il bollettino di aprile 2013

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il bollettino di aprile 2013
2013 numero 4 Aprile
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Picciotti carissimi,vasamu li mani.
proveniente da un giovanottello, un ragazzo poco
più che adolescente che “quando chiude gli occhi
canta nella sua mente”.
A Donna Teresa sembra di capire che il giovane
vada dietro a quel canto per trovargli un albergo
(una casa?). Magari lei, curiosa di cose
romanzesche, decide di seguire la Voce che si
chiama Luigi.
DUE
Eh sì che ci ‘nzertò Donna Teresa a seguire la Voce,
difatti quel Luigi, ancora senza arte né parte, fece il
suo ingresso a Capo Scirocco passando da un
portone incorniciato da “visi d’angioletti che
parevano fatti di crema di latte”.
Palazzo ristocratico era e magari l’ospite, donna
nobilissima di denari e virtuosissima di cori.
Il fatto che fosse vedova le dava agio di essere lei,
Donna Rita, la padrona di tutto ( anche di un
giovane di fatica ? ).
Il fatto poi che fosse “donna di preghiera e di
musica”, ma in primis la seconda, le consentì di
apprezzare nel giovane il talento musicale.
Mìììì, solo musicale? Musicale!
Ma quanto musicale!
Accussì alla messa grande il coro femminile della
Matrice accolse la Voce del signorino Luigi, non più
garzone ma assignorato al banco di Donna Rita.
E quando Donna Rita disse “sei un tenore” ancora
con le mani giunte della donna di preghiera, tra sé e
sé mormorò “sei un uomo” con il petto che
abbruciava.
In quel preciso istante Donna Rita dalla testa, al
petto, alle mani, agli orli della gonna si svedovò.
( Postilla al DUE )
Donna Teresa spratica com’è di cose di passioni
capisce che la Voce cosa di passione è.
Certissimamente.
Allora decide di farsi na capatina a palazzo Platanìa
l’indomani e l’indopodomani.
E mettersi all’ascolto.
Perché assodato che quando ci sono cose, anche le
pietre parlano, magari canteranno le pietre degli
angioletti.
TRE
Bbeddamatri !
UN GIOCO DELL’AMICA MARIA TERESA SU
CAPOSCIROCCO
LU CUNTU DI LU CUNTO
Tanticchia di lettura del romanzo di Emanuela
Ersilia Abbadessa : CAPO SCIROCCO
(ri) visitato da Donna Teresa pricisa pricisa la
Signora in giallo.
UNO
Appena salita sul vapore Donna Teresa, stritta
stritta nello scialluzzo giallo, è già dentro ai vapori
di panza del bastimento.
I suoi occhi combaciano con gli occhi cisposi degli
oblò.
I suoi compagni di viaggio sono soltanto odori tinti.
Fatta eccezione per una specie di odore fresco
1
A Donna Teresa la capa ci firriava, tra pietre che
suonavano e pietre che cantavano. Difatti al palazzo
Platanìa che già rumorava di suo si aggiunse magari
un altro luogo a fare voci; la casa di Annuzza, la
casa del pianoforte codato, presto presto familiare
alla Voce sbarbata che faceva bella presenza tanto
nelle sobrie stanze che recavano la desinenza
tedesca in “fer” ( dal pianoforte Bosendorfer )
quanto nei salotti che invece civettavano con la
ipsilonne francese (dalle serate musicali
dell’eccentrica Donna Cetty ).
Più case si aprivano (e magari case chiusissime)
all’astro nascente del tenorino Luigi, più stanze si
chiudevano per Donna Rita.
Una dopo l’altra tutte le stanze di palazzo Platanìa
doveva ‘nserrare la povera governante Cettina senza
ipsilonne per proteggere la sua padrona, che
comunque sprotetta si sentiva.
Al punto che quale donna di preghiera ormai
assediata dalla musica, Donna Rita decise di
allontanarsi dallo “sguardo che affondava nel
cuore” del bel Luigi per allocarsi all’ombra della
spata in numero di sette che affondava nel cuore
della Santa Trafitta.
Il convento come fece o non fece il suo lavoro di
silenziatore dei pensieri tinti solo il pensiero di
Donna Rita arricampata tra le voci del mondo lo
potrà dire.
tavolino (allato dei giovani piumati) della Rinomata
Pasticceria Svizzera, ‘ncapoi pare che una città
siciliana non può essere città senza una pasticceria
detta Svizzera ( e ché! cannoli si servono, mica
cantoni! ).
Una mesata di onorato servizio ci costò quella
pasterella a Donna Teresa.
Ne valeva la pena non ne valeva la pena?
Eccerto che ne valeva la pena!
Venne a sapere una cosa…miii e che cosa!
Una fimmina quando arrussa sedotta è.
Precisa precisa come la signorina Annuzza quando
suonava il pianoforte avanti a Luigi che cantava.
Però quando sbianca di mancamento come Donna
Rita, la fimmina come viene a essere ? tanticchia
sedotta, sedotta e castiata?
Mah!
CINQUE
Canta lu cuntu: “Gaddina chi camina s’arricampa
con la strozza china”. E magari u gaddu.
Che Luigi a furia di andare e venire da via dei
Pescatori, tornava a Palazzo Platanìa arricchito assai
di note.
Ma erano le note perdute dalla virtù di Annuzza,
presa a strattonare perfino il Boren o
Boden…miii…ca camurria i nomi forestieri!
Che aveva le spalle larghe da tedesco e come un
tedesco non si scomponeva neppure alle sonate
di…miii…un altro crucco venne ad affacciarsi
quale nota alle finestre di via dei Pescatori, quello
con la doppia
Vi che prosegue con la gne come una mala parola.
E finisce con la r come i nomi di sti musicisti
moderni, sti Wagnerre ndillicati assai.
A Donna Teresa completamente ci firriava la testa.
E torno torno la testa, per via di lu ventu tinto,
firriavano le frange dello scialletto - non quello
niuro della domenica, ma, stante il suo servizio,
quello giallo dei giorni di servizio - che si strinse
sotto il mento per seguire a Donna Rita nel silenzio
benedetto della Matrice.
“Beneditemi padre, perché ho peccato”, si fece
confessa Donna Rita.
Beddamatri!
Ora Donna Rita mandava voci non solo alla Santa
Trafitta dalle Sette Spate, ma direttamente al Capo
Altissimo dell’Armeria per il tramite del povero
parrino, il quale, ben sapendo che in Paradiso è tutto
un canto, disse al cuore puramente sanguinante
della dama che ascoltare il canto della giovinezza
non è cosa troppo peccaminosa.
Se… e qui il buon parrino ci mise una sospensione.
Invece Donna Teresa ci mise tre volte il segno della
croce che assai si segnò avanti al suo pensiero.
QUATTRO
Miii, na camurria!
Puliziare ogni matina tutti gli altarini alla Santa
Trafitta da cere e seccume di fiori, tanto che la
solerte Cettina si era lamentata con gli angiolelli di
Palazzo Platanìa - in quanto solo loro potevano
tenere ‘nserrata la bocca ( ma non per Donna Teresa
abboccata ai bisbigli delle pietre ) - che la sua
Signora Padrona s’arricampò dal convento delle
Sette, piuttosto Otto o Deci Spate per metterci
carico, ca pareva una vice abbadessa fatta e (s)finita
di priere.
Mentre Donna Rita sbiancava di sospiri perfino i
beati angiolelli di pietra del suo palazzo, in altra
dimora i muri arrossavano, e non perché di casa
popolana si trattava.
A levare colore da una parte e metterlo dall’altra
sempre la Voce fu, del tenorino, che da galletto un
poco arruffulato, gallo si fece e con quale
piumaggio! da tenere testa a quel pavone di don
Mimì. Il quale da sciupafimmine dottorato spiegò a
quella parte di Luigi che ancora pigolava, perché si
coloravano le donne, e come e quando, e cosa
veniva a significare.
E queste parlatine da masculi cose da Cafè erano.
Accussì Donna Teresa dovette accomodarsi nel
2
“ Se u gaddu non si sbriga a scegliere fra la
pollastrella (Annuzza) e la gaddina abbrodata
( Donna Rita ), ‘nca aschifiu finisce”.
Ancora prove ( scarsulidde ? ) pensava don Mimì,
l’amico di Luigi che in quanto a voci impetuose
( tradituri ! ), era competente assai.
Più vibravano, più s’allucidavano e s’accaloravano
le pietre del teatro, più si facevano trasparenti i muri
di Palazzo Platanìa, fino a trasparire il nero sotto l’
incipriata della buganvillea.
Se ne avvide Donna Teresa, per la prima volta dopo
tante passiate nella via, che le pietre della casa di
Donna Rita erano di un nero più niuro delle pietre
di lava, delle pietre del vulcano, delle pietre
dell’Etna. Perché erano fredde.
SEI
E cu fu? un lampo fu.
Un lampo di tuono (di cuore) trase la Voce dalle
aluzze della colombella Annuzza per consegnarla
de-fi-ni-ti-va-me-nte alla signora. In quanto donna o
in quanto chioccia ?
