il bollettino di aprile 2013
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il bollettino di aprile 2013
2013 numero 4 Aprile Email: [email protected] Picciotti carissimi,vasamu li mani. proveniente da un giovanottello, un ragazzo poco più che adolescente che “quando chiude gli occhi canta nella sua mente”. A Donna Teresa sembra di capire che il giovane vada dietro a quel canto per trovargli un albergo (una casa?). Magari lei, curiosa di cose romanzesche, decide di seguire la Voce che si chiama Luigi. DUE Eh sì che ci ‘nzertò Donna Teresa a seguire la Voce, difatti quel Luigi, ancora senza arte né parte, fece il suo ingresso a Capo Scirocco passando da un portone incorniciato da “visi d’angioletti che parevano fatti di crema di latte”. Palazzo ristocratico era e magari l’ospite, donna nobilissima di denari e virtuosissima di cori. Il fatto che fosse vedova le dava agio di essere lei, Donna Rita, la padrona di tutto ( anche di un giovane di fatica ? ). Il fatto poi che fosse “donna di preghiera e di musica”, ma in primis la seconda, le consentì di apprezzare nel giovane il talento musicale. Mìììì, solo musicale? Musicale! Ma quanto musicale! Accussì alla messa grande il coro femminile della Matrice accolse la Voce del signorino Luigi, non più garzone ma assignorato al banco di Donna Rita. E quando Donna Rita disse “sei un tenore” ancora con le mani giunte della donna di preghiera, tra sé e sé mormorò “sei un uomo” con il petto che abbruciava. In quel preciso istante Donna Rita dalla testa, al petto, alle mani, agli orli della gonna si svedovò. ( Postilla al DUE ) Donna Teresa spratica com’è di cose di passioni capisce che la Voce cosa di passione è. Certissimamente. Allora decide di farsi na capatina a palazzo Platanìa l’indomani e l’indopodomani. E mettersi all’ascolto. Perché assodato che quando ci sono cose, anche le pietre parlano, magari canteranno le pietre degli angioletti. TRE Bbeddamatri ! UN GIOCO DELL’AMICA MARIA TERESA SU CAPOSCIROCCO LU CUNTU DI LU CUNTO Tanticchia di lettura del romanzo di Emanuela Ersilia Abbadessa : CAPO SCIROCCO (ri) visitato da Donna Teresa pricisa pricisa la Signora in giallo. UNO Appena salita sul vapore Donna Teresa, stritta stritta nello scialluzzo giallo, è già dentro ai vapori di panza del bastimento. I suoi occhi combaciano con gli occhi cisposi degli oblò. I suoi compagni di viaggio sono soltanto odori tinti. Fatta eccezione per una specie di odore fresco 1 A Donna Teresa la capa ci firriava, tra pietre che suonavano e pietre che cantavano. Difatti al palazzo Platanìa che già rumorava di suo si aggiunse magari un altro luogo a fare voci; la casa di Annuzza, la casa del pianoforte codato, presto presto familiare alla Voce sbarbata che faceva bella presenza tanto nelle sobrie stanze che recavano la desinenza tedesca in “fer” ( dal pianoforte Bosendorfer ) quanto nei salotti che invece civettavano con la ipsilonne francese (dalle serate musicali dell’eccentrica Donna Cetty ). Più case si aprivano (e magari case chiusissime) all’astro nascente del tenorino Luigi, più stanze si chiudevano per Donna Rita. Una dopo l’altra tutte le stanze di palazzo Platanìa doveva ‘nserrare la povera governante Cettina senza ipsilonne per proteggere la sua padrona, che comunque sprotetta si sentiva. Al punto che quale donna di preghiera ormai assediata dalla musica, Donna Rita decise di allontanarsi dallo “sguardo che affondava nel cuore” del bel Luigi per allocarsi all’ombra della spata in numero di sette che affondava nel cuore della Santa Trafitta. Il convento come fece o non fece il suo lavoro di silenziatore dei pensieri tinti solo il pensiero di Donna Rita arricampata tra le voci del mondo lo potrà dire. tavolino (allato dei giovani piumati) della Rinomata Pasticceria Svizzera, ‘ncapoi pare che una città siciliana non può essere città senza una pasticceria detta Svizzera ( e ché! cannoli si servono, mica cantoni! ). Una mesata di onorato servizio ci costò quella pasterella a Donna Teresa. Ne valeva la pena non ne valeva la pena? Eccerto che ne valeva la pena! Venne a sapere una cosa…miii e che cosa! Una fimmina quando arrussa sedotta è. Precisa precisa come la signorina Annuzza quando suonava il pianoforte avanti a Luigi che cantava. Però quando sbianca di mancamento come Donna Rita, la fimmina come viene a essere ? tanticchia sedotta, sedotta e castiata? Mah! CINQUE Canta lu cuntu: “Gaddina chi camina s’arricampa con la strozza china”. E magari u gaddu. Che Luigi a furia di andare e venire da via dei Pescatori, tornava a Palazzo Platanìa arricchito assai di note. Ma erano le note perdute dalla virtù di Annuzza, presa a strattonare perfino il Boren o Boden…miii…ca camurria i nomi forestieri! Che aveva le spalle larghe da tedesco e come un tedesco non si scomponeva neppure alle sonate di…miii…un altro crucco venne ad affacciarsi quale nota alle finestre di via dei Pescatori, quello con la doppia Vi che prosegue con la gne come una mala parola. E finisce con la r come i nomi di sti musicisti moderni, sti Wagnerre ndillicati assai. A Donna Teresa completamente ci firriava la testa. E torno torno la testa, per via di lu ventu tinto, firriavano le frange dello scialletto - non quello niuro della domenica, ma, stante il suo servizio, quello giallo dei giorni di servizio - che si strinse sotto il mento per seguire a Donna Rita nel silenzio benedetto della Matrice. “Beneditemi padre, perché ho peccato”, si fece confessa Donna Rita. Beddamatri! Ora Donna Rita mandava voci non solo alla Santa Trafitta dalle Sette Spate, ma direttamente al Capo Altissimo dell’Armeria per il tramite del povero parrino, il quale, ben sapendo che in Paradiso è tutto un canto, disse al cuore puramente sanguinante della dama che ascoltare il canto della giovinezza non è cosa troppo peccaminosa. Se… e qui il buon parrino ci mise una sospensione. Invece Donna Teresa ci mise tre volte il segno della croce che assai si segnò avanti al suo pensiero. QUATTRO Miii, na camurria! Puliziare ogni matina tutti gli altarini alla Santa Trafitta da cere e seccume di fiori, tanto che la solerte Cettina si era lamentata con gli angiolelli di Palazzo Platanìa - in quanto solo loro potevano tenere ‘nserrata la bocca ( ma non per Donna Teresa abboccata ai bisbigli delle pietre ) - che la sua Signora Padrona s’arricampò dal convento delle Sette, piuttosto Otto o Deci Spate per metterci carico, ca pareva una vice abbadessa fatta e (s)finita di priere. Mentre Donna Rita sbiancava di sospiri perfino i beati angiolelli di pietra del suo palazzo, in altra dimora i muri arrossavano, e non perché di casa popolana si trattava. A levare colore da una parte e metterlo dall’altra sempre la Voce fu, del tenorino, che da galletto un poco arruffulato, gallo si fece e con quale piumaggio! da tenere testa a quel pavone di don Mimì. Il quale da sciupafimmine dottorato spiegò a quella parte di Luigi che ancora pigolava, perché si coloravano le donne, e come e quando, e cosa veniva a significare. E queste parlatine da masculi cose da Cafè erano. Accussì Donna Teresa dovette accomodarsi nel 2 “ Se u gaddu non si sbriga a scegliere fra la pollastrella (Annuzza) e la gaddina abbrodata ( Donna Rita ), ‘nca aschifiu finisce”. Ancora prove ( scarsulidde ? ) pensava don Mimì, l’amico di Luigi che in quanto a voci impetuose ( tradituri ! ), era competente assai. Più vibravano, più s’allucidavano e s’accaloravano le pietre del teatro, più si facevano trasparenti i muri di Palazzo Platanìa, fino a trasparire il nero sotto l’ incipriata della buganvillea. Se ne avvide Donna Teresa, per la prima volta dopo tante passiate nella via, che le pietre della casa di Donna Rita erano di un nero più niuro delle pietre di lava, delle pietre del vulcano, delle pietre dell’Etna. Perché erano fredde. SEI E cu fu? un lampo fu. Un lampo di tuono (di cuore) trase la Voce dalle aluzze della colombella Annuzza per consegnarla de-fi-ni-ti-va-me-nte