Report Deglutologia

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Report Deglutologia
N. 4/2014
REPORT
CORSO CRS
Direttori del corso
Prof. Giovanni Ruoppolo
Dott. Daniele Farneti
MILANO
13-14 novembre 2014
REPORT DEL CORSO DI
AGGIORNAMENTO
DEGLUTOLOGIA
REPORT C
Report del corso di aggiornamento
DEGLUTOLOGIA
MILANO, 13-14 novembre 2014
NOTA DELL’EDITORE
Il presente volume riprende i principali contenuti di questo evento formativo, con l’obiettivo di renderli disponibili a un pubblico più ampio e
di offrire informazioni e indicazioni condivise per un miglioramento della pratica clinica.
In particolare, i testi che seguono sono una rielaborazione originale, a cura della redazione di Sintesi InfoMedica, delle relazioni presentate
durante l’evento da D. Farneti (management, valutazione endoscopica, pianificazione terapeutica, presa in carico in acuto), E. Genovese
(sistema ICF), A. Schindler (livelli di evidenza), G. Ruoppolo (anatomo-fisiologia, pianificazione terapeutica, presa in carico paziente istituzionalizzato), B. Travalca Cupillo (fisiopatologia, stabilizzazione delle vie aero-digestive), M. Ceccanti (presupposti neurologici), C. Steele (valutazione non strumentale, approcci compensatori, riabilitazione con esercizi), A. Wutte-Hannig (valutazione radiologica), B. Fattori (valutazione
scintigrafica), R. Antenucci (stabilizzazione neuromotoria), A. Nacci (implicazioni medico-legali), M. Panella (presa in carico in acuto), A.
Accornero (presa in carico paziente istituzionalizzato) e della tavola rotonda conclusiva. I testi, rivisti dai rispettivi relatori, sono stati riassunti
e integrati con le opinioni emerse dalle discussioni tenutesi nel corso dei lavori.
Indice
Presentazione del corso
3
La presa in carico
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Realizzato e distribuito
con il contributo incondizionato di
2
Management del paziente con disturbi di deglutizione 3
I disturbi di deglutizione nel sistema ICF 4
Deglutologia e livelli di evidenza 5
Anatomo-fisiologia della deglutizione
6
Presupposti neurologici dei principali quadri clinici
di disfagia
8
La valutazione clinica non strumentale
9
La valutazione endoscopica
11
La valutazione radiologica
12
La valutazione scintigrafica14
La pianificazione terapeutica
La pianificazione terapeutica15
La disfagia nel trauma cranico-encefalico: aspetti clinici
e di programmazione riabilitativa
17
La stabilizzazione neuromotoria
18
Implicazioni medico-legali della presa in carico del
paziente con disfagia
20
Approcci compensatori nella gestione della disfagia:
modificazioni dietetiche, manovre posturali e tecniche
di protezione delle basse vie
21
Riabilitazione della disfagia con un approccio basato
su esercizi
23
La presa in carico del paziente in acuto
24
La presa in carico del paziente in estensiva
e istituzionalizzato26
CORSO CRS
Presentazione del corso
Daniele Farneti
AUSL della Romagna, Rimini
I disturbi della deglutizione stanno suscitando un sempre maggiore interesse, confermato anche dall’elevato numero
dei partecipanti a questo corso. L’edizione di quest’anno affronta le tematiche relative alla riabilitazione. Oltre a fornire
indicazioni di ordine diagnostico, per aiutare il riabilitatore a impostare il piano di trattamento, il corso descrive anche
alcune tecniche riabilitative.
Management del paziente con disturbi
di deglutizione
Daniele Farneti
AUSL della Romagna, Rimini
Il costante incremento dei problemi di deglutizione determina un regolare aumento delle richieste d’intervento, per
pazienti che presentano patologie diverse con varie comorbidità. In questo contesto, un centro per lo studio e la
cura dei disturbi della deglutizione permette un intervento
realizzato da un team multidisciplinare, con un’adeguata
definizione diagnostica, la stesura di un piano di trattamento, la prevenzione delle complicanze. Tale centro dovrebbe
prevedere anche la raccolta di dati, per fornire informazioni
di tipo epidemiologico e promuovere una cultura specifica. La gestione clinica del paziente deve essere comunque
impostata secondo criteri di evidenza, e in tutte le sue fasi
deve tenere conto delle risorse disponibili. Il paziente può
presentare una disfagia già nota, per un precedente intervento chirurgico o per patologie internistiche. Queste condizioni si differenziano da quelle della popolazione a rischio,
che comprende i pazienti colpiti da stroke, i traumatizzati
cranici, i soggetti con patologie neurologiche degenerative
o con disordini neuromuscolari, le paralisi cerebrali infantili,
i bambini e gli anziani. La gestione clinica di queste tipologie di pazienti, prevede una fase di screening, alla quale si
affiancano dei percorsi completi di valutazione clinica, strumentale e non, che consentono di definire fisiopatologicamente il disturbo di deglutizione, per elaborare un piano di
trattamento (Figura 1).1
Centro Disfagie
Accesso
Continuità di cura
Valutazione clinica
SÌ
Screening:
disfagia
NO
SÌ
Valutazione strumentale
Modificare
fisiologia
Compensare
patologia
Gestione:
intervento
SÌ
Piano di trattamento
NO
NO
Piano di dimissione
Figura 1. Percorso di gestione clinica del paziente disfagico1
Il clinico deve essere coinvolto anche nelle valutazioni strumentali e nell’elaborazione di tale piano. Il paziente deve
essere gestito in modo personalizzato e si deve necessariamente tener conto delle sue esigenze e delle sue opinioni.
Tramite lo screening, il centro identifica i soggetti a rischio
di disfagia, per avviarli al percorso diagnostico, inizialmente di tipo non strumentale. Ove indicate, si procede con le
valutazioni cliniche strumentali, che misurano gli eventi bio-
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REPORT C
meccanici responsabili del disturbo di deglutizione. Una volta ottenute queste informazioni, si può elaborare un piano di
trattamento specifico per quel paziente. A ogni passaggio
da un setting a un altro, va predisposto, inoltre, un piano di
dimissione, che identifichi i nuovi obiettivi da realizzare e le
figure professionali che dovranno farsi carico del paziente.
Nel team multidisciplinare i professionisti di riferimento, per
la loro formazione, sono i foniatri e i logopedisti. Essendo il
centro disponibile anche per le realtà del territorio, il paziente
può arrivare anche su richiesta del medico di medicina generale o di altri specialisti. Il clinico esegue, quindi, l’anamnesi,
una valutazione clinica non strumentale e un’endoscopia.
Nel 90% circa dei casi questo consente già di identificare il
problema fisiopatologico del paziente e di impostare un piano d’intervento. Se il problema del paziente non è individua-
to, si richiedono ulteriori indagini (videofluoroscopia, indagini
funzionali esofago-gastriche) o il contributo di altri specialisti.
Il team, infatti, coinvolge di volta in volta gli specialisti necessari per le diverse patologie riscontrate nei pazienti. Esiste,
però, un team ristretto di figure più specificamente coinvolte,
composto dal medico referente e dall’infermiere: a differenza
di altre, queste due figure rientrano in tutti i setting in cui si
può ritrovare un paziente con disfagia, dall’ospedale all’assistenza domiciliare.
Bibliografia
1. Farneti D, et al. The Swallowing Centre: rationale for a multidisciplinary
management. Acta Otorhinolaryngol Ital. 2007 Aug;27(4):200-7
I disturbi di deglutizione nel sistema ICF
Elisabetta Genovese
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Fino a pochi anni fa, la classificazione di una patologia prevedeva l’individuazione di una causa e la formulazione di
una diagnosi, per poi definire una terapia. Oggi si utilizza
un approccio definito biopsicosociale, che tiene in maggior
considerazione le necessità e il benessere della persona. Nel
periodo 1980-2002, si è utilizzata la classificazione ICDH
(International Classification of Disabilities and Handicaps)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ritenuta
poco descrittiva, soprattutto per i bambini e gli anziani, e di
“scarsa sensibilità” nei confronti dei miglioramenti ottenuti
con i trattamenti. Dal 2002 l’OMS ha introdotto la classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), che considera il benessere dell’individuo,
su cui un’alterazione delle strutture o delle funzioni genera
un impairment, che può lasciare alla persona la possibilità di
svolgere delle attività o può limitarne altre. Bisogna dunque
valutare quali attività sono possibili e quali sono le limitazioni
per l’individuo, e come queste si ripercuotano nella vita di
relazione e nelle attività di partecipazione (Figura 1).1
Il clinico interviene a livello medico, chirurgico o riabilitativo,
ma, in un’ottica più globale, agisce anche sui fattori ambientali presenti nella realtà in cui l’individuo vive e sul suo modo
di vivere il proprio impairment.
Obiettivi dell’ICF erano la costruzione di un’evidenza scientifica comune e di un comune linguaggio, traducibile in tutte
le lingue, perché i dati potessero essere confrontati nei diversi Paesi e nelle varie discipline. Per ognuna delle principali
4
Classificazione internazionale del Funzionamento,
Disabilità e Salute (ICF, OMS, 2001)
Condizioni di salute
(disturbo, patologia)
Funzioni e
strutture corporee
(Impairment)
Fattori
ambientali
Attività
(Limitazioni)
Partecipazione
(Restrizioni)
Fattori
personali
Figura 1. Modello biopsicosociale di funzionamento e disabilità1
categorie (funzioni e strutture corporee, attività, partecipazione, aspetti ambientali), sono state previste diverse sottocategorie, equivalenti a percentuali di compromissione ai
diversi livelli. Questa visione richiede nuovi criteri per la valutazione delle necessità dell’individuo e dell’outcome, per tarare l’intervento sulla base delle esigenze della persona. Secondo l’OMS la disfagia è una possibile causa di limitazione
di attività o partecipazione, con conseguenze psicosociali,
alcune delle quali simili a un disturbo di comunicazione. Per
questo foniatri e logopedisti possono dedicarsi, tramite l’ICF,
alla disfagia. L’approccio ai problemi di deglutizione prevede
CORSO CRS
obiettivi di diversi livelli.
A livello individuale si verificano il funzionamento della persona, gli interventi più adatti, quali possono essere i risultati,
tenendo conto anche delle risorse disponibili, e come possono modificare la vita dell’individuo. È necessario, poi, un
confronto con le istituzioni, per utilizzare al meglio i servizi
nelle diverse realtà, per migliorare la qualità, per valutare la
gestione e i risultati. Si possono individuare, infine, obiettivi
di carattere sociale, dallo sviluppo di politiche sociali, all’implementazione dell’accessibilità.
Lo schema ICF prevede nei diversi domini un grading, in
cui si verifica l’entità del problema, da lieve a grave, fino alla
perdita completa della funzione. Nella disfagia, la funzione è
l’assunzione di cibo, indicata dal codice b510, cui si affiancano le diverse modalità (mordere, succhiare, ecc.) e la de-
glutizione. A livello strutturale, possono essere compromessi
i vari organi del cavo orale, oltre a esofago, nasofaringe e
laringe. Altre funzioni, poi, sono correlate all’assunzione e
alla deglutizione di cibo, come le funzioni della coscienza, le
intellettive, le motivazionali. Tra le attività e la partecipazione
rientrano il mangiare e il bere; se il soggetto non compie
tali azioni in modo coordinato e culturalmente accettabile,
ha una restrizione alla propria vita di relazione. I percorsi
rimediativi devono includere anche le eventuali modifiche
all’ambiente in cui il soggetto vive, utili per assumere il cibo
in maniera corretta.
Bibliografia
1. OMS, Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità
e della Salute (ICF), Erickson, Trento, 2001
Deglutologia e livelli di evidenza
Antonio Schindler
UOS Foniatria, Ospedale L. Sacco, Università degli Studi, Milano
Per medicina basata sull’evidenza (EBM) s’intende un approccio clinico quotidiano diverso o aggiuntivo rispetto
all’approccio nosologico o a quello fisiopatologico. Nell’EBM
questi due approcci sono rispettati, ma si cercano anche gli
studi disponibili, che possano supportare una certa procedura diagnostica o un certo trattamento. I vari livelli di evidenza sono stati schematizzati in una struttura piramidale,
condivisa in tutto il mondo (Figura 1).
Based
on ability
to control
for bias and
to demonstrate
cause
and effect
in humans
Clinical Practice
Guidelines
Meta-Analysis
Systematic Reviews
Secondary,
pre-appraised or
filtered studies
Randomized
Controlled Trial
Prospective, tests treatment
Primary
Studies
Cohort Studies
Prospective: cohort has been exposed
to a risk. Observe for outcome of interest
Observational
Studies
Case Control Studies
Retrospective, subjects have the outcome of interest;
looking for risk factor
Case Report of Case Series
Narrative Reviews, Expert Opinions, Editorials
Animal and Laboratory Studies
Figura 1. La piramide delle evidenze
No design
Not involved
w/humans
Per i quattro capisaldi terapeutici comunemente adottati
nella disfagia (posture e manovre, modificazioni dietetiche,
rinforzo senso-motorio e neuromodulazione) sono attualmente disponibili evidenze cliniche che supportano un effetto sull’atto deglutitorio, ma non sull’assunzione del pasto.
Una review, ad esempio, non ha rilevato evidenze a favore
o contro un approccio non farmacologico, nel trattamento
della disfagia nel Parkinson. La stessa review, però, esulando dall’EBM, ha dato un’indicazione di valore clinico,
affermando che comunque questa popolazione di pazienti
deve essere valutata per almeno sei mesi, per verificare un
eventuale cambiamento.1 Lo stroke è l’ambito per il quale è
disponibile il maggior numero di dati. Un’altra revisione sistematica ha evidenziato, in questa popolazione di pazienti, un
lieve vantaggio della PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) rispetto al sondino nasogastrico, ma non ha rilevato
evidenze particolari per altri ambiti, come le terapie farmacologiche o gli approcci comportamentali.
