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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR anno 19 | numero 29 | 24 luglio 2013 | 2,00 Via dallo stress e dai fallimenti della fecondazione in provetta. Ecco tutto quello che avreste voluto sapere e non vi hanno mai detto sulla convenienza (anche economica) dei metodi naturali nella cura dell’infertilità Ridateci la cicogna EDITORIALI BLITZ DEL PD CONTRO I VOUCHER SOCIO-SANITARI Pur di cancellare il modello Formigoni trattano i lombardi come dei cretini D a quando è stato eletto governatore lombardo a scorno dei poterazzi che contavano di aver cancellato il ventennio di buona amministrazione delle giunte Formigoni, il nostro amico Roberto Maroni continua ad avere dei grossi calabroni che gli ronzano attorno. Il ronzio, naturalmente, allude ai benpensanti che considerano il “Bene” affare loro. Così, nonostante il governatore sia molto consapevole delle malevole attenzioni di cui gode la sua maggioranza presso la grande stampa, suo malgrado, settimana scorsa ha permesso all’opposizione di cantare vittoria perché in sede di Consiglio è stato approvato un ordine del giorno che sembra voler archiviare in ambito socio-sanitario i cosiddetti “voucher”. Cioè i “buoni” che oggi il cittadino spende nella struttura che offre servizi di assistenza domiciliare o di riabilitazione che ritiene più adeguata. Durante un colloquio informale il governatore ha assicurato a Tempi che non ha nessuna intenzione di archiviare la sussidiarietà. Sappiamo però che il terreno è sdrucciolevole e i nemici della libera Lombardia sono tanti. Visti i suoi guai giudiziari, di Formigoni è vietato parlare. Però, neanche si può accettare la logica secondo cui per cancellare un nome si deve affermare che il cittadino è cretino. Dunque «non bisogna lasciarlo solo» – come dice il Pd – nella scelta dei servizi, ma devono essere Asl e Comuni a decidere al posto suo. Come abbiamo scritto e ripetuto a iosa, a Formigoni può essere rimproverato di È PASSATO IN CONSIGLIO UN tutto. Ma non l’aver lasciato ai cittadini lomODG DELLA SINISTRA CONTRO LA bardi quei conti a posto, quelle libertà di scelta e quelle qualità dei servizi (specialmente LIBERTÀ DI SCELTA. MARONI ha in sanità) che nel resto dell’Italia ci invidiano. ASSICURATO A TEMPI che non E che per mancanza dei quali l’Italia affonda. ha intenzione di seguirLO BORAT IN REDAZIONE Dite a Ezio Mauro che l’amico italiano del “satrapo” kazako è più P. che B. S arebbe bastato leggere i giornali stranieri per porsi delle domande sulla salute dell’informazione italiana al seguito del pasticciaccio brutto combinato dai nostri apparati di polizia con la “deportatio” (termine usato dai gionali kazaki) della moglie e figlia di Mukhtar Kabulovich Ablyazov. Per prima cosa, come racconta su queste pagine Fausto Biloslavo, tutto si può dire di un ricco sfondato ricercato dall’Interpol, tranne che è un “dissidente” e “capo dell’opposizione”. Punto secondo, ciò è niente davanti alla figura da Borat che ha fatto Ezio Mauro nel suo tonitruante editoriale di lunedì e replica del martedì, in cui, per berlusconizzare il Kazakistan e chiedere le “Dimissioni, subito” del ministro Alfano, ha dovuto dipingere un Ciancimino asiatico come Solzenicyn e un padre-padrone come un Gheddafi del Cremlino. «Un satrapo che dall’età sovietica, reprimendo il dissenso, guida quel paese e le ricchezze oligarchiche del gas, che gli garantiscono amicizie e complicità interessate da parte dei più spregiudicati leader occidentali, con il putiniano Berlusconi naturalmente in prima fila». Naturalmente ciascuno è libero di pensare quello che vuole. Però, chi glielo dice a Ezio Mauro che l’autorevole e di sinistra Der Spiegel il 13 marzo scorso ha segnalato tra «i consulenti» dell’«autocrate» non Berlusconi, ma i principali leader del centrosinistra europeo e il «former prime minister Romano Prodi», tutti «membri dell’International Advisory Board DER Spiegel INFORMA CHE di Nazarbayev» dove «ciascuno è pagato anUNO DEI «consulenti» nualmente con un fee a sette cifre»? Non è un DI NAZARBAYEV È L’EX reato. E neanche un peccato. Però non PREMIER ITALIANO E PADRE si sa mai, magari poi Borat si incazza DEL