alla signora. In quanto donna o in quanto chioccia ? Quale busillisi si metteva in testa Donna Teresa! ora ora che le pietre di palazzo Platanìa confetti e mennuli parevano. Mentre nella jurnata benedetta le Sette Spate della Trafitta s’ infoderarono nella torta di pasta reale duci duci all’ Abbadessa Madre Maria che accolse gli sposi: Rita e Luigi. Oh! Finalmente sposi. Diciamoci magari, doverosamente. Mah! le spade sempre spate sono e finito il dolce, dalle muddiche riaffiorano: un pensiero vastasu come lu pensiero di gelusia si attizzò al velo bianco di Donna Rita che si era diggià annerito nella dimora sulle pendici dell’Etna, il nido dei piccioncini indove Luigi fattosi ammogliato comunque cacanidu rimase. Miii! La camurria! Ché i vecchi ristocratici per innamorarsi, sposarsi, acquartierarsi scomodano assai di case. E magari supra lu nasu sono i nuovi ricchi, e supra supra lu nasu i signorini che hanno una voce che abbisogna di una capitale per espandersi. E Palermo fu. Palermo per Donna Teresa rappresentava una trasferta troppo impegnativa. Rinunciò. Sarebbe rimasta a Capo Scirocco, appesa al flebile tintinnio dei due moretti corallini che pendevano dai lobi di Donna Rita, l’unico suono riverberato dalle pietre di Palazzo Platanìa mentre gli angiolelli mutangoli si facevano. OTTO Giunse l’ora dell’ultima prova e chissà si lu tiatru sarebbe stato bastevole al tenorino, che la Voce l’addrizzava ancora, aggallando la cresta e i bargigli di seta. Aquannu in un altro teatro di cose lussuriose don Mimì la ruota l’ammosciava, l’assuttigliava in uno spazzolo strizzatu dopu la prima raspata, supra la pavoncella siccome arrufulata. Fece come un pazzo Mimì a levarsi l’impiccio dell’amante. Una corruta da pazzi fece: Palazzo Platanìa, il teatro e Palazzo Platanìa a correre, ma a correre! tirandosi a Luigi affruntato assai. Arrivarono che i muri della casa di Donna Rita si erano assottigliati ancora, fino a diventare trasparenti come il vetro di un acquario. Magari Donna Teresa taliava attraverso l’acqua, e ciò che poteva vedere ( cioè ascoltare ) non erano più voci; bolle di pesci erano. Bolle che giravano torno torno ad una pietruzza. Una pietruzza niura. Una pietruzza che mentre colava a picco mandava alla superficie un suono, come una specie di tintinnio. Il tintinnare delle gocce d’oro di un carillon all’ultima girata. Donna Teresa appicciò l’occhi a u vetro e lo vide: l’orecchino a testa di moretto con un turbante rosso. E riconobbe il regalo di nozze di Luigi a Rita ora ora sposa ( ma di un ancilu ! ). E aspettò. Il brivido del fondale che coprì il corallo d’arena fine. Fine. Donna Teresa (fora di lu cuntu, Maria Teresa Castellana ) SETTE Gaddu! Gaddina dalle uova d’oro. Tacchino. Si stracangiava il tenorino Luigi passando da un pollaio all’altra, anche immaginandone di freschi assai, di grani e di erbaggi. E di glorie. Poi gaddu un’altra volta. Fu quando la Voce trovò casa a teatro. Chè il teatro è l’unica casa per una voce alta, potente, portentosa. Matura. Appunto, matura. Magari tuonavano i muri del teatro di Capo Scirocco alle prove della Voce per l’esordio imminente. Ma prove erano. Prove eccellenti, concordavano il maestro e l’impresario del tenorino. Prove. 3 Ma ecco quanto scrive la nostra Emanuela a proposito di musical contest: sua musica che poco si prestava a cesure nella misura dell' aria da salotto. I sostenitori locali di Verdi avevano buone cartucce dalla loro, ma Wagner finì per combattere il rivale bussetano proprio sul suo terreno: se nel salotto era difficile entrare con la musica, lui lo fece di persona. Sbarcato a Palermo dal vapore Simeto il 5 novembre 1881, Wagner scese al Grand Hôtel des Palmes di Palermo per trovare sollievo, grazie al clima, dall' oppressione al petto che lo avrebbe portato alla morte. Visitò tutto, s' innamorò dei mosaici di Monreale e lodò il tepore e le bellezze della città ma soprattutto entrò a far parte di una cerchia di notabili palermitani coi quali poté lamentarsi della scarsa professionalità del signor Ragusa, proprietario del Grand Hôtel, a sua detta il solo brigante conosciuto in Sicilia. I Tasca, i Gangi (che lo ospitarono a Villa Porrazzi dopo che il maestro declinò l' invito dei Tascaa Villa di Camastra), i Lanza, i Mazzarino se lo contesero e per loro si produsse - secondo quanto racconta Roberto Pagano - in un' improvvisazione pianistica dalla quale il ristretto pubblico uscì così provato da non rischiare una seconda richiesta. Fu ritratto nel celebre dipinto da Renoir - di passaggio anche lui a Palermo - e accettò il fidanzamento della figlia Blandine con il conte Gravina, cadetto dei principi di Ramacca, non in rosee condizioni economiche secondo quanto riferisce Carlo de Incontrera in Wagner e la Sicilia. E mentre qualche mistero aleggia su una sua presenza a Ramacca della quale ha riportato - con varie inesattezze - Giuseppe Tornello, è invece certo il soggiorno di Wagner alle Terme di Acireale. Sui giorni acesi esiste anche una gustosa pagina di Giuseppe Pontiggia, ispirata da un articolo di Roberto Alajmo, che racconta dell' incontro "a distanza" tra Wagner e Garibaldi. Sebbene ad Acireale il musicista non stesse molto bene, pare però che non avesse rinunciato a un tocco di mondanità, recandosi ospite da Agostino Pennisi di Floristella per vedere la collezione numismatica. Dunque, se Wagner non era riuscito a far penetrare la sua musica nei salotti isolani ne era comunque diventato mattatore grazie al fascino un po' burbero ed esotico. Quanto alle esecuzioni delle opere valga per tutti la recensione apparsa sul "Giornale di Sicilia" dopo l' allestimento palermitano del 27 febbraio 1907 della Walkiria diretta da Tullio Serafin: «Solenne <...& il successo di uno spettacolo cui si è dedicato con vero amore per l' arte e con nobile slancio di mecenate il comm. Ignazio Florio». LA SFIDA CON WAGNER NEI SALOTTI SICILIANI Quando Andrea Camilleri nel Birraio di Preston evoca il «fantasima che fa tremare tuttii musicanti d' Europa» non sembra lontano dal vero rappresentando gli animatori del circolo cittadino di Vigàta impegnati in un' esilarante discussione sull' eccellenza di Verdi o di Wagner. Perché di veri e propri scontri si trattò, anche in Sicilia, tra fedelissimi del Cigno di Busseto e sostenitori della musica dell' avvenire. A Catania ci fu anche chi finì col bollare entrambi con epiteti assai fantasiosi. Pietro Antonio Coppola nato a Castrogiovanni - l' odierna Enna - nelle lettere all' amico Bartolomeo Maumary, con un italiano incerto, si accese d' ira contro la vedova di Francesco Lucca, succedutagli al comando della casa editrice musicale e artefice della prima italiana del Lohengrin (Bologna, 1 novembre 1871) ma non risparmiò Verdi annoverandolo tra i "capibanda": «I compositori di Opere del giorno sono tutti Capobanda e non mai studiarono canto perciò non conoscono tessitura di voci e perciò non fanno cantare che a gridi e senza potersi pronunciare le parole e volendo fare delle musiche dell' avvenire siamo ridotti ad un caos indescrivibile». Nell' anno del doppio bicentenario Verdi-Wagner, si può guardare alla diatriba dell' epoca dall' interno dei salotti siciliani, osservatorio non secondario. Wagner vanta più d' un legame con la Sicilia: vi è ambientato Das Liebesverbot e a Palermo, dove il musicista si trovò tra la fine del 1881 e la primavera del 1882, completò la stesura di Parsifal. Di contro, i verdiani Vespri sono un' opera francese ma la vicenda, è noto, è ambientata a Palermo (solo per ragioni politiche nella versione italiana, Giovanna de Guzman, rappresentata alla Scala nel 1856, l' azione è spostata in Portogallo). Verdi non venne mai in Sicilia, ma la sua musica era presente ovunque: malamente intonata dalle bande, rappresentata nei teatri e regina dei salotti nelle fortunate riduzioni per canto e pianoforte delle arie più celebri. Nel salotto siciliano infatti, la pratica del canto accompagnato