I pazienti con demenza diventano quasi tutti disfagici in fase
terminale e le loro condizioni sostanzialmente impediscono
un approccio riabilitativo.2 L’unica possibilità è rappresentata dalla PEG, ma non esistono evidenze che supportino
il suo utilizzo in questa popolazione.3 Anche l’impiego della
tossina botulinica per lo sfintere esofageo superiore non ha
ancora avuto conferme sufficienti a guidare la pratica clinica: occorrerà quindi basarsi su principi nosologici o fisiopatologici.4 Una review dedicata alla disfagia neurogena nei
bambini ha potuto includere nell’analisi solo tre studi, due
degli anni ’90, uno del 2010. I dati di quest’ultimo sono stati
5
REPORT C
ritenuti inconcludenti, mentre negli altri due le evidenze non
erano sufficientemente robuste.5
Revisioni della letteratura sono state realizzate anche per
gli screening utilizzati nei pazienti neurologici in genere.
Nonostante siano più di trenta gli screening attualmente
disponibili, solo due di questi hanno una sensibilità e una
specificità sufficienti per essere utilizzati, il volume-viscosity
test e il TOR-BSST.6 La possibilità che i trattamenti riabilitativi possano favorire un innalzamento dell’osso ioide ha
suscitato un ampio dibattito, soprattutto nel Nord America.
Una revisione sistematica ha analizzato un numero consistente di studi su quest’argomento, evidenziando come le
modificazioni del bolo o l’utilizzo di alcune manovre siano
strumenti efficaci per l’innalzamento dell’osso ioide, mentre
altri approcci terapeutici (manovra di Shaker) non lo sono
altrettanto.7
L’efficacia del trattamento del logopedista, smentita in un
lavoro del 2003, è stata, invece, confermata da una review
del 2010.8 Ciò significa che, dall’adozione di un trattamento
alle prime evidenze della sua efficacia, può passare anche
più di un decennio. Sul Journal of Rehabilitation Research
and Development sono state pubblicate in sequenza diverse review, che hanno valutato l’efficacia dei più comuni trattamenti comportamentali, nei soggetti normali, nei pazienti
neurologici e in quelli con tumori del distretto testa-collo.
Questi lavori hanno evidenziato come posture e manovre
possano modificare la fisiologia della deglutizione nel soggetto normale, anche se con un basso livello di evidenza.9
Per i pazienti con disfagia neurogena si sono analizzati 11
studi degli oltre 200 inizialmente selezionati, riguardanti cinque tecniche utilizzate da oltre un trentennio. Solo due studi
erano trial clinici randomizzati e solo uno ha valutato l’outcome più importante: la possibilità di ridurre le complicanze a
livello polmonare.10 Poche evidenze sono emerse per questa popolazione, così come per i pazienti oncologici.11 Le
evidenze di efficacia in ambito deglutologico sono, dunque,
ancora in uno stadio iniziale, ma è necessario conoscerle
per adottare le scelte più opportune.
Bibliografia
1. Tunn UW et al. Comparison of LH-RH Analogue 1-Month Depot and
3-Month Depot by Their Hormone Levels and Pharmacokinetic Profile in
Patients with Advanced Prostate Cancer. Urol Int 1998;60(suppl 1):9-17
2. Bath PM, et al. Interventions for dysphagia in acute stroke. Cochrane
Database Syst Rev. 2000;(2):CD000323. Review
3. Sampson EL, et al. Enteral tube feeding for older people with advanced
dementia. Cochrane Database Syst Rev. 2009 Apr 15;(2):CD007209.
Review
4. Regan J, et al. Botulinum toxin for upper oesophageal sphincter dysfunction in neurological swallowing disorders. Cochrane Database
Syst Rev. 2014 May 6;5:CD009968. Review
5. Morgan AT, et al. Interventions for oropharyngeal dysphagia in children
with neurological impairment. Cochrane Database Syst Rev. 2012 Oct
17;10:CD009456. Review
6. Kertscher B, et al. Bedside screening to detect oropharyngeal dysphagia in patients with neurological disorders: an updated systematic review. Dysphagia. 2014 Apr;29(2):204-12
7. van der Kruis GJ, et al. Biomechanical analysis of hyoid bone displacement in videofluoroscopy: a systematic review of intervention effects.
Dysphagia. 2011; 26(2):171-82
8. Speyer R, et al. Effects of therapy in oropharyngeal dysphagia by speech and language therapists: a systematic review. Dysphagia. 2010
Mar;25(1):40-65
9. Wheeler-Hegland K, et al. Evidence-based systematic review:
Oropharyngeal dysphagia behavioral treatments. Part II--impact of
dysphagia treatment on normal swallow function. J Rehabil Res Dev.
2009;46(2):185-94
10. Ashford J, et al. Evidence-based systematic review: Oropharyngeal
dysphagia behavioral treatments. Part III--impact of dysphagia treatments on populations with neurological disorders. J Rehabil Res Dev.
2009;46(2):195-204
11. McCabe D, et al. Evidence-based systematic review: Oropharyngeal dysphagia behavioral treatments. Part IV--impact of dysphagia
treatment on individuals’ postcancer treatments. J Rehabil Res Dev.
2009;46(2):205-14
Anatomo-fisiologia della deglutizione
Giovanni Ruoppolo
Dipartimento Testa e Collo, Università La Sapienza, Roma
La deglutizione infantile e quella dell’adulto si differenziano
principalmente nelle fasi orali. Nel bambino molto piccolo
la suzione e il trasporto sono attività riflesse, senza lavorazione dell’alimento. Nella deglutizione di tipo adulto, oltre
a un’evoluzione delle fasi faringea ed esofagea, si assiste
a una trasformazione delle fasi orali da attività riflesse a
volontarie. La maturazione della deglutizione adulta inizia
molto precocemente, quando con le pappe il bambino co-
6
mincia a compiere le prime attività di lavorazione. Nel bambino normale si osserva la risoluzione dei riflessi, che possono riemergere come arcaici nei traumatizzati cranici. Due
fasi preludono alla deglutizione vera e propria nell’adulto:
la prima è definita anticipatoria, in cui gli stimoli provenienti dal cibo inducono una secrezione salivare e gastrica e
si hanno modificazioni del tono muscolare. La seconda è
la preparazione extra orale, che comprende la preparazio-
CORSO CRS
ne degli alimenti e la manipolazione extra orale del cibo:
quest’ultima richiede movimenti che possono risultare particolarmente difficili nei disfagici, che spesso hanno altre disabilità associate. La deglutizione vera e propria inizia con
la preparazione orale, che comprende l’ingestione del bolo,
la masticazione, l’imbibizione con la saliva e l’accumulo del
bolo sulla parte anteriore del dorso linguale. I nervi cranici
posteriori sono responsabili della parte motoria di questa
fase, ma ha un ruolo fondamentale anche la sensibilità, che
interviene nella gestione del bolo. La lingua svolge un ruolo
di primo piano in diversi momenti della deglutizione: dotata
di una straordinaria muscolatura, continua a rimescolare il
cibo, finché il bolo viene accumulato sul solco linguale per
essere deglutito. Perché la deglutizione avvenga correttamente è fondamentale che sia chiuso lo sfintere glosso-palatale: la lingua deve avere un tono, per cui il velo avanzato
possa entrare in contatto, in modo che il bolo non scivoli prima che si verifichi il momento della fase faringea. La
mancata chiusura di questo sfintere si riscontra piuttosto
frequentemente nei malati di SLA.
La fase orale è rappresentata solo dalla spinta all’indietro
del bolo accumulato nel solco linguale, un movimento particolarmente difficile nei parkinsoniani, che non riescono a
controllare il tremore della lingua. La lingua spinge il bolo
fino agli archi palatini: in questo momento si attiva il riflesso
di deglutizione, con cui il bolo deve arrivare all’esofago. La
fase faringea è cruciale ed è la più temuta: inizia con una
spinta della base della lingua all’indietro (fenomeno propulsivo) e prosegue con la discesa del bolo verso il basso, accompagnata dalla contrazione della muscolatura faringea
che, con il rilasciamento dello sfintere esofageo superiore
(SES), permette la progressione del bolo verso l’esofago.
Corteccia-nuclei
base-sistema limbico
(gradevolezza/
non gradevolezza)
Afferenze sensoriali
efferenze motorie
Accanto alla propulsione, si verifica un’azione di difesa, garantita dalla chiusura della laringe e dal suo spostamento
in avanti e verso l’alto. In questa fase il velo del palato deve
elevarsi per impedire la risalita del bolo verso il rinofaringe.
L’elevazione e l’avanzamento della laringe rendono possibile il ribaltamento dell’epiglottide e la chiusura della via
aerea, per la quale è fondamentale anche la chiusura della
laringe. Tale chiusura rappresenta il vero meccanismo di
protezione delle vie respiratorie. L’ultimo evento della sequenza è l’apertura dello sfintere crico-faringeo, con cui si
crea una pressione negativa che “aspira” il bolo, facilitandone il percorso. L’ultima fase è quella esofagea, che non
compete al foniatra.
La deglutizione è, quindi, una complessa sequenza di contrazioni muscolari, in rigorosa successione temporale, che,
rispetto al linguaggio, ha una coordinazione un po’ meno
alta, ma richiede una maggiore forza. In questa sequenza assume una grande importanza il controllo muscolare
riflesso e volontario, anche se non va dimenticato il processamento delle sensibilità. Il tronco encefalico è il centro
della regolazione nervosa della deglutizione, poiché è la
struttura deputata all’elaborazione riflessa degli stimoli ed
è collegato con altri centri coinvolti dalla deglutizione (respirazione, masticazione), oltre che con i centri della tosse
e del vomito.
Al tronco arrivano gli input sensoriali e da lui nascono gli
output motori che, attraverso i CPG (central pattern generators) determinano l’attivazione sequenziale e ritmica dei
muscoli coinvolti nella respirazione, suzione, masticazione,
deglutizione. Grazie alla risonanza magnetica funzionale si
è poi compreso come l’attività della deglutizione sia regolata da numerose aree corticali (Figura 1).
Sequenze complesse
pianificazione atti
deglutitori v.
AREE SENSORI-MOTORIE
AREE PRE-MOTORIE
INSULA
TRONCO ENCEFALICO
N. BASE
CINGOLO
CERVELLETTO
Modulazione
afferenze/efferenze
corticali
Organizzazione
temporale sequenze
motorie
Processamento
attenzione
Figura 1. Regolazione nervosa
della deglutizione: strutture coinvolte nella regolazione del tronco
encefalico
7
REPORT C
Presupposti neurologici dei principali
quadri clinici di disfagia
Marco Ceccanti
Centro SLA, Policlinico Umberto I, Università La Sapienza, Roma
L’atto deglutitorio è molto complesso: coinvolge ventisei
muscoli e cinque nervi cranici (trigemino o V, facciale o VII,
glossofaringeo o IX, vago o X, ipoglosso o XII). Le disfunzioni
del V e del VII nervo cranico, gli stroke e il Parkinson alterano
prevalentemente la fase preparatoria orale. Lo stroke è la
patologia più frequentemente associata alle alterazioni della
fase orale. Anche altre malattie progressive, come la miastenia gravis, la SLA, le miopatie infiammatorie o la paralisi
del XII nervo cranico, possono determinare un’alterazione
di questa fase, provocando in particolare una difficoltà nel
rimestamento del bolo. Alterazioni della fase faringea possono essere causate da stroke, tumori della testa e del collo,
miastenia, deficit del X nervo cranico, paralisi bulbari e pseudo bulbari. Segni distintivi possono essere la voce nasale,
un’alterazione della forza e del trofismo linguale, la compromissione dei meccanismi di protezione delle vie aeree. Disfagie della fase esofagea sono generalmente causate da
patologie dell’apparato digerente, anche se alcune miopatie
possono interessare anche questa fase della deglutizione.
L’ictus è la patologia neurologica più frequente tra quelle in
cui si manifesta una disfagia. Gli accidenti che interessano il
circolo vertebro-basilare (posteriore), impattando sul tronco
cerebrale, provocano disfagia. Gli eventi che coinvolgono
il circolo anteriore possono essere distinti in “più anteriori”
(aree frontali e pre-motorie) e posteriori (parte parietale posteriore): i soggetti con interessamento delle aree anteriori
sono più disfagici rispetto ai pazienti con interessamento
posteriore. Secondo studi recenti, il coinvolgimento dell’emisfero destro compromette maggiormente la fase faringea,
mentre, se è colpito l’emisfero sinistro, risultano alterate le
due fasi orali della deglutizione. Nell’insorgenza della disfagia, però, più che la localizzazione del danno, è importante
la sua estensione. Uno dei sintomi più caratteristici è il ritardo nell’innesco del riflesso della deglutizione, insieme a
un minor controllo dei movimenti della lingua, una riduzione
della contrazione faringea e dell’escursione laringea.
Molto importante è il collegamento tra aree sensitive e motorie. Lesioni sottocorticali, che interessano i fasci di connessione tra le afferenze sensitive e l’output motorio, alterano la
coordinazione dell’atto deglutitorio.1,2
Nel Parkinson i disturbi della deglutizione insorgono piuttosto precocemente. Per il parkinsoniano la difficoltà principale è cominciare il movimento: la stessa difficoltà si ritrova
nell’innesco della deglutizione. Questo paziente può avere
difficoltà anche a portare il cibo alla bocca, ha una mastica-
8
zione rallentata, e si possono verificare cadute pre-deglutitorie. La disfagia si riscontra frequentemente anche nei soggetti colpiti da paralisi sopranucleare progressiva: coinvolge
la fase orale e la faringea. Anche il morbo di Alzheimer comporta problemi di deglutizione. Col progredire della malattia
si manifesta un’aprassia della nutrizione, cioè una difficoltà
a conoscere le sequenze motorie necessarie per l’atto della
deglutizione.