PD Romano Prodi e berlusconizza pure il padre del Pd. FOGLIETTO Sul caso D’Amico. Un malato incurabile c’è: è la civilà che subordina il rispetto della natura all’arbitrio G iudice in pensione dal 2010. Gli viene diagnosticato un male incurabile. Si reca in Svizzera, in una clinica per “suicidi assistiti”: muore l’11 aprile 2013. Tre mesi dopo, l’autopsia dice che i medici avevano sbagliato: non c’era alcun tumore. I (pochi) commenti mediatici si concentrano non sul viaggio della morte procurata e “legale” nel cuore della civilissima Europa, né sulla circostanza che non è il primo caso – ricordiamo tutti la vicenda di Lucio Magri –, ma sul fatto che Pietro D’Amico sia stato ucciso “inutilmente”, visto che era sano. È invece “sano” di mente chi ritiene che se D’Amico avesse avuto veramente il cancro, era giusto ammazzarlo? Il male incurabile lo ha un sistema giuridico nel quale il dato di realtà è sempre più sostituito dalla percezione, e nel quale trova tutela non il diritto fondato sul rispetto della natura dell’uomo, ma qualcosa di transitorio e di mutevole come il desiderio. La ferita nell’ordinamento l’ha provocata 35 anni fa la legge sull’aborto: costruita sul modello dell’“aborto terapeutico”, in realtà permette di uccidere il concepito in base al mero timore che nasca malformato; allora come oggi, una percezione soggettiva si trasforma in una sentenza di morte. Poiché il diritto alla vita è il fondamento di tutti gli altri, non deve sorprendere che la logica della sottomissione della realtà all’arbitrio della soggettività scorra dalla fase iniziale dell’esistenza a quella conclusiva. E non è finita: nella legge sulla omofobia, che destra e sinistra hanno fretta di approvare alla Camera, la legge penale è chiamata a tutelare l’«attrazione» verso una persona dello stesso sesso e la «percezione che una persona ha di sé come appartenente» a un «genere (…) anche se opposto al proprio sesso biologico». La civiltà sta nel contrastare questa deriva di morte o nel lasciare che ci travolga del tutto? Alfredo Mantovano | | 24 luglio 2013 | 5 SOMMARIO 08 PRIMALINEA UNA FEDE CHE SORPRENDE | CAMISASCA, AMICONE NUMERO 29 anno 19 | numero 29 | 24 luglio 2013 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr Via dallo stress e dai fallimenti della fecondazione in provetta. Ecco tutto quello che avreste voluto sapere e non vi hanno mai detto sulla convenienza (anche economica) dei metodi naturali nella cura dell’infertilità Ridateci la cicogna Ecco tutto quello che avreste voluto sapere e non vi hanno mai detto sulla convenienza (anche economica) dei metodi naturali nella cura dell’infertilità 14 INTERNI ABLYAZOV, DISSIDENTE PER FINTA | BILOSLAVO LA SETTIMANA Foglietto Alfredo Mantovano...........5 Solo per i vostri occhi Lodovico Festa........................ 19 Le nuove lettere di Berlicche................................................33 Presa d’aria Paolo Togni..................................... 38 Mamma Oca Annalena Valenti............... 39 Post Apocalypto Aldo Trento.................................. 44 Sport über alles Fred Perri.......................................... 46 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano.................. 47 Terra di nessuno Marina Corradi......................50 26 SOCIETÀ FIGLI SENZA PROVETTA CASADEI, AGNOLI RUBRICHE 20 ESTERI EGITTO, E DOPO IL GOLPE? | GROTTI 34 L’ITALIA CHE LAVORA ARTIGIANO DELLE PIPE Stili di vita........................................... 38 Per Piacere.........................................41 Motorpedia........................................42 Lettere al direttore.......... 46 Taz&Bao................................................48 Foto: Ansa, AP/LaPresse, Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 19 – N. 29 dal 18 al 24 luglio 2013 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. 