persistette fino almeno alla metà del Novecento, piegando anche la canzone popolare. In questi ambienti Verdi era principe incontrastato a fronte della quasi totale assenza di Wagner, scartato dalle signorine di buona famiglia un po' per la difficoltà dei testi un po' per la natura stessa della 4 In ballo c’è la loro permanenza ad Agrigento, c’è la stessa storia del convento e la chiesetta annessa che custodisce preziosissimi stucchi di Giacomo Serpotta. Tuona suor Faustina, la giovanissina badessa: «Non possiamo restare a guardare che il nostro monastero continui a perdere pezzi. Io sono molto preoccupata nel vedere che la nostra casa stenta a sopravvivere. Questi stucchi sono stati voluti dal nostro Ordine che li ha custoditi con amore». Che da solo non basta. Il monastero «galleggia» sull’acqua, è circondato da reti idriche vecchie di sui nessuno conosce le diramazioni. E tutte le volte che nella zona viene erogata acqua le antiche pareti del convento s’inzuppano. Si dovrebbero riparare le condotte colabrodo, si dovrebbe fronteggiare l’emergenza umidità. Si dovrebbe. Ma in realtà non si fa niente e gli stucchi, gli angeli, le raffigurazioni sembrano appena tornate da un campo di battaglia: tutti claudicanti e con vistose ferite. Pezzi di mani sono già caduti, altri si sono sbriciolati, un grande pannello pieno di decorazioni si sta distaccando. «La situazione è sotto controllo, lo stiamo puntellando», assicura il sovrintendente ai beni culturali Pietro Meli». Il suo ufficio tecnico è al lavoro per intervenire su tutti i fronti, ma mancano al momento i finanziamenti ed i capitoli della Regione sono prosciugati. Ci vorrebbe anche un sistema di deumidificazione con la collocazione di alcuni apparecchi che attraverso le onde elettromagnetico impediscono all'acqua di risalire. A finanziarlo dovrebbe pensarci il ministero degli Interni, proprietario della Chiesa. La richiesta deve ancora partire e manca pure il progetto. Qualche buona notizia arriva dai privati. Tra i commercianti di via Atenea è in corso una «colletta» per salvare gli stucchi. L’artista Roberto Vanadia ha realizzato un presepe, ed i soldi dei visitatori saranno devoluti alla salvaguardia delle opere barocche. Realizzato anche un calendario da tavolo per racimolare fondi. Un sit-in, per richiamare l’attenzione delle istituzioni e della prefettura, si è svolto venerdì sera davanti alla chiesa. E le monache non ci hanno pensato due volte a unirsi al gruppo di laici e studiosi che ha alzato cartelli, sollecitato interventi. Lasciate le celle suor Faustina e alcune delle altre suore anziane hanno fatto sentire la loro voce. Perché, si sa, il silenzio è d’oro, mette al cospetto di Dio. Ma quando ci vuole, ci vuole. D' altra parte però le opere di Verdi, furono una presenza costante, anche con qualche gustoso incidente che non sfigurerebbe tra le pagine di Camilleri. Alla riapertura del Massimo di Palermo, il 3 marzo 1901 l' impresa Laganà aveva allestito Otello. Così riporta "L' Ora": «La sala è pienissima e magnifica. Tutta l' élite palermitana s' è data convegno alla première. Appena il maestro cav. Rodolfo Ferrari fa attaccare le prime note dell' Otello, scoppia un applauso unanime e si grida: "viva Verdi!"». Ma il diavolo quella sera ci aveva messo lo zampino e a metà del terzo atto un incidente interrompe la rappresentazione: uno scroscio impetuoso d' acqua invade il palcoscenico: tra lo stupore e il panico generale, alcune signore si affrettano sconvolte ad abbandonare i palchi temendo un incendio che i pompieri stanno tentando di domare. Il povero direttore di scena spiega che si tratta semplicemente di un tubo dell' acqua rotto. Ma l' esecuzione è jellata e la tela cala sul silenzio generale Per gentile concessione di Repubblica (Palermo) Dall’Abbadessa alle monache di clausura….. La protesta per l’arte in piazza le monache di clausura AGRIGENTO. A Santo Spirito, nel cuore del centro storico di Agrigento, da secoli si applica la regola del silenzio. Infranta solo alle 4.30 del mattino, quando il suono della campana del monastero invita le suore di clausura al alzarsi e rimettersi in preghiera: «La veglia comincia quando quella del mondo finisce. Ecco lo Sposo andategli incontro!», si legge in un decalogo dell’Ordine delle Benedettine Cistercensi. E nel cuore dell’alba le monache lodano Dio «per quelli che non lo fanno». Il silenzio continua, poi, per tutta la giornata, senza pause tra l’Ufficio delle letture, la meditazione della Parola, l’Eucarestia, l’ora terza e la sesta seguita dalla recita dell’Angelus, i vespri, i momenti di fraternità, la cena e il ritorno in cella per la notte recitando un Gloria e un ritornello antico («... in pace mi corico e subito mi addormento») che anticipa la benedizione della madre Abbadessa che chiude la giornata. È così da secoli e secoli. Ma la regola in questi giorni viene infranta, e volentieri, dalla religiose che scendono in piazza e si uniscono alla protesta. ALFONSO BUGEA x gentile concessione del Giornale di Sicilia ( AG) 5 Continua a firma di Riki Ragusa IL COMMERCIO DELLE CHIACCHIERE arricivuto; criu che manco to mà, te lo disse mai nella vita sua; ….ma stocchiamola quì non vogliu aggiungere ancora acqua a la minestra; chiùttosto dimmi chiddru che mi devi dire dell' omicidio Lo Bello e poi vattinni il più lontanu possibili; ho molte cose da sbrigare oj; con questa cammuria di causa persa tra i Camarroni ed i Trivvoti và a finire che un giorno o l'avutro si scannarozzano a vicenna senza manco darimi il tempo utile di arrivari alla sentenza finali davanti a lu Judice .>> <<Bene ! meglio accussì Peppì; mi compiaccio che abbiamo le stisse amicizie... ma evidentemente per motivi diversi..almeno fino a stu minutu,>> e proseguì: <<i mandanti dell' omicidio Lo Bello furono i fratelli Camarroni Pirocotto assieme a Rosa Trivvoti e Tanino Scassato ;accussì mi disse una fonte sicura, ma per cortesia nun addumannarmi quale è il movente ,picchì è tempo perso ,ed iu non saprei chi arrisponderti. Adesso non catafotterti altre idee per la testa e dammi„midiatamenti il cd della nostra conversazioni!>> <<Quali cd Totò? io ti dissi che arregistrai ed è veru..! ma nella testa mia lo feci, mai mi sarei pirmisso di registrare la tua vuci di cucco „mbriaco sul mio PC…..e cù minchia sei Pavarotti o Ramirez?" Scacco matto ! Di qello si trattava. L.avvocato si prese gioco così di Totò Kriminal che pi repentina perdita di autostima, firriò le spalle all'avvocato senza diri ciu e niscì dalla porta come un cane vastuniato. "quannu lu nicu si metti cu lu granni sempri li vertuli a mala banna appenni" Il giorno appresso con il paisi , si arrisbigliò la monotonia di sempre. Muli passavano per Via Nazionale lasciando i loro bisogni ‘mezzo alla strada come souvenir; camion carichi di operai si preparavano a travagliare la terra spostandosi da Fifidali in cotrada Milione, zona fertile colma di vigneti; i bar Sardella e Zirrico sempre aperti di buon’ ora per servire i primi caffè alla genti matinera ; passeri oramai in sovrabbondanza che con lo squillante cinguettio rendevano gli ambienti dell.immediata periferia del borgo, simili a quelli dell'emisfero tropicale, mentre i ziusì !ziusì !ziusì! dei merli davano il benvenuto ai primi raggi del sole. Gli altri scorci di quotidianità oramai divenuti prassi erano i taglia e cuci di casalinghe senza un reale chiffare giornaliero e/o scopo di vita. Quinta puntata Il giorno dopo che il Signiruzzo mandò sulla terra, per bona fortuna capitò di Mercoledì , ed in via D'Alessandro i mercatisti conzavano il mercato; quello era il posto ideale per incontrare il tirapiedi del Padrino, Nenè Ciunco, omo di fiducia ed eccellente sapitore dei fatti di mafia della zona , nonché socio sporadico in malaffari di Totò Kriminal. Tra la gente che accattava robbe al mercato a cantunera precisi c’era Nenè. << Ti bacio le mani Nenè >> <<Ma non potresti baciare un pò più giù del muddrico Totò? ..lo sai che tu hai sempre un posto in prima fila! >> <<sei un vastaso !! chiùttosto ….