Le paralisi bulbari e pseudobulbari coinvolgono direttamente
o indirettamente i nervi cranici V, VII, IX, X, XII. Si manifestano
con segni di tipo periferico, come l’atrofia dell’emilingua, che
può alterare la meccanica e la dinamica della masticazione,
poiché viene a mancare alla lingua la forza necessaria per
la propulsione del bolo verso la faringe. Nella paralisi pseudo-bulbare sono coinvolti i fasci cortico-bulbari: i pazienti
manifestano un impairment della funzione degli stessi nervi,
legato a un problema di tipo centrale. Si osservano difficoltà
nei movimenti rapidi e alternati della lingua. Un segno che
permette di distinguere le due forme è il riflesso mandibolare, accentuato nelle paralisi pseudobulbari, ma del tutto
assente nelle bulbari. Nella sclerosi multipla la fase più alterata è la faringea, con una ridotta coordinazione e un minor
controllo dell’atto deglutitorio.
Tra le patologie del sistema nervoso periferico, la sindrome
di Guillain-Barré, si manifesta con parestesie ascendenti e
un successivo deficit di forza, che coinvolge anche i muscoli
respiratori e quelli coinvolti nella deglutizione. Le miopatie
possono essere ereditarie o di tipo acquisito. Tra le forme
ereditarie, manifestano problemi di deglutizione anche la
distrofia miotonica di Steinert e la distrofia oculofaringea.
Il gruppo delle patologie muscolari infiammatorie include
dermatomiositi, polimiositi, miositi a corpi inclusi e le miositi
associate a patologie autoimmunitarie come il lupus: anche
in queste forme si possono manifestare disturbi della deglutizione. Molto importante è la diagnosi precoce per prevenire le complicanze che rallenterebbero la risoluzione della
malattia. La miastenia gravis è una patologia della placca
neuromuscolare, spesso associata a malattie del timo. Provoca una riduzione della forza quando il tono muscolare viene mantenuto a lungo: alcuni muscoli coinvolti nella deglutizione necessitano, però, di un tono muscolare prolungato,
come lo sfintere esofageo superiore. Nei pazienti con miastenia la pressione di chiusura a riposo è inferiore rispetto ai
soggetti sani.
La disfagia può essere associata alle patologie del motoneu-
CORSO CRS
rone. Nella SLA classica si ha l’interessamento del primo e
del secondo motoneurone sin dall’esordio, mentre spesso
si osserva il prevalente coinvolgimento del primo motoneurone (Figura 1). Se questo si mantiene, si è in presenza di
una sclerosi laterale primaria.
Se, invece si mantiene l’interessamento del solo secondo
neurone di moto, si ha un’atrofia muscolare spinale. Nei casi
in cui si verifica un interessamento prevalente della muscolatura bulbare, si osserva una paralisi bulbare progressiva.
Nella SLA si rileva il coinvolgimento di questi tre sistemi, anche se si possono verificare coinvolgimenti prevalenti degli
arti superiori o inferiori. Nel lungo periodo vengono comun-
que interessati simmetricamente tutti gli arti, come entrambi
i motoneuroni. Sempre più importante, inoltre, è il coinvolgimento bulbare.
La disfagia può essere già riscontrata nei pazienti alla prima
visita.
Bibliografia
1. Cola MG, et al. Relevance of subcortical stroke in dysphagia. Stroke.
2010;41(3):482-6
2. Daniels SK, et al. Lingual discoordination and disphagya following acute stroke: analyses of lesion localization. Disphagya 1999; 14: 85-92
Atrofia Muscolare
Spinale
II neurone
di moto-onset
SLA CLASSICA
Onset bulbare
Paralisi
Bulbare
Progressiva
I neurone
di moto-onset
Sclerosi
Laterale
Primaria
Figura 1. Sindromi correlate alla SLA
La valutazione clinica non strumentale
Catriona M. Steele
Swallowing Rehabilitation Research Laboratory, Toronto Rehabilitation Institute, Toronto
Nella valutazione è prioritario identificare le persone esposte
a un maggior rischio, per attuare strategie mirate alla riduzione dell’aspirazione e alla prevenzione della polmonite ab
ingestis. Inizialmente si procede con una rapida, ma accurata, fase di screening, effettuata dal personale infermieristico, per identificare i pazienti più a rischio. L’efficacia di uno
screening viene valutata in termini di sensibilità, specificità,
predittività negativa. In letteratura sono disponibili studi dedicati quasi esclusivamente agli screening per l’aspirazione,
mentre la popolazione maggiormente studiata sono i pazienti colpiti da stroke. Un test ampiamente utilizzato in Nord
America è lo Yale Swallow Protocol, ma altri screening abbastanza diffusi sono lo Standardized Swallow Assessment, il
TOR-BSST© e il Volume-Viscosity Screening Test.1-4
L’équipe della dott.ssa Steele ha valutato diversi screening
descritti in letteratura, per verificare somiglianze e differenze esistenti tra i vari protocolli.5 L’analisi ha evidenziato una
notevole somiglianza tra i vari test: il 90% dei protocolli ha
9
REPORT C
evidenziato una buona sensibilità, ma una modesta specificità. Test anche molto diversi, come il TOR-BSST© e lo
Yale Swallow Protocol, hanno prodotto risultati molto simili.
L’elevata somiglianza dei risultati dei diversi test è stata indagata in un lavoro di Hinchey, che ha evidenziato come
l’esecuzione routinaria, standardizzata, di un protocollo di
screening in ambito ospedaliero sia associata a incidenze
significativamente inferiori di polmoniti ab ingestis.6 Nelle realtà ospedaliere, dunque, dovrebbe sempre essere attuato
un programma di screening, indipendentemente dalle componenti specifiche dei test. La bedside examination si basa
su quanto evidenziato da esperti come McCullough, che ha
realizzato un’ampia indagine sulle metodiche della valutazione clinica della deglutizione.7 Dopo l’anamnesi, il paziente
viene sottoposto a un esame dell’attività motoria orale, della
voce e della parola e, infine, ai test di deglutizione. Si valuta
la presenza o l’assenza del problema, senza considerare i
diversi livelli di deficit o di compromissione.
Nell’aspirazione sono coinvolti diversi meccanismi fisiologici.
Secondo una review sistematica, l’aspirazione si manifesta
in circa il 33-50% delle deglutizioni: nella valutazione del paziente, dunque, occorre campionare diversi atti deglutitori
per individuare il problema.8 L’aspirazione si è rivelata associata a una ridotta forza della lingua e alla presenza di
problematiche respiratorie. Normalmente nella deglutizione
un’espirazione precede l’apnea necessaria alla deglutizione;
dopo l’apnea, l’espirazione continua. La comparsa di un’inspirazione successiva all’apnea è sintomo di un problema.
Secondo McCullough, nel corso della valutazione clinica si
dovrebbe comprendere se la persona anziana ha una deglutizione normale o un’aspirazione a livello subclinico: per
questo si devono considerare almeno tre atti deglutitori per
ogni consistenza. La valutazione dovrebbe includere anche
misure standardizzate della forza della lingua, la rilevazione
della frequenza respiratoria e l’osservazione dei pattern respiratori prima e dopo l’atto deglutitorio.
La bedside examination prevede una conversazione iniziale,
per spiegare la procedura e rilevare la qualità della voce e il
respiro. Successivamente si eseguono delle leggere pressioni sotto il pomo d’Adamo e all’angolo del collo, per per-
10
cepire i movimenti laringei e dello ioide. Si somministra poi
un bolo poco denso, in quantità crescenti: durante la deglutizione, si rilevano numero, tempo e adeguatezza dei movimenti laringei e dello ioide, e si osserva se il paziente espira
al termine dell’atto deglutitorio. Con la laringe a riposo, si
parla nuovamente col paziente per verificare le caratteristiche della voce. Si controlla quindi la presenza di eventuali
residui nella bocca e si ripete la procedura, per un totale di
tre test per ogni bolo. Solitamente s’inizia somministrando
acqua, per passare poi alla consistenza da cucchiaio (succo di mela, budino), per testare, infine, gli alimenti solidi ed
eventualmente anche delle pillole. Per orientarsi nella scelta
della strategia terapeutica si può anche far deglutire con diverse posizioni del capo o utilizzare tecniche volontarie di
protezione delle vie aeree. Per raccogliere la maggior quantità d’informazioni possibili sul paziente si possono ripetere
le valutazioni ogni 48 ore e si può osservare un intero pasto.
Solo a questo punto si avrà l’indicazione per le valutazioni
strumentali.
Bibliografia
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Dysphagia. 2008 ;23(3):244-50
2. Perry L. Screening swallowing function of patients with acute stroke.
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a systematic review. Dysphagia. 2014;29(3):295-304
CORSO CRS
La valutazione endoscopica
Daniele Farneti
AUSL della Romagna, Rimini
Per inquadrare i pazienti e predisporre un piano di trattamento occorre procedere con valutazioni cliniche strumentali: le
informazioni ottenute con queste indagini devono essere
sempre considerate alla luce delle informazioni provenienti dall’anamnesi e dalla valutazione clinica non strumentale
(BSE). La valutazione strumentale1 è indicata quando la BSE
è suggestiva, quando esistono gravi deficit cognitivi e comunicativi, se i segni e i sintomi sono discordi, se c’è una diagnosi differenziale di natura (disfagia alta o bassa), se serve
stimare la possibilità di un’alimentazione orale, se il paziente
appartiene a una popolazione a rischio, se vi è un esordio
con complicanza (polmonite, disidratazione), o un aggravamento di una disfagia già nota, o se il paziente è candidato
al trattamento. L’esame strumentale permette di visualizzare
le alte vie aero-digestive, dalla cavità orale fino al duodeno,
di stimare la componente muscolare e la sensibilità dei distretti, di valutare la presenza di aspirazione o di secrezioni in
faringe e laringe, di dirimere tra una disfagia alta o bassa, di
stimare la via più efficace e sicura di nutrizione e idratazione,
oltre a verificare la valenza protettiva sulle basse vie respiratorie di posture e manovre. Un esame strumentale ideale
dovrebbe essere veloce poiché l’atto deglutitorio è breve,
ma è necessario anche scomporre quest’atto complesso
nelle sue componenti per avere, di ogni fase, una valutazione morfologica, pressoria, dell’attività muscolare e della
sensibilità. Di fatto, un esame che abbia tutte queste caratteristiche non esiste. Fluoroscopia e fibroscopia devono
essere considerate complementari: hanno potenzialità diverse, forniscono informazioni diverse, e i loro esiti non sono
completamente sovrapponibili. Oggi si considera come gold
standard la tecnica radiologica, perché consente di studiare
l’intero atto deglutitorio dalla cavità orale fino allo stomaco.
L’indagine endoscopica è limitata, invece, alla fase faringea
della quale, per altro, non consente di vedere il momento
del passaggio del bolo (white-out). L’endoscopio viene introdotto sul pavimento della fossa nasale fermandolo a monte
delle coane (posizione naso-rinofaringea), a valle delle coane (parte alta del faringe, posizione pre-deglutitoria), oppure
ancora più in basso nel faringe (posizione post-deglutitoria,
buona visualizzazione del laringe) (Figura 1). Le tre posizioni
permettono di studiare rispettivamente il funzionamento del
velo, il funzionamento del faringe, la funzionalità del laringe.
In ciascuna posizione, oltre alla valutazione anatomo-funzionale, si esegue il test col bolo e si verificano posture e manovre. È necessario verificare se quanto riscontrato a livello
anatomico e funzionale possa supportare un efficace e sicuro atto deglutitorio. L’esame verifica anche la sensibilità, non
Figura 1. Posizionamento dell’endoscopio attraverso la cavità
nasale
11
REPORT C
valutata dall’esame radiologico. Le risposte possono essere
soggettive (difesa all’endoscopio, percezione delle secrezioni o dei residui di bolo), spontanee (penetrazione, aspirazione) o provocate da toccature (base della lingua, del faringe,
dell’epiglottide). La sensibilità può essere testata anche con
aria pulsata.
Per verificare cosa avviene realmente durante la deglutizione, è necessario che il paziente ingerisca del bolo, il cui
volume e consistenza sono elementi primari rispetto all’esito del test, mentre la posizione del bolo e la latenza del
riflesso rappresentano degli elementi secondari, da tenere
in considerazione durante l’interpretazione dell’esito del
test. In questo modo si verificano i pattern neuromotori che
attuano delle strategie difensive sulle basse vie respiratorie e detergono il bolo: in presenza di difetti motori o della
sensibilità queste strategie saranno meno efficaci, e si evidenzieranno dei ristagni o delle false vie. L’endoscopio in
posizione alta permette di vedere il comportamento delle
strutture al passaggio del bolo, nella fase pre-deglutitoria. In
questa posizione si vedono molto bene i ristagni e le reazioni
del paziente al passaggio del bolo. Se una penetrazione o
un’aspirazione sono sfuggite all’endoscopio, ma il paziente
tossisce, il foniatra ottiene comunque delle informazioni sulla deglutizione. L’endoscopia dunque verifica l’adeguatezza
della fase orale, la sensibilità, l’elicitazione del riflesso faringeo, l’efficienza dello sfintere glottico, la sede e l’entità dei
ristagni, l’efficacia di posture e manovre facilitanti: queste
informazioni devono poi essere comunicate al riabilitatore.
Particolarmente importanti, nella fase intra-deglutitoria, sono
le informazioni relative ai residui di bolo a livello del laringe,
associati o meno alle reazioni del paziente. Altrettanto importanti sono la definizione della sede dei ristagni, la loro
entità, la consapevolezza e le reazioni del paziente, oltre
all’efficacia delle manovre che al paziente vengono richieste,
per detergersi dai ristagni o dalle secrezioni. La sede, l’am-
montare del ristagno e la sua gestione da parte del paziente
sono stati inclusi nel P-score, un parametro che quantifica
la gravità del disturbo di deglutizione.2 A ogni parametro è
attribuito un numero crescente: si ottiene così un punteggio
compreso tra 4 e 11, suddiviso in quattro livelli di gravità clinica. Integrando il P-score con altri parametri, derivati dalla
BSE, si è ottenuto il P-SCA score. Gli score sono applicabili
a ogni tipo di bolo testato.
