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25 maggio 2007
Renzo Piano: elogio della leggerezza
di Giovanna Canzi
Un bagno di folla per l'inaugurazione della mostra dedicata a Renzo Piano.
Così Milano - la Milano degli architetti e dei designer, degli studenti e degli
editori -, ha dato il via alla quarta Edizione della Festa per l'architettura,
festeggiando i settant'anni del grande demiurgo genovese. Applausi e
ammirazione per colui che meglio di altri ha saputo interpretare le sei
proposte per il nuovo millennio elencate da Italo Calvino nelle sue "Lezioni
americane": leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza.
Ed è proprio a Calvino, che si ispira il titolo dell'esposizione "Renzo Piano.
Building Workshop. Le città visibili" ospitata fino al 16 settembre dalla
Triennale. Emozionato e fiero dell'omaggio milanese, l'architetto che tutto il mondo ci invidia, giunge
sorridente nella sede progettata da Giovanni Muzio, considerata un punto fermo della sua giovinezza
e un edificio che "pur essendo di epoca fascista, non ha nulla di monumentale o retorico". Curata da
Fulvio Irace, con l'allestimento di Franco Origoni (catalogo Electa, www.electaweb.it), la grande
mostra è un tuffo in un universo, dove regnano sovrane gigantesche "capanne" di legno, grattacieli
trasparenti o bolle, che riflettono la luce del sole. Per l'occasione il
secondo piano della Triennale ha assunto le sembianze di un enorme
laboratorio creativo, uno studio - lo studio di Piano appunto, quello
genovese di Punta Nave o del Marais parigino - dove seguire la
genesi di un progetto, dall'idea alla sua oggettivazione nella realtà.
Tavoli, modellini in legno, sedie, cataloghi… un disordine carico di
fermento, che racconta l'emozione di chi osserva giorno dopo giorno
come uno schizzo possa prendere forma e trasformarsi in un'entità
tangibile. Una grande e spaziosa bottega, dove mostrare al pubblico
il processo architettonico, dall'alfa all'omega, e la passione quasi
artigianale propria di una radicata "cultura del fare". Su ogni tavolo un progetto diverso, da cui
emerge come tutta l'opera di Piano - come sottolinea Matteo Agnoletto in "Renzo Piano" (Motta
Editore, www.mottarchitettura.it) -, può essere letta come un solo e suggestivo work in progress, nel
quale riconoscere caratteristiche comuni. Processi come la sperimentazione e lo studio dei materiali, il
perseguimento del concetto di leggerezza e di versatilità poetica delle forme e delle idee, la
rivisitazione e l'assunzione dei tipi tradizionali della città (la strada, la piazza, la galleria…), il rispetto
del luogo e delle sue risorse emergono in tutti i lavori, siano essi
musei e fondazioni (Centre Georges Pompidou - Parigi, Museo
della Fondazione Beyeler - Basilea, Museo Paul Klee - Berna),
Auditorium (Auditorium Parco della Musica - Roma, Auditorium
Niccolò Paganini - Parma), biblioteche (Morgan Library - New
York) o piazze (Potsdamer Platz - Berlino). Da quando l'architetto
genovese - formatosi al Politecnico di Milano, e poi o nello studio di
Franco Albini - vinse nel 1971 insieme a Richard Rogers il
concorso per realizzare il Beaubourg, il viaggio è stato intenso e
costellato di successi. In tutti i lavori percepiamo la capacità di
leggere con attenzione il contesto urbano o geografico, in cui è
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inserito l'edificio, la volontà di non esercitare violenza, la sensibilità
di saper ascoltare la voce della natura. Poiché l'architettura impone (non come un libro che si può non
leggere o una musica che si può non ascoltare) - così sottolinea Piano - chi esercita questo lavoro ha
una grande responsabilità. L'osservazione del luogo ha, ad esempio, guidato la scelta dei materiali di
rivestimento della Menil Collection Foundation, il museo di Huston, che raccoglie gli oltre 10.000
pezzi di arte antica collezionati da Dominique De Menil. La struttura lignea in cipresso delle
abitazioni circostanti è stata riproposta come rivestimento esterno dell'edificio, che può così integrarsi
armoniosamente con il territorio. Lo stesso rispetto per il "Genius loci" ha guidato la realizzazione
delle dieci "capanne", che compongono il Centro culturale Jean-Marie Tjibaou in Nuova Caledonia.
Forse l'opera più suggestiva di Piano, che, donando addirittura una
voce alla sua creazione - la struttura interna è realizzata con doghe di
legno di iroko, che sfiorate dai monsoni del Pacifico producono
leggere vibrazioni - ha sfidato l'impossibile, raggiungendo vette di
dolce poesia. Altre volte a guidarlo è stato un ragionare per metafore:
riconosciamo questo procedere nel terminal dell'aeroporto di Osaka,
simile a una fusoliera di aeroplano o nei piloni d'acciaio de il Bigo di
Genova, che ricordano gli alberi da carico delle navi mercantili o
infine nella luminosa trasparenza degli edifici, che ospitano le
redazioni de il Sole 24 Ore e del New York Times: progetti che rimandano a un nuovo modo di
intendere la comunicazione (così Renzo Piano intervistato da Renzo Cassigoli in "Renzo Piano. La
responsabilità dell'architetto", Passigli Editore, www.passiglieditori.it), edifici "in ascolto", aperti,
partecipati, capaci di un continuo confronto con la realtà.
Renzo Piano Building Workshop - Le città visibili
22 maggio - 16 settembre 2007
Triennale di Milano
www.triennale.it
A cura di Fulvio Irace
Progetto dell'allestimento: Renzo Piano Building Workshop con Franco Origoni
Catalogo: Electa
www.electaweb.it
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