è da jorna che ho un punci pi la testa che vorrei sapiri.. accussì ..pi curiosità …>> <<dimmi Tò>> <<ma cu minchia fù quel fissa che pagò tanti sordi al Padrino, per eliminare un mischinazzu comu Luigi Lo Bello ?" C.è genti strana pedi pedi oggi sai? Bisogna sempri pararisi u culu! >> << se ti lu dicu manco mi credi …addirittura mancu iu ci vulia cridiri…i mandanti del micidio furono…teniti forti…. Rosa Trivvoti assieme ai fratelli Camarroni Pirocotto…ma non addumannarmi avutro picchì non sacciu chiù nenti; la facenna è strana assai pi mia, ma poi tu lo sai di cosa mi occupo io e antri stori chiù precisi non sacciu e non vogliu sapiri.>> Totò si mise in tasca quello che gli interessava per sarbarisi l'anima e macari dal carcere che l’avvocato Caruana gli aveva prospettato; troncò il discurso gli strizzò l'occhio e lo salutò. C'era da dire che il tempo a disposizione, Kriminal se l'era giocato bene pi divvero. L'indomani fu il giorno della resa dei cunti con l'avvucato Peppinello Caruana, al quale per l'intenso carrico di travaglio, gli sfuggì completamente la facenna dell'ultimatum e delle quarantotto ore, dato giorni prima a Toto. Quel dì si sentì un morbido tuppuliare alla porta dello studio Caruana. <<Ci sarebbe pirmisso per entrare?>>, una vocina da dietro la porta leggermente a-vaniddruzza venne fora timidamente; <<Trasi e nun fari u calamaro >> arrispose Peppinello Caruana che arricanuscendo la voce del malfamato '"amico"gli lampiò immediatamente ntesta la facenna. <<Dirti che sei un gran fituso caro Totò.. è farti forse il migliore dei complimenti che tu abbia mai 6 <<Senta signora Rosa ….quello che oggi volevo dirle è che probabilmente la sua causa si terrà con qualche mese di ritardo rispetto ai tempi previsti ,perché bisogna raccogliere qualche avutro elemento pi procedere con cautela …mi spiego?>> “più generico di accussì si muore” pinsò l'avvocato; << poi con il caso Lo Bello che sto trattando perora sotto richiesta del procuratori capo personalmente… sapi..>> non era vero! <<Va bene avvocato se lei dice accussine l'omo di liggi è voscenza e non noiavutri.>> Rosa trivvoti, proseguiva adesso il discurso con una voce tentennante che fici assai insospettire quel vurpuni di Peppino Caruana; <<sapi la morti di 'Zi luigi ha fatto pena a tutti noi paesani.. pensi pure che mio figlio Tanino mischino.. fici mezza jornata di chiantu senza interdizioni, picchì iddru ci voleva bene como a un patri a la bonarma di Luigi Lo Bello!>> <<Nel frattempo signora Rosa a scanso di possibili equivoci>> disse il Caruana, sarebbe opportuno che suo figlio facesse un piccolo prelievo di sangue e lo desse a me in una provetta ,in modo da verificare attraverso delle analisi che io farò eseguire, se risulta possibile stabilire la paternità di Fofò Camarrone Pirocotto nei riguardi di suo figlio ed avere in mano una prova decisiva per il riconoscimento della paternità e donchi la conclusione del processo a nostro favore, che credo si terrà entro Dicembre.>> La richiesta del prelievo ,avanzata da Peppinello Oravegnu, risultò alquanto bizzarra e mai sintuta prima di allora da una accussì ignoranti come Rosa Trivvoti. I laboratori di genetica in quel tempo si contavano sulla punta delle dita ed erano distribuiti su tutto il globo terrestre al servizio di prestigiose autorità civili e militari; figurarsi se a Fifidali, remoto paese dell'entroterra Giurgintano, a nord dill'Africa, arriniscivano a trovarne uno; Totalmente all'oscuro di ciò che avrebbe potuto combinare Peppinello Caruana con il campione ematologico, Rosa Trivvoti si prisintò dopo manco cinque giorni dal precedente incontro, presso lo studio legale Caruana consegnando di persona la provetta richiesta dall'avvocato; poi la fimmina firriò le spalle e se ne tornò a casa a sbrogliare i suoi chiffari lontano dagli occhi scomodi della genti. La sera di quello stesso giorno mentre Peppinello Caruana ascoltava soddisfatto un remaster di FRANK ZAPPA, il comunicato interruppe ; in un Si viveva senza picchì e piccomu; del gran miracolo dell'esistere dato dal Signiruzzo, Fifidali era completamente all.oscuru. Bastava sulu avere per essere. „Nzumma: Fifidali era semplicemente l.espressione microscopica: Della Terra Delle Chiacchiere E Dei Non Fatti , Dell'apparire E Non Dell'Essere, Del Potere Sui Deboli Da Una Latata E Della Paura Della Morte e soppressione Dall'Altra. La Terra Di Alcuni, Di Tutti E di Nessuno. *Ma chissa era un avutra storia assai camurrriusa e complicata che finu a parlarne, faceva viniri ‘u votastomacu. Sceso in piazza dalla sua cinquecento rosso amaranto , posteggiatosi dinanzi al bar “antica pasticceria da Carmelo Licitra", Peppinello Caruana trasì dintra, ed ordinò al banco il solito caffè ristretto; ma manco fece in tempo ad arriminare lo zucchero appena sbarrato nella tazzina, che Rosa Trivvoti assieme al figlio Tanino Scassato gli si presentarono darrè tuppiandogli alle spalle come fussi un porticato. <<Buongiorno avvocà ! ci scusasse per l'iterdizione , ci mandò qui il comandante dei vigili ubrani …sapi trovammo la porta del suo studio ligali chiusa e donchi ci pigliammo il pinsero di venirla ad arricampari per discutere di…>> troncarono lì il discurso, picchì taliannusi entrambi in faccia le parti si intesero; <<si..si..si! >> prontamente arrisorbì l'avvocato , <<aspettatemi pure fora dallo studio legale che sto venendo; anzi.. giusto con voi dovrei parlare vi avrei convocato io stesso in questi giorni.>> Certo che se avessero voluto toglierlo dalla circolazioni non ci sarebbe stato megliu informatore del cumannande dei vigili urbani , che sapia filo filiddru e mastru scarparu dei movimenti del Caruana. Era questione di tempo, ma tra i due sarebbe prima o poi andata a finire a pagnittuna nivuri comu la pici. Fatte le scale che portavano al piano in cui era situato lo studio legale, Rosa Trivvoti si sedette e attaccò subito a parlare: <<senta Dottor Mauestro in liggi Caruana noi ci abbiamo purtatu un piccolo acconto in dinaro per le spise iniziali della causa contro i Camarroni Piracotti , propriu come voscienza chiese giorni fa quando incuntrò a mio figlio Tanino; <<Certamente !>> replicò subito Peppinello Caruana , cercando di pigliare di filo la signura per scippargli qualche informazione utile , a conferma di quello che gli aveva riferito qualche giorno prima quel malandrino di Totò . 7 flash radiofonico sulle nuove scoperte scientifiche, si dava notizia che a Palermo la prestigiosa industria statunitense –Texas Genetic Research- nel giro di poche settimane avrebbe attivato il nuovo polo di ricerca e analisi genetiche ,sito nell'immediata vicinanza del giardino botanico del capoluogo. Si invitavano ,via etere, i cittadini di tutta l'isola a partecipare all. inaugurazione. Fù l'abbonamento ad nota rivista scientifica nazionale: “SCIENZA E CUSCIENZA”, attraverso cui Peppinello vinni a canuscenza, che con un dettagliato esame di un campione di sangue umano, si sarebbero potute confermare ipotesi sulla provenienza di un individuo dunque poter dire in definitiva chisso è il padre e chissa è la matre. Ragionando a friddu , Peppinello pinzò: <<quali meglio occasioni per provare se funziona davvero questo nuovo laboratorio di analisi genetiche? ed inoltre, quali meglio opportunità per dimostrare questo presunto legame tra Fofò Camarrone Pirocotto ed il figlio di Rosa Trivvoti, Tanino Scassato?>> Preparò tutti i documenti necessari e le richieste per le autorizzazioni a fari riesumare la salma di Fofò Camarrone Pirocotto con lo scopo preciso di mettere a confronto il patrimonio genetico di quello che arristava di la buon anima , con il sangue di quella mal'ombra di Tanino Scassato, e vidiri se il DNA currispunnia. Peppino raccolse tutte le prove materiali e poi incaricò un corriere perchè consegnasse tutto al –Texas Genetic Research- di Palermo in modo che si potesse far chiarezza sugli eventi succedutisi, e accuminciare a chiamare le cose con il loro giusto nome. Una matina Peppino alzatosi di buon’ora incontrò in piazza i fratelli Camarrone Pirocotto: <<Buongiorno avvocà !