L’endoscopia non studia la fase orale né quella esofagea
della deglutizione. Alcune metodiche consentono di superare tali limiti: un esempio è l’esofagoscopia transnasale (TNE)
che consente di studiare la fase esofagea della deglutizione.
Inoltre, se mantenendo lo strumento nella posizione alta o
intermedia, si fa ruotare di 180° la punta dell’endoscopio,
è possibile eseguire lo studio della fase orale (Oral-FEES).
Questa posizione permette di vedere il contenuto della cavità orale fino alle labbra, consentendo una valutazione anatomica e funzionale di questa regione, e l’osservazione delle
fasi di preparazione e propulsione del bolo, ma non il suo
passaggio attraverso l’istmo.
La metodica è stata anche confrontata con la FEES: il confronto ha evidenziato una differenza statisticamente significativa, in termini di tollerabilità complessiva, pari a 1,92.
L’O-FEES si è rivelata, dunque, leggermente più fastidiosa
della FEES, ma sicura. La possibilità di vedere anche la fase
orale e l’esofagea, permette dunque di confrontare la FEES
con l’indagine radiologica, in termini di gold standard.3
Bibliografia
1. Valutazione videoendoscopica infantile, adulta e senile. D. Farneti, E.
Favero. In Deglutologia. Omega ed. II edizione 2010
2. Farneti D. Pooling score: an endoscopic model for evaluating severity
of dysphagia. Acta Otorhinolaryngol Ital. 2008;28(3):135-40
3. Farneti D. The instrumental gold standard: FEES. Journal of GHR
2014;3(10):1055-60
La valutazione radiologica
Anita Wuttge-Hannig
Praxisgemeinschafts, München
Lo sviluppo di nuove metodologie d’indagine radiologica migliora la conoscenza della fisiologia della relazione tra vie digestive e vie aeree superiori consentendo, di conseguenza, lo
sviluppo di nuove tecniche chirurgiche e riabilitative. Il radiologo può osservare nella fase orale una ridotta motilità della
lingua, dovuta a un aumento delle fibre connettivali. Le ridotte
dimensioni della lingua impediscono un adeguato control-
12
lo del bolo, con conseguente perdita precoce. Le anomalie
anatomiche o muscolari della lingua non dovrebbero compromettere gravemente la deglutizione, se ci fosse un innesco
efficace. Con l’avanzare dell’età si osserva, però, un progressivo peggioramento dell’innesco: nella persona di mezza età
l’innesco arriva già sulle vallecole. Nell’anziano il trigger arriva
a livello dei recessi piriformi e la laringe è ancora aperta nei
CORSO CRS
primi istanti del passaggio del bolo. Il transito del bolo è rallentato e la chiusura dell’adito laringeo avviene tardivamente.
Difficoltà analoghe si rilevano anche nel passaggio del bolo a
livello dell’esofago, che risulta notevolmente rallentato.
Se la muscolatura intrinseca della laringe è intatta, si può avere un notevole miglioramento della deglutizione applicando
la manovra di Mendelsohn. Il ritardo dell’innesco può essere
misurato con la conta delle immagini: ogni immagine corrisponde a 40 millisecondi.
Considerato l’arco delle fauci come punto di partenza, dallo
start alle vallecole occorrono da 3 a 5 immagini, da 5 a 8 per
i recessi piriformi, da 8 a 12 per l’adito laringeo e la trachea
(Figura 1).
start
3-5 fr
valleculae
5-8 fr
Rec. Piriformis
8-12 fr
Adito/
Trachea
Figura 1. Misura del ritardo del trigger con conta d’immagini
Alle diverse patologie e condizioni corrispondono specifici ritardi del trigger: nella disfagia il ritardo massimo è di 7 immagini, mentre negli anziani si possono osservare ritardi di 3-6
immagini. L’estensione dell’area ischemica incide sul ritardo
dell’innesco, che può variare da 5 a 8 immagini per un’area
piccola, ma può salire fino a 10 per un’area più estesa. Un
ritardo superiore a 12 immagini si può osservare nella sindrome di Wallenberg, mentre può risultare molto variabile (6-12)
nei tumori della testa e del collo dopo trattamento.
In pazienti con aspirazione pre-deglutitoria in grado di apprendere le tecniche, la stimolazione del riflesso può produrre
significativi miglioramenti. L’epiglottide s’inclina verso la parte
meno forte: nel caso di una paralisi faringea unilaterale s’inclina dunque verso la parte malata della faringe, ma, in presenza
di uno spasmo unilaterale, s’inclina verso la parte sana. Occorre distinguere se si fa ruotare la testa durante l’assunzione
del bolo oppure durante la seconda deglutizione di schiarimento: nelle due fasi la glottide funziona diversamente. Un
paziente sottoposto alla ricostruzione plastica della carotide
destra, avrebbe dovuto avere un faringe integro e un esame
radiologico nella norma.
In realtà si è riscontrata una compromissione dei muscoli che
trattengono e spingono il faringe, con un ristagno nella parte destra evidenziato dall’esame radiologico. In questi casi la
riabilitazione prevede una rotazione verso sinistra, che nel paziente non ha prodotto, però, un beneficio significativo. La rotazione a destra è risultata più efficace, ma rischiosa, perché il
bolo passava oltre l’adito laringeo. Per il paziente si è adottata
una stimolazione del riflesso e la manovra di Mendelsohn.
Nei due anni successivi al trattamento radioterapico i pazienti
affetti da un tumore faringeo non sono in grado di percepire
l’aspirazione. Una paziente ha risolto un problema di passaggio del bolo solo sul lato destro, il più debole, portando la
testa in basso e a sinistra. Questa tecnica viene adottata inizialmente; in un secondo tempo il paziente esegue degli esercizi con la testa in alto, senza bolo, per rinforzare le strutture
laringee e anche le pareti laterali del faringe. Per i problemi
di ristagno nelle vallecole è indicata la manovra di Masako
modificata: in un tempo relativamente breve il paziente torna
a deglutire in modo quasi normale. Per i casi di aspirazione
post deglutitoria grave, con importanti ristagni in ipofaringe,
si ottengono buoni risultati con la deglutizione sovraglottica.
La terapia laser è stata utilizzata per un leiomioma della parte
alta dell’esofago e una candidiasi della faringe e dell’esofago,
mentre per l’esofagite eosinofila si somministra il cortisone
spray, che va ingerito. Alcune condizioni richiedono la prescrizione di terapie farmacologiche.
Nei casi di penetrazione laringea da reflusso gastroesofageo
si utilizzano comunemente gli alginati ma, ove indicato, si può
ricorrere anche all’intervento endoscopico o chirurgico. I casi
di acalasia e di spasmo diffuso sono trattati con farmaci, con
la tossina botulinica o con la dilatazione. In caso di diverticoli epifrenici e spasmi segmentali estesi si somministrano 3-4
iniezioni di tossina botulinica, a una distanza di 2 cm. Anche
nei pazienti affetti da malattie autoimmuni, come la sclerodermia, si può osservare un’ipotonia esofagea e una mancata
chiusura dello sfintere esofageo superiore (SES). Nei casi di
dermatopolimiosite l’indagine radiografica evidenzia la simmetria della malattia muscolare, l’aspirazione prima, durante e
dopo l’atto deglutitorio. Per questa patologia lo standard è la
terapia cortisonica, ma se il paziente ha subito un ingente calo
ponderale, si può ricorrere anche alla miotomia dello sfintere
esofageo superiore.
La valutazione radiologica permette di elaborare delle previsioni sui possibili effetti degli interventi chirurgici. Se la mioto-
13
REPORT C
mia del SES non è ben eseguita, la cicatrizzazione delle fibre
dello sfintere ne impedisce l’apertura passiva. Lo stesso
intervento non è sempre indicato nelle disfagie neurogene,
perché possono occorrere più di 30 mmHg di pressione
faringea. È opportuno, allora, fare una valutazione con vi-
deomanometria. Nei casi con una pressione faringea prossima alla soglia dei 30 mmHg, oggi si esegue una prova
preliminare con la tossina botulinica, per simulare l’effetto
della miotomia. Se il paziente reagisce bene e dopo una
settimana ritornano i disturbi, si procede con l’intervento.
La valutazione scintigrafica
Bruno Fattori
U.O. Otorinolaringoiatria, Audiologia, Foniatria, Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Pisa
La scintigrafia oro-faringo-esofagea, oltre a consentire una
valutazione semi-quantitativa del materiale aspirato nelle vie
respiratorie, permette di misurare i tempi di transito e gli indici di ritenzione nelle tre principali fasi dell’atto deglutitorio
(orale, faringea, esofagea). Per contro, questa tecnica ha il
suo limite principale nella bassa risoluzione anatomica. La
quantità di aspirato tracheo-bronchiale può essere calcolata
tramite una formula, in cui la percentuale di aspirazione (PA)
è data dall’aspirato tracheo-bronchiale diviso per la radioattività orale, prima e dopo l’atto deglutitorio, il tutto moltiplicato
per 100. La metodica consiste nell’acquisizione d’immagini
dinamiche, in rapida successione di un unico atto deglutitorio volontario. Il paziente, posizionato di fronte a una gamma
camera, assume un singolo bolo di 10 ml di acqua marcata
con 37 mBq di tecnezio nanocolloide. Il paziente tiene il bolo
in bocca per due secondi, poi deglutisce in un unico atto.
Vengono acquisite 8 immagini al secondo per un minuto,
per un totale di 480 frame. Al termine il paziente resta ancora fermo per un minuto davanti alla gamma camera per
l’acquisizione statica, utile per ricercare l’eventuale aspirato
tracheo-bronchiale. Dopo 30 minuti il test viene ripetuto, con
10 ml di bolo semisolido radiomarcato.
L’analisi delle immagini acquisite consente di identificare pattern anomali di deglutizioni multiple, ritenzione del bolo nel
cavo orale o faringeo, frammentazione del bolo, reflusso gastroesofageo, cadute pre-deglutitorie e anomalie esofagee,
come il movimento scoordinato e caotico del bolo. I dati più
interessanti sono forniti, però, dall’analisi delle curve attività-tempo. Inizialmente il medico nucleare identifica le ROI
(Regions of Interest), nelle tre aree della deglutizione: fondamentale è la faringea. La curva
attività-tempo del transito orale è inizialmente caratterizzata
da una radioattività massima,
corrispondente al contenimento del bolo in bocca. Dopo due
TTO: 0,8 sec
secondi il paziente deglutisce
TTF: 1 sec
e la radioattività scende rapiTTE: 4 sec
damente a valori molto bassi
(dopo 10 secondi <5%). Nel
soggetto normale, l’indice di
ritenzione orale dopo 10 secondi deve essere inferiore al
5%. La pendenza della curva
permette di conoscere la velocità di progressione del bolo:
il tempo per il transito orale
(TTO) deve essere inferiore a
Figura 1. Singola deglutizione di
bolo liquido in soggetto normale
14
CORSO CRS
un secondo. Nel tempo di transito faringeo (TTF), al tempo
0 la radioattività è nulla; quando il bolo raggiunge la faringe,
la radioattività sale rapidamente, per decrescere dopo la discesa del bolo verso l’esofago. Anche l’indice di ritenzione
faringea dopo 10 secondi non deve superare il 5%, mentre
il tempo di transito deve essere inferiore a 1,2 secondi. Nella
fase esofagea, si nota l’innalzamento della radioattività con
l’arrivo del bolo in esofago. Data la lunghezza dell’esofago,
il tempo di transito è più prolungato: nel soggetto sano, l’indice di ritenzione esofagea è normale se dopo 10 secondi
è inferiore al 20%. Il tempo di transito (TTE) è nel range di
normalità se non supera i 10 secondi (Figura 1). In figura
è riportata una scala colorimetrica che indica l’entità della
radioattività: il bianco e la scala dei rossi corrispondono alla
radioattività massima, mentre i blu fino al nero alla minima.
La scintigrafia viene utilizzata nei casi di disfagia successiva
a interventi chirurgici del tratto aero-digestivo superiore o del
distretto cervicale, per rivalutare una normale ripresa della
funzione dello sfintere laringeo, o per valutare l’efficacia di
meccanismi di compenso o di tecniche riabilitative, messe
in atto a protezione delle basse vie respiratorie. Nel post-chirurgico la scintigrafia può essere utile per rilevare inalazioni,
anche inferiori al 5%, oltre all’incremento dei tempi di transito e alle aspirazioni più gravi. Oltre ai problemi disfagici
post-chirurgici, si possono osservare importanti quadri disfagici su base sensoriale, come nei casi di tiroidectomia
con lesione del nervo laringeo superiore. In questi pazienti
si può osservare un importante rallentamento della fase faringea. Altre importanti applicazioni della scintigrafia riguardano l’ambito dei disordini neuro-muscolari, dove i pattern
più tipici sono quelli rappresentati dall’aumento dei tempi
di transito e degli indici di ritenzione, da cadute pre-deglutitorie, da frammentazione e, soprattutto, dall’aspirazione
tracheo-bronchiale. L’aumento del tempo di transito orale
espone il paziente neurologico a un rischio più elevato di
caduta pre-deglutitoria del bolo, con rischio d’inalazione. In
questa popolazione di pazienti, inoltre, si osserva un ritardo
dell’innesco dell’atto deglutitorio, associato a una maggiore
probabilità di aspirazione post-deglutitoria.
