Bioremediation di siti contaminati da idrocarburi.

Transcript

Bioremediation di siti contaminati da idrocarburi.
Dottorato di Ricerca in Ingegneria Industriale
(XVIII ciclo, S.S.d. ING-IND/24)
Università degli Studi di Cagliari
2006
BIOREMEDIATION
DI SUOLI CONTAMINATI DA IDROCARBURI
TESI DI DOTTORATO DI:
Dott. Paolo Caredda
Tutor:
Prof. Antonio Viola
Facoltà di Ingegneria
Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali
Coordinatrice:
Prof.ssa Alessandra Fanni
Facoltà di Ingegneria
Dipartimento di Ingegneria Elettrica ed Elettronica
ii
…a tutti coloro
che mi hanno permesso
di realizzare il lavoro di Tesi.
iii
SOMMARIO
La degradazione del gasolio nel suolo è stata studiata da parecchi autori, allo stesso tempo,
molti studi ne riportano la incompleta degradazione. Negli ambienti cronicamente contaminati, la
pressione selettiva potrebbe arricchire i suoli di microrganismi degradatori di idrocarburi.
La nostra ricerca si è inserita in un progetto di bonifica di una ex raffineria di petrolio attualmente
adibita a stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi. La contaminazione è avvenuta negli anni
70, a seguito dello sversamento di una enorme quantità di gasolio. La profondità della zona
contaminata è di circa 4-9 m., al di sotto della superficie, nella zona vadosa e nella falda acquifera
sottostante, la zona contaminata è di circa 300 m. X 400. La concentrazione di idrocarburi è
superiore a 6,8 g, per Kg di terreno secco. Nel sito sono attualmente in fase di ricerca sperimentale
la tecnica di Bioslurping (BS) e l’attenuazione naturale controllata (MNA).
La fase liquida non acquosa (NAPL) è stata raccolta da un sistema di bioslurping ed è stata separata
dall'acqua di falda in un separatore acqua/olio. La composizione dell'idrocarburo è stata determinata
in GC/ms, i componenti principali ritrovati sono stati, alcani ramificati, quali pristano e fitano ed
alchil naftaleni sostituti. La miscela contaminate differiva sostanzialmente dal gasolio originalmente
sversato nel suolo, un gasolio commerciale.
Il lavoro descritto è il risultato di due programmi sperimentali: il primo ha implicato il
campionamento ed il lavoro in campo, il secondo è stato realizzato in laboratorio, dove sono state
allestite prove di biodegradazione degli idrocarburi ed isolati quindi i ceppi batterici ritenuti più
interessanti dal punto di vista biodegradativo. La ricerca è stata quindi impostata in funzione delle
esigenze di bonifica, e sviluppata a seguito di particolari risultati ottenuti in fase di sperimentazione.
Gli obbiettivi della ricerca sono stati così suddivisi:
1.
Sperimentazione di fattibilità preliminare alle attività di bonifica
2.
Monitoraggio della comunità microbica
3.
Caratterizzazione della comunità autoctona degradante
4.
Individuazione di ceppi per applicazioni biotecnologiche
Sono stati allestiti degli esperimenti in batch, preliminari all’attività di bonifica, utilizzando i batteri
ricavati dalla frangia capillare Alla luce dei risultati ottenuti è stato possibile confermare la presenza
di una microflora autoctona, potenzialmente capace di degradare la miscela idrocarburica
contaminante. In condizioni aerobie e in presenza di nutrienti (Azoto e Fosforo) la comunità
autoctona ha mostrato la capacità di degradare alcuni dei componenti principali del contaminante.
iv
Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione messe in atto in campo avessero determinato un
effetto sulla dimensione della popolazione microbica, è stata scelta la tecnica di enumerazione most
probable number (MPN). Dai risultati ottenuti è emerso che durante l’applicazione della tecnica di
Bioslurping il titolo dei microrganismi idrocarburo degradanti è aumentato.
Gli isolati sono stati caratterizzati genotipicamente mediante analisi di restrizione del DNA 16S
ribosomale (ARDRA), sono stati identificati 14 aplotipi ARDRA differenti. E’ stata determinata
parzialmente la sequenza del gene di rRNA 16S per 16 ceppi. La maggior parte degli isolati è stata
assegnata agli ordini degli Actinomycetales o degli Rhizobiales.
Fra gli ceppi selezionati, il ceppo Gordonia M22 si è rilevato tra i più promettenti dal punto di vista
applicativo. Soltanto Gordonia M22 ha rotto lo strato di NAPL nella coltura liquida dopo una
settimana di incubazione ed ha mostrato la crescita più veloce nella miscela recalcitrante. Le
capacità degradative del ceppo di Gordonia M22 sono state valutate usando la miscela
contaminante ed un normale gasolio da trazione come fonte di carbonio. Il ceppo di Gordonia M22
è risultato capace di degradare i componenti principali della miscela contaminante e la percentuale
generale di degradazione è stata del 23% dopo 14 giorni di incubazione. In presenza di gasolio
come fonte di carbonio, la degradazione è stata del 49%.
Sono stati valutati infine gli andamenti cinetici delle reazioni di degradazione. Attraverso
interpolazione non lineare sono stati modellati i dati sperimentali al fine di interpretare il
comportamento biodegradativo del ceppo Gordonia M22. Il modello che meglio ha interpretato i
dati sperimentali sia per la degradazione della miscela contaminante che per il gasolio ipotizza la
presenza di una frazione dei contaminanti completamente non degradabile. L’analisi cinetica ha
permesso di ipotizzare che nella miscela contaminante è presente una frazione facilmente
degradabile con una concentrazione di circa 195 mg/l (23 %) che segue una cinetica di
degradazione del primo ordine, con una costante cinetica pari a circa 1,15 1/giorni ed una frazione
che non viene sostanzialmente degradata nell’arco temporale preso in esame. Tale frazione,
dall’analisi cromatografica, risulterebbe formata sia da composti recalcitranti la biodegradazione,
sia da composti parzialmente degradati.
v
vi
INTRODUZIONE
1
CONTAMINAZIONE DEI SUOLI DA IDROCARBURI
1.1
Contaminazione e Risanamento
1.1.1
Nel mondo
1.1.2
In Europa
1.1.3
In Italia
1
2
2
3
1.2
Contaminanti organici nel suolo
1.2.1
Idrocarburi petroliferi
1.2.2
Gli xenobiotici
1.2.3
Effetti della contaminazione sul suolo
4
4
4
5
1.3
Gli Idrocarburi petroliferi
1.3.1
La lavorazione del petrolio
1.3.2
Classificazione
1.3.3
Proprietà
8
8
9
11
1.4
Aspetti normativi delle bonifiche in Italia
1.4.1
Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999
12
12
1.5
Tecniche di Risanamento
1.5.1
Obiettivi
1.5.2
Luogo di Trattamento
1.5.3
Principi di Funzionamento
1.5.4
Processi Biologici
14
14
16
16
17
2
BIOREMEDIATION
2.1
Suolo e Sottosuolo
2.1.1
Struttura del suolo
2.1.2
Composizione e stratificazioni
2.1.3
Il suolo e le sue funzioni
20
20
20
21
2.2
I Microrganismi
2.2.1
I Microrganismi nel suolo
2.2.2
I Batteri del suolo superficiale
2.2.3
I Batteri del sottosuolo
2.2.4
Stato metabolico dei batteri nel suolo
23
23
27
28
30
2.3
La Bioremediation
2.3.1
Ruolo dei microrganismi nella Bioremediation
2.3.2
Bioremediation intrinseca ed ingegnerizzata
32
33
34
2.4
Degradazione degli Idrocarburi Petroliferi
2.4.1
Vie di degradazione degli idrocarburi alifatici
2.4.2
Vie di degradazione degli idrocarburi aromatici
36
37
39
vii
MATERIALI E METODI
3
TERRENI DI COLTURA
3.1
Preparazione dei terreni
3.1.1
Terreno minimo di coltura Bushnell-Hass (BH; Difco cod. 0578-17).
3.1.2
Terreno minimo BH agarizzato
3.1.3
Terreno minimo BH2
3.1.4
Terreno massimo Tryptic Soy Broth (TSB; Difco cod. 0370-17)
41
41
41
41
42
3.2
43
Preparazione di terreni solidi con idrocarburi sublimati
4
PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI
4.1
Soluzioni utilizzate
4.1.1
Soluzione fisiologica
4.1.2
Soluzione di 2-(4-Iodophenyl)-3-(4-nitrophenyl)-5-phenyl-2H-tetrazolium (INT; SIGMA, cod. I 8377)
4.1.3
Tris-Cl (Sambrook et al, 1989)
4.1.4
TE (Sambrook et al, 1989)
4.1.5
Esadecano lineare (C16) (SIGMA, cod. H0255)
4.1.6
Miscela idrocarburica contaminante
5
CONTA MICROBICA
5.1
Determinazione del Most Probable Number (MPN)
5.1.1
Preparazione del campione di suolo
5.1.2
Preparazione delle diluizioni
5.1.3
Preparazione delle multiwell
5.1.4
Inoculum
5.1.5
Lettura dell’esperimento
6
45
45
45
45
46
46
46
47
47
47
47
47
48
ESTRAZIONE DEL DNA MEDIANTE FASTDNA KIT
6.1
Procedura standard
51
6.2
Controllo del DNA estratto mediante elettroforesi su gel di agarosio
52
7
ANALISI DEL DNA RIBOSOMALE AMPLIFICATO
7.1
Amplificazione del 16S rDNA
7.1.1
Programma di amplificazione
53
53
7.2
Ripetuto per 5 cicli
54
7.3
Ripetuto per 5 cicli
54
7.4
Ripetuto per 25 cicli
54
7.5
ARDRA Amplified Ribosomal DNA Restiction Analysis
7.5.1
Preparazione del gel
7.5.2
BBF per ARDRA
55
55
55
7.6
SEQUENZIAMENTO DEL 16S rDNA
7.6.1
Amplificazione del 16S rDNA
7.6.2
Purificazione del DNA amplificato
7.6.3
Analisi quantitativa del DNA
57
57
57
57
viii
7.6.4
7.6.5
7.6.6
7.6.7
Corsa elettroforetica con un marker di concentrazione
Determinazione spettrofotometrica
La reazione di sequenziamento
Preparazione campioni per sequenziamento
57
58
58
60
7.7
Analisi delle sequenze
60
7.8
Analisi filogenetiche
61
8
ALLESTIMENTO DELLE COLTURE
8.1
Preparazione del pre-inoculum
8.1.1
Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido
8.1.2
Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido
9
9.1
62
62
62
CURVA DI CRESCITA TRAMITE MISURA DEL DNA TOTALE
Raccolta delle cellule su filtro
9.2
Saggio del DNA (Burton, K. 1956)
9.2.1
Curva standard
9.2.2
Saggio del DNA di cellule su filtro
64
64
64
65
10 PROCEDURE CHIMICHE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE
DELL'ATTIVITÀ DI DEGRADAZIONE DEI CEPPI ISOLATI
10.1
Metodo di analisi di substrati solidi
10.1.1
Definizioni
10.1.2
Sommario del metodo
10.1.3
Interferenze
10.1.4
Apparecchiature
10.1.5
Reagenti e materiali
10.1.6
Condizioni operative e impostazioni del gascromatografo
10.1.7
Impostazioni dell’iniettore:
10.1.8
Impostazioni FID:
10.1.9
Curve di taratura
10.1.10
Preparazione delle soluzioni standard
10.1.11
Preparazione dei campioni
69
69
69
69
69
70
70
71
71
72
72
72
RISULTATI E DISCUSSIONE
11 IL SITO CONTAMINATO
11.1
Descrizione del sito contaminato
11.2
Biorisanamento in situ
11.2.1
Profilo stratigrafico
11.2.2
Caratterizzazione chimica del contaminante
11.2.3
Analisi agronomiche
11.2.4
Caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica
74
75
76
76
78
79
ix
12 ATTIVITÁ IN CAMPO
83
12.1
83
Tipologie di intervento in situ
12.2
Bioslurping
12.2.1
Fasi preliminari all’istallazione dei pozzi di bioslurping
12.2.2
“Soil Vapor Extraction” (SVE)
12.2.3
Test respirometrici
12.2.4
Free Product Recovery (FPR)
83
85
87
88
98
12.3
Monitoraggio della comunità microbica durante la bonifica
12.3.1
Metodica di campionamento.
12.3.2
Monitoraggio del campo di prova di bioslurping
103
103
107
12.4
MNA
12.4.1
Monitoraggio dell’attenuazione naturale controllata (MNA)
110
110
13 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMUNITÀ AUTOCTONA DEGRADANTE
13.1
Analisi della comunità microbica
13.1.1
Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN
13.1.2
Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA “Amplified Ribosomal DNA-Restriction
Analysis” 117
113
113
113
14 VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ DEGRADATIVE DEL MICRORGANISMO
SELEZIONATO GORDONIA M22BI
128
14.1
Determinazione dei migliori ceppi idrocarburo-degradanti isolati dal sito contaminato
14.1.1
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore
14.1.2
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati.
14.1.3
Crescita in terreno liquido
128
129
130
131
14.2
Prove di degradazione in batch
14.2.1
Biodegradazione della miscela idrocarburica contaminante
14.2.2
Biodegradazione di gasolio commerciale
14.2.3
Confronto tra la degradazione della miscela contaminante ed il gasolio
133
133
141
148
14.3
Misure di crescita batterica mediante DNA del ceppo Gordonia M22BI
14.3.1
Saggio del DNA
150
150
14.4
Analisi dei dati cinetici
14.4.1
Modellazione dei dati (TPH)
152
153
CONCLUSIONI
x
xi
INTRODUZIONE
1
1.1
CONTAMINAZIONE DEI SUOLI DA IDROCARBURI
Contaminazione e Risanamento
La tutela dell’ambiente è una delle questioni più serie ed urgenti tra quelle che riguardano la
nostra società. La complessità degli interventi da porre in essere è altissima, soprattutto quando si
affronta il problema con un’ottica di sistema: se da un lato è evidente a tutti l’impatto della società
moderna sull’equilibrio del pianeta, dall’altra è ancora difficilissimo dare indicazioni scientifiche e
dimostrabili che possano ispirare ed indirizzare le scelte che la comunità mondiale deve affrontare.
In ogni caso l’obiettivo di eliminare o quantomeno contenere gli effetti nocivi di una società
industrializzata, numerosa, spregiudicata, ed ancora poco sensibile al problema, appare molto
lontano.
Fino agli inizi degli anni ’80 la percezione della contaminazione dell’ambiente e del territorio
nei paesi maggiormente industrializzati era generalmente associata agli incidenti, con conseguenze
difficilmente valutabili. La risposta politica che ne è derivata è stata rivolta ad ottenere il massimo
controllo dei rischi. Secondo tale approccio, la contaminazione doveva essere rimossa totalmente o
completamente confinata. Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dalla presa di coscienza collettiva di
quanto la qualità dell’ambiente fosse realmente peggiorata, aumentando in tal senso una richiesta di
tecnologie di bonifica ambientale sicure ed a costi contenuti. La tecnica di bioremediation o
biorisanamento si è affermata negli ultimi anni come una delle principali tecnologie di bonifica
ambientale. Essa è stata, infatti, riconosciuta come un metodo non costoso e altamente efficiente per
rimuovere i composti chimici tossici dai suoli e dalle acque di superficie o sotterranee contaminate.
Oggigiorno i siti contaminati, il cui numero nei paesi più industrializzati è cresciuto
esponenzialmente nell’ultimo decennio, non sono più percepiti in termini di pochi e severi incidenti,
ma piuttosto come un problema infrastrutturale e produttivo di varia intensità ed importanza e
soprattutto molto più diffuso di quanto si potesse inizialmente stimare. E’ fuor di dubbio che delle
soluzioni debbano essere prese e non solo per quanto riguarda i nostri confini nazionali: il problema
dell’ambiente è globale e riguarda tutti.
1
1.1.1
Nel mondo
Come riportato da Gruiz e da Kriston (1995) una quantità di 6 milioni di tonnellate di rifiuti
del petrolio entrano ogni anno nell'ambiente, causando seri problemi ambientali.
Nel 1992 l'Ente per la Salvaguardia Ambiente degli Stati Uniti (EPA) riferì che erano presenti
circa 1,6 milioni di serbatoi di stoccaggio sotterranei e 37.000 serbatoi di rifiuti pericolosi. Circa
320.000 dei serbatoi di stoccaggio erano continuamente interessati da fenomeni di sversamento,
1.000 venivano confermati ogni settimana come nuovi serbatoi interessati da fenomeni di
sversamento di idrocarburi (Cole, 1994), determinando una considerevole quantità di perdite di
idrocarburi petroliferi e di contaminazioni dei suoli e delle acque sotterranee (Scheibenbogen et al.,
1994).
1.1.2
In Europa
Nell’Europa Occidentale sono stati individuati oltre 300.000 siti potenzialmente contaminati,
ma si calcola che complessivamente, in tutto il continente europeo, siano molti di più (EEA, 1998).
Per molti paesi non è disponibile un quadro completo, anche per la mancanza di definizioni
univoche dei dati. Nell’Europa orientale il problema più grave è rappresentato dalla contaminazione
dei suoli in prossimità delle basi militari abbandonate.
La dimensione del problema è mostrata da due casi riscontrati in Europa. Dal 1993 in
Norvegia, iniziarono a riscontrarsi elevate concentrazioni di policlorobifenili (PCB), di idrocarburi
policiclici aromatici (PAH) e di metalli pesanti (mercurio, piombo, rame e zinco) in una superficie
di circa 600.000 m2 di sedimenti, in prossimità della stazione navale Hokonsvern a Bergen. Poiché
livelli elevati di PCB furono riscontrati anche nel pesce e nei granchi, fu emessa la
raccomandazione di evitare il consumo di pesce e crostacei della zona. La bonifica previde il
dimezzamento dei livelli di contaminazione nell’area interessata entro il 1998. Le restrizioni al
consumo di pesce furono (e sono ancora) mantenute per altri 10 anni a partire dal 1998 (Forsvarets
Bygningstjeneste, 1996). Nel 1987 a Järvela in Finlandia, furono riscontrate alte concentrazioni, 70140 µg/l di clorofenoli nell’acqua di rubinetto (il limite di emissione per le acque reflue urbane ed
industriali che recapitano sul suolo è ≤ 100 µg/l). Successivamente, concentrazioni di clorofenolo
tra 56 e 190 µg/l furono trovate nella falda acquifera sottostante, tra un pozzo ed una segheria che
produceva compensato, cartone per scatole e legname. Dagli anni quaranta fino al 1984, era stato
utilizzato tetraclorofenolo come principale sostanza attiva per inibire la crescita di un parassita, la
Ceratostomella, nel legname. La contaminazione delle acque sotterranee aveva colpito anche un
2
lago nelle vicinanze. Tra le persone che avevano consumato pesce del lago fu riscontrato un tasso
elevato di rischio di contrarre il linfoma non-Hodgkin (Lampi et al, 1992).
1.1.3
In Italia
I siti potenzialmente contaminati sul territorio italiano sono oltre 12.000 (APAT, 2003)
(Figura 1—1). Le informazioni raccolte in sede nazionale e regionale, finalizzate alla formulazione
del "Programma Nazionale di Bonifica", hanno evidenziato un sottodimensionamento del dato, che
andrebbe raddoppiato. Ciò anche in considerazione dell'orientamento seguito dalla Legge 426/98
che, in sede di individuazione dei perimetri dei siti di interesse nazionale, ha compreso oltre alle
aree industriali, anche le aree portuali, le aree marine antistanti le aree industriali, le zone lagunari, i
corsi d'acqua, per un totale di 260.000 ettari di terra, 70.000 ettari di zone marine, 280 km di coste,
pari ad un totale complessivo di circa 330.000 ettari (più dell'1% del territorio nazionale).
Figura 1—1. Localizzazione dei Siti di Interesse Nazionale
APAT – Centro Tematico Nazionale Territorio e Suolo (2003)
3
1.2
1.2.1
Contaminanti organici nel suolo
Idrocarburi petroliferi
Spesso, gli idrocarburi petroliferi, a causa di eventi geologici, attraverso una lenta infiltrazione
possono rientrare nella biosfera dove sono utilizzati dai microrganismi che nel tempo hanno evoluto
le vie metaboliche che ne permettono la degradazione.
Tuttavia le enormi quantità di idrocarburi introdotte nell’ecosistema dall’attività umana eccedono la
capacità autodepurativa dell’ambiente e la contaminazione da idrocarburi è sempre più spesso causa
di disastri ambientali. Sono quindi le enormi quantità di contaminati petroliferi, che ogni giorno
sono rilasciate nell’ambiente, a causare l’inquinamento da idrocarburi (Atlas e Bartha, 1997).
Figura 1—2. Contaminazione di acque superficiali
1.2.2
Gli xenobiotici
Il termine xenobiotico è utilizzato per indicare quei composti che normalmente non sono
presenti in natura ma vengono sintetizzati dall’uomo. Le sostanze di sintesi in commercio sono
prevalentemente composti organici che derivano dal petrolio. Purtroppo di molti di questi composti,
negli ultimi decenni, è stato fatto un uso massivo con conseguenze deleterie per la salute dell’uomo
e dell’ambiente. I prodotti che hanno arrecato i danni più gravi sono i pesticidi (insetticidi ed
erbicidi) e i policlorobifenili (PCB). I composti organoclorurati, prodotti dall’azione dell’elemento
4
cloro sugli idrocarburi derivati dal petrolio, sono stati largamente utilizzati come insetticidi per
l’azione tossica che esercitano su alcune piante (Eweis et al, 1998). Ciò che rende estremamente
pericolosi questi composti sono le caratteristiche di cui sono dotati: stabilità e idrofobicità. Il
legame carbonio-cloro è molto stabile e la presenza del cloro riduce la reattività degli altri legami
presenti nella molecola organica. Inoltre essendo composti di sintesi, di recente immissione
nell’ambiente, la loro struttura non è “nota” ai microrganismi, gli artefici dei processi di
biorisanamento. Le comunità microbiche naturali non possiedono gli enzimi degradativi necessari
per catabolizzare questi composti che risultano perciò recalcitranti alla degradazione e permangono
nell’ambiente a lungo. Può comunque accadere che qualcuno di questi composti abbia casualmente
una struttura simile a quella di un composto naturale e dunque possono essere impiegati dai
microrganismi come substrati e completamente metabolizzati. In alcuni casi i composti xenobiotici
possono essere solo parzialmente degradati. Questa degradazione incompleta può portare alla
polimerizzazione o alla sintesi di composti ancora più complessi e stabili del composto iniziale.
Questo avviene quando il primo passaggio della degradazione, operato spesso da enzimi
extracellulari, produce intermedi reattivi. I prodotti polimerici sono particolarmente stabili
nell’ambiente in quanto scarsamente biodisponibili, per la mancanza di appropriati enzimi e per le
interazioni che instaurano con la materia organica del suolo o dei sedimenti.
In alcuni casi i composti xenobiotici possono essere degradati esclusivamente in cometabolismo.
Questo processo si realizza quando un microrganismo possiede un enzima che casualmente
riconosce come substrato il composto. Tale trasformazione tuttavia è solo parziale e il
microrganismo non trae alcun vantaggio da essa. La trasformazione è effettuata solamente quando il
microrganismo cresce sfruttando un substrato diverso. Lo xenobiotico può così essere trasformato
in un prodotto secondario che può talvolta rappresentare una fonte di carbonio ed energia per altri
microrganismi.
La maggior parte di questi composti oltre ad essere recalcitrante è idrofoba e perciò non si scioglie
facilmente in acqua ma è solubile in oli o tessuti adiposi. Così, quando i composti organoclorurati
entrano in un ecosistema subiscono un processo di bioamplificazione (Atlas e Bartha, 1997).
1.2.3
Effetti della contaminazione sul suolo
La contaminazione del suolo può provocare effetti sulla salute umana, sugli ecosistemi e
sull’economia, nei seguenti modi:
•
scarichi di contaminanti nel suolo, nelle acque sotterranee o superficiali;
•
assorbimento di contaminanti da parte delle piante;
5
•
contatto diretto di esseri umani con suoli contaminati;
•
inalazione di polveri o sostanze volatili;
•
incendi o esplosioni di gas di discarica;
•
corrosione di tubi sotterranei e altre componenti di edifici dovuta a infiltrazioni di
contaminate;
•
produzione di rifiuti pericolosi secondari;
•
conflitto con la destinazione d’uso prevista per il suolo.
Figura 1—3. Sversamento di greggio
I contaminanti solubili in acqua, introdotti nel suolo, possono infiltrarsi nelle acque
sotterranee. La mobilità ed i tassi di esposizione variano in misura considerevole, a seconda del tipo
di contaminante (degradabilità, volatilità, ecc.), delle condizioni locali del suolo, del ricettore o
ecosistema interessato e del clima. Tra i contaminanti idrofobici, i più mobili sono i prodotti
petroliferi ed i composti organo-alogenati. Contaminanti come i metalli pesanti presentano una
mobilità inferiore, che tuttavia può aumentare in determinate circostanze; ad esempio, il piombo è
più mobile in un ambiente acido che in un ambiente neutro o alcalino. Comunque, alla fine tutti i
contaminanti possono raggiungere i livelli più profondi della falda, dove sono presenti le riserve di
acqua potabile. Le informazioni generali sull’inquinamento delle acque potabili dovuto alla
presenza di siti contaminati sono frammentarie. Le risorse idriche potabili di molte zone dell’est
europeo sono contaminate da sversamenti di combustibile da ex basi militari. Da un’indagine
danese sugli impianti di estrazione chiusi è emerso che, su un totale di 600 pozzi, il 17% delle
chiusure è dovuto alla contaminazione del suolo causata da attività industriali, il 60% ad attività
6
agricole e il 23% all’eccessivo sfruttamento della falda (EEA, 1998). I metalli pesanti, in particolare
cadmio e rame, possono accumularsi in misura elevata nei vegetali. Questo fenomeno si verifica
frequentemente nel caso di ex discariche recuperate e utilizzate a scopo agricolo. La
contaminazione delle acque di superficie può provocare l’accumulo di sostanze contaminanti nei
pesci. I composti organici clorurati vengono assorbiti in modo particolarmente rapido dai tessuti
adiposi dei pesci, come anche certi metalli, tipo il mercurio.
I cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni possono essere la causa di un aumento
dell’esposizione ai suoli contaminati. In passato, molti ex siti industriali e le discariche abbandonate
venivano riutilizzati per altri scopi, ad esempio per l’edilizia abitativa e la costruzione di scuole e
centri di ricreazione. Il rischio di ingestione o di contatto con la pelle aumenta con la frequenza
dell’esposizione e dipende dal tipo di contaminazione e dal relativo grado di tossicità. I bambini nei
parchi-giochi sono considerati i soggetti più vulnerabili ed esposti. E’ possibile inalare sostanze
volatili e particelle di suolo (attraverso la polvere) da siti contaminati. Fonti tipiche sono gli ex siti
di trasformazione o stoccaggio di petrolio, per le sostanze volatili, e le discariche contenenti scorie
di metalli pesanti da miniere e impianti di lavorazione dei metalli ubicati nelle vicinanze, per
dispersione del particolato. Altri rischi comprendono le esplosioni dovute all’accumulo di metano in
ex discariche e l’esposizione a tetracloroetilene da impianti di pulitura a secco. La quantificazione
degli effetti dell’esposizione diretta è raramente disponibile, poiché gli effetti dell’ingestione del
suolo e del contatto cutaneo nella maggior parte dei casi non sono immediatamente visibili, né
misurabili, e si sa poco sul rapporto dose-effetto.
7
1.3
Gli Idrocarburi petroliferi
Il Petrolio è una miscela estremamente complessa di idrocarburi. Gli idrocarburi del petrolio
sono compresi tra il C6 ed il C40 (Potter nad Simmons, 1998 ), essi sono i principali contaminanti
del suolo (Caplan et al, 1993).
Gli idrocarburi sono i più semplici composti del carbonio con l'idrogeno. Sono le molecole di
base della chimica organica poiché, oltre ad essere molto numerosi, tutti gli altri composti si
possono considerare come derivati da essi per sostituzione di un atomo di idrogeno con un
cosiddetto gruppo funzionale, quel gruppo chimico, cioè, che conferisce al composto proprietà
caratteristiche, diverse da quelle dell'idrocarburo di origine e peculiari di una classe di composti.
Gli idrocarburi del petrolio sono diffusi nel nostro ambiente come carburanti e prodotti
chimici. Il rilascio incontrollato degli idrocarburi ha un grosso effetto negativo sui nostri suoli e
sulle risorse idriche. La contaminazione può derivare dalla fuoriuscita di serbatoi sotterranei di
stoccaggio, dalle raffinerie petrolifere e dall’immagazzinamento effettuato in modo non corretto,
dagli oleodotti rotti, da fuoriuscite di impianti chimici e dai processi di trasporto (Sherman e Stroo,
1989). Se si aggiungono gli incidenti ed il rischio di esplosione e d’incendio si ricava una ulteriore
minaccia per l'ambiente.
1.3.1
La lavorazione del petrolio
Dopo l’estrazione, il petrolio viene avviato ad una serie di lavorazioni (che vanno sotto il
nome generico di “operazioni di raffineria”) basate sulla distillazione frazionata (topping). Questo
processo permette di suddividere il greggio in una serie di frazioni (tagli) aventi intervalli di
temperatura di ebollizione diversi, contenenti idrocarburi di vario tipo e destinate a utilizzazioni
differenti (Garzanti, 1988). In linea del tutto generale si può dire che le frazioni più leggere, con
temperatura di ebollizione più bassa, vengono impiegate nella preparazione delle benzine (fino a
150° C) e del cherosene (da 150 a 230° C), mentre le frazioni intermedie (da 230 a 340° C) servono
come base per la produzione di gasolio e di lubrificanti; le frazioni più pesanti (oltre 340° C) sono
utilizzate come olio combustibile. Da tutte queste frazioni si possono ottenere tagli più ristretti,
ricorrendo a successiva rettifica ed usando tecniche di frazionamento più raffinate, con le quali è
possibile separare singole specie molecolari.
Nei primi decenni del secolo scorso, la metodologia della distillazione aveva conseguito
progressi significativi, ma, pur consentendo una migliore separazione delle varie specie molecolari
presenti nel greggio, non riusciva a mutare l’abbondanza relativa di ciascuna di esse. Tale risultato
8
si è ottenuto con l’introduzione della pirolisi o cracking, che comporta la scissione delle molecole
più lunghe in altre più corte. Dapprima i metodi di cracking furono esclusivamente termici; ma in
queste condizioni veniva prodotto un eccesso di sostanze carboniose (Coke), per cui si passò al
cracking catalitico, in cui la presenza di un agente di attivazione delle reazioni utili (sostanze silicoalluminose, tipo argilla, attivate con ossidi metallici) consentiva di operare in condizioni più blande.
Per quanto riguarda la qualità della benzina, si deve accennare ai metodi di reforming, che hanno
l’obiettivo di migliorarne la qualità, particolarmente per quanto riguarda il comportamento alla
combustione (benzine non detonanti).
Questi tipi di combustibili sono relativamente viscosi ed insolubili in acqua e sono
relativamente stabili al di sotto della superficie (Petrov, 1987).
1.3.1.1 Il gasolio
Il gasolio è collocato a metà della frazione distillata (da C6 a C22) con temperature di
ebollizione da 202°C a 320°C (Holmes and Thomsom, 1982) e densità 0,85-0,91; la maggior parte
degli idrocarburi si trovano tra il C10 and C18. Il Gasolio si ottiene per rettifica degli oli pesanti
provenienti dalla distillazione primaria del petrolio (Garzanti, 1988). Può essere preparato anche per
cracking di oli pesanti ricchi di idrocarburi ciclici, nel qual caso presenta una viscosità inferiore in
quanto ha un minor contenuto di composti paraffinici. Nell’uso comune è anche impropriamente
chiamato nafta. Trova prevalentemente impiego come carburante per motori Diesel, e per
riscaldamento domestico.
Il gasolio da riscaldamento viene utilizzato come combustibile negli impianti termici. La sua
principale caratteristica è l’elevato potere calorifico. Lo si può distinguere dagli altri gasoli per il
suo colore rosso. Il gasolio da autotrazione è impiegato come carburante per i motori diesel. Di
colore chiaro, leggermente ambrato, nel tempo ha visto ridurre progressivamente il suo contenuto di
zolfo fino all’attuale 0,33%. Nel gasolio sono presenti diversi classi di idrocarburi come gli alcani,
gli aromatici e i naftenici e le loro proporzioni variano da gasolio a gasolio. Tra i parametri
maggiormente caratterizzanti il gasolio abbiamo la curva di distillazione, la viscosità, la densità, e il
contenuto di zolfo.
1.3.2
Classificazione
I composti organici possono essere suddivisi in tre grandi gruppi:
A.
Alifatici e Aliciclici
9
B.
Aromatici
C.
Eterociclici
Il primo gruppo comprende i composti alifatici (dal greco "aleifar" = olio, grasso), sono i
composti a catena aperta (detti anche aciclici) e gli aliciclici, o ciclici, i composti chiusi ad anello,
con proprietà relativamente simili agli alifatici. Gli idrocarburi alifatici si suddividono a loro volta
in (Figura 1—4):
a)
alcani
b)
alcheni
c)
alchini
Gli alcani contengono esclusivamente legami di tipo σ e sono detti pertanto saturi. Sono
caratterizzati da una certa inerzia chimica: il termine alternativo di paraffine (dal latino "parum
affinis") deriva appunto dal fatto che questi composti hanno scarsa tendenza a reagire, perfino con
acidi e basi forti. Quando reagiscono danno principalmente reazioni di sostituzione. Alcheni e
alchini sono invece idrocarburi insaturi, in quanto contengono legami multipli: un doppio legame
gli alcheni, un triplo legame gli alchini. Le loro reazioni caratteristiche sono reazioni di addizione,
che tendono a portare la molecola nella condizione satura, con ibridazione sp3.
Figura 1—4. Suddivisione degli idrocarburi alifatici
Il secondo gruppo comprende gli idrocarburi aromatici, composti caratterizzati da proprietà
chimiche del tutto particolari che, come vedremo, ne fanno un gruppo omogeneo, completamente
distinto dagli altri idrocarburi. Gli aromatici in senso stretto sono gli idrocarburi che contengono
almeno un anello benzenico. Il terzo infine, è formato dagli eterocicli, composti ciclici che
contengono nell'anello atomi diversi dal carbonio.
10
1.3.3
Proprietà
I prodotti petroliferi hanno proprietà chimiche e fisiche di base simili. Le proprietà di questi
composti che hanno un particolare significato per la bioremediation sono: la polarità e solubilità, la
volatilità, la tossicità e la biodegradabilità (Cole, 1994).
•
Polarità e solubilità, i composti non polari tendono ad essere immiscibili in acqua ed a trovarsi
ripartiti nei materiali organici nella zona vadosa. Il risultato è che essi sono generalmente
meno mobili nei suoli e nelle acque sotterranee e la diffusione dei composti non polari nelle
acque sotterranee e negli acquiferi è generalmente più lenta dei composti polari. I
contaminanti devono essere in soluzione perché avvengano i processi di biodegradazione,
poiché la fase acquosa è l’habitat dei microrganismi che fornisce loro i nutrienti (Eweis et al.,
1998). Quindi la solubilità e la velocità di ripartizione dai composti organici alla fase acquosa
hanno un alto impatto sulla velocità di biodegradazione.
•
Volatilità, i composti volatili tendono a ripartirsi dal petrolio alla fase gassosa. Essi sono
spesso abbastanza mobili nei suoli insaturi, e le emissioni dalla zona vadosa possono
costituire un rischio nel sito contaminato o durante una escavazione (Eweis et al., 1998;
Riser-Roberts 1998).
•
Tossicità, il fattore chiave che determina la necessità di risanare i suoli contaminati e le acque
è la tossicità, per l’uomo e per l’ambiente. L’eliminazione o lo scarico agenti chimici tossici
nel suolo presentano un problema difficile poiché i materiali tossici possono essere resistenti
alla biodegradazione, inoltre una volta che i materiali sono nel suolo sussiste un minor
controllo ambientale rispetto al loro trasporto ed al loro destino, ed infine il rischio per le
riserve idriche è veramente alto poiché molti substrati inducono effetti tossici anche a basse
concentrazioni (Eweis et al., 1998).
•
Biodegradabilità, i composti organici prontamente metabolizzabili, non tossici (per i
microrganismi) sono normalmente ossidati nella zona vadosa molto rapidamente. La
biodegradabilità è connessa a fattori quali la solubilità, il grado di ramificazione, il grado di
saturazione, e la natura della sostituzione (Eweis et al., 1998). L’effetto della ramificazione è
visto nella degradabilità degli isomeri (Gibson 1984; Schaeffer et al., 1979): l’n-ottano ad
esempio, è più facilmente degradabile dell’iso-ottano (2,2,4-trimetilpentano), sebbene
entrambi abbiano la formula bruta C8H18 (Pasteris et al., 2002).
11
1.4
Aspetti normativi delle bonifiche in Italia
Nel corso dell’ultimo decennio è cresciuta, da parte delle amministrazioni pubbliche e degli
esperti ambientali, l’esigenza di possedere un riferimento tecnico preciso ed un percorso operativo
specifico a livello nazionale in merito alle bonifiche ambientali.
Il problema della contaminazione dei terreni e delle falde idriche è stato recepito a livello
istituzionale in tutta la sua gravità anche in Italia, dove a partire dal 1997, in notevole ritardo
rispetto agli altri paesi membri dell’Unione Europea, sono stati emanati una serie di provvedimenti
legislativi, tra i quali il D.L.vo. n. 22/97, il D.M. n. 471/99 e il D.Lgs 152/06, che hanno fornito
degli strumenti normativi omogenei sul territorio nazionale per fronteggiare il problema della
gestione dei rifiuti, della tutela delle risorse idriche e quello, ad essi correlato, della bonifica dei siti
contaminati. Il D.Lgs 152/06 ha recentemente apportato significative modifiche alla modalità di
gestione dei sito contaminati. Tuttavia, nella seguente trattazione, verranno approfonditi unicamente
gli aspetti principali del D.M. 471/99 in quanto applicato nel sito in oggetto, la cui procedura
amministrativa è stata avviata precedentemente all’entrata in vigore del nuovo decreto.
1.4.1
Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999
Il Decreto Ministeriale n°471 del 1999 è il regolamento che stabilisce i criteri, le procedure e
le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati. Ai fini
dell'applicazione del decreto vengono presentate alcune definizioni:
•
Sito, area o porzione di territorio, geograficamente definita e delimitata, intesa nelle diverse
matrici ambientali e comprensiva delle eventuali strutture edilizie ed impiantistiche presenti;
•
Sito inquinato, sito che presenta livelli di contaminazione o alterazioni chimiche, fisiche o
biologiche del suolo o del sottosuolo o delle acque superficiali o delle acque sotterranee tali
da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito. Ai fini
del presente decreto è inquinato il sito nel quale anche uno solo dei valori di concentrazione
delle sostanze inquinanti nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque sotterranee o nelle acque
superficiali risulta superiore ai valori di concentrazione limite accettabili stabiliti dal presente
regolamento;
•
Sito potenzialmente inquinato: sito nel quale, a causa di specifiche attività antropiche
pregresse o in atto, sussiste la possibilità che nel suolo o nel sottosuolo o nelle acque
superficiali o nelle acque sotterranee siano presenti sostanze contaminanti in concentrazioni
tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale o costruito;
12
•
Ripristino ambientale: gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, costituenti
complemento degli Interventi di bonifica nei casi in cui sia richiesto, che consentono di
recuperare il sito alla effettiva e definitiva, fruibilità per la destinazione d'uso conforme agli
strumenti urbanistici in vigore, assicurando la salvaguardia della qualità delle matrici
ambientali.
13
1.5
Tecniche di Risanamento
In base alla caratterizzazione del sito, alle caratteristiche proprie del sottosuolo e della falda,
alla tipologia, alla distribuzione ed alle concentrazioni di miscela contaminante rilevate nel
sottosuolo, viene scelto un differente metodo di risanamento.
Un metodo tradizionale è scavare il terreno contaminato e destinarlo in discarica sotto
condizioni controllate. Questo metodo non consiste in un vero risanamento e non è accettabile per
grandi aree o volumi, a causa del costo divenuto proibitivo. Un altro metodo di risanamento
ambientale è l’aerazione del terreno. In questo modo si rimuovono gli idrocarburi volatili dalla zona
vadosa (insatura). Questa tecnica viene solitamente utilizzata nelle contaminazioni da benzina
grezza. Come metodo alternativo, la Bioremediation può essere usata per rimuovere gli agenti
inquinanti sia in situ che ex-situ (Cole, 1994). Durante i processi di biotrattamento, gli idrocarburi
sono trasformati in anidride carbonica, acqua e biomassa, dai microrganismi (autoctoni)
naturalmente disponibili nel suolo (Huesemann, 1994). Questo processo di trasformazione di
molecole complesse in molecole semplici, operato dai microrganismi, è denominato
biodegradazione.