>> con il sorriso a novantanovi denti esclamarono all’unisono i due fratelli Camarrone; << A lor signori buongiorno…mi compiaccio di vedervi in buona salute!>> di buona salute ne avevano da vendere i Camarroni e poi quel naso grosso colore foco e di forma tonda come uno “sbergio” , li faceva sembrare gemelli fungendo anche da spia di benessere. <<Non sò se il vostro avvocato ha avuto modo di comunicarvelo, ma probabilmente la causa impiantata dalla mia cliente Rosa Trivvoti nei vostri riguardi andrà un pò per le lunghe ..forse a fine Dicembre si saprà qualche cosa su…." E s'interruppe di proposito, dando per scontato che loro avrebbero inteso. Ma accussì non fù. <<No! nessunu ci disse nenti ! ma se le cose stanno in questa manera noi pazienteremo; d'altronti non avemu paura di nenti perché siamo sicuri dei fatti nostri ; Tanino Scassato non è figlio di nostro patre..sicuru và!. >> I Camarroni sorrisero come se Peppinello invece di dargli un informazione importante, avesse cuntato una barzelletta di quelle vastase che fanno ridere da vagnarisi i mutanni. L.avvucato si firriò senza dire "né schì né te né passi 'cà" e fici „nzigna per ritornarsene a travagliare nel suo studio; ma percorsi appena una cinquantina di metri, il Caruana venne distolto dal suo fissare intensamente il vuoto, da una vocina frivola che lo riportò alla realtà: <<Dottore Caruana le bacio le mani!>> <<..ma minchia oggi mi piglianu tutti pù culu? adesso mi sentono chi è Peppinello!>> accingendosi con gran impeto, a ‘ncazzarisi di mala manera con lo sventurato dalla vocina di picciliddru, accadde al poviru ligale in vidiri e sbidiri una visione ed truvò appena la forza di rispondere al saluto rivoltogli. La visione fù: una nasca tonda come uno sbergio, visto appena cinco minuti prima, sulla faccia dei fratelli Camarroni Pirocotto ; lo sbergio adesso se ne stava tranquillo a pigliare il sole appiccicato sulla faccia di Tanino Scassato, che sino a quel momento rimase del tutto ignaro, del gran burdello che avrebbe scatenato quella nascazza tunna e russa. Peppinello taliò la nasca attentamente; tirandosi il paro e lo sparo, fici' le sue prime considerazioni ,i fenotipi erano molto simili tra loro; accuminciò a pinzare su comu pottiru iri i fatti tra le parti in lite e che alla luce di questo nuovo indizio, gentilmente concesso da matri natura ,probabilmente la linea genetica comune tra i Camarroni Pirocotto e Tanino Scassato c'era viramente. Bisognava andarci con i pedi di chiummu per non cadere in conclusioni affrettate; Peppinello questo lo sapeva bene. Currìa l.anno 1995 e pì precisioni Novembre. Il giorno di Tutti i Santi, l.abbucato aveva la buona abitudine di recarsi al cimitero di Fifidali per portare i fiori alla propria nanna, alla quale restò assai legato per le ragioni oniriche oramai note. Peppinello trasì per il cancello principale e andò dritto tirato a destinazione , sapendo dove era sistimata la tomba. Arrivato sul posto, posò i fiori su di una foto ad un ripiano e sflilandoli uno per uno dal mazzo dedicava ad ogni fiore che riponeva nel vaso colmo d’acqua ,una preghiera e un dolce pinzero d'amore; 8 ma un improvviso colpo di vento l’attimo appresso fece vulare „nterra tutti dri beddri sciura e svelò questa scritta darrè a quella dove aveva posato pruvvisoriamenti il mazzo: "Qui Riposa Fù..Luigi Lo Bello…….deceduto a Fifidali il.....". Ll'impatto emotivo per quelle poche righe fu assai forte e Peppeinello non volle trattenersi dal versare le giuste lacrime nel ricordo dell' amico tragicamente estinto. Con un gesto paterno e sincero prese dalla tasca destra dei pantaloni il fazzoletto di lino che usava sempre per le occasioi e diede una spriulazzata alla foto del defunto Luigi, picchì troppo infitusita dalle piogge di sabbia chi vinivano dall.Africa fuori stagione; nun l'avesse mai fatto quel gesto ! si và a scummoglia una foto a culuri , raffigurante „u 'Zi Luigi sorridente ; fedelmente scattata da Masiddru di Vicè, prestigioso fotografo del tempo, e sbintò con gran stupore sulla faccia del defunto Luigi, una nasca grossa come uno sbergio oramai assai familiare e vista girare a Fifidali montata su diverse facce. Forte fu lo shock emozionale e Peppinello Caruana purtroppo cadde per terra a mazzu di cavuli. Vinni di cursa aiutatu e soccorso dalla gente che stava nei dintorni e fù purtato dal caposantaro di persona con la macchina del servizio funebre comunale, all'ospedale S.Citrolo di Girgenti ove la Dottoressa Anna Passalacqua, amica ed amante, si prese cura di lui rimettendolo in sesto in pochi giorni, senza grossi problemi. Nulla di grave successe. Sulu scantu. Ritornato a Fifidali, dopo circa due settimane dall'incidente del Capusanto, Peppinello circò di riassettare un pò le idee, annaffiando sempre di più e con acqua bona, un sospetto pericoloso verso le persone che all’epoca gli firriavano intorno cù pi na cosa cù pi l’autra. Secunnu Peppino Caruana in merito al sospetto supposto, Affronzio e Pasquale Camarrone Pirocotto , Tanino Scassato ed il tragicamente ucciso 'Zi Luigi Lo Bello, avevano piantato in faccia, lo stisso naso a sbergio di indiscutibile, unica discendenza; e Peppinello che ora più che mai conduceva le indagini sempre più meticolosamente. Nel mentri Pasquale ed Affronzio Camarrone Pirocotto si priparavano a passare le feste di Natale e Capodanno a Fifidali. Succedi che la notti di S.Silvestro , usciti di casa per accattare la classica bottiglia Nero d. Avola sempre tenuta in grandi scorte nel bigliardino di Pepè Guanà , un mega petardo lanciato con grande anticipo rispetto alla mezzanotte da 'un picciliddo killer situato supra un finistruni che dava sulla via Nazionale, toccata terra, andò a scoppiare vicino ai due Pirocotti stroppiandoli e ferendoli di mala manera. Sangu vuci e parolazzi si ficiru schifiari, ma Diu vonzi che i due si „ni niscissiru solamenti con ferite ed ustioni, a dire dei medici dell'ospedali S.Citrolo di Girgenti, guaribili al massimo in una decina di jorna. Il marasciallo Enzuccio Montaperto ,essendo venuto a canuscenza dell'esplosione dell'ordigno quasi bellico , il giorno appresso ordinò che venisse denunziato il padre del picciliddo dinamitiere , correlando la denunzia con una multa di novecentomilalire a carrico del genitore del baby killer. Avendo saputo del ricovero presso l'ospedale S.Citrolo ,dei fratelli Camarrone Pirocotto , Peppinello Caruana decise di jocarsi una carta per lui importante. Spingi u telefonu e chiamò: <<0922/4712….Pronto Ospedali S.Citrolo qui è il centralino cu è lei e cuccù voli parlari?>> esclamò la voce di una signorina arranzunata e con poca littra; <<sono l'avvocato Peppinello Caruana; vorrei parlare con la Dottoressa Anna Passalacqua graziè>> L’abbucato rispose formalmente e con atteggiamento superiore ; <<ah avvocato lei è! …io sono.. num mi canusci? Maria Di Benedetto sono! , miii la Dottoressa Anna ultimamente si lamenta assai di vossia dice chi lei la cerca solo se deve..comu dire…maniarla ,e poi non si fa vivo per un sacco di tempo ; guardassi che questo nun è modo di gentiluomo, io glielo dico picchì l'ho vista crescere e questa cunfidenza me la posso pigliare! picchì sapi…la fimmina vole essere anchi pensata…amata …circata..sbalordita…emozionata.." ; <<vidi chi minchiata…!>> pinsò Peppinello. Ma sentendo le parole di quella fimmina e con il senno di poi, l’abbucato arriniscì a spiegarsi il picchì di quando venne ricoverato all'ospedali dopo il fatto del Camposanto, ebbe una volta l'impressione di avere scippato una forte masciddrata nù musso, ed udito contestualmente una voce arraggiata di donna che gli diceva :" questo ti meriti ricottaro!" evidentemente era stata Anna a mollargli il ciampatone tra una cura e l’autra. <<Comunque… adesso le passo l'interno interessato avvocà… mi raccomando non facissi più il vastaso come sapi fare lei; io la canuscio meglio dei suoi scarpi… io la saluto vàbbe! e….bone cose.