Tensione superficiale

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Tensione superficiale
Tensione superficiale
Talvolta si vedono alcuni insetti che camminano sull’acqua; d’altronde è noto che è
possibile riuscire a far galleggiare una graffetta metallica (Fig. 1) o una lametta di
acciaio, la cui superficie sia leggermente unta, deponendoli con delicatezza sulla superficie del liquido. Questi fenomeni, che sembrano contraddire l’esistenza della forza
di gravità e del principio di Archimede, possono essere spiegati considerando l’effetto
della tensione superficiale. Cerchiamo prima di capire le ragioni dell’esistenza di tale
forza, per poi analizzarne in dettaglio gli effetti e arrivare a misurarla.
Figura 1: Graffetta metallica che galleggia in un bicchier d’acqua.
1 Origine della tensione superficiale
Per capire cosa sia la tensione superficiale è necessario ricordare com’è fatta al suo
interno la materia, ripercorrendo alcune nozioni essenziali di fisica atomica.
Sappiamo che a ogni elemento chimico corrisponde un atomo con una struttura
interna diversa. Gli atomi sono i mattoni con cui sono costruite tutte le sostanze che ci
circondano. Difficilmente, però, una sostanza è formata da atomi singoli; più spesso i
mattoni sono costituiti da più atomi (dello stesso tipo o diversi) legati insieme. Queste unità sono dette molecole. È importante ricordare che la molecola, pur potendosi
scomporre negli atomi costituenti, è la particella più piccola che ha le stesse caratteristiche della sostanza di cui fa parte. Per fare un esempio particolarmente semplice: la
molecola dell’acqua (H2 O) è formata da due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno: se separo idrogeno e ossigeno rompendo la molecola non ho più le caratteristiche
dell’acqua!
Le molecole di una sostanza possono coesistere in tre modi diversi (i cosiddetti
stati di aggregazione della materia): lo stato solido, lo stato liquido, lo stato gassoso.
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Nel primo caso le molecole sono saldamente legate fra loro da alcune forze di coesione
che esistono fra molecola e molecola: queste forze fanno sı̀ che il solido sia compatto,
più o meno a seconda del tipo di materiale, e mantenga un volume proprio e una forma
propria. Le forze molecolari, attrattive a “grandi distanze”, divengono repulsive per
distanze brevissime, cosicché gli atomi di un solido non possono avvicinarsi indefinitamente, ma si raggiunge una situazione di equilibrio. Gli unici movimenti permessi
alle molecole di un solido sono delle vibrazioni, tanto più intense quanto maggiore è la
temperatura, attorno alla posizione di equilibrio. Nel caso in cui gli atomi che formano una molecola siano ordinati su un ideale reticolo tridimensionale, si parla di solido
cristallino (nella Fig. 2 è mostrata la disposizione degli atomi nel reticolo cristallino
per il cloruro di sodio); invece, nel caso in cui le molecole siano attaccate le une alle
altre senza un particolare criterio d’ordine, il solido è detto amorfo.
Figura 2: Rappresentazione schematica tridimensionale del reticolo cristallino del
cloruro di sodio (NaCl), il comune sale da cucina (figura estratta dal volume [1],
che contiene anche un’ottima descrizione di questi fenomeni). Le sferette nere e
grigie rappresentano gli atomi di sodio e di cloro.
I liquidi hanno una struttura interna costituita da molecole vicine le une alle altre,
disposte in maniera disordinata come nei solidi amorfi, in cui però l’intensità delle
forze di coesione fra molecola e molecola non è tale da garantire la compattezza del
materiale. In questo caso, infatti, le molecole possono “scivolare” reciprocamente
andando a occupare zone collocate più in basso rispetto al livello del liquido. Com’è
noto, infatti, i liquidi hanno volume proprio1 , ma non forma propria, adattandosi a
quella del recipiente che li contiene.