La scintigrafia permette di valutare l’intero atto deglutitorio,
fino alla fase esofagea: per questo può essere utile quando
si voglia fare uno studio semi-quantitativo e dinamico della funzione dell’esofago. Le indicazioni cliniche per questo
impiego della scintigrafia sono rappresentate da spasmi
esofagei, acalasia, sclerodermia. Nella disfagia orofaringea
la scintigrafia può affiancarsi alla FEES e alla videofluoroscopia, per fornire dati aggiuntivi a conferma di quanto emerso
con i gold standard; nella disfagia esofagea la scintigrafia
può assumere un ruolo importante per studiare le anomalie
di tipo motorio-funzionale.1
La scintigrafia è di facile utilizzo, economica, ripetibile, ben
tollerata dai pazienti, e può essere presa in considerazione
per un follow up sia post-intervento, sia nel corso di un trattamento riabilitativo.
Bibliografia
1. Baron TH, Richter JE. The use of esophageal function tests. Adv Intern
Med. 1993;38:361-86
La pianificazione terapeutica
Daniele Farneti1 e Gianni Ruoppolo2
AUSL della Romagna, Rimini. 2Dipartimento Testa e Collo, Università La Sapienza, Roma
1
Il rischio di malnutrizione e disidratazione e il rischio respiratorio, associati alle alterazioni della deglutizione, possono portare anche al decesso del paziente. Quest’eventualità va tenuta
in considerazione in tutti i setting: per questo la sorveglianza
deve essere sempre scrupolosa sui pazienti acuti, complessi, stabilizzati o ospitati nelle lungodegenze. La valutazione
non strumentale fornisce informazioni sulla possibilità che il
paziente possa assumere determinati volumi o consistenze,
o può indicare la necessità di un esame strumentale. Se la
necessità clinica prioritaria è comprendere se il paziente è in
grado di avere un’alimentazione orale, la valutazione bedside
è considerabile come una procedura di screening. La valutazione non strumentale permette di fare delle previsioni sulla
fisiologia del faringe, indica provvedimenti a breve termine per
ridurre i rischi, ma soprattutto fornisce informazioni utili a predisporre un piano riabilitativo. Non è esente, tuttavia, da limiti diagnostici importanti, legati anche all’elevata soggettività
nell’interpretazione dei risultati e alla scarsa accuratezza. Se vi
è un’aspirazione importante, pochi segni sono sufficienti per
una corretta diagnosi; il problema è più complesso se si devono predire aspirazioni moderate, ma diventa rilevante se si devono indagare aspirazioni minime o silenti, dove la valutazione
15
REPORT C
bedside ha il margine di errore più elevato. Diventa necessario, allora, indirizzare il paziente alla valutazione strumentale.
Le metodiche disponibili sono diverse, ognuna caratterizzata
da vantaggi e limiti intrinseci: ogni metodica dovrebbe essere scelta in base alle caratteristiche del paziente o rispetto
a quali aspetti si desiderano indagare. Non va dimenticato,
inoltre, che queste tecniche valutano un numero di atti deglutitivi limitato rispetto a quelli compiuti dal paziente anche solo
durante un pasto. La modalità di esecuzione dei test strumentali è strettamente correlata all’abilità dell’operatore, che
incide anche sui risultati del test stesso e sulla loro interpretazione. Se l’unica esigenza clinica è determinare se il paziente
sia in grado di alimentarsi per bocca, si può utilizzare l’indagine endoscopica come procedura di screening, anche se,
ovviamente, questa metodica consente di avere una quantità
d’informazioni significativamente più elevata. La valutazione
strumentale permette di individuare la più sicura ed efficiente
via di nutrizione e idratazione, e di stimare la valenza protettiva
sulle basse vie respiratorie di posture e manovre. Modificazioni dietetiche, manovre, posture e stimolazioni neuromotorie
sono le procedure terapeutiche più comunemente utilizzate:
in teoria richiederebbero sempre un esame strumentale, anche se questa valutazione tende a sovrastimare l’aspirazione.
Le prime informazioni da fornire al riabilitatore riguardano l’adeguatezza della fase orale e, in particolare, la propulsione,
la sensibilità dei distretti dove il riabilitatore non può operare
(base della lingua, parete del faringe, laringe), l’elicitazione del
Obiettivo della pianificazione terapeutica è ottenere una deglutizione funzionale e un miglioramento della qualità di vita
del paziente, attraverso provvedimenti e strumenti che il logopedista gestisce in modo autonomo.
INFORMAZIONE
EVENTO
ENDOSCOPIO
Adeguatezza della fase orale
Caduta prematura
Posizione alta
Percezione soggettiva del bolo
Ristagno in vallecole
Posizione alta
Partenza del riflesso
Inalazione pre-deglutitoria
Posizione alta
Competenza glottica
Inalazione intra-deglutitoria
Posizione bassa
Sede e gestione dei ristagni
Inalazione post-deglutitoria
Posizione alta
Efficacia di manovre e posture
Protezione vie respiratorie
Posizione alta
Tabella 1. Informazioni al riabilitatore
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riflesso faringeo, che va riferita a tutte le tipologie di bolo e di
volume. Sapere che un bolo liquido o cremoso elicita il riflesso faringeo in una sede più bassa, permette al riabilitatore di
conoscere il diverso rischio di aspirazione per il paziente e
di mettere in atto diverse procedure difensive sulle basse vie
respiratorie. Altre informazioni importanti riguardano l’efficienza dello sfintere glottico, la sede e l’entità dei ristagni. Con
la valutazione strumentale, infine, si può verificare l’efficacia
protettiva di manovre e posture. Durante la fase orale, l’endoscopia valuta i movimenti della lingua durante la masticazione, verifica le cadute premature del bolo e se alla caduta
prematura corrisponde la partenza dell’atto deglutitivo o se
questa avviene con un certo ritardo. L’endoscopia consente, poi, una precisa valutazione del laringe. La possibilità di
gestire il ristagno e l’efficienza con cui il paziente lo gestisce
sono informazioni preziose per il riabilitatore: per certi tipi di
ristagno il soggetto non manifesta i classici sintomi di tosse,
raschio, gorgoglio. L’endoscopia permette di verificare i ristagni in assenza di segni indicatori o l’efficacia della tosse nel
ripulire il laringe.
Le principali informazioni ottenibili con l’endoscopia, da trasmettere al riabilitatore, sono sintetizzate in Tabella 1.
CORSO CRS
La disfagia nel trauma cranio-encefalico:
aspetti clinici e di programmazione
riabilitativa
Ilenia Schettino
Dipartimento Organi di Senso, Università La Sapienza, Roma
La riabilitazione del paziente con trauma cranico può essere
suddivisa in quattro fasi: la fase acuta rianimatoria, la postacuta precoce, la post-acuta tardiva e la fase degli esiti. Nella
fase post-acuta il paziente è ospitato in strutture specializzate
di riabilitazione intensiva, dove solitamente incontra il foniatra
per la prima volta: in questa fase gli interventi stabilizzano il
paziente da un punto di vista internistico e mirano al recupero dell’autonomia nelle cosiddette attività “complesse” o
secondarie della vita quotidiana. Nella fase degli esiti il paziente raggiunge e mantiene il massimo livello d’integrazione
sociale possibile, in funzione delle menomazioni e disabilità
che residuano. I livelli di funzionamento cognitivo sono valutati mediante la scala LCF. Nel trauma cranico la disfagia
dipende dalla gravità e dalla sede delle lesioni, che possono
essere centrali (encefalo, tronco) o periferiche (ultimi nervi cranici). Traumi importanti a livello del massiccio facciale spesso
richiedono l’applicazione di placche metalliche che rappresentano impedimenti meccanici per la fase orale. Un’altra
possibile causa di disfagia possono essere i meccanismi da
non uso, secondari al mantenimento per tempi più o meno
lunghi dell’alimentazione enterale e della tracheotomia. Incide
sui problemi di deglutizione, infine, anche la compromissione
comportamentale e cognitiva.
La valutazione foniatrico-logopedica inizialmente prende in
considerazione le notizie riguardanti l’evento traumatico, i referti di TC e risonanza e degli eventuali interventi chirurgici,
per procedere con la valutazione clinica generale e specifica (bedside examination), e, ove indicata, con la valutazione
strumentale. Quest’ultima prevede l’utilizzo della FEES, più
indicata nelle fasi iniziali del trauma cranio-encefalico, della FEESST, della videofluorografia, oltre alla gestione della
cannula tracheale, del sondino nasogastrico e della PEG. La
valutazione strumentale viene eseguita quando il paziente è
vigile e possibilmente in uno stato di minima coscienza. Se il
paziente non respira spontaneamente, deve essere in grado
di mantenere una saturazione della pressione parziale d’ossigeno, almeno per i dieci minuti necessari all’esecuzione del
test strumentale. La bedside examination valuta tutte le strutture e le funzioni coinvolte nella deglutizione, in particolare la
capacità di detersione e gestione della saliva, la presenza di
riflessi patologici, di deglutizioni spontanee o volontarie su richiesta e di segni di alterazione della deglutizione. Si valutano
anche la funzione respiratoria e la cannula tracheale, un di-
spositivo applicato negli stati di coma per l’assistenza ventilatoria prolungata, per un’adeguata protezione delle vie aeree
dall’aspirazione, oltre che per aspirare e controllare le secrezioni tracheo-bronchiali. La cannula cuffiata presenta alcuni
svantaggi: ostacola l’elevazione laringea e può non impedire
completamente il passaggio di alimenti nella trachea. Il tempo
di permanenza della cannula tracheale dovrebbe essere il più
breve possibile, per ripristinare fisiologicamente respirazione,
fonazione, deglutizione e stimolare i meccanismi di protezione
delle vie aeree.
Nelle fasi precoci l’indagine strumentale più indicata è la
FEES, perché le valutazioni devono essere brevi e ripetute in
diversi momenti della giornata, in relazione all’affaticabilità del
paziente e alla fluttuazione delle prestazioni. Solitamente si
ricorre alla videofluorografia nelle fasi successive, in particolare in caso di dubbio riguardo a un’aspirazione silente intradeglutitoria. Questo esame può rivelarsi utile per valutare la
possibilità di ricorrere a vie di alimentazione alternative a quella orale, per decidere se adottare un programma riabilitativo
con o senza alimenti, per valutare l’efficacia delle posture o le
modificazioni di volume e consistenza del bolo.
In base a quanto riportato in letteratura, la permanenza del
sondino nasogastrico non dovrebbe prolungarsi oltre il mese,
a vantaggio della PEG: nella pratica quotidiana, però, questo in realtà non succede. Il passaggio alla PEG può rivelarsi
vantaggioso anche nell’ambito del progetto riabilitativo per la
disfagia, per la riduzione della sensazione di corpo estraneo
e una più fisiologica chiusura velo-faringea conseguenti all’asportazione del sondino.
La programmazione rimediativa deve necessariamente tener
conto del quadro clinico del paziente e del suo LCF. Nel paziente minimamente o poco responsivo (LCF=3) è possibile
iniziare un programma di rimediazione della funzione buccale,
per mezzo di trattamenti neuromotori passivi delle strutture
oro-facciali, grazie anche alla stimolazione della sensibilità e
del gusto. Fondamentale, poi, è la gestione dei riflessi patologici e di quelli normali alterati. Si procede anche alla rimediazione della funzione deglutitoria, con l’impostazione della
postura più corretta. Per le prime stimolazioni della deglutizione si utilizzano boli non rischiosi (ghiaccio, acqua gel), per
passare successivamente ad alimenti semisolidi, dopo valutazione strumentale.
È preferibile iniziare lo svezzamento per os quando il paziente
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REPORT C
respira spontaneamente o se la cannula cuffiata può essere
scuffiata per un tempo sufficiente a consentire l’alimentazione
per bocca. La vigilanza dovrebbe essere stabile per il tempo
necessario alla somministrazione del bolo.
Nel paziente poco responsivo (LCF=4) si ha un ripristino graduale dell’alimentazione per bocca e, parallelamente, una
riduzione dell’alimentazione enterale. Il paziente aumenta gradualmente le quantità di cibo assunte, fino all’assunzione di
un pasto. Il soggetto comunque continua ad alimentarsi in
maniera alternativa. Il logopedista può eseguire una supervisione del pasto, valutando posture, durata del pasto, variazioni della pO2, comparsa dei segni di disfagia.
Nel paziente responsivo si può arrivare al ripristino della funzione masticatoria, a un’alimentazione totalmente per os e
all’introduzione di cibi solidi. I liquidi possono essere assunti
addensati o ricorrendo a posture di compenso, e si può valutare la necessità di utilizzare doppie consistenze, per scegliere
la dieta più appropriata.
Inizio stimolazioni
della deglutizione
Svezzamento
con alimenti
semisolidi
Figura 1. Esempi di boli
utilizzabili nello
svezzamento per os
La stabilizzazione neuromotoria
Roberto Antenucci
Responsabile Medicina Riabilitativa Intensiva Borgonovo (AUSL Piacenza) e Referente Nazionale Gruppo di Lavoro SIMFER “Funzioni dell’apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino - disfagia orofaringea”
Il fisiatra è un medico con competenze in molti ambiti, che
ha come obiettivo il massimo recupero delle funzioni e
abilità, con un approccio olistico alla persona. Lavora in
team multiprofessionale e interdisciplinare, e lo coordina
nella realizzazione del progetto e dei programmi riabilitativi. Scopo della riabilitazione è recuperare innanzitutto la
massima autonomia in ambito motorio, ma questo ha ricadute anche sulla stabilizzazione respiratoria e deglutitoria.