>> Maria Di Benedetto era la comare dei suoi genitori; l'unica cosa che si poteva fare quando lei chiacchiariava superchiu era..silenzio e basta; 9 << ma c'è di mezzo la morte di un uomo ….adesso non posso raccontarti tutto mi devi fare questo favore nel segno di ciò che siamo e che saremo ,…me lo devi fare stu favore o dalla porta o dalla finestra chiaro!>> Sta vota parlava supra u seriu ed era incazzatu nivuru. Anna, conosceva bene Peppinello Caruana e sapeva che non l'avrebbe mai ficcata nei guai a costo che ne avesse pagato lui in prima persona le conseguenze. Tra loro c'era vera amicizia e complicità ..oltre che le note vicende di pilu. << Maledetto il giorno che ti ho „ncuntrato, … e stupida io che non sacciu mai dirti di nò!>> era fatta ! <<passa domani sira da casa mia che ti faccio avere quello che ti serve e spero veramente che tu ne faccia buon uso; ma piffavore non mi tirare dintra i tuoi strani giri mi spiego? >> Si baciarono intensamente lasciando al caso l'andazzo delle ore successive. Durante la nottata Peppinello Caruana non arriniscì a chiudere occhio; dintra il letto si vutava e risbutava per la tensione e l'ansia per quello che avrebbe cumminato i giorni appresso, sulla base dei leciti sospetti che lo tormentavano. ------- oppure diversamente la discussione non sarebbe finita lì. Come da protocollo Peppinello il silenzio lo rispettò. <<Pronto Dottoressa Anna Passalacqua reparto trasfusioni di sangue con chi parlo?>> <<sono io Anna …Peppinello; avrei bisogno di parlarti quando ci possiamo vedere …è una cosa urgente!>> <<Peppinè ultimamente mi sembri un pò nevrotico, picchì non ti fai una bella vacanza eh! >> <<Senti Anna ho bisogno di una cortesia. Alle diciotto ci vediamo al Bar dei templi; chi dici?>> <<Va bene va.. Peppì ma non farmi qualche bidone come al tuo solito o la prossima volta che ti ricoverano al S.Citrolo ti faccio una puntura di stricchinnina, altro che antidolorifici, ok?>> <<ok Annina.. allura a più tardi>> e riattaccò. Già alle diciassette dello stesso jorno, Peppinello Caruana , si assittò ad un tavulino del “Bar della Valle” dove aveva fissato l.incontro con Anna senza cutuliarisi da lì mancu per ischerzo. Dopo un poco…. <<Chi non muore si rivede>> esclamò la Dottoressa Anna Passalacqua, arrivata con un quartu d'ura di ritardo all'appuntamento; <<Anna ti prego accomodati e risparmiami la romanzina che sò di meritarmi; chiuttosto chi cosa ordiniamo ? vanno bene due cartocci?>> <<Vanno bene>> e Peppino attacco: <<sò che alcuni giorni addietro sono stati ricoverati all'ospedale S.Citrolo i fratelli Affronzio e Pasquale Camarrone Pirocotto e che hanno fatto un prelievo di sangue picchì occorreva sapere il gruppo sanguigno dei due per fari una trasfusione del sangue pirduto per l'esplosione di un petardo….vedi Annina bella….!io avrei bisogno di un campione del loro sangue e se c'è qualche avutro referto riguardante i due mi servirebbe pure.., per un fatto che …che…che..capisci? che…che…>> << si..si..ho capito! … che vuoi farmi giocare il posto di travaglio , farmi ammanettare dalla polizia, picchì mi stai chiedendo apertamenti di commettere un reato vale a dire trafugare referti e informazioni pi cuntu di uno fora di testa!…facciamo accussì: che se non mi ami più me lo dici elegantemente ora e chiudiamo la questioni, evitandomi il carcere duro al quale andrò certamente in contro se continuo a dare retta alle tue sparate della minchia!>> Questa volta Anna Passalacqua si scocciò veramente tanto. <<Anna ti giuro chi ti amo ancora..non è come pensi tu!>> il cornuto mentiva; Sto leggendo, anzi saltabeccando da una pagina all’altra, andando e ritornando fra le pagine, una antologia realizzata da Romano Montroni, libraio, come lui si definisce, in realtà docente master in editoria cartacea e multimediale all'Università di Bologna dal titolo “ I libri ti cambiano la vita”. (quanto ha ragione!) Un piccolo gioiellino realizzato con l’aiuto di cento scrittori e artisti che raccontano quale libro li abbia aiutati a intravedere significati talmente particolari da indirizzare la loro vita. "Ci sono libri che, se incontrati al momento giusto, sono in grado di guidarci e ispirarci", assicura l’autore. "A me è successo, quando ero ragazzino. Per questo che mi è venuta l'idea di mettere insieme un libro che contenesse al proprio interno tanti altri libri e, per realizzarlo, ho chiesto a un centinaio di amici - amici che i libri li scrivono o ne hanno fatto i propri compagni di vita e di lavoro - qual è quello che più di altri li ha colpiti, emozionati, entusiasmati". Ovvia mente ho individuato fra gli autori quelli siciliani e ho scoperto che per Simonetta Agnello, pochi giorni fa ospite a Savona, il libro che “ mi ha insegnato a osservare la natura….. dallo spuntare delle gemme sui rami al cadere degli ultimi fiori di neve sui peschi in fiore. A godere di tutto ciò che è 10 a disposizione e che non lede gli altri…. Mi ha insegnato a pormi delle domande, prima di agire:cosa voglio ottenere? Perché,Chi potrebbe danneggiare? A considerare se il male che il mio comportamento può arrecare è superiore al bene che credo di poter raggiungere”. È l'eterna, essenziale e fondamentale forza che scorre attraverso tutta la materia dell'Universo, vivente o meno. Nella filosofia taoista tradizionale cinese, il Tao ha come funzione fondamentale quella di rappresentare l'universo in cui ad un certo punto si formarono due polarità di segno diverso che rappresentano i principi fondamentali dell' universo: Yang il principio positivo, rappresentato in bianco. Yin il principio negativo, rappresentato in nero. Adesso sappiate che questo libro è Genji monogatari storia di Genji: Il principe Splendente (源氏物語) scritto nel XI secolo dalla dama di corte Murasaki Shikibu vissuta nel periodo Heian, ed è considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura di tutti i tempi. I critici letterari si riferiscono ad esso come al "primo romanzo", il "primo romanzo moderno" od il "primo romanzo psicologico". Il Giappone dell'epoca Heian (IX-XII secolo): un paese chiuso, isolato dal continente asiatico, che contiene un altro paese chiuso, quello dell'aristocrazia di corte, al cui interno si trova il microcosmo delle nyobo, l'élite delle dame. Nella più ovattata di queste scatole cinesi, gineceo dell'aristocrazia, si svolge la storia del principe Genji, luminoso per intelligenza, cultura, bellezza: gli amori delle dame di corte, delle spose, e le lotte per il potere, nel più importante romanzo della letteratura giapponese classica. La Agnello l’ha incontrato (a mio parere i libri t’incontrano, non li compri) mentre studiava diritto antitrust negli Usa alla Kansas University ben lontana da quella Boston dove studiava il fidanzato che in quegli anni doveva rappresentare benissimo il suo Principe splendente. (adesso vi confesso che si tratta di un’opera in 54 libri e se qualcuno avesse tempo e volesse regalarci un riassunto, una breve recensione, qualche commento, sarebbe accolto benissimo su queste pagine) E infine Paolo di Stefano da Avola, scrittore milanese ma di robuste e non recise radici siciliane e autorevole inviato del Corsera, che fedele alle sue origini ha indicato I malavoglia e son belle le motivazioni. Verga, che ho letto al liceo come tanti, mi ha trasmesso l’importanza della musica della lingua in letteratura. Ho letto i Malavoglia quando vivevo in Svizzera con i miei genitori. Sentivo il dialetto in casa ma non lo parlavo, sapevo che era una lingua familiare ma insieme estranea e leggere la lingua di Verga è stata un’emozione fortissima. La lettura di quelle pagine in un paese straniero mi ha fatto sentire orgoglioso di essere siciliano, di avere familiarità con quella lingua. A volte, se, stando lontano dalla Sicilia, mi sembra di aver perso quella tensione, per ritrovare quell’antico orgoglio mi basta aprire a caso una pagina del Verga e respirare o ascoltare la sua lingua. Ma se Verga mi ha insegnato la verità della letteratura, Il fu Mattia Pascal che se ne va e vive sotto mentite spoglie, mi ha fatto capire che la letteratura è finzione. E tra questi due poli, verità e finzione, si gioca tutto. Fra gli altri autori siciliani: Pietrangelo Buttafuoco: Cyrano di Bergerac (i soliti catanesi esperti di storie d’amore) Andrea Camilleri: la Condizione umana di A.Malraux letta a 16 anni in piena guerra (1942) Gianni Riotta: il Tao Tao (道 letteralmente la Via traslitterazione pinyin: dào – in giapponese: dō), spesso tradotto come Il Principio, è uno dei principali concetti della filosofia cinese. 