era semifinale. Il Portogallo rappresentava un vero e proprio enigma per Micheli. Non aveva mai digerito troppo il gioco lusitano. I vari Tò Neves, Pedro Alves, Almeida Fortunato erano i figli di un’ennesima generazione di fenomeni divenuta altrettanto vincente. Da Livramento, Adriao, Chana, Cristiano a © 2012 Ouverture Service 19 “Noi, però, dobbiamo colpire in contropiede a ogni minimo errore!” storico. E l’Argentina, poi, era forse il cliente peggiore. I sudamericani catechizzati da Miguel Gomez, l’allenatore che aveva regalato alla sua nazione l’Oro olimpico a Barcellona e il Mondiale di Recife sembravano spavaldi. Sicuri. Il 7 a 2 arpionato nel girone di qualificazione contro gli azzurri era stato netto. E indiscutibile. Pensavano ormai di aver scardinato il dispositivo di Micheli. Chiese concentrazione e grande sacrificio. Arrivò un altro trionfo. L’Italia sconfisse il Portogallo per 4 a 2. Senza storia. Si aprivano finalmente le porte della finale. L’Argentina dopo aver sconfitto la Svizzera per 5 a 2, aveva battuto la Spagna per 4 a 3 dopo una strepitosa rimonta iberica con tripletta di Borregan. A un minuto dalla fine il gol-partita per la selecion albiceleste portava la firma di Panchito Velasquez. Sarebbe bastato un gol, magari il primo, per farlo saltare definitivamente. Gaby Cairo e soci erano partiti subito a spron battuto. Il gioiello del Barcellona era una spina nel fianco sulla sinistra del rombo di Micheli. S’era già preso una steccata sulle mani da Michielon e subito dopo quando era stato colpito al fianco da Polverini in area gli arbitri non ebbero alcun dubbio e decretarono il rigore. Non era rimasto neanche un minuto per pensare, l’Italia saliva sul pullmann e raggiungeva il palazzetto. Micheli e i suoi lasciavano l’albergo: era arrivata l’ora della verità. Massimo Cunegatti sembrava un totem nella gabbia azzurra. La botta di Salinas fu centrale. Il “Gatto” addomesticò la sfera e poi la scagliò lontano. Non si era messa bene per la Nazionale. Ma poi però era arrivata la prima fantastica rete. Dario Rigo prendeva palla nell’angolo della sua metà-pista. Si allungava in avanti e serviva ad Ale Michielon. L’attaccante bassanese aveva fatto una sponda micidiale con la sfera indirizzata alla sinistra della porta difesa da Oviedo, il capitano in giravolta e al volo aveva messo dentro con un autentico gioco di prestigio. Virgilio, Leste, Sobrinho; da Realista, Vitor Hugo, Vitor Bruno, quella lusitana era una scuola che continuava a sfornare campioni. Giocatori tecnici, pressanti, macchine di gioco impressionanti. Contro un nemico come questo Micheli s’era rifatto ai vecchi insegnamenti. Difesa energetica e contropiede chirurgico. Il pallino del gioco potevano averlo in mano anche gli altri. Il trionfo con l’Argentina E poi venne la sera. L’indimenticabile notte del 21 settembre 1997. Il palasport di Wuppertal era un catino di tremila spettatori arrivati per assistere a un massacro. Quello dell’Argentina sull’Italia. Giocavano contro il pronostico gli italiani nel match diretto dal portoghese Rei e dallo spagnolo Mestres che con questa finalissima chiudeva la sua carriera. Avevano facce concentrate e capelli lunghi quasi tutti i ragazzi della Nazionale. La tensione si tagliava con l’affettatrice. Non era facile sentirsi tutto addosso il peso di un appuntamento 20 © 2012 Ouverture Service Vista in tivù, con una soggettiva dall’alto regalavano tutta la bellezza dello schema e del gesto tecnico azzurro. Era il 19’54”. Il primo tempo si concludeva con l’Italia in vantaggio per 1 a 0. L’inizio della ripresa fu un fulmine azzurro. Neanche le telecamere ce la fecero ad immortalare il gol di Franco Polverini avvenuto dopo 7”. La realizzazione avvenne con uno schema collaudato: doppio passaggio laterale e partenza lanciata del portatore di palla che poi scaricava verso un compagno accentrandosi. © 2012 Ouverture Service 21 “Ricevetti palla da Alessandro Bertolucci, - racconta