1.5.1
Obiettivi
Una prima classificazione delle tecniche di risanamento introdotta con il D.M. n.° 471/99 è
riferibile agli obiettivi che si intende raggiungere con la sua applicazione. Essa distingue gli
interventi in:
•
Bonifica, che consiste nell’eliminazione delle fonti d’inquinamento o nella riduzione delle
concentrazioni delle sostanze inquinanti al di sotto dei valori limite previsti per la
destinazione d’uso a cui si intende riconvertire il sito. Qualora i suddetti valori di
concentrazione limite accettabili non possano essere raggiunti, neppure con l'applicazione
delle migliori tecnologie disponibili, a costi sopportabili, verrà attuata una bonifica con
misure di sicurezza, atta a ridurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti nel suolo, nel
sottosuolo, nelle acque.
•
Messa in sicurezza permanente, con la quale non si provvede all’eliminazione dei
contaminanti dal sito, bensì ad impedire la loro diffusione nelle matrici ambientali circostanti
minimizzando i possibili effetti sui potenziali recettori. Il sito viene in pratica isolato dal
punto di vista degli scambi di contaminazione con l’esterno. Con la messa in sicurezza il sito
in sé rimane comunque contaminato e non può essere riconvertito a nessun uso e può essere
14
preceduta da una messa in sicurezza d'emergenza in attesa degli interventi di bonifica e
ripristino ambientale (Figura 1—5).
Figura 1—5. Schema procedurale previsto dal D.M. n. 471/99 per la progettazione e la realizzazione degli
interventi di bonifica
15
1.5.2
Luogo di Trattamento
Una ulteriore classificazione può essere operata sulla base del luogo nel quale viene effettuato
il trattamento di bonifica e/o messa in sicurezza. In questo caso si possono distinguere gli:
•
interventi in-situ, che prevedono la decontaminazione senza movimentazione o rimozione del
suolo o delle acque da bonificare. Tali interventi risultano in genere più vantaggiosi da un
punto di vista economico, in quanto lo scavo rappresenta una percentuale rilevante del costo
globale di un trattamento. La carente biodisponibilità della matrice carboniosa, legata alle
caratteristiche del suolo, determina normalmente cinetiche di abbattimento relativamente
lente. Sono quindi da prevedere tempi di trattamento molto lunghi.
•
interventi ex-situ, i quali prevedono lo scavo del terreno contaminato o l’estrazione delle
acque di falda inquinate in superficie, dove sono successivamente trattate. A loro volta gli
interventi ex situ sono suddivisi in:
−
interventi on-site, nel momento in cui il trattamento dei materiali estratti avvenga
nell'area del sito stesso;
−
interventi off-site, nel caso in cui i materiali vengano inviati in impianti di trattamento o
in discariche esterne al sito stesso.
1.5.3
Principi di Funzionamento
Vogliamo individuare, infine, sulla base dei principi di funzionamento delle tecniche di
bonifica, un’ultima classificazione dei trattamenti di bonifica e messa in sicurezza in ricavabili dal
Decreto:
•
I trattamenti chimico-fisici e termici, sono in genere quelli che presentano le maggiori
efficienze di rimozione dei contaminanti e tempi di bonifica relativamente brevi, tuttavia sono
anche i più costosi e in generale determinano una modifica delle caratteristiche originali del
suolo o delle acque di falda. I trattamenti termici si caratterizzano per l’uso di elevate
temperature al fine di distruggere la causa della contaminazione o di favorirne il passaggio di
fase. In base a questa distinzione si può parlare di termodistruzione (incenerimento) o di
desorbimento termico. Questi trattamenti garantiscono rendimenti di rimozione molto alti.
Il soil flushing (lavaggio in-situ) è un trattamento chimico-fisico che consiste in un’operazione
di lavaggio del terreno mediante acqua o soluzioni in grado di estrarre e mobilizzare i
contaminanti presenti nel suolo. Il soil washing è una tecnica simile, ma realizzata ex-situ.
16
•
I trattamenti microbiologici, si basano sull’attività metabolica dei microrganismi, ovvero
sull’insieme di reazioni chimiche operate dalle cellule per ottenere energia e produrre nuovo
materiale cellulare indispensabili per la loro vita e riproduzione. In funzione del tipo di
inquinante, i metodi biologici impiegano una varietà di microrganismi differenti, sia dal punto
di vista biologico (batteri e/o funghi), sia per quanto riguarda le reazioni metaboliche utili per
la decontaminazione. Questi metodi sono generalmente molto lenti e presentano efficienze di
rimozione più basse rispetto ai trattamenti chimico fisici ma sono molto meno costosi e il loro
impatto sulle caratteristiche originali del sito è minimo in quanto viene generalmente sfruttata
la microflora batterica endogena del suolo e delle acque di falda.
Figura 1—6. Principali tecnologie di bonifica
1.5.4
Processi Biologici
I processi di Bioremediation possono offrire differenti vantaggi, tra i quali un maneggiamento
ed un trasporto minimo dei siti contaminati, così da ridurre i costi ed i rischi potenziali per
l’ambiente. La Bioremediation è limitata anche dalla mancanza di comprensione della fisiologia e
dell'ecologia microbica dei siti inquinati e dalle interazioni tra la comunità microbica e l'ambiente
fisico e geochimica, nel quale i contaminanti sono degradati (Major, 1991). Le tecnologie di
trattamento di Bioremediation includono:
17
(1)
Bioaugmentation (o Biomagnificazione) definita come la tecnologia di trattamento nella quale
i batteri sono aggiunti al mezzo contaminato. Questa tecnica è usata nei bioreattori e nei
sistemi ex-situ;
(2)
Biostimulation (o Biostimolazione), che è un processo di trattamento che stimola le
popolazioni microbiche indigene presenti nel terreno o nelle falde. Il trattamento può essere
fatto in situ o ex-situ, utilizzando un sistema che preveda un:
•
bioreattore, il processo viene condotto in contenitori o reattori ed è usato frequentemente
per trattare contaminazioni in liquido o in fase semi solida (solida dispersa);
•
bioventing, spesso associato o generato da un sistema di Bioslurping, è il metodo
mediante il quale viene trasportato l’ossigeno nel suolo, il quale stimola la crescita e
l’attività microbica;
•
landfarming, usato per trattare le contaminazioni in fase solida. Esso può essere
realizzato in situ o in una cellula di trattamento (Baker e Herson, 1994).
1.5.4.1 Bioslurping
Il Bioslurping è una tecnica mista, flessibile e di larga applicabilità, capace di far coesistere
l’attuazione contemporanea di due differenti metodologie di bonifica:
1.
Soil Vapour Extraction (SVE), è una tecnica che tramite la creazione di un vuoto nel
sottosuolo (attraverso un meccanismo di aspirazione di aria), favorisce un ricambio
dell’atmosfera interstiziale della zona insatura, che stimola il metabolismo aerobio delle
comunità batteriche autoctone. La comunità batterica aerobica normalmente presente nel
sottosuolo risponde positivamente a questo flusso di aria ossigenata incrementando tutte le
proprie attività metaboliche. In definitiva, la tecnica favorisce da una parte la Bioremediation
naturale del suolo, mentre dall’altra, attraverso il meccanismo di aspirazione dell’aria permette
la captazione ed il recupero dei vapori organici volatili (VOC) formatisi durante la
degradazione microbiologica.
2.
Free product recovery (FPR), è una tecnica che, mediante il medesimo meccanismo di
aspirazione, consente il recupero dell’ inquinante eventuale presente asportandolo dalla
superficie della falda freatica. Con questa tecnica, è altresì possibile recuperare tutti i
sottoprodotti idrocarburici leggeri eventualmente formatisi durante la fase di degradazione
microbiologica. Il parametro che individua l’efficacia della componente FPR nel bilancio
18
complessivo del Bioslurping è costituito dal quantitativo di inquinante rimosso dal sistema di
aspirazione dello slurp tube, mentre i parametri dell’efficacia della componente SVE sono
riconducibili agli indicatori dell’attività degradativa da parte dei batteri autoctoni
(principalmente CO2, O2 e COV).
Figura 1—7. Rappresentazione schematica del pozzo di bioslurping
1.5.4.2 MNA
Per Attenuazione Naturale (AN) si intende l’insieme di tutti quei processi fisici, chimici e
biologici che si verificano nel sottosuolo senza l’intervento umano e che concorrono a ridurre la
massa, la tossicità, la mobilità, il volume o la concentrazione delle sostanze contaminanti presenti. I
fenomeni di attenuazione naturale si basano quindi essenzialmente sulla trasformazione dei
contaminanti attraverso le trasformazioni abiotiche e/o biotiche (biodegradazione) e la riduzione
della mobilità dei contaminanti attraverso l’adsorbimento sulla matrice solida del terreno.
L’Attenuazione Naturale Controllata (MNA, Monitored Natural Attenuation – USEPA 1999)
utilizza tali processi spontanei per perseguire specifici obiettivi di bonifica di un sito contaminato,
attuando al contempo un programma di monitoraggio sull’evoluzione ed il corretto andamento dei
fenomeni degradativi. L’attenuazione naturale interviene sia in terreni insaturi che in quelli saturi,
ma è soprattutto la falda il luogo dove si raggiungono gli effetti più intensi.
19
2
2.1
BIOREMEDIATION
Suolo e Sottosuolo
Esistono diverse definizioni del concetto di suolo, a seconda del particolare contesto, scopo e
punto di vista dal quale vengono affrontate le problematiche che lo riguardano. Una definizione
ampia e soddisfacente in campo ambientale è quella che ha adottato il “Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa nel 1990”: “Il suolo è una parte integrante degli ecosistemi della Terra ed è
situato all’interfaccia tra la superficie della Terra e il substrato roccioso. E’suddiviso in strati
orizzontali sovrapposti con specifiche caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e svolge svariate
funzioni. Dal punto di vista della storia dell’utilizzo del suolo, e dal punto di vista ecologico e
ambientale, il concetto di suolo comprende anche le rocce sedimentarie porose e altri materiali
permeabili unitamente all’acqua da essi contenuta ed alle riserve di acqua sotterranea” (Consiglio
d’Europa, 1990).
2.1.1
Struttura del suolo
Il suolo è una struttura porosa costituita dalle fasi liquida, gassosa e solida derivanti dalla
presenza di acqua (25-35% v/v), aria (15-22% v/v), struttura minerale (50-60% v/v) e sostanza
organica (0,5% v/v) (White, 1982). La struttura del suolo controlla la distribuzione dell’acqua,
dell’ossigeno e delle sostanze nutrienti, determinando la zona di bioattività. Generalmente nei
terreni più compatti, ad esempio quelli dove prevalgono particelle fini, come l’argilla ed il limo, i
nutrienti sono trasportati più lentamente, al contrario nei terreni più permeabili, quali quelli formati
da sabbie e ghiaie, il trasporto di queste sostanze è più facile.
Le caratteristiche dei suoli, quali la composizione, la dimensione delle particelle, il contenuto
percentuale di umidità, la percentuale di carbonio organico e la capacità di scambio cationico
possono risultare importanti per il risanamento dai contaminanti (Skladany e Baker, 1994).
2.1.2
Composizione e stratificazioni
Per meglio comprendere la struttura del suolo è necessario suddividerlo in cinque zone. La
distinzione di tali zone viene fatta sulla base della permeabilità e della capacità che il suolo ha di
ritenere l’acqua, elemento che primariamente condiziona la vita dei microrganismi.
20
1.
Zona superficiale, insatura e trofica, ricca di humus e di materia organica in decomposizione.
2.
Zona insatura, o vadosa, la porzione del suolo in cui i pori non sono completamente saturi di
acqua. Essa giace tra la zona superficiale e la zona satura. In questo strato l’acqua si muove
principalmente per percolamento. Si tratta di un ambiente oligotrofico che presenta una bassa
concentrazione di carbonio organico (generalmente < 0,1%), di azoto e fosforo. Il suo
spessore varia considerevolmente: quando la zona satura è poco profonda, o comunque più
vicina alla superficie, la zona insatura risulta sottile o talvolta inesistente, come nelle terre
sommerse (paludi). Al contrario, ci sono molte aree del mondo, aride o semiaride, in cui la
zona insatura può essere spessa diverse centinaia di metri.
3.
Zona capillare, il limite di separazione tra zona vadosa e zona satura, in cui il fenomeno
dominante è appunto la capillarità. Non ha uno spessore definito, poiché il livello dell’acqua
può variare a seconda degli eventi metereologici.
4.
Zona satura, si trova subito sotto la frangia capillare. È composta da materiale poroso
completamente saturato d'acqua. Rappresenta il corpo idrologico vero e proprio, in cui l'acqua
può "scorrere" secondo la conducibilità idraulica che caratterizza lo strato. È un ambiente
oligotrofico.
5.
2.1.3
Base della falda è definita come uno strato impermeabile al di sotto della zona satura.
Il suolo e le sue funzioni
Il suolo si trova a svolgere differenti funzioni (Blum 1990):
•
Ecologiche, fornisce le sostanze nutritive ed un mezzo di sostegno alle radici delle piante.
Opera un’azione di filtraggio, un effetto tampone e di trasformazione, consentendo in questo
modo di far fronte alle sostanze nocive, attraverso l’assorbimento, la precipitazione o perfino
la decomposizione di queste sostanze, impedendo così ad esse di raggiungere le falde
acquifere. Il suolo è l’habitat di differenti specie microbiche necessarie al ciclo della vita.
•
Socioeconomiche, è fonte di materie prime. Da esso è possibile ricavare biomassa, acqua,
argilla, sabbia, ghiaia e minerali, inoltre combustibili (carbone e petrolio). E’ il supporto agli
insediamenti umani (abitazioni e infrastrutture, attività di svago). Permette lo smaltimento dei
rifiuti.
•
Culturali, come patrimonio geogenico e culturale, è una fonte di testimonianze
paleontologiche e archeologiche, importanti per la comprensione dell’evoluzione della terra e
della specie umana (EEA - L’ambiente in Europa).
21
Per le sue molteplici funzioni e per i suoi molteplici impatti, il suolo svolge quindi un ruolo
fondamentale per l’ambiente. Esso deve essere considerato, alla stregua di acqua ed aria, come una
risorsa necessaria, ma finita e non rinnovabile, dal momento che i fenomeni di rigenerazione,
attraverso i processi chimico-fisici e biologici del substrato roccioso, richiedono tempi molto
lunghi. Ad esempio, nei climi umidi il tempo necessario per la formazione di uno strato di suolo di
appena 2,5 cm è in media di 500 anni (Time Ecology, 1998)
Per degrado del suolo si intende la perdita o il deterioramento delle sue funzioni. Le perdite di
suolo dovute a impermeabilizzazione ed erosione possono essere considerate in gran parte
irreversibili se rapportate al tempo necessario perché esso possa formarsi o rigenerarsi. Un esempio
della rapidità della perdita irreversibile di suolo in Europa è la scomparsa di terreno potenzialmente
produttivo dovuta allo sviluppo urbano degli anni Settanta, ad un ritmo di circa 120 ettari al giorno
in Germania, 35 ettari al giorno in Austria e 10 ettari al giorno in Svizzera (Van Lynden, 1995). I
fenomeni di deterioramento del suolo connessi all’antropizzazione sono continuamente in aumento
e prevalgono sui fenomeni naturali: ad esempio, il tasso di erosione provocato dagli interventi
dell’uomo è 10-15 volte superiore a quello naturale (EEA, 1999).
Al deterioramento del suolo dovuto a contaminazione locale o diffusa, può essere spesso
posto rimedio prendendo adeguate misure, quali piani di pulizia e di bonifica.
Il suolo è suscettibile a diversi tipi di inquinamento, dovuti all’attività dell’uomo in molteplici
campi, primo fra tutti quello industriale. Le possibili fonti di inquinamento del suolo possono essere
le seguenti (Pin, 2000):
•
siti dove sono stati smaltiti rifiuti pericolosi o industriali senza un adeguato controllo
ambientale;
•
terreni o falde contaminate da percolato proveniente da discariche di rifiuti solidi;
•
sversamenti di prodotti chimici che si verificano durante il trasporto;
•
perdite da serbatoi interrati o fuori terra impiegati per il deposito di petrolio o altri prodotti
chimici;
•
scarichi provenienti da lagune o bacini di trattamento di rifiuti liquidi;
•
terreni contaminati da precipitato atmosferico;
•
siti radioattivi per la presenza di lavorazioni di combustibili nucleari;
•
terreni agricoli contaminati da applicazioni eccessive di pesticidi e insetticidi.
22
2.2
I Microrganismi
I microrganismi sono organismi microscopici formati da una singola cellula o da
raggruppamenti di cellule (Madigan et al, 2003). Le cellule vivono in natura in associazione con
altre cellule in una sorta di agglomerato chiamato popolazione. Il luogo dove la popolazione
microbica vive si chiama habitat. In natura le popolazioni convivono ed interagiscono con altre
popolazioni cellulari formando le comunità microbiche. Quando si considerano gli organismi
viventi insieme alle caratteristiche fisico-chimiche del loro ambiente, si parla di ecosistema.
Esistono differenti ecosistemi microbici, i principali sono quelli acquatici (oceani, laghi, fiumi e
sorgenti), terrestri (suolo e rocce) e quelli degli organismi superiori: le proprietà di un ecosistema
sono in gran parte determinate dall’attività batterica.
2.2.1
I Microrganismi nel suolo
Il suolo è abitato da popolazioni indigene (autoctone) di batteri, funghi, alghe e protozoi. Sono
inoltre presenti fagi o virus che sono in grado di infettare ciascuna di queste classi di organismi, ma
le informazioni a riguardo sono ancora limitate (Maier e Pepper, 1995). Oltre alle popolazioni
indigene possiamo trovare microrganismi introdotti con l’attività umana (agenti di controllo
biologico o agenti biodegradativi) od animale (escrementi).
In generale le colonie microbiche non si distribuiscono uniformemente sulle particelle del
terreno. La disponibilità di micronutrienti e di matrice organica, condizionano primariamente la
crescita dei microrganismi, e differisce in modo particolare tra l’ambiente superficiale ed il
sottosuolo. Tale differenza si riflette in una più alta e più uniforme distribuzione del numero e delle
attività dei microrganismi nel suolo superficiale. La maggior parte dei microrganismi si riuniscono a
formare degli aggregati, infatti circa l'80-90% delle cellule si adsorbono alla matrice solida mentre
le restanti sono libere nel mezzo poroso. La formazione di aggregati e di colonie conferisce notevoli
vantaggi ai microrganismi: li protegge dalla predazione da parte dei protozoi; aiuta a concentrare
localmente i nutrienti presenti ed a favorire il loro ricircolo; consente di modificare l'ambiente
immediatamente circostante le colonie, ottimizzando le condizioni di crescita, attraverso la
variazione di fattori come ad esempio il pH.
Le cellule in forma libera sono dunque meno frequenti ma rappresentano un importante
meccanismo di dispersione dei microrganismi. Quando le riserve di nutrienti, in un particolare
punto della superficie del mezzo poroso, si esauriscono, i microrganismi necessitano di un
meccanismo attraverso cui raggiungere nuovi siti in grado di soddisfare le loro esigenze
23
nutrizionali. I funghi lo fanno attraverso la produzione di spore rilasciate dai corpi fruttiferi o
mediante l'estensione delle ife. Un meccanismo di dispersione analogo è stato evoluto anche dagli
attinomiceti (batteri) che producono anch'essi esospore. Alcuni batteri utilizzano invece un
differente meccanismo noto come rilascio di cellule figlie free-living. Infatti è noto che le cellule
presenti sulla superficie della colonia, subiscono dei cambiamenti nella composizione dello strato
superficiale che causa il rilascio di cellule figlie neo-formate. Quando tali cellule free-living
crescono, la loro superficie subisce delle variazioni nella composizione chimica che permettono
l'adesione ad un nuovo sito caratterizzato da più favorevoli condizioni ambientali (Maier, 1999).
Il numero di microrganismi coltivabili dello strato superficiale del suolo può raggiungere il
valore di 108 UFC (unità formanti colonia) per grammo di suolo secco, tale valore aumenta di uno o
due ordini di grandezza se ottenuto con la tecnica della conta diretta. La differenza tra conta diretta
e conta dei coltivabili è maggiore nel sottosuolo, per la presenza di un maggior numero di batteri
vitali, ma non coltivabili: tali microrganismi, trovandosi in condizioni ambientali sfavorevoli a
causa della carenza di sostanze nutrienti e del basso contenuto di substrato organico, vivono in uno
stato di stress e possono subire danni subletali. I microrganismi perdono quindi la capacità di
crescere nei comuni terreni di coltura secondo metodi convenzionali. E' noto infatti che il 99% dei
microrganismi del suolo non siano coltivabili (Roszak and Colwell, 1987).
I microrganismi possono rilasciare gli enzimi nel suolo. Gli enzimi hanno la capacità di
catalizzare le reazioni di ossidazione di una varietà di idrocarburi differenti, e alcuni di essi sono
caratterizzati da un’ampia specificità di substrato (Gibson and Yeh, 1973). L’attività degli enzimi
nel suolo è la somma dell’attività di tutti gli enzimi accumulati. L’attività dell’enzima nativo è il
risultato di molti processi che conducono alla combinazione parziale degli enzimi prodotti
localmente nell'ambiente suolo. In altre parole, questi enzimi sono immobilizzati sulla superficie
delle particelle del terreno (McLaren, 1975).
2.2.1.1 I Funghi
I funghi sono microrganismi eucarioti non fototrofi provvisti di pareti cellulari rigide, si
distinguono in lieviti e muffe. Tutti i funghi sono eterotrofi e si nutrono mediante l'assorbimento di
molecole organiche disciolte. Alcuni funghi sono decompositori, e sono in grado di digerire
macromolecole complesse e di trasformarle in molecole più piccole.
I funghi miceliari aerobi sono abbondanti sulla superficie del suolo. Il loro numero è
generalmente compreso tra 105 e 106 /g di suolo. Analogamente agli attinomiceti, i funghi svolgono
un ruolo importante nella decomposizione di polimeri organici semplici e complessi (come la
24
cellulosa e la lignina), alcuni funghi sono anche capaci di degradare sostanze inquinanti. La loro
capacità di degradazione aumenta con l’abbassarsi del pH, in quanto, a differenza degli attinomiceti,
preferiscono un ambiente acido. Tra i generi maggiormente rappresentati ed attivi nel terreno vi
sono: Mucor, Phthium, Fusarium, Tricoderma, Penicillium (produttori di antibiotici), Aspergillus
(demolitori dei tannini). I lieviti, anaerobi facoltativi, sono in numero inferiore rispetto ai funghi
miceliari, pari a circa 103cellule/g di suolo. Poiché si nutrono di materia organica, li troviamo
soprattutto negli strati superficiali, mentre il loro numero decresce rapidamente con l’aumentare
della profondità.
2.2.1.2 Le alghe
Le alghe sono microrganismi eucarioti fototrofi, tuttavia a maggiori profondità esistono anche
alghe capaci di crescere sia autotroficamente che eterotroficamente (alghe verdi e diatomee). La
maggior parte si trova comunque nei primi 10 cm di suolo, in numero pari a circa 5.000 – 10.000
cellule/g di suolo.
La popolazione algale del suolo presenta delle variazioni stagionali che prevedono un
aumento del loro numero in primavera ed in estate. Le alghe sono spesso i primi colonizzatori di un
suolo, ed il loro metabolismo è critico per la sua formazione. Infatti il loro metabolismo produce
acidi carbonici che favoriscono la degradazione delle particelle minerali circostanti ed inoltre
producono una grande quantità di polisaccaridi extracellulari che partecipano alla formazione del
suolo, favorendo l’aggregazione delle particelle.
2.2.1.3 I protozoi
I protozoi sono microrganismi eucarioti unicellulari non fototrofi privi di parete cellulare.
Principalmente rappresentati da flagellati, presenti in maggior numero (amebe e ciliati), sono i
predatori di tutti gli altri microrganismi. A causa delle loro dimensioni e della grande richiesta di
microrganismi come fonte alimentare, si ritrovano soprattutto ad una profondità di 15–20 cm,
prevalentemente nella rizosfera densamente popolata da batteri.
I protozoi sono abbastanza numerosi, si trovano in numero di circa 30.000 cellule/g di suolo
in terreni incolti, 350.000 cellule/g di suolo in campi coltivati a mais e 1,6x106cellule/g di suolo
nelle aree subtropicali.
25
2.2.1.4 I Batteri
I batteri sono microrganismi procariotici, che possono essere classificati in diversi modi,
ciascuno in funzione dei differenti aspetti del processo metabolico. A livello di fonti di carbonio
possono essere distinti in autotrofi o eterotrofi: gli eterotrofi utilizzano uno o più composti organici
come fonte di carbonio, mentre gli autotrofi utilizzano la CO2. Parallelamente i batteri sono
raggruppati in funzione della sorgente di energia (esterna): chemiotrofi, ottengono energia
dall’ossidazione di sostanze chimiche, e fototrofi i quali ricavano la loro energia dalla luce (Pelczar
et al., 1986). Alcuni batteri possono ottenere energia solo in presenza di ossigeno, e sono chiamati
quindi aerobi, altri solo in assenza di ossigeno, anaerobi; altri ancora possono ottenere energia sia in
presenza di ossigeno che in sua assenza, aerobi facoltativi.
Figura 2—1. Opzioni metaboliche per ottenere energia
I batteri eterotrofi sono gli organismi più importanti per la trasformazione dei composti
organici, per questo motivo essi possono essere utilizzati nel trattamento di composti inquinanti,
processo definito “biorisanamento (bioremediation). Lo scopo delle tecniche di biorisanamento è di
aumentare l’attività microbica.
I batteri possono essere classificati in due gruppi, i Gram positivi e i Gram negativi in
funzione della composizione e della struttura della loro parete cellulare. I batteri Gram positivi
hanno una parete cellulare di peptidoglicano spessa ed una volta colorati con la tecnica di
colorazione di Gram (introdotta da Christian Gram nel 1884 per poter distinguere i batteri Gram
26
positivi dai Gram negativi utilizzando una serie di reagenti di colorazione), appaiono blu scuri o
viola. I batteri Gram negativi hanno una parete cellulare più complessa per la presenza di una
membrana esterna che circonda quella esterna di peptidoglicani. Con la colorazione di Gram, si
presentano di colore rosa.
2.2.2
I Batteri del suolo superficiale
I batteri sono i microrganismi più numerosi sulla superficie terrestre. Si stima che le specie
batteriche costituenti la comunità del suolo, possano raggiungere il numero di 10.000 (Turco e
Sadowsky, 1995). Il titolo vitale, variabile in funzione delle condizioni ambientali come
composizione del suolo e temperatura, varia tra 107 e 108 cellule/g di suolo, mentre la popolazione
totale può superare le 1010 cellule/g di suolo. Generalmente i batteri aerobi superano di due o tre
ordini di grandezza quelli anaerobi, mentre la popolazione anaerobica cresce logicamente con
l’aumentare della profondità del suolo. Tra i generi più rappresentati vi sono Pseudomonas e
Agrobacterium ed in quantità molto inferiore i generi Azotobacter, Rhizobium, Nitrosomonas,
Nitrobacter.
Gli attinomiceti sono i microrganismi coltivabili più abbondantemente presenti nel suolo. Il
loro numero è generalmente uno o due ordini di grandezza più piccolo rispetto alla popolazione
batterica totale. Gli attinomiceti sono batteri Gram positivi, solitamente immobili (solo le spore
possono essere flagellate), essenzialmente aerobi, capaci di formare miceli ramificati e spore. Gli
attinomiceti sono un’importante componente della popolazione batterica, specialmente in
condizioni di elevato pH, elevate temperature o stress idrico. Essi rivestono una notevole
importanza nel processo di mineralizzazione del materiale organico, essendo in grado di disgregare
una grande varietà di composti organici. Essi attaccano le proteine degradate e gli aminoacidi, con
produzione di ammoniaca. Nel suolo tra i generi più rappresentati vi sono Nocardia e Rhodococcus,
attinomiceti nocardiformi, e Streptomyces. Le nocardie partecipano al processo di degradazione
degli idrocarburi e delle cere e contribuiscono al biodeterioramento delle giunture di gomma nelle
condutture idriche e di scolo. Sia il genere Nocardia che Rhodococcus sono inoltre accomunati
dalla presenza di acidi micolici nella parete.
Il genere Streptomyces comprende centinaia di specie anche se il loro numero si sta riducendo
con il progredire delle conoscenze tassonomiche. Sono strettamente aerobi, formano catene di spore
immobili, racchiuse all’interno di un rivestimento fibroso, spesso pigmentati e con struttura liscia,
irsuta o spinosa. Nel suolo rappresentano l’1-20% della popolazione microbica coltivabile e sono
responsabili della produzione di sostanze volatili come la geosmina a cui si deve l’odore della terra
27
umida. Questi batteri svolgono un ruolo primario nella degradazione e mineralizzazione di sostanze
resistenti come la lignina, la pectina, la chitina, la cheratina, il lattice ed i composti aromatici. Sono
inoltre noti per la capacità di sintetizzare una grande quantità di antibiotici. Altri gruppi presenti nel
suolo annoverano i batteri corineformi, anch'essi inclusi fra gli attinomiceti e gli sporigeni aerobi tra
cui il genere Bacillus.
La distribuzione dei batteri è funzione della disponibilità di nutrienti. Inoltre risultano di
primaria importanza, la granulometria e la struttura del suolo: in funzione della tessitura infatti, i
microrganismi si localizzano diversamente tra i pori dei microaggregati e, dopo avervi aderito,
iniziano a moltiplicarsi. E’ importante tener presente che le dimensioni dei pori controllano il flusso
dell'acqua: i pori più larghi drenano più rapidamente rispetto a quelli di minor diametro, quindi la
parte interna di questi ultimi mantiene un più elevato tasso di umidità, risultando maggiormente
adatta allo sviluppo dei microrganismi. Questo giustifica il motivo per cui i batteri Gram-positivi,
che sono meglio adattati a condizioni di disidratazione, tendono ad occupare la parte esterna dei
microaggregati, mentre i batteri Gram-negativi si localizzano preferenzialmente nella parte più
interna.
2.2.3
I Batteri del sottosuolo
Lo studio delle comunità microbiche che popolano il sottosuolo è relativamente recente, a
causa della mancanza, prima degli anni ’80, di tecniche che potessero garantire prelievi sterili. Per
questo abbiamo ancora poche informazioni sui microrganismi che popolano questo ambiente e sui
loro metabolismi (Maier e Pepper, 1995). E’ stato comunque recentemente dimostrato che
sedimenti e rocce della zona vadosa sono ampiamente popolate da microrganismi vitali (Kieft,
1999). Per analizzare a fondo la distribuzione dei microrganismi in tale comparto si deve tener
presente la suddivisione in strati del suolo.
Nel sottosuolo poco profondo, le zone più ricche d’acqua sono senza dubbio le più popolate,
con un numero relativamente alto di batteri (titolo totale pari a 105-107 cellule/g di suolo). Gran
parte della popolazione è costituita da batteri Gram-positivi (sopratutto Streptomiceti) aerobi ed
eterotrofi, pur essendo presenti anche batteri anaerobi ed autotrofi (tabella 1).
28
Tabella 1. Ceppi isolati dalla zona vadosa di tre differenti siti di regioni aride e semiaride (Kief, 1999)
Hanford Site
Nevada Test Site
White Bluffs, Eastern WA
Streptomycetes
Bacillus
Arthrobacter
Azospirillum
Bradyrhizobium
Xanthomonas
Pseudomonas
Telluria
Arthrobacter
Micrococcus
Bacillus
Corynebacterium
Gordona
Acinetobacter
Acidovorax
Hydrogenophaga
Pseudomonas
Arthrobacter
Micrococcus
Clavibacter
Nocardioides
Planococcus
Streptomyces
Bacillus
Blastobacter
Paracoccus
Methylobacterium
Sphingomonas
Batteri isolati dal sottosuolo si sono dimostrati capaci di degradare substrati semplici come il
glucosio, così come substrati complessi quali composti aromatici, surfattanti e pesticidi. Queste
caratteristiche fanno ritenere che i microrganismi del sottosuolo possano essere utilizzati per
decontaminare in situ zone inquinate da una grande varietà di composti organici.
Nella zona vadosa, il titolo totale si mantiene alto e decresce solo di un ordine di grandezza
rispetto a quello superficiale. Diversamente la conta vitale decresce di quattro ordini di grandezza/g
di suolo (Maier e Pepper, 1999). Nella zona insatura l’acqua si presenta in forma di sottile e
discontinuo film che forma un menisco concavo nelle fessure tra le particelle. La natura discontinua
di questo film d’acqua limita il movimento dei nutrienti dissolti e quello dei microrganismi che è
primariamente controllato da fenomeni di diffusione. La zona vadosa presenta normalmente
un’elevata umidità, quindi i batteri non sono soggetti a fenomeni di disidratazione. Vista la bassa
concentrazione di materia organica e la bassa velocità di diffusione dei nutrienti, i microrganismi
presentano una bassa attività metabolica, condizione che può perdurare a lungo. Nella zona satura
profonda è presente una grande varietà di microrganismi ed un numero totale che si aggira tra 106 e
107 cellule/g sedimento. Le tipologie più rappresentate includono aerobi e anaerobi facoltativi,
denitrificanti, nitrificanti, metanogeni, solfato-riduttori. Sono presenti anche alcuni cianobatteri
(oltre a funghi e protozoi). Questi microrganismi sono in grado di metabolizzare zuccheri semplici,
acidi organici, polimeri complessi come acido β-idrossibutirrico ed alcuni surfattanti come Tween
40 e Tween 80.
Nel sottosuolo si osserva un elevato incremento del numero dei microrganismi negli strati con
un’alta quantità di materia organica residua (paleosol) ed in aree contaminate da inquinanti organici
o che hanno subito un arricchimento artificiale mediante aggiunta di nutrienti. A dispetto del basso
numero e della bassa attività metabolica in situ dei microrganismi presenti nella zona vadosa, questi
possono giocare un ruolo importante nel biorecupero del sottosuolo contaminato, nella
29
mobilizzazione o immobilizzazione di contaminanti organici ed inorganici sversati nel suolo, nei
cicli biogeochimici.
2.2.4
Stato metabolico dei batteri nel suolo
Tutte le cellule richiedono energia, essa può essere ottenuta in tre diversi modi: dai composti
chimici di natura organica, da quelli di natura inorganica o dalla luce (Madigan et al, 2003). La
grande biodiversità caratteristica del suolo è dovuta alle differenti esigenze nutrizionali dei
microrganismi ed alle diverse modalità di utilizzo dei substrati organici e dei nutrienti come
donatori e accettori finali di elettroni. Infatti, i composti organici ed inorganici possono essere
metabolizzati nell’ambito di un ampio spettro di condizioni redox. Per questo motivo il suolo è
considerato un ambiente altamente eterogeneo in cui convivono differenti tipi di organismi,
ciascuno dei quali occupa un determinato habitat, e all’interno di questo, una specifica nicchia.
Normalmente nel suolo e nei sedimenti, materiali facilmente degradabili come gli zuccheri,
sussistono solo transitoriamente, mentre i substrati più difficili da degradare (es. la lignina)
persistono per lunghi periodi di tempo. In particolare, le sostanze umiche (che sono componenti
stabili della materia organica) vengono degradati molto lentamente con una velocità pari al 2-5%
per anno. Nell’ambiente inoltre possono essere presenti fattori limitanti quali il potenziale redox,
azoto e fosforo, che impediscono l’utilizzo di un substrato presente in grandi quantità.
L’unico momento in cui i batteri del suolo esprimono un’elevata attività metabolica è quando
un nuovo substrato viene aggiunto al suolo (es. lettiera di foglie) o quando un determinato
microrganismo diventa capace di utilizzare un substrato precedentemente non biodisponibile. In
quest'ultimo caso una mutazione genetica o un trasferimento genico orizzontale determina
l’espressione di un nuovo sistema enzimatico che consente la degradazione di un substrato
precedentemente indegradabile. I microrganismi che esprimono questa nuova funzione, sono in
grado di utilizzare il substrato con un’elevata velocità metabolica senza dover competere con altri
organismi. Similmente viene espressa un’alta attività metabolica quando un microrganismo
alloctono, con una specifica capacità degradativa, viene aggiunto o introdotto nell’ambiente allo
scopo, ad esempio, di attivare la biodegradazione di un contaminante organico inquinante.
I composti organici presenti sulla Terra, che possono quindi essere usati dai microrganismi
per ottenere energia sono svariati. Tutti i composti organici naturali e perfino molti di quelli sintetici
possono essere degradati da uno o più gruppi microbici. L’energia è quindi ottenuta per ossidazione
(rimozione di elettroni) dei composti e viene conservata all’interno della cellula sotto forma di
molecole ad alta energia come l’adenosintrifosfato (ATP) (Madigan et al., 2003).
30
Nel suolo comunque, a parte questi casi, la maggior parte dei batteri si trova in condizioni di
stress dovute alla competizione per i nutrienti disponibili. Tale stato di stress si manifesta con una
crescita sbilanciata, con la comparsa di morfologie meno definite e più tondeggianti, con danni
subletali o letali. Lo stress abiotico può anche determinare la formazione di strutture di quiescenza
come le endospore, nel caso del genere Bacillus.
31
2.3
La Bioremediation
La tecnica di bioremediation o biorisanamento si è affermata negli ultimi anni come una delle
principali tecnologie di bonifica ambientale. "Il Principio più importante della Bioremediation è che
i microrganismi possono essere usati per distruggere gli agenti contaminanti pericolosi o per
trasformarli in forme meno pericolose” (US National Research Council, 1993).
Il biorisanamento di siti contaminati da composti organici, si basa sulla stimolazione
dell’attività catabolica di microrganismi capaci di utilizzare i contaminanti organici inquinanti come
fonte di carbonio ed energia. I composti organici possono quindi essere completamente degradati ad
anidride carbonica ed acqua, ovvero mineralizzati, oppure biotrasformati in composti meno tossici
(Rocco e Pin, 2000; Atlas e Bartha, 1997). Da quando ZoBeli (1946) riportò che quasi 100 specie di
batteri, rappresentanti 30 generi microbici, possedevano la proprietà di ossidare gli idrocarburi,
sono state scoperte molte specie e molti generi, ampiamente diffusi nei suoli, con le stesse capacità
(Istituto di Ricerca del Texas, L982a).
La Bioremediation è una tecnologia che include in se differenti (approcci metodologici)
trattamenti microbiologici, i quali come già accennato presentano alcuni vantaggi, rispetto alle
tecniche tradizionali, quali:
¾
costi molto contenuti (in confronto a trattamenti chimico-fisici);
¾
bassi consumi energetici;
¾
scarsi rischi di inquinamento di acque ed atmosfera circostante.
I maggiori svantaggi derivano invece:
−
dalla necessità di valutare preventivamente l’efficacia del trattamento microbiologico;
−
dalle condizioni ambientali difficili o scarsa presenza di microrganismi degradatori;
−
dalla scarsa conoscenza della possibilità di biodegradazione di composti xenobiotici e
della biodisponibilità dei contaminanti.
Il biorisanamento è comunque un processo complesso i cui aspetti quantitativi e qualitativi
dipendono dalla natura e dalla quantità del contaminante da eliminare, dal tipo di suolo, e dalle
condizioni ambientali e in definitiva dalla composizione della comunità microbica indigena. Tale
processo può essere inoltre effettuato in situ, ovvero direttamente sull’ambiente contaminato
(suolo), ex situ, estraendo la matrice contaminata e trattandola in appositi impianti. Nel caso in cui
tali impianti siano localizzati all’interno del sito, il processo è definito on site.
32
2.3.1
Ruolo dei microrganismi nella Bioremediation
La Bioremediation è un processo basato sull’attività dei microrganismi aerobi ed anaerobi
eterotrofi (Boopathy, 2000), che si basa sulla stimolazione delle loro capacità cataboliche, per
rimuovere i contaminanti dal suolo. I microrganismi sono adsorbiti sulle particelle del suolo
attraverso meccanismi di scambio ionico: in generale le particelle del terreno hanno una carica
negativa, ed i batteri del suolo possono legarsi attraverso legami ionici coinvolgenti cationi
polivalenti (Killharn,1994). Essi possono quindi distruggere l'agente inquinante presente nel suolo
attraverso il metabolismo microbico che è il processo vitale della cellula microbica nel quale sono
effettuate le attività nutrizionali e funzionali di un organismo (Pelczar et al, 1986).