Il fisiatra definisce un piano di mobilizzazione specifico per
il paziente, condividendone gli obiettivi con il paziente stesso, i suoi familiari e il team multidisciplinare. Oggi la stabilizzazione del paziente viene iniziata prima possibile, facendo
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alzare dal letto anche pazienti gravemente compromessi:
l’allettamento, infatti, compromette la mobilità articolare,
la forza, le afferenze sensoriali, la simmetria del carico, la
postura, la stabilità, il passo, con gravi conseguenze per
il paziente. Nel malato critico la forza muscolare e l’area
di sezione del muscolo si riducono del 2-4% al giorno, e
questo danno riguarda anche i muscoli respiratori e deglutitori.1,2 Le alterazioni neuromuscolari possono portare a
polineuropatie e miopatie, che spesso coesistono, e a cui
sono associati outcome sfavorevoli (mortalità più elevata,
maggior durata della ventilazione meccanica, una degenza più lunga). Il trattamento riabilitativo permette di con-
CORSO CRS
trastare la sindrome da inabilità appresa di Taub. Quando
il paziente resta fermo per troppo tempo, si verifica una
deafferentazione sensoriale e la zona cerebrale lesionata
non permette l’estrinsecazione dei movimenti. In questo
modo il soggetto, lasciato a sé, non è in grado di organizzare il movimento in modo adeguato rispetto all’informazione nuova, e continua a utilizzare l’arto controlaterale in
funzione di compenso. Compito del riabilitatore è rompere
questo pattern, per recuperare la possibilità del movimento. Non vanno dimenticati, però, i problemi derivanti dai disturbi cognitivo-comportamentali (amnesia post-traumatica, afasia, apatia, ipocinesia, ecc.) tipici di molte patologie,
che interferiscono significativamente sul recupero motorio.
Inoltre, benzodiazepine, antiepilettici e antipsicotici possono amplificare la disabilità del paziente e rendere più difficoltosa la stabilizzazione neuromotoria. Occorre prevenire
e trattare le menomazioni secondarie: in particolare è necessario ridurre l’ipertono, che interferisce pesantemente
sul pattern respiratorio. La riduzione dell’ipertono si ottiene
con un’adeguata terapia farmacologica, ma anche con il
contributo di tecniche fisioterapiche, come lo stretching:
l’allungamento del muscolo permette di mobilizzare meglio, ma anche di respirare e deglutire meglio. Gli esercizi
di mobilità passivi, assistiti e attivi mantengono l’escursione articolare, prevengono le retrazioni capsulo-tendinee, la
stasi circolatoria e la trombosi venosa profonda, e aumentano l’efficienza e la forza muscolare. Nella stabilizzazione
del paziente sono previsti numerosi obiettivi (allineamento
di capo, tronco e arti, facilitazione del movimento, rieducazione della sensibilità, della respirazione, della deglutizione,
ecc.), che, uniti all’utilizzo di ausili che possono correggere
o contenere, permettono di stabilizzare realmente la persona. Un aspetto fondamentale è che il paziente assuma
la postura corretta, a letto o in carrozzina. Un corretto tono
muscolare permette di mantenere una postura corretta e,
conseguentemente, di respirare e deglutire meglio: spetta all’équipe individuare le strategie per stabilizzare il tono
muscolare. Le tecniche di mobilizzazione sono numerose
e possono essere passive o assistite-attive, esercizi posturali, o di riallenamento muscolare. Possono essere tutte adottate, compatibilmente con la situazione clinica del
paziente, sin dai primi momenti dell’evento traumatico o
neurologico, anche se questo spesso non avviene. Il trattamento è progressivo, per rendere sempre più stabile il
paziente: s’inizia dalla mobilizzazione assistita a letto, passando in diverse fasi dal letto alla poltrona, alla carrozzina,
fino alla stazione eretta, al cammino assistito e alla completa autonomia.3 Durante l’attività è importante monitorare
con attenzione alcuni parametri, quali l’aumento eccessivo
della frequenza cardiaca, la caduta o l’innalzamento della
pressione arteriosa sistemica, una saturazione d’ossigeno
inferiore al 90%, la comparsa di aritmie. Non vanno trascurati nemmeno alcuni sintomi clinici, come pallore, sudorazione, affaticamento, che devono far considerare la
necessità di sospendere e rimandare l’attività. Una tecnica
utile, in particolare nei pazienti immobili, è la stimolazione
neuromuscolare elettrica, a bassa frequenza.
Un problema particolarmente rilevante sono le gravi cerebrolesioni acquisite, cui sono associate numerose e
complesse problematiche, che rendono particolarmente
difficoltosa la stabilizzazione (Figura 1). Le cerebrolesioni
gravi presentano numerose complicanze che amplificano
le disabilità: ciononostante si può ottenere la stabilizzazione neuromotoria, avendo come obiettivi prioritari la stabilizzazione clinica, la ricerca del contatto e la mobilizzazione,
per poi passare gradualmente allo svezzamento dal letto
e dalla tracheotomia, fino alla gestione della deglutizione.
Di particolare importanza sono la stimolazione sensoriale e
FONDAMENTALE RISULTA QUINDI
L’INTEGRAZIONE DEI DATI!!!
(COME DOVREBBE ESSERE IN OGNI
ATTIVITÀ CLINICA!!!)
MOTORIA
RESPIRATORIA
STABILIZZAZIONE NEUROMOTORIA
DEGLUTITORIA
Figura 1.
19
REPORT C
la modificazione dei riflessi. Si è visto come la stimolazione
della bocca, anche attraverso le pratiche d’igiene orale, invii degli input al cervello, dove sono mantenuti in memoria,
rielaborati e rimandati in un secondo tempo. L’effetto di
queste stimolazioni si può osservare anche a distanza di
settimane.4 Anche la mobilizzazione della funzione respiratoria è molto importante, perché permette di migliorare
tutte le performance e favorire la stabilizzazione neuromotoria.
Una delle voci maggiormente considerate nella bedside
examination è la tosse: una corretta stabilizzazione, abbinata a una corretta postura, favorisce sicuramente una
tosse corretta. L’importanza della tosse è anche motivata
dalla stretta relazione di questo segno con la fonazione,
la ventilazione, la deglutizione e la cannula. Tramite l’assi-
stenza alla tosse si facilita l’espettorazione, si può ottenere la rimozione di un corpo estraneo inalato, e migliora la
performance respiratoria. Oltre all’assistenza manuale, si
possono utilizzare diversi presidi e manovre: due strumenti
di facile utilizzo sono il misuratore del picco di flusso della
tosse e lo sniff test.
Bibliografia
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Fondazione Maddalena Grassi, Milano, 20-21 novembre 2009
Implicazioni medico-legali della presa in
carico del paziente con disfagia
Andrea Nacci
Otorinolaringoiatria Audiologia Foniatria Universitari, Dip. di Neuroscienze, AO Universitaria Pisana
Le menomazioni prodotte dai disturbi della deglutizione hanno una diversa rilevanza, a seconda dei vari ambiti del diritto.
In sede penale, l’alterazione della deglutizione viene collocata nei delitti contro la persona, mentre in ambito civile, assicurativo e previdenziale, occorre individuare dei parametri
di riferimento per commisurare e quantificare il danno come
risarcimento. Oggi i criteri valutativi medico-legali fanno riferimento alla cosiddetta “efficienza psico-fisica”: oltre all’alterazione anatomica, si valuta anche quella funzionale, che incide
sulla validità biologica, ovvero l’idoneità e la facoltà di produrre un reddito. Nelle tabelle dedicate alla valutazione della
disfagia, si hanno quantificazioni dei danni riguardanti solo i
singoli organi, in particolare l’esofago. In Italia, a oggi, non
esiste una tabella valutativa che quantizzi in modo esaustivo
le alterazioni della deglutizione. Anche per la valutazione della
disfagia in ambito-medico legale si deve far riferimento all’attività esercitata dal soggetto, alle sue attitudini, al suo livello
di qualificazione, alla raggiunta stabilizzazione della disfagia e
alla massima riabilitazione. La valutazione medico-legale deve
seguire un rigoroso percorso clinico e diagnostico, per effettuare un’analisi eziopatogenetica e definire con precisione il
deficit conseguente a quel tipo di disfagia, in quello specifico
paziente. Il soggetto è quindi sottoposto alla bedside examination e a esami strumentali. Al termine di queste valutazioni
si classifica la disfagia, se ne identificano la sede e, soprattutto, le conseguenze funzionali. Videofluoroscopia e FEES rap-
20
presentano i principali esami utilizzabili in queste valutazioni;
in alcuni casi si esegue anche una pH-impedenzometria nelle
24 ore, meglio se associata alla manometria. Un ulteriore supporto può essere fornito dalla scintigrafia.
Alcuni anni fa il gruppo della scuola pisana ha proposto una
valutazione del danno in ambito deglutologico, elaborando
tabelle che permettessero al medico legale di confrontarsi
con queste problematiche.1 Questo lavoro propone di valutare la presenza e la gravità dei sintomi e dei segni clinici, la loro
ripercussione sullo stato generale del paziente, sul suo peso
corporeo e la sua integrità psicofisica, la necessità di un trattamento dietetico, farmacologico e/o chirurgico, le restrizioni
alimentari e gli obblighi dietetici. Sono state così individuate
cinque classi, definite dalla percentuale di danno biologico
riscontrata. Passando dalla classe I alla V, si aggravano progressivamente il restringimento del tratto orofaringoesofageo
(OFE) e il suo deficit neuromotorio e sensitivo, la disfagia per
i liquidi e i solidi, la necessità di ricorrere a diete particolari o
a terapie farmacologiche, chirurgiche o riabilitative. Parallelamente peggiorano le condizioni generali del paziente e l’interferenza della disfagia sulle attività quotidiane, fino alla totale
invalidità con necessità di un’assistenza continua. Questa
proposta di valutazione è, dunque, complessa, ma prende
in considerazione diversi elementi: perché il paziente rientri in
una delle classi non è necessario che presenti tutti gli elementi
elencati.
CORSO CRS
Nell’AO Universitaria Pisana viene fatto firmare un consenso
informato al paziente che deve sottoporsi a videoendoscopia.
La FEES è un esame relativamente semplice, ma che richiede
comunque un certo grado di competenza. Le azioni eseguite
durante l’esame possono causare, anche se raramente, degli
effetti avversi, la maggior parte di lieve entità. L’evento che ha
indotto il gruppo della scuola di Pisa a richiedere un consenso
informato per eseguire la FEES è il laringospasmo, un evento
che solitamente si risolve, ma quando si verifica in persone
con un volume e una capacità polmonare ridotti per patologie
esistenti, può diventare di più difficile gestione. Il rischio maggiore si presenta nei pazienti con malattie neurodegenerative,
in cui si può verificare un’iperreflessia delle regioni faringolaringee. Nella casistica studiata dal gruppo pisano, si sono verificati due casi di laringospasmo in due soggetti affetti da SLA.
Il documento stilato prevede una prima parte, da compilare
con i dati del paziente e la relativa diagnosi; nella seconda
parte è descritta la metodica, mentre nella terza sono trattate
le complicanze e le sequele, con le relative frequenze. Nella
quarta parte, infine, vi è la dichiarazione di consenso, in cui è
prevista la possibilità di revoca durante l’esame. Oltre al modulo, il consenso deve comprendere anche un’informazione
orale, adattata al singolo paziente. Il testo per il consenso informato proposto dal gruppo pisano è stato pubblicato sulla
rivista Acta Phoniatrica Latina in lingua italiana, ma anche sulla rivista Acta Otorhinolaryngologica Italica, in lingua inglese,
per la diversa terminologia medico-legale anglosassone.2,3
Bibliografia
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2008;28(4):206-211
Approcci compensatori nella gestione
della disfagia: modificazioni dietetiche,
manovre posturali e tecniche di protezione
delle basse vie
Catriona M. Steele
Swallowing Rehabilitation Research Laboratory, Toronto Rehabilitation Institute, Toronto
Gli approcci compensatori per la gestione della disfagia sono
tecniche finalizzate al conseguimento di cambiamenti immediati della deglutizione. Comprendono la modificazione della
consistenza dei liquidi e dei cibi, un adeguamento delle posture e tecniche di protezione delle vie aeree. L’addensamento dei liquidi rappresenta uno dei trattamenti compensatori
maggiormente utilizzati. Inizialmente i liquidi venivano addensati con polveri a base di amido: data la difficoltà di utilizzare
correttamente queste polveri, si è passati gradualmente all’utilizzo di liquidi già addensati. Il primo lavoro sull’alimentazione
per soggetti disfagici è del 1990 e descrive il regime alimentare elaborato da un ospedale di New York specificamente
per i pazienti con problemi di aspirazione.1 Venivano evitate le
pietanze con doppia consistenza (solido-liquido), i grossi pezzi di carne, alimenti che possono produrre frammenti in bocca
(toast), cibi appiccicosi che richiedono un notevole sforzo per
il trasporto e il movimento in bocca (burro d’arachidi, purè di
patate, pane). La somministrazione dei fluidi prevedeva tre diverse opzioni: esclusione dei liquidi per via orale, liquidi inalterati, liquidi addensati. Per questi ultimi erano previste tre con-
sistenze, definite in modo poco specifico sciropposa, mielosa
e budinosa. Queste definizioni non erano facilmente comprese: i clinici non riuscivano a definire, ad esempio, quale fosse
la corretta densità di un liquido sciropposo, o come agire con
i liquidi che in bocca cambiavano consistenza, per la miscelazione con la saliva o per la variazione di temperatura. Nel
tentativo di fare chiarezza su queste problematiche, si è costituita una task force internazionale, con l’obiettivo di sviluppare una terminologia comune, adottabile a livello mondiale,
e di definire le descrizioni, in modo che le persone sapessero
come preparare alimenti e liquidi.2 Nella prima pubblicazione
della task force sono state riportate delle tabelle di confronto
delle diverse terminologie utilizzate nel mondo, e si è descritto
ciò che è consentito nell’alimentazione dei disfagici, incluse le
dimensioni delle particelle di cibo.
Alcuni Paesi hanno adottato per i liquidi uno schema di conversione comune che utilizza i colori: un’etichettatura a colori,
riconosciuta a livello internazionale, sarebbe di grande utilità.