il grossetano - e al volo siglai il gol del 2 a 0. Gli argentini tentavano il tutto per tutto.” Lanciato in contropiede David Paez veniva vanamente rincorso da Polverini e Bertolucci. La corsa dell’ex giocatore del Roller Monza era però interrotta da un fallo di Michielon. L’Argentina usufruiva di un nuovo tiro di rigore. Sulla sfera si portava Panchito Velasquez. Si poteva ancora tirare il penalty in movimento: la magia dell’ex idolo di Follonica si spegneva però contro il palo e i cosciali di un monumentale Cunegatti. Si accese subito una mischia nell’area italiana. Appena gli animi si placarono, l’Italia ripartì di slancio. Ricevuta palla sulla sinistra, Polverini s’incuneò nella retroguardia albiceleste, poi all’improvviso tagliò verso l’area di rigore argentina. I sudamericani furono colti di sorpresa. Il Rosso veniva clamorosamente agganciato in area dai cosciali del portiere Oviedo in uscita a valanga. Stavolta il rigore era per l’Italia. Sul dischetto posizionava la pallina Rigo che però sparava addosso all’estremo difensore argentino sia il penalty che la successiva ribattuta al volo. Sugli sviluppi di questa azione s’era poi beccato il cartellino blu Alberto Michielon che aveva concluso a rete ma a gioco fermo. Per somma di ammonizioni si accomodava in panca e al suo posto entrava Gigio Bresciani. Molto peggio, però, andava a Panchito Velasquez: si beccava il rosso dopo un contatto troppo ravvicinato con Rigo. Era la terza volta che Francisco commetteva un fallo evidente di chiara frustrazione. Sullo sfondo Raul Micheli si sgolava con l’arbitro a più non posso: “È cartellino rosso! È cartellino rosso!” Ma il vorticoso giro di cartellini proseguiva. E stavolta il blu se lo beccava anche Ale Michielon che si disinteressava del gioco e falciava da dietro Sergio Unac. Il clima s’era fatto incandescente. La terza marcatura italiana era stata meravigliosa. 22 © 2012 Ouverture Service Dario Rigo aveva preso la sfera nella propria area. Era stato vanamente inseguito da Lopez e pressato da altri due avversari. Il capitano, facendo uno slalom, era così entrato nella difesa argentina aperta come un panetto di burro. Oviedo gli si era fatto incontro: lui l’aveva dribblato sulla sinistra e poi trafitto con una conclusione favolosa mentre stava ormai cadendo a terra. Il portiere argentino era rimasto a gambe all’aria come un orsacchiottone di peluche. L’abbraccio di Orlandi e Michielon era stato travolgente. La panchina con Ale Michielon sanzionato e a petto nudo era esplosa. In tribuna proprio il papà dei gemelloni, Angelo Michielon era scattato in piedi nella torcida degli italiani. Sul tabellone luminoso c’era ora scritto: Italia 3, Argentina 0. Sempre più confusa la selecion era andata nel caos. Il colpo del ko lo dette ancora una volta Rigo che rubata palla a centropista s’era involato in un’azione solitaria sulla sinistra e aveva messo per la quarta volta la pallina alle spalle di Oviedo. Si mise la mano all’orecchio per sentire il boato il giocatore veneto mentre con sguardo incredulo i tremila del Palazzetto dell’Università di Wuppertal assistevano al miracolo. Raul Micheli in panchina non si reggeva più. Agitava le braccia al cielo come un tifoso qualunque stretto nella tuta e con la maglietta azzurra della divisa da “combattimento”. Mancavano ancora 9’20” e l’Argentina era quasi matata. Nel successivo time-out mentre tutti gli azzurri bevevano e rifiatavano, Raul aveva catechizzato Rigo raccomandogli la massima attenzione. Nonostante tutto non c’era ancora da fidarsi dei sudamericani. Lo stesso aveva fatto con Alberto Michielon richiamandolo alla calma. A cinque minuti dalla fine l’Argentina aveva usufruito di un altro rigore. Ma anche in questo caso, contro Gaby Cairo, Cunegatti se l’era cavata alla grande. Era l’ultimo pericolo. Su un’ azione nata da schema, l’Italia, ancora © 2012 Ouverture Service 23 una volta sfruttando la corsia sinistra con Rigo, s’era poi portata sul 5 