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Ma le folle non cercano solo un padre. Cercano un padre vicino. Ecco allora l’importanza della parola e dei segni. Bergoglio conosce l’arte della comunicazione. Non parla solo con le parole, ma con i gesti e le espressioni del volto. Il suo umorismo trasmette quella serenità di cui è assetato il cuore dell’uomo. Ma è soprattutto attento ai segni. Non usare una cro- ce pettorale d’oro, abitare a Santa Marta assieme ad altri preti, chiedere la benedizione del popolo… sono segni che danno alla gente l’impressione chiara che Francesco è un uomo vicino, che è uno di noi, che qualcosa di nuovo sta accadendo. Tanta gente che non entrava in una chiesa da anni, forse da decenni, torna a confessarsi. Tanti accorrono a Roma in pellegrinaggio e affollano Piazza San Pietro. Non sono solo le udienze del mercoledì o gli Angelus della domenica a raccogliere decine e decine di migliaia di persone. Nella piazza, che è il cuore della cristianità, accorrono gruppi numerosi perfino di notte, pregando e cantando, tenen- Foto: Ansa C he cosa cercano le folle in Francesco? Un padre. La sete di un padre caratterizza il nostro tempo. È la ricerca di una presenza che sappia indicare la strada, in un tempo segnato da molte ombre e da poche luci. Un padre che sappia indicare la via anche correggendo i percorsi sbagliati, ma sempre con un tono amorevole e rassicurante. La Tradizione della Chiesa, ma prima ancora Gesù nel Vangelo (si legga il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni), hanno indicato nell’immagine del Buon Pastore il riferimento più chiaro a questa arte di UNO DI NOI PRIMALINEA Tanta gente che non entrava in una chiesa da anni, forse da decenni, torna a confessarsi. Tanti accorrono a Roma in pellegrinaggio e affollano Piazza San Pietro. Perfino di notte lui? La risposta che più mi ha impressionato è stata quella di un giovane: in lui mi attrae l’imprevedibilità. Bergoglio è, in effetti, un uomo imprevedibile. Sembra sempre alla ricerca di nuove strade per raggiungere gli uomini che ha davanti. Ma in lui tutto ciò è naturale, come frutto di un lungo esercizio vissuto ai tempi del suo ministero sacerdotale ed episcopale. Foto: Ansa Massimo Camisasca, fondatore e già superiore della Fraternità dei missionari di San Carlo Borromeo, è vescovo di Reggio Emilia dallo scorso mese di dicembre do in mano candele accese. Se un prete è riconoscibile, in treno, in aereo, sull’autobus, ha molte probabilità che il suo vicino gli parli di Papa Francesco, gli esprima la sua gioia, la sua gratitudine, come se avesse contribuito ad eleggerlo. Di questo Papa si parla dovunque e il più delle volte con benevolenza, anzi con gratitudine. Eppure non è un uomo accondiscendente, un prete che gioca al ribasso per non scontentare. Invita continuamente alla conversione e allo stesso tempo ricorda che Dio è grazia, è perdono, gioia, pace e misericordia. Ho chiesto a tanta gente: chi è per te Papa Francesco? Che cosa ti colpisce in Nessuna presunzione La Chiesa ha bisogno di concentrarsi su ciò che le è essenziale. È il suo bisogno di sempre, avvertito con più stringenza in alcuni passaggi della sua storia. Il tempo che stiamo vivendo è uno di questi. L’essenziale è Gesù stesso, che va riscoperto in ogni epoca del mondo ed efficacemente ripresentato ai propri contemporanei. Lasciando perdere tutto ciò che ci divide da Lui perché è incrostazione dei secoli, dobbiamo riscoprire ciò che ci unisce a Lui, ciò che lo rende contemporaneo, affascinante: la sua parola, i suoi sacramenti, l’opera dello Spirito. La Chiesa può tornare a splendere. Ma chi può operare tale passaggio senza presunzione, senza farsi promotore di un’ideologia manichea che separa prima del tempo il grano dalla zizzania? Solo un santo. Per questo Papa Francesco parla tanto della santità, che è dono di Dio. Non accetta di ridurre il cristianesimo a un’esaltazione della volontà o a una sapienza umana. Ha condannato più volte il pelagianesimo e la gnosi. La sua opera di riforma – che continua quella iniziata da Benedetto XVI – punta tutto sulla conversione dei cuori. Si tratta di aiutare la Chiesa a brillare unicamente della luce di Cristo, come luna che trae la sua luce dal sole, e non per le luci mondane che sono schermo della vera luminosità. Soltanto così si può comprendere l’invito continuamente rivolto dal Papa alla Chiesa a superare le proprie chiusure, | | 24 luglio 2013 | 11 Un’epoca di grandi guide Nessun secolo della bimillenaria storia della Chiesa, come l’attuale e quello passato, ha