In Australia sono state emanate linee guida di grande successo, in cui le diverse consistenze di liquidi e alimenti sono state
21
REPORT C
rappresentate con fotografie esplicative, con uno schema a
colori e con dei numeri.3 Si è avvertita, però, la necessità di
avere un supporto scientifico per stabilire le diverse categorie
delle modifiche di consistenza. Uno degli studi più importanti sull’efficacia delle modifiche della consistenza dei cibi per
eliminare l’aspirazione è quello relativo al protocollo 201, uno
studio molto esteso in cui si è sostenuta la validità dei liquidi addensati.4 Lo studio ha valutato pazienti anziani con demenza o morbo di Parkinson, in cui era escluso un recupero
spontaneo. Nella prima parte dello studio i partecipanti sono
stati randomizzati per ricevere i tre trattamenti previsti (posizione chin tuck, liquido sciropposo, liquido mieloso) secondo diverse sequenze, per verificare con la videofluoroscopia
in quali casi si eliminava l’aspirazione. Nella seconda parte i
pazienti sono stati randomizzati a uno dei trattamenti, che è
stato seguito per tre mesi, per verificare l’incidenza della polmonite. Nel 25% dei 711 partecipanti iniziali, selezionati per
aver evidenziato un’aspirazione in un test preliminare, non si è
riscontrata aspirazione con nessuno degli interventi proposti;
la metà dei partecipanti, invece, ha continuato ad avere aspirazioni, indipendentemente dall’intervento adottato. Il 74%
dei pazienti ha manifestato una risposta migliore nei confronti
di uno degli interventi adottati: mentre le risposte peggiori si
sono rilevate con la posizione del mento abbassato, le migliori
si sono ottenute con il liquido più denso. È stato ammesso
alla seconda parte chi, nella prima, non aveva mai aspirato,
con nessuno degli interventi (1/3), e chi aveva aspirato (2/3),
indipendentemente dall’intervento. Dopo tre mesi, nell’80%
dei partecipanti non si sono rilevate polmoniti, né decessi a
essa correlati. Secondo quanto riportato in letteratura, in questa popolazione di pazienti l’incidenza della polmonite sembra
attestarsi attorno al 10%: questi interventi, dunque, non sembrerebbero produrre alcun effetto su questa complicanza.
Secondo un’altra interpretazione, l’aver mantenuto la stessa
incidenza di polmonite in un gruppo selezionato di pazienti
a rischio confermerebbe, invece, l’efficacia dei trattamenti.
Confrontando le incidenze di polmonite rispetto all’intervento
adottato, non è emersa una differenza significativa tra liquidi
addensati e posizione del mento, ma dal confronto tra i due
liquidi, si sono rilevati risultati migliori con il liquido sciropposo,
a densità minore (8% vs 15% per il liquido mieloso). Negli
ultimi cinque anni si sono imposti sul mercato gli addensanti
a base di gomma, diffusamente utilizzati anche in Italia, ma
strettamente controindicati nei bambini e nei neonati, perché
sono stati associati a due decessi in bambini con enterocolite
necrotizzante.
Per arrivare a una terminologia internazionale, è stata condotta una revisione sistematica della letteratura, per comprendere come la consistenza del cibo e dei liquidi possa modificare
la fisiologia dell’atto deglutitorio.5 Secondo alcune evidenze
l’addensamento dei liquidi riduce la penetrazione e l’aspirazione, ma, con l’aumentare della densità, aumenta anche il
rischio di residui nella faringe. È fondamentale, dunque, os-
22
servare con attenzione il paziente, aumentare molto gradualmente la densità, fino a trovare il liquido meno denso possibile
che si adatti meglio alle esigenze del paziente.
Un altro intervento compensatorio è chin tuck o chin down,
una manovra che consiste nell’abbassare il più possibile il
mento, fino a toccare il collo. Uno studio ha testato diverse posizioni del capo in pazienti che aspiravano bario liquido durante la videofluoroscopia.6 La manovra chin down si
è rivelata efficace nel ridurre l’aspirazione nella deglutizione
successiva per il 50% dei pazienti. Questa manovra può produrre, però, anche degli effetti indesiderati, in particolare se
si abbassa il mento quando si hanno già dei ristagni nella faringe. Questo comprime i residui di bolo, spingendoli verso le
vie aeree.7 Un lavoro recente ha studiato l’abbassamento del
mento in soggetti sani, evidenziando come questa postura
prolunghi la chiusura del vestibolo laringeo. Quindi, in presenza di un ritardo della chiusura della laringe, questa manovra
può produrre una chiusura più tempestiva.8 Generalmente il
paziente preferisce il chin down all’addensamento dei liquidi,
se ha una possibilità di scelta. L’utilizzo di questa manovra
non è generalizzabile, poiché può rivelarsi controproducente,
in particolare nei soggetti incapaci di alimentarsi autonomamente. Per proteggere le vie aeree si può ricorrere alla deglutizione sovraglottica, in cui s’insegna al paziente ad agire
volontariamente sulle corde vocali. Gli studi dedicati a questa
tecnica sono pochi. Si è dimostrata efficace nei soggetti con
tumori della regione testa-collo, ma in uno studio condotto
su pazienti disfagici con stroke, l’86,6% dei partecipanti ha
accusato aritmie durante lo svolgimento della manovra.9
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8. Macrae P, et al. Mechanisms of airway protection during chin-down swallowing. J Speech Lang Hear Res. 2014;57(4):1251-8
9. Chaudhuri G, et al. Cardiovascular effects of the supraglottic and super-supraglottic swallowing maneuvers in stroke patients with dysphagia. Dysphagia. 2002;17(1):19-23
CORSO CRS
Riabilitazione della disfagia con
un approccio basato su esercizi
Catriona M. Steele
Swallowing Rehabilitation Research Laboratory, Toronto Rehabilitation Institute, Toronto
Per trattare alcuni degli esercizi più utilizzati nella riabilitazione
della disfagia saranno descritti alcuni casi clinici. Il primo è
un uomo di 56 anni, a quattro mesi da uno stroke ischemico
nell’area midollare destra, alimentato con cibi solidi e liquidi
poco densi, senza consistenze miste. Il paziente lamentava un’affaticabilità nel mangiare, un tempo prolungato per il
pasto, di dover deglutire più volte per ogni boccone, di aver
necessità di schiarire la voce ed espettorare sia di giorno, sia
di notte. All’esame strumentale il paziente presentava ristagni
nelle vallecole e nei seni piriformi; con i cibi più solidi la lingua
doveva fare uno sforzo rilevante per spingere il bolo verso la
faringe, dove permaneva a lungo, prima che si chiudesse il
vestibolo laringeo. Tramite videofluoroscopia, si è misurato il
tempo di permanenza del bolo in faringe prima della chiusura del vestibolo laringeo (1/4 di secondo), si sono contati gli
atti deglutitori necessari per avere la clearance del bolo e si
è misurata l’escursione dello ioide. Si è deciso di sottoporre
il paziente a un trattamento di resistenza della pressione linguale: la crescente pressione della lingua viene misurata tramite un piccolo bulbo pieno d’aria, interposto tra la lingua e il
palato durante la pressione. Con questo semplice strumento
si aumenta efficacemente la forza della lingua, agevolando la
deglutizione. Dopo il trattamento si sono osservati lievi miglioramenti, dal minor numero di deglutizioni, alla riduzione del
tempo necessario a consumare un pasto. Secondo quanto
riportato in letteratura, questo esercizio non sembrerebbe
produrre benefici significativi, ma è necessario continuare a
lavorare in quest’ambito.1
Il secondo caso clinico è un uomo di 82 anni, visitato tre mesi
dopo uno stroke midollare laterale, con una deglutizione incoordinata, una limitata chiusura del vestibolo laringeo, una
ridotta costrizione faringea, una minor apertura dello sfintere esofageo superiore. Il paziente presentava ristagni a livello
dei seni piriformi e aspirazione. Alla valutazione strumentale
si è rilevata anche una debolezza della lingua, più accentuata
con i boli più consistenti, mentre il timing delle diverse fasi era
corretto. Si è deciso di trattare il paziente con la deglutizione
forzata, utilizzando per il biofeedback un’elettromiografia di
superficie, con deglutizione della saliva. A ogni seduta si è
misurata l’ampiezza di 5 deglutizioni normali; poi il paziente
ha eseguito 55 deglutizioni ripetute, con uno sforzo pari al
110/120% rispetto a quello compiuto nei normali atti deglutitori. Il paziente ha ottenuto un miglioramento della clearance
del bolo e una deglutizione più rapida. La deglutizione forzata
si è rivelata in grado anche di aumentare la pressione farin-
gea, in ampiezza e durata: questo beneficio può essere ulteriormente incrementato aumentando la pressione della lingua
contro il palato.2,3
Una donna di 25 anni, affetta da lupus eritematoso sistemico,
con vasculite e compromissione a livello del tronco encefalico, aveva una deglutizione quasi assente. La costrizione faringea era molto limitata, come compromesso era il movimento
laringeo; la paziente presentava molti ristagni e una ridotta
apertura dello sfintere esofageo superiore. Queste gravi alterazioni si associavano quasi inevitabilmente a penetrazione e aspirazione. La paziente è stata alimentata con sondino
nasogastrico. Per mantenere un buon innalzamento laringeo,
si è preferito adottare la manovra di Mendelsohn, anziché
la deglutizione forzata. Anche in questo caso si è utilizzata
l’elettromiografia di superficie per il biofeedback, con l’enfasi
sul sostegno dell’ampiezza, superiore del 30% rispetto allo
sforzo normalmente compiuto per deglutire la saliva, per 2-3
secondi. Lo sfintere esofageo superiore si apre in seguito alla
pressione generata dalla discesa del bolo oppure tramite una
trazione del muscolo sovra ioideo (Figura 1).
B
A
C
Pressione del bolo (A) + trazione anteriore (B) ≥resistenza del segmento
faringoesofageo (C)
Figura 1. Manovra di Mendelsohn
23
REPORT C
Quando la somma di questi meccanismi supera la resistenza del segmento faringo-esofageo, si ottiene il rilassamento di quel segmento. È importante osservare attentamente
il paziente durante questa manovra, per verificare che il
tracciato elettromiografico corrisponda realmente a un atto
deglutitorio.
Dopo otto settimane di trattamento, la deglutizione non era
ancora perfetta: la costrizione della faringe era leggermente migliorata e la paziente riusciva a far passare i liquidi
dallo sfintere esofageo superiore.
Per descrivere la manovra di Shaker è stato scelto il caso
di una donna di 63 anni, con una disfagia secondaria a
un ictus della regione ponto-midollare e gravi problemi di
apertura dello sfintere esofageo superiore.
La manovra di Shaker prevede un sollevamento isometrico
e isocinetico del capo, per lavorare sul muscolo sovra ioideo. Stando sdraiati, si può sollevare la testa per un minuto, oppure si possono eseguire trenta sollevamenti rapidi.
Questo esercizio stimola la funzionalità dei muscoli miloioideo e genioioideo.
Dopo il trattamento la paziente ha ottenuto una deglutizione più efficiente, una riduzione dei ristagni e una migliore
costrizione faringea. Uno studio randomizzato ha confrontato l’efficacia della manovra di Shaker, rispetto alla terapia tradizionale.4 Anche se con una casistica molto ridotta,
lo studio ha evidenziato per la manovra un miglioramento
nell’aspirazione, ma non nei ristagni.
Bibliografia
1. Robbins J, et al. The effects of lingual exercise in stroke patients with dysphagia. Arch Phys Med Rehabil. 2007;88(2):150-8
2. Huckabee ML, Steele CM. An Analysis of Lingual Contribution to Submental sEMG Measures and Pharyngeal Biomechanics during Effortful Swallow. Archives of Physical Medicine and Rehabilitation. 2006;87:1067-72
3. Steele CM, Huckabee ML. The influence of oro-lingual pressure on the timing of pharyngeal pressure events. Dysphagia. 2007;22(1):30-6
4. Logemann JA, et al. A randomized study comparing the Shaker exercise
with traditional therapy: a preliminary study. Dysphagia. 2009; 24(4): 403-11
La presa in carico del paziente in acuto
Daniele Farneti1 e Monica Panella2
AUSL della Romagna, Rimini; 2ASLBI di Biella
1
La popolazione delle persone affette da disfagia è numericamente importante: per questo è fondamentale discriminare i pazienti da indirizzare ai logopedisti o alle valutazioni
strumentali. Gli screening non hanno significato diagnostico, ma individuano i pazienti a rischio di disfagia. Lo screening va scelto in base alla sua valenza statistica e alla
sua performance diagnostica (sensibilità, specificità, valore
predittivo positivo e negativo). Il test non è affidabile se ha
una sensibilità inferiore all’80% e/o se ha una specificità inferiore al 60%. Sensibilità e specificità del test sono riferite
all’esame strumentale considerato gold standard: nel caso
della disfagia endoscopia e videofluoroscopia. Secondo le
linee guida della FLI (Federazione Logopedisti italiani) del
2007, lo screening dovrebbe essere eseguito da personale
infermieristico opportunamente addestrato; il test del bolo
d’acqua andrebbe eseguito in tutti i pazienti con stroke,
che presentano un rischio di aspirazione, e in tutti i pazienti che presentano una delle numerose patologie elencate
nell’allegato A delle medesime linee guida. Solitamente gli
infermieri si rendono disponibili per l’esecuzione dei test di
24
screening, ma il tempo necessario per queste procedure e
la delega ad altre figure professionali (OSS) rappresentano
dei fattori di criticità. Secondo un’analisi SWOT condotta
nel reparto internistico di un’azienda ospedaliera, altri fattori di criticità possono essere la carenza di organico, e il
diverso approccio al problema. Vi è, inoltre, la necessità di
utilizzare al massimo le risorse disponibili e di intervenire
precocemente. La formazione degli infermieri e la creazione di modelli organizzativi in cui attribuire a un infermiere il
ruolo di case manager rappresentano, invece, due punti di
forza, insieme alla cartella clinica informatizzata. È necessario, inoltre, che vi sia una certificazione delle competenze
del personale addetto agli screening, per non rischiare di
invalidare il risultato stesso dei test, e tutto il processo diagnostico e terapeutico che ne segue.