Generalmente, i microrganismi del suolo effettuano due funzioni: prelevano una fonte di
carbonio da un contaminante organico ed usano gli elettroni forniti dallo stesso composto per
ottenere energia. Schematicamente i fenomeni di biodegradazione delle molecole organiche
possono essere rappresentati da reazioni di ossidoriduzione, catalizzate dagli enzimi prodotti dai
microrganismi, ossia un processo di trasferimento di uno o più elettroni da composti altamente
energetici, donatori di elettroni (ossidati), a composti a minor energia, accettori di elettroni (ridotti),
con immagazzinamento finale di energia nelle molecole di ATP (Bonomo, 2005).
Esistono due categorie di trasformazioni: nella prima la biodegradazione fornisce carbonio ed
energia per supportare la crescita cellulare ed i processi sono perciò “crescita-collegati”; nella
seconda la biodegradazione non è legata alla moltiplicazione cellulare e tutto, o quasi tutto, il
carbonio è mineralizzato, ovvero trasformato completamente nelle forme inorganiche (es. anidride
carbonica e metano), e non accumulato in biomassa (Alexander, 1999).
Nei comparti ambientali (suolo) il carbonio assimilato è stimato in:
Cassimilato = Csubstrato − Cmineralizzato
EQUAZIONE 1
La percentuale di substrato che è mineralizzato e quello che è assimilato dipendono da svariati
fattori, quali le specie microbiche che effettuano la biodegradazione, la tipologia del substrato, la
sua concentrazione, la temperatura e probabilmente, altri fattori ambientali (Alexander, 1999). Da
osservare come non sia possibile generalizzare che la percentuale di mineralizzazione incrementi o
diminuisca con l’aumentare della concentrazione.
I microrganismi responsabili dei processi di biodegradazione competono fra loro per le fonti
di carbonio organico disponibile. La stechiometria dei processi per la conversione della sostanza
organica, sinteticamente rappresentata da CH2O, in differenti ambienti redox, può essere
schematicamente rappresentata dalle reazioni generali e dai corrispondenti valori dell’energia libera
33
di Gibbs, a pH = 7 (Azadpour Keeley et al., 1999) (Tabella 2). In termini di resa energetica il
processo più efficiente è generalmente la respirazione aerobica: quando l’ossigeno diviene carente,
si possono instaurare processi in anaerobiosi, in cui vengono utilizzati quali accettori di elettroni, in
ordine di preferenza, nitrati (Denitrificazione), il Mn4+, il Fe3+ i solfati e l’anidride carbonica
(Metanogenesi).
Tabella 2. Reazioni generali di conversione della sostanza organica in differenti ambienti redox e
corrispondenti valori dell’energia libera di Gibbs a pH = 7
REAZIONE
O2 + CH2O
Respirazione aerobica
Riduzione dei nitrati
Riduzione del manganese
Riduzione del ferro
Riduzione dei solfati
Metanogenesi, fermentazione
∆G0 (kcal mol-1)
STECHIOMETRIA
3-
+
4NO + 4H + 5CH2O
+
- 120
2N2 + 5CO2 + 7H2O
- 114
2+
4MnO2 + CH2O + 4H
2Mn + CO2 + 3H2O
+
4Fe(OH)3 + CH2O + 8H
2-
CO2 + H2O
+
2CH2O + SO4 + H
2CH2O
2+
4Fe + CO2 + 11H2O
-
2CO2 + HS + 2H2O
CH4 + CO2
- 81
- 28
- 25
- 22
Vi sono casi nei quali, alcuni contaminanti organici (solventi clorurati) possono fungere da
accettori di elettroni, dando luogo a reazioni di riduzione (dealogenazione riduttiva), che
rappresentano il processo di degradazione di tali sostanze. Oltre ai processi di ossidazione e
riduzione alcune sostanze (solventi clorurati, MTBE) possono essere degradate casualmente per
processi cometabolici, in cui le molecole in questione reagiscono con gli enzimi prodotti dai
microrganismi per altri scopi.
2.3.2
Bioremediation intrinseca ed ingegnerizzata
Si possono distinguere due categorie di tecnologie di bioremediation. La prima, può essere
identificata come intrinseca (l’MNA, monitored natural attenuation), essa utilizza i microrganismi
disponibili naturalmente (autoctoni) per la degradazione dei contaminanti e non necessita di
interventi di tipo ingegneristico nel sito. Esperienze pratiche hanno mostrato che meccanismi, quali
la biodegradazione, la dispersione, la diluizione, l’adsorbimento, la volatilizzazione ed altre reazioni
chimiche, in situazioni favorevoli, sono efficaci nell’indurre, in tempi accettabili e senza
l’intervento umano, una riduzione della tossicità o mobilità delle sostanze inquinanti (Wiedermeir et
al.,1998).
Il secondo gruppo di tecnologie, per potenziare il grado di bioremediation, coinvolge
solitamente un intervento di tipo ingegneristico, introducendo cioè ulteriori processi, quali ad
34
esempio l’aggiunta di sostanze nutrienti, di accettori di elettroni, di microrganismi etc. Il principio
del risanamento di tipo ingegneristico è di modificare le condizioni ambientali per accelerare
l’attività dei processi metabolici dei microrganismi. Di conseguenza, nei processi ingegneristici la
degradazione dei contaminanti può essere condotta secondo un programma regolarizzato, tale da
ridurre i rischi ed i costi.
Uno studio di un caso di Bioremediation intrinseca è stato documentato nell’isola di
Vancouver B.C, nel 1973. Furono rovesciate circa 180 tonnellate di petrolio. Cretney et al. (1978)
ha riportato che la biodegradazione ha rappresentato la quasi completa rimozione dei n-alcani
durante il primo anno dopo lo sversamento. Il pristano ed il fitano furono biodegradati più
lentamente, ma eliminati quasi completamente dopo 4 anni. I componenti ramificati del range C28, a
C30, si mostrarono come i più resistenti alla degradazione nei confronti di tutti i componenti estratti
in gas-cromatografia. Una bioremediation ingegnerizzata fu condotta in un campo di frumento del
New Jersey, contaminato con circa 1.9 milioni di litri di cherosene, per oltre 1.5 ettari. Venne
intrapreso un programma di risanamento che consisteva in una frequente lavorazione,
fertilizzazione e concimazione della terra, e fu monitorata per un periodo di due anni la diminuzione
dell’inquinamento da idrocarburi. Durante quel periodo, il contenuto di idrocarburi della superficie
del suolo diminuì fino ad un livello insignificante ed il campo tornò ad uno stato produttivo quasi
normale (Dibble e Bartha, 1979).
35
2.4
Degradazione degli Idrocarburi Petroliferi
Nel 1965, Alexander stabilì il cosiddetto principio dell’infallibilità metabolica, secondo il
quale nessun composto organico naturale risulta totalmente recalcitrante alla degradazione nelle
condizioni ambientali favorevoli. L’evoluzione dei vari biopolimeri è stata lenta e graduale,
dell’ordine di milioni di anni, e parallelamente si sono evolute le vie metaboliche che ne permettono
la degradazione. Il principio di Alexander si applica anche al petrolio, che, come abbiamo discusso
nei paragrafi precedenti, è una miscela di idrocarburi che si origina dalla materia organica; esistono
infatti microrganismi in grado di catabolizzare gli idrocarburi petroliferi (Atlas e Bartha, 1997). La
biodegradazione degli idrocarburi è un processo nel quale gli organismi eterotrofi utilizzano gli
idrocarburi come fonte di carbonio e di energia. Durante tale processo i microrganismi, attraverso
una serie di reazioni di ossido-riduzione, utilizzano gli idrocarburi come donatori di elettroni,
mentre l’ossigeno rappresenta l’accettore.
La biodegradabilità degli idrocarburi petroliferi dipende dalla struttura chimica delle sue varie
componenti. Strutture più semplici sono più facilmente degradabili, strutture più ramificate, al
contrario, più lentamente degradabili: gli alcani sono più facilmente degradabili dei composti
aromatici; gli anelli dei monoaromatici (BTEX) sono aperti più facilmente di quelli dei composti
con più anelli (naftaleni).
Tabella 3. Solubilità e viscosità di prodotti petroliferi rappresentativi: Cole GM (1994), “Assessment and
Remediation of Petroleum Contaminated Sites” - Boca Raton, FL: CRC Press.
Solubility in Cold Water
Viscosità
Product
(at 20 C in ppm)
(in Centistokes)
Gasoline
1-Pentene
Benzene
toluene
Ethylbenzene
Xylenes
n-Hexene
Cyclohexane
i-Octane
JP-4 Jet Fuel
Kerosene
Diesel
Light Fuel Oil #1 and #2
Heavy Fuel Oil #4, #5 & #6
Lubricating Oil
Used Oil
Methanol
50-100
150
1,791
515
775
150
12
210
0.008
<1
<1
<1
<1
<1
< 0.001
< 0.001
> 100,000
0.5-0.6
n/a
0.5
0.5
0.6
0.6
0.4
n/a
n/a
0.8-1.2
1.5-2
2-4
1.4-3.6
5.8-194
400-600
40-60
< 0.1
36
In generale, i più leggeri sono più solubili e maggiormente biodegradabili dei pesanti (meno
solubili). La resistenza alla biodegradazione di un composto aumenta con l’aumento del peso
molecolare. Ad esempio la benzina, che è considerata più facilmente degradabile del gasolio, ha una
solubilità da 50 a 100 ppm e viscosità da 0,5 a 0.6 mm2/s, paragonata alla solubilità di meno di 1
ppm ed alla viscosità da 2 a 4 mm2/s del gasolio (Tabella 3). Allo stesso modo, il gasolio è più
biodegradabile dell’olio esausto, il quale ha una solubilità minore di 1 ppb e viscosità da 40 a 600
mm2/s.
2.4.1
Vie di degradazione degli idrocarburi alifatici
2.4.1.1 Alcani
Grazie alla loro struttura simile agli acidi grassi ed alle paraffine vegetali, entrambi ubiquitari
in natura, molti microrganismi possono utilizzare gli alcani, come unica fonte di carbonio ed
energia. Generalmente sono considerati gli idrocarburi più facilmente degradabili.
La biodegradazione necessita di grandi quantità di ossigeno e comporta l’intervento di un
enzima, la monoossigenasi. La degradazione ha inizio con l’inserimento di un atomo di ossigeno
nella molecola dell’alcano. Successivamente due enzimi deidrogenasi portano alla formazione di un
acido grasso semplice, il quale viene a questo punto combinato al Coenzima A (Figura 2—2). La
molecola così formata seguirà la comune via di degradazione degli acidi grassi, ovvero la βossidazione, che taglia consecutivamente frammenti a due atomi di carbonio, con la formazione di
molecole di Acetil-CoA, che poi entra nel ciclo degli acidi tricarbossilici (o ciclo di Krebs), CO2 e
H2O. A partire da acidi grassi con numero pari di atomi di carbonio, si otterrà una molecola di
acetil-CoA; se il numero è dispari, rimarrà una molecola di propionil-CoA, che verrà poi convertita
in succinil-CoA, intermedio del ciclo degli acidi tricarbossilici.
I microrganismi degradano preferibilmente, e più rapidamente, gli alcani con una catena di
lunghezza media C10-C24. Quelli con una catena corta risultano tossici per molti microrganismi, in
quanto interagiscono con la membrana cellulare, alterandone la sua fluidità e la sua integrità. Anche
gli alcani molto lunghi sono utilizzati più lentamente a causa della loro bassa biodisponibilità,
dovuta alla bassa solubilità in acqua. La solubilità è infatti un parametro che decresce con
l’allungarsi della molecola. La biodegradabilità degli alcani è anche influenzata negativamente dalle
ramificazioni della catena. Composti con atomi di carbonio quaternari (con quattro legami
carbonio-carbonio) sono estremamente stabili a causa di un effetto sterico.
37
Figura 2—2. Biodegradazione aerobia degli alcani
Gli alcheni sono idrocarburi che contengono uno o più doppi legami. La prima tappa della
degradazione degli alcheni è l’attacco all’ultimo o penultimo gruppo metilico; alternativamente, può
essere attaccato il doppio legame, con la formazione di un alcool primario o secondario, o di un
epossido. Ciascuno di questi composti verrà poi ossidato ad acido grasso e degradato attraverso la
β-ossidazione.
2.4.1.2 Aliciclici
Gli idrocarburi aliciclici sono i maggiori componenti del petrolio grezzo (dal 20 al 70% del
volume); si possono trovare frequentemente in natura nei semi oleosi, nelle paraffine, nei lipidi
microbici.
I vari componenti possono essere semplici, come il ciclopentano e il cicloesano, o complessi,
come il trimetilciclopentano ed alcune cicloparaffine. L’uso dei composti aliciclici nell’industria, e
di conseguenza il loro rilascio accidentale nell’ambiente, è più limitato se confrontato con quello
degli alifatici e aromatici; di conseguenza anche le ricerche riguardo questi composti sono molto
poche. Si ritiene che la degradazione degli aliciclici avvenga principalmente attraverso reazioni
commensalistiche e cometaboliche. Nel caso del cicloesano, una popolazione microbica trasforma il
38
cicloesano in cicloesanone, via cicloesanolo; mentre una seconda popolazione permette la
lattonizzazione, ovvero l’apertura dell’anello e la mineralizzazione del composto rimanente.
2.4.2
Vie di degradazione degli idrocarburi aromatici
I composti aromatici sono costituiti da un anello insaturo con la struttura generale C6R6, dove
R rappresenta il gruppo funzionale. Il benzene (C6H6) è il capostipite di questa famiglia. I composti
che contengono due o più anelli fusi insieme, sono detti idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
Oltre che nel petrolio, gli IPA si trovano nella lignina, e si formano durante la combustione del
materiale organico negli incendi delle foreste. Alcuni composti aromatici del petrolio sono
cancerogeni per l’uomo. Gli IPA possono essere tossici anche per i microrganismi. Per la loro
pericolosità nei confronti della salute umana, la degradazione dei composti aromatici è molto
studiata. Il risultato di questi studi ha mostrato come una grande varietà di batteri e funghi sia
capace di degradare parzialmente o completamente alcuni di questi composti.
Figura 2—3. Degradazione degli aromatici
La degradazione aerobia degli IPA prevede l’intervento degli enzimi monoossigenasi e
diossigenasi. Generalmente, nei microrganismi procarioti, la prima reazione è un’idrossilazione da
parte della diossigenasi; attraverso la formazione di un cis- diidrodiolo, si arriva al catecolo.
L’anello del catecolo è poi rotto da una seconda diossigenasi che taglia in orto o in meta. I
microrganismi eucarioti, invece, attaccano inizialmente gli IPA con la monossigenasi del citocromo
P-450, incorporando un atomo di ossigeno nell’anello e riducendo l’altro ad acqua; si forma un
epossido che, per addizione enzimatica di acqua, forma un trans-diidrodiolo. Alternativamente,
l’epossido può essere isomerizzato e formare un fenolo che può coniugarsi con solfato, acido
39
glucuronico o glutatione. I composti eterociclici contengono uno o più eteroatomi (azoto, zolfo,
ossigeno). Generalmente, i composti eterociclici sono più difficili da degradare degli analoghi
aromatici che contengono solo carbonio; questo è probabilmente dovuto all’alta elettronegatività
dell’azoto e dell’ossigeno rispetto agli atomi di carbonio.
Le condizioni anaerobie sono abbastanza comuni nell’ambiente, in zone acquose ed in
sedimenti saturi. Molto spesso, anche in suoli ben areati, troviamo microambienti con quantità di
ossigeno limitata, se non nulla. L’anaerobiosi si verifica quando la percentuale di ossigeno
consumata dai microrganismi è maggiore della percentuale di ossigeno che diffonde attraverso
l’aria o l’acqua (Maier, 1995). Per quanto il processo di degradazione degli idrocarburi petroliferi
sia favorito in ambiente aerobio, indagini relativamente recenti hanno evidenziato che molti
idrocarburi possono essere degradati in condizioni anaerobie (Figura 2—4). Questo processo
sembra essere svolto principalmente da microrganismi che compiono la respirazione anaerobia e
che sono perciò in grado di utilizzare come accettori di elettroni nitrati, solfati e ione ferrico. Questo
metabolismo produce meno energia di quella derivante dalla riduzione dell’ossigeno; tale reazione
procede inoltre ad una velocità inferiore rispetto alla biodegradazione aerobia.
Figura 2—4. Biodegradazione anaerobia del benzoato
40
MATERIALI E METODI
3
3.1
3.1.1
TERRENI DI COLTURA
Preparazione dei terreni
Terreno minimo di coltura Bushnell-Hass (BH; Difco cod. 0578-17).
Il terreno minimo BH viene utilizzato per valutare l’attività degradativa degli idrocarburi da parte
dei microrganismi. Nel terreno non sono presenti fonti di carbonio; queste verranno fornite
aggiungendo l’idrocarburo di cui si vuol verificare la degradazione.
La formula (per litro) del terreno Bushnell-Hass, è la seguente:
Solfato di magnesio: 0.2 g
Cloruro di calcio: 0.02 g
Potassio fosfato monobasico: 1 g
Ammonio fosfato dibasico: 1 g
Nitrato di potassio: 1 g
Cloruro ferrico: 0.05 g
pH finale: 7.0 + 0.2 a 25°C.
Per preparare 1 litro di terreno, occorrono 3.27 g di BH; si sterilizza poi in autoclave (121°C per 15
minuti).
3.1.2
Terreno minimo BH agarizzato
Le soluzioni di Agar e di BH vengono preparate in due bottiglie separate ad una concentrazione
doppia rispetto a quella finale, sterilizzate in autoclave 15 min 120 °C 0,7 atm, fatte raffreddare fino
a 55°C, miscelate e aliquotate in piastra.
3.1.3
Terreno minimo BH2
E’ stato formulato questo terreno minimo perché ha una composizione simile a quella BH, ma
presenta una minore concentrazione di ferro. Il solfato di ferro, il solfato di magnesio e il cloruro di
41
calcio sono forniti come soluzioni sterilizzate separatamente e questo impedisce la formazione di
precipitati (presenti nel terreno BH) che interferirebbero con le misurazioni.
Terreno base
K2HPO4
1.32 g/l
KH2PO4
1 g/l
NH4Cl
0.81 g/l
NaNO3
0.84 g/l
Sterilizzare in autoclave 1 atm 15 min.
Soluzioni di sali
FeSO4•7H2O
10 g/l
MgSO4•7H2O
1M
CaCl2•2H2O
1M
Sterilizzare separatamente in autoclave 1 atm 15 min.
Addizionare al terreno le soluzioni di sali:
FeSO4•7H2O
1 ml/l
MgSO4•7H2O
1.7 ml/l
CaCl2•2H2O
0.2 ml/l
pH finale: 7.0 + 0.2 a 25°C.
Il terreno completo non forma precipitati, ma deve essere completato al momento dell’uso.
3.1.4
Terreno massimo Tryptic Soy Broth (TSB; Difco cod. 0370-17)
Il terreno massimo TSB permette la coltivazione di una vasta gamma di microrganismi.
La formula (per litro), è la seguente:
Bacto Triptone: 17 g
Bacto Soytone: 3 g
Destrosio: 2.5 g
Cloruro di sodio: 5 g
Potassio fosfato dibasico: 2.5 g
pH finale: 7.3 + 0.2 a 25°C.
42
Per preparare 1 litro di terreno, occorrono 30 g di TSB; si sterilizza poi in autoclave (121°C per 15
minuti).
3.2
Preparazione di terreni solidi con idrocarburi sublimati
Una piastra magnetica riscaldante, su cui è sistemato un bagno di sabbia, è posta sotto cappa.
Della sabbia viene posta in un piatto di alluminio e sistemata in modo tale che la superficie sia
piana.
Un piatto di alluminio vuoto viene sistemato nella sabbia alla profondità di circa 16 mm e deve
essere lasciato sul bagno di sabbia, quando il sistema non è in uso, al fine di stabilizzare la
temperatura del bagno. Un termometro viene piazzato con l’angolo più piccolo possibile sotto la
superficie del bagno di sabbia cosicché possa essere misurata la temperatura vicino alla sua
superficie.
200 mg del composto che deve essere sublimato vengono uniformemente distribuiti nel piatto di
alluminio (diametro interno 110 mm). Il composto è distribuito con una spatola. Il piatto e il
composto sono tenuti nel bagno di sabbia riscaldato per diversi secondi in modo tale da far avvenire
una espansione termica uniforme del fondo del piatto.
Una piastra Petri di plastica, contenente BH agarizzato, è stata ristrisciata con il ceppo da analizzare
e successivamente raffreddata a circa 10°C, ponendo un altro piatto di alluminio, contenente
ghiaccio tritato, sulla superficie della piastra rovesciata per 5 minuti circa o raffreddando la piastra
per 45 minuti circa in frigo.
La piastra raffreddata e inoculata, viene poi sistemata capovolta sopra il piatto di alluminio
riscaldato, contenente il composto che deve essere sublimato. Un secondo piatto di alluminio
riempito con ghiaccio tritato è poi piazzato sopra la piastra.
A causa della alta temperatura della piastra calda, il ghiaccio deve essere mantenuto durante tutto il
processo di sublimazione. Il piatto di alluminio contenente il ghiaccio mantiene la temperatura
dell’agar sotto la temperatura ambiente (23°C). La sublimazione del composto deve durare un
periodo di tempo sufficiente a far depositare uno strato visibile sull’agar (Tabella 14). L’uniformità
della deposizione di composto può essere valutata tramite l’osservazione della variazione in
fluorescenza dello strato di composto sublimato alla luce UV.
Al fine di evitare la liquefazione del composto deve essere mantenuta una temperatura di almeno
5°C sotto la temperatura di fusione (ad eccezione della prova con octacosano).
I cristalli dei composti con le più alte pressioni di vapore, come il naftalene, tendono ad aggregarsi e
a volte devono essere frammentati al fine di prevenire una deposizione non uniforme del composto
43
Sebbene i composti aventi una pressione di vapore più bassa richiedano tempi di sublimazione più
lunghi o temperature dei bagni di sabbia più alte, essi solitamente non formano aggregati.
I composti che sono allo stato liquido durante il processo di sublimazione (octacosano) sono stati
mischiati con 1 o 2 grammi di allumina durante il processo di riscaldamento. L’allumina serve a
spargere il liquido uniformemente nel piatto di alluminio e a prevenire la formazione di goccioline
del composto.
Questo metodo di sublimazione effettivamente permette di depositare una consistente quantità di
composto sulla superficie dell’agar.
Il ceppo è stato incubato a 32°C per 3 giorni.
Poiché molte specie batteriche crescono sull’agar senza substrati aggiunti, la presenza di aloni di
chiarificazione nello strato di composto sublimato è più efficace nel dimostrare la degradazione del
composto della semplice osservazione di crescita batterica in una piastra dove sono semplicemente
forniti i composti sotto forma di vapore.
La relativamente alta pressione di vapore del naftalene richiede che un filtro di carta immerso nel
naftalene liquido sia posto sul coperchio della piastra durante l’incubazione per prevenire che il
composto evapori.
Tabella 4. Proprietà dei composti, temperatura del piatto d’alluminio e
tempo approssimativo richiesto per la sublimazione del composto sulla superficie dell’agar.
Temperatura
Pressione di
Temperatura piatto
Tempo approssimativo
di fusione
vapore (mm Hg)
di alluminio (°C)
di esposizione (min)
Naftalene
80
3.1*10-1
75
0.5
Fenantrene
100
1.0*10-3
95
5
Fluorantene
107
6.4*10-5
95
10
Antracene
218
6.5*10-4
135
5
Octacosano
61
1.1*10-9
135
105
Composto
44
4
4.1
4.1.1
PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI
Soluzioni utilizzate
Soluzione fisiologica
La composizione della soluzione fisiologica è la seguente: NaCl 0.85 g/litro.
Si sterilizza in autoclave (121°C per 15 minuti).
4.1.2
Soluzione di 2-(4-Iodophenyl)-3-(4-nitrophenyl)-5-phenyl-2H-tetrazolium
SIGMA, cod. I 8377)
(INT;
Figura 4—1. Formula INT. C19H13ClIN5O2 = 505.70
L’INT è il colorante utilizzato per evidenziare la crescita microbica. Viene ridotto velocemente, ad
opera delle deidrogenasi, a formazano (massima lunghezza d’onda = 490 nm), che presenta una
colorazione rosso-violetta.
Preparare una soluzione in acqua distillata alla concentrazione di 3 g/litro.
¾
Disciogliere mediante sonicazione.
¾
Sterilizzare mediante filtrazione, attraverso un filtro con porosità 0.22 µm.
4.1.3
Tris-Cl (Sambrook et al, 1989)
Sciogliere 121.1 g di Tris base in 800 ml di H2O. Lasciare che la soluzione raffreddi a temperatura
ambiente prima di aggiustare il pH. Il pH della soluzione di Tris dipende infatti dalla temperatura e
decresce approssimativamente di 0.03 unità di pH ad ogni incremento di temperatura di 1°C. Per
esempio, una soluzione 0.05 M ha valori di pH di 9.5, 8.9 e 8.6 rispettivamente a 5°C, 25°C e 37°C.
45
Riportare il pH al valore desiderato aggiungendo HCl concentrato (1M).
Tabella 5
pH
HCl
7.4
70 ml
7.6
60 ml
8.0
42 ml
Portare il volume finale della soluzione ad 1 litro con H2O. Aliquotare e sterilizzare per filtrazione
con filtri da 0.2 µm. Se la soluzione 1M ha un colore giallo non è di buona qualità e occorre
riprepararla.
4.1.4
TE (Sambrook et al, 1989)
100 mM Tris-Cl (di pH desiderato)
10 mM EDTA (pH 8.0)
(10x Tris EDTA)
Sterilizzare la soluzione per filtrazione attraverso dei filtri da 0.2 µm Conservare il buffer a
temperatura ambiente.
4.1.5
Esadecano lineare (C16) (SIGMA, cod. H0255)
La purezza del composto è >99% e la sua densità è 0.77 g/ml.
Si sterilizza per filtrazione, attraverso un filtro con porosità 0.22 µm.
4.1.6
Miscela idrocarburica contaminante
Si preleva dal sito contaminato mediante il bioslurping.
Si sterilizza per filtrazione, attraverso un filtro a 0.22 µm di porosità.
Il contaminante ha una densità di 0,89 g/ml.
46
5
5.1
5.1.1
CONTA MICROBICA
Determinazione del Most Probable Number (MPN)
Preparazione del campione di suolo
Si prelevano, con spatole sterili metalliche, 2.0 g di sedimento, si risospendono in 18 ml di
soluzione fisiologica sterile e si sottopongono ad agitazione vigorosa al vortex per 1 min. e 40 sec.
Il particolato viene fatto sedimentare sul fondo della provetta, mentre il surnatante, viene trasferito
in un nuovo tubo sterile da 50 ml. Questo ultimo verrà impiegato per la determinazione del titolo
vitale dei batteri aerobi eterotrofi e dei batteri “degradatori”.
5.1.2
Preparazione delle diluizioni
Vengono eseguite 10 diluizioni seriali 1:10 (da 10-1 a 10-10) del surnatante; queste vengono
effettuate in tubi sterili da 13 ml con l’aggiunta di 200 µl della sospensione a 1800 µl di terreno
minimo salino BH.
5.1.3
Preparazione delle multiwell
Le multiwell profonde da 96 pozzetti (SIGMA; cod. Z37,929-8 e Z37,927-1) vengono sterilizzate in
autoclave ed asciugate in stufa; per ogni campione se ne impiegano 3. Le multiwell vengono
preparate in questo modo:
¾
Nella prima si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno BH; verranno aggiunti poi 5
µl di esadecano.
¾
Nella seconda si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno BH; verranno aggiunti poi
5 µl di miscela sterile.
¾
5.1.4
Nella terza si aggiungono, a ciascun pozzetto, 180 µl di terreno TSB.
Inoculum
In ciascuna piastra multipozzetto vengono aggiunti 20 µl di inoculum di ciascuna delle diluizioni
seriali del surnatante. La prima colonna verticale di ogni multiwell viene inoculata con 20 µl della
diluizione seriale 10-1, le successive con le diluizioni seriali del campione da 10-2 a 10-10.
47
La colonna 11 non viene inoculata perché serve da controllo della sterilità del terreno (controllo
negativo). La 12 viene inoculata col campione non diluito. È importante controllare che l’inoculo
sia sceso sul fondo del pozzetto, se necessario, lo si può spingere con puntali sterili.
Si sigillano le piastre con parafilm e vengono poi incubate per 15 giorni a 32°C in sacchetti di
plastica per evitare l’evaporazione del terreno.
5.1.5
Lettura dell’esperimento
Nel caso delle piastre contenenti terreno massimo TSB, i pozzetti positivi verranno identificati
grazie alla loro torbidità, indice dell’avvenuta crescita microbica (Fig. 32-A). Il titolo verrà
calcolato su 5 righe orizzontali (B-F) delle multiwell (MPN a 5 tubi). Nel caso delle piastre
contenenti BH e idrocarburi, si aggiungono in ciascun pozzetto 50 µl di iodionitro tetrazolio (INT, 3
g/l) e si “spipettano” per 4 volte, per omogenare il campione. Le piastre verranno allora incubate 24
ore a 32°C e i pozzetti positivi verranno individuati dalla comparsa del colore viola. Il titolo vitale
verrà calcolato su 5 righe orizzontali (B-F) delle multiwell (MPN a 5 tubi) (Fig. 32-B,C).
A
B
Figura 5—1. A: Multiwell con TSB; B: esadecano
48
Figura 5—2. Miscela, al termine di un esperimento di MPN.
5.1.5.1 Calcolo del titolo vitale con la tecnica MPN
Il calcolo del titolo vitale viene eseguito nelle righe B-F (MPN a 5 tubi). Per calcolare il numero più
probabile (MPN) di microrganismi nel campione originario, selezioniamo la diluizione meno
concentrata che presenta tutti e cinque i tubi positivi e assegniamo a p1 il valore di 5. A p2 e p3
assegniamo il valore di tubi positivi delle successive due diluizioni più diluite (Alexander, 1982).
Nel caso in cui nessuna diluizione fornisca tutti i tubi positivi selezioniamo la diluizione meno
concentrata che presenta più tubi positivi e assegniamo a p1 un valore pari al numero di tubi
positivi. A p2 e p3 assegniamo il valore di tubi positivi delle successive due diluizioni più diluite.
Nell’esempio in figura 33-A la diluizione meno concentrata che presenta tutti e cinque i tubi
positivi (B-F) sarà la diluizione 10-2; il valore di p1 sarà 5. A p2 verrà assegnato il valore di tubi
positivi della diluizione 10-3, ovvero 2, e a p3 quello della diluizione 10-4, ovvero 0.
Si cerca poi nella tabella 13 il numero corrispondente all’incrocio dei valori dei parametri p1, p2 e
p3; esso corrisponderà al numero più probabile di microrganismi presenti nell’inoculum e capaci di
crescere nel terreno impiegato nell’esperimento.
Per calcolare il titolo vitale presente nella sospensione originaria (di microrganismi estratti dal
suolo) è necessario moltiplicare tale valore per la diluizione corrispondente al parametro p2 e per il
fattore 50 in modo da esprimere il titolo come cellule/ml (l’inoculum eseguito era infatti di 20 µl).
Per convertire il titolo vitale nell’unità di misura cellule/g di suolo è necessario moltiplicare per il
fattore di conversione 9 (tenendo presente che 2 g di suolo venivano diluiti in 18 ml di soluzione
fisiologica).
Titolo vitale (cellule/g di suolo)= MPN*diluizione (p2)*50 *9
49
Per trovare il limite superiore di confidenza del 95% è necessario moltiplicare il titolo vitale per il
fattore 3.30, mentre per trovare quello inferiore è necessario dividere per lo stesso fattore.
Tabella 6. Calcolo del MPN a 5 tubi.
50
6
ESTRAZIONE DEL DNA MEDIANTE FASTDNA KIT
Il FastDNA Kit (BIO 101), utilizzato insieme alla macchina FastPrep Instrument, permette di
estrarre DNA genomico purificato da piante, tessuti animali, cellule in coltura, batteri e lieviti in
meno di 30 minuti. Con questo kit si esegue una lisi meccanica delle cellule, rappresenta quindi un
fattore di estrema importanza la scelta di una idonea matrice di lisi, di un’appropriata soluzione di
solubilizzazione e di una giusta quantità di campione.
È possibile scegliere tra diverse matrici in relazione al campione su cui stiamo lavorando. Per
quanto riguarda la quantità del campione, è necessario partire da un pellet di circa 50-100 mg di
cellule. Come soluzione di solubilizzazione per i batteri si utilizza la CLS-TC (Cell Lysis/DNA
Solubilizing Solution) che viene consigliata per le cellule batteriche dalla ditta produttrice.
Quando viene effettuata la lisi meccanica delle cellule, ad opera dello strumento, è necessario che il
volume presente nella colonnina sia idoneo a lasciare uno spazio d’aria minimo di 0,25 cc. Se è
presente uno spazio minore è possibile che il campione fuoriesca per rottura o deformazione del
tappo. Inoltre ciò determina un aumento di pressione, con la temperatura, durante l’azione del Fast
Prep Instrument.
Dopo la lisi meccanica delle cellule occorre purificare il nostro DNA. Prima si esegue una
centrifugazione per eliminare il pellet di proteine e detriti cellulari, poi al sovranatante recuperato, si
aggiunge la Binding Matrix, una matrice verso la quale il DNA ha notevole affinità, e si lascia che
si formi il legame del DNA alla resina della matrice. Si aggiunge poi la soluzione SEWS-M
(Salt/Ethanol Wasch Solution) contenente Etanolo che, inibendo l’attività enzimatica, ha azione
protettiva sul nostro DNA. A questo punto si procede impaccando la resina, con il DNA legato,
nello SPIN Filter ed infine eluendo il nostro DNA utilizzando il DES (DNA Elution Solution),
verso cui il DNA ha maggiore affinità.
6.1
Procedura standard
Prendere una colonnina, scegliendo l’opportuna matrice di lisi.
Aggiungere nella colonnina 1 ml di CLS-TC e 50-100 mg di cellule (peso umido) risospese in 200
µl di SF
Agitare capovolgendo più volte la colonnina.
Omogeneizzare utilizzando il FastPrep Instrument alla velocità 4.0-5.0 per 30 sec.
Centrifugare la colonnina per 5 min. a 14000 rpm.
51
Trasferire in eppendorf pulite 600 µl del supernatante evitando i detriti.
Aggiungere 600 µl di Binding Matrix, precedentemente agitata, e mescolare gentilmente
capovolgendo più volte.
Lasciare ad incubare 5 min. a temperatura ambiente.
Centrifugare per 1 min. a 14000 rpm.
Eliminare il supernatante.
Risospendere gentilmente il pellet in 500 µl di SEWS-M (cui precedentemente è stato aggiunto
etanolo).
Trasferire il contenuto dell’eppendorf in uno SPIN filter.
Centrifugare per 1 min. a 14000 rpm.
Eliminare il contenuto del Catch Tube.
Centrifugare ancora 1 min. a 14000 rpm o comunque finché il complesso Binding Matrix/DNA non
risulta asciutto.
Trasferire lo SPIN Filter in un nuovo Catch Tube.
Aggiungere 100 µl di DES.
Lasciare ad incubare 3 min. a temperatura ambiente.
Centrifugare 1 min. a 14000 rpm.
Eliminare lo Spin Filter e conservare il DNA nel Catch Tube a -20°C.
6.2
Controllo del DNA estratto mediante elettroforesi su gel di agarosio
Controllare su gel di agarosio 5 µl di campione. La corsa elettroforetica viene eseguita in un gel di
agarosio (0,6 %) preparato impiegando il tampone TAE in presenza del colorante Bromuro di etidio
(1 µg/ml).
52
7
7.1
ANALISI DEL DNA RIBOSOMALE AMPLIFICATO
Amplificazione del 16S rDNA
Il gene del 16S rDNA è amplificato utilizzando come stampo il DNA estratto. La reazione utilizza
due primer disegnati in regioni conservate nel dominio dei batteri localizzate alle estremità 5’ e 3’
della regione bersaglio.
Dopo aver preparato una miscela contenente i primer, i nucleotidi, il tampone della reazione,
l’MgCl2 e l’enzima Taq polimerasi, si aggiungono nel tubo di reazione per PCR, i 2 µl (circa 5 ng)
del DNA da amplificare. Si lavora sempre mantenendo le soluzioni e il DNA campione a 4°C.
Tabella 7. Composizione della miscela di reazione
Volume aggiunto
CAMPIONE
2,0 µl
H2O distillata
12,6 µl
Concentrazione finale
Tampone 10X
(200mM Tris – HCl pH 8,4; 500
2,0 µl
1X
MgCl2 (50 mM)
0,6 µl
1,5 mM
Primer P0 (500 ng/µl)
0,3 µl
150 ng
Primer P6 (500 ng/µl)
0,3 µl
150 ng
2,0 µl
250 µM
0,2 µl
1U
mM KCl)
dNTP mix (2,5 mM
ciascuno)
Taq polimerasi (5 U/µl)
7.1.1
Programma di amplificazione
La reazione di amplificazione comprende tre reazioni che avvengono in successione:
1)
DENATURAZIONE del DNA a 90-95°C
2)
APPAIAMENTO (annealing) dei primer con le sequenze complementari dello stampo a 5060°C
3)
POLIMERIZZAZIONE (extension) della nuova molecola di DNA a 72°C
53
Le tre reazioni sono ripetute ciclicamente, dal termostato ciclico, in base ad uno schema dipendente
dalla sequenza da amplificare.
Lo schema utilizzato per amplificare il gene del 16S rRNA è il seguente ciclo touch-down
Tabella 8. Schema utilizzato per amplificare il gene del 16S rRNA
95°C
1’30’’
95°C
30’’
60°C
30’’
72°C
2’
95°C
30’’
55°C
30’’
72°C
2’
95°C
30’’
50°C
30’’
72°C
2’
72°C
10’00’’
4°C
Forever
7.2
Ripetuto per 5 cicli
7.3
Ripetuto per 5 cicli
7.4
Ripetuto per 25 cicli
Nei primi 5 cicli si mantiene un’elevata specificità della reazione di amplificazione rispetto ad
un’elevata resa; questo per avere l’amplificazione della sola regione bersaglio. Un’elevata
specificità si ottiene facendo avvenire l’annealing in condizioni di alta stringenza (60°C),
l’appaiamento può così avvenire solo tra i primer e le sequenze ad esse perfettamente
complementari. Nei cicli successivi la temperatura di appaiamento viene abbassata per avere un
maggior numero di molecole amplificate. Quando i cicli di amplificazione sono terminati, i
campioni sono disposti in ghiaccio e 2 µl di ciascun campione sono caricati su gel di agarosio al
0.8% per verificare la presenza e il grado di amplificazione del gene del 16S rDNA. Insieme ai
nostri campioni viene fatto correre sul gel un marcatore di peso molecolare, il GeneRuler 1 kb DNA
Ladder, che, dopo elettroforesi, presenta 14 frammenti, uno dei quali di 1500 pb. Al gel, durante la
sua preparazione, è aggiunto Bromuro d’Etidio ad una concentrazione di 1 µg/ml. La corsa
elettroforetica viene fatta a 100 V per circa 25 minuti. Al termine della migrazione sul gel è visibile,
54
in corrispondenza dei campioni che hanno amplificato, una banda di circa 1500 pb. I campioni che
hanno amplificato sono conservati a –20°C.
Tabella 9. Sequenze dei primer
PRIMER
N° di nt
SEQUENZA
P0
21
5’- GAGAGTTTGATCCTGGCTCAG -3’
P6
20
5’- CTACGGCTACCTTGTTACGA- 3’
I primer vengono acquistati in forma liofilizzata e vengono risospesi in TE sterile (TrisHCl 10 mM;
EDTA 1 mM, pH 8.0) alla concentrazione di 5 µg/µl. Per l’uso vengono risospesi in acqua distillata
sterile ad una concentrazione di 500 ng/µl e conservati a -20°C.
7.5
ARDRA Amplified Ribosomal DNA Restiction Analysis
Si digerisce sempre la stessa quantità di amplificato pari ad un volume di 3-5 µl (a seconda di come
è venuta l’amplificazione) con 3 U di enzima (Alu I, Rsa I o Hinf I), in un volume totale di 20 µl. Si
incuba la reazione a 37°C in acqua per 3 ore (± 15 minuti). Si inattiva l’enzima a 65°C per 10
minuti. Si carica tutta la digestione su gel di agarosio al 2,0%.
7.5.1
Preparazione del gel
Utilizzare sempre lo stesso agarosio, la stessa vaschetta e far correre il gel sempre fino allo stesso
punto, contrassegnato da una riga. Il gel viene preparato in tampone TEA 1X alla concentrazione
finale di 2.0%, non sciogliere mai utilizzando il microonde. A ebollizione si aggiunge EtBr 0.5
µg/ml. La corsa elettroforetica è operata in tampone TEA 1X con aggiunta di EtBr 0.5 µl/ml.