visto una serie così sorprendente di Vescovi di Roma. Molte volte il popolo cristiano si è chiesto: dopo un Papa così grande, chi potrà succedergli ora? Eppure dopo Pio XII abbiamo avuto la sorpresa epocale di Papa Giovanni, dopo Paolo VI la personalità ricchissima e apostolica di Giovanni Paolo II. Dopo Wojtyla sembrava aprirsi una successione impossibile, eppure si è avuto il dono di un uomo umile, capace di leggere, come pochi, il tempo presente. E ora un’altra sorpresa epocale: Francesco. La Chiesa è morta, raccontava, sul più importante quotidiano italiano, l’articolo di un famoso regista cinematografico. Sembrava schiacciata, almeno nei suoi vertici ecclesiastici, dal peso del carrierismo, dalla ricerca del denaro. Così la presentavano i giornali, le televisioni, internet. È venuto Francesco e il cielo è improvvisamente cambiato. n 12 | 24 luglio 2013 | | IL CARTEGGIO INEDITO IN ITALIA La strana amicizia di Claudel e Péguy Entrambi anarchici e uomini d’ordine, cattolici e anticlericali, i due scrittori-lottatori erano allergici l’uno all’altro. Eppure sorprendentemente uniti N on sbaglia l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri a definirlo nella sua effervescente introduzione «uno straordinario testo». È il saggio su Paul Claudel e Charles Péguy, esaminati quasi al microscopio da Henri De Lubac, uno dei padri del Concilio Vaticano II, e Jean Bastaire, giornalista e discepolo del grande gesuita francese. Il primo morirà cardinale nel 1991. Il secondo, classe 1927, approdato al cristianesimo grazie a Péguy, ha consacrato la vita allo studio del poeta di Orléans, caduto in guerra il 5 settembre 1914, primo giorno della battaglia della Marna. Così, allo scoccare dei quarant’anni dell’edizione francese, arriva finalmente la prima traduzione italiana di un sag- | DI LUIGI AMICONE gio tanto penetrante quanto avvincente sulle relazioni, al tempo stesso di stima e di allergia reciproca, tra i due maggiori scrittori cristiani del secolo scorso. Edito dalla fondazione veneziana (Marcianum) voluta dal patriarca e ora arcivescovo di Milano Angelo Scola, il volume fu concepito in vista del centenario della nascita di Péguy e doveva essere una presentazione del carteggio custodito presso il Centro Charles Péguy di Orléans. Quattro lettere di Claudel, una di Péguy e quattro dediche di Péguy a Claudel. «Così verso la fine – annoterà De Lubac – ho avu- Foto: Contrasto a uscire, a raggiungere le periferie del mondo. Come Cristo ha lasciato il cielo, si è fatto uomo per raggiungere la nostra umanità malata, così noi, che diventiamo poveri imitando il Maestro, liberi da ogni impaccio mondano, andiamo verso i poveri del mondo che attendono il Signore. UNO DI NOI PRIMALINEA In queste foto, Paul Claudel (a sinistra) e Charles Péguy. In un libro edito da Marcianum Press è ora pubblicato anche in Italia il dialogo a distanza tra i due Foto: Contrasto PÉGUY, l’«istitutore sporco d’inchiostro fino alla punta del naso» come lo chiamava Claudel, ci ha avvertiti: «Dobbiamo guardarci dai parroci. Essi non hanno fede o ne hanno poca. La fede, quando c’è, si può trovare nei laici» to l’occasione di salutare due geni che ho abbinato (quasi di nascosto, perché intorno a me nessuno sembrava riconoscerne il valore) fin dall’inizio del mio noviziato nel 1913, in un taccuino che mi ha accompagnato per lungo tempo. La lettura di Claudel mi esaltava e mi esauriva; quella di Péguy, anche nelle sue polemiche più fumose, mi rilassava sempre». Problemi di salute impediranno a De Lubac di proseguire l’impresa oltre il centinaio di pagine introduttive. Così toccò a Bastaire annodare il filo dell’opera. Il risultato appare così convincente che l’unica domanda che sorge nel lettore è: com’è possibile che un gioiello del genere sia rimasto insabbiato per quasi mezzo secolo? Il peguyano Antonio Socci risponderebbe: «Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Péguy, le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunate dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere. Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio». È talmente giusta questa osservazione che, a fronte dell’irrilevanza culturale dell’editoria cattolica, la sorpresa di questo libro sembra della stessa luminosa natura dell’imprevedibilità di papa Francesco e dell’amicizia tra i due, Bergoglio e Ratzinger. Cosa dice la Lumen Fidei a proposito no solo idealmente». Era il 1930. L’ammidell’amore se non, essenzialmente, che nistratore dei Cahiers era morto da sedi«non esiste amore senza verità»? Sembra ci anni. E dire che lui, l’«istitutore sporl’enciclica fatta apposta per illuminare ciò co d’inchiostro fino alla punta del naso» che ha unito anche Péguy e Claudel, pur come lo chiamava Claudel, ci ha avvertinel contrasto di temperamenti così appa- ti: «Dobbiamo guardarci dai parroci. Essi rentemente opposti. «Mi spiace non aver- non hanno fede o ne hanno poca. La fede, lo conosciuto», scriverà all’indomani del- quando c’è, si può trovare nei laici». la morte dell’autore del trittico dei Misteri il poeta ambasciatore Claudel. «Aveva una Un’unica scalata da versanti diversi cattiva opinione di me. Credeva fossi un Sconvolgente Péguy che condivideva con franco-massone», aveva sospettato Péguy. Cartesio la ripugnanza per l’inazione e «Claudel è un grande artista, ma non è anche per la sola esitazione. «Qualunque intelligente». E in un certo sencosa è meglio che girare a vuoso il giudizio sembrava cogliere to. Muoversi, avanzare, arrivare IL LIBRO nel segno se è vero che l’autore da qualche parte. Arrivare altrodell’Annuncio a Maria una volta ve piuttosto che non arrivare… L’errore più grande ancora una confidò a un amico: «Ma in fin volta è errare». Comprensibidei conti, chi è questo Péguy? E le che l’ultima parola di Claucosa vuole? I suoi figli non sono del su Péguy sia stata la conferneppure battezzati ma li affida ma di una fraternità vera, ma alla Santa Vergine. Non riesco nella radicale diversità. «Siamo proprio a capire». ambedue cristiani giunti alla In realtà l’intelligenza di religione in maniera particolaClaudel, che era stato avvicinaCLAUDEL re… non per la via abituale. Ma to alla lettura di Péguy nien- E PÉGUY devo riconoscere che non abbiate meno che dal giovane André H. De Lubac mo scalato dallo stesso lato, Gide, aveva capito una cosa J. Bastaire eravamo su versanti differenessenziale dell’anarco-socialista Marcianum Press ti… avremmo potuto incontrare cattolico escluso da tutti i 26 euro ci soltanto in cima». sacramenti: «Definire Péguy un Contrasti apparenti, insisterà a spiegaconvertito… Sarebbe più giusto affermare che un giorno egli si accorse di esse- re il gesuita Pierre Ganne. «Claudel, che re diventato cristiano. È così che il Cher si definiva un “uomo d’ordine”, era proo l’Indro avvertono impercettibilmente di fondamente anarchico; Peguy, il “rivoluessere confluiti nella Loira e di avere ini- zionario”, portava in sé quasi l’ossessione ziato a dare impulso ai suoi flutti e al suo dell’“ordine organico” della “città Armocorso». Solo Péguy fu più esatto. «È per un niosa”». Il fatto curioso è che doveva arriapprofondimento costante del mio cuo- vare De Lubac a puntualizzare con dovizia re sul medesimo cammino e non è affatto di particolari il controverso quadro cultuper un’evoluzione né per un ripensamen- rale e la filologia degli opposti che conviveto che ho trovato la strada del cristianesi- vano nei Cahiers (i grandi della letteratura mo». Una volta sola Péguy chiese appun- francese sono passati di lì, ma per decenni tamento a Claudel. E quell’unica volta il loro editore restò un signor nessuno). E Claudel non rispose. «Onoro Péguy ma dimostrare che piuttosto che una “rivista” con distacco. Camminiamo su due binari letteraria «i Cahiers non cesseranno mai di completamente separati che si incontra- essere uno strumento di lotta». | | 24 luglio 2013 | 13 INTERNI | ANOMALIA ITALIANA DI FAUSTO BILOSLAVO Il sedicente Robin Hood Cosa c’è dietro il pasticcio della reddition kazaka della signora Shalabayeva e figlia? Un autentico ricercato internazionale che il nostro sport preferito ha tradotto in minaccia immediata al governo Letta L’ oligarca principe della bancarotta, che fa sparire milioni di dollari nei paradisi fiscali ma si spaccia per indomito dissidente. I giornali che ci cascano pur di trovare un altro scandalo che coinvolga il Cavaliere nero, responsabile