Quale busillisi si metteva in testa Donna Teresa! ora
ora che le pietre di palazzo Platanìa confetti e
mennuli parevano.
Mentre nella jurnata benedetta le Sette Spate della
Trafitta s’ infoderarono nella torta di pasta reale
duci duci all’ Abbadessa Madre Maria che accolse
gli sposi: Rita e Luigi. Oh! Finalmente sposi.
Diciamoci magari, doverosamente.
Mah! le spade sempre spate sono e finito il dolce,
dalle muddiche riaffiorano: un pensiero vastasu
come lu pensiero di gelusia si attizzò al velo bianco
di Donna Rita che si era diggià annerito nella
dimora sulle pendici dell’Etna, il nido dei
piccioncini indove Luigi fattosi ammogliato
comunque cacanidu rimase.
Miii! La camurria!
Ché i vecchi ristocratici per innamorarsi, sposarsi,
acquartierarsi scomodano assai di case. E magari
supra lu nasu sono i nuovi ricchi, e supra supra lu
nasu i signorini che hanno una voce che abbisogna
di una capitale per espandersi. E Palermo fu.
Palermo per Donna Teresa rappresentava una
trasferta troppo impegnativa. Rinunciò.
Sarebbe rimasta a Capo Scirocco, appesa al flebile
tintinnio dei due moretti corallini che pendevano dai
lobi di Donna Rita, l’unico suono riverberato dalle
pietre di Palazzo Platanìa mentre gli angiolelli
mutangoli si facevano.
OTTO
Giunse l’ora dell’ultima prova e chissà si lu tiatru
sarebbe stato bastevole al tenorino, che la Voce
l’addrizzava ancora, aggallando la cresta e i bargigli
di seta.
Aquannu in un altro teatro di cose lussuriose don
Mimì la ruota l’ammosciava, l’assuttigliava in uno
spazzolo strizzatu dopu la prima raspata, supra la
pavoncella siccome arrufulata.
Fece come un pazzo Mimì a levarsi l’impiccio
dell’amante. Una corruta da pazzi fece: Palazzo
Platanìa, il teatro e Palazzo Platanìa a correre, ma a
correre! tirandosi a Luigi affruntato assai.
Arrivarono che i muri della casa di Donna Rita si
erano assottigliati ancora, fino a diventare
trasparenti come il vetro di un acquario.
Magari Donna Teresa taliava attraverso l’acqua, e
ciò che poteva vedere ( cioè ascoltare ) non erano
più voci; bolle di pesci erano.
Bolle che giravano torno torno ad una pietruzza.
Una pietruzza niura.
Una pietruzza che mentre colava a picco mandava
alla superficie un suono, come una specie di
tintinnio. Il tintinnare delle gocce d’oro di un
carillon all’ultima girata. Donna Teresa appicciò
l’occhi a u vetro e lo vide: l’orecchino a testa di
moretto con un turbante rosso.
E riconobbe il regalo di nozze di Luigi a Rita ora
ora sposa ( ma di un ancilu ! ). E aspettò.
Il brivido del fondale che coprì il corallo d’arena
fine.
Fine.
Donna Teresa
(fora di lu cuntu, Maria Teresa Castellana )
SETTE
Gaddu! Gaddina dalle uova d’oro. Tacchino.
Si stracangiava il tenorino Luigi passando da un
pollaio all’altra, anche immaginandone di freschi
assai, di grani e di erbaggi. E di glorie.
Poi gaddu un’altra volta.
Fu quando la Voce trovò casa a teatro.
Chè il teatro è l’unica casa per una voce alta,
potente, portentosa. Matura.
Appunto, matura.
Magari tuonavano i muri del teatro di Capo
Scirocco alle prove della Voce per l’esordio
imminente.
Ma prove erano.
Prove eccellenti, concordavano il maestro e
l’impresario del tenorino. Prove.
3
Ma ecco quanto scrive la nostra Emanuela a
proposito di musical contest:
sua musica che poco si prestava a cesure nella
misura dell' aria da salotto.
I sostenitori locali di Verdi avevano buone cartucce
dalla loro, ma Wagner finì per combattere il rivale
bussetano proprio sul suo terreno: se nel salotto era
difficile entrare con la musica, lui lo fece di
persona.
Sbarcato a Palermo dal vapore Simeto il 5
novembre 1881, Wagner scese al Grand Hôtel des
Palmes di Palermo per trovare sollievo, grazie al
clima, dall' oppressione al petto che lo avrebbe
portato alla morte.
Visitò tutto, s' innamorò dei mosaici di Monreale e
lodò il tepore e le bellezze della città ma soprattutto
entrò a far parte di una cerchia di notabili
palermitani coi quali poté lamentarsi della scarsa
professionalità del signor Ragusa, proprietario del
Grand Hôtel, a sua detta il solo brigante conosciuto
in Sicilia. I Tasca, i Gangi (che lo ospitarono a Villa
Porrazzi dopo che il maestro declinò l' invito dei
Tascaa Villa di Camastra), i Lanza, i Mazzarino se
lo contesero e per loro si produsse - secondo quanto
racconta Roberto Pagano - in un' improvvisazione
pianistica dalla quale il ristretto pubblico uscì così
provato da non rischiare una seconda richiesta.
Fu ritratto nel celebre dipinto da Renoir - di
passaggio anche lui a Palermo - e accettò il
fidanzamento della figlia Blandine con il conte
Gravina, cadetto dei principi di Ramacca, non in
rosee condizioni economiche secondo quanto
riferisce Carlo de Incontrera in Wagner e la Sicilia.
E mentre qualche mistero aleggia su una sua
presenza a Ramacca della quale ha riportato - con
varie inesattezze - Giuseppe Tornello, è invece
certo il soggiorno di Wagner alle Terme di Acireale.
Sui giorni acesi esiste anche una gustosa pagina di
Giuseppe Pontiggia, ispirata da un articolo di
Roberto Alajmo, che racconta dell' incontro "a
distanza" tra Wagner e Garibaldi.
Sebbene ad Acireale il musicista non stesse molto
bene, pare però che non avesse rinunciato a un
tocco di mondanità, recandosi ospite da Agostino
Pennisi di Floristella per vedere la collezione
numismatica.
Dunque, se Wagner non era riuscito a far penetrare
la sua musica nei salotti isolani ne era comunque
diventato mattatore grazie al fascino un po' burbero
ed esotico.
Quanto alle esecuzioni delle opere valga per tutti la
recensione apparsa sul "Giornale di Sicilia" dopo l'
allestimento palermitano del 27 febbraio 1907 della
Walkiria diretta da Tullio Serafin:
«Solenne <...& il successo di uno spettacolo cui si è
dedicato con vero amore per l' arte e con nobile
slancio di mecenate il comm. Ignazio Florio».
LA SFIDA CON WAGNER
NEI SALOTTI SICILIANI
Quando
Andrea Camilleri nel Birraio di Preston
evoca il «fantasima che fa tremare tuttii musicanti d'
Europa» non sembra lontano dal vero
rappresentando gli animatori del circolo cittadino di
Vigàta impegnati in un' esilarante discussione sull'
eccellenza di Verdi o di Wagner.
Perché di veri e propri scontri si trattò, anche in
Sicilia, tra fedelissimi del Cigno di Busseto e
sostenitori della musica dell' avvenire.
A Catania ci fu anche chi finì col bollare entrambi
con epiteti assai fantasiosi. Pietro Antonio Coppola
nato a Castrogiovanni - l' odierna Enna - nelle
lettere all' amico Bartolomeo Maumary, con un
italiano incerto, si accese d' ira contro la vedova di
Francesco Lucca, succedutagli al comando della
casa editrice musicale e artefice della prima italiana
del Lohengrin (Bologna, 1 novembre 1871) ma non
risparmiò Verdi annoverandolo tra i "capibanda": «I
compositori di Opere del giorno sono tutti
Capobanda e non mai studiarono canto perciò non
conoscono tessitura di voci e perciò non fanno
cantare che a gridi e senza potersi pronunciare le
parole e volendo fare delle musiche dell' avvenire
siamo ridotti ad un caos indescrivibile».
Nell' anno del doppio bicentenario Verdi-Wagner,
si può guardare alla diatriba dell' epoca dall' interno
dei salotti siciliani, osservatorio non secondario.
Wagner vanta più d' un legame con la Sicilia: vi è
ambientato Das Liebesverbot e a Palermo, dove il
musicista si trovò tra la fine del 1881 e la primavera
del 1882, completò la stesura di Parsifal.
Di contro, i verdiani Vespri sono un' opera francese
ma la vicenda, è noto, è ambientata a Palermo (solo
per ragioni politiche nella versione italiana,
Giovanna de Guzman, rappresentata alla Scala nel
1856, l' azione è spostata in Portogallo).
Verdi non venne mai in Sicilia, ma la sua musica
era presente ovunque: malamente intonata dalle
bande, rappresentata nei teatri e regina dei salotti
nelle fortunate riduzioni per canto e pianoforte delle
arie più celebri.