I campioni si preparano aggiungendo 2 µl di Blu di Bromofenolo 10X, preparato appositamente per
ARDRA a una concentrazione finale di 0.025% (quindi 10 volte meno concentrato della
formulazione standard, Sambrook et al, 1989).
7.5.2
BBF per ARDRA
Si prepara una soluzione di BBF allo 0.5% in acqua distillata e da questa si prepara la soluzione
finale 10X in TE pH 8.0 e glicerolo 50%
55
Tabella 10
BBF 0.5%
0.5 ml
Glicerolo
5.0 ml
TE pH 8.0
4.5 ml
TOTALE
10 ml
Conservare a 4 °C.
Si caricano i campioni su gel mettendo ad entrambi i lati i marker di peso molecolare 100 pb o 123
pb e sempre lo stesso in quantità di 1 µg.
Si correre il gel a 100 V fino a quando la banda del colorante è arrivata a 2 cm dalla fine della slitta.
56
7.6
7.6.1
SEQUENZIAMENTO DEL 16S rDNA
Amplificazione del 16S rDNA
La reazione di amplificazione viene condotta nelle condizioni precedentemente illustrate per
l’amplificazione del 16S rDNA.
7.6.2
Purificazione del DNA amplificato
I prodotti di amplificazione necessitano di essere purificati prima di essere sottoposti a
sequenziamento in modo tale da eliminare completamente i primer non incorporati e gli altri
reagenti che interferirebbero con le successive reazioni.
La purificazione viene realizzata utilizzando il High Pure PCR Product Purification Kit (ROCHE)
ed eseguendo le istruzioni della ditta produttrice.
Tale metodica viene applicata a tutti i nostri campioni. Il DNA purificato così ottenuto può essere
conservato a -20°C.
7.6.3
Analisi quantitativa del DNA
Per misurare la quantità di DNA in una soluzione vengono generalmente utilizzati due metodi. Se il
campione è puro (senza significative quantità di contaminanti come proteine, fenoli, agarosio o
RNA) la misurazione spettrofotometrica dei raggi ultravioletti assorbiti dalle basi è semplice e
accurata. Se il campione contiene significative quantità di impurità la quantità di acido nucleico può
essere determinata dalla intensità della fluorescenza emessa dall’etidio bromuro dopo elettroforesi
su gel di agarosio.
7.6.4
Corsa elettroforetica con un marker di concentrazione
Il DNA purificato che deve essere quantificato viene fatto correre su un gel di agarosio (1,2%)
insieme a 20 µl di un marker di concentrazione MassRuler DNA Ladder, Mix (MBI). Il marker
consente di identificare sia la dimensione, in pb, dei frammenti separati nella corsa elettroforetica
sia la loro concentrazione, in ng. Il marker, durante la corsa elettroforetica, viene infatti separato in
20 frammenti discreti, osservabili in luce UV, ciascuno dei quali è caratterizzato da una precisa
dimensione e concentrazione. La determinazione della concentrazione del DNA si effettua
57
individuando la banda del Marker, corrispondente ad una esatta concentrazione di DNA, la cui
intensità si avvicina maggiormente a quella del nostro campione.
7.6.5
Determinazione spettrofotometrica
Sia DNA che RNA mostrano massimi di assorbimento a circa 260 nm, dovuti ai doppi legami
coniugati presenti nelle basi che li costituiscono. A 260 nm un valore di densità ottica uguale a 1.0 è
dato da una soluzione di DNA a doppio filamento di concentrazione pari a 50 µg/mL (o da una
soluzione di RNA di concentrazione 40 µg/mL). Gli acidi nucleici sufficientemente puri danno
rapporti A260/A280 di 1.8-2 (un campione di dsDNA molto puro ha un rapporto A260/A280 di
circa 1.8) (Reed et al, 2002). Generalmente contaminazioni del campione con proteine o fenoli
forniscono valori minori di 1.8 e con RNA valori più grandi di 1.8 (un RNA puro ha un valore di
A260/A280=2). Poiché un campione di dsDNA di densità ottica pari a 1 ha una concentrazione
approssimativa di 50 µg/mL, la concentrazione di DNA presente nel campione purificato può essere
calcolata grazie alla relazione:
50 µg/mL DNA: 1A260 = x µg/mL DNA: A260 del campione.
Prima di procedere alla lettura spettrofotometrica occorre centrifugare il DNA purificato. Lo
spettrofotometro utilizzato è il “biophotometer” della Eppendorf. Vengono impiegate delle cuvette
particolari denominate “uvette”. Sono delle cuvette sterili che permettono di riutilizzare il DNA di
cui si determina la concentrazione e la purezza.
7.6.6
La reazione di sequenziamento
Il sequenziamento del DNA si basa sul metodo a terminazione di catena di Sanger nel quale la
sequenza di una molecola di DNA, a singolo filamento, viene determinata mediante la sintesi
enzimatica di catene polinucleotidiche complementari, che terminano nelle posizioni di specifici
nucleotidi (Brown, 2000). Il metodo utilizza l’elettroforesi su gel di poliacrilammide per separare
molecole di DNA a singolo filamento che differiscono per una sola base (i gel di poliacrilammide
possiedono pori di dimensioni inferiori a quelli dei gel di agarosio e permettono di separare con
precisione molecole di 10-1500 pb). Il sequenziamento necessita di molecole di DNA a singola
elica identiche, dNTPs, DNA polimerasi e una piccola quantità di dideossinucleotidi (ddNTPs). La
prima fase consiste nel far appaiare, nello stesso punto di ogni molecola, un breve oligonucleotide
58
che servirà da innesco per la sintesi del nuovo filamento. La DNA polimerasi provvede quindi ad
attaccare i nucleotidi e la sintesi può proseguire finchè non viene incorporato un dideossinucleotide.
Il dideossinucleotide non possiede il gruppo idrossilico al 3’ necessario per la formazione del
legame con il nucleotide successivo. La DNA polimerasi non è in grado di discriminare tra un
deossinucleotide e un dideossinucleotide e la sintesi del filamento si arresta. Il risultato è la sintesi
di un insieme di molecole di DNA di diversa lunghezza. Originariamente il sequenziamento
manuale prevedeva la sintesi separata di filamenti in presenza di un singolo dideossinucleotide.
L’insieme di molecole ottenute in presenza di un determinato ddNTP veniva quindi caricata in un
pozzetto del gel di poliacrilammide e nei pozzetti successivi erano caricate le altre famiglie di
molecole ottenute con gli altri ddNTPs. La sequenza del DNA poteva essere letta al termine
dell’elettroforesi. Il frammento con velocità di corsa maggiore rappresentava quello in cui era stato
incorporato il dideossinucleotide nella prima posizione del DNA stampo. La banda successiva
permetteva di leggere la base incorporata nella seconda posizione e così via.
Generalmente la lettura sul gel prevedeva l’impiego di marcatori radioattivi e il profilo delle bande
era visualizzato mediante una autoradiografia. Questi marcatori radioattivi oggi sono poco usati a
causa dei problemi che possono causare alla salute e all’ambiente. La sostituzione dei marcatori
radioattivi con marcatori fluorescenti è alla base dell’automatizzazione del sequenziamento del
DNA. Nel sequenziamento automatizzato del DNA sono impiegati dei ddNTPs in cui sono stati
incorporati dei fluorofori con emissioni di lunghezza d’onda diversa (cioè con “colori” diversi) che
sono letti da un rivelatore di fluorescenza. Catene che terminano con una A sono marcate quindi
con un fluoroforo, quelle che terminano con una G con un secondo fluoroforo e così via. E’ quindi
possibile effettuare le reazioni relative alle quattro basi assieme e caricare il campione in un unico
capillare. La sequenza viene letta non appena le bande passano davanti al rivelatore e può essere
visualizzata in un cromatogramma (Figura 7—1).
Figura 7—1 Parziale sequenza di un 16s rDNA letta da un sequenziatore automatico.
59
7.6.7
Preparazione campioni per sequenziamento
La quantità di DNA necessaria per il sequenziamento varia in base al numero di paia di basi (pb) del
frammento amplificato e corrisponde a 10 ng ogni 100 pb. Poiché il nostro amplificato è di 1500 pb
il quantitativo di DNA necessario per il sequenziamento è 150 ng.
Al quantitativo di DNA corrispondente a 150 ng vengono aggiunti 3,2 pmoli di primer P0 o P6 (1
pmol/µl) ed il volume totale viene portato a 11 µl.
Il campione così preparato è pronto per il sequenziamento che viene eseguito impiegando il metodo
automatizzato con il sequenziatore Perkin-Elmer ABI 310 analyzer, presso il servizio C.I.B.A.C.I.
(Firenze).
7.7
Analisi delle sequenze
Il cromatogramma viene letto con il programma Chromas versione 1.51 (32 bit) della
Technelysium. Per ogni ceppo di cui è stato sequenziato l’amplificato del 16S rDNA si dispone di
due sequenze. La prima sequenza si riferisce alla sintesi che utilizza il primer P0 e l’altra si riferisce
alla sintesi che invece utilizza il primer P6 (Figura 7—2):
P0
P6
Figura 7—2. 16S rDNA e posizione dei primer P0 e P6.
Si analizza il cromatogramma per verificare che le basi assegnate dal programma ai picchi di
fluorescenza siano esatte. Terminato questo primo controllo si procede alla ricerca nella banca dati
delle sequenze del 16S rDNA del ceppo filogeneticamente più vicino. La ricerca è effettuata
collegandosi al sito della RDP II (Ribosomal Database Project II) (http://rdp.cme.msu.edu/html).
Nel caso sia utilizzata la sequenza ottenuta impiegando come innesco il primer P6 e necessario
ottenere la sequenza invertita e complementare, tramite l’apposita funzione del programma
Chromas, prima di procedere alla ricerca nella banca. La ricerca restituisce le sequenze complete
del 16S rDNA dei ceppi più simili presenti nelle banche dati. Il confronto con le sequenze più simili
presenti nella banca RDP II permette anche di verificare se le due sequenze ottenute sono
parzialmente sovrapposte. Nel caso ciò non avvenga si procederà al sequenziamento della regione
centrale impiegando per la reazione un primer disegnato in una regione conservata ed interna del
16S rDNA.
60
7.8
Analisi filogenetiche
Per l'analisi filogenetica, le sequenze del 16SrDNA sono state confrontate sia con le sequenze della
subunità piccola del rRNA dei procarioti del database RDP II (Ribosomal Database Project II)
(Maidak et al., 2001), mediante le funzioni RDP che con quelle della GenBank tramite il
programma BLASTN (Altschul et al., 1990). Le sequenze del 16SrDNA degli isolati e le sequenze
correlate, ottenute tramite il database, sono state allineate con il software MULTIALIN (Corpet,
1998). Gli allineamenti ottenuti sono stati rivisti e corretti manualmente, se necessario. Gli alberi
filogenetici sono stati costruiti utilizzando il metodo neighbour-joining (Saitou and Nei, 1987). La
matrice di distanza evolutiva è stata ottenuta come descritto da Jukes and Cantor (1969). Il software
MEGA, versione 2.0, è stato utilizzato per costruire gli alberi (Kumar et al., 2001). L'analisi
Bootstrap (1000 replicati) è stata utilizzata per controllare la topologia dei dati ottenuti con il
metodo neighbour-joining.
61
8
8.1
ALLESTIMENTO DELLE COLTURE
Preparazione del pre-inoculum
A partire dal glicerolato, reisolare il ceppo in almeno 2 piastre di terreno agarizzato TSB ed
incubare a 32°C; dopo 4-7 giorni controllare che il ceppo non sia contaminato e preparare il
preinoculum in 50 ml di TSB liquido in beuta da 500 ml. Incubare a 32°C per 3 giorni 150 rpm.
8.1.1
Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido
1.
Centrifugare a 6.000 rpm 15 min.
2.
Eliminare con una pipetta il sopranatante e risospendere in un ugual volume di SF.
3.
Centrifugare a 6.000 rpm 15 min.
4.
Eliminare con una pipetta il sopranatante e risospendere in un ugual volume di SF.
Centrifugare 15 min a 6.000 rpm. Eliminare il sopranatante e risospendere in un appropriato
volume di terreno BH2. I lavaggi in SF hanno lo scopo di allontanare le tracce di terreno
massimo che potrebbero interferire con le successive determinazioni.
8.1.2
Preparazione dell’inoculum a partire dalle piastre e dal terreno liquido
Per ogni tempo cinetico (0, 1, 11) preparare 2 bottiglie da 100 ml con il tappo a vite (resistenti ai
solventi – rosso) con 25 ml di volume finale di terreno.
1.
Addizionare l’inoculum ad una prima coltura di prova (che poi sarà scartata) ad un OD600 di
0.500.
2.
Determinare la OD600 di un inoculum di prova e registrare il valore iniziale.
3.
Addizionare l’inoculum anche alle successive colture.
4.
Addizionare gasolio invecchiato alla concentrazione finale di 1 g/L. L’idrocarburo è
addizionato con la pipetta elettronica e puntali con il filtro con la funzione DIS, che permette
di addizionare un liquido senza effettuare il completo svuotamento del puntale (questo
permette di eliminare l’errore dovuto alla ritenzione dell’idrocarburo alla plastica).
Condizioni di crescita
1.
Agitazione 150 rpm
62
2.
Temperatura 32°C
Tabella 11. Fonti di carbonio ed energia
Fonte di carbonio ed
energia
Stato
Sterilizzazione Densità g/ml
Classe
Quantità per
25 ml (1 g/L)
Miscela contaminante
Liquido
Filtrazione
0.8595
Miscela
29 µl
Gasolio da trazione
Liquido
Filtrazione
0.831
Miscela
24 µl
63
9
9.1
CURVA DI CRESCITA TRAMITE MISURA DEL DNA TOTALE
Raccolta delle cellule su filtro
I batteri in analisi presentano una bassa densità di galleggiamento e non possono essere raccolti per
centrifugazione. La determinazione del DNA è dunque effettuata su cellule raccolte su filtri
Whatman GF/F (massima dimensione dei pori 0.7-mm, trattengono il 99% della massa batterieca).
La filtrazione è operata con l’apparato da filtrazione Schleicher & Schuell e filtri filters (Bipatnath
et al., 1998)
9.2
Saggio del DNA (Burton, K. 1956)
Questo saggio è effettuato per seguire nel tempo la crescita di un microrganismo in modo indiretto,
mediante misura del contenuto di DNA totale presente nell’unità di volume di coltura. Esso sfrutta
la misura colometrica dei prodotti formati dalla reazione del deossiribosio con la difenilammina in
acido perclorico 20% (Burton, 1956). L’acido perclorico scinde i legami fosfodiestere e idrolizza i
legami glicosidici fra il deossiribosio e le purine. I residui di deossiribosio reagiscono poi con la
difenilammina producendo il pigmento blu saggiato spettrofotometricamente a 600 nm.
La difenilammina reagisce in modo specifico con il deossiribosio e non reagisce con il riboso: è
perciò possibile dosare il DNA in presenza di RNA contaminante.
9.2.1
Curva standard
Per l’esecuzione della curva standard è stato usato come il DNA di timo di vitello (Calf thymus
DNA standard, dimensione media dei frammenti >13 Kb, Amersham Biosciences).
Il DNA è risospeso in SSC 1X a una concentrazione finale di 250 µg/ml; la soluzione è conservata
4°C per una notte, prima di effettuare le successive diluizioni, in modo da consentire una
solubilizzazione completa del DNA. Sono poi preparate le seguenti diluizioni del DNA standard in
SSC 1X: 100 µg/ml→ 50 µg/ml→ 20 µg/ml→ 10 µg/ml→ 5 µg/ml. Le concentrazioni reali delle
singole diluizioni sono misurate tramite determinazione spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di
260 nm.
Tutti i campioni sono eseguiti in doppio. In tubi di vetro da 10 ml sono aliquotati:
64
ƒ
1 ml DNA
ƒ
1 ml acido perclorico 20%
ƒ
2 ml difenilammina 4% in acido acetico glaciale
ƒ
0,2 ml acetaldeide 0,16%
E’ stato preparato anche un bianco (in doppio) sostituendo 1 ml di DNA con 1 ml di SSC 1X.
I campioni, una volta preparati, sono miscelati al vortex ed incubati a 30°C (in bagno ad acqua),
tutta la notte. 1 ml di ciascun campione è letto allo spettrofotometro a 600 nm, azzerando contro
acqua distillata. Dopo aver calcolato le medie dei valori ottenuti per ciascuna concentrazione, si
sottrae il valor medio del bianco. I valori calcolati sono riportati in un sistema di assi cartesiani
ortogonali, sull’asse delle ordinate in funzione del quantitativo di DNA espresso in µg/ml.
Curva standard S aggio DNA
Delta OD600
0,900
0,800
0,700
0,600
0,500
0,400
0,300
Coefficients:
b[0] = -3,4759752219e-3
b[1] = 0,0110302931
r ² = 0,9996710204
0,200
0,100
0,000
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
DNA ug/ml
Figura 9—1. Curva standard saggio DNA
9.2.2
Saggio del DNA di cellule su filtro
Al momento del saggio i campioni, conservati in ghiaccio, sono risospesi in 1 ml di SSC 1X freddo.
Per ciascun campione sono aliquotati in tubi di vetro da 10 ml:
ƒ
1 ml acido perclorico 20%
ƒ
2 ml difenilammina 4% in acido acetico glaciale
ƒ
0,2 ml acetaldeide 0,16%
I campioni sono miscelati al vortex ed incubati a 30°C per tutta la notte.
Poiché i filtri tendono a disgregarsi, trasferire il contenuto dei tubi in tubi da 15 ml di polipropilene.
Centrifugare a 5000 rpm per 10 min.
65
Prelevare il sopranatante limpido e misurare l’OD600, azzerando contro acqua distillata.
66
10 PROCEDURE CHIMICHE ANALITICHE PER LA DETERMINAZIONE
DELL'ATTIVITÀ DI DEGRADAZIONE DEI CEPPI ISOLATI
Le tecniche utilizzate per lo studio dei prodotti di degradazione del campione sono state la
Gascromatografia con rivelazione a ionizzazione di fiamma (FID) e la Gascromatografia associata
alla Spettrometria di Massa. La prima tecnica consente di fare considerazioni di tipo quantitativo in
riferimento agli idrocarburi residui ed è considerata, a questo scopo, la più adatta e veloce. La
seconda tecnica è indispensabile per poter eseguire un’identificazione univoca dei diversi
componenti la miscela complessa di idrocarburi.
Per le analisi in massa è stato utilizzato un gascromatografo ThermoQuest TOP 8000 interfacciato
con uno Spettrometro di Massa Quadrupolare MD 800.
Colonna gascromatografica VARIAN CPSIL 8, 30m, 0.25 d.i., 0.25 µm film.
Carrier: elio a 120 kPa.
Iniettore: split con rapporto di splittaggio 140:1.
Rampa: 40°C/2min, 10°C/min fino a 310°C per 2 min.
MS: full scan range 50-450 a.m.n.; detector 550.
Per le analisi in ionizzazione di fiamma è stato utilizzato un gascromatografo ThermoQuest TOP
8000 con rivelazione FID.
Colonna gascromatografica VARIAN CPSIL 8, 30m, 0.25 d.i., 0.25 µm film.
Carrier: elio a 120 kPa.
Iniettore: split con rapporto di splittaggio 30:1.
Rampa: 40°C/2min, 10°C/min fino a 310°C per 2 min.
Corpo di base rivelatore 300 °C, rapporto aria/idrogeno 10:1
Tutti i campioni sono stati iniettati con autocampionatore ThermoQuest AS 800, nella quantità di 1
µl. I campioni sono stati analizzati sotto diverse condizioni analitiche sperimentali, in particolare
modulando la rampa di temperatura ed il rapporto di splittaggio, al fine di raggiungere le migliori
condizioni sperimentali e di ottenere un dato statisticamente significativo. In definitiva il dato finale
è il risultato di 12 diverse determinazioni.
67
68
10.1 Metodo di analisi di substrati solidi
Questo documento descrive il metodo di analisi di substrati solidi quali: sabbie, terreni, polveri, etc.
contaminati da idrocarburi DROs mediante gascromatografia associata ad un detector a
ionizzazione di fiamma.
10.1.1 Definizioni
Tempo di ritenzione: il tempo che impiega un composto ad eluire dalla colonna analitica al
rivelatore, partendo da un tempo zero che corrisponde all’inizio della rampa di temperatura del
gascromatografo.
DROs: Diesel Range Organics (composti organici dell’intervallo del gasolio).
TPH: Total Petroleum Hydrocarbons (idrocarburi totali del petrolio).
Metodo dello Standard esterno: metodo attraverso il quale la concentrazione dell’analita viene
determinata confrontando l’area dei picchi determinati attraverso l’analisi gascromatografica del
campione con l’area di uno o più standard di concentrazione nota. La determinazione si ottiene
mediante una curva di taratura.
10.1.2 Sommario del metodo
Il campione viene trattato per estrarre i composti da analizzare. La soluzione ottenuta per estrazione
e centrifugazione, viene introdotta con autocampionatore in un gascromatografo equipaggiato con
30 metri di colonna analitica, contenente fase stazionaria per il 5% fenile e 95%
dimetilpolisilossano. I segnali al rivelatore si risolvono con dei picchi che attraverso un sistema di
elaborazione ed acquisizione dati, vengono identificati dal tempo di ritenzione. La quantificazione
avviene con l’utilizzo di una curva di calibrazione costruita con il metodo dello standard esterno.
10.1.3 Interferenze
Nessuna interferenza è stata riscontrata in questo metodo.
10.1.4 Apparecchiature
Gascromatografo:
•
Il sistema analitico è un GC-FID.
69
•
Il sistama di iniezione è split/splitless.
•
Il metodo indicato nel pc CHR 026 è c/ wcc / data/ tph_suoli /( tph_suoli_mth)
•
Il metodo viene acquisito e gestito in trace 1 di chrom-card for trace.
Sistema di acquisizione ed elaborazione dati:
E’ un personal computer dotato di scheda di interfaccia strumentale e di un programma di
acquisizione ed elaborazione dati. Il software capace acquisire ed elaborare il segnale prodotto dal
rivelatore gestisce le funzioni del gascromatografo e dell’autocampionatore.
Tabella 12
Strumento
Marca
Fornitore
Tipo
Autocampionatore
GC
FID
thermoquest
thermoquest
thermoquest
Thermoquest
Thermoquest
Thermoquest
HS2000
GC 8000 TOP
MD800
10.1.5 Reagenti e materiali
•
n-Esano per gascromatografia
•
Acqua demineralizzata
•
Carrier gas – Elio
•
Colonna capillare in silice fusa con 5% fenil-95% dimetilpolisilossano, 30mt X 0.25mm ID,
0.25 µm film
•
Normale attrezzatura da laboratorio
10.1.6 Condizioni operative e impostazioni del gascromatografo
Programma di temperatura:
•
inizial temperature 60°C
•
inizial time 1min
•
number of ramp 1
•
rate dec/min 10
•
final temp 325
•
hold time 10 min
•
maximum temperature 350 °C
70
•
prep run timeout 10min
•
equilibration time 1 min
Impostazioni dell’autocampionatore:
•
sample volume 1.0µL
•
fillin volume 4.0µL
•
air volume 3.0µL
•
inyect delay1.0sec
•
sample pull up speed 4µL/s
•
injenction speed 5µL/s
10.1.7 Impostazioni dell’iniettore:
•
base temperature250°C
•
mode splitless
•
split flow flow 50ml/min
•
splitless time 0.33 min
•
surge pressure 150 kPa
•
surge duration 1.0 min
•
carrier: mode costant pressure
•
initial value 120.0 kPa
•
initial time 1 min
•
gas server flow 20 ml/min
•
gas server time 3.0 min
10.1.8 Impostazioni FID:
•
base temperature 300 °C
•
H2 30 ml/ min
•
Air 300 ml/min
•
Makeup gas flow 10 mL/min
71
10.1.9 Curve di taratura
Le curve di taratura si ottengono acquisendo una serie di soluzioni a concentrazione nota e
determinandone la risposta strumentale. Le curve di taratura devono rispettare alcuni criteri di
accettabilità:
A)
Il coefficiente di correlazione deve essere maggiore di 0.995.
B)
Il punto di intersezione con l’asse delle x deve essere minore o uguale a zero.
Nel caso contrario la curva si può correggere eliminando un punto di taratura. La curva di taratura
deve essere ripetuta con ogni serie di campioni analizzati perché sia soggetta alle stesse condizioni e
variabili subite dal campione e perché sia verificata la linearità.
La preparazione della curva di taratura implica la preparazione di una serie di diluizioni da una
soluzione madre di gasolio da trazione in esano.
10.1.10Preparazione delle soluzioni standard
Soluzione madre di gasolio da trazione: 8.5 g/L in n-esano. Pesare 85 mg di gasolio da trazione in
un matraccio da 10 mL e portarlo a volume con n-esano.
Al fine di ottenere soluzioni di gasolio da trazione in n-esano nelle concentrazioni di 200, 150, 100,
50, 20 mg/L si diluisco rispettivamente 235, 176, 118, 59, 23 µL di soluzione madre 8.5 g/L in 10
mL di n-esano ciascuna. Il procedimento per la preparazione delle soluzioni di taratura è descritto
nella tabella seguente:
Tabella 13. Procedimento per la preparazione delle soluzioni di taratura
Nome std Concentrazione madre Volume sol madre Vol finale Concentrazione finale
std0
std1
std2
std3
std4
std5
8,5 g/L
8,5 g/L
8,5 g/L
8,5 g/L
8,5 g/L
8,5 g/L
0mL
0,023mL
0,059mL
0,118mL
0,176mL
0,235mL
10mL
10mL
10mL
10mL
10mL
10mL
0 mg/L
20mg/L
50mg/L
100mg/L
150mg/L
200mg/L
10.1.11Preparazione dei campioni
20 ml di campione vengono estratti per 4 volte con 5 ml di esano tramite agitazione meccanica. Le
aliquote vengono riunite ed analizzate tramite gc_fid .
72
Al campione è stato aggiunto uno standard di estrazione, 1,2,3,triclorobenzene pari a 40mg/L e
all’estratto prima dell’analisi uno standard di iniezione, perylene d12 pari a 10 mg/L.
73
RISULTATI E DISCUSSIONE
11 IL SITO CONTAMINATO
11.1 Descrizione del sito contaminato
Il lavoro svolto nel corso del Dottorato di Ricerca si colloca nell’ambito degli interventi messi
in atto al fine di individuare e sperimentare le tecniche operative di bonifica di un sito contaminato.
Il sito in esame si trova nei pressi di un’ex-raffineria, attualmente adibita a deposito di
prodotti petroliferi, nell’area dove sono localizzati i serbatoi di stoccaggio (Figura 1-1). Si ritiene
che la contaminazione, dovuta alla fuoriuscita accidentale di quantità di gasolio, abbia avuto origine
proprio da tali serbatoi e risalga a circa 30-40 anni fa. E’ interessata un’area molto ampia, pari a
circa 300 x 400 m.
Figura 11—1. Planimetria del sito contaminato
74
11.2 Biorisanamento in situ
La sperimentazione delle tecniche di bonifica ha previsto la realizzazione di quattro campi
prova, interni al sito e separati di ca. 900 m2, nei quali attuare e monitorare le seguenti tecniche
operative:
1.
Bioslurping (campi BS1 e BS2)
2.
Attenuazione Naturale Controllata (campi MNA1 e MNA2)
L’ubicazione dei campi prove sui quali è stato impostato l’iter di sperimentazione in sito è
riportata nella Figura 11—2.
Figura 11—2. Planimetria del sito contaminato e ubicazione dei campi di prova.
75
La prima fase della sperimentazione delle tecniche di bonifica ha previsto una
caratterizzazione preliminare del sito:
1.
profilo stratigrafico
2.
caratterizzazione chimica della composizione della miscela idrocarburica contaminate
3.
analisi agronomica
4.
caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica
11.2.1 Profilo stratigrafico
Dall’analisi delle carote estratte durante le perforazioni preliminari, effettuate nel sito, è stato
rilevato un profilo stratigrafico omogeneo in entrambe le aree dei campi prova BS1 e BS2,
caratterizzato dai seguenti livelli:
•
0,0-6,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana e ciottoli (Ø max 20 cm.) in abbondante matrice
sabbiosa debolmente limosa nocciola;
•
6,0-8,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana e ciottoli (Ø max 20 cm) in abbondante matrice
sabbiosa molto limosa;
•
8,0-10,0 m, ghiaia di pezzatura grossolana in abbondante matrice sabbiosa.
Lo strato di sottosuolo contaminato origina nella zona insatura, a circa 4 metri, ed interessa
parzialmente anche la zona satura, sino ad una profondità di circa 9 metri. La falda acquifera è stata
rinvenuta mediamente a ca. 6,0 m.
Si ritiene che il gasolio, accidentalmente fuoriuscito sulla superficie, sia filtrato fino a
raggiungere la falda. L’elevata permeabilità che caratterizza il suolo ha fatto sì che i movimenti
dell’acqua di falda abbiano trascinato la parte del gasolio rimasta in galleggiamento sulla sua
superficie. Queste fluttuazioni hanno determinato un ampliamento in senso verticale
dell’inquinamento. Attualmente, sulla superficie del suolo non ci sono tracce di miscela
idrocarburica contaminante. Al contrario la presenza di anomalie visive e olfattive riconducibili alla
presenza di contaminazioni da idrocarburi, sono state rinvenute in tutti i punti di carotaggio nella
zona contaminata.
11.2.2 Caratterizzazione chimica del contaminante
L’analisi gascromatografica associata a spettrometria di massa della miscela idrocarburica
contaminante, eseguita su campioni di suolo prelevati nelle aree dei campi prova BS1 e BS2 e sul
76
contaminante recuperato dalla falda, ha dimostrato che essa presenta caratteristiche del tutto
particolari, di cui bisognerà tener conto ai fini dello studio (Figura 11—3):
Figura 11—3. A) Composizione di un normale Gasolio da trazione;
B) Composizione della miscela contaminante
•
La miscela è priva, quasi totalmente di alifatici lineari;
•
Alcuni alifatici ramificati permangono, altri sono assenti o sono presenti in concentrazioni
inferiori rispetto al gasolio nativo;
•
Permangono alcani fortemente ramificati, come fitano e pristano;
•
La miscela è quasi priva di aromatici monoanello;
•
Sussistono le specie nafteniche;
•
Sussistono le specie naftaleniche;
•
Sono presenti composti solforati quali dibenzotiofene e dibenzotiofeni metilati.
La miscela idrocarburica contaminante mostra, dunque, una composizione diversa da quella
del gasolio nativo, imputabile ad una parziale degradazione avvenuta costantemente nell’arco dei
30-40 anni di permanenza nel suolo. Per la sua composizione il contaminante residuo risulta più
refrattario alla degradazione rispetto al potenziale gasolio nativo (Figura 11—4).
77
Figura 11—4. A sinistra un gasolio da trazione, a destra la miscela idrocarburica contaminante.
11.2.3 Analisi agronomiche
É stato determinato il tenore di nitrati, nitriti, ammonio e fosfati. Le analisi sono state
condotte su campioni di suolo prelevati nei campi di prova BS1 e BS2. Per ciascun campo di prova
sono stati operati 4 carotaggi e i campioni prelevati alla profondità di 3,0 (strato insaturo) o 5,0 m
(frangia capillare) sono stati miscelati in modo da ottenere 4 campioni rappresentativi. Nella Tabella
14 sono riportati i risultati delle analisi, dove emerge una carenza di nutrienti, con valori prossimi o
inferiori al limite analitico.
Tabella 14 Tenore dei nitrati, nitriti, ammonio e fosfati nei campi di prova.
Campione
Unità di
misura
Campo BS1
3,0 m
Campo BS1
5,0 m
Campo BS2
3,0 m
Campo BS2
5,0 m
Nitrati
mg/Kg s.s.
5,2
<5
9,4
<5
Nitriti
mg/Kg s.s.
<0,05
<0,05
<0,05
<0,05
Ammonio
mg/Kg s.s.
1
<1
1
<1
Fosfati
mg/Kg s.s.
2,1
1,1
0,7
0,9
In conclusione, l’attività biologica potrebbe essere fortemente condizionata dalla carenza di
nutrienti, con conseguente squilibrio del rapporto C/N. Del resto, la litologia dell’area è, come visto
in precedenza, caratterizzata da suoli con matrice sabbiosa ricca di ghiaia e ciottoli. Tali terreni
possiedono un’elevata macroporosità, sono dotati di debole capacità idrica di trattenuta e sono
poveri di elementi nutritivi. Essendo molto soffici e arieggiati mineralizzano rapidamente la
sostanza organica, inoltre i nutrienti, e in modo particolare l’azoto, sono trasportati in profondità
con le acque di percolazione.
78
11.2.4 Caratterizzazione preliminare delle potenzialità degradative della comunità microbica
Allo scopo di valutare attentamente la possibilità di un’attività biologica nei due campi prova
e la possibilità di favorire detta attività in modo da ridurre la concentrazione delle sostanze
contaminanti presenti, sono stati eseguiti alcuni test in laboratorio sui campioni (Bio 1.0 e Bio 2.0)
di sottosuolo prelevati dalla frangia capillare contaminata nei campi di prova BS1 e BS2 (i
carotaggi sono stati effettuati nel corso della campagna di campionamenti finalizzata alla
caratterizzazione microbiologica, descritta di seguito).
L’indagine è stata effettuata allo scopo di verificare le potenzialità degradative della
microflora autoctona presente prima della messa in funzione degli impianti. A questo scopo sono
stati allestiti due set sperimentali in batch, così costituiti:
Set 1
A.
BH + Miscela idrocarburica contaminante
B.
BH + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 1.0)
C.
BH + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 2.0)
A.
Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante
B.
Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 1.0)
C.
Suolo in slurry + Miscela idrocarburica contaminante + Inoculum (Bio 2.0)
Set 2
Il primo set sperimentale (Set 1) è stato realizzato in modo tale da eliminare i fattori limitanti
derivanti dalla carenza di nutrienti (rivelata in situ dalle analisi agronomiche). Sono state a questo
scopo allestite tre differenti colture in 20 ml di mezzo minimo salino Bushnell-Haas (BH). Il terreno
BH contiene azoto, fosforo e micronutrienti in concentrazioni appropriate per garantire la crescita
microbica. Un’aliquota della miscela idrocarburica contaminante (2% p/v), prelevata dal sito e
sterilizzata per filtrazione, è stata fornita come unica fonte di carbonio ed energia. Di queste tre
colture, una è stata utilizzata come controllo abiotico e non è stata quindi inoculata con
microrganismi, mentre le altre due sono state addizionate con i microrganismi estratti da campioni
di suolo provenienti dalla frangia capillare contaminata, Bio1.0 o Bio 2.0.
Il secondo set sperimentale (Set 2) è stato allestito in modo analogo al Set 1, sostituendo però,
in tutte e tre le colture, il mezzo minimo salino BH con un’aliquota di suolo non contaminato
prelevato nel campo di prova BS2 (del tutto paragonabile ai campioni prelevati nel campo di prova
BS1 per ciò che concerne i valori dei nutrienti). A tal fine 2 g di suolo sono stati addizionati a 20 ml
79
di acqua (slurry) e il tutto è stato sterilizzato in autoclave (0.7 atm 15 min). In questo set
sperimentale sono stati forniti ai microrganismi per la crescita esclusivamente i macronutrienti
(azoto e fosforo) e i micronutrienti presenti nel suolo del sito.
Le 6 colture dei 2 set sperimentali sono state quindi incubate in condizioni aerobiche (in
agitazione a 150 rpm) per un periodo di 10 giorni a 32°C. Terminata l’incubazione, è stato possibile
riscontrare un’abbondante crescita microbica nelle colture del Set 1 inoculate con i microrganismi
della frangia capillare (Figura 11—5).
Figura 11—5. Colture in terreno minimo salino BH addizionato con miscela idrocarburica come unica
fonte di carbonio ed energia. sx, controllo abiotico non inoculato; dx, coltura inoculata microrganismi estratti
da un campione di suolo della frangia capillare contaminata (Bioslurping 2.0).
Come atteso, il controllo abiotico non mostrava alcuna crescita. Tale risultato preliminare
sembra indicare la presenza di una comunità microbica autoctona aerobica capace di crescere in
presenza di contaminante come unica fonte di carbonio. Nelle colture del Set 2, le condizioni
sperimentali (slurry) non hanno permesso di stabilire con certezza se fosse avvenuta o meno una
crescita microbica.
Si è proceduto quindi alla caratterizzazione chimica dei prodotti di degradazione dei due set
sperimentali. La tecnica utilizzata è stata la gascromatografia associata alla spettrometria di massa.
L’entità della degradazione operata dai microrganismi estratti dalla frangia capillare è stata valutata
comparando, per ciascun set, i cromatogrammi del controllo abiotico con quelli delle colture
inoculate. Sono discussi di seguito i risultati ottenuti per le principali classi di composti costituenti
la miscela idrocarburica contaminante.
80
SET 1
•
Alifatici lineari: non si nota diminuzione apprezzabile delle poche specie rimaste in
limitatissima quantità.
•
Alifatici ramificati: nessun composto è degradato completamente, numerose specie ramificate
subiscono una degradazione parziale.
•
Aromatici ad un solo anello (e costituenti leggeri o volatili in generale): rimangono
praticamente inalterati.
•
Nafteni: rimangono praticamente inalterati.
•
Naftaleni, suddivisibili in quattro classi distinte: naftaleni mono-, di- e tri-metilati e naftaleni
superiori. Per queste classi di composti si notano gli effetti più interessanti, infatti, alcune
specie mono- e bi-metilate sono ben degradate, i naftaleni trimetilati sono degradati all’8090%, mentre i naftaleni superiori non subiscono alcuna degradazione.
•
Dibenzotiofeni, suddivisibili in quattro classi distinte: dibenzotiofene, dibenzotiofene
metilato, dibenzotiofene dimetilato e superiori. Il dibenzotiofene e il dibenzotiofene
monometilato sono completamente degradati, appaiono inalterate le altre specie solforate.
I campioni del Set 1 mostrano un’attività degradativa simile quando inoculati con
microrganismi estratti da campioni di frangia capillare dei campi di prova Bioslurping 1.0 o
Bioslurping 2.0.
SET 2
I confronti cromatografici evidenziano come la miscela d’idrocarburi rimanga del tutto
inalterata, in tutte le prove. Nell’arco di 10 giorni non si osserva dunque alcuna attività di
degradazione ad opera della comunità microbica autoctona.
Alla luce dei risultati analitici ottenuti per il Set 1 si può quindi affermare che nella frangia
capillare contaminata del sito è presente una comunità microbica autoctona in grado di degradare, in
aerobiosi, alcune delle principali classi di idrocarburi componenti la miscela contaminante e in
particolar modo la classe dei naftaleni. Al contrario, la medesima comunità microbica non è in
grado di operare alcuna degradazione nelle condizioni sperimentali imposte nel Set 2. Sulla base di
questo risultato si può ritenere che la scarsità dei nutrienti presenti nel sottosuolo del sito deprima in
modo così significativo la biodegradazione dell’inquinante da dover considerare tali nutrienti un
importante fattore limitante.
81
Le considerazioni ora esposte inducono dunque ad individuare le condizioni per un’ottimale
combinazione fra tipo e quantità di nutrienti da somministrare in situ, ponendo particolare
attenzione alle modalità di somministrazione in funzione della qualità e dell’uso delle acque di
falda. Sulla base di questi risultati, ed a seguito di ulteriori considerazioni di tipo ingegneristico, di
seguito discusse, si è deciso di intervenire con la tecnologia del Biorisanamento in situ. In
particolare è stato istallato un impianto di bioslurping allo scopo di recuperare il prodotto libero in
galleggiamento sulla falda (free product recovery FPR) e di fornire ossigeno al sistema (soil vapor
extraction SVE).
Successivamente, all’avvio degli impianti di ossigenazione sono stati effettuati degli studi di
modellazione del flusso e del trasporto in falda, finalizzati alla quantificazione dei nutrienti da
aggiungere in campo che non costituiscono un rischio sanitario non accettabile.
82
12 ATTIVITÁ IN CAMPO
12.1 Tipologie di intervento in situ
Le matrici sotterranee interessate dall’inquinamento di idrocarburi possono essere così
suddivise:
A.
Suolo contaminato nello strato insaturo
B.
Suolo contaminato nello strato saturo
C.
Prodotto libero in galleggiamento sulla falda
Le concentrazioni di idrocarburi disciolti nelle acque di falda sono molto basse e non
richiedono interventi di risanamento. Gli interventi di bonifica sono stati quindi finalizzati a:
a.
Abbassamento dei valori di idrocarburi nella zona insatura.
b.
Abbassamento delle concentrazioni di idrocarburi nella zona satura
c.