Nei gas, infine, le molecole sono reciprocamente molto più distanti (circa dieci
volte) rispetto ai solidi e ai liquidi; pertanto, per tali sostanze, le forze intermolecolari
possono essere spesso del tutto trascurate. Essendo libere di muoversi, le molecole
di un gas si muovono rapidamente nello spazio a loro disposizione. Chiudendo il gas
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I liquidi sono incomprimibili proprio perché lo spazio libero fra molecola e molecola è piccolo e le
forze molecolari ostacolano un avvicinamento ulteriore fra le molecole
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in un recipiente, le molecole urtano contro le pareti, esercitando su di esse una certa
pressione.
Vediamo, più in dettaglio, come la struttura stessa di un liquido dia origine alla tensione superficiale. Si faccia riferimento alla Fig. 3, che mostra in maniera schematica
ed enormemente ingrandita la disposizione delle molecole all’interno di un liquido (le
dimensioni lineari delle molecole di acqua sono di circa 0.3 milionesimi di millimetro,
cioè 3 10−7 mm).
Figura 3: Rappresentazione schematica di molecole di acqua all’interno di un
recipiente.
Una molecola come quella indicata con la lettera A è circondata da altre molecole
simili che la attraggono. La molecola A, sotto l’azione di tali forze, tenderà a spostarsi un poco nella direzione della molecola più prossima, ma manterrà, in media nel
tempo, la propria posizione. Una molecola come la B, che si trova vicino alla superficie del liquido, sentirà anch’essa la forza attrattiva esercitata dalle molecole vicine,
ma queste si trovano soltanto sotto o accanto alla molecola considerata. Ne consegue
che la molecola B, e tutte le altre molecole in prossimità della superficie del liquido,
sono attratte più efficacemente verso l’interno del liquido stesso2. Per questo motivo
il liquido si comporta come se ci fosse una pellicola invisibile che lo tiene unito. In
2
Sopra la molecola B non c’è liquido, ma aria, la cui densità è circa mille volte più piccola. Questo
significa che, a parità di volume, le molecole di aria sono circa mille volte meno numerose di quelle di
acqua; quindi l’attrazione esercitata dalle molecole di aria sovrastanti il liquido è praticamente trascurabile per i nostri scopi. Nella Fig. 3 sono disegnate in verde, a scopo esemplificativo, alcune molecole di
aria sopra la superficie del liquido.
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Figura 4: Questa lamina di acqua saponata è stata fatta aderire su un contorno di filo
di ferro. Sul telaio è legato un sottile filo di cotone che è annodato a cappio: rompendo con un oggetto appuntito la lamina liquida all’interno del cappio, si osserva
che il foro si allarga a formare un cerchio pressoché perfetto.
realtà si tratta dell’azione di una forza di origine molecolare. A questo fenomeno, come preciseremo meglio in seguito mediante una definizione operativa, si dà il nome di
tensione superficiale.
L’intensità della tensione superficiale dipende dal tipo di liquido considerato e da
quale altra sostanza è circondato. La tensione superficiale è anche la causa della formazione delle gocce, che sono tenute insieme proprio da questa forza. Si prenda come
esempio il mercurio, un liquido dotato di una elevata tensione superficiale: si può
notare che il mercurio rovesciato su un tavolo si raccoglie sempre in piccole sferette
compatte3 .
2 I tensioattivi e le bolle di sapone
I tensioattivi sono sostanze che, aggiunte all’acqua, ne abbassano la tensione superficiale. I tensioattivi vengono utilizzati nell’industria dei detersivi e dei saponi perché, abbassando la tensione superficiale dell’acqua, l’oggetto da pulire si bagna più
facilmente e l’acqua penetra nei piccoli interstizi trascinando via lo sporco.
Quando la tensione superficiale diminuisce, si ha una minore coesione della superficie del liquido, per quanto abbiamo detto finora. È per questo motivo che l’acqua
saponata, a differenza dell’acqua pura, fa la schiuma.
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Evitate però di provare: il mercurio, se ingerito o inalato, è tossico!
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Le bolle di sapone sono molto istruttive perché permettono di capire come agisce
la tensione superficiale. Con una opportuna miscela di acqua, sapone da cucina e
glicerina si possono ottenere bolle molto stabili nel tempo. La lamina liquida delle
bolle è una membrana elastica, che tende sempre a occupare la superficie più piccola
possibile. Questo spiega vari fenomeni affascinanti, come quello mostrato in Fig. 4.