di tutti i mali, o i suoi uomini più vicini, come il ministro dell’Interno e vicepremier Angelino Alfano. Il padre-padrone del Kazakistan bollato come un dittatore della peggior specie, che in realtà è un nostro partner strategico da vent’anni con i governi di tutti i colori. E nel mezzo Alma Shalabayeva e sua figlia Alua di 6 anni, che sono state deportate grazie a una vergognosa operazione di polizia. Il pasticcio kazako, che sta scuotendo il governo, scatta nella notte fra il 28 e 29 maggio a Casal Palocco, alle porte di Roma, con l’irruzione in una villa di un’agguerrita compagine di agenti. Nei giorni precedenti l’ambasciatore kaza- 14 | 24 luglio 2013 | | ko, Andrian Yelemessov, era salito al Viminale premendo in maniera inusuale per far sferrare il blitz. La polizia pensava di mettere le mani su Mukhtar Ablyazov, un discusso oligarca kazako che si presenta al mondo come il Robin Hood dissidente del suo paese, ma trova solo moglie e figlia. In fretta e furia le due vengono espulse, con tanto di avallo della magistratura per soggiorno clandestino, e deportate in Kazakistan a bordo – fatto ancora più inusuale – di un jet privato affittato dall’ambasciata. Oltre un mese dopo scoppia lo scandalo con un memoriale della signora Shalabayeva sul Financial Times. Il ministro Alfano giura di non essere mai stato informato, la titolare degli Esteri, Emma Bonino, che fin dal 2 giugno aveva sollevato il caso all’interno del governo, si chiama fuori e il presidente del Consiglio fa marcia indietro ritrattando il procedimento di espulsione. I vertici della polizia che hanno aval- Foto: Sintesi/Photoshot Mukhtar Ablyazov, classe 1963, è stato nominato ministro dell’Energia nel 1998. Nel 2001 fonda la prima formazione di opposizione al presidente Nursultan Nazarbayev. È accusato di aver sottratto miliardi di dollari con truffe e distrazioni di fondi in Kazakistan, Russia e Ucraina. Anche l’Alta corte inglese lo processa per i suoi maneggi finanziari lato l’operazione sono a rischio. Martedì 16 luglio cade la prima testa. Si dimette il prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Viminale. Venerdì 19 Sel e Movimento 5 stelle presentano una mozione di sfiducia contro il ministro Alfano. Insomma, un pandemonio col rischio di caduta del governo Letta. Ma vediamo com’è andata questa ennesima storiaccia italiana. In realtà il blitz a Casal Palocco non ha avuto successo perchè il pesce grosso, Ablyazov, non c’era, pur essendo stato segnalato a Roma da un’agenzia di investigazioni privata assoldata dall’ambasciata kazaka. I giornaloni lo dipingono come “il maggiore oppositore” del bieco regime kazako, ma non è certo un Solzenicyn della repubblica post sovietica che si batte per la democrazia e la libertà. Basterebbe scavare un po’ per capire che Ablyazov è un ricercato con più di un mandato di cattura internazionale pendenti sulla testa diffusi dall’Interpol. Come dice il diretto interessato, saranno anche frutto del complotto kazako per metterlo a tacere ma a scorrere le imputazioni risulta un po’ difficile identificare Ablyazov come un dissidente senza macchia e con il petto in fuori. I mandati di cattura sono ben tre. «Dal | | 24 luglio 2013 | 15 INTERNI ANOMALIA ITALIANA Romano Prodi insieme ai principali leader del centrosinistra europeo è membro dell’International Advisory Board del presidente Nazarbayev Ex delfino del presidente Classe 1963, laureato in fisica, nel 1998 viene nominato ministro dell’Energia, dell’industria e del commercio proprio dal suo attuale acerrimo nemico, Nursultan Nazarbayev, l’ex comunista che guida il Kazakistan fin dal crollo dell’Urss. Il padrepadrone del paese lo considera uno dei giovani delfini e lo fa crescere in termini di potere e di soldi. Nel 2001 Ablyazov si monta la testa e “tradisce” il padrino fondando la prima formazione di opposizione. L’anno dopo finisce in galera con una condanna a sei anni, ma in pochi mesi viene rilasciato grazie alle pressioni internazionali. Ablyazov accetta di tornare a fare business lasciando perdere la politica. Il 16 | 24 luglio 2013 | | L’Italia è il terzo partner commerciale del paese, dopo Cina e Russia. Le nostre ditte sono in prima fila negli appalti