a 0: la deviazione vincente era stata di Orlandi. Mancavano 2’53” prima che il sogno si avverasse. Micheli scaricava la tensione urlando ai suoi di fare attenzione. Di non prendere gol. Di gestire il gioco. Di non buttare via le palline. Il quarto rigore parato da Cunegatti ancora a Gaby Cairo aveva poi dato il via alle danze. A 20 secondi dalla fine la Nazionale aveva smesso di giocare. I tifosi già premevano alle balaustre. L’Argentina aveva provato disperate soluzioni dalla distanza senza ferire. L’ultimo ad avere avuto la pallina sulla stecca a tre secondi dalla fine era stato Franco Polverini. Aveva accarezzato la sfera con qualche tocchetto il grossetano ma poi l’aveva scagliata in avanti nella metà campo Argentina. del Mondiale - Vincere un titolo iridato è una soddisfazione incredibile, qualcosa che ti resta dentro per sempre. È stato un Mondiale vero: per vincere abbiamo dovuto affrontare e sconfiggere le Nazionali più forti: dalla Spagna, al Portogallo per finire contro l’Argentina. Ma adesso non siamo assolutamente appagati: questo è un vocabolo che nello sport non può esistere.” Era finita. L’Italia di Raul Micheli diventava campione del Mondo. Dopo Marono Vici e Gianni Massari, anche Raul Micheli aveva regalato il titolo iridato all’Italia. Si lasciò andare. “Dopo quattro anni di duro lavoro siamo arrivati all’obbiettivo massimo. Non ci speravo fino in fondo ma ci ho sempre creduto. Non è stato facile operare delle scelte coraggiose, come il chiudere alla vecchia generazione per aprire alle nuove leve, ma alla fine i fatti mi hanno dato ragione. C’è qualcuno che ha detto che questa era una Nazionale di comprimari ma senza nessun campione: alla fine invece è risultato tutto il contrario. Alla fine è venuto fuori il gruppo. Composto da ottimi giocatori: dovevano solo dimostrarlo a se stessi. I ragazzi si portavano dietro troppe paure, specialmente dalle coppe europee. È stato un grosso lavoro soprattutto psicologico ma il risultato finale ci ha ripagato di tutti gli sforzi. La nostra difesa è stata strepitosa e Cunegatti s’è dimostrato il più forte portiere del Mondo.” “Siamo un gruppo veramente affiatato. - Sottolineava Alessandro Michielon, che con 17 gol era stato il capocannoniere 24 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 25 INDICE 352 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 353 Indice Introduzione Giri di pista 7 1° capitolo UN MONDIALE VINTO IN GARAGE Il trionfo con l’Argentina 13 2° capitolo IL COLPO DI FULMINE Stagione di derby tra gli allievi Campione juniores toscano Serie C a 14 anni 27 3° capitolo 1968 - SERIE A E TRICOLORE JUNIORES “Non metto la tuta di domenica!” 33 4° capitolo 1969 - IL PRIMO GOL IN SERIE A Follonica, regno dell’hockey Stracittadina al di sopra di ogni sospetto 37 5° capitolo 1970 - LO SBARCO IN NAZIONALE JUNIORES È il bomber dello Skating Club Gli ultimi derby in Serie A di Follonica Micheli contro Livramento 43 354 20 29 30 31 35 39 41 45 47 49 © 2012 Ouverture Service 6° capitolo 1971 - FERRAGOSTO A ISERLHON I figli della fusione sono da Serie A Marinare la scuola col futuro sindaco 51 7° capitolo 1972 - REUS COI CAPELLI AL VENTO Giri di pista? Allora torniamo più tardi! Il miglior schema? L’estro di Raul 61 8° capitolo 1973 - ILLUSIONE NAZIONALE Follonica mai così in alto 71 9° capitolo 1974 - “NON SONO UNA PUNTA!” Fontana: “Micheli? Un pericolo pubblico” E Marzella rubò i pattini alla Pista dei Pini 79 55 58 65 66 75 81 82 10° capitolo 85 1975 - I PADRONI DELL’AERONAUTICA MILITARE L’ultima beffa in Nazionale 88 11° capitolo 1976 - L’AVIERE DA VOLARE FOLLONICA Livramento come Cristo in croce Barsi: “Micheli era un idolo!” 12° capitolo 1977 - LE MANI SULLA COPPA ITALIA Raul-Emilio, coppia di campioni Marzella: “Mi sono ispirato anche a Raul” La dura legge della Pista dei Pini © 2012 Ouverture Service 91 93 96 97 97 101 103 104 355 Raul e Franca, oggi sposi Caricato: “Raul, un amico!” 