Un testo che contiene molte bellissime applicazioni è Le bolle di sapone [2].
3 Definizione di tensione superficiale
Prima di misurare la tensione superficiale di un liquido, dobbiamo precisare meglio
una precedente affermazione. Abbiamo detto che la lamina di acqua saponata è come
una lamina elastica, che tende a occupare la superficie più piccola possibile. Bisogna
però sottolineare una differenza, che può essere messa in evidenza con un semplice
esperimento. Si consideri un telaio metallico a forma di U (Fig. 5) con una sbarretta
mobile AB appoggiata sopra. Se immergiamo il telaio in acqua saponata, facendo
aderire una lamina liquida sul contorno del telaio e tenendolo poi orizzontale, si osserva
che la sbarretta AB è attratta verso la base della U: per impedire questo movimento è
necessario applicare alla sbarretta una forza F nella direzione opposta. Si nota però
che l’intensità di questa forza non è proporzionale all’estensione della superficie della
lamina, ma è invece proporzionale alla lunghezza del tratto l = AB. Per questo motivo
si definisce la tensione superficiale (di solito indicata con la lettera greca tau: τ ) come
una grandezza data dal rapporto fra una forza e una lunghezza:
τ=
F
2l
(si è considerato il doppio della lunghezza AB perché la lamina aderisce su due bordi
della sbarretta metallica, il cui spessore è molto maggiore del raggio d’azione delle
forze molecolari).
A
F
B
Figura 5: Telaio metallico a forma di U con lato mobile AB
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Figura 6: Misura della tensione superficiale con anello e dinamometro.
4 Misura della tensione superficiale
Esistono vari metodi per misurare la tensione superficiale di un liquido. Uno dei più
semplici, che qui descriviamo, necessita di un dinamometro abbastanza sensibile e di
un anello metallico con diametro di qualche centimetro (Fig. 6). Appendiamo l’anello,
che è dotato di fili di sospensione, al dinamometro: l’allungamento dà una misura del
peso dell’anello (leggeremo un valore F1 sulla scala graduata).
Il liquido di cui si vuole misurare la tensione superficiale (per esempio acqua) è
dentro un contenitore, appoggiato per comodità su un tavolinetto regolabile in altezza.
Se si alza gradualmente il tavolinetto cercando di immergere l’anello nel liquido, si
osserva una forza resistente, che fa contrarre visibilmente il dinamometro. Si potrebbe pensare che la contrazione del dinamometro sia dovuta alla spinta di Archimede
sull’anello. In realtà, finché l’anello non è completamente immerso, l’allungamento
del dinamometro è molto minore di quello che si osserva con l’anello ben al di sotto
della superficie del liquido. Nella fase di attraversamento della superficie si ha dunque
l’effetto combinato della spinta di Archimede e della tensione superficiale.
Per poter misurare quest’ultima, senza subire gli effetti della forza idrostatica, si
può procedere nella direzione opposta rispetto all’esperienza condotta finora. Si estrae
cioè l’anello dal liquido, abbassando lentamente e delicatamente il tavolinetto. Si osserva un allungamento crescente del dinamometro, fino a un valore massimo F2 . Se si
continua ad abbassare il tavolinetto si ha un distacco improvviso dell’anello dal liquido
e una contrazione rapida del dinamometro. La differenza F2 − F1 dà la forza con cui
la tensione superficiale agisce sull’anello.
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Sulla base della definizione data, per ottenere τ si deve dividere questo valore per
la lunghezza del tratto interessato. In questo caso la lunghezza da considerare è pari
al doppio della circonferenza dell’anello, per le stesse ragioni descritte nel paragrafo
precedente. Se r è il raggio dell’anello, il valore della tensione superficiale sarà dato
dunque da:
τ=
F2 − F1
4πr
Riferimenti bibliografici
[1] M. Ageno, Elementi di fisica, Boringhieri (1976)
[2] C. V. Boys, Le bolle di sapone e le forze che le modellano, Zanichelli (1963)
Samuele Straulino, 2007 (modificato: febbraio 2013)
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