Eliminazione del prodotto in galleggiamento
La zona contaminata si trova a diversi metri sotto la superficie del suolo. Essa è sovrastata da
terreno non contaminato ed investe uno spessore di circa 5 metri: la realizzazione di un risanamento
ex situ, risulterebbe molto complessa e particolarmente costosa.
In base alla caratterizzazione preliminare effettuata, alle caratteristiche proprie del sottosuolo
e della falda, alla distribuzione ed alle concentrazioni di contaminante rilevate, il tipo di intervento
scelto per la bonifica è stato il biorisanamento in situ.
12.2 Bioslurping
In funzione della tipologia dell’inquinante, una miscela di idrocarburi petroliferi, e la sua
collocazione, la zona vadosa e la frangia capillare, si è scelto di sperimentare il Bioslurping una
tecnologia di biorisanamento in situ. Come descritto nell’introduzione, la tecnica di Bioslurping è
una tecnica mista che prevede la messa in atto congiunta di due specifiche metodologie o tecniche
di bonifica: il soil vapour extraction (SVE) ed il free product recovery (FPR) (Figura 12—1).
83
Figura 12—1. A) Tecnica SVE; B) Tecnica FPR
1.
La Tecnica SVE, attraverso l’aspirazione forzata di aria dal sottosuolo, da una parte instaura
condizioni dinamiche che portano allo strippaggio dei composti presenti in fase gassosa (composti
organici volatili, COV), dall’altra favorisce lo spostamento dell’equilibrio di ripartizione liquidogas degli idrocarburi, verso la fase vapore, liberando il sottosuolo da quelli più volatili. L’SVE attua
quindi un’intensa attività di ricircolo d’aria nel sottosuolo: nell’area di influenza dei pozzi di
bioslurping l’effetto auspicato della ventilazione è la stimolazione della crescita della popolazione
di microrganismi aerobi (biostimolazione) ed un aumento della loro attività metabolica, in risposta
ad un innalzamento della tensione di O2 nel suolo.
2.
La Tecnica FPR, sempre attraverso un meccanismo di aspirazione, consente un parziale
recupero dell’inquinante presente sulla superficie dell’acqua di falda (NAPL), associato al recupero
dei COV. La miscela acqua-inquinante aspirata dagli slurp tube è stata collegata ad un separatore a
gravità acqua/olio, convogliante l’inquinante in un apposito recipiente graduato. L’acqua raccolta
nel separatore é stata quindi convogliata alla canaletta di raccolta delle acque oleose del deposito
del sito, per essere poi inviata al sistema di trattamento acque dello stabilimento. L’aria aspirata
dall’impianto di Bioslurping, prima di essere rilasciata in atmosfera, è stata opportunamente
convogliata ad un separatore di condensa e ad un sistema di filtraggio a carboni attivi.
84
12.2.1 Fasi preliminari all’istallazione dei pozzi di bioslurping
La sperimentazione della tecnica del bioslurping nel sito contaminato preso in esame è
iniziata, di fatto, il 4 Giugno 2002 con le operazioni di terebrazione dei pozzetti di controllo
prolungatesi fino all’11 Giugno 2002. La messa in funzione degli impianti è avvenuta il 25 Luglio
2002.
Per determinare l’efficacia del Bioslurping nel sito in esame, è stata prevista la realizzazione
contemporanea di due “pozzi pilota” indipendenti e non interferenti tra loro (pozzo BS1 e pozzo
BS2), al fine di individuare i migliori parametri di lavoro e di determinare, con la sufficiente
precisione, la zona di influenza (ZOI - Zone of Influence) in relazione al sito specifico e per
l’effettuazione delle prove respirometriche. L’8 e il 9 di Luglio sono state effettuate le terebrazioni
dei pozzi di bioslurping BS1 e BS2 mediante carotatore a percussione con diametro di rivestimento
da 500 mm e lo start up dell’impianto è avvenuto il 25 luglio 2002.
Attorno ad ognuno dei pozzi di bioslurping (BS1 e BS2), sono stati realizzati 4 pozzetti di
controllo, disposti come mostrato in Figura 12—2.
Figura 12—2. Ubicazione dei due pozzi di bioslurping e dei relativi pozzetti di controllo.
Tutti gli 8 pozzetti sono stati strumentati con piezometri, con profondità pari a –10 m dal
piano di campagna (p.c.). Tutti i piezometri sono stati completati con tappo a chiusura ermetica e
chiusino in metallo fuori terra. Per determinare la profondità dei pozzi, sono state prese in
considerazione le oscillazioni del livello di falda nell’arco di un anno, ricorrendo ai dati disponibili
sulle misure freatimetriche nel corso del tempo.
85
Su tutti i campioni di suolo/sottosuolo prelevati nel corso delle terebrazioni dei pozzetti di
controllo è stato impostato un programma di ricerca per la determinazione del tenore di idrocarburi
leggeri (C<12), pesanti (C>12) ed aromatici (BTEX e Stirene), che ha portato alla caratterizzazione
chimica della miscela contaminante, descritta in precedenza. Nella Tabella 15 sono riportati i punti
di campionamento e le profondità di prelievo.
Tabella 15. Punti di campionamento e la profondità di prelievo nei campi di prova.
L’impianto istallato ha consentito lo sviluppo di una sperimentazione separata delle due
tecniche di base del bioslurping (SVE e FPR), in modo da poterne analizzare approfonditamente i
risultati applicativi, in modo distinto. In sintesi la campagna di sperimentazione del bioslurping è
stata condotta con la seguente distribuzione degli ambiti applicativi delle tecniche FPR/SVE
(Tabella 16).
Tabella 16. Fasi di sperimentazione delle tecniche SVE e FPR nei campi di prova BS1 e BS2.
86
12.2.2 “Soil Vapor Extraction” (SVE)
Prima Fase sperimentale
Dopo lo start up dell’impianto avvenuto il 25 luglio 2002, il programma di sperimentazione è
stato impostato in maniera da prevedere una marcia continua dell’SVE con una portata di
aspirazione pari a 50 m3/h sui pozzi centrali BS1 e BS2 (interrotta solo per l’effettuazione di alcune
prove sperimentali). Lo schema semplificato dell’impianto Bioslurping – SVE, in questa prima fase
di sperimentazione, è il seguente:
Figura 12—3. Configurazione di lavoro SVE – Bioslurping BS1 e BS2.
Seconda Fase sperimentale
Nel settembre 2002, in occasione delle modifiche apportate alla configurazione dell’impianto
FPR – Bioslurping, si è provveduto a rivedere in un’ottica di complementarietà anche la
configurazione dell’impianto SVE. Infatti, al fine di evolvere l’iter sperimentale in maniera
razionale e sistematica, si è provveduto a condurre la sperimentazione della tecnica SVE in maniera
estesa sul campo 1. La rappresentazione schematica della configurazione del campo 1 della tecnica
di sperimentazione SVE è la seguente:
Figura 12—4. Configurazione di lavoro SVE
Bioslurping (Campo 1).
87
Il termine di questa configurazione sperimentale sul campo 1 ha coinciso con il novembre
2002, quando in forza ai dati acquisiti, si è riorganizzato il prosieguo della sperimentazione
invertendo le tecniche applicate, in maniera simmetrica alla configurazione precedente, ovvero
passando la sola SVE al campo 2. Nella Tabella 17 sono riassunte le tecniche utilizzate nei 2 campi
di prova, nei diversi periodi considerati:
Tabella 17. Parametri operativi e configurazioni SVE nei campi prove 1 e 2
L’applicabilità e l’efficienza della tecnica SVE sono state analizzate e valutate prendendo in
considerazione l’influenza nell’attività di ossigenazione e quindi di stimolo alla biodegradazione del
sito (monitorata da un programma di test respirometrici e microbiologici), misurabile attraverso il
Tasso di Degradazione dell’inquinante, inteso come il quantitativo di inquinante, espresso in mg,
che i microrganismi sono in grado di rimuovere dalla matrice ambientale suolo/sottosuolo in un
intervallo di tempo definito.
12.2.3 Test respirometrici
Le prove respirometriche condotte in situ dei seguenti gas interstiziali, anidride carbonica
(CO2), ossigeno (O2), sono state correlate all’attività microbiologica, misurata attraverso il
monitoraggio sperimentale. Le misurazioni sono state effettuate con uno strumento portatile del tipo
Dräger Multiwarn II direttamente dal punto di prelievo all’interno del container.
La prima prova respirometrica è stata effettuata nel campo di prova 1, nel periodo tra il
18/09/2002 ed il 20/09/2002. A tale scopo è stato installato un impianto munito di soffiante a canale
88
laterale collegato ai cinque pozzi di venting denominati rispettivamente 1BIO, 2BIO, 3BIO, 4BIO e
BS1 (al centro rispetto agli altri quattro). All’interno del container, le 5 linee di aspirazione sono
state completate con flussimetro di misurazione di portata, saracinesca di regolazione e punto di
prelievo. La rappresentazione schematica della configurazione estesa al campo di prova 1 della
tecnica di sperimentazione SVE è riportata in Figura 12—5.
Figura 12—5. Schema semplificato impianto di SVE - Bioslurping – BS1.
Durante l’esecuzione di questa prova respirometrica gli andamenti dell’O2 e della CO2 sono
stati monitorati sia nella fase di funzionamento dell’impianto, sia nelle 25 ore successive allo
spegnimento. Il giorno 18/09 alle ore 13:30 in tutti i pozzetti sono state determinate le
concentrazioni di O2 e CO2 al tempo zero. Alle ore 14:00 è stata avviata la ventilazione: tutti i
pozzetti sono stati ventilati contemporaneamente ad una portata di 28 m3/h. L’impianto è stato
spento il giorno 19/09 alle ore 15:30 dopo 25,5 ore di ventilazione: le letture delle concentrazioni
dopo lo spegnimento sono state effettuate ad intervalli crescenti di 10, 15 e 30 minuti; il giorno
successivo sono proseguite ad intervalli di 2 ore, fino alle ore 15:30 (Figura 12—6).
89
Figura 12—6. Valori di O2 misurati durante la prova SVE del Settembre 2002 – Campo 1.
Dal confronto degli andamenti generali del tenore di O2, in ciascun pozzo del campo di prova
1 si riconoscono due distinte situazioni, corrispondenti alla fase di estrazione gas, ed alla fase
successiva all’arresto della estrazione gas:
1.
Nella prima situazione il trend crescente del tenore di O2, dimostra l’efficacia della tecnica
SVE nel favorire un ricambio atmosferico interstiziale (quindi un’ossigenazione) nel
sottosuolo del sito;
2.
La seconda situazione tende a confermare che il processo di biodegradazione indotto dalla
ventilazione continua ad essere attivo, dopo l’arresto del sistema, con un consumo
dell’ossigeno interstiziale.
Un trend decisamente complementare all’ossigeno è seguito dalla CO2, che decresce quasi
linearmente durante tutto l’intervallo di ventilazione, mentre registra un andamento crescente,
durante l’intervallo successivo allo spegnimento dell’impianto SVE (Figura 12—7).
Figura 12—7. Valori di CO2 misurati durante la prova SVE del Settembre 2002 – campo 1.
90
La complementarietà nei comportamenti di O2 e CO2 permette di conseguire una buona
conferma della presenza di un’attività metabolica nel sottosuolo, in cui la CO2 è prodotta dalla
trasformazione del materiale organico sottoposto ad ossidazione, con conseguente consumo di O2.
A fine prova, l’impianto di aspirazione è stato riattivato, e mantenuto ad esercizio continuo,
fino al 7 Ottobre, giorno in cui l’impianto è stato spento ed è stata condotta una prova analoga alla
precedente, al fine di studiare la dinamica dei gas interstiziali dopo un funzionamento continuo e
prolungato della tecnica SVE, di circa 17 giorni, applicata sempre al campo di prova 1.
I trend riportati nei grafici riportati in Figura 12—8 ed in Figura 12—9 sono il risultato del
monitoraggio dei gas interstiziali, O2 e CO2, effettuato immediatamente dopo lo spegnimento
dell’impianto di SVE.
Figura 12—8. Valori di O2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 1.
Figura 12—9. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 1.
Dall’andamento relativo delle concentrazioni di O2 e CO2 al termine della prova si può
confermare, in generale, quanto già emerso nelle prove precedenti, in relazione alla risposta
91
microbiologica del sito, a seguito dell’attività ossigenante prodotta dall’applicazione della tecnica
SVE.
L’attività di “soil venting” del campo di prova 2 ha interessato un periodo di tempo compreso
tra i mesi di Novembre 2002 e Febbraio 2003. Il periodo invernale tuttavia, è stato caratterizzato da
forti precipitazioni e basse temperature, che hanno causato differenti problemi, primo tra tutti una
minore efficienza del sistema di ventilazione. A novembre 2002, si è provveduto quindi ad
implementare la tecnica su tutto il campo di prova 2, con una configurazione perfettamente
simmetrica rispetto alla precedente, applicata al campo 1. Le difficili condizioni atmosferiche hanno
permesso l’esecuzione di una sola prova respirometrica, il 15 gennaio 2003, monitorando gli
andamenti dei gas interstiziali relativamente alle concentrazioni di O2 e CO2, nelle 28 ore successive
allo spegnimento dell’impianto. I risultati ottenuti dal test sono rappresentati nei grafici riportati in
Figura 12—10 ed in Figura 12—11.
Figura 12—10. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’ Ottobre 2002 – campo 2.
2
Figura 12—11. Valori di CO2 misurati durante la prova respirometrica dell’Ottobre 2002 – campo 2.
92
Si può notare come, immediatamente dopo l’inizio del monitoraggio, in tutti i pozzetti è stato
rilevato un decremento delle concentrazioni di O2, accompagnato da un incremento di CO2, a
conferma della presenza di un’attività microbiologica in corso. In questa prova tuttavia la
diminuzione di O2 e l’incremento di CO2 è stata meno marcata delle prove precedenti.
Si può confermare, per concludere, come sussista, nel sito contaminato, un’estrema
complementarietà degli andamenti relativi dell’O2 e della CO2, a testimonianza di una attività
microbiologica presente nel sottosuolo, beneficiante dell’attività di ventilazione conseguente
all’applicazione in sito della tecnica SVE.
12.2.3.1 Valutazione dei dati respirometrici
La degradazione del gasolio, porta alla formazione di CO2 e di eventuali prodotti intermedi,
derivanti dalla completa o parziale ossidazione dei prodotti organici. Pertanto la capacità estrattiva
della tecnica SVE può risultare utile al fine di completare il processo di bonifica, asportando tutti i
prodotti formatisi, sia intermedi che finali, ed accelerando la bonifica del sottosuolo. In base al
consumo di O2 ricavato dai test respirometrici è possibile stimare il grado di degradazione di
ciascun pozzo investigato, potenzialmente raggiungibile con un intervento di ventilazione. Il grado
di degradazione costituisce il principale indicatore dell’attività di degradazione microbiologica: esso
può essere inteso come il quantitativo di inquinante (espresso in mg) che i microrganismi sono in
grado di rimuovere dalla matrice ambientale suolo/sottosuolo in un intervallo di tempo definito
(solitamente nell’arco di un giorno).
La stima del grado di degradazione può essere calcolata in base al rapporto stechiometrico di
ossidazione degli idrocarburi. In presenza di idrocarburi, il rapporto tra idrocarburi ed O2 richiesto
per la mineralizzazione varia in un intervallo molto ristretto (0,29 – 0,33): è pertanto ammissibile
utilizzare anche per una miscela degradata, derivante dal gasolio, il n-esano come idrocarburo di
riferimento (EPA, 1995). Nel calcolo stechiometrico non è considerata la frazione di idrocarburi che
si trasforma in biomassa (trascurabile, ma soprattutto di difficile se non impossibile rilevazione). La
reazione di ossidazione diviene la seguente:
C6 H14 + 9,5O2 → 6CO2 + 7H2O
[1]
Nella prima fase della prova respirometrica l’andamento del consumo di O2 risulta essere
lineare, sino ad una percentuale di circa il 5%, in quanto presente in concentrazioni abbondanti e
93
non essendo un fattore limitante: il consumo va determinato entro questo periodo, dopo lo
spegnimento dell’impianto A partire dalla relazione di ossidazione [1] è possibile calcolare il tasso
teorico di degradazione degli idrocarburi:
KB =
K 0 ⋅ θ a ⋅ ρ O2 ⋅ C ⋅ (0,01)
ρK
EQUAZIONE 2
Dove,
KB
= tasso di degradazione [mg inquinante/(Kg suolo x giorno)];
K0
= tasso di utilizzazione O2 (% in Vol /giorno);
θa
= porosità efficace;
ρ O2
= densità O2 (mg/l);
C
= quantità ottenuta dal rapporto tra idrocarburi e O2 richiesto per la mineralizzazione (1:3,5);
ρk
= densità del suolo (g/cm3).
La biodegradazione degli idrocarburi può essere quantificata anche durante la fase di esercizio
della tecnica SVE, misurando direttamente la concentrazione di O2 nel gas durante la fase di
estrazione. Si assume infatti che, raggiunta una situazione di equilibrio, l’intervento richiami aria
atmosferica dalla superficie che quindi attraversa i livelli inquinati. Tali livelli si comportano come
un “bioreattore” naturale consumando O2 e producendo CO2. La differenza di O2 nel gas di scarico
del “bioreattore” rispetto all’aria atmosferica di ingresso è uno strumento di misura per l’attività
microbiologica. La massa degli idrocarburi biodegradata durante l’attività di aspirazione può essere
calcolata mediante la formula:
HCbio =
(Cvbkgd − Cv02 )
100
× Q × C × ρ O2 × MWO2 ×
(kg )
(1440 min)
×
(100 g ) ( giorno)
EQUAZIONE 3
Dove,
HCbio = massa di idrocarburi degradata
Cvbkgd = concentrazione di ossigeno presente in area non contaminata [% in Vol]
CvO2 = concentrazione di ossigeno nel gas estratto [% in Vol]
Q
= portata di aspirazione
C
= rapporto stechiometrico tra ossigeno e idrocarburi (esano) = (1:3,5)
ρO
2
= densità dell’ossigeno [mg/l]
94
MWO2 = peso molecolare dell’ossigeno [g/mole]
Nelle tabelle successive sono riportati i risultati del consumo di O2 misurato sperimentalmente
nelle prove da Settembre 2002 ad Febbraio 2003, le prime due nel campo di prova 1, l’ultima nel
campo di prova 2, con il corrispondente tasso di degradazione idrocarburico calcolato applicando
ambedue le precedenti formule [2] e [3]. Dal quantitativo di O2 consumato (% di volume al giorno)
è possibile ottenere delle indicazioni in merito alle potenzialità di riuscita della tecnica; a questo
proposito, la letteratura (EPA, 1995) riporta che valori di O2 consumato maggiori dell’1%
volume/giorno possono essere considerati buoni indicatori dell’applicabilità delle tecnica
selezionata nel sito (nel nostro caso sempre superiori).
Nella Tabella 18 sono riportati i tassi di degradazione calcolati sulla base dei risultati ottenuti
durante la prova respirometrica di Settembre:
Tabella 18 Settembre 2002, campo prova 1: consumo di O2 e Tasso di Degradazione.
Come evidente in tabella 5, i valori di consumo giornaliero di O2 sono risultati nettamente
maggiori del riferimento di letteratura. Tali valori hanno permesso di calcolare un tasso di
degradazione medio di circa 7,28 mg di inquinante/kg di suolo al giorno.
Per poter valutare l’efficienza in situ della tecnica a regime, il tasso di degradazione ottenuto
utilizzando la concentrazione di O2 presente nel gas in uscita dalla SVE, deve essere rapportato al
volume di suolo interessato dalla ventilazione, così da confrontarlo con quello ricavato attraverso il
valore di consumo giornaliero di O2, dove l’impianto era stato spento prima della misura.
Dai dati emersi da uno studio effettuato sui raggi di influenza (ROI) dell’impianto, si può
ipotizzare un’area interessata dalla ventilazione di circa 2.000 m2, considerando lo strato
contaminato di circa 2 m di spessore, il volume interessato risulterebbe pari a circa 4.000 m3. Dato
che il peso specifico del terreno è di circa 1,7 g/cm3 si ricava una massa di terreno pari a circa 6.800
95
t. Il tasso di degradazione complessivo ricavato dalla somma dei singoli valori misurati nei vari
punti e presenti in tabella 5, è pari a 84,3 kg di inquinante al giorno, il tasso di degradazione
complessivo (somma dei singoli tassi di degradazione) espresso come mg/kg al giorno risulterà
quindi pari a 12 mg/kg al giorno circa. Si può osservare come tale valore sia superiore alla media
determinata dalla prova respirometrica, 7,3 mg/kg al giorno, dato ricavato già da un buon valore di
consumo di ossigeno. Si deduce quindi una buona efficienza di degradazione durante il
funzionamento della tecnica. Da tener presente una potenziale sottostima del suolo areato coinvolto,
che in tal caso sovrastima il tasso di degradazione. In Tabella 19 sono riportati i valori ottenuti nel
secondo test, quello di Ottobre:
Tabella 19 Ottobre 2002, campo prova 1: consumo di O2 e Tasso di Degradazione
Anche in questo caso abbiamo rapportato la somma dei singoli tassi di degradazione, misurati
utilizzando la concentrazione di O2 nel gas in uscita, come mg/kg di suolo al giorno. Il tasso di
degradazione complessivo calcolato è stato buono, circa 9,5 mg/kg al giorno, poco meno di quanto
riscontrato tre settimane prima. Anche in questo caso i tassi di degradazione calcolati sulla base
delle concentrazione di O2 nel gas di scarico, appaiono nettamente superiori a quelli ricavati con i
dati delle prove respirometriche.
La stima del tasso di degradazione nel campo di prova 2 è stata effettuata nel Gennaio del
2003. Come nei casi precedenti, essa è stata effettuata sia sulla base dei valori di consumo dell’O2
misurati nel corso delle prove respirometriche, sia in base alle concentrazioni di O2 misurate in
uscita dalla SVE (Tabella 20)
96
Tabella 20 Gennaio 2003, campo prova 2: consumo di O2 e Tasso di Degradazione
Come già accennato in precedenza, nel campo 2 le difficili condizioni atmosferiche stagionali
hanno influito sulla prova, e di conseguenza, sulla tecnica di SVE. I tassi di degradazione sono
risultati di conseguenza di difficile elaborazione e comunque più contenuti (tasso di degradazione
complessivo 5 mg/kg al giorno).
Le differenze dei valori ricavati dalle prove respirometriche nei due campi sperimentali sono
state giustificate, oltre che dalle differenti condizioni metereologiche, anche dal diverso grado di
umidità, temperatura e quindi attività microbiologica conseguente al diverso periodo di
effettuazione dei test stessi.
In generale, come già affermato, le caratteristiche di applicabilità e di efficacia della
componente SVE erano essenzialmente legate alla possibilità di:
•
indurre un significativo richiamo di aria nel sottosuolo, in modo da contribuire alla
stimolazione del processo biodegradativo della comunità aerobica autoctona presente nel
sottosuolo del sito;
Le evidenze raccolte hanno permesso di confermare che, sotto questi aspetti, la componente di
Soil Vapour Extraction della tecnica di Bioslurping, risulta applicabile ed efficace, richiamando e
recuperando nel contempo eventuali componenti volatili del contaminante. L’esito delle misure
effettuate in campo ha consentito di registrare una buona respirazione microbica, associata ad un
buon tasso di degradazione.
97
12.2.4 Free Product Recovery (FPR)
I principi di azione del “free product recovery” si basano sull’estrazione fisica del prodotto in
saturazione, degli idrocarburi disciolti in falda e della frazione volatile presente nel gas interstiziale
in prossimità della frangia capillare. L’applicabilità della tecnologia scelta per il recupero del
prodotto in galleggiamento presente nei pozzi, è stata condizionata principalmente dai seguenti
fattori:
•
Profondità del livello acquifero alla quale si è accumulato il prodotto in galleggiamento
(NAPL)
•
Permeabilità dell’acquifero
•
Volatilità degli idrocarburi
In generale, in relazione alle attese iniziali, le potenzialità della componente FPR erano
sostanzialmente legate alla possibilità di ottenere il duplice risultato di:
•
recupero significativo della fase surnatante libera di inquinante;
•
azione di richiamo del surnatante dall’intorno del punto di suzione, mediante
l’applicazione localizzata di un alto grado di vuoto (slurp-tube collocati in prossimità
del pelo libero di falda).
La misura dei livelli del prodotto surnatante e della falda acquifera rispetto al p.c. (piano di
campagna), in ciascun pozzo dei campi prova, è stata effettuata attraverso una sonda dotata di
sensori specifici per il rilevamento dell’acqua e dell’inquinante. L’aspirazione dello slurp-tube è
stata impostata ad una profondità compresa tra il livello del surnatante e quello della falda
acquifera, in modo tale che il punto di aspirazione si trovasse immerso nello spessore apparente di
prodotto sempre libero.
Prima Fase sperimentale
Il 25 luglio 2002, con l’effettivo avvio in campo della sperimentazione, si è applicata la
tecnica FPR ai soli pozzi centrali pilota BS1 e BS2, ai quali, come già mostrato, in parallelo veniva
applicata anche la tecnica SVE. La configurazione impiantistica impostata in questa prima fase di
sperimentazione è stata la seguente:
98
Figura 12—12. Schema semplificato impianto di Bioslurping – FPR in BS1 e BS2.
Prima dell’avvio dell’impianto è stata effettuata una misurazione, su tutti i pozzi, dei livelli di
falda e di prodotto. Il regime di aspirazione FPR veniva impostato con marcia alternata di 15 minuti
sui due campi prove BS1 e BS2, per un periodo complessivo di 5 giorni. Al termine si è proceduto
ad un nuovo monitoraggio. Nella Tabella 21 sono riportate le misurazioni dei livelli in entrambi i
campi di prova.
Tabella 21 Livelli piezometrici di falda e prodotto, rilevati prima (25/07/02) e dopo (30/07/02)
Dalla differenza nei livelli di prodotto misurati prima e dopo l’applicazione della FPR, è stata
riscontrata una generale diminuzione degli spessori di inquinante, presumibilmente in conseguenza
99
all’aspirazione di prodotto. Tale diminuzione ha evidenziato tuttavia che i quantitativi di inquinante
estratti dai pozzi BS1 e BS2 erano in generale di piccola entità. In particolare, è stata osservata una
maggiore attitudine al recupero di prodotto del BS2 rispetto al BS1, probabilmente imputabile a
locali differenze granulometriche del primo sottosuolo e alla diversa quota locale del piano di
campagna (11,7 m s.l.m. BS1, 10,9 m s.l.m. BS2).
Seconda Fase sperimentale
Al fine di ottimizzare ulteriormente l’efficienza degli impianti di Bioslurping FPR, si è
proceduto ad estendere la tecnica FPR dal pozzo pilota centrale a tutti i pozzi di controllo, in modo
tale da disporre di risultati più significativi sulla possibilità di una efficace applicazione della
tecnica. Nei primi giorni di Settembre 2002, si è deciso di applicare tale configurazione, solamente
al campo di prova 2 (ovvero quello che meglio aveva risposto al saggio sperimentale effettuato
inizialmente), per massimizzarne le potenzialità.
L’estrazione dell’inquinante in questa fase ha previsto tempi di aspirazione di 30 minuti per
ogni singolo pozzo, secondo un funzionamento ciclico di tipo on-off applicato a rotazione su tutti i
pozzetti di controllo del campo prove: se per esempio l’FPR è in funzione nel pozzo BS1, i pozzi
(1BIO, 2BIO, 3BIO e 4BIO) sono configurati in posizione di “riposo”, ossia senza aspirazione, per
facilitare l’eventuale ricarica di prodotto. La durata complessiva di un ciclo di FPR è perciò pari a
2,5 ore; nell’arco di 30 minuti, ogni pozzo aspira l’eventuale prodotto presente, mentre per le
successive 2 ore rimane in fase di ricarica. Lo schema impiantistico della nuova configurazione di
lavoro è il seguente:
Figura 12—13. Schema semplificato impianto di Bioslurping FPR – campo 2.
100
La sperimentazione della nuova configurazione impiantistica del campo 2 è stata effettuata il
18 settembre, calibrando i ritmi di aspirazione nel seguente modo:
ƒ
step t0; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2;
ƒ
step t1; fase di aspirazione della durata di 30 minuti in tutto il campo prove;
ƒ
step t2; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2;
ƒ
step t3; fase di aspirazione della durata di 30 minuti in tutto il campo prove;
ƒ
step t4; misura degli spessori apparenti di prodotto in ciascun pozzo del campo 2;
ƒ
step t5; ripetizione del ciclo precedente.
Dal confronto degli spessori apparenti fra uno step e quello successivo in ciascun pozzetto, è
possibile valutare la “ricarica potenziale” dei pozzi, cioè quanto surnatante è richiamato nel
pozzetto tra un ciclo di FPR e l’inizio del successivo. I risultati ottenuti sono schematicamente
riassunti nei seguenti grafici:
Figura 12—14. Variazioni dello spessore apparente di surnatante nei pozzi del campo 2.
Se si assume che gli slurp tube siano perennemente immersi nella fase inquinante,
esaminando lo spessore apparente di prodotto all’inizio ed alla fine di ogni ciclo, si osserva che il
quantitativo estratto diminuisce da un ciclo al successivo.
La ricarica dei pozzetti è legata soprattutto alle variazioni del regime idrogeologico di falda
che provocano delle escursioni dei livelli freatici seguite da variazioni del livello di prodotto; a
piccola scala, tali variazioni possono manifestarsi anche tra un ciclo di esercizio ed il successivo. I
risultati ottenuti hanno evidenziato una poco significativa ricarica di prodotto nei pozzi. Appare
evidente quindi che la misura del quantitativo di prodotto estratto è condizionata dalle naturali
fluttuazioni della falda.
101
Da novembre 2002 si è quindi proseguita la sperimentazione della tecnica FPR nel campo
prove 1. La tecnica è stata quindi condotta con una configurazione analoga alla precedente
implementando prove FPR su tutti e cinque i pozzi del campo 1 . Le prove sono state condotte
misurando lo spessore apparente di inquinante all’interno di ciascun pozzo, prima durante e dopo
gli step della sperimentazione, seguendo gli stessi criteri applicati in precedenza al campo prove 2.
L’insieme dei dati raccolti, in tali prove ha evidenziato tuttavia che gli alti livelli piezometrici
invernali della falda freatica inibivano il recupero di prodotto, rendendo inefficace l’attività di
aspirazione (o recupero) dell’inquinante presente. Lo spessore apparente di prodotto nei pozzi è
risultato praticamente assente, o comunque trascurabile, relativamente alla meccanica di recupero.
In conclusione, nella Tabella 22 sono riportati i dati relativi alle quantità di acqua e prodotto
recuperato da Luglio 2002 a Febbraio 2003: recuperato da ciascun pozzo del campo 2, il più
“produttivo”, e durante l’intero periodo di effettiva operatività 24 – 29 ottobre 2002, pari a 118 ore
di funzionamento:
Tabella 22. Quantitativo di prodotto recuperato e quantitativo di acqua emunta nel campo prove 2
I dati riportati in tabella, mostrano che il quantitativo di prodotto recuperato è notevolmente
inferiore rispetto al quantitativo di acqua emunta. In particolare, emerge che a fronte di un
quantitativo medio di prodotto recuperato pari a 1,84 litri la quantità di acqua emunta è mediamente
di 11,5 m3. L’entità dell’inquinamento da prodotto libero surnatante, presso il sito, rappresenta una
frazione decisamente piccola e sporadica dell’intero plume inquinante individuato dalla fase di
caratterizzazione iniziale.
In base alle considerazione già esposte, l’efficacia di recupero di prodotto libero surnatante è
risultata bassa, vuoi per la limitata e frammentaria presenza dell’inquinante sul pelo libero della
falda, vuoi per i modesti spessori in gioco, vuoi infine per la variabilità freatimetrica. In tali
condizioni è ragionevole prendere in considerazione la possibilità di utilizzare, per il recupero della
fase libera sporadicamente presente, dispositivi più efficienti e funzionali quali alcuni tipi di
skimmer selettivi.
102
12.3 Monitoraggio della comunità microbica durante la bonifica
Il monitoraggio delle variazioni nella comunità microbiche, nei campi di prova di bioslurping,
rappresenta una metodica per valutare l’efficienza della tecnica di bonifica, complementare ai test
respirometrici (ottenuti durante l’attuazione del bioslurping). In particolare, nell’area di influenza
dei pozzi BS1 e BS2, l’effetto auspicato dalla ventilazione sarebbe una stimolazione della crescita
della popolazione di microrganismi aerobi, in risposta ad un innalzamento della tensione di
ossigeno nel suolo. Tale alterazione delle condizioni ambientali potrebbe determinare una
proliferazione nella popolazione di microganismi degradatori aerobi e un aumento della loro attività
metabolica.
Per la valutazione dell’effetto di biostimolazione del bioslurping è stato impostato un
programma di campionamento che ha previsto l’esecuzione di 8 sondaggi.
12.3.1 Metodica di campionamento.
La caratterizzazione microbiologica dei due campi di prova destinati ad ospitare i pozzi di
bioslurping (BS1 e BS2) è iniziata il 16/07/2002, ovvero prima della terebrazione dei pozzi di
bioslurping. Tale indagine preliminare ha avuto lo scopo di definire le caratteristiche delle
popolazioni microbiche, prima dell’attuazione della tecnica di biorisanamento.
La caratterizzazione microbiologica ha richiesto particolari tecniche ed accorgimenti durante
il prelievo, a tal fine è stata condotta in campo, in modo da limitare al massimo l’alterazione del
campione. La scelta di lavorare sul campo è stata dettata anche dalla notevole distanza esistente tra
il sito da campionare ed il Laboratorio della Sezione di Microbiologia e Virologia Generale e
Biotecnologie Microbiche del Dip. di Scienze e Tecnologie Biomendiche dell’Università di
Cagliari, dove è stata condotta la caratterizzazione microbiologica. E’ stata infatti osservata una
differenza di due ordini di grandezza (da 104 a 106cell/g di suolo) nel titolo vitale, tra un campione
processato sul campo ed il medesimo campione analizzato in Laboratorio, ivi pervenuto via posta.
Tale differenza è stata attribuita alla maggiore ossigenazione subita dal campione durante il periodo
di trasporto, che, presumibilmente, avrebbe determinato un incremento del numero dei
microrganismi.
Per le modalità di campionamento ci siamo attenuti alle direttive riportate nel Decreto n°
010175 del 08/07/2002. Per il prelievo dei campioni sono stati eseguiti dei carotaggi per mezzo di
un carotatore a percussione del diametro di 50 mm, sterilizzato mediante riscaldamento con
fiamma. Poiché i microrganismi del suolo rispondono tempestivamente a tutte le variazioni
ambientali, per le caratterizzazioni microbiologiche è stato impiegato “un campione di suolo fresco
103
e poco manipolato in cui la struttura e le proprietà metaboliche delle comunità microbiche presenti
siano poco o affatto alterate” (Decreto n° 010175, 2002).
I carotaggi sono stati terebrati uno a circa 3,80 m a monte (rispetto al flusso di falda) del
pozzo BS1 e l’altro a 3 m (sempre a monte) del pozzo BS2. Da ciascuna carota sono stati prelevati
due campioni di suolo/sottosuolo: uno rappresentativo della zona insatura non contaminata e l’altro
della frangia capillare contaminata. Ciascun campione è stato sottoposto a giudizio visivo/olfattivo
per valutarne lo stato d’inquinamento (Tabella 23). Il prelievo è consistito in campioni di
suolo/sottosuolo di circa 200 grammi:
Tabella 23. Campioni raccolti prima della messa in opera dei pozzi di bioslurping.
Data del
campionamento
Campione
Bio 1.0
16/07/2002
Bio 2.0
Profondità prelievo (m dal p.c.)b
Note
1.00-2.00
5.00-5.20
1.00-2.00
4.50-5.00
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Ciascun campione è stato suddiviso in due parti: una è stata impiegata per la caratterizzazione
chimica (della miscela idrocarburica contaminante), l’altra per la caratterizzazione microbiologica
(titolazione dei microrganismi).
Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione, messe in atto nei pozzi di BS1 e BS2,
abbiano determinato un effetto di biostimolazione, il campionamento è proseguito con l’esecuzione
di altri 7 sondaggi di monitoraggio, successivi alla messa in funzione degli impianti, nell’arco di
250 giorni (Tabella 24).
104
Data
Tabella 24. Campioni raccolti durante il monitoraggio dei due campi di prova di bioslurping.
Tempo (giorni) dall’inizio
Nome
Profondità (m)
Note
della ventilazione (25/07/02)
campione
BS1.1
05/08/2002
11
BS2.1
BS1.2
29/08/2002
35
BS2.2
BS1.3
27/09/2002
64
BS2.3
BS1.4
13/11/2002
111
BS2.4
BS1.5
18/12/2002
146
BS2.5
BS1.6
14/03/2003
232
BS2.6
BS1.7
01/04/2003
250
BS2.7
2.00
4.30
2.00
4.30
2.00
5.80
2.00
5.30
2.00
5.30
2.00
4.70-5.50
2.00
5.10
2.00
4.80
2.00
5.00
2.00
5.40
2.00
5.30
2.00
4.60
2.00
6.00
2.00
6.00
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
b P.C., piano di campagna.
Per la caratterizzazione microbiologica è stata scelta la tecnica di enumerazione MPN (Most
probable number) che permette di determinare, in terreno liquido, il titolo vitale dei microrganismi.
La metodica è molto rapida e si presta all’analisi sul campo (Alexander, 1982). Questa metodica è
stata, di fatto, estesamente impiegata per il monitoraggio microbiologico in bonifiche di suoli
contaminati da idrocarburi petroliferi, analoghi al presente, ed è considerata la metodica di
riferimento per l’analisi microbiologica (Wrenn e Venosa, 1996; Bachoon et al., 2001; Eriksson et
al., 2001). Tale tecnica permette di enumerare, attraverso un’analisi statistica, i microrganismi
presenti nel campione e capaci di crescere su di uno specifico terreno liquido; la scelta del terreno di
coltura consente l’enumerazione di specifici gruppi metabolici di microrganismi. Poiché la tecnica
del MPN opera l’enumerazione in terreno liquido, elimina l’inconveniente, posto dalla tecnica di
titolazione su terreno solido, della crescita di microrganismi non degradatori, ma capaci di sfruttare,
come fonte di carbonio, le impurità presenti nell’Agar (Wrenn e Venosa, 1996).
105
Per ogni campione, sono stati enumerati tre diversi gruppi di microrganismi, impiegando tre
diversi terreni di coltura, tutte le prove sono state condotte incubando i microrganismi alla
temperatura di crescita di 32° C:
•
Terreno massimo Tryptic soy Broth (TSB), è un terreno ricco di sostanze nutritive, viene
spesso impiegato in letteratura per l’enumerazione dei microrganismi aerobi eterotrofi totali
del suolo, ossia per la determinazione del numero totale di microrganismi aerobi capaci di
crescere sfruttando composti organici come fonte di carbonio (Eriksson et al., 2001).
•
Terreno minimo salino Bushnell-Haas (BH) (Difco), addizionato con esadecano come unica
fonte di carbonio. L’esadecano è spesso impiegato in letteratura come substrato selettivo per
l’enumerazione dei “degradatori” di alcani (Wrenn e Venosa, 1996).
•
Terreno minimo salino Bushnell-Haas (BH) (Difco), addizionato con la miscela idrocarburica
contaminante (precedentemente recuperata dal sito e sterilizzata mediante filtrazione) come
unica fonte di carbonio.
A causa delle caratteristiche peculiari del contaminante è stata sperimentata per la prima volta
una variante della tecnica MPN descritta in letteratura, adattata ad hoc alla problematica in studio: il
contaminante estratto dalla falda e sterilizzato per filtrazione è stato scelto come fonte di carbonio
nelle titolazioni. Abbiamo infatti ritenuto che nessuno dei composti puri o delle miscele (es. gasoli)
disponibili in commercio e impiegati nei precedenti lavori possedessero caratteristiche comparabili
a quelle del contaminante attuale. Essendo questo una miscela idrocarburica già abbondantemente
degradata, l’esecuzione del titolo MPN in presenza di fonti di carbonio più facilmente
metabolizzabili avrebbe potuto comportare una sovrastima del titolo della comunità microbica in
grado di degradare il contaminante.
In letteratura i microrganismi enumerati mediante la tecnica MPN, in presenza di idrocarburi
come unica fonte di carbonio, vengono considerati “degradatori”. I microrganismi enumerati
mediante MPN in terreno BH addizionato con il contaminante come unica fonte di carbonio
sarebbero dunque in grado di degradare almeno una delle componenti della miscela idrocarburica e
quindi, tra i gruppi metabolici enumerati nel presente lavoro, sarebbero i più importanti ai fini della
bonifica (Wrenn e Venosa, 1996; Bachoon et al., 2001; Eriksson et al., 2001). Noi riteniamo
tuttavia che l’esclusivo impiego della metodica MPN, per quanto consenta di ottenere un
arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di trarre conclusioni definitive sulle
attività degradative dei microrganismi isolati. Come verrà discusso in seguito, sono attualmente in
corso esperimenti di caratterizzazione della reale capacità degradativa dei ceppi arricchiti durante
gli esperimenti di titolazione.