Nel salotto siciliano infatti, la pratica del canto
accompagnato persistette fino almeno alla metà del
Novecento, piegando anche la canzone popolare.
In questi ambienti Verdi era principe incontrastato a
fronte della quasi totale assenza di Wagner, scartato
dalle signorine di buona famiglia un po' per la
difficoltà dei testi un po' per la natura stessa della
4
In ballo c’è la loro permanenza ad Agrigento, c’è la
stessa storia del convento e la chiesetta annessa che
custodisce preziosissimi stucchi di Giacomo
Serpotta.
Tuona suor Faustina, la giovanissina badessa: «Non
possiamo restare a guardare che il nostro
monastero continui a perdere pezzi. Io sono molto
preoccupata nel vedere che la nostra casa stenta a
sopravvivere. Questi stucchi sono stati voluti dal
nostro Ordine che li ha custoditi con amore».
Che da solo non basta.
Il monastero «galleggia» sull’acqua, è circondato da
reti idriche vecchie di sui nessuno conosce le
diramazioni. E tutte le volte che nella zona viene
erogata acqua le antiche pareti del convento
s’inzuppano. Si dovrebbero riparare le condotte
colabrodo, si dovrebbe fronteggiare l’emergenza
umidità. Si dovrebbe.
Ma in realtà non si fa niente e gli stucchi, gli angeli,
le raffigurazioni sembrano appena tornate da un
campo di battaglia: tutti claudicanti e con vistose
ferite. Pezzi di mani sono già caduti, altri si sono
sbriciolati, un grande pannello pieno di decorazioni
si sta distaccando. «La situazione è sotto controllo,
lo stiamo puntellando», assicura il sovrintendente
ai beni culturali Pietro Meli».
Il suo ufficio tecnico è al lavoro per intervenire su
tutti i fronti, ma mancano al momento i
finanziamenti ed i capitoli della Regione sono
prosciugati. Ci vorrebbe anche un sistema di
deumidificazione con la collocazione di alcuni
apparecchi che attraverso le onde elettromagnetico
impediscono all'acqua di risalire. A finanziarlo
dovrebbe pensarci il ministero degli Interni,
proprietario della Chiesa. La richiesta deve ancora
partire e manca pure il progetto. Qualche buona
notizia arriva dai privati. Tra i commercianti di via
Atenea è in corso una «colletta» per salvare gli
stucchi. L’artista Roberto Vanadia ha realizzato un
presepe, ed i soldi dei visitatori saranno devoluti
alla salvaguardia delle opere barocche.
Realizzato anche un calendario da tavolo per
racimolare fondi.
Un sit-in, per richiamare l’attenzione delle
istituzioni e della prefettura, si è svolto venerdì sera
davanti alla chiesa.
E le monache non ci hanno pensato due volte a
unirsi al gruppo di laici e studiosi che ha alzato
cartelli, sollecitato interventi. Lasciate le celle suor
Faustina e alcune delle altre suore anziane hanno
fatto sentire la loro voce. Perché, si sa, il silenzio è
d’oro, mette al cospetto di Dio.
Ma quando ci vuole, ci vuole.
D' altra parte però le opere di Verdi, furono una
presenza costante, anche con qualche gustoso
incidente che non sfigurerebbe tra le pagine di
Camilleri.
Alla riapertura del Massimo di Palermo, il 3 marzo
1901 l' impresa Laganà aveva allestito Otello.
Così riporta "L' Ora": «La sala è pienissima e
magnifica. Tutta l' élite palermitana s' è data
convegno alla première. Appena il maestro cav.
Rodolfo Ferrari fa attaccare le prime note dell'
Otello, scoppia un applauso unanime e si grida:
"viva Verdi!"».
Ma il diavolo quella sera ci aveva messo lo zampino
e a metà del terzo atto un incidente interrompe la
rappresentazione: uno scroscio impetuoso d' acqua
invade il palcoscenico: tra lo stupore e il panico
generale, alcune signore si affrettano sconvolte ad
abbandonare i palchi temendo un incendio che i
pompieri stanno tentando di domare.
Il povero direttore di scena spiega che si tratta
semplicemente di un tubo dell' acqua rotto.
Ma l' esecuzione è jellata e la tela cala sul silenzio
generale
Per gentile concessione di Repubblica (Palermo)
Dall’Abbadessa alle monache di clausura…..
La protesta per l’arte
in piazza le monache di clausura
AGRIGENTO.
A Santo Spirito, nel cuore del centro storico di
Agrigento, da secoli si applica la regola del silenzio.
Infranta solo alle 4.30 del mattino, quando il suono
della campana del monastero invita le suore di
clausura al alzarsi e rimettersi in preghiera: «La
veglia comincia quando quella del mondo finisce.
Ecco lo Sposo andategli incontro!», si legge in un
decalogo dell’Ordine delle Benedettine Cistercensi.
E nel cuore dell’alba le monache lodano Dio «per
quelli che non lo fanno».
Il silenzio continua, poi, per tutta la giornata, senza
pause tra l’Ufficio delle letture, la meditazione della
Parola, l’Eucarestia, l’ora terza e la sesta seguita
dalla recita dell’Angelus, i vespri, i momenti di
fraternità, la cena e il ritorno in cella per la notte
recitando un Gloria e un ritornello antico («... in
pace mi corico e subito mi addormento») che
anticipa la benedizione della madre Abbadessa che
chiude la giornata.
È così da secoli e secoli.
Ma la regola in questi giorni viene infranta, e
volentieri, dalla religiose che scendono in piazza e
si uniscono alla protesta.
ALFONSO BUGEA
x gentile concessione del Giornale di Sicilia ( AG)
5
Continua a firma di Riki Ragusa
IL COMMERCIO DELLE CHIACCHIERE
arricivuto; criu che manco to mà, te lo disse mai
nella vita sua; ….ma stocchiamola
quì non vogliu aggiungere ancora acqua a la
minestra; chiùttosto dimmi chiddru che mi devi dire
dell' omicidio Lo Bello e poi vattinni il più lontanu
possibili; ho molte cose da sbrigare oj; con questa
cammuria di causa persa tra i Camarroni ed i
Trivvoti và a finire che un giorno o l'avutro si
scannarozzano a vicenna senza manco darimi il
tempo utile di arrivari alla sentenza finali davanti a
lu Judice .>>
<<Bene ! meglio accussì Peppì; mi compiaccio che
abbiamo le stisse amicizie... ma evidentemente per
motivi diversi..almeno fino a stu minutu,>>
e proseguì:
<<i mandanti dell' omicidio Lo Bello furono i
fratelli Camarroni Pirocotto assieme a Rosa
Trivvoti e Tanino Scassato ;accussì mi disse una
fonte sicura, ma per cortesia nun addumannarmi
quale è il movente ,picchì è tempo perso ,ed iu non
saprei chi arrisponderti.
Adesso non catafotterti altre idee per la testa e
dammi„midiatamenti
il
cd
della
nostra
conversazioni!>>
<<Quali cd Totò? io ti dissi che arregistrai ed è
veru..! ma nella testa mia lo feci, mai mi sarei
pirmisso di registrare la tua vuci di cucco „mbriaco
sul mio PC…..e cù minchia sei Pavarotti o
Ramirez?"
Scacco matto !
Di qello si trattava.
L.avvocato si prese gioco così di Totò Kriminal che
pi repentina perdita di autostima, firriò le
spalle all'avvocato senza diri ciu e niscì dalla porta
come un cane vastuniato.
"quannu lu nicu si metti cu lu granni sempri li
vertuli a mala banna appenni"
Il giorno appresso con il paisi , si arrisbigliò la
monotonia di sempre.
Muli passavano per Via Nazionale lasciando i loro
bisogni ‘mezzo alla strada come souvenir; camion
carichi di operai si preparavano a travagliare la terra
spostandosi da Fifidali in cotrada Milione, zona
fertile colma di vigneti; i bar Sardella e Zirrico
sempre aperti di buon’ ora per servire i primi caffè
alla genti matinera ; passeri oramai in
sovrabbondanza che con lo squillante cinguettio
rendevano gli ambienti dell.immediata periferia del
borgo, simili a quelli dell'emisfero tropicale, mentre
i ziusì !ziusì !ziusì! dei merli davano il benvenuto ai
primi raggi del sole.
Gli altri scorci di quotidianità oramai divenuti
prassi erano i taglia e cuci di casalinghe senza
un reale chiffare giornaliero e/o scopo di vita.
Quinta puntata
Il giorno dopo che il Signiruzzo mandò sulla terra,
per bona fortuna capitò di Mercoledì , ed in via
D'Alessandro i mercatisti conzavano il mercato;
quello era il posto ideale per incontrare il tirapiedi
del Padrino, Nenè Ciunco, omo di fiducia ed
eccellente sapitore dei fatti di mafia della zona ,
nonché socio sporadico in malaffari di Totò
Kriminal. Tra la gente che accattava robbe al
mercato a cantunera precisi c’era Nenè.