11 Giovanni Merenda Il fumoso articolo di Tano Gullo, comparso sul numero scorso di questa rivistina sul dialetto siciliano mi spinge a delle precisazioni: l'Unità d'Italia dal punto di vista linguisticoculturale fu già riconosciuta da Dante Alighieri, e dal punto di vista politico fu auspicata da Machiavelli; quindi non penso che il Risorgimento sia uno “sputo sulla sabbia”; mi sembra piuttosto che sia stato Peppuccio Tornatore a sputare sul sangue di chi per l'Unità d'Italia si è fatto ammazzare; che poi l'economia del neonato Regno d'Italia abbia pesantemente sacrificato il Meridione è incontestabile e ne subiamo ancora - tutti - le conseguenze (e purtroppo da sempre i governanti venuti dal Sud hanno barattato le loro poltrone con gli interessi della loro gente). Ritengo comunque che - al di là di ogni "leghismo" - il sentimento dell'unità nazionale sia solido (le celebrazioni dei centocinquant'anni ne sono prova inconfutabile) e quindi non condivido neanche le preoccupazioni di coloro che considerano i dialetti come forza disgregante. Al contrario, in un mondo talora forzatamente globalizzato, per difendere la propria identità nazionale bisogna riferirsi alle radici perché la ricchezza culturale dell'Italia è dovuta proprio alla molteplicità delle sue culture. Ben vengano quindi le lezioni di dialetto. L'importante è che non se ne faccia un uso distorto. Ricordiamo ancora una volta Pirandello che pur temendo che venisse inficiata la purezza della sua scrittura, dichiarava di non potere fare a meno del dialetto perché se l'italiano è la lingua del concetto, il siciliano è la lingua del sentimento. Il nostro amico messinese, da anni viene presentato su queste colonne e come potremmo non parlarne adesso che è appena uscita la sua ultima composizione “ Senza nome” . Giallo, noir, thriller, storia romantica, mistero del sud,?? Leggetelo e trovategli, se proprio non potete farne a meno, una collocazione; a noi è bastato leggere una simpatica storia, dal ritmo incisivo e bei colori di narrazione. Un ragazzo solo, senza famiglia, senza passato e soprattutto senza futuro, finché non compare il deus ex machina ( l’ingegnere) che lo cresce e gli insegna un mestiere… Altro dirvi non voglio sennò “ cu s’u accatta chiù”; Vi anticipo però la terza di copertina…. E io vi mostrerò cosa diversa Dall’ombra vostra che da mane vi cammina dietro Dall’ombra vostra che a sera si leva ad incontrarvi: Vi mostrerò il terrore in un pugno di polvere T. S. Eliot Quando due anni fa Giovanni mi ha mandato la bozza con :” Taliatillu tanticchia, poi mi cunti ”, l’ho letto la prima volta con il freddo distacco del correttore di bozze, poi invece col gusto dell’appassionato del genere e gli ho subito intimato: “imprimatur”. Quindi se non vi piace potete prendervela anche con me, ma sono certo che lo leggerete con piacere. Giovanni è anche bravo con i pennelli… (Enzo Motta) Lucianina Littizzetto da qualche tempo mi piace più quando parla seriamente che quando fa la comica, perché sta scivolando in una volgarità infantile che non le fa onore (e non è che non mi piaccia il linguaggio "forte" se ben usato; sono un convinto ammiratore del nostro "Micio" Tempio). Quanto alla sua dissertazione sulla "mentula" nell'ultimo numero della nostra rivistina, penso che da laureata in lettere avrebbe potuto verificarne meglio l'etimologia: le sarebbe bastato ricorrere a Wikipedia, alla quale rinvio anche i nostri lettori. Io mi limito a ricordare qui il proverbio siciliano che dice: quannu si susi la "m" cala lu ciriveddru; e quannu si susi la ciriveddru cala la "m". Insomma, vogliamo aiutare i giovani artisti Siciliani? ( Va bene è del 1942 ma cosa vorreste insinuare che coloro che sono nati negli anni 40 sono vecchi? “Altro che piccola mente”!!!! …Pppi Piaciri!! (Enzo Motta) 12 la Strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza….. ma in un’altra visione di fratellanza e di solidarietà, del tutto assente nel film. Chilometri di strada che avvicinano i personaggi, senza però il maturare di affetti, perché si viaggia alla ricerca di se stessi e i compagni di viaggioperché non c’è amicizia- si scaricano senza rimpianti o con mille promesse che tutti sanno di non voler mantenere. Una triste scena finale che lascia una spiacevole sensazione di solitudine fra i due “amici” con, ad aggravare gli animi, il rammarico: « ... nessuno sa quel che succederà di nessun altro se non il desolato stillicidio del diventar vecchi, allora penso a Dean Moriarty, penso persino al vecchio Dean Moriarty, il padre che mai trovammo, penso a Dean Moriarty. » Al NuovoFilmstudio Difficile trascrivere su pellicola il libro cult degli anni ‘50 “Sulla strada” di Kerouac. « Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare». » Ma sei solo Kerouac ! Invece sin da subito il bravo regista Walter Salles, amante ed esperto di storie di viaggi (Central do Brasil e I diari della motocicletta) presenta la vera protagonista: la trasgressione ribelle degli anni ’50, con la loro cultura materialista e neofascista McCahrtyana. Una trasgressione compagna di vita e su cui si fonda il quotidiano ritmo dell’incedere di ciascuno, coi mille progetti, le mille visioni e le aspettative di questi giovani “americani”. Emblematica la scena in cui uno di essi cerca di identificare le percentuali di “sangue” della figlia, perdendone il conto. Ad ognuna di queste trasgressioni segue un cambiamento per ciascuno degli irrequieti: dalle pulsioni erotiche e la conseguente ricerca di una identità sessuale, senza limiti, né categorie, alle anfetamine, all’alcol, in una miscela in cui si esaltano e si confondono i personaggi.. Il tutto accompagnato da una colonna sonora intensa e diversissima per genere, ma sempre di ritmo: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Billie Holiday, Quincy Jones, Slim Gaillard (con la celeberrima Hit That Jive Jack), Thelonious Monk, Perez Prado e i grandi Eddie "Son" House in uno struggente classico, Death Letter Blues, e Dinah Washington in Mean And Evil Blues. Tanti viaggi per l’America e ad ogni viaggio una riscoperta di parte di se stessi, di voglie inesaudite, di storie che febbrilmente vengono riassunte su ogni tipo di carta, per non perderle, dalla voce narrante del protagonista ( lo stesso Keruoac). Il luogo è veramente la strada, perché li si vivono le vite; le case, le bettole, i luoghi chiusi sono parentesi narrative: (viene in mente Gaber) C’è solo s.r.a. IN RETE Nel grande giardino di un grande casa c'era un ciliegio maestoso. Era così alto che la punta dei suoi rami si vedeva fin oltre le colline. Il proprietario della casa andava fiero del suo ciliegio e del fatto che la gente venisse, anche da molto lontano, per vederne la fioritura. L'ha piantato il nonno del nonno di mio padre, diceva orgoglioso... Ma aveva un cruccio, non era mai riuscito a raccogliere neanche un frutto da quell'albero gigantesco. Alla fine di ogni primavera, quando cominciavano a spuntare le prime timide ciliegie, il grande albero si popolava di uccelli di ogni tipo, alcuni nidificavano fra i suoi rami immensi, altri restavano giusto il tempo della maturazione. Milioni di uccelli che si nutrivano di quelle ciliegie senza lasciare niente a lui, il padrone. Eppure aveva provato di tutto, spaventapasseri dalle facce truci, colpi di fucile a salve, colpi di fucile fra le chiome dell'albero. Niente da fare, a stormi si allontanavano giusto il tempo del rimbombo e poi tornavano imperterriti fra i rami carichi di foglie e frutti. Finché un giorno, al culmine dell'esasperazione, e forse su suggerimento di qualcuno, trovò una soluzione. Cosparse di potentissima colla ogni singolo ramo dell'immenso albero e rimase ad aspettare. Arrivarono gli uccelli, verso il tramonto. 