In un reparto ideale di medicina riabilitativa il team dovrebbe essere composto da diverse figure professionali (medici, infermieri, logopediste, fisioterapisti, OSS, amministrativi) che dovrebbero saper comunicare tra di loro. Il paziente
che arriva in medicina riabilitativa frequentemente è in fase
CORSO CRS
post-acuta. Può provenire da una struttura di terzo livello,
da altri reparti (neurologia, med. semi-intensiva, medicina,
rianimazione,…); una minima parte dei pazienti proviene
dalle realtà ambulatoriali. La logopedista deve osservare
nel paziente i cambiamenti organici alla base della disfagia,
per capire come riportarlo in una situazione in cui sia possibile la ripresa dell’alimentazione, attraverso riattivazione,
riabilitazione o ricerca di un compenso funzionale. Un’ampia porzione di pazienti è rappresentata dai pazienti neurologici, con gravi cerebrolesioni acquisite o con patologie
degenerative. I casi d’ictus o di traumi cranio-encefalici rientrano pienamente nella categoria dei pazienti in acuto,
che può comprendere, però, anche i pazienti con malattie
neurodegenerative (SLA, SM,…) eventualmente ricoverati
per un problema respiratorio o per improvviso aggravarsi
della difficoltà di alimentazione.
è noto come il soggetto anziano vada incontro a presbifagia: fenomeno deglutitorio caratterizzato, in particolare, dal
ritardo dell’innesco deglutitorio. L’anziano può necessitare
di ricoveri ospedalieri per situazioni apparentemente non
correlate con la disfagia, ma nella persona fragile il ricovero può scatenare eventi a cascata responsabili di numerose problematiche cliniche. In un soggetto possono essere presenti simultaneamente più situazioni patologiche,
che rendono il paziente pluri-problematico. Diventa allora
fondamentale riconoscere con lo screening il potenziale
disfagico, per evitare che la sua condizione precipiti per
motivi diversi da quelli del ricovero. Nell’ospedale di Biella
si utilizza solitamente il test del sorso d’acqua: se dall’esecuzione accurata emergono due risposte affermative, si
richiede la valutazione deglutologica mirata e specialistica.
è noto come aspetto essenziale da tenere in considerazione nel paziente disfagico sia una corretta igiene orale. La
mancata pulizia può essere segno di una grave disfagia,
ma anche di una condivisione culturale con le figure assistenziali coinvolte, non ancora ottimale.
Lo screening procede a tappe: a seconda di ciò che il paziente riesce a fare, l’operatore addetto interrompe la somministrazione del test richiedendo la valutazione specialistica. La flow chart che guida l’esecuzione dello screening
guida l’operatore alla scelta di fare o meno intraprendere
l’alimentazione per os, magari con cibi morbidi e sotto osservazione mirata da parte degli operatori sanitari competenti. L’emergere di problemi nella gestione dei cibi solidi,
può indurre ad un approfondimento dovuto, eventualmente, ad alterazioni gastroesofagee oppure all’edentulia.
Le procedure di screening previste per il paziente con cannula tracheostomica presentano peculiarità specifiche: da
indicazioni generiche e condivise è nota l’importanza di
scuffiare la cannula prima possibile. Prima di somministrare qualsiasi tipo di sostanza, è opportuno verificare come
la bocca gestisce le secrezioni, (test della tintura delle mu-
cose). Quando, l’evidenza di inalazione delle secrezioni
determina una desaturazione arteriosa importante o una
complicanza respiratoria, il tentativo di scuffiare la cannula
deve essere messo in dubbio.
Se il paziente non inala le secrezioni tinte, si procede con
la valutazione della deglutizione a cannula scuffiata, somministrando acqua con blu di metilene. Importante, nel paziente in acuto, la ripetizione della prova di gestione delle
secrezioni in vari momenti della giornata al fine di evitare
e/o non cogliere momenti di fase “off”.
Là dove la difficoltà deglutologica sarà evidenziata, avrà
avvio la richiesta di valutazione specialistico-deglutologica,
il logopedista attuerà il suo piano di intervento valutativo,
rimediativo e riabilitativo deglutologico, coerentemente alle
Linee Guida condivise e ai concetti di medicina evidence-based.
Il bilancio logopedico-deglutologico è costituito da valutazioni funzionali atte a verificare il quadro deglutitorio e la
conseguente efficacia a livello funzionale delle misure terapeutiche adottate. Tra le metodiche di valutazione strumentale si può considerare anche l’auscultazione cervicale
che, pur essendo uno strumento limitato, operatore–dipendente, se utilizzato in modo corretto può fornire molte
informazioni, fondamentali, soprattutto, nelle realtà in cui è
più difficile eseguire valutazioni strumentali più sofisticate.
Un aspetto particolarmente importante è la stesura di un
documento scritto relativo alle valutazioni eseguite e ai risultati ottenuti: presso l’Ospedale di Biella la descrizione
del bilancio deglutologico è inserita in cartella clinica e, in
copia, in cartella infermieristica (là dove le due non sono
ancora unificate).
Per facilitare la comunicazione dei percorsi deglutologici
peculiari al paziente, può risultare utile creare strumenti
scritti. Esempio può essere rappresentato dalla Metodica
a Triage: percorso deglutologico a colori, secondo il quale
al paziente che entra in reparto viene abbinato un determinato colore, in base alla gravità della disfagia, per il quale
sono previste specifiche procedure diagnostico-terapeutiche (Figura 1). Il cambiamento del quadro deglutologico,
previo aggiornamento valutativo funzionale, implica il passaggio da un colore ad un altro (sia in senso migliorativo
che peggiorativo).
All’interno di ciascun percorso peculiare al colore (bianco,
verde, giallo, rosso), sarà comunque condiviso che la riabilitazione si baserà sempre su due livelli: quello strettamente
relativo all’individuo e quello in cui il soggetto sarà inserito
nel proprio contesto. Obiettivo della logopedista sarà quello di sviluppare al massimo la funzione del paziente e, dove
necessario, cercare compensi attraverso strumenti, posture o scelte congrue di consistenza di cibo.
25
REPORT C
Figura 1. Schema della metodica a triage per la valutazione della disfagia
La presa in carico del paziente in estensiva e
istituzionalizzato
Giovanni Ruoppolo1 e Anna Accornero2
Dipartimento Testa e Collo, Università La Sapienza, Roma, 2Università degli Studi, Torino
1
Obiettivo della riabilitazione intensiva è ridurre o almeno
contenere la menomazione; terminata la fase acuta è necessario, invece, conseguire il recupero funzionale. Nella
riabilitazione della disfagia l’intervento del foniatra in fase
acuta è volto, in particolare, a mantenere il paziente in
condizioni di sicurezza; dopo il trasferimento in un centro
di riabilitazione, per ottenere il recupero della funzionalità
deglutitoria sarà necessaria un’accurata valutazione per
individuare e risolvere il deficit. Al centro di riabilitazione
possono arrivare pazienti che hanno avuto una perdita
improvvisa della funzionalità deglutitoria o pazienti affetti da una patologia neurodegenerativa, che hanno un
progressivo adattamento alla sempre più compromessa
26
funzionalità deglutitoria, fino al momento in cui diventa
necessaria una presa in carico in estensiva. Anche il paziente in stato di coscienza nullo può essere valutato, per
ottenere elementi di prognosi. Man mano che lo stato di
coscienza lo permette, si può prendere in considerazione
la possibilità di un compenso, fino ad arrivare ad attività
che richiedono il coinvolgimento del paziente. Molto importante è anche la conoscenza dei deficit comunicativi
e dei disturbi comportamentali, che possono ostacolare
notevolmente la valutazione e, a maggior ragione, la riabilitazione. Pazienti con alterazioni cognitive, inoltre, possono anche non essere in grado di comprendere quali siano
le fasi della deglutizione e come impostarle.
CORSO CRS
Le conseguenze dell’aspirazione dipendono dallo stato
nutrizionale e dalla funzionalità respiratoria. Il mantenimento o la rimozione, la cuffiatura o la scuffiatura della
cannula tracheale rappresentano dei possibili argomenti
di discussione, soprattutto in alcuni reparti in cui si tende
a mantenere la cannula cuffiata il più a lungo possibile per
garantire al paziente le condizioni di sicurezza. La funzionalità deglutitoria è valutata con la bedside examination,
che deve essere condivisa con altri specialisti per stabilire
quali cause hanno determinato la disfagia e sapere quale sarà l’evoluzione del paziente, in modo da definire gli
interventi più opportuni. Il trattamento della disfagia deve
essere pianificato in termini di rimediazione/riabilitazione
in base a quanto il soggetto può collaborare e a quanto si
prevede possibile il recupero funzionale. Gli elementi del
trattamento dovrebbero essere scelti solo ed esclusivamente sulla base delle alterazioni fisiopatologiche emerse
nel corso della valutazione. Fondamentale è il counseling
logopedico, perché i caregiver possano adeguatamente
comprendere la modalità più corretta di nutrire il paziente,
una volta tornato a casa.
Parzialmente diversa è la riabilitazione estensiva prevista
per le patologie neurodegenerative, in cui assume particolare importanza la vigilanza sull’evoluzione della malattia, con il monitoraggio dei sintomi principali, come
una disfagia silente per un progressivo adattamento del
paziente alla patologia. Un’attenta vigilanza consente,
inoltre, di mettere in atto gli interventi più adeguati. La
valutazione della disfagia avviene con le modalità già descritte. Nelle patologie neurodegenerative è importante
mantenere quanto più possibile l’alimentazione per os, in
condizioni di sicurezza, anche in un’ottica di salvaguardia
della qualità di vita del paziente. La riabilitazione di questi
soggetti prevede metodiche di compenso, modificazioni della consistenza degli alimenti, adozione di particolari
posture, in modo da modificare la velocità e la facilità di
transito del bolo. È necessario rendere massimali le funzionalità residue. Nel paziente neurodegenerativo è molto
importante lavorare sulla tosse, poiché a parità di disfagia, la condizione è più grave se il soggetto non è in grado
di liberare le vie respiratorie.
Terminata la degenza riabilitativa, le possibili alternative
sono la lungodegenza o il domicilio: in questa fase, però,
possono emergere alcune criticità perché non sempre
il problema di deglutizione si è risolto. Si può essere in
presenza, infatti, di una patologia cronica, in cui si è raggiunto il massimo livello possibile di riabilitazione, oppure
il paziente è un neurodegenerativo destinato a peggiorare. Spesso questi soggetti sono in età avanzata e questo
comporta una presbifagia primaria, che si complica quando subentrano altre patologie (presbifagia secondaria). In
un paziente a domicilio o in una lungodegenza la gestione
della disfagia ha più obiettivi:
• monitorare le caratteristiche nutrizionali del paziente
nel tempo, garantendone un mantenimento in termini
di accuratezza, efficacia, sicurezza, efficienza;
• verificare che le norme precauzionali associate all’alimentazione del paziente siano rispettate e mantenute;
• al modificarsi delle condizioni cliniche del paziente,
variare le modalità nutrizionali, in seguito a un approfondimento diagnostico.
La gestione della disfagia non può prescindere da una
prospettiva ecologica, ergonomica e globale. La riabilitazione deve coinvolgere l’ambiente, i familiari, i caregiver, e
deve ottimizzare a livello funzionale gli ausili, anche in ambito alimentare e deglutologico. Un gruppo di lavoro promosso dalla Regione Piemonte ha elaborato un percorso
diagnostico, terapeutico, assistenziale della disfagia, dalla fase acuta all’assistenza domiciliare o in lungodegenza.
Anche nel paziente anziano o nel cronico istituzionalizzato
il percorso inizia con una procedura di screening. Il programma SOAP (swallowing on a plate) è uno strumento di
screening elettivamente rivolto al paziente istituzionalizzato. Prevede una checklist deglutitoria, una scala di valutazione della deglutizione, un piano di assistenza al pasto
e un indice di gestione della disfagia. Un altro strumento
di screening è il questionario di autovalutazione di Kawashima, elettivamente rivolto al paziente a domicilio.1 Basato su un’autosomministrazione, analizza cinque domini:
con la rilevazione anche solo di uno dei sintomi severi,
si ha l’indicazione per l’approfondimento diagnostico. Il
counseling logopedico consiste nel trasferire i contenuti
riguardanti la gestione del paziente disfagico, con i giusti
tempi e modalità, al giusto interlocutore, per raggiungere
l’obiettivo. Importante è come s’insegna e come si sensibilizzano gli OSS e le badanti, perché mettano in atto
comportamenti e scelte degli alimenti importanti per il
paziente. Nel percorso di cura del paziente in estensiva,
a domicilio o istituzionalizzato, il focus sarà sui provvedimenti adattativi. Nella scelta degli alimenti non conta
solamente la consistenza: a parità di consistenza, infatti,
la scivolosità, l’omogeneità e la coesione rappresentano
delle variabili determinanti. Alcuni ausili possono consentire, soprattutto al paziente a domicilio, di ottimizzare le
sue abilità residue, quando deve preparare il cibo e per
nutrirsi il più possibile autonomamente. Alcuni esempi
sono le posate diverse per forma, peso, conformazione
del manico, i bicchieri appositi, i piatti utilizzabili con una
mano sola.
Bibliografia
1. Kawashima K, et al. Prevalence of dysphagia among community-dwelling elderly individuals as estimated using a questionnaire for dysphagia
screening. Dysphagia. 2004;19(4):266-71
27