<< Ti bacio le mani Nenè >>
<<Ma non potresti baciare un pò più giù del
muddrico Totò? ..lo sai che tu hai sempre un posto
in prima fila! >>
<<sei un vastaso !! chiùttosto ….è da jorna che ho
un punci pi la testa che vorrei sapiri.. accussì ..pi
curiosità …>>
<<dimmi Tò>>
<<ma cu minchia fù quel fissa che pagò tanti sordi
al Padrino, per eliminare un mischinazzu comu
Luigi Lo Bello ?"
C.è genti strana pedi pedi oggi sai? Bisogna sempri
pararisi u culu! >>
<< se ti lu dicu manco mi credi …addirittura mancu
iu ci vulia cridiri…i mandanti del micidio
furono…teniti forti…. Rosa Trivvoti assieme ai
fratelli
Camarroni
Pirocotto…ma
non
addumannarmi avutro picchì non sacciu chiù nenti;
la facenna è strana assai pi mia, ma poi tu lo sai di
cosa mi occupo io e antri stori chiù precisi non
sacciu e non vogliu sapiri.>>
Totò si mise in tasca quello che gli interessava per
sarbarisi l'anima e macari dal carcere che
l’avvocato Caruana gli aveva prospettato; troncò il
discurso gli strizzò l'occhio e lo salutò.
C'era da dire che il tempo a disposizione, Kriminal
se l'era giocato bene pi divvero.
L'indomani fu il giorno della resa dei cunti con
l'avvucato Peppinello Caruana, al quale per
l'intenso carrico di travaglio, gli sfuggì
completamente la facenna dell'ultimatum e delle
quarantotto ore, dato giorni prima a Toto.
Quel dì si sentì un morbido tuppuliare alla porta
dello studio Caruana.
<<Ci sarebbe pirmisso per entrare?>>, una vocina
da dietro la porta leggermente a-vaniddruzza venne
fora timidamente;
<<Trasi e nun fari u calamaro >>
arrispose Peppinello Caruana che arricanuscendo la
voce
del
malfamato
'"amico"gli
lampiò
immediatamente ntesta la facenna.
<<Dirti che sei un gran fituso caro Totò.. è farti
forse il migliore dei complimenti che tu abbia mai
6
<<Senta signora Rosa ….quello che oggi volevo
dirle è che probabilmente la sua causa si terrà con
qualche mese di ritardo rispetto ai tempi previsti
,perché bisogna raccogliere qualche
avutro elemento pi procedere con cautela …mi
spiego?>>
“più generico di accussì si muore”
pinsò
l'avvocato;
<< poi con il caso Lo Bello che sto trattando perora
sotto richiesta del procuratori capo personalmente…
sapi..>>
non era vero!
<<Va bene avvocato se lei dice accussine l'omo di
liggi è voscenza e non noiavutri.>>
Rosa trivvoti, proseguiva adesso il discurso con una
voce tentennante che fici assai insospettire quel
vurpuni di Peppino Caruana;
<<sapi la morti di 'Zi luigi ha fatto pena a tutti noi
paesani.. pensi pure che mio figlio Tanino
mischino.. fici mezza jornata di chiantu senza
interdizioni, picchì iddru ci voleva bene como
a un patri a la bonarma di Luigi Lo Bello!>>
<<Nel frattempo signora Rosa a scanso di possibili
equivoci>> disse il Caruana,
sarebbe opportuno che suo figlio facesse un piccolo
prelievo di sangue e lo desse a me in una provetta
,in modo da verificare attraverso delle analisi che io
farò eseguire, se risulta possibile stabilire la
paternità di Fofò Camarrone Pirocotto nei riguardi
di suo figlio ed avere in mano una prova decisiva
per il riconoscimento della paternità e donchi la
conclusione del processo a nostro favore, che credo
si terrà entro Dicembre.>>
La richiesta del prelievo ,avanzata da Peppinello
Oravegnu, risultò alquanto bizzarra e mai sintuta
prima di allora da una accussì ignoranti come Rosa
Trivvoti.
I laboratori di genetica in quel tempo si contavano
sulla punta delle dita ed erano distribuiti su tutto il
globo terrestre al servizio di prestigiose autorità
civili e militari; figurarsi se a Fifidali, remoto paese
dell'entroterra Giurgintano, a nord dill'Africa,
arriniscivano a trovarne uno;
Totalmente all'oscuro di ciò che avrebbe potuto
combinare Peppinello Caruana con il campione
ematologico, Rosa Trivvoti si prisintò dopo manco
cinque giorni dal precedente incontro, presso lo
studio legale Caruana consegnando di persona la
provetta richiesta dall'avvocato; poi la fimmina
firriò le spalle e se ne tornò a casa a sbrogliare i
suoi chiffari lontano dagli occhi scomodi della
genti.
La sera di quello stesso giorno mentre Peppinello
Caruana ascoltava soddisfatto un remaster di
FRANK ZAPPA, il comunicato interruppe ; in un
Si viveva senza picchì e piccomu; del gran miracolo
dell'esistere dato dal Signiruzzo, Fifidali era
completamente all.oscuru. Bastava sulu avere per
essere.
„Nzumma: Fifidali era semplicemente l.espressione
microscopica: Della Terra Delle Chiacchiere E Dei
Non Fatti , Dell'apparire E Non Dell'Essere, Del
Potere Sui Deboli Da Una Latata E Della Paura
Della Morte e soppressione Dall'Altra. La Terra Di
Alcuni, Di Tutti E di Nessuno.
*Ma chissa era un avutra storia assai camurrriusa e
complicata che finu a parlarne, faceva viniri ‘u
votastomacu. Sceso in piazza dalla sua cinquecento
rosso amaranto , posteggiatosi dinanzi al bar “antica
pasticceria da Carmelo Licitra", Peppinello Caruana
trasì dintra, ed ordinò al banco il solito caffè
ristretto; ma manco fece in tempo ad arriminare lo
zucchero appena sbarrato nella tazzina, che Rosa
Trivvoti assieme al figlio Tanino Scassato gli si
presentarono darrè tuppiandogli alle spalle come
fussi un porticato.
<<Buongiorno avvocà ! ci scusasse per l'iterdizione
, ci mandò qui il comandante dei vigili ubrani
…sapi trovammo la porta del suo studio ligali
chiusa e donchi ci pigliammo il pinsero di venirla
ad arricampari per discutere di…>>
troncarono lì il discurso, picchì taliannusi entrambi
in faccia le parti si intesero;
<<si..si..si! >>
prontamente arrisorbì l'avvocato ,
<<aspettatemi pure fora dallo studio legale che sto
venendo; anzi.. giusto con voi dovrei parlare vi
avrei convocato io stesso in questi giorni.>>
Certo che se avessero voluto toglierlo dalla
circolazioni non ci sarebbe stato megliu informatore
del cumannande dei vigili urbani , che sapia filo
filiddru e mastru scarparu dei
movimenti del Caruana.
Era questione di tempo, ma tra i due sarebbe prima
o poi andata a finire a pagnittuna nivuri comu la
pici.
Fatte le scale che portavano al piano in cui era
situato lo studio legale, Rosa Trivvoti si sedette e
attaccò subito a parlare:
<<senta Dottor Mauestro in liggi Caruana noi ci
abbiamo purtatu un piccolo acconto in dinaro per le
spise iniziali della causa contro i Camarroni
Piracotti , propriu come voscienza chiese giorni fa
quando incuntrò a mio figlio Tanino;
<<Certamente !>>
replicò subito Peppinello Caruana , cercando di
pigliare di filo la signura per scippargli qualche
informazione utile , a conferma di quello che gli
aveva riferito qualche giorno prima quel malandrino
di Totò .
7
flash radiofonico sulle nuove scoperte scientifiche,
si dava notizia che a Palermo la prestigiosa
industria statunitense –Texas Genetic Research- nel
giro di poche settimane avrebbe attivato il nuovo
polo di ricerca e analisi genetiche ,sito
nell'immediata vicinanza del giardino botanico del
capoluogo.
Si invitavano ,via etere, i cittadini di tutta l'isola a
partecipare all. inaugurazione.
Fù l'abbonamento ad nota rivista scientifica
nazionale: “SCIENZA E CUSCIENZA”, attraverso
cui Peppinello vinni a canuscenza, che con un
dettagliato esame di un campione di sangue umano,
si sarebbero potute confermare ipotesi sulla
provenienza di un individuo dunque poter dire in
definitiva chisso è il padre e chissa è la matre.
Ragionando a friddu , Peppinello pinzò:
<<quali meglio occasioni per provare se funziona
davvero questo nuovo laboratorio di analisi
genetiche? ed inoltre, quali meglio opportunità per
dimostrare questo presunto legame tra Fofò
Camarrone Pirocotto ed il figlio di Rosa Trivvoti,
Tanino Scassato?>>
Preparò tutti i documenti necessari e le richieste per
le autorizzazioni a fari riesumare la salma di Fofò
Camarrone Pirocotto con lo scopo preciso di
mettere a confronto il patrimonio genetico di quello
che arristava di la buon anima , con il sangue di
quella mal'ombra di Tanino Scassato, e vidiri se il
DNA currispunnia.