13 A milioni arrivarono e si posarono sui rami del ciliegio. L'uomo, seduto nel giardino aspettò. Aspettò fino a quando fu sicuro che tutti quei ladri di ciliegie fossero al loro posto, poi prese il suo fucile e cominciò a sparare. Il battito di ali fu così forte che coprì ogni altro rumore, ma nessun uccello riuscì a spiccare il volo imprigionato com'era dalla colla che impregnava i rami. E l'uomo sparava, sparava. Gli uccelli disperati batterono le ali ancora più forte, qualcuno fra loro smetteva all'improvviso, ferito dai colpi di fucile... E poi successe. Si sentì un brontolio profondo, come quando viene il terremoto. Il prato attorno al grande albero tremò, l'uomo cadde dalla sedia e l'ultimo suo colpo di fucile staccò il naso alla statua che adornava la fontana del giardino. Quando riaprì gli occhi vide le grandi radici uscire dalla terra, prima a fatica e poi sempre più velocemente. E vide l'immenso albero sollevarsi, e sollevarsi, e sollevarsi. Neanche il tempo di rimettersi in piedi e il ciliegio stava volando in cielo sorretto da tutte quelle ali. Rimase a guardare a lungo, mentre gli uccelli lo portavano verso est, oltre le colline. A Palermo i Pupi assumono la forma di animali, uomini o donne, nel catanese sono a forma di colombine, nella Sicilia sud-orientale semplici cestini di frolla si arricciano in rose e trecce creando sculture variopinte per uno dei dolci più poveri dell’esuberante Pasqua siciliana. Ancora oggi, in alcune zone della nostra Isola si prepara questa antichissima ricetta. Dolci tipici delle umili campagne dell’entroterra: senza mandorle, senza pistacchi né canditi, privi dei lussi che fiorivano sulle tavole gattopardesche, ma carichi di simboli e di quella speciale arte del decoro che contraddistingue tanti grandi maestri senza nome. A Trapani si chiamano “campanaru” o “cannatuni”, “pupu ccù l’ovu” a Palermo, “cannileri” nel nisseno, “panaredda” ad Agrigento e a Siracusa, “cuddura ccù l’ovu” e “ciciliu” a Catania, “palummedda” nella parte sud occidentale dell’isola. In occasione delle feste pasquali si preparavano, un tempo, le uova sode colorate di rosso e si inserivano in un cestino fatto di pasta che veniva decorato con fiorellini, uccellini, foglioline fatte sempre con la stessa pasta. Era usanza, per i bambini, portarli in chiesa insieme alle pecorelle di marzapane, a mezzogiorno del sabato santo, giorno in cui anticamente,risuscitava il Signore. Il prete li benediva e, poi, di corsa a casa perché, solo dopo “il Resuscito” si poteva mangiare l’ uovo sodo. La cuddura cu’ l’ovu rappresenta un prezioso veicolo di rapporti sociali. In alcuni centri, soprattutto nell’interno dell’isola, “a cuddura” era d’obbligo e seguiva preziose regole fra parenti, amici e compari. Il numero delle uova e quindi la grandezza dimostravano l’affetto o il grado di parentela o anche l’obbligo che chi donava sentiva verso chi riceveva; al padre veniva riservata “ a cuddura” più grossa, perlomeno con un uovo in più rispetto a quelle degli altri; insomma, maggiore era il rispetto più alto corrispondeva il numero delle uova. Caratteristica era ed è ancora in piccoli centri ”a cuddura “ che la fidanzata regalava al fidanzato e che conteneva tante uova quanti erano gli anni di questo, che a sua volta ricambiava regalando un “agneddu” alla sua ragazza. Tipica è l’ espressione popolare che per dimostrare che è proprio fortunato chi di una data cosa ha disposto in tempo utile visto che non si può più tornare indietro, che così recita: Grazie a Filippo Bessone che ha raccontato questa storia e a Gianmaria Testa che l’ha regalata al popolo del web. Ricette di Pasqua Auguri anche se tardivi I pupi cù l’ova: dolci tipici della Pasqua siciliana “Cu nnappi nnappi di cassateddi i Pasqua”. 14 Ingredienti per 4 canestrini: 400 gr di farina; 2 uova e 1 tuorlo per la superficie; 4-6 uova sode; 3 cucchiai di zucchero; 60 gr di strutto; 2 cucchiai di olio d’oliva; 10 gr di lievito in polvere; 1 pizzico di sale; “diavolina” di zucchero. Igiene internazionale Procedimento Preparare le uova sode, scolarle e farle raffreddare. Poi su una spianatoia versare la farina a fontana e mettere al centro le due uova, lo strutto, lo zucchero, l’olio, un pizzico di sale e il lievito. Impastare energicamente e, se necessario, aggiungere 2-3 cucchiai d’acqua fredda. Lavorare l’impasto una decina di minuti finché non risulterà liscio e compatto e fare riposare in frigo 20 minuti. Nel frattempo sgusciare le uova sode, metterle da parte e preriscaldare il forno a 180°C. Dividere l’impasto in 4 parti; da ciascuna ricavare due dischi di pasta da usare rispettivamente come base su cui adagiare l’uovo sodo e come copertura per lo stesso. Fare aderire bene le due parti, ritagliare l’impasto eccedente con cui si possono creare le restanti decorazioni del canestrino. Ripetere la stessa operazione con ciascuna parte dell’impasto fino ad esaurimento di tutte le uova sode. Adagiare i canestrini sulla placca da forno rivestita con carta oleata, spennellarli col tuorlo d’uovo sbattuto e decorare con la diavolina colorata. Cuocere a 180°C per 20 minuti circa. Mafia: sette anni a Dell'Utri Chissà com’era lo specchio che ha rotto! Televisione: Barbara d'Urso a Pomeriggio 5: "Saluto tutti i ciechi che mi stanno guardando". In quel momento si leva un coro di "Mavaff….!" da parte di tutti i muti d'Italia. ANNI: Il male non è che fuori si invecchia, è che molti non rimangono giovani dentro. Si, lo so che lo fate per il mio diabete, ma a Pasqua almeno uno ? 15 APPUNTAMENTI DA NON PERDERE Mercoledi 24 aprile presso le Sale del Casino di Lettura la nostra Socia Mirella BOGETTO CAIMI darà vita ad una conversazione su LA LIGURIA E LA POESIA Sabato 6 aprile alle 17, 30 presso la Galleria d’Arte del XXI secolo in Via Quarda Sup. 5r Sarà inaugurata la mostra delle opere della nostra amica Aurelia TRAPANI. La mostra, proseguirà sino al 18 aprile con orario tutti i giorni dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 18. Lorenzo Giusto Acquaviva, figlio del nostro socio Filippo, presenta una bella mostra delle sue sontuose ceramiche presso il Circolo degli ArtistiPozzo Garritta - Albisola Mare. La Mostra prosegue sino al 7 aprile È la Liguria terra leggiadra. Il sasso ardente, l'argilla pulita, s'avvivano di pampini al sole. È gigante l'ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombra e sole s'alternano per quelle fondi valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra campi di rose, pozzi e terre spaccate, costeggiando poderi e vigne chiuse. In quell'arida terra il sole striscia sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni è un giardino fiorito. Reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate! O aperti ai venti e all'onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile ad un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore. V. Cardarelli MeloAscolto 2013 Figli di un D(i)O minore Tutti i giovedì al NuovoFilmstudio ore 17,00 Ingresso gratuito 4 aprile Lloyd Webber: Evita, ma anche Cats o The Phantom of the Opera e oltre (Stefano A.E. Leoni) 11 aprile Nel momento culminante del finale travolgente… Esplode il rock! 18 aprile divagazioni (no interrogazioni) di Stefano A.E.Leoni ed Emanuela. E. Abbadessa Santuzzo 16