107 109 19° capitolo 1983 -1984 - SEMPRE PIÙ UOMO - SQUADRA Aurelia tragica, muore Paolino L’ombra della magia nera Micheli mata il Vercelli di Martinazzo Il primo derby al Casamora Coppa Cers, botte da orbi! 171 20° capitolo 1984 -1985 SFIORATI I PLAY-OFF Trionfo in Coppa di Lega Serra e l’impresa col Novara Storia di un derby immortale 185 195 174 176 177 179 181 13° capitolo 1978 - AD UN PASSO DALLO SCUDETTO E il Trissino non vide più la pallina Tutta colpa del ko nel derby? L’avventura in Coppa delle Coppe La folle notte di Lisbona Il rito portafortuna 111 111 114 115 117 119 121 14° capitolo 1979 - LA GRANDE ILLUSIONE L’impossibile alchimia Caccia all’uomo in pineta Un rivalissimo di nome Fantozzi Scudetto per i fans di Raul 125 125 129 132 134 136 15° capitolo 1979 -1980 - UN ANNO TRA LE MACERIE 139 21° capitolo 1985 -1986 - L’ULTIMA VOLTA IN SERIE A1 Esaltante Mazzetti Illusione Coria-Maggi 16° capitolo 1980 -1981 - RAUL SCIVOLA IN SERIE B 145 22° capitolo 1986 -1987 - LA VITA TRA PISTA E PANCHINA 201 23° capitolo 1987 -1988 - SALVEZZA A GARDALAND! 205 24° capitolo 1988 -1989 - IL MAGICO RIMONTONE 211 25° capitolo 1989 -1990 L’ULTIMO SHOW DEL SETTE 217 26° capitolo 1990 -1991 AUTOSTRADA PER L’A1 223 17° capitolo 151 1981-1982 - “A GIOVINAZZO NON CI VENGO!” L’immediato ritorno in Serie A 154 18° capitolo 1982 -1983 ALLENATORE-GIOCATORE Raul si racconta da coach L’era dei play off: la beffa di Lodi Naufragio in Coppa delle Coppe 356 159 163 164 167 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 189 191 192 197 199 357 27° capitolo 1991 -1992 ZONA DI CACCIA L’addio a Gabriele Mazzetti 229 289 290 232 28° capitolo 1992 -1993 LA PASSIONE DI MODENA L’oro di Montserrat Panchito, l’immarcabile Scudetto formato Primavera 239 29° capitolo 1993 -1994 RAUL, CT DELL’ITALIA La telefonata di Aracu Wintec Speedy Gonzales Primavera rigogliosa 249 30° capitolo 1994 -1995 IL BRONZO DI MADEIRA L’A1 persa e ripescata 259 31° capitolo 1995 -1996 - BABBO RAUL, 5° AI MONDIALI Gli effetti di una nuova fusione 269 32° capitolo 1996 -1997 - CAGARELLA A SALSOMAGGIORE 277 33° capitolo 1997 -1998 SE TI VA VIA, POTALO! L’ultima sigaretta fumata coi gemelli Michielon Rigo: “Te l’avevo detto!” Le lacrime del pupillo Panchito Marzella: “Raul un grandissimo!” Ale Bertolucci: “Mi è mancato mio fratello!” 283 358 La dedica a mamma Liana Dal Quirinale all’argento di Vic 242 244 247 251 254 257 266 272 284 285 286 287 288 © 2012 Ouverture Service 34° capitolo 1998 -1999 - IL TABÙ DEL DISCHETTO L’incazzatura di Viareggio 293 35° capitolo 1999 - 2000 REUS, MALEDETTI RIGORI! Vasto senza gioie per la Giovanile Juniores terza a Ginevra 301 36° capitolo 2000 - 2001 LA GIOVANE ITALIA DI WIMMIS Azzurrini Juniores sul podio Azzurrini sul podio a Walsum 311 37° capitolo 2001- 2002 ITALIA TERZA IN ARGENTINA Mini Mondiale a Montreaux La fatica di Bronzo a Dinan La passione di Luca 319 38° capitolo 2002 - L’ULTIMA PARTITA DI MICHELI I tormenti di Firenze Juniores d’argento al PalaGolfo Saint Omer, il capolinea 329 appendice fotografica Ringraziamenti e Bibliografia RINGRAZIAMENTI BIBLIOGRAFIA INDICE 345 349 350 351 353 © 2012 Ouverture Service 298 306 307 315 316 324 326 327 334 340 342 359 Finito di stampare nel mese di Dicembre 2012 per conto di Ouverture Edizioni 360 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 361 362 © 2012 Ouverture Service © 2012 Ouverture Service 363 AndreA CordovAni Raul Micheli È stato un amico leale e l’ideale per innamorarsi di uno sport che con lui diventava spesso imprevedibile. È stato l’eroe dietro al quale nascondersi, un moschettiere che lottava contro i mulini a vento, il piccolo mito di un paese che diventava sempre più grande al pari della crescita demografica. Raul Micheli è stato Follonica, l’Italia e il Mondo. Raccontare la sua storia è come riscoprirsi un po’ bambini, fermare l’inesorabile macchina del tempo, riscoprire le cose belle e brutte di una volta. €. 16,50 364 © 2012 Ouverture Service