Peppino raccolse tutte le prove materiali e poi
incaricò un corriere perchè consegnasse tutto
al –Texas Genetic Research- di Palermo in modo
che si potesse far chiarezza sugli eventi
succedutisi, e accuminciare a chiamare le cose con
il loro giusto nome.
Una matina Peppino alzatosi di buon’ora incontrò
in piazza i fratelli Camarrone Pirocotto:
<<Buongiorno avvocà !>>
con il sorriso a novantanovi denti esclamarono
all’unisono i due fratelli Camarrone;
<< A lor signori buongiorno…mi compiaccio di
vedervi in buona salute!>>
di buona salute ne avevano da vendere i Camarroni
e poi quel naso grosso colore foco e di forma tonda
come uno “sbergio” , li faceva sembrare gemelli
fungendo anche da spia di benessere.
<<Non sò se il vostro avvocato ha avuto modo di
comunicarvelo, ma probabilmente la causa
impiantata dalla mia cliente Rosa Trivvoti nei vostri
riguardi andrà un pò per le lunghe ..forse a fine
Dicembre si saprà qualche cosa su…." E
s'interruppe di proposito, dando per scontato che
loro avrebbero inteso.
Ma accussì non fù.
<<No! nessunu ci disse nenti ! ma se le cose stanno
in questa manera noi pazienteremo; d'altronti non
avemu paura di nenti perché siamo sicuri dei fatti
nostri ; Tanino Scassato non è figlio di nostro
patre..sicuru và!. >>
I Camarroni sorrisero come se Peppinello invece di
dargli un informazione importante, avesse cuntato
una barzelletta di quelle vastase che fanno ridere da
vagnarisi i mutanni.
L.avvucato si firriò senza dire "né schì né te né
passi 'cà" e fici „nzigna per ritornarsene a
travagliare nel suo studio; ma percorsi appena una
cinquantina di metri, il Caruana venne distolto dal
suo fissare intensamente il vuoto, da una vocina
frivola che lo riportò alla realtà:
<<Dottore Caruana le bacio le mani!>>
<<..ma minchia oggi mi piglianu tutti pù culu?
adesso mi sentono chi è Peppinello!>>
accingendosi con gran impeto, a ‘ncazzarisi di mala
manera con lo sventurato dalla vocina di
picciliddru, accadde al poviru ligale in vidiri e
sbidiri una visione ed truvò appena la forza di
rispondere al saluto rivoltogli.
La visione fù: una nasca tonda come uno sbergio,
visto appena cinco minuti prima, sulla faccia dei
fratelli Camarroni Pirocotto ; lo sbergio adesso se
ne stava tranquillo a pigliare il sole appiccicato
sulla faccia di Tanino Scassato, che sino a quel
momento rimase del tutto ignaro, del gran burdello
che avrebbe scatenato quella nascazza tunna e
russa.
Peppinello taliò la nasca attentamente; tirandosi il
paro e lo sparo, fici' le sue prime considerazioni ,i
fenotipi erano molto simili tra loro; accuminciò a
pinzare su comu pottiru iri
i fatti tra le parti in lite e che alla luce di questo
nuovo indizio, gentilmente concesso da matri natura
,probabilmente la linea genetica comune tra i
Camarroni Pirocotto e Tanino Scassato c'era
viramente.
Bisognava andarci con i pedi di chiummu per non
cadere in conclusioni affrettate; Peppinello questo
lo sapeva bene.
Currìa l.anno 1995 e pì precisioni Novembre.
Il giorno di Tutti i Santi, l.abbucato aveva la buona
abitudine di recarsi al cimitero di Fifidali per
portare i fiori alla propria nanna, alla quale restò
assai legato per le ragioni oniriche oramai note.
Peppinello trasì per il cancello principale e andò
dritto tirato a destinazione , sapendo dove era
sistimata la tomba.
Arrivato sul posto, posò i fiori su di una foto ad un
ripiano e sflilandoli uno per uno dal mazzo
dedicava ad ogni fiore che riponeva nel vaso colmo
d’acqua ,una preghiera e un dolce pinzero d'amore;
8
ma un improvviso colpo di vento l’attimo appresso
fece vulare „nterra tutti dri beddri sciura e svelò
questa scritta darrè a quella dove aveva posato
pruvvisoriamenti il mazzo: "Qui Riposa Fù..Luigi
Lo Bello…….deceduto a Fifidali il.....".
Ll'impatto emotivo per quelle poche righe fu assai
forte e Peppeinello non volle trattenersi dal versare
le giuste lacrime nel ricordo dell' amico
tragicamente estinto.
Con un gesto paterno e sincero prese dalla tasca
destra dei pantaloni il fazzoletto di lino che usava
sempre per le occasioi e diede una spriulazzata alla
foto del defunto Luigi, picchì troppo infitusita dalle
piogge di sabbia chi vinivano dall.Africa fuori
stagione; nun l'avesse mai fatto quel gesto ! si và a
scummoglia una foto a culuri , raffigurante „u 'Zi
Luigi sorridente ; fedelmente scattata da Masiddru
di Vicè, prestigioso fotografo del tempo, e sbintò
con gran stupore sulla faccia del defunto Luigi, una
nasca grossa come uno sbergio oramai assai
familiare e vista girare a Fifidali montata su diverse
facce.
Forte fu lo shock emozionale e Peppinello Caruana
purtroppo cadde per terra a mazzu di cavuli.
Vinni di cursa aiutatu e soccorso dalla gente che
stava nei dintorni e fù purtato dal caposantaro di
persona con la macchina del servizio funebre
comunale, all'ospedale S.Citrolo di Girgenti ove la
Dottoressa Anna Passalacqua, amica ed amante, si
prese cura di lui rimettendolo in sesto in pochi
giorni, senza grossi problemi.
Nulla di grave successe. Sulu scantu.
Ritornato a Fifidali, dopo circa due settimane
dall'incidente del Capusanto, Peppinello circò di
riassettare un pò le idee, annaffiando sempre di più
e con acqua bona, un sospetto pericoloso verso le
persone che all’epoca gli firriavano intorno cù pi na
cosa cù pi l’autra.
Secunnu Peppino Caruana in merito al sospetto
supposto, Affronzio e Pasquale Camarrone
Pirocotto , Tanino Scassato ed il tragicamente
ucciso 'Zi Luigi Lo Bello, avevano piantato in
faccia, lo stisso naso a sbergio di indiscutibile,
unica discendenza; e Peppinello che ora più che mai
conduceva le indagini sempre più meticolosamente.
Nel mentri Pasquale ed Affronzio Camarrone
Pirocotto si priparavano a passare le feste di Natale
e Capodanno a Fifidali.
Succedi che la notti di S.Silvestro , usciti di casa per
accattare la classica bottiglia Nero d. Avola sempre
tenuta in grandi scorte nel bigliardino di Pepè
Guanà , un mega petardo lanciato con grande
anticipo rispetto alla mezzanotte da 'un picciliddo
killer situato supra un finistruni che dava sulla via
Nazionale, toccata terra, andò a scoppiare vicino ai
due Pirocotti stroppiandoli e ferendoli di mala
manera. Sangu vuci e parolazzi si ficiru schifiari,
ma Diu vonzi che i due si „ni niscissiru solamenti
con ferite ed ustioni, a dire dei medici dell'ospedali
S.Citrolo di Girgenti, guaribili al massimo in una
decina di jorna. Il marasciallo Enzuccio Montaperto
,essendo venuto a canuscenza dell'esplosione
dell'ordigno quasi bellico , il giorno appresso ordinò
che venisse denunziato il padre del picciliddo
dinamitiere , correlando la denunzia con una multa
di novecentomilalire a carrico del genitore del baby
killer.
Avendo saputo del ricovero presso l'ospedale
S.Citrolo ,dei fratelli Camarrone Pirocotto ,
Peppinello Caruana decise di jocarsi una carta per
lui importante.
Spingi u telefonu e chiamò:
<<0922/4712….Pronto Ospedali S.Citrolo qui è il
centralino cu è lei e cuccù voli parlari?>>
esclamò la voce di una signorina arranzunata e con
poca littra;
<<sono l'avvocato Peppinello Caruana; vorrei
parlare con la Dottoressa Anna Passalacqua
graziè>>
L’abbucato
rispose
formalmente
e
con
atteggiamento superiore ;
<<ah avvocato lei è! …io sono.. num mi canusci?
Maria Di Benedetto sono! , miii la Dottoressa Anna
ultimamente si lamenta assai di vossia dice chi lei la
cerca solo se deve..comu dire…maniarla ,e poi non
si fa vivo per un sacco di tempo ; guardassi che
questo nun è modo di gentiluomo, io glielo dico
picchì l'ho vista crescere e questa cunfidenza me la
posso pigliare! picchì sapi…la fimmina vole essere
anchi
pensata…amata
…circata..sbalordita…emozionata.." ;
<<vidi chi minchiata…!>> pinsò Peppinello.