106
12.3.2 Monitoraggio del campo di prova di bioslurping
Le variazioni nel tempo dei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi (espressi come
cellule/g di suolo) nella zona insatura non contaminata o nella frangia capillare del pozzo BS1 sono
riportate in Figura 12—15 e Figura 12—16. Per ciascun dato è riportato nel grafico anche
l’intervallo di confidenza del 95%.
1e+8
1e+7
cell/gr suolo
1e+6
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
Giorni
Terreno TSB
Terreno BH+esadecano
Terreno BH+miscela
Figura 12—15. Monitoraggio del pozzo BS1 nella zona insatura non contaminata.
1.
L’analisi dei dati relativi alla zona insatura non contaminata del pozzo di BS1 è la seguente:
•
Non assistiamo a cambiamenti significativi del titolo microbico degli eterotrofi totali;
•
Con esadecano, come unica fonte di carbonio, abbiamo un incremento del titolo MPN di
circa 20 volte (rispetto al valore iniziale) dopo 64 giorni di ventilazione, che ritorna al
valore iniziale dopo 146 giorni di ventilazione;
•
Con contaminante, come unica fonte di carbonio, il titolo dei microrganismi aumenta di
100 volte (rispetto al valore iniziale) dopo 64 giorni di ventilazione. Questo aumento è
indice di moltiplicazione cellulare. Il titolo ritorna ai valori iniziali dopo 146 giorni di
ventilazione. Prima dell’inizio della ventilazione, il numero di microrganismi in grado
di crescere con il contaminante come unica fonte di carbonio, è inferiore a quello degli
altri due gruppi metabolici; dopo 64 giorni di ventilazione i tre gruppi raggiungono un
titolo paragonabile.
107
1e+8
1e+7
cell/gr suolo
1e+6
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
Giorni
Terreno TSB
Terreno BH+esadecano
Terreno BH+miscela
Figura 12—16. Monitoraggio del pozzo BS1 nella frangia capillare contaminata.
2.
L’analisi dei dati relativi alla frangia capillare contaminata del pozzo di BS1 è la seguente:
•
Non assistiamo a cambiamenti significativi del titolo degli eterotrofi totali.
•
Il titolo dei microrganismi in grado di crescere con esadecano, come unica fonte di
carbonio, aumenta a partire da 64 giorni dopo l’inizio della ventilazione. Esso raggiunge
il massimo valore (pari a 400 volte del valore iniziale) dopo 146 giorni di ventilazione,
per mantenersi costante nei successivi sondaggi.
•
Il titolo dei microrganismi in grado di crescere con contaminante, come unica fonte di
carbonio, aumenta a partire da 64 giorni dopo l’inizio della ventilazione. Esso raggiunge
il massimo valore (pari a 1000 volte del valore iniziale) dopo 111 giorni dall’inizio della
ventilazione. Nei successivi sondaggi il titolo diminuisce di 70 volte, mantenendosi però
sempre al di sopra del titolo iniziale.
I dati raccolti nel pozzo BS1 indicano che, nel corso del monitoraggio, le variazioni nel titolo
dei diversi gruppi metabolici non sono omogenee. Durante i primi 35 giorni di monitoraggio del
pozzo BS1 non si è assistito a cambiamenti significativi nei titoli dei tre gruppi metabolici di
microrganismi, sia nella zona insatura non contaminata, che nella frangia capillare contaminata, da
attribuire probabilmente alla modalità di attuazione della tecnica di bioslurping nel periodo LuglioAgosto 2002. Dopo 64 giorni dall’inizio della ventilazione, ovvero dopo il cambiamento della
configurazione (Tabella 17), è stato registrato un incremento significativo nel titolo dei
108
microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano o della miscela, come unica fonte di
carbonio. La moltiplicazione è stata maggiore nella zona contaminata che nella zona non
contaminata; i microrganismi in grado di crescere con miscela, come fonte di carbonio, rispondono
alla ventilazione, più di quelli capaci di crescita con esadecano, al contrario i microrganismi
eterotrofi totali non hanno subito un aumento del numero di cellule/g di suolo. Questo risultato
sembrerebbe dunque confermare l’importanza dell’O2 come fattore limitante la crescita microbica
nel sito e l’efficacia della tecnica bioslurping nello stimolare la comunità aerobia. Sulla base di
quanto detto, stiamo inoltre valutando l’impiego di tecniche di biologia molecolare di
caratterizzazione delle comunità microbiche, finalizzate a rendere più sensibile il monitoraggio e la
valutazione della composizione della comunità di microrganismi degradatori autoctoni.
L’andamento dei titoli delle tre classi di microrganismi nel sito BS2 ha mostrato un
andamento di più difficile interpretazione rispetto al sito BS1. A tale proposito ricordiamo che nel
periodo di attuazione della tecnica SVE nel campo di prova 2 le condizioni atmosferiche stagionali
(forti precipitazioni e basse temperature) hanno causato differenti problemi, primo tra tutti una
bassa efficienza del sistema di ventilazione.
109
12.4 MNA
Si è deciso inoltre di valutare l’efficienza della metodica Attenuazione Naturale Controllata
(MNA, Monitored Natural Attenuation) in cui sono stati individuati due siti di sperimentazione,
denominati MNA1 e MNA2. L’Attenuazione Naturale Controllata (MNA, Monitored Natural
Attenuation) non comporta l’utilizzo di particolari apparecchiature o la posa in opera di specifici
impianti, richiede invece l’attuazione di programmate attività di monitoraggio sullo stato delle
matrici ambientali investigate.
12.4.1 Monitoraggio dell’attenuazione naturale controllata (MNA)
Il monitoraggio dei campi 1MNA e 2MNA è consistito nell’esecuzione di due sondaggi dopo
250 giorni dal sondaggio preliminare, al fine di registrare eventuali cambiamenti nella
composizione della popolazione microbica. Per ciascuna carota sono stati prelevati due campioni
rappresentativi della zona non contaminata e di quella contaminata:
Data
Tabella 25 Campioni raccolti nei campi di prova MNA.
Tempo (giorni)
Tempo (giorni)
Profondità prelievo
dall’inizio della
dall’inizio della
(m dal p.c.)b
ventilazione
ventilazione
16/07/2002
MNA 1.0
0
01/04/2003
MNA 1.7
250
16/07/2002
MNA 2.0
0
01/04/2003
MNA 2.7
250
2.00
6.00
2.00
6.00
2.00
5.00
2.00
6.00
Note
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
Non inquinato
Inquinato
b Piano di campagna.
Le variazioni nel tempo dei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi (espressi come
cellule/g di suolo), nella zona insatura non contaminata o nella frangia capillare dei siti MNA1 e
MNA2 sono riportate in Figura 12—17 ed in Figura 12—18. Per ciascun dato è riportato nel grafico
l’intervallo di confidenza del 95%.
1.
Nella zona insatura non contaminata del sito MNA1 si osserva una variazione di 16 volte, al
limite della significatività, nel titolo dei microrganismi in grado di crescere in presenza di
esadecano come unica fonte di carbonio. I titoli degli altri due gruppi metabolici non
subiscono invece variazioni significative.
110
1e+8
1e+7
cell/gr suolo
1e+6
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
Giorni
Figura 12—17. Monitoraggio del sito MNA1 nella zona insatura non contaminata.
Nella frangia capillare contaminata del sito MNA1 si osservano variazioni, al limite della
significatività, nel titolo degli eterotrofi totali (di 60 volte) e dei microrganismi in grado di
crescere con esadecano come unica fonte di carbonio (di 20 volte). Nessun cambiamento
significativo si osserva nel titolo dei microrganismi capaci di crescita con contaminante come
unica fonte di carbonio.
1e+8
1e+7
1e+6
cell/gr suolo
2.
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
Giorni
Terreno TSB
Terreno BH+esadecano
Terreno BH+miscela
Figura 12—18. Monitoraggio del sito MNA1 nella frangia capillare contaminata.
111
3.
Nella zona insatura non contaminata del sito MNA2 si osservano variazioni, al limite della
significatività, nel titolo degli eterotrofi totali (di 47 volte), dei microrganismi in grado di
crescere in presenza di esadecano come fonte di carbonio (30 volte) e dei microrganismi in
grado di crescere in presenza di contaminante come fonte di carbonio (15 volte).
1e+8
1e+7
cell/gr suolo
1e+6
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
Giorni
Figura 12—19. Monitoraggio del sito MNA2 nella zona insatura non contaminata.
4.
Nella frangia capillare contaminata del sito MNA2 si osserva una variazione di 50 volte, al
limite della significatività, nei titoli degli eterotrofi totali.
1e+8
1e+7
cell/gr suolo
1e+6
1e+5
1e+4
1e+3
1e+2
0
50
100
150
200
250
300
G io rn i
T e rr e n o T S B
T e rr e n o B H + e s a d e c a n o
T e rr e n o B H + m is c e la
Figura 12—20. Monitoraggio del sito MNA2 nella frangia capillare contaminata.
In conclusione l’analisi microbiologica ha evidenziato che nei siti di attenuazione naturale,
MNA1 e MNA2, si osservano variazioni, al limite della significatività, del titolo microbico.
112
13 CARATTERIZZAZIONE DELLA COMUNITÀ AUTOCTONA
DEGRADANTE
13.1 Analisi della comunità microbica
L’analisi della comunità microbica del sito contaminato è stata effettuata tramite:
1.
Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN in terreno minerale con contaminante come
unica fonte di carbonio ed energia.
2.
Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA e analisi del gene codificante il 16S
rRNA.
Il monitoraggio ha riscontrato un elevato titolo di microrganismi capaci di crescere in
presenza di contaminante come fonte di carbonio ed energia. La presente caratterizzazione
permetterà di analizzare la biodiversità della comunità microbica implicata nel processo di
Biorisanamento.
13.1.1 Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN
L’isolamento dei ceppi è stato effettuato dall’arricchimento MPN inoculato con il campione
di suolo prelevato nei sondaggi e rappresentativo della frangia capillare contaminata. L’isolamento
è stato effettuato a partire da uno dei pozzetti inoculati con la diluizione maggiore che hanno dato
crescita positiva. Questa strategia permette l’isolamento dei microrganismi numericamente più
rappresentativi in grado di impiegare la miscela idrocarburica contaminante come substrato per la
crescita. I ceppi sono stati isolati in tre passaggi in modo da ottenere colture pure (Figura 13—1 e
Tabella 26). Nel corso dell’intera procedura sono state mantenute condizioni selettive, ovvero
presenza del contaminante come unica fonte di carbonio, con lo scopo di isolare esclusivamente i
potenziali degradatori. A tale scopo è stato impiegato il terreno minimo salino BH appositamente
formulato.
Il primo passaggio dell’isolamento è stato effettuato in terreno agarizzato addizionato con il
contaminante (2% w/v) sotto forma di emulsione. Il contenuto del pozzetto è stato diluito
serialmente e sono state piastrate le diluizioni 10-1, 10-3 e 10-5. Le colonie singole, ottenute dopo
incubazione a 32°C per 10 giorni, sono state osservate allo stereo-microscopio; sono state in tal
modo individuate le principali morfologie presenti in piastra e per ogni morfologia sono state scelte
113
5 colonie che sono state ristrisciate sul terreno selettivo BH + contaminante 2% (w/v). Dopo 10
giorni di incubazione è stata valutata l’entità della crescita di ciascun striscio. Il codice impiegato
prevedeva i seguenti valori: – (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita
abbondante).
Figura 13—1 Isolamento dei ceppi autoctoni del sito contaminato.
Si è proceduto alle successive fasi di isolamento che hanno previsto due isolamenti successivi,
a partire da colonia singola, di ciascun ceppo nel terreno selettivo agarizzato BH. Durante questa
fase dell’isolamento, la fonte di carbonio (contaminante), era fornita sotto forma di vapori. Siamo
stati costretti a non utilizzare il terreno agarizzato contenente il contaminante emulsionato, in
quanto non era tecnicamente possibile eseguire isolamenti su di esso. Nel caso in cui, dopo il primo
isolamento, si siano osservate più morfologie di colonia, ovvero il ceppo non era una coltura pura,
si rendeva necessario procedere all’isolamento di una colonia per ciascuna morfologia osservata
(ceppi denominati A, B, C, etc). Al termine della procedura di isolamento ciascun ceppo puro è
stato conservato sotto forma di glicerolato.
114
Tabella 26. Ceppi isolati dall’arricchimento MPN dei campioni di sottosuolo BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4,
BS1.5 in terreno minerale BH con contaminante (ceppi serie BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5).
Ceppo
Morfologia BH+YE 0.1%
BS1.0C3A
Bianca lucida
BS1.0C21A
Bianca lucida
BS1.0C21B
Bianca lucida
BS1.0C40B
Bianca lucida
BS1.0C25
Bianca lucida
BS1.0C40A
Bianca lucida con chiazze scure
Ceppo
BS1.2C1Y
BS1.2C4Y
BS1.2C5Y
BS1.2C10BY
BS1.2C29CIY
BS1.2C31AIY
BS1.2C31AIIY
BS1.2C32BY
BS1.2C29AIIY
BS1.2C29BIY
BS1.2C32CY
Rosa umbonate
Rosa umbonate
Rosa umbonate
Bianche lucide grandi piatte
Gialle ruvide margini piatti
Bianche ruvide piatte
Bianche ruvide piatte
Gialle lucide margini piatti
Rosate lucide poco bombate
Crema lucide poco bombate
Crema ruvida opaca margini piatti
Ceppo
BS1.3C1BY
BS1.3C2BY
BS1.3C5BIY
BS1.3C4BIY
BS1.3C4CY
BS1.3C5BIIY
BS1.3C7BY
BS1.3C8Y
BS1.3C9Y
BS1.3C10Y
Morfologia BH+YE 0.1%
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide cremosa
Gialle lucide cremosa
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Gialle lucide poco bombate
Ceppo
BS1.4C25AY
BS1.4C25BY
BS1.4C26AY
BS1.4C26BIIY
BS1.4C27AIY
BS1.4C27AIIBY
Morfologia BH+YE 0.1%
Morfologia BH+YE 0.1%
Gialle bombate lucide
Gialle bombate lucide
Gialle piatte leggermente umbonate
Rosate piatte ruvide
Arancio chiare lucide
Arancio chiare lucide
115
Ceppo
BS1.5C2AY
BS1.5C3Y
BS1.5C4Y
BS1.5C5AY
BS1.5C7AY
BS1.5C7BY
BS1.5C9Y
BS1.5C10Y
BS1.5C11AY
BS1.5C11CY
BS1.5C12AIIAY
BS1.5C12AIIBY
BS1.5C13BY
BS1.5C16BIY
BS1.5C17Y
BS1.5C18AIY
BS1.5C18BY
BS1.5C1AY
BS1.5C21Y
Morfologia BH+YE 0.1%
Gialla margini chiari bombata
Gialla lucida
Gialla margini chiari bombata
Gialla margini chiari bombata
Bianca umbonata
Bianca umbonata
Bianca umbonata
Bianca umbonata
Gialla lucida poco bombata
Bianca bombata lucida
Bianca lucida umbonata
Bianca lucida umbonata
Bianca trasparente piccola lucida piatta
Gialle umbonate
Gialla lucida poco bombata
Bianca lucida umbonata
Bianca lucida
Gialla bombata lucida
Giallina lucida
13.1.1.1 Isolamento di ceppi del contaminante
Una strategia alternativa che è stata impiegata al fine di isolare potenziali batteri degradatori,
è stata l’esecuzione di una coltura di arricchimento in cui il contaminante è stato addizionato, prima
della sua sterilizzazione, al terreno minimo salino BH. In tal modo il contaminante ha rappresentato
sia l’inoculum che l’unica fonte di carbonio. L’arricchimento è stato incubato per 10 giorni alla
temperatura di 32°C. Al termine della crescita si è proceduto all’isolamento e alla conservazione dei
ceppi selezionati mediante la procedura descritta in precedenza (Tabella 27).
Tabella 27. Ceppi isolati dal contaminante mediante arricchimento (Ceppi serie M).
Ceppo
M3AIA
M3AIB
M3BI
M7A
M22A
M22BI
Morfologia BH+YE 0.1%
Arancio bombata opaca
Arancio bombata lucida
Arancio rugosa
Arancio rugosa
Arancio lucida bombata
Arancio frastagliata rugosa
116
13.1.2 Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante ARDRA “Amplified Ribosomal DNARestriction Analysis”
La tecnica ARDRA fa parte di un ampio gruppo di tecniche molecolari utilizzate per la
tipizzazione (diversificazione in gruppi) dei batteri (Vaneechoutte et al. 1992). In questo tipo di
analisi sono accoppiate due tecniche: PCR (reazione a catena della polimerasi) e analisi di
restrizione. Il 16S rDNA di un microrganismo è amplificato mediante l’impiego di primer disegnati
in regioni conservate del gene 16S rDNA dei Batteri e quindi sottoposto a taglio enzimatico con un
enzima di restrizione (Figura 13—2); la successiva analisi elettroforetica su gel di agarosio consente
di evidenziare un profilo di restrizione caratteristico del microrganismo. La procedura è ripetuta, per
ciascun ceppo, digerendo con enzimi diversi.
Figura 13—2. Schematizzazione della metodologia ARDRA.
La metodologia ARDRA può essere impiegata per l’analisi di isolati ambientali di cui non sia
nota nessuna informazione e rende possibile valutare, in modo rapido ed economico, la biodiversità
microbica della comunità oggetto di studio. Mediante confronto tra i profili ARDRA di più ceppi è
possibile evidenziare differenze nei siti di riconoscimento degli enzimi di restrizione e dunque nelle
sequenze dei 16S rDNA. Maggiori differenze si riscontrano nel profilo ARDRA di due
microrganismi, minore sarà la similitudine di sequenza tra i loro 16S rDNA. Generalmente due
isolati che mostrino profili ARDRA uguali con 3-5 enzimi di restrizione presentano un’identità di
sequenza >97%. Mediante l’analisi ARDRA è dunque possibile suddividere gli isolati in gruppi
omogenei, composti da ceppi filogeneticamente vicini. Questa metodologia è stata ampiamente
applicata all’analisi delle comunità microbiche naturali in studi di ecologia microbica e di selezione
di ceppi di interesse biotecnologico.
117
Tutti gli isolati sono stati caratterizzati mediante l’analisi molecolare ARDRA. Per ciascun
ceppo in esame si è proceduto alla:
•
estrazione del DNA da colture pure cresciute su terreno agarizzato.
•
amplificazione mediante PCR del gene codificante il 16S rRNA (questo marcatore genetico è
presente in tutti gli organismi viventi e sono disponibili inneschi universali che ne permettono
l’amplificazione senza alcuna conoscenza preliminare del ceppo).
•
Il 16S rDNA amplificato è poi digerito mediante enzimi di restrizione e quindi analizzato
mediante elettroforesi su gel di agarosio.
Il DNA totale è stato estratto impiegando il FastDNA Kit (BIO 101), insieme alla macchina
FastPrep Instrument. Questa metodica permette di ottenere un DNA amplificabile da una vastissima
gamma di batteri, sia Gram positivi che Gram negativi, senza alcuna messa a punto preliminare. Il
DNA estratto è stato controllato mediante elettroforesi su gel di agarosio (0,6%) e impiegato per
amplificare, mediante PCR, il 16S rDNA. E’ stato verificato mediante corsa elettroforetica su gel di
agarosio (0,8%) che il prodotto amplificato avesse le dimensioni attese di 1.500 pb (Figura 13—3).
Il 16S rDNA dei ceppi isolati da una coltura di arricchimento, in cui il contaminante ha
rappresentato sia l’inoculum che l’unica fonte di carbonio (serie M), è stato digerito mediante
trattamento con tre enzimi di restrizione (Alu I, Rsa I e Hinf I) in digestioni singole. Il profili
visualizzati mediante corsa elettroforetica sono stai analizzati mediante il programma informatico
Kodak 1D versione 3.5 (Figura 13—4). Tutti gli isolati della serie M presentano un ugual profilo
con tutti e tre gli enzimi utilizzati. I ceppi appartengono dunque ad un unico gruppo ARDRA
(Gruppo M). Il risultato dell’analisi è mostrato in Tabella 28 ed in Tabella 29
Tabella 28. Profili ottenuti tagliando con le endonucleasi Alu I, Rsa I e Hinf I i 16S rDNA amplificati dei
ceppi della serie M. Non sono considerate le bande al di sotto di 100 pb.
Banda (pb)
Alu I
Rsa I
Hinf I
1°
410
290
950
2°
325
390
3°
300
480
4°
250
5°
210
6°
155
118
Tabella 29. Profili di restrizione dei ceppi isolati dalla miscela contaminante (ceppi serie M).
Nome ceppo
M3AIA
M3AIB
M3BI
M7A
M22A
M22BI
Gruppo ARDRA
Sequenza 16SrDNA
M
M
M
M
M
M
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
+
Figura 13—3. Esempio di analisi elettroforetica dei 16S rDNA amplificati. Ordine dei campioni: 1)
BS1.0C3; 2) M3AIA, 3) M3AIB, 4) BS1.0C21, 5)BS1.0C25, 6) M22A, 7)M22BI, 8)BS1.0C40A,
9)BS1.0C40B, 10) marcatore di peso molecolare 1Kb.
Figura 13—4. Esempio di analisi elettroforetica dei frammenti di restrizione generati con l’enzima Alu I.
Ordine dei campioni: 1) Marcatore di peso molecolare 100 pb, 2) BS1.0C3, 3) M3AIA, 4) M3AIB, 5)
BS1.0C21, 6) BS1.0C25, 7) M22A.
119
La tipizzazione dei ceppi isolati dagli arricchimenti MPN è stata effettuata impiegando un
solo enzima di restrizione. Gli isolati di un singolo pozzetto MPN, inoculato con la diluizione
massima che ha dato crescita, derivano, infatti, dalla divisione clonale di un numero di limitato di
cellule compreso tra 1-10; è dunque altamente probabile che isolati con lo stesso profilo siano cloni
di una singola cellula inizialmente inoculata nel pozzetto.
I 16S rDNA dei ceppi isolati, dopo arricchimento MPN, dalla frangia capillare dei campioni
prelevati ai tempi 0 (BS1.0), 2 (BS1.2), 3 (BS1.3), 4 (BS1.4) e 5 (BS1.5) sono stati digeriti, dopo
amplificazione in PCR, con il solo enzima di restrizione Alu I. I frammenti di restrizione prodotti da
ciascuna reazione sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio (Figura 13—3).
Tutti gli isolati della serie BS1.0 mostravano lo stesso profilo con l’enzima Alu I, denominato
Profilo 1 e sono stati dunque collocati nello stesso gruppo ARDRA (Tabella 30). Anche i ceppi
delle serie BS1.3 e BS1.4 sono riconducibili, ciascuno, a un singolo profilo (Profili 5 e 6,
rispettivamente). Gli isolati della serie BS1.2 sono stati raggruppati in 6 gruppi ARDRA sulla base
dei profili Alu I ottenuti (Profili 2, 3, 4, 10, 11, 12) (Tabella 31). Anche gli isolati della serie BS1.5
sono riconducibili a 6 differenti profili Alu I (Tabella 31).
Tabella 30. Profili ottenuti tagliando, con la endonucleasi Alu I, i 16S rDNA amplificati dei ceppi della serie
BS1.0 e BS1.2. Non sono considerate le bande al di sotto di 100 pb.
BS 1.0
Banda (pb)
1°
2°
3°
4°
5°
6°
Profilo 1
320
300
250
215
BS 1.2
Profilo 2
1095
770
620
430
150
Profilo 3
250
215
190
165
150
130
Profilo 4
450
420
210
180
Profilo 10
320
395
250
210
170
Profilo 11
405
320
295
210
135
Profilo 12
355
255
240
155
Tabella 31. Ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata nel corso del monitoraggio (Ceppi
serie BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4 e BS1.5).
Ceppo
BS1.0C3A
BS1.0C21A
BS1.0C21B
BS1.0C40B
BS1.0C25
BS1.0C40A
Profilo Alu I
Sequenza del
16S rDNA
1
1
1
1
1
1
Nd
Nd
+
Nd
Nd
Nd
120
Ceppo
BS1.2C3Y
BS1.2C4Y
BS1.2C5Y
BS1.2C10BY
BS1.2C31AIY
BS1.2C31AIIY
BS1.2C27AY
BS1.2C32BY
BS1.2C29AIIY
BS1.2C32CY
Ceppo
BS1.3C1BY
BS1.3C2BY
BS1.3C4BIY
BS1.3C4CY
BS1.3C5BIIY
BS1.3C5BIY
BS1.3C7BY
BS1.3C8Y
BS1.3C9Y
BS1.3C10Y
Nome ceppo
BS1.4C25AY
BS1.4C25BY
BS1.4C26AY
BS1.4C26BIIY
BS1.4C27AIY
Nome ceppo
BS1.5C3Y
BS1.5C16BIY
BS1.5C1AY
BS1.5C2AY
BS1.5C4Y
BS1.5C5AY
BS1.5C11AY
BS1.5C11CY
BS1.5C13BY
BS1.5C12AIIBY
BS1.5C18BY
BS1.5C9Y
BS1.5C10Y
BS1.5C21Y
Profilo Alu I
Sequenza del
16S rDNA
2
2
2
3
4
4
10
10
6
12
Nd
Nd
+
+
+
Nd
+
Nd
+
+
Profilo Alu I
Sequenza del
16S rDNA
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
+
+
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Profilo Alu I
Sequenza del
16S rDNA
6
6
6
6
6
Nd
+
Nd
Nd
+
Profilo Alu I
Sequenza del
16S rDNA
5
5
7
7
7
7
7
8
8
9
9
14
14
15
Nd
+
+
Nd
Nd
Nd
+
+
Nd
Nd
+
+
Nd
+
121
13.1.2.1 Analisi del 16S rDNA del ceppo M22BI isolato dal contaminante
E' stato scelto il ceppo M22BI come rappresentante del gruppo ARDRA M, caratteristico di
tutti i ceppi della serie M; per questo ceppo è stata effettuata la determinazione della sequenza
nucleotidica del gene 16S rDNA. Il 16S rDNA amplificato del ceppo M22BI è stato sequenziato
impiegando i primer P0 e P6; nel complesso è stata determinata la sequenza di 1.449 pb. La
sequenza determinata è stata confrontata con la banca dati RDP II (Ribosomal Database Project II,
Cole et al, 2003) mediante l’impiego della funzione Similarity Matrix ver. 1.1. Il risultato
dell’analisi è mostrato nella Tabella 32 e nella Figura 13—5.
Figura 13—5. Risultato dell’analisi mediante Similarity Matrix ver. 1.1 della sequenza 16S rDNA del ceppo
M22BI.
Tabella 32. Risultato dell’analisi mediante Similarity Matrix ver. 1.1 della sequenza 16S rDNA del ceppo
M22BI
Specie
Gordonia amicalis
Gordonia rubripertincta
Gordonia desulfuricans
Gordonia bronchialis
Gordonia alkanivorans
n° di accesso
Ceppo
Similitudine %
con M22BI
Bibliografia
AF101418
Grd.rubper
AF101416
Grd.bronc4
Y18054
DSM 44369T
DSM43197T
NCIMB 40816T
DSM43247T
DSM 44369T
100.0
99.0
98.3
98.0
97.8
Kim et al, 2000
Klatte et al, 1994
Kim et al, 1999
Ruimy et al, 1995
Kummer et al, 1999
13.1.2.2 Analisi del 16S rDNA dei ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata
E’ stata determinata la sequenza nucleotidica parziale, impiegando il primer P0, del 16S rDNA
amplificato di almeno un rappresentante per ciascun profilo Alu I individuato nell’analisi dei ceppi
delle serie BS1.0-BS1.5. Le sequenze determinate sono state confrontate con la banca dati RDP II,
122
mediante l’impiego della funzione Similarity Matrix versione 1.1. Il risultato dell’analisi è mostrato
nella Tabella 33.
Tabella 33. Analisi del 16S rDNA dei ceppi isolati dal suolo della frangia capillare contaminata nel corso
del monitoraggio.
Profilo
Nome ceppo Campione ARDRA
Alu I
BS1.0C21B
BS1.0C
1
BS1.2C5Y
BS1.2C
2
BS1.2C10BY
BS1.2C31AY
BS1.2C27AY
BS1.2C29AIIY
BS1.2C32CY
BS1.3C1BY
BS1.4C25BY
BS1.5C11AY
BS1.5C9Y
BS1.2C
BS1.2C
BS1.2C
BS1.2C
BS1.2C
BS1.3C
BS1.4C
BS1.5C
BS1.5C
3
4
10
6
12
5
6
7
14
BS1.5C11CY
BS1.5C
8
BS1.5C16BIY
BS1.5C18BY
BS1.5C
BS1.5C
5
9
BS1.5C21Y
BS1.5C
15
Ribosomal DataBase
Project Best Match
Similitudine
%
Arthrobacter globiformisT
Methylobacterium sp. str.
GK101
Rhizobium giardiniiT
Paenibacillus maceransT
Micrococcus sp.1F-15
Gordonia sp.
Rhodococcus sp. 309
Xanthobacter flavus H4-14
Gordonia sp.
T
Xanthobacter autotrophicus
Afipia genosp. 7 G8643
Brachymonas
petroleovorans CHX *
Xanthobacter flavus H4-14
Rhizobium galegae 59A2
Stenotrophomonas
maltophilia LMG 10857
Degradatori di
idrocarburi
in letteratura
98.7
+
100.0
+
100.0
96.2
99.7
99.8
100.0
100.0
99.8
100.0
98.9
+
+
+
+
+
+
+
+
99.8
+
100.0
96.7
+
-
97.5
+
Le sequenze determinate sono state impiegate per la costruzione di alberi filogenetici mostrati
nella Figura 13—6.
123
Figura 13—6. Alber filogenetici costruiti mediante il confronto delle sequenze nucleotidiche del 16S rDNA
dei ceppi isolati e dei ceppi tipo delle specie filogeneticamente relazionate.
A) Isolati appartenenti all’ordine Actinomycetales e ceppi tipo di specie rappresentative dell’ordine. L’albero
è stato radicato impiegano la sequenza del ceppo Streptomyces tendaeT.
B) Isolati appartenenti all’ordine Rhizobialaes. L’albero è stato radicato impiegando la sequenza del ceppo
Rhodobacter capsulatusT appartenente all’ordine Rhodobacterales.
A
92
60
Gordonia amicalis IEGM
T
M22
Gordonia
37
BS1.2C29A
58
BS1.4C25
100
43
Gordonia terraeT
Gordonia desulfuricansT
87
97
Gordonia alkalivorans
T
Gordonia nitida
100
T
Rhodococcus
Rhodococcus
96
Rhodococcus
Rhodococcus
Rhodococcus sp.
77
99
BS1.2C32
71
58
96
84
attinomiceti CMN
Arthrobacter
Arthrobacter
Arthrobacter
Arthrobacter
BS1.0C2
97
43
Micrococcus
Micrococcus
BS1.2C27
99
78
73
Micrococcus sp.
Micrococcus
Streptomyces tendae
0,01
attinomiceti
124
B
T
Xanthobacter flavus
T
Xanthobacter aminoxidans
69
91
98
58
Genere
Xhantobacter
BS1.3C1BY
T
Xanthobacter autotrophicus
77
99
BS1.5C16BIY
100
BS1.5C11AY
T
Xanthobacter agilis
T
Xanthobacter tagetidis
Afipia genosp. 7
92
100
BS1.5C9Y
Bosea sp. 7F
T
Methylobacterium rhodinum
T
Methylobacterium zatmanii
100
Genere
T
Methylobacterium extorquens
89
Methylobacterium
Methylobacterium sp. GK101
67
100
83
100
50
100
85
26
53
64
Famiglia
Bradyrhizobiaceae
T
Rhizobium giardinii
BS1.2C5Y
BS1.2C10BY
T
Agrobacterium rhizogenes
T
Rhizobium gallicum
T
Gruppo
Rhizobium yanglingense
T
Rhizobium radiobacter Rhizobium/Agrobacterium
BS1.5C18BY
T
Rhizobium huautlense
Rhizobium
galegae
59A2
83
T
93
Rhizobium galegae
Rhodobacter capsulatus
0,02
T
α-proteobatteri
L’analisi complessiva dei dati ottenuti evidenzia che la comunità aerobia coltivabile che
popola la frangia capillare contaminata del sottosuolo in studio è dominata da un numero
relativamente ristretto di generi batterici. In particolare risultano predominanti ceppi appartenenti
agli ordini Rhizobiales ed Actinomycetales.
L’analisi condotta dimostra che il ceppo BS1.0C21B appartiene al genere Arthrobacter, un
genere frequentemente isolato da suoli contaminati da idrocarburi petroliferi.
I ceppi BS1.2C29AIIY, BS1.2C32CY e BS1.4C25BY, appartengono al complex CMN, con
(Corynebacterium-Mycobacterium-Nocardia). I batteri appartenenti a questo gruppo sono
caratterizzati da una peculiare struttura di parete, caratterizzata dalla presenza di acidi micolici
idrofobici. Sono stati descritti svariati ceppi appartenenti al complex CMN capaci di degradare gli
idrocarburi petroliferi e probabilmente la parete idrofobica che li caratterizza è implicata nel
125
processo. Anche il ceppo M22BI, arricchito direttamente dal contaminante recuperato dalla falda,è
riconducibile al genere Gordonia. In particolare il ceppo M22BI appartiene ad un gruppo di specie
filogeneticamente molto vicine, comprendente G. amicalis, G. rubripertincta, G. desulfuricans, G.
alkanivorans. E’ interessante notare che i ceppi tipo delle specie G. amicalis e G. desulfuricans
sono stati isolati da suolo e sono in grado di desulforare il dibenzotiofene, uno dei componenti della
miscela idrocarburica contaminante nel sito da noi analizzato. Ceppi della specie G. alkanivorans
degradano invece gli alcani.
Il ceppo BS1.2C27AY è stato collocato nel genere Micrococcus; non sono noti al momento
isolati di questo taxon degradatori, tuttavia il genere viene spesso isolato da campioni di sottosuolo.
Il ceppo BS1.2C31AY è stato collocato all'interno del genere Paenibacillus. Batteri
appartenenti a tale genere sono stati isolati da arricchimenti in naftalene e fenantrene di sedimenti e
della rizosfera di paludi salate contaminate da idrocarburi petroliferi e si sono dimostrati in grado di
utilizzare tali composti come unica fonte di carbonio (Daane et al., 2002). Tra questi è stata
individuata una nuova specie, il P. naphtalenovorans. Daane et al. (2001) ipotizzano inoltre che gli
isolati appartenenti a tale genere presentino nuovi geni per la degradazione degli IPA, rispetto a
quelli fino ad ora noti.
Tre degli isolati (BS1.3C2BY, BS1.5C11AY, BS1.5C16BIY) appartengono al genere
Xanthobacter. Ceppi appartenenti a tale genere sono in grado di crescere utilizzando composti
aliciclici come fonte di carbonio e in tali microrganismi è stata individuata un nuovo tipo di
monossigenasi (BVMO, Baeyer-Villiger monooxygenase) (Beilen et al., 2003). Il ceppo X.
autotrophicus GJ10 ha mostrato attività di degradazione su composti alifatici alogenati (Janssen et
al., 1985 e 1995), mentre nel ceppo Xanthobacter Py2 è stato individuato il sistema di ossidazione
degli alcheni e degli epossidi, i cui enzimi chiave sono rappresentati dalla alchene monossigenasi ed
epossidasi (Ensign,1996).
Il ceppo BS1.5C21Y è stato collocato all’interno del genere Stenotrophomonas, un genere
definito soltanto nel 1993 (Palleroni and Bradbury). Il ceppo VUN 10,010, attribuito alla specie S.
maltophilia, è stato isolato da suoli contaminati da IPA (Boonchan et al., 1998), esso utilizza il
pirene come unica fonte di carbonio e di energia ed inoltre si è dimostrato in grado di degradare
anche altri IPA ad alto peso molecolare contenenti più di sette anelli benzenici. La letteratura inoltre
riporta che la S. maltophilia T3-c, isolata da un biofiltro per la rimozione del benzene, toluene,
etilbenzene e xilene (BTEX) (Lee et al, 2002) cresce utilizzando tali composti, aggiunti
singolarmente ad un terreno minimo salino, come unica fonte di carbonio.
I ceppi BS1.2C5Y e BS1.5C9Y sono stati assegnati rispettivamente al genere
Methylobacterium ed al genere Afipia mentre i ceppi BS1.2C10BY e BS1.5C18BY sono stati
126
collocati nel gruppo Rhizobium/Agrobacterium. In letteratura microrganismi appartenenti a tali
generi non sono mai stati annoverati in precedenza come degradatori di idrocarburi petroliferi; solo
recentemente (Bodour et al., 2003) è stata dimostrata la capacità di degradare il fenantrene da parte
di alcuni rizobi e ceppi di Afipia isolati da una colonna impaccata con terreno argilloso e sabbioso
ed esposta, per 6 mesi, ad una soluzione satura di fenantrene.
Il ceppo BS1.5C11CY non presenta sequenze simili in RDPII, solamente nella banca dell’
NBCI è presente un’unica sequenza simile (99.8%) di un ceppo appartenente ad un genere non
ancora classificato e denominato Brachymonas petroleovorans CHX, appartenete ai β-Proteobatteri
(Comamonadaceae). Il ceppo è in grado di degradare il cicloesano ed è stato isolato da campioni di
acqua reflua di una raffineria.
127
14 Valutazione delle capacità degradative del microrganismo selezionato
Gordonia M22BI
14.1 Determinazione dei migliori ceppi idrocarburo-degradanti isolati dal sito contaminato
Nel corso della bonifica è stato monitorato, come parametro microbiologico, il titolo dei
microrganismi in grado di crescere in presenza di contaminante come fonte di carbonio
(determinato con la metodologia MPN). Come già accennato, riteniamo che l’enumerazione MPN,
per quanto consenta di ottenere un arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di
trarre conclusioni definitive sulle attività degradative dei microrganismi isolati. Nel terreno
minerale impiegato per l’arricchimento potrebbero, infatti, crescere anche microrganismi oligotrofi
e chemiolitotrofi autotrofi.
Tra i batteri isolati dal sito contaminato e selezionati per la capacità di impiegare la miscela
idrocarburica contaminante come substrato, il Gordonia M22BI ha mostrato, in generale le migliori
capacità di crescita:
•
cresce più velocemente, rispetto a tutti gli altri isolati, in terreno agarizzato con miscela
idrocarburica contaminante come fonte di carbonio ed energia, formando colonie ben visibili
in una settimana di crescita a 32°C .
•
tra tutti gli isolati è l’unico in grado di rompere lo strato di NAPL nelle colture in terreno
liquido BH2 con contaminante (2% p/v) dopo 7 giorni di crescita a 32°C in agitazione.
Da evidenziare inoltre che il genere Gordonia risulta essere un genere emergente nei processi
di bioremediation (Arenskötter et al, 2004).
Sono state quindi sperimentate una serie di procedure. descritte in letteratura, atte a verificare
le effettive capacità degradative dei ceppi isolati. Impiegando idrocarburi puri come fonte di
carbonio sono state eseguite le seguenti prove:
1.
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore
2.
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati
3.
Crescita in terreno liquido
Al fine di garantire che tutte le prove fisiologiche fossero effettuate a partire da un clone è
stata seguita la seguente procedura:
128
a)
il ceppo, conservato sotto forma di glicerolato, è stato isolato su terreno solido e fatto
crescere a 32°C
b)
una colonia singola è stata strisciata di nuovo su terreno solido
c)
a partire dallo striscio è stata preparata una sospensione cellulare in soluzione fisiologica
d)
la sospensione è stata diluita in modo da ottenerne una con D.O.600 pari a 1.0.
14.1.1 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore
10 µl della sospensione cellulare (D.O.600 = 1) sono strisciati su 7 piastre contenenti il terreno
BH agarizzato. Gli idrocarburi, elencati in tabella 1, sono stati posti su un disco sterile di carta
bibula, posizionato sul coperchio della piastra Petri. Le piastre sono state incubate a 32°C e la
crescita è stata valutata a tempi diversi (Tabella 34).
Tabella 34. Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore del ceppo M22BI.
– (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita abbondante).
Crescita Crescita Crescita
Idrocarburo
Classe
Stato Atomi di C Quantità (mg)
2 gg
5 gg
30 gg
Fenantrene
2-Metil naftalene
Naftalene
Esadecano
Octacosano
Contaminante
Controllo
Aromatico
Aromatico
Aromatico
n-Alcano
n-Alcano
Miscela*
-
Solido
Liquido
Solido
Liquido
Solido
Liquido
-
14
11
10
16
28
-
25
25
25
25
25
89
0
+++++
++
+-
++++++
+++
+-
++++++
++
++
+-
Il ceppo M22BI si è mostrato in grado di crescere e presumibilmente di degradare sia
composti puri quali l’esadecano (Figura 14—1), un n-alcano di media lunghezza, e l’octacosano, un
n-alcano a catena lunga, sia la miscela contaminante. Al contrario non ha mostrato una crescita,
significativamente diversa dal controllo, con idrocarburi aromatici.
Figura 14—1 Crescita su terreno agarizzato del ceppo M22BI.
Controllo senza fonte di carbonio (a sinistra); con esadecano sotto forma di vapore (a destra).
129
14.1.2 Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati.
I composti insolubili in acqua ed i solidi possono essere forniti come fonte di carbonio per la
crescita in terreno solido oltre che come vapori anche con metodi che, con procedure diverse,
depositano il composto sull’agar. Questi ultimi metodi offrono il vantaggio di poter visualizzare
l’attività di degradazione mediante formazione di aloni e non solamente valutando l’entità della
crescita. Nel 1982 Kyohara et al descrissero il metodo “spray-plate method” per lo screening di
batteri idrocarburo-degradanti: il metodo prevedeva la vaporizzazione di idrocarburi policiclici
aromatici, solubilizzati con solventi organici, con un vaporizzatore per cromatografia a strato
sottile, su una piastra agarizzata contenente sali minerali. Dopo l’incubazione, i ceppi degradatori
erano individuati mediante comparsa di aloni di chiarificazione attorno alle colonie (un alone
trasparente).
Questo metodo, estesamente impiegato, presenta tuttavia diversi problemi. Il composto deve
essere solubilizzato con acetone o etere i quali possono avere effetti tossici sui batteri o possono
essere utilizzati come una fonte alternativa di carbonio. Se i composti sono vaporizzati sulla piastra,
prima che venga effettuato lo striscio, la distribuzione del composto può diventare non uniforme; se
invece le piastre sono vaporizzate dopo aver seminato il ceppo, le colonie possono risentire
dell’impatto delle gocce di solvente. Inoltre la quantità di composto vaporizzata sull’agar non può
essere facilmente controllata, risulta inoltre difficile vaporizzare le piastre in modo asettico.
Per tutti questi motivi, si è deciso di impiegare un metodo alternativo (Alley e Brown, 2000)
che ha permesso di depositare in sicurezza un sottile ed uniforme strato di composto sulla superficie
dell’agar mediante sublimazione del composto, evitando quindi l’uso di solventi. Il composto
saggiato è stato il fenantrene e Gordonia M22BI il ceppo di cui è stata indagata la capacità di
degradazione. Come ceppo di controllo (Figura 14—2) è stato utilizzato un isolato di cui era stata
precedentemente attestata la capacità di degradare il fenantrene. Il ceppo “controllo” è risultato
positivo, come atteso, alla prova mentre il ceppo M22BI si è rivelato incapace di degradare il
fenantrene, confermando i dati ottenuti nella prova di crescita su terreno agarizzato con idrocarburi
forniti sotto forma di vapore.
Figura 14—2. Prova di degradazione del fenantrene
130
14.1.3 Crescita in terreno liquido
In questa prova la sospensione cellulare del ceppo Gordonia M22BI (D.O.600=1) è stata
diluita in 25 ml di terreno liquido BH2, in una beuta da 250 ml, alla densità cellulare finale di
D.O.600= 0.01. Gli idrocarburi, elencati in Tabella 35, sono stati addizionati alle beute in forma
solida o liquida. Poiché i composti non erano preventivamente sterilizzati, per verificare che essi
non apportassero una contaminazione, per ciascun composto è stato condotto un esperimento di
controllo in cui si ometteva di aggiungere l’inoculum batterico, ma si addizionava il composto.
Tutte queste prove di controllo hanno dato, come atteso, esito negativo.
Tabella 35. Crescita su terreno liquido con idrocarburi del ceppo M22BI.
– (nessuna crescita), +- (crescita stentata), + (crescita), ++ (crescita abbondante). CFU: colony forming units.
Idrocarburo
Fenantrene
2-Metil naftalene
Naftaline
Octacosano
Contaminante
Controllo
Classe
Quantità (mg)
Aromatico
Aromatico
Aromatico
n-Alcano
Miscela*
-
25
25
25
25
89
0
Titolo vitale (CFU/ml)*105
0 gg
7 gg
11 gg
7
7
7
7
7
7
3450
63
61
1300
100
53
Le colture sono state incubate a 32°C in agitazione continua; la crescita è stata seguita
determinando il titolo vitale mediante piastramento in terreno agarizzato (Figura 14—3). Il
controllo dell’esperimento è rappresentato dalla crescita in terreno BH2 privo di fonte di carbonio.
Titolo vitale (cfu/ml)
1,00E+09
1,00E+08
1,00E+07
1,00E+06
1,00E+05
0
2
4
6
8
10
12
T empo (giorni)
Figura 14—3. Andamento nel tempo dei titoli vitali del ceppo M22BI.
Blu: BH+octacosano; Rosa: BH+contaminante; Verde: BH.
Il ceppo M22BI ha mostrato una significativa crescita in presenza di n-octacosano, dimostrata
anche dall’intorbidimento della coltura (Figura 14—4).
131
Figura 14—4. Prova di degradazione dell’octacosano con il ceppo M22BI. Beuta di controllo senza
idrocarburo (a sinistra) e la beuta con idrocarburo (a destra).
Tuttavia, riteniamo che il titolo sia stato abbondantemente sottostimato, in quanto l’analisi
allo stereo-microscopio dei grani di n-octacosano solido rivela che il ceppo aveva prodotto un
biofilm sulla sua superficie del substrato (Figura 14—5).
Figura 14—5. Ingrandimento di un grano di octacosano solido ricoperto da un film di batteri di colore
arancio (l’octacosano puro si presenta originariamente di colore bianco)
Il titolo vitale del ceppo M22BI non mostra una differenza significativa nella coltura con
contaminante come fonte di carbonio, rispetto al controllo (Figura 14—3). Tuttavia l’intorbidimento
della coltura e un’abbondante emulsificazione del contaminante suggeriscono che il ceppo operi una
degradazione del contaminante, anche se non accompagnata da un incremento nella biomassa
batterica.
132
14.2 Prove di degradazione in batch
La biodegradazione del gasolio è stata oggetto di numerosi studi. Sono stati caratterizzati
numerosi ceppi, sia Gram-positivi che Gram-negativi, capaci di utilizzare le sue frazioni
idrocarburiche come fonte di carbonio ed energia per la crescita. É stato estesamente dimostrato
tuttavia, che non tutte le sue componenti presentano lo stesso grado di biodegradabilità e che la
componente ramificata è la meno biodegradabile in prove in coltura liquida con ceppi puri (Whyte
et al., 1998) o in consorzio (Marchal et al., 2003). Poco è noto invece sulla biodegradabilità di un
gasolio “invecchiato” a seguito di una prolungata permanenza nel suolo, nonostante questa tipologia
di contaminazione sia molto diffusa, rappresentando quindi un problema sia ambientale che di
salute pubblica.
La caratterizzazione delle proprietà cataboliche del ceppo Gordonia M22BI è stata fatta
principalmente in relazione ad un suo utilizzo come additivo da impiegare per migliorare il processo
di biorisanamento di suoli contaminati da prodotti petroliferi (sono in fase di caratterizzazione,
anche altri ceppi, con lo scopo di ottenere in futuro un potenziale consorzio con buone capacità
degradative). Scopi di questa serie di esperimenti sono stati quindi quelli di:
1.
Stimare le capacità di degradazione del ceppo Gordonia M22BI
2.
Valutare lo spettro delle componenti degradabili di un gasolio commerciale e di un “gasolio
invecchiato”
3.
Seguire la curva di crescita con gasolio commerciale o di un “gasolio invecchiato” come
substrato per la crescita, tramite determinazione del contenuto di DNA totale
14.2.1 Biodegradazione della miscela idrocarburica contaminante
Come modello per lo studio della capacità degradativa del ceppo M22BI è stato impiegata la
miscela contaminante, recuperata dal sito contaminato (precedentemente descritto) e sterilizzata per
filtrazione. La valutazione della degradazione è stata effettuata misurando la concentrazione
idrocarburica residua “Total Petroleum Hydrocarbons” (TPH), mediante gas-cromatografia
(GC/FID).
La concentrazione idrocarburica residua è stata misurata in doppio paragonando due serie
sperimentali:
1.
Beute con 20 ml di BH + miscela contaminante 1 g/L (controllo abiotico)
2.
Beute con 20 ml di BH + miscela contaminante 1 g/L + Gordonia M22BI (OD6000 = 0,5)
133
14.2.1.1 Total Petroleum Hydrocarbons (TPH)
L’analisi è stata effettuata sia sulla coltura inoculata che nel controllo abiotico (non
inoculato), allo scopo di determinare l’entità della biodegradazione degli idrocarburi, o
eventualmente, della perdita abiotica. Le concentrazioni residue di idrocarburi nelle due prove, ai
vari tempi cinetici, sono mostrate in Tabella 36:
Tabella 36. Degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo M22BI (TPH)
Media Miscela
Media Miscela
Dev.St. Abiotico
Dev.St. Degradato
TEMPO
Controllo Abiotico (mg/L)
Degradata (mg/L)
0
1
2
3
7
14
927
779
776
710
718
744
51
22
19
40
18
23
922
918
956
873
889
967
65
2
27
Dopo 7 giorni di incubazione a 32°C in agitazione (150 rpm) in terreno BH2 contenente lo 1
g/l di miscela contaminante, il limite generale di degradazione è stato del 23%. Dopo 14 giorni non
è stata osservata una degradazione ulteriore.
DEGRADAZIONE MISCELA
Concentrazioni (mg/L)
1200
1000
800
600
400
Controllo Abiotico
200
Contaminante + M22
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15
Giorni (gg)
Figura 14—6. Andamento della degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo Gordonia
M22BI
14.2.1.2 Analisi per classi di contaminanti
L’analisi della degradazione per classi di contaminanti è stata effettuata elaborando i
cromatogrammi ottenuti utilizzando come detector lo spettrometro di massa, selezionando gli ioni
134
caratteristici di alcani lineari e ramificati (ione selezionato 71 m/z) e di monoaromatici alchilsostituiti e naftaleni alchil-sostituiti (ioni selezionati 119+134+141+155+169). In Figura 14—7
sono mostrati il profilo cromatografico GC/MS del controllo non inoculato e della coltura inoculata.
B1
DMN
B
B
M
B
TMN
B
B
MA
Figura 14—7. GC/MS analisi della miscela contaminante estratta da un controllo non inoculato (in alto) ed
di una coltura inoculata con Gordonia M22BI (in basso), dopo 10 giorni di incubazione at 32°C.
Profilo GC totale MA: monoaromatici alchil-sostituiti B: alcani ramificati; MN metil naftaleni; DMN:
dimetil naftaleni; TMN: trimetil naftaleni; B1: pristano; B2: fitano.
Per determinare il limite della degradazione delle differenti classi di idrocarburi della miscela
contaminante, la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 (dai campioni in duplicato) è stata
confrontata con la somma delle aree dei picchi dopo 7 giorni.
La biodegradazione è stata calcolata utilizzando l’equazione 4:
Biodegradazione (%) =
(∑ Ait =0 − ∑ Ait =7 )
i
i
∑ Ait =0
× 100
EQUAZIONE 4
i
dove,
∑A
è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 giorni,
∑A
è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 7 giorni,
t =0
i
i
t =7
i
i
135
Alifatici Ramificati e Lineari
In Tabella 37 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi
cinetici analizzati. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei
composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni.
Tabella 37. Miscela contaminante - Degradazione degli alcani lineari ed a catena ramificata
ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
Tempi di Ritenzione
16,80
17,91
19,44
20,61
21,96
23,00
23,68
24,24
24,90
25,80
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
247.429
322.615
615.114
719.463
188.623
742.974
1.103.344
281.365
868.042
220.921
5.309.890
4.085.583
Area T=1
110.999
139.080
353.948
594.338
162.405
469.893
1.075.756
179.007
892.984
240.936
4.219.345
4.044.550
Area T=7
72.419
52.582
179.973
309.171
61.303
332.637
820.437
96.121
782.034
200.449
2.907.126
4.060.496
Degradazione Finale (%)
71
84
71
57
67
55
26
66
10
9
45
La maggior parte degli alcani a catena ramificata ed i pochi alcani lineari presenti nella
miscela sono stati degradati dopo 7 giorni, con una degradazione totale del 45%. In Figura 14—8 è
riportato il cromatogramma degli alcani a catena ramificata al tempo 0 e dopo 7 giorni: risulta
evidente la diminuzione delle aree dei picchi. I principali picchi residui identificabili sono stati
quelli del pristano e del fitano. Il grado di degradazione del pristano (26%) è stato più alto di quello
del fitano (10%).
Figura 14—8. GS/MS della miscela contaminante - Alifatici ramificati e lineari
136
In Figura 14—9 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogramma.
ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
84
80
71
71
67
57
60
40
66
55
26
20
10
9
0
16,80 17,91 19,44 20,61 21,96 23,00 23,68 24,24 24,90 25,80
Tempi di Ritenzione (min)
Figura 14—9. Miscela contaminante: Alifatici ramificati e lineari
Monoaromatici Alchil-Sostituiti, Naftaleni Alchil-Sostituiti, Nafteni Alchil-Sostituiti.
In Tabella 38, in Tabella 39 ed in Tabella 40 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei
singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati, rispettivamente per i monoaromatici alchil-sostituiti, i
naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti. Il valore della degradazione, calcolato per i
singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni.
In Figura 14—10, in Figura 14—11 ed in Figura 14—12 i valori della degradazione dei singoli
picchi sono riportati come istogrammi.
Tabella 38. Miscela contaminante - Degradazione dei monoaromatici alchil sostituiti
MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI
Tempi di Ritenzione
13,68
15,05
15,64
16,05
16,30
16,94
17,35
18,23
19,09
19,55
20,90
21,32
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
268.242
1.696.097
1.314.356
595.582
2.022.781
1.000.817
653.620
1.180.436
730.111
1.209.343
1.044.806
330.099
12.046.290
4.555.036
Area T=1
182.624
1.326.257
1.159.722
552.908
1.857.071
785.967
630.592
1.003.639
557.557
329.966
483.129
328.187
9.197.619
4.310.935
Area T=7
177.290
1.218.019
1.043.175
464.364
1.876.225
638.399
471.940
690.928
542.010
352.624
321.490
144.063
7.940.526
4.219.543
Degradazione Finale (%)
34
28
21
22
7
36
28
41
26
71
69
56
34
137
MONOAROMATICI SOSTITUITI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
71
80
56
60
40
69
34
28
36
21
22
20
41
28
26
17,35
19,09
7
0
13,68
15,64
16,30
20,90
Tempi di Ritenzione (min)
Figura 14—10. Miscela contaminante: Monoaromatici alchil sostituiti
Tabella 39. Miscela contaminante - Degradazione dei naftaleni sostituiti
NAFTALENI SOSTITUITI
Tempi di Ritenzione
18,80
19,04
20,24
20,40
20,62
20,93
21,13
21,78
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
3.628.381
2.995.449
1.564.658
4.381.222
6.180.064
2.253.754
959.179
177.401
22.140.108
5.146.086
Area T=1
2.651.664
2.881.813
1.329.569
2.820.483
7.756.328
2.064.395
849.065
211.002
20.564.320
4.704.060
Area T=7
2.175.230
2.628.974
1.257.040
1.762.609
6.180.064
2.028.075
845.516
96.641
16.974.149
4.708.715
Degradazione Finale (%)
40
12
20
60
0
10
12
46
23
NAFATLENI SOSTITUITI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
80
60
60
40
46
40
12
20
20
0
0
18,80
19,04
20,24
20,40
20,62
10
12
20,93
21,13
21,78
Tempi di Ritenzione (min)
Figura 14—11. Miscela contaminante: Naftaleni sostituiti
138
Tabella 40. Miscela contaminante - Degradazione dei nafteni sostituiti
NAFTENI SOSTITUITI
Tempi di Ritenzione
16,87
17,35
17,63
17,93
18,21
18,68
19,01
19,60
20,17
20,47
21,85
22,27
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
3.103.585
92.580
411.065
414.445
1.320.111
678.346
385.246
398.535
328.780
238.240
284.334
252.746
7.908.013
4.329.138
Area T=1
2.714.044
65.756
338.420
357.660
1.028.796
512.036
255.375
373.319
291.821
235.869
201.917
0
6.375.013
4.222.820
Area T=7
2.561.642
42.901
267.012
313.055
876.534
472.661
291.236
211.235
324.067
238.240
140.700
151.610
5.890.892
4.229.030
Degradazione Finale (%)
17
54
35
24
34
30
24
47
1
0
51
40
26
NAFTENI SOSTITUITI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
80
54
60
40
20
51
47
35
24
17
34
30
40
24
1
0
16,87
17,63
18,21
19,01
20,17
0
21,85
Tempi di Ritenzione (min)
Figura 14—12. Miscela contaminante: Nafteni sostituiti
I monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti sono
stati degradati parzialmente, 34%, 23% e 26% rispettivamente. Come atteso la degradazione dei
composti aromatici è risultata minore di quella degli idrocarburi alifatici. Tra le classi di idrocarburi
aromatici considerate, i naftaleni alchil-sostituiti, che contengono due anelli aromatici, sono risultati
essere quelli più recalcitranti. Tuttavia, è da sottolineare come le percentuali di degradazione di tutti
i composti presi in esame, risultino essere alte in considerazione del lungo tempo di permanenza
della miscela contaminante nel suolo. Riteniamo dunque che il ceppo Gordonia M22BI sia capace
di degradare efficacemente la maggior parte dei componenti della miscela idrocarburica analizzata.
139
14.2.1.3 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei singoli composti nella
miscela contaminante
Il lavoro è proseguito mettendo in relazione i tempi di ritenzione di ciascun composto,
raggruppati in categorie (alcani lineari e non, naftaleni sostituiti, ecc), rispettivamente con la loro
degradazione percentuale. Si sono potuti osservare alcuni elementi distintivi nella degradazione di
alcune categoria di composti:
Gli alifatici ramificati e lineari (questi ultimi in minor percentuale data la modesta presenza
nella miscela), hanno mostrato una parziale correlazione tra il tempo di ritenzione e la percentuale
di degradazione. Ipotizzando che, a parità di polarità, le molecole più grosse hanno un tempo di
ritenzione maggiore, e viceversa le molecole più piccole hanno un tempo di ritenzione minore, i
risultati hanno mostrato, come prevedibile che, per questa classe di composti, con l’aumentare delle
dimensioni delle molecole diminuisce la biodegradazione.
Degradazione %
ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
100
80
60
40
y = -6,9068x + 202,36
R2 = 0,6174
20
0
15,00
17,00
19,00
21,00
23,00
25,00
27,00
Tem pi di Ritenzione (min)
Degradazione (%)
Lineare (Degradazione (%))
Figura 14—13. Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela
contaminante
I nafteni ed i naftaleni sostituiti non hanno mostrato una correlazione significativa.
70
60
50
40
30
20
10
0
18,00
NAFTENI SOSTITUITI
60
D e g ra d a z i o n e %
D eg rad az io n e %
NAFTALENI SOSTITUITI
y = -0,0851x + 26,62
R2 = 2E-05
19,00
20,00
21,00
Tempi di Ritenzione(min)
Degradazione (%)
Lineare (Degradazione (%) )
22,00
50
40
y = 0,2375x + 25,273
R2 = 0,0006
30
20
10
0
0
5
10
15
20
25
Tempi di Ritenzione(min)
Degradazione (%)
Lineare (Degradazione (%))
Figura 14—14 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela
contaminante
140
I monoaromatici sostituiti hanno mostrato un comportamento singolare. Essi hanno correlato
in modo esattamente contrario rispetto ai composti alifatici: l’aumento del tempo di ritenzione ha
determinato un aumento della degradazione percentuale.
AROMATICI SOSTITUITI
Degradazione %
80
60
40
y = 5,8913x - 66,507
R2 = 0,5006
20
0
0,00
5,00
10,00
15,00
(min)
20,00
25,00
Tempi di Ritenzione
Degradazione (%)
Lineare (Degradazione (%))
Figura 14—15 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei composti alifatici nella miscela
contaminante
L’aumento delle dimensioni molecolari dei monoaromatici è dovuto ai gruppi “R” delle
catene alifatiche situate in posizioni variabili: si può ipotizzare che la parte alifatica della molecola
sia degradata , con la produzione di composti differenti dal composto di partenza.
14.2.2 Biodegradazione di gasolio commerciale
E’ stato scelto un gasolio commerciale da trazione come riferimento. La valutazione della
degradazione è stata effettuata paragonando due serie sperimentali, allo scopo di determinare
l’entità della perdita abiotica di idrocarburi (a seguito di eventi di volatilizzazione, degradazione
abiotica etc.) e della biodegradazione. La valutazione della degradazione è stata effettuata
misurando la concentrazione idrocarburica residua “Total Petroleum Hydrocarbons” (TPH),
mediante gas-cromatografia (GC/FID), misurata in doppio, paragonando due serie sperimentali:
1.
Beute con 20 ml di BH2 + gasolio 1 g/L (controllo abiotico)
2.
Beute con 20 ml di BH2 + gasolio 1 g/L + M22BI
141
14.2.2.1 Total Petroleum Hydrocarbons (TPH)
La concentrazione idrocarburica residua è stata misurata in doppio sia sulla coltura inoculata
che nel controllo abiotico (non inoculato), ai tempi cinetici riportati in Tabella 41.
Tabella 41. Degradazione del gasolio operata dal ceppo M22BI (TPH)
TEMPO
Media Gasolio
Degradato
(mg/L)
Dev.St.
Degradato
0
1
2
3
7
14
932
589
568
466
479
454
49
20
22
36
21
40
Media Gasolio
Controllo Abiotico
(mg/L)
Dev.St.
Abiotico
940
956
42
20
925
945
899
12
4
25
Dopo 14 giorni di incubazione a 32°C in terreno BH2 contenente 1 g/l di gasolio, il limite
generale di degradazione è stato del 51%.
DEGRADAZIONE GASOLIO
Concentrazione (mg/L)
1200
1000
800
600
400
Controllo Abiotico
200
Gasolio + M22
0
0
5
10
15
Giorni (gg)
Figura 14—16. Andamento della degradazione della miscela contaminante operata dal ceppo Gordonia
M22BI
Il ceppo Gordonia M22BI è risultato quindi capace di degradare una buona percentuale del
gasolio preso in esame.
142
14.2.2.2 Analisi per classi di contaminanti
L’analisi di degradazione per classi di contaminanti è stata effettuata elaborando
cromatogrammi ottenuti utilizzando come detector lo spettrometro di massa, selezionando gli stessi
ioni utilizzati per le analisi per la miscela contaminante. In Figura 14—17 sono mostrati il profilo
cromatografico in GC/MS delle colture inoculate al tempo 0, 1 e 7 giorni, delle prove in batch. Si
può notare facilmente la scomparsa di alcuni picchi, rappresentanti alcune delle componenti
idrocarburiche del gasolio.
Figura 14—17. GC/MS analisi di un gasolio da trazione estratto dalle colture inoculate con Gordonia
M22BI al tempo 0, 1 e 7 giorni a 32°C.
Anche in questo caso, per determinare il limite della degradazione delle differenti classi di
idrocarburi della miscela contaminante, la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 (dai
campioni in duplicato) è stata confrontata con la somma delle aree dei picchi dopo 7 giorni. La
biodegradazione è stata calcolata utilizzando sempre l’equazione 4:
Biodegradazione (%) =
(∑ Ait =0 − ∑ Ait =7 )
i
i
t =0
i
∑A
× 100
i
dove,
∑A
t =0
i
è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 0 giorni,
i
143
∑A
t =7
i
è la somma delle aree dei singoli picchi al tempo 7 giorni
i
Alifatici Ramificati e Lineari
In Tabella 42 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei singoli picchi ai vari tempi
cinetici analizzati. Il valore della degradazione, calcolato per i singoli picchi e per la totalità dei
composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni.
Tabella 42 Gasolio - Degradazione degli alcani lineari ed a catena ramificata
ALIFATICI LINEARI E NON
Tempi di Ritenzione
15,11
16,79
17,89
18,34
19,43
19,79
20,62
21,14
21,98
22,43
22,99
23,66
24,83
25,92
29,88
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
461.751
774437
552746
1.016.218
502652
1.303.695
740.235
1.626.240
582.030
1.769.381
621.322
2.528.837
2.166.145
1.137.614
200.766
15.984.069
3.897.913
Area T=1
12.791
90.236
178.343
56.008
344.487
27.477
439.816
21.003
107.481
27.354
559.167
1.088.843
1.003.593
230.388
43.164
4.230.151
3.563.565
Area T=7 Corretta
0
69.723
20.325
44.742
48.420
15.583
70.862
13.613
38.919
14.047
168.159
570.493
670.087
209.897
32.000
1.986.870
4.065.855
Degradazione Finale (%)
100
91
96
96
90
99
90
99
93
99
73
77
69
82
84
88
Al contrario della miscela contaminante, il gasolio commerciale presenta un’alta percentuale
di alcani lineari. Tali composti sono stati rapidamente e completamente degradati, mentre la
degradazione di quelli a catena ramificata è stata minore: complessivamente la degradazione degli
idrocarburi alifatici è stata dell’88%.
In Figura 14—18 è riportato il cromatogramma degli alcani: risulta ancor più evidente,
rispetto a quanto osservato nella degradazione della miscela contaminante, la diminuzione delle
aree dei picchi.
144
Figura 14—18. GS/MS del gasolio- Alifatici lineari e ramificati
In questo caso, nel cromatogramma al tempo 0, non è stato possibile risolvere i picchi del
pristano e del fitano dai rispettivi composti lineari (n-C17 e n-C18). Nei cromatogrammi dei tempi
successivi si osserva la presenza unicamente del composto ramificato, a seguito della degradazione
completa del lineare: non è stata quindi quantificabile la degradazione dei due composti ramificati.
In Figura 14—19 i valori della degradazione dei singoli picchi sono riportati come istogramma.
ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
80
60
40
20
0
15,11
17,89
19,43
20,62
21,98
22,99
24,83
29,88
Tempi di ritenzione (min)
Figura 14—19. Gasolio: Alifatici ramificati e lineari
Monoaromatici Alchil-Sostituiti, Naftaleni Alchil-Sostituiti, Nafteni Alchil-Sostituiti.
In Tabella 43, in Tabella 44 ed in Tabella 45 sono riportati i valori normalizzati delle aree dei
singoli picchi ai vari tempi cinetici analizzati, rispettivamente per i monoaromatici alchil-sostituiti, i
naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti. Il valore della degradazione, calcolato per i
singoli picchi e per la totalità dei composti presi in esame, è riferito al tempo 7 giorni. In Figura
145
14—20, in Figura 14—21 ed in Figura 14—22 i valori della degradazione dei singoli picchi sono
riportati come istogrammi.
Tabella 43 Gasolio - Degradazione dei monoaromatici alchil sostituiti
MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI
Area T=0
1.515.039
1.405.507
1.434.796
2.408.397
448.031
1.612.073
948.278
693.972
611.927
139.379
11.217.399
4.222.702
Tempi di Ritenzione
13,38
14,92
15,70
16,30
17,33
18,23
19,06
20,13
20,72
21,28
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=7
1.100.134
977.118
1.122.366
1.861.204
332.727
743.717
570.760
510.399
256.795
68.625
7.543.844
4.103.469
Degradazione Finale %
27
30
22
23
26
54
40
26
58
51
33
MONOAROMATICI SOSTITUITI
Singoli Composti
70
Degradazione (%)
Area T=1
1.143.262
1.043.344
1.152.446
1.769.689
323.332
927.397
604.687
462.530
247.815
179.796
7.854.299
3.677.591
60
50
40
30
20
10
0
13,38 14,92 15,70 16,30 17,33 18,23 19,06 20,13 20,72 21,28
Tempi di ritenzione (min)
Figura 14—20 Gasolio: Monoaromatici sostituiti
Tabella 44. Gasolio - Degradazione dei naftaleni sostituiti
NAFTALENI SOSTITUITI
Tempi di Ritenzione
18,80
19,06
19,41
20,22
20,40
20,62
20,92
21,14
21,78
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
695.437
559.557
32.367
238.346
850.208
1.602.028
344.591
185.857
19.250
4.527.641
4.354.462
Area T=1
453.288
478.921
0
217.148
406.362
1.508.964
329.477
120.347
14.161
3.528.667
3.901.212
Area T=7
384.192
500.208
12.687
124.066
87.487
1.336.469
337.435
132.919
10.486
2.925.950
4.431.336
Degradazione Finale %
45
11
61
48
90
17
2
28
46
35
146
NAFTALENI SOSTITUITI
Singoli Composti
Degradazione (%)
100
80
60
40
20
0
18,80
19,06
19,41
20,22
20,40
20,62
20,92
21,14
21,78
Tem pi di ritenzione (m in)
Figura 14—21. Gasolio: Naftaleni sostituiti
Tabella 45 Gasolio - Degradazione dei nafteni sostituiti
NAFTENI SOSTITUITI
Tempi di Ritenzione
16,54
16,86
17,60
17,92
18,23
18,66
19,06
19,62
20,12
20,40
20,87
21,28
21,88
Area Totale
Area Standard Interno
Area T=0
40.922
2.711.122
867.715
483.686
1.944.788
1.089.005
550.783
543.995
271.813
125.355
258.667
40.181
181.005
9.109.037
4.142.225
Area T=7
25.939
2.105.219
788.014
371.498
1.300.648
915.483
470.029
385.349
267.057
89.756
200.769
9.214
118.287
7.047.262
4.199.559
Degradazione Finale %
37
22
9
23
33
16
15
29
2
28
22
77
35
23
NAFTENI SOSTITUITI
Singoli Composti
100
Degradazione (%)
Area T=1
23.108
2.056.646
829.414
405.124
1.377.169
928.484
599.559
356.923
209.090
148.778
159.769
23.566
162.514
7.280.145
3.666.691
80
60
40
20
0
16,54
17,60
18,23
19,06
20,12
Tempi di ritenzione (min)
20,87
21,88
Figura 14—22. Gasolio: Nafteni sostituiti
147
I monoaromatici alchil-sostituiti, i naftaleni alchil-sostituiti ed i nafteni alchil-sostituiti sono
stati degradati parzialmente, 33%, 35% e 23% rispettivamente.
Per ciò che concerne la degradazione del gasolio, possiamo quindi osservare come il ceppo
Gordonia M22BI, nonostante abbia degradato principalmente le classi alifatiche, sia capace di
degradare anche frazione aromatica del gasolio.
14.2.2.3 Relazione tra i tempi di ritenzione e la degradazione dei singoli composti nel gasolio
Per quanto riguarda la degradazione del gasolio, la relazione tra i tempi di ritenzione dei
composti, e la loro degradazione percentuale, non ha prodotto apprezzabili risultati per nessuna
delle quattro classi di composti analizzate.
14.2.3 Confronto tra la degradazione della miscela contaminante ed il gasolio
Obiettivo della sperimentazione era quello di valutare se una degradazione, anche parziale,
fosse possibile su una miscela contaminante già sottoposta a processi di degradazione, sia biologici
sia chimico-fisici, nel corso dei trenta anni di permanenza nel sottosuolo. Il microrganismo isolato
nel sito contaminato Gordonia M22BI si è dimostrato in grado di degradare il 23% della miscela, se
posto in condizioni ottimali in 7 giorni. In particolare abbiamo potuto osservare degradazioni della
frazione alifatica, dei composti monoaromatici, dei nafatleni e dei nafteni sostituiti, rispettivamente
pari a 45%, 34%, 23% e 26% (Tabella 46).
Come atteso, la percentuale di degradazione totale (TPH) è stata nettamente maggiore nel
gasolio che nella miscela contaminante, principalmente a causa della presenza della frazione
alifatica lineare, minore nella miscela a causa dei processi degradativi avvenuti nel corso degli anni
in campo. Tale frazione nel gasolio è risultata, infatti, essere facilmente degradabile. Per quanto
riguarda i composti monoaromatici si osserva che la degradazione per il gasolio e per la miscela
contaminante non differisce significativamente. Per i nafteni, si può invece ipotizzare che nella
miscela vi sia stata una, seppur modesta, maggiore degradazione. Il motivo di questa maggiore
degradazione può essere ricercato nella maggior presenza nel gasolio di composti più facilmente
degradabili. È noto infatti che in presenza di più composti, i microrganismi utilizzano
preferenzialmente quelli maggiormente degradabili, per poi degradare i più recalcitranti (Chapelle
2001). È possibile ipotizzare quindi che nel gasolio al termine della sperimentazione, vi sia ancora
la presenza di nafteni degradabili. Per quanto riguarda i naftaleni, la degradazione è stata maggiore
nel gasolio: tale differenza di degradazione è imputabile alla presenza nel gasolio di una
148
componente della frazione dei naftaleni facilmente degradabile e non più presente nella miscela
contaminante.
Tabella 46. Confronto tra la degradazione della miscela contaminante e del gasolio
DEGRADAZIONE %
Contaminante
Gasolio
TPH
23
49
Alifatici
45
88
Aromatici
34
33
Naftaleni
23
35
Nafteni
26
23
149
14.3 Misure di crescita batterica mediante DNA del ceppo Gordonia M22BI
Contemporaneamente agli esperimenti di degradazione è stata seguita la crescita del ceppo
Gordonia M22BI con contaminante o gasolio come fonte di carbonio. Quando il ceppo è cresciuto
con idrocarburi come substrato, la determinazione della OD600 risulta difficile a causa della
formazione di grandi flocculi con capacità di galleggiamento e con basso coefficiente di
sedimentazione che rendono la centrifugazione (10.000g per 1 ora) delle cellule batteriche
impossibile. Per questo motivo la crescita batterica è stata seguita mediante quantificazione del
DNA totale. Questo saggio permette di seguire nel tempo la crescita di un microrganismo in modo
indiretto, mediante misura del contenuto di DNA totale presente nell’unità di volume di coltura.
Esso sfrutta la reazione colorata che si ha dall’interazione tra il deossiribosio e la difenilammina
(Burton, 1956). È quindi possibile quantificare il DNA totale mediante lettura spettrofotometrica.
Gli esperimenti hanno avuto come scopo quello di valutare se alla degradazione dei
contaminanti seguiva una crescita microbica o una mineralizzazione del carbonio idrocarburico.
14.3.1 Saggio del DNA
Agli esperimenti di degradazione del ceppo M22BI, precedentemente descritti, sono state
associate le curve di crescita eseguite in terreno minerale BH2 e come unica fonte di carbonio (1
g/l) la miscela contaminante o gasolio da trazione.
Tabella 47. Esperimento di degradazione in batch con miscela contaminante e gasolio come fonti di
carbonio
Fonte di carbonio
Idrocarburi
Stato
Filtrazione
Densità g/ml
Classe
Quantità (µl)
per 20 ml 1 g/L
Gasolio standard
Liquido
si
0.83
Miscela
24
Gasolio invecchiato
Liquido
si
0.8595
Miscela
23
Tabella 48. Misure della quantità del DNA totale durante la crescita del ceppo M22BI
Tempo (gg)
Contaminante
Gasolio
0
1
2
3
7
14
DNA ug/ml
1,054
0,737
0,329
0,136
0,204
0,057
DNA ug/ml
0,873
1,043
1,485
Nd
1,394
1,133
150
1,600
DNA totale/ ml coltura
1,400
1,200
1,000
0,800
Gasolio
0,600
Cont aminant e
0,400
0,200
0,000
0
5
10
15
Te m po (gi orn i )
Figura 14—23. Crescita del Ceppo M22BI in Miscela contaminante e gasolio.
Il ceppo ha mostrato una forte riduzione nella biomassa batterica durante la crescita con
contaminante come unica fonte di carbonio. Riteniamo che il contenuto di DNA totale sia stato
sottostimato in quanto, a causa di un’elevata idrofobicità cellulare, durante la crescita con
idrocarburi, si osserva un’aggregazione massiccia delle cellule batteriche e un’adesione alla
superficie di vetro della beuta. Nonostante ciò riteniamo che non sia avvenuta una significativa
crescita batterica durante la degradazione del contaminante.
Al contrario la biomassa batterica, valutata misurando il contenuto di DNA totale, ha mostrato
un aumento significativo durante la degradazione del gasolio commerciale. Da osservare che il
ceppo, in queste condizioni, entra in fase stazionaria dopo il secondo giorno di crescita.
151
14.4 Analisi dei dati cinetici
Per l’interpretazione dei dati di cinetiche di biodegradazione sono stati proposti molti modelli.
Quando le condizioni ambientali sono mantenute all’optimum, il fattore che influenza la crescita e
la degradazione di una fonte di carbonio è la disponibilità del substrato.
Tuttavia, in molti casi, in particolare in condizioni di campo, la scomparsa del substrato è
dipendente da molti variabili, quali ad esempio: la predazione di altri microrganismi, la
biodisponibilità e la presenza di diverse fonti di carbonio. Nonostante ciò, sono stati formulati
semplici modelli per i casi in cui la scomparsa del substrato è funzione della concentrazione del
substrato stesso e della biomassa microbica. Si assume che cinetiche di Monod modificate possano
adeguatamente descrivere questo tipo di situazione (Eweis et al., 1998).
La velocità di crescita di una coltura in queste condizioni si può esprimere attraverso una
cinetica a saturazione (Monod):
r=
µ maxC
Ks + C
×B
Equazione 5
Dove,
r è la velocità di crescita,
µmax è la velocità specifica di crescita massima,
C è la concentrazione del substrato
Ks è la costante di semisaturazione.
B è la biomassa microbica
Definendo inoltre Y come il coefficiente che pone in relazione la velocità di crescita con la
velocità di scomparsa del substrato, otteniamo:
r = −Y
dC
dt
Equazione 6
è possibile ricavare l’espressione:
dC
B µ max C
=−
dt
Y Ks + C
Equazione 7
152
La biomassa al tempo t può essere espressa in funzione del consumo di substrato e della
biomassa iniziale B0:
B = B0 + Y (C 0 − C )
Equazione 8
Dove,
C0 è la concentrazione iniziale del substrato.
Si ricava quindi un’espressione generale che lega la scomparsa del substrato unicamente alla
concentrazione del substrato stesso:
µ C[ B0 + Y (C 0 − C )]
dC
= − max
dt
Y
Ks + C
Equazione 9
In base alla concentrazione del substrato ed alla biomassa iniziale della coltura microbica,
questa espressione può essere integrata e semplificata per ottenere leggi cinetiche che descrivono i
diversi andamenti osservati sperimentalmente.
In particolare in condizioni di crescita nulla dove B0 >> YC0 e C 0 << K s l’espressione si
semplifica ad un espressione di una cinetica del primo ordine:
B
µ
dC
= − max 0 C = kC
dt
Y Ks
Equazione 10
la cui espressione integrata è:
C = C 0 e − kt
Equazione 11
14.4.1 Modellazione dei dati (TPH)
Da una semplice osservazione dei dati sperimentali è possibile osservare che la velocità di
degradazione del substrato, in condizioni ottimali, subisce una netta diminuzione nel corso della
cinetica: per i primi tempi, una cinetica del primo ordine potrebbe ben interpretare l’andamento dei
dati mentre, nella seconda parte, la velocità di degradazione subisce un brusco rallentamento sino ad
153
annullarsi. I motivi di questo comportamento cinetico, già osservato nel suolo per altri composti
organici, potrebbero essere ricercati nelle differenti capacità e modalità di degradazione dei
differenti composti della miscela contaminante e del gasolio, da parte della comunità microbica,
quindi dalla presenza di frazioni del substrato recalcitranti alla biodegradazione.
In letteratura sono stati ritrovati alcuni modelli cinetici che possono essere utilizzati per le
interpolazioni di questo tipo di cinetica (Simkins, 1986; Scow, 1986). Il confronto dei risultati
ottenuti dall’applicazione di più modelli può essere utile per valutare la qualità delle varie
interpolazioni e la loro precisione
Per interpretare i dati cinetici di degradazione è stato utilizzato preliminarmente un modello
cinetico di I Ordine come ricavato in precedenza (Modello 1 – Equazione 9). Da una analisi
sommaria dei dati, era ben chiaro tuttavia, che tale modello non avrebbe adeguatamente descritto
l’andamento, in quanto la degradazione riscontrata si interrompeva bruscamente dopo 7 giorni, con
una concentrazione residua di idrocarburi pressoché costante sino al termine dell’esperimento (75%
circa).
Per rendere conto di tale comportamento abbiamo utilizzato due ulteriori modelli cinetici: il
Modello 2 (Equazione 10), costituito da una somma di due termini esponenziali, tale espressione
modella la presenza di due distinte frazioni del contaminante a diversa velocità di degradazione; il
Modello 3 (Equazione 11), costituito dalla somma di un termine esponenziale e una costante, tale
espressione modella la presenza di una frazione degradabile e una completamente recalcitrante alla
biodegradazione. Vengono riportate di seguito le equazioni dei tre modelli utilizzati:
Modello 1 (Cinetica di primo ordine)
C = C0 ⋅ e − kt
Equazione 12
Dove,
C è la concentrazione del substrato (mg/l)
C0 è la concentrazione iniziale del substrato (mg/l)
k è la costante cinetica del processo (1/giorno)
t è il tempo (giorni)
154
Modello 2 (Somma di esponenziali)
C = C01 ⋅ e − k1t + C02 ⋅ e − k2t
Equazione 13
Dove,
C è la concentrazione del substrato (mg/l)
C0,1 è la concentrazione iniziale del substrato della frazione 1 (mg/l)
k1 è la costante cinetica del processo relativo alla frazione 1 (1/giorno)
C0,2 è la concentrazione iniziale del substrato della frazione 2 (mg/l)
k2 è la costante cinetica del processo relativo alla frazione 2 (1/giorno)
t è il tempo (giorni)
Modello 3 (somma di un termine esponenziale e una costante)
C = C0deg r ⋅ e − kt + C0rec
Equazione 14
Dove,
C è la concentrazione del substrato (mg/l)
C0,degr è la concentrazione iniziale del substrato della frazione degradabile (mg/l)
k è la costante cinetica del processo (1/giorno)
C0,rec è la concentrazione iniziale del substrato della frazione recalcitrante (mg/l)
t è il tempo (giorni)
Con queste espressioni, utilizzando il software STATISTICA, sono state effettuate regressioni
non lineari dei dati cinetici, per stimarne i parametri e verificare la bontà del fitting. Le seguenti
tabelle riportano i risultati delle interpolazioni.
155
14.4.1.1 Miscela contaminante
Modello 1
Tabella 49. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 1
Model: C =C0*exp(k*t)
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 23271.620413 R=.51232 Variance explained: 26.247%
K
-0,01057
C0
812,3685
Estimate
Figura 14—24. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 1
Come previsto e come testimoniato dalla Figura 14—24 e dal basso coefficiente R2 (R2 =
0,26), il modello 1 non interpreta adeguatamente i dati sperimentali.
Modello 2
Tabella 50. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 2
Model: C = C0,1*exp(k1*t) + C0,2*exp(k2*t)
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 1453.0393438 R=.97577 Variance explained: 95.212%
Estimate
C0,1
193,8896
k1
-1,13857
C0,2
731,4859
k2
-0,00315
Figura 14—25. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 2
156
Modello 3
Tabella 51. Miscela contaminante: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 3
Model: C = C0,degr*exp(k*t) + C0,rec
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 1875.5343644 R=.96982 Variance explained: 94.056%
Estimate
C0,degr
197,2976
k
-1,17014
C0,rec
728,421
Figura 14—26. Miscela contaminante: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 3
Sia per il modello 2 che il modello 3 il fitting ha dato buoni risultati, come testimoniato dai
due coefficienti R2, rispettivamente 0,952 e 0,940. Per il modello 2 l’interpolazione ha stimato la
concentrazione della frazione più velocemente degradata (C0,1) pari a 193,9 mg/l, con una costante
cinetica k1 = 1,138 1/giorni, mentre la concentrazione della frazione degradata lentamente (C0,2) è
risultata pari a 731,5 mg/l, con una costante cinetica k2 = 0,003 1/giorni. Il modello 3 ha invece
stimato la concentrazione della frazione degradabile (C0,degr) pari a 197,3, con una costante cinetica
k = 1,170 1/giorni e la concentrazione della frazione recalcitrante (C0,rec) pari a 728,4 mg/l.
Come è possibile notare i due modelli stimano valori simili per le concentrazioni delle due
frazioni; inoltre la costante cinetica k2 del modello 2 risulta essere estremamente bassa. Alla luce di
queste considerazioni i modelli 2 e 3 possono essere considerati sostanzialmente equivalenti.
In conclusione, l’analisi cinetica effettuata permette di ipotizzare che nella miscela
contaminante è presente una frazione facilmente degradabile con una concentrazione di circa 195
mg/l (23 %) che segue una cinetica di degradazione del primo ordine, con una costante cinetica pari
a circa 1,15 1/giorni ed una frazione che non viene sostanzialmente degradata nell’arco temporale
preso in esame.
157
14.4.1.2 Gasolio da Trazione
Modello 1
Tabella 52 Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 1
Model: C = C0*exp(k*t)
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 93935.762713 R=.65145 Variance explained: 42.438%
k
-0,04808
C0
702,1599
Estimate
Figura 14—27. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 1
Come previsto, anche per il gasolio il modello 1 non interpreta adeguatamente i dati
sperimentali, come testimoniato dalla Figura 14—27 e dal basso coefficiente R2 (R2 = 0,42).
Modello 2
Tabella 53. Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 2
Model: C = C0,1*exp(k1*t) + C0,2*exp(k2*t)
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 3448.0904643 R=.98938 Variance explained: 97.887%
Estimate
C0,1
425,5792
k1
-1,40393
C0,2
504,6667
k2
-0,00778
Figura 14—28. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 2
158
Modello 3:
Tabella 54. Gasolio: risultati dell’interpolazione dei dati per il modello 3
Model: C = C0,degr *exp(k1*t) + C0,rec
Dep. var: C Loss: (OBS-PRED)**2
Final loss: 4079.8392764 R=.98742 Variance explained: 97.500%
Estimate
C0,degr
457,1283
k1
-1,15035
C0,rec
470,9562
Figura 14—29. Gasolio: accordo tra i dati sperimentali ed il modello 3
Sia per il modello 2 che il modello 3 il fitting ha dato buoni risultati, come testimoniato dai
due coefficienti R2, rispettivamente 0,979 e 0,975. Per il modello 2 l’interpolazione ha stimato la
concentrazione della frazione più velocemente degradata (C0,1) pari a 425,6 mg/l, con una costante
cinetica k1 = 1,404 1/giorni, mentre la concentrazione della frazione degradata lentamente (C0,2) è
risultata pari a 504,7 mg/l, con una costante cinetica k2 = 0,008 1/giorni. Il modello 3 ha invece
stimato la concentrazione della frazione degradabile (C0,degr) pari a 457,1, con una costante cinetica
k = 1,150 1/giorni e la concentrazione della frazione recalcitrante (C0,rec) pari a 471,0 mg/l.
Come è possibile notare dal confronto dei parametri stimati, i due modelli non possono essere
considerati equivalenti, così come nel caso della cinetica precedente. Anche in questo caso il
modello 2 presenta una basso valore della costante di degradazione della frazione poco degradabile
(k2 = 0,008 1/giorni), indicando quindi la presenza di una frazione sostanzialmente non degradabile.
Tuttavia, il fatto che il valore della costante C0,2 differisca significativamente dal valore della C0,rec
potrebbe far supporre che, al contrario della miscela, nella cinetica di degradazione del gasolio
preso in esame, la degradazione della frazione degradabile non è giunta completamente a termine
nell’arco temporale sperimentato.
159
CONCLUSIONI
La nostra ricerca si è inserita su un progetto di bonifica di una ex raffineria di petrolio, adibita
ora a deposito di carburanti, nella quale, circa 35 anni fa, una grossa perdita di gasolio dai serbatoi
sotterranei portò ad una enorme contaminazione del sottosuolo. Con il passare degli anni, il gasolio
è stato interessato da complessi fenomeni di trasformazione, mostrando oggi una composizione
diversa da quella del gasolio nativo, imputabile quindi ad una parziale degradazione abiotica e
biotica avvenuta durante la permanenza nel suolo. Per la sua composizione il contaminante residuo
risulta più refrattario alla degradazione rispetto al gasolio nativo.
Il lavoro descritto è il risultato di due programmi sperimentali: il primo ha implicato il
campionamento ed il lavoro in campo, il secondo è stato realizzato in laboratorio dove sono state
allestite prove di biodegradazione degli idrocarburi, ed isolati quindi i ceppi batterici ritenuti più
interessanti dal punto di vista biodegradativo.
La ricerca è stata quindi impostata in funzione delle esigenze di bonifica, e sviluppata a
seguito di particolari risultati ottenuti in fase di sperimentazione. Gli obiettivi della ricerca sono
stati così suddivisi:
5.
Sperimentazione di fattibilità preliminare alle attività di bonifica
6.
Monitoraggio della comunità microbica
7.
Caratterizzazione della comunità autoctona degradante
8.
Individuazione di ceppi per applicazioni biotecnologiche
1 – Sono stati allestiti esperimenti di degradazione in batch, preliminari all’attività di bonifica,
utilizzando i microrganismi ricavati dalla frangia capillare. Alla luce dei risultati ottenuti è stato
possibile confermare la presenza di una microflora autoctona aerobia, potenzialmente capace di
degradare la miscela idrocarburica contaminante. In condizioni aerobie e in presenza di nutrienti
(azoto e fosforo) la comunità autoctona ha mostrato la capacità di degradare alcuni dei componenti
principali del contaminante.
A seguito di successive valutazioni di tipo ingegneristico, è stato deciso di avviare una
Bioremediation in situ. Sulla base di ciò è stata avviata la tecnica di Bioslurping, che ha previsto la
messa in atto congiunta di due specifiche metodologie o tecniche di bonifica: la soil vapour
extraction (SVE) ed la free product recovery (FPR). L’implementazione di alcune prove
respirometriche ha mostrato un’estrema complementarietà degli andamenti relativi dell’O2 e della
160
CO2, ad ulteriore testimonianza di un’attività microbiologica presente nel sottosuolo (in cui la CO2
è prodotta dalla trasformazione del materiale organico sottoposto ad ossidazione, con conseguente
consumo di O2). Tale attività ha beneficiato della ventilazione conseguente all’applicazione in sito
della tecnica SVE, confermando quanto ipotizzato nelle prove preliminari. I valori di consumo di O2
sono stati ampiamente superiori al 1% volume/giorno (valore di riferimento di letteratura): da questi
è stato possibile ricavare un tasso di degradazione medio di 4,74 mg di contaminate al giorno per
Kg di suolo. Al contrario, avendo osservato sperimentalmente che l’entità dell’inquinamento da
prodotto libero surnatante, presso il sito, rappresenta una frazione decisamente piccola e sporadica
dell’intero plume inquinante, individuato dalla fase di caratterizzazione iniziale, non è stato ritenuto
utile continuare la sperimentazione della tecnica FPR.
In conclusione si può ritenere che la carenza di O2, e di nutrienti nel sottosuolo possa
deprimere in modo così significativo la biodegradazione dell’inquinante, da dover essere
considerata un importante fattore limitante. Risulta necessario per questo motivo un apporto di O2,
mediante bioslurping, e di nutrienti, mediante un sistema di distribuzione in campo, perché il
processo di degradazione possa essere mantenuto attivo.
2 - Al fine di valutare se le operazioni di ventilazione messe in atto in campo avessero
determinato stimolato la crescita della comunità microbica, è stato operato il monitoraggio del titolo
vitale nella frangia capillare, tramite l’impiego della tecnica di enumerazione most probable number
(MPN). La scelta del terreno di coltura ha consentito l’enumerazione di specifici gruppi metabolici
di microrganismi. Da tener presente che in letteratura i microrganismi enumerati mediante la tecnica
MPN, in presenza di idrocarburi come unica fonte di carbonio, vengono considerati “degradatori”.
Per la valutazione dell’effetto di biostimolazione del bioslurping è stato impostato un
programma di campionamento che ha previsto l’esecuzione di 8 sondaggi, nei 2 campi di prova
presi in esame: il primo antecedente all’avvio del Bioslurping e 7 nei 250 giorni successivi alla
messa in funzione degli impianti (avvenuta il 25.07.2002). Da ciascuna carota sono stati prelevati
due campioni di suolo/sottosuolo: uno rappresentativo della zona insatura non contaminata e l’altro
della frangia capillare contaminata. Durante i primi 35 giorni di monitoraggio del pozzo BS1 non si
è assistito a cambiamenti significativi nei titoli dei tre gruppi metabolici di microrganismi, sia nella
zona insatura non contaminata, che nella frangia capillare contaminata, da attribuire probabilmente
alla modalità di attuazione della tecnica di bioslurping. Dopo 64 giorni dall’inizio della
ventilazione, ovvero dopo il cambiamento della configurazione di bioslurping, è stato registrato un
incremento significativo nel titolo dei microrganismi in grado di crescere in presenza di esadecano o
della miscela, come unica fonte di carbonio. La moltiplicazione è stata maggiore nella zona
161
contaminata che nella zona non contaminata; i microrganismi in grado di crescere con miscela,
come fonte di carbonio, rispondono alla ventilazione, più di quelli capaci di crescita con esadecano,
al contrario i microrganismi eterotrofi totali non hanno subito un aumento del numero di cellule/g di
suolo. Questo risultato sembrerebbe dunque confermare l’importanza dell’O2 come fattore limitante
la crescita microbica nel sito e l’efficacia della tecnica bioslurping nello stimolare la comunità
aerobia.. L’andamento dei titoli delle tre classi di microrganismi nel sito BS2 ha mostrato un
andamento di più difficile interpretazione rispetto al sito BS1.
Dai risultati ottenuti è emerso che, nel corso dell’attuazione della tecnica di Bioslurping, le
variazioni nel titolo vitale dei diversi gruppi metabolici non sono state omogenee in tutto il sito.
Possiamo affermare però, che il titolo dei microrganismi idrocarburo degradanti nel pozzo BS1 è
aumentato, in particolare quello dei microrganismi in grado di utilizzare la miscela contaminante
come unica fonte di carbonio. Questo risultato sembrerebbe dunque confermare l’importanza
dell’O2 come fattore limitante la biodegradazione operata dai microrganismi e l’efficacia quindi
della tecnica di Bioslurping nell’aumentare la sua concentrazione nel sottosuolo.
3 - L’analisi della comunità microbica del sito contaminato è stata effettuata tramite:
a.
Isolamento dei microrganismi arricchiti nel MPN in terreno minerale con contaminante;
b.
Tipizzazione dei microrganismi isolati mediante analisi molecolare ARDRA.
In laboratorio si è proceduto all’isolamento dei batteri più numerosi, arricchiti nell’MPN, in
presenza del contaminante come unica fonte di carbonio. I ceppi isolati dalla frangia capillare
contaminata e dal contaminante sono stati identificati mediante la tipizzazione ARDRA e
sequenziamento del gene codificante il 16S rRNA. Mediante la costruzione di alberi filogenetici
sono state ricostruite le relazioni esistenti tra gli isolati e i ceppi tipo delle specie con la più alta
similitudine di sequenza a livello del 16S rDNA. Alcuni ceppi analizzati sono risultati appartenenti
a generi frequentemente isolati da suoli contaminati da idrocarburi petroliferi (Arthrobacter,
Gordonia, Stenotrophomonas, Xanthobacter, Paenibacillus), altri sono stati assegnati al gruppo
Rhizobium/Agrobacterium.
Il nostro lavoro rappresenta uno dei primi studi di comunità microbiche di sottosuoli
contaminati "da vecchia data". Tale situazione si ritrova in numerosi siti e risulta di più difficile
bonifica rispetto a quella dovuta a contaminazioni recenti. Riteniamo inoltre che, nel caso in esame,
l'esposizione cronica della comunità microbica del suolo al contaminante e la sua particolare
composizione, assunta in seguito ad una parziale degradazione avvenuta nel corso dei 30 anni,
potrebbe aver determinato la selezione di “nuovi” ceppi degradatori in seguito a scambio
162
orizzontale e mutazione e l'esistenza di una grande biodiversità nelle vie cataboliche degli
idrocarburi e in altre attività metaboliche non ancora caratterizzate.
L’analisi condotta ha dimostrato come i ceppi numericamente predominanti appartengano a
generi già descritti come coinvolti nella degradazione di idrocarburi petroliferi. Da evidenziare
tuttavia, il ritrovamento di microrganismi di generi emergenti per ciò che concerne il loro
interessamento nei fenomeni di biodegradazione (Gordonia, Paenibacillus, Rhizobium /
Agrobacterium), sui quali abbiamo concentrato la nostra attenzione. La conoscenza di queste
comunità può contribuire in futuro alla comprensione dei processi di degradazione negli ambienti
naturali contaminati da idrocarburi e allo sviluppo di nuove applicazioni biotecnologiche.
4 - Partendo dal presupposto che l’enumerazione MPN, per quanto consenta di ottenere un
arricchimento di microrganismi degradatori, non permetta di trarre conclusioni definitive sulle
attività degradative dei microrganismi isolati, abbiamo sperimentato una serie di procedure descritte
in letteratura, atte a verificare le effettive capacità degradative dei ceppi isolati. Impiegando
idrocarburi puri come fonte di carbonio sono state eseguite le seguenti prove:
1.
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi forniti sotto forma di vapore
2.
Crescita su terreno agarizzato con idrocarburi sublimati
3.
Crescita in terreno liquido
Tra i ceppi isolati dal sito contaminato, il ceppo Gordonia M22BI ha mostrato in generale le
migliori capacità di crescita, utilizzando idrocarburi come fonte di carbonio: Gordonia M22BI è
stato il più veloce, tra gli isolati, a crescere in modo significativo con miscela contaminante come
substrato. Abbiamo inoltre potuto osservare che il ceppo era l’unico in grado di rompere lo strato di
NAPL nelle colture in liquido, dopo una settimana di incubazione. Abbiamo dunque intrapreso una
caratterizzazione delle proprietà cataboliche di questo microrganismo anche in vista di un suo
impiego in applicazioni biotecnologiche.
Sono state quindi allestite prove di degradazione in liquido, in doppio, utilizzando come
inoculo il ceppo Gordonia M22BI e come fonte di carbonio la miscela contaminante, in un caso, ed
un gasolio da trazione, nell’altro. La caratterizzazione delle proprietà cataboliche del ceppo
Gordonia M22BI è stata fatta principalmente in relazione ad un suo utilizzo come additivo da
impiegare per migliorare il processo di biorisanamento di suoli contaminati da prodotti petroliferi.
Scopi di questa serie di esperimenti sono stati quindi quelli di:
A.
Stimare le capacità di degradazione del ceppo M22BI
163
B.
Valutare lo spettro delle componenti degradabili di un gasolio commerciale e di un
“gasolio invecchiato”
Dopo 7 giorni di incubazione a 32°C in terreno BH contenente lo 0,1 % di miscela
idrocarburica contaminante (“gasolio invecchiato”), il limite generale di degradazione è stato del
23%. Dopo 14 giorni non è stata osservata una degradazione ulteriore. In particolare abbiamo
potuto osservare degradazioni della frazione alifatica, dei composti monoaromatici, dei nafatleni e
dei nafteni sostituiti, rispettivamente pari a 45%, 34%, 23% e 26%. Nelle stesse condizioni
sperimentali, limite generale di degradazione del gasolio, dopo 14 giorni di incubazione, è stato del
51%. Il ceppo Gordonia M22BI, in assenza di fattori limitanti, è risultato quindi capace di
degradare una discreta percentuale della miscela contaminante recuperata dal sito contaminato, ed
una buona percentuale del gasolio preso in esame. Come atteso, la percentuale di degradazione
totale (TPH) è stata nettamente maggiore nel gasolio che nella miscela contaminante,
principalmente a causa della presenza della frazione alifatica lineare, minore nella miscela a causa
dei processi degradativi avvenuti nel corso degli anni in campo. Tale frazione nel gasolio è risultata
infatti essere facilmente degradabile. Per quanto riguarda i composti monoaromatici si osserva che
la degradazione per il gasolio e per la miscela contaminante non differisce significativamente. Per i
nafteni, si può invece ipotizzare che nella miscela vi sia stata una, seppur modesta, maggiore
degradazione. Il motivo di questa maggiore degradazione può essere ricercato nella maggior
presenza nel gasolio di composti più facilmente degradabili. È possibile ipotizzare quindi che nel
gasolio al termine della sperimentazione, vi sia ancora la presenza di nafteni degradabili. Per quanto
riguarda i naftaleni, la degradazione è stata maggiore nel gasolio: tale differenza di degradazione è
imputabile alla presenza nel gasolio di una componente della frazione dei naftaleni facilmente
degradabile e non più presente nella miscela contaminante.
Per l’interpretazione dei dati di cinetiche di biodegradazione sono stati proposti molti modelli.
Quando le condizioni ambientali sono mantenute all’optimum, il fattore che influenza la crescita e
la degradazione di una fonte di carbonio è la disponibilità del substrato. Tuttavia, in molti casi, in
particolare in condizioni di campo, la scomparsa del substrato è dipendente da molti variabili, quali
ad esempio: la predazione di altri microrganismi, la biodisponibilità e la presenza di diverse fonti di
carbonio. Nonostante ciò, sono stati formulati semplici modelli per i casi in cui la scomparsa del
substrato è funzione della concentrazione del substrato stesso e della biomassa microbica. Si assume
che cinetiche di Monod modificate possano adeguatamente descrivere questo tipo di situazione.
Da una semplice osservazione dei dati sperimentali è possibile osservare che la velocità di
degradazione del substrato, subisce una netta diminuzione nel corso della cinetica. Per i primi
164
tempi, una cinetica del primo ordine potrebbe ben interpretare l’andamento dei dati mentre, nella
seconda parte, la velocità di degradazione subisce un brusco rallentamento sino ad annullarsi. I
motivi di questo comportamento cinetico, già osservato nel suolo per altri composti organici,
potrebbero essere ricercati nelle differenti capacità e modalità di degradazione dei differenti
composti della miscela contaminante e del gasolio, da parte della comunità microbica, quindi dalla
presenza di frazioni del substrato recalcitranti alla biodegradazione.
Sono stati quindi utilizzati alcuni modelli cinetici ritrovati in letteratura, già impiegati per le
interpolazioni di questo tipo di cinetica: un Modello (2), costituito da una somma di due termini
esponenziali, tale espressione modella la presenza di due distinte frazioni del contaminante a
diversa velocità di degradazione; ed un Modello (3), costituito dalla somma di un termine
esponenziale ed una costante, tale espressione modella la presenza di una frazione degradabile e una
completamente recalcitrante alla biodegradazione.
Per quanto riguarda la degradazione della miscela, i due modelli utilizzati hanno stimato
valori simili per le concentrazioni delle due frazioni; inoltre la costante cinetica k2 del modello 2 è
risultata essere estremamente bassa. Alla luce di queste considerazioni i modelli sono stati
considerati sostanzialmente equivalenti. In conclusione, l’analisi cinetica ha permesso di ipotizzare
che nella miscela contaminante è presente una frazione facilmente degradabile con una
concentrazione di circa 195 mg/l (23 %) che segue una cinetica di degradazione del primo ordine,
con una costante cinetica pari a circa 1,15 1/giorni ed una frazione che non viene sostanzialmente
degradata nell’arco temporale preso in esame. Tale frazione, dall’analisi cromatografica,
risulterebbe formata sia da composti recalcitranti la biodegradazione, sia da composti parzialmente
degradati. Anche nella degradazione del gasolio, il modello 2 ha presentato una basso valore della
costante di degradazione della frazione poco degradabile (k2 = 0,008 1/giorni), indicando quindi la
presenza di una frazione sostanzialmente non degradabile. Tuttavia, il fatto che il valore della
costante C0,2 abbia differito significativamente dal valore della C0,rec, ha permesso di supporre che,
al contrario della miscela, nella cinetica di degradazione del gasolio preso in esame, la degradazione
della frazione degradabile non è giunta completamente a termine nell’arco temporale sperimentato.
165
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171
INDICE DELLE FIGURE
FIGURA 1—1. LOCALIZZAZIONE DEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE
3
FIGURA 1—2. CONTAMINAZIONE DI ACQUE SUPERFICIALI
4
FIGURA 1—3. SVERSAMENTO DI GREGGIO
6
FIGURA 1—4. SUDDIVISIONE DEGLI IDROCARBURI ALIFATICI
10
FIGURA 1—5. SCHEMA PROCEDURALE PREVISTO DAL D.M. N. 471/99 PER LA PROGETTAZIONE E LA
REALIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA
15
FIGURA 1—6. PRINCIPALI TECNOLOGIE DI BONIFICA
17
FIGURA 1—7. RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DEL POZZO DI BIOSLURPING
19
FIGURA 2—1. OPZIONI METABOLICHE PER OTTENERE ENERGIA
26
FIGURA 2—2. BIODEGRADAZIONE AEROBIA DEGLI ALCANI
38
FIGURA 2—3. DEGRADAZIONE DEGLI AROMATICI
39
FIGURA 2—4. BIODEGRADAZIONE ANAEROBIA DEL BENZOATO
40
FIGURA 4—1. FORMULA INT. C19H13CLIN5O2 = 505.70
45
FIGURA 5—1. A: MULTIWELL CON TSB; B: ESADECANO
48
FIGURA 5—2. MISCELA, AL TERMINE DI UN ESPERIMENTO DI MPN.
49
FIGURA 7—1 PARZIALE SEQUENZA DI UN 16S RDNA LETTA DA UN SEQUENZIATORE AUTOMATICO. 59
FIGURA 7—2. 16S RDNA E POSIZIONE DEI PRIMER P0 E P6.
60
FIGURA 9—1. CURVA STANDARD SAGGIO DNA
65
FIGURA 11—1. PLANIMETRIA DEL SITO CONTAMINATO
74
FIGURA 11—2. PLANIMETRIA DEL SITO CONTAMINATO E UBICAZIONE DEI CAMPI DI PROVA.
75
FIGURA 11—3. A) COMPOSIZIONE DI UN NORMALE GASOLIO DA TRAZIONE;
77
FIGURA 11—4. A SINISTRA UN GASOLIO DA TRAZIONE, A DESTRA LA MISCELA IDROCARBURICA
CONTAMINANTE.
78
FIGURA 11—5. COLTURE IN TERRENO MINIMO SALINO BH ADDIZIONATO CON MISCELA
IDROCARBURICA COME UNICA
80
FIGURA 12—1. A) TECNICA SVE; B) TECNICA FPR
84
FIGURA 12—2. UBICAZIONE DEI DUE POZZI DI BIOSLURPING E DEI RELATIVI POZZETTI DI
CONTROLLO.
85
FIGURA 12—3. CONFIGURAZIONE DI LAVORO SVE – BIOSLURPING BS1 E BS2.
87
FIGURA 12—4. CONFIGURAZIONE DI LAVORO SVE
87
FIGURA 12—5. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI SVE - BIOSLURPING – BS1.
89
FIGURA 12—6. VALORI DI O2 MISURATI DURANTE LA PROVA SVE DEL SETTEMBRE 2002 – CAMPO 1. 90
FIGURA 12—7. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA SVE DEL SETTEMBRE 2002 – CAMPO 1.
90
FIGURA 12—8. VALORI DI O2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE 2002
– CAMPO 1.
91
FIGURA 12—9. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE
2002 – CAMPO 1.
91
FIGURA 12—10. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’ OTTOBRE
2002 – CAMPO 2.
92
FIGURA 12—11. VALORI DI CO2 MISURATI DURANTE LA PROVA RESPIROMETRICA DELL’OTTOBRE
2002 – CAMPO 2.
92
FIGURA 12—12. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI BIOSLURPING – FPR IN BS1 E BS2.
99
FIGURA 12—13. SCHEMA SEMPLIFICATO IMPIANTO DI BIOSLURPING FPR – CAMPO 2.
100
FIGURA 12—14. VARIAZIONI DELLO SPESSORE APPARENTE DI SURNATANTE NEI POZZI DEL CAMPO2
101
FIGURA 12—15. MONITORAGGIO DEL POZZO BS1 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 107
FIGURA 12—16. MONITORAGGIO DEL POZZO BS1 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA.
108
FIGURA 12—17. MONITORAGGIO DEL SITO MNA1 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 111
FIGURA 12—18. MONITORAGGIO DEL SITO MNA1 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA.
111
FIGURA 12—19. MONITORAGGIO DEL SITO MNA2 NELLA ZONA INSATURA NON CONTAMINATA. 112
FIGURA 12—20. MONITORAGGIO DEL SITO MNA2 NELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA.
112
FIGURA 13—1 ISOLAMENTO DEI CEPPI AUTOCTONI DEL SITO CONTAMINATO.
114
FIGURA 13—2. SCHEMATIZZAZIONE DELLA METODOLOGIA ARDRA.
117
FIGURA 13—3. ESEMPIO DI ANALISI ELETTROFORETICA DEI 16S RDNA AMPLIFICATI. ORDINE DEI
CAMPIONI: 1) BS1.0C3; 2) M3AIA, 3) M3AIB, 4) BS1.0C21, 5)BS1.0C25, 6) M22A, 7)M22BI, 8)BS1.0C40A,
9)BS1.0C40B, 10) MARCATORE DI PESO MOLECOLARE 1KB.
119
172
FIGURA 13—4. ESEMPIO DI ANALISI ELETTROFORETICA DEI FRAMMENTI DI RESTRIZIONE GENERATI
CON L’ENZIMA ALU I. ORDINE DEI CAMPIONI: 1) MARCATORE DI PESO MOLECOLARE 100 PB, 2)
BS1.0C3, 3) M3AIA, 4) M3AIB, 5) BS1.0C21, 6) BS1.0C25, 7) M22A.
119
FIGURA 13—5. RISULTATO DELL’ANALISI MEDIANTE SIMILARITY MATRIX VER. 1.1 DELLA
SEQUENZA 16S RDNA DEL CEPPO M22BI.
122
FIGURA 13—6. ALBER FILOGENETICI COSTRUITI MEDIANTE IL CONFRONTO DELLE SEQUENZE
NUCLEOTIDICHE DEL 16S RDNA DEI CEPPI ISOLATI E DEI CEPPI TIPO DELLE SPECIE
FILOGENETICAMENTE RELAZIONATE.
124
FIGURA 14—1 CRESCITA SU TERRENO AGARIZZATO DEL CEPPO M22BI.
129
FIGURA 14—2. PROVA DI DEGRADAZIONE DEL FENANTRENE
130
FIGURA 14—3. ANDAMENTO NEL TEMPO DEI TITOLI VITALI DEL CEPPO M22BI.
131
FIGURA 14—4. PROVA DI DEGRADAZIONE DELL’OCTACOSANO CON IL CEPPO M22BI. BEUTA DI
CONTROLLO SENZA IDROCARBURO (A SINISTRA) E LA BEUTA CON IDROCARBURO (A DESTRA).
132
FIGURA 14—5. INGRANDIMENTO DI UN GRANO DI OCTACOSANO SOLIDO RICOPERTO DA UN FILM DI
BATTERI DI COLORE ARANCIO (L’OCTACOSANO PURO SI PRESENTA ORIGINARIAMENTE DI
COLORE BIANCO)
132
FIGURA 14—6. ANDAMENTO DELLA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA
DAL CEPPO GORDONIA M22BI
134
FIGURA 14—7. GC/MS ANALISI DELLA MISCELA CONTAMINANTE ESTRATTA DA UN CONTROLLO
NON INOCULATO (IN ALTO) ED DI UNA COLTURA INOCULATA CON GORDONIA M22BI (IN
BASSO), DOPO 10 GIORNI DI INCUBAZIONE AT 32°C.
135
FIGURA 14—8. GS/MS DELLA MISCELA CONTAMINANTE - ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
136
FIGURA 14—9. MISCELA CONTAMINANTE: ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
137
FIGURA 14—10. MISCELA CONTAMINANTE: MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI
138
FIGURA 14—11. MISCELA CONTAMINANTE: NAFTALENI SOSTITUITI
138
FIGURA 14—12. MISCELA CONTAMINANTE: NAFTENI SOSTITUITI
139
FIGURA 14—13. RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI
ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE
140
FIGURA 14—14 RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI
ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE
140
FIGURA 14—15 RELAZIONE TRA I TEMPI DI RITENZIONE E LA DEGRADAZIONE DEI COMPOSTI
ALIFATICI NELLA MISCELA CONTAMINANTE
141
FIGURA 14—16. ANDAMENTO DELLA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA
DAL CEPPO GORDONIA M22BI
142
FIGURA 14—17. GC/MS ANALISI DI UN GASOLIO DA TRAZIONE ESTRATTO DALLE COLTURE
INOCULATE CON GORDONIA M22BI AL TEMPO 0, 1 E 7 GIORNI A 32°C.
143
FIGURA 14—18. GS/MS DEL GASOLIO- ALIFATICI LINEARI E RAMIFICATI
145
FIGURA 14—19. GASOLIO: ALIFATICI RAMIFICATI E LINEARI
145
FIGURA 14—20 GASOLIO: MONOAROMATICI SOSTITUITI
146
FIGURA 14—21. GASOLIO: NAFTALENI SOSTITUITI
147
FIGURA 14—22. GASOLIO: NAFTENI SOSTITUITI
147
FIGURA 14—23. CRESCITA DEL CEPPO M22BI IN MISCELA CONTAMINANTE E GASOLIO.
151
FIGURA 14—24. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 1
156
FIGURA 14—25. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 2
156
FIGURA 14—26. MISCELA CONTAMINANTE: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 3
157
FIGURA 14—27. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 1
158
FIGURA 14—28. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 2
158
FIGURA 14—29. GASOLIO: ACCORDO TRA I DATI SPERIMENTALI ED IL MODELLO 3
159
173
TABELLA 1. CEPPI ISOLATI DALLA ZONA VADOSA DI TRE DIFFERENTI SITI DI REGIONI ARIDE E
SEMIARIDE (KIEF, 1999)
29
TABELLA 2. REAZIONI GENERALI DI CONVERSIONE DELLA SOSTANZA ORGANICA IN DIFFERENTI
AMBIENTI REDOX E CORRISPONDENTI VALORI DELL’ENERGIA LIBERA DI GIBBS A PH = 7
34
TABELLA 3. SOLUBILITÀ E VISCOSITÀ DI PRODOTTI PETROLIFERI RAPPRESENTATIVI: COLE GM
(1994), “ASSESSMENT AND REMEDIATION OF PETROLEUM CONTAMINATED SITES” - BOCA
RATON, FL: CRC PRESS.
36
TABELLA 4. PROPRIETÀ DEI COMPOSTI, TEMPERATURA DEL PIATTO D’ALLUMINIO E
44
TABELLA 5
46
TABELLA 6. CALCOLO DEL MPN A 5 TUBI.
50
TABELLA 7. COMPOSIZIONE DELLA MISCELA DI REAZIONE
53
TABELLA 8. SCHEMA UTILIZZATO PER AMPLIFICARE IL GENE DEL 16S RRNA
54
TABELLA 9. SEQUENZE DEI PRIMER
55
TABELLA 10.
56
TABELLA 11. FONTI DI CARBONIO ED ENERGIA
63
TABELLA 12
70
TABELLA 13. PROCEDIMENTO PER LA PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI DI TARATURA
72
TABELLA 14 TENORE DEI NITRATI, NITRITI, AMMONIO E FOSFATI NEI CAMPI DI PROVA.
78
TABELLA 15. PUNTI DI CAMPIONAMENTO E LA PROFONDITÀ DI PRELIEVO NEI CAMPI DI PROVA. 86
TABELLA 16. FASI DI SPERIMENTAZIONE DELLE TECNICHE SVE E FPR NEI CAMPI DI PROVA BS1 E
BS2.
86
TABELLA 17. PARAMETRI OPERATIVI E CONFIGURAZIONI SVE NEI CAMPI PROVE 1 E 2
88
TABELLA 18 SETTEMBRE 2002, CAMPO PROVA 1: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE.
95
TABELLA 19 OTTOBRE 2002, CAMPO PROVA 1: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE
96
TABELLA 20 GENNAIO 2003, CAMPO PROVA 2: CONSUMO DI O2 E TASSO DI DEGRADAZIONE
97
TABELLA 21 LIVELLI PIEZOMETRICI DI FALDA E PRODOTTO, RILEVATI PRIMA (25/07/02) E DOPO
(30/07/02)
99
TABELLA 22. QUANTITATIVO DI PRODOTTO RECUPERATO E QUANTITATIVO DI ACQUA EMUNTA NEL
CAMPO PROVE 2
102
TABELLA 23. CAMPIONI RACCOLTI PRIMA DELLA MESSA IN OPERA DEI POZZI DI BIOSLURPING. 104
TABELLA 24. CAMPIONI RACCOLTI DURANTE IL MONITORAGGIO DEI DUE CAMPI DI PROVA DI
BIOSLURPING.
105
TABELLA 25 CAMPIONI RACCOLTI NEI CAMPI DI PROVA MNA.
110
TABELLA 26. CEPPI ISOLATI DALL’ARRICCHIMENTO MPN DEI CAMPIONI DI SOTTOSUOLO BS1.0,
BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5 IN TERRENO MINERALE BH CON CONTAMINANTE (CEPPI SERIE BS1.0,
BS1.2, BS1.3, BS1.4, BS1.5).
115
TABELLA 27. CEPPI ISOLATI DAL CONTAMINANTE MEDIANTE ARRICCHIMENTO (CEPPI SERIE M). 116
TABELLA 28. PROFILI OTTENUTI TAGLIANDO CON LE ENDONUCLEASI ALU I, RSA I E HINF I I 16S
RDNA AMPLIFICATI DEI CEPPI DELLA SERIE M. NON SONO CONSIDERATE LE BANDE AL DI
SOTTO DI 100 PB.
118
TABELLA 29. PROFILI DI RESTRIZIONE DEI CEPPI ISOLATI DALLA MISCELA CONTAMINANTE (CEPPI
SERIE M).
119
TABELLA 30. PROFILI OTTENUTI TAGLIANDO, CON LA ENDONUCLEASI ALU I, I 16S RDNA
AMPLIFICATI DEI CEPPI DELLA SERIE BS1.0 E BS1.2. NON SONO CONSIDERATE LE BANDE AL DI
SOTTO DI 100 PB.
120
TABELLA 31. CEPPI ISOLATI DAL SUOLO DELLA FRANGIA CAPILLARE CONTAMINATA NEL CORSO
DEL MONITORAGGIO (CEPPI SERIE BS1.0, BS1.2, BS1.3, BS1.4 E BS1.5).
120
TABELLA 32. RISULTATO DELL’ANALISI MEDIANTE SIMILARITY MATRIX VER. 1.1 DELLA SEQUENZA
16S RDNA DEL CEPPO M22BI
122
TABELLA 33. ANALISI DEL 16S RDNA DEI CEPPI ISOLATI DAL SUOLO DELLA FRANGIA CAPILLARE
CONTAMINATA NEL CORSO DEL MONITORAGGIO.
123
TABELLA 34. CRESCITA SU TERRENO AGARIZZATO CON IDROCARBURI FORNITI SOTTO FORMA DI
VAPORE DEL CEPPO M22BI.
129
TABELLA 35. CRESCITA SU TERRENO LIQUIDO CON IDROCARBURI DEL CEPPO M22BI.
131
TABELLA 36. DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE OPERATA DAL CEPPO M22BI (TPH)
134
TABELLA 37. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEGLI ALCANI LINEARI ED A CATENA
RAMIFICATA
136
TABELLA 38. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI
137
174
TABELLA 39. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI NAFTALENI SOSTITUITI
138
TABELLA 40. MISCELA CONTAMINANTE - DEGRADAZIONE DEI NAFTENI SOSTITUITI
139
TABELLA 41. DEGRADAZIONE DEL GASOLIO OPERATA DAL CEPPO M22BI (TPH)
142
TABELLA 42 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEGLI ALCANI LINEARI ED A CATENA RAMIFICATA
144
TABELLA 43 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI MONOAROMATICI ALCHIL SOSTITUITI
146
TABELLA 44. GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI NAFTALENI SOSTITUITI
146
TABELLA 45 GASOLIO - DEGRADAZIONE DEI NAFTENI SOSTITUITI
147
TABELLA 46. CONFRONTO TRA LA DEGRADAZIONE DELLA MISCELA CONTAMINANTE E DEL
GASOLIO
149
TABELLA 47. ESPERIMENTO DI DEGRADAZIONE IN BATCH CON MISCELA CONTAMINANTE E
GASOLIO COME FONTI DI CARBONIO
150
TABELLA 48. MISURE DELLA QUANTITÀ DEL DNA TOTALE DURANTE LA CRESCITA DEL CEPPO M22BI
150
TABELLA 49. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL
MODELLO 1
156
TABELLA 50. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL
MODELLO 2
156
TABELLA 51. MISCELA CONTAMINANTE: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL
MODELLO 3
157
TABELLA 52 GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 1
158
TABELLA 53. GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 2
158
TABELLA 54. GASOLIO: RISULTATI DELL’INTERPOLAZIONE DEI DATI PER IL MODELLO 3
159
175
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