Ma sentendo le parole di quella fimmina e con il
senno di poi, l’abbucato arriniscì a spiegarsi il
picchì di quando venne ricoverato all'ospedali dopo
il fatto del Camposanto, ebbe una volta
l'impressione di avere scippato una forte
masciddrata nù musso, ed udito contestualmente
una voce arraggiata di donna che gli diceva :"
questo ti meriti ricottaro!" evidentemente era stata
Anna a mollargli il ciampatone tra una cura e
l’autra.
<<Comunque… adesso le passo l'interno interessato
avvocà… mi raccomando non facissi più il vastaso
come sapi fare lei; io la canuscio meglio dei suoi
scarpi… io la saluto vàbbe! e….bone cose.>>
Maria Di Benedetto era la comare dei suoi genitori;
l'unica cosa che si poteva fare quando lei
chiacchiariava superchiu era..silenzio e basta;
9
<< ma c'è di mezzo la morte di un uomo ….adesso
non posso raccontarti tutto mi devi fare questo
favore nel segno di ciò che siamo e che saremo
,…me lo devi fare stu favore o dalla porta o dalla
finestra chiaro!>>
Sta vota parlava supra u seriu ed era incazzatu
nivuru. Anna, conosceva bene Peppinello Caruana e
sapeva che non l'avrebbe mai ficcata nei guai a
costo che ne avesse pagato lui in prima persona le
conseguenze. Tra loro c'era vera amicizia e
complicità ..oltre che le note vicende di pilu.
<< Maledetto il giorno che ti ho „ncuntrato, … e
stupida io che non sacciu mai dirti di nò!>>
era fatta !
<<passa domani sira da casa mia che ti faccio avere
quello che ti serve e spero veramente che tu ne
faccia buon uso; ma piffavore non mi tirare dintra i
tuoi strani giri mi spiego? >>
Si baciarono intensamente lasciando al caso
l'andazzo delle ore successive.
Durante la nottata Peppinello Caruana non arriniscì
a chiudere occhio; dintra il letto si vutava e
risbutava per la tensione e l'ansia per quello che
avrebbe cumminato i giorni appresso, sulla base dei
leciti sospetti che lo tormentavano.
-------
oppure diversamente la discussione non sarebbe
finita lì.
Come da protocollo Peppinello il silenzio lo
rispettò.
<<Pronto Dottoressa Anna Passalacqua reparto
trasfusioni di sangue con chi parlo?>>
<<sono io Anna …Peppinello; avrei bisogno di
parlarti quando ci possiamo vedere …è una cosa
urgente!>>
<<Peppinè ultimamente mi sembri un pò nevrotico,
picchì non ti fai una bella vacanza eh! >>
<<Senti Anna ho bisogno di una cortesia. Alle
diciotto ci vediamo al Bar dei templi; chi dici?>>
<<Va bene va.. Peppì ma non farmi qualche bidone
come al tuo solito o la prossima volta che ti
ricoverano al S.Citrolo ti faccio una puntura di
stricchinnina, altro che antidolorifici, ok?>>
<<ok Annina.. allura a più tardi>> e riattaccò.
Già alle diciassette dello stesso jorno, Peppinello
Caruana , si assittò ad un tavulino del “Bar della
Valle” dove aveva fissato l.incontro con Anna senza
cutuliarisi da lì mancu per ischerzo.
Dopo un poco….
<<Chi non muore si rivede>>
esclamò la Dottoressa Anna Passalacqua, arrivata
con un quartu d'ura di ritardo all'appuntamento;
<<Anna ti prego accomodati e risparmiami la
romanzina che sò di meritarmi; chiuttosto chi
cosa ordiniamo ? vanno bene due cartocci?>>
<<Vanno bene>>
e Peppino attacco:
<<sò che alcuni giorni addietro sono stati ricoverati
all'ospedale S.Citrolo i fratelli Affronzio e Pasquale
Camarrone Pirocotto e che hanno fatto un prelievo
di sangue picchì occorreva sapere il gruppo
sanguigno dei due per fari una trasfusione del
sangue pirduto per l'esplosione di un petardo….vedi
Annina bella….!io avrei bisogno di un campione
del loro sangue e se c'è qualche avutro referto
riguardante i due mi servirebbe pure.., per un fatto
che …che…che..capisci? che…che…>>
<< si..si..ho capito! … che vuoi farmi giocare il
posto di travaglio , farmi ammanettare dalla polizia,
picchì mi stai chiedendo apertamenti di commettere
un reato vale a dire trafugare referti e informazioni
pi cuntu di uno fora di testa!…facciamo accussì:
che se non mi ami più me lo dici elegantemente ora
e chiudiamo la questioni, evitandomi il carcere duro
al quale andrò certamente in contro se continuo a
dare retta alle tue sparate della minchia!>>
Questa volta Anna Passalacqua si scocciò
veramente tanto.
<<Anna ti giuro chi ti amo ancora..non è come
pensi tu!>> il cornuto mentiva;
Sto
leggendo, anzi saltabeccando da una pagina
all’altra, andando e ritornando fra le pagine, una
antologia realizzata da Romano Montroni, libraio,
come lui si definisce, in realtà docente master in
editoria cartacea e multimediale all'Università di
Bologna dal titolo “ I libri ti cambiano la vita”.
(quanto ha ragione!)
Un piccolo gioiellino realizzato con l’aiuto di cento
scrittori e artisti che raccontano quale libro li abbia
aiutati a intravedere significati talmente particolari
da indirizzare la loro vita.
"Ci sono libri che, se incontrati al momento giusto,
sono in grado di guidarci e ispirarci", assicura
l’autore.
"A me è successo, quando ero ragazzino. Per
questo che mi è venuta l'idea di mettere insieme un
libro che contenesse al proprio interno tanti altri
libri e, per realizzarlo, ho chiesto a un centinaio di
amici - amici che i libri li scrivono o ne hanno
fatto i propri compagni di vita e di lavoro - qual è
quello che più di altri li ha colpiti, emozionati,
entusiasmati".
Ovvia mente ho individuato fra gli autori quelli
siciliani e ho scoperto che per Simonetta Agnello,
pochi giorni fa ospite a Savona, il libro che “ mi ha
insegnato a osservare la natura….. dallo spuntare
delle gemme sui rami al cadere degli ultimi fiori di
neve sui peschi in fiore. A godere di tutto ciò che è
10
a disposizione e che non
lede gli altri…. Mi ha
insegnato a pormi delle
domande,
prima
di
agire:cosa voglio ottenere?
Perché,Chi
potrebbe
danneggiare? A considerare
se il male che il mio
comportamento
può
arrecare è superiore al bene
che
credo
di
poter
raggiungere”.
È l'eterna, essenziale e fondamentale forza che
scorre attraverso tutta la materia dell'Universo,
vivente o meno.
Nella
filosofia
taoista
tradizionale cinese, il Tao ha
come funzione fondamentale
quella
di
rappresentare
l'universo in cui ad un certo
punto si formarono due
polarità di segno diverso che
rappresentano i principi fondamentali dell' universo:
Yang il principio positivo, rappresentato in bianco.
Yin il principio negativo, rappresentato in nero.
Adesso sappiate che questo libro è
Genji
monogatari storia di Genji:
Il principe Splendente (源氏物語) scritto nel
XI secolo dalla dama di corte Murasaki Shikibu
vissuta nel periodo Heian, ed è considerato uno dei
capolavori della letteratura giapponese così come
della letteratura di tutti i tempi. I critici letterari si
riferiscono ad esso come al "primo romanzo", il
"primo romanzo moderno" od il "primo romanzo
psicologico". Il Giappone dell'epoca Heian (IX-XII
secolo): un paese chiuso, isolato dal continente
asiatico, che contiene un altro paese chiuso, quello
dell'aristocrazia di corte, al cui interno si trova il
microcosmo delle nyobo, l'élite delle dame. Nella
più ovattata di queste scatole cinesi, gineceo
dell'aristocrazia, si svolge la storia del principe
Genji, luminoso per intelligenza, cultura, bellezza:
gli amori delle dame di corte, delle spose, e le lotte
per il potere, nel più importante romanzo della
letteratura giapponese classica. La Agnello l’ha
incontrato (a mio parere i libri t’incontrano, non li
compri)
mentre studiava diritto antitrust negli Usa alla
Kansas University ben lontana da quella Boston
dove studiava il fidanzato che in quegli anni doveva
rappresentare benissimo il suo Principe splendente.
(adesso vi confesso che si tratta di un’opera in 54
libri e se qualcuno avesse tempo e volesse regalarci
un riassunto, una breve recensione, qualche
commento, sarebbe accolto benissimo su queste
pagine)
E infine Paolo di Stefano da Avola, scrittore
milanese ma di robuste e non recise radici siciliane
e autorevole inviato del Corsera, che fedele alle sue
origini ha indicato I malavoglia e son belle le
motivazioni.
Verga, che ho letto al liceo come tanti, mi ha
trasmesso l’importanza della musica della lingua in
letteratura.
Ho letto i Malavoglia quando vivevo in Svizzera
con i miei genitori.
Sentivo il dialetto in casa ma non lo parlavo, sapevo
che era una lingua familiare ma insieme estranea e
leggere la lingua di Verga è stata un’emozione
fortissima.
La lettura di quelle pagine in un paese straniero mi
ha fatto sentire orgoglioso di essere siciliano, di
avere familiarità con quella lingua.
A volte, se, stando lontano dalla Sicilia, mi sembra
di aver perso quella tensione, per ritrovare
quell’antico orgoglio mi basta aprire a caso una
pagina del Verga e respirare o ascoltare la sua
lingua.
Ma se Verga mi ha insegnato la verità della
letteratura, Il fu Mattia Pascal che se ne va e vive
sotto mentite spoglie, mi ha fatto capire che la
letteratura è finzione. E tra questi due poli, verità e
finzione, si gioca tutto.
Fra gli altri autori siciliani:
Pietrangelo Buttafuoco: Cyrano di
Bergerac
(i soliti catanesi esperti di storie d’amore)
Andrea Camilleri: la Condizione umana di
A.Malraux letta a 16 anni in piena guerra (1942)
Gianni Riotta: il Tao Tao (道 letteralmente la Via
traslitterazione pinyin: dào – in giapponese: dō),
spesso tradotto come Il Principio, è uno dei
principali concetti della filosofia cinese.
11
Giovanni Merenda
Il
fumoso articolo di Tano Gullo, comparso sul
numero scorso di questa rivistina sul dialetto
siciliano mi spinge a delle precisazioni:
l'Unità d'Italia dal punto di vista linguisticoculturale fu già riconosciuta da Dante Alighieri, e
dal punto di vista politico fu auspicata da
Machiavelli; quindi non penso che il Risorgimento
sia uno “sputo sulla sabbia”; mi sembra piuttosto
che sia stato Peppuccio Tornatore a sputare sul
sangue di chi per l'Unità d'Italia si è fatto
ammazzare; che poi l'economia del neonato Regno
d'Italia abbia pesantemente sacrificato il Meridione
è incontestabile e ne subiamo ancora - tutti - le
conseguenze (e purtroppo da sempre i governanti
venuti dal Sud hanno barattato le loro poltrone con
gli interessi della loro gente).
Ritengo comunque che - al di là di ogni "leghismo"
- il sentimento dell'unità nazionale sia solido (le
celebrazioni dei centocinquant'anni ne sono prova
inconfutabile) e quindi non condivido neanche le
preoccupazioni di coloro che considerano i dialetti
come forza disgregante.
Al contrario, in un mondo talora forzatamente
globalizzato, per difendere la propria identità
nazionale bisogna riferirsi alle radici perché la
ricchezza culturale dell'Italia è dovuta proprio alla
molteplicità delle sue culture.
Ben vengano quindi le lezioni di dialetto.
L'importante è che non se ne faccia un uso distorto.
Ricordiamo ancora una volta Pirandello che pur
temendo che venisse inficiata la purezza della sua
scrittura, dichiarava di non potere fare a meno del
dialetto perché se l'italiano è la lingua del concetto,
il siciliano è la lingua del sentimento.
Il nostro amico messinese,
da anni viene presentato su
queste colonne e come
potremmo non parlarne
adesso che è appena uscita
la sua ultima composizione
“ Senza nome” .
Giallo, noir, thriller, storia
romantica, mistero del
sud,??
Leggetelo e trovategli, se proprio non potete farne a
meno, una collocazione; a noi è bastato leggere una
simpatica storia, dal ritmo incisivo e bei colori di
narrazione.
Un ragazzo solo, senza famiglia, senza passato e
soprattutto senza futuro, finché non compare il deus
ex machina ( l’ingegnere) che lo cresce e gli
insegna un mestiere…
Altro dirvi non voglio sennò “ cu s’u accatta chiù”;
Vi anticipo però la terza di copertina….
E io vi mostrerò cosa diversa
Dall’ombra vostra che da mane vi cammina dietro
Dall’ombra vostra che a sera si leva ad incontrarvi:
Vi mostrerò il terrore in un pugno di polvere
T. S. Eliot
Quando due anni fa Giovanni mi ha mandato la
bozza con :” Taliatillu tanticchia, poi mi cunti ”,
l’ho letto la prima volta con il freddo distacco del
correttore di bozze, poi invece col gusto
dell’appassionato del genere e gli ho subito
intimato: “imprimatur”.
Quindi se non vi piace potete prendervela anche con
me, ma sono certo che lo leggerete con piacere.
Giovanni è anche bravo con i pennelli…
(Enzo Motta)
Lucianina
Littizzetto da qualche tempo mi piace
più quando parla seriamente che quando fa la
comica, perché sta scivolando in una volgarità
infantile che non le fa onore (e non è che non mi
piaccia il linguaggio "forte" se ben usato; sono un
convinto ammiratore del nostro "Micio" Tempio).
Quanto alla sua dissertazione sulla "mentula"
nell'ultimo numero della nostra rivistina, penso che
da laureata in lettere avrebbe potuto verificarne
meglio l'etimologia: le sarebbe bastato ricorrere a
Wikipedia, alla quale rinvio anche i nostri lettori.
Io mi limito a ricordare qui il proverbio siciliano
che dice: quannu si susi la "m" cala lu ciriveddru; e
quannu si susi la ciriveddru cala la "m".
Insomma, vogliamo aiutare i giovani artisti
Siciliani?
( Va bene è del 1942 ma cosa vorreste insinuare che
coloro che sono nati negli anni 40 sono vecchi?
“Altro che piccola mente”!!!!
…Pppi Piaciri!!
(Enzo Motta)
12
la Strada su cui puoi contare, la strada è l’unica
salvezza….. ma in un’altra visione di fratellanza e
di solidarietà, del tutto assente nel film.
Chilometri di strada che avvicinano i personaggi,
senza però il maturare di affetti, perché si viaggia
alla ricerca di se stessi e i compagni di viaggioperché non c’è amicizia- si scaricano senza
rimpianti o con mille promesse che tutti sanno di
non voler mantenere.
Una triste scena finale che lascia una spiacevole
sensazione di solitudine fra i due “amici” con, ad
aggravare gli animi, il rammarico:
« ... nessuno sa quel che succederà di nessun altro
se non il desolato stillicidio del diventar vecchi,
allora penso a Dean Moriarty, penso persino al
vecchio Dean Moriarty, il padre che mai trovammo,
penso a Dean Moriarty. »
Al NuovoFilmstudio
Difficile
trascrivere su
pellicola il libro
cult degli anni ‘50
“Sulla strada” di
Kerouac.
« Dobbiamo
andare e non
fermarci finché non
siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma
dobbiamo
andare». »
Ma sei solo Kerouac !
Invece sin da subito il bravo regista Walter Salles,
amante ed esperto di storie di viaggi (Central do
Brasil e I diari della motocicletta) presenta la vera
protagonista: la trasgressione ribelle degli anni ’50,
con la loro cultura materialista e neofascista
McCahrtyana.
Una trasgressione compagna di vita e su cui si
fonda il quotidiano ritmo dell’incedere di ciascuno,
coi mille progetti, le mille visioni e le aspettative di
questi giovani “americani”.
Emblematica la scena in cui uno di essi cerca di
identificare le percentuali di “sangue” della figlia,
perdendone il conto.
Ad ognuna di queste trasgressioni segue un
cambiamento per ciascuno degli irrequieti: dalle
pulsioni erotiche e la conseguente ricerca di una
identità sessuale, senza limiti, né categorie, alle
anfetamine, all’alcol, in una miscela in cui si
esaltano e si confondono i personaggi..
Il tutto accompagnato da una colonna sonora
intensa e diversissima per genere, ma sempre di
ritmo: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Billie
Holiday, Quincy Jones, Slim Gaillard (con la
celeberrima Hit That Jive Jack), Thelonious Monk,
Perez Prado e i grandi Eddie "Son" House in uno
struggente classico, Death Letter Blues, e Dinah
Washington in Mean And Evil Blues.
Tanti viaggi per l’America e ad ogni viaggio una
riscoperta di parte di se stessi, di voglie inesaudite,
di storie che febbrilmente vengono riassunte su ogni
tipo di carta, per non perderle, dalla voce narrante
del protagonista ( lo stesso Keruoac).
Il luogo è veramente la strada, perché li si vivono le
vite; le case, le bettole, i luoghi chiusi sono
parentesi narrative: (viene in mente Gaber) C’è solo
s.r.a.
IN RETE
Nel
grande giardino di un grande casa c'era un
ciliegio maestoso.
Era così alto che la punta dei suoi rami si vedeva fin
oltre le colline.
Il proprietario della casa andava fiero del suo
ciliegio e del fatto che la gente venisse, anche da
molto lontano, per vederne la fioritura.
L'ha piantato il nonno del nonno di mio padre,
diceva orgoglioso...
Ma aveva un cruccio, non era mai riuscito a
raccogliere neanche un frutto da quell'albero
gigantesco.
Alla fine di ogni primavera, quando cominciavano a
spuntare le prime timide ciliegie, il grande albero si
popolava di uccelli di ogni tipo, alcuni nidificavano
fra i suoi rami immensi, altri restavano giusto il
tempo della maturazione.
Milioni di uccelli che si nutrivano di quelle ciliegie
senza lasciare niente a lui, il padrone.
Eppure aveva provato di tutto, spaventapasseri dalle
facce truci, colpi di fucile a salve, colpi di fucile fra
le chiome dell'albero.
Niente da fare, a stormi si allontanavano giusto il
tempo del rimbombo e poi tornavano imperterriti
fra i rami carichi di foglie e frutti.
Finché un giorno, al culmine dell'esasperazione, e
forse su suggerimento di qualcuno, trovò una
soluzione.
Cosparse di potentissima colla ogni singolo ramo
dell'immenso albero e rimase ad aspettare.
Arrivarono gli uccelli, verso il tramonto.
13
A milioni arrivarono e si posarono sui rami del
ciliegio.
L'uomo, seduto nel giardino aspettò.
Aspettò fino a quando fu sicuro che tutti quei ladri
di ciliegie fossero al loro posto, poi prese il suo
fucile e cominciò a sparare.
Il battito di ali fu così forte che coprì ogni altro
rumore, ma nessun uccello riuscì a spiccare il volo
imprigionato com'era dalla colla che impregnava i
rami.
E l'uomo sparava, sparava.
Gli uccelli disperati batterono le ali ancora più forte,
qualcuno fra loro smetteva all'improvviso, ferito dai
colpi di fucile...
E poi successe.
Si sentì un brontolio profondo, come quando viene
il terremoto. Il prato attorno al grande albero tremò,
l'uomo cadde dalla sedia e l'ultimo suo colpo di
fucile staccò il naso alla statua che adornava la
fontana del giardino.
Quando riaprì gli occhi vide le grandi radici uscire
dalla terra, prima a fatica e poi sempre più
velocemente.
E vide l'immenso albero sollevarsi, e sollevarsi, e
sollevarsi. Neanche il tempo di rimettersi in piedi e
il ciliegio stava volando in cielo sorretto da tutte
quelle ali.
Rimase a guardare a lungo, mentre gli uccelli lo
portavano verso est, oltre le colline.
A Palermo i Pupi assumono la forma di animali,
uomini o donne, nel catanese sono a forma di
colombine, nella Sicilia sud-orientale semplici
cestini di frolla si arricciano in rose e trecce creando
sculture variopinte per uno dei dolci più poveri
dell’esuberante Pasqua siciliana.
Ancora oggi, in alcune zone della nostra Isola si
prepara questa antichissima ricetta.
Dolci tipici delle umili campagne dell’entroterra:
senza mandorle, senza pistacchi né canditi, privi dei
lussi che fiorivano sulle tavole gattopardesche, ma
carichi di simboli e di quella speciale arte del
decoro che contraddistingue tanti grandi maestri
senza nome.
A Trapani si chiamano “campanaru” o “cannatuni”,
“pupu ccù l’ovu” a Palermo, “cannileri” nel
nisseno, “panaredda” ad Agrigento e a Siracusa,
“cuddura ccù l’ovu” e “ciciliu” a Catania,
“palummedda” nella parte sud occidentale
dell’isola.
In occasione delle feste pasquali si preparavano, un
tempo, le uova sode colorate di rosso e si inserivano
in un cestino fatto di pasta che veniva decorato con
fiorellini, uccellini, foglioline fatte sempre con la
stessa pasta.
Era usanza, per i bambini, portarli in chiesa insieme
alle pecorelle di marzapane, a mezzogiorno del
sabato santo, giorno in cui anticamente,risuscitava il
Signore.
Il prete li benediva e, poi, di corsa a casa perché,
solo dopo “il Resuscito” si poteva mangiare l’ uovo
sodo.
La cuddura cu’ l’ovu rappresenta un prezioso
veicolo di rapporti sociali.
In alcuni centri, soprattutto nell’interno dell’isola,
“a cuddura” era d’obbligo e seguiva preziose regole
fra parenti, amici e compari.
Il numero delle uova e quindi la grandezza
dimostravano l’affetto o il grado di parentela o
anche l’obbligo che chi donava sentiva verso chi
riceveva; al padre veniva riservata “ a cuddura” più
grossa, perlomeno con un uovo in più rispetto a
quelle degli altri; insomma, maggiore era il rispetto
più alto corrispondeva il numero delle uova.
Caratteristica era ed è ancora in piccoli centri
”a cuddura “ che la fidanzata regalava al fidanzato e
che conteneva tante uova quanti erano gli anni di
questo, che a sua volta ricambiava regalando un
“agneddu” alla sua ragazza.
Tipica è l’ espressione popolare che per dimostrare
che è proprio fortunato chi di una data cosa ha
disposto in tempo utile visto che non si può più
tornare indietro, che così recita:
Grazie a Filippo Bessone che ha raccontato questa
storia e a Gianmaria Testa che l’ha regalata al
popolo del web.
Ricette di Pasqua
Auguri anche se tardivi
I pupi cù l’ova: dolci tipici della Pasqua siciliana
“Cu nnappi nnappi di cassateddi i Pasqua”.
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Ingredienti per 4 canestrini:
 400 gr di farina;
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2 uova e 1 tuorlo per la superficie;
4-6 uova sode;
3 cucchiai di zucchero;
60 gr di strutto;
2 cucchiai di olio d’oliva;
10 gr di lievito in polvere;
1 pizzico di sale;
“diavolina” di zucchero.
Igiene internazionale
Procedimento
Preparare le uova sode, scolarle e farle raffreddare.
Poi su una spianatoia versare la farina a fontana e
mettere al centro le due uova, lo strutto, lo
zucchero, l’olio, un pizzico di sale e il lievito.
Impastare energicamente e, se necessario,
aggiungere 2-3 cucchiai d’acqua fredda.
Lavorare l’impasto una decina di minuti finché non
risulterà liscio e compatto e fare riposare in frigo 20
minuti.
Nel frattempo sgusciare le uova sode, metterle da
parte e preriscaldare il forno a 180°C.
Dividere l’impasto in 4 parti; da ciascuna ricavare
due dischi di pasta da usare rispettivamente come
base su cui adagiare l’uovo sodo e come copertura
per lo stesso.
Fare aderire bene le due parti, ritagliare l’impasto
eccedente con cui si possono creare le restanti
decorazioni del canestrino.
Ripetere la stessa operazione con ciascuna parte
dell’impasto fino ad esaurimento di tutte le uova
sode.
Adagiare i canestrini sulla placca da forno rivestita
con carta oleata, spennellarli col tuorlo d’uovo
sbattuto e decorare con la diavolina colorata.
Cuocere a 180°C per 20 minuti circa.
Mafia: sette anni a Dell'Utri
Chissà com’era lo specchio che ha rotto!
Televisione:
Barbara d'Urso a Pomeriggio 5:
"Saluto tutti i ciechi che mi stanno guardando".
In quel momento si leva un coro di
"Mavaff….!" da parte di tutti i muti d'Italia.
ANNI:
Il male non è che fuori si invecchia, è che molti non
rimangono giovani dentro.
Si, lo so che lo fate per il mio diabete, ma a Pasqua
almeno uno ?
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APPUNTAMENTI DA NON PERDERE
Mercoledi 24 aprile
presso le Sale del Casino di Lettura
la nostra Socia Mirella BOGETTO CAIMI
darà vita ad una conversazione su
LA LIGURIA E LA POESIA
Sabato 6 aprile alle 17, 30
presso la
Galleria d’Arte del XXI secolo
in Via Quarda Sup. 5r
Sarà inaugurata la mostra delle opere della nostra
amica Aurelia TRAPANI.
La mostra, proseguirà sino al 18 aprile con orario
tutti i giorni dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18.
Lorenzo Giusto Acquaviva, figlio del nostro
socio Filippo, presenta una bella mostra delle sue
sontuose ceramiche presso il Circolo degli ArtistiPozzo Garritta - Albisola Mare. La Mostra
prosegue sino al 7 aprile
È la Liguria terra leggiadra.
Il sasso ardente, l'argilla pulita,
s'avvivano di pampini al sole.
È gigante l'ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s'alternano
per quelle fondi valli
che si celano al mare,
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell'arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate!
O aperti ai venti e all'onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.
V. Cardarelli
MeloAscolto 2013
Figli di un D(i)O minore
Tutti i giovedì al NuovoFilmstudio ore 17,00
Ingresso gratuito
4 aprile
Lloyd Webber: Evita, ma anche Cats o The
Phantom of the Opera e oltre (Stefano A.E. Leoni)
11 aprile
Nel momento culminante del finale travolgente…
Esplode il rock!
18 aprile divagazioni (no interrogazioni) di
Stefano A.E.Leoni ed Emanuela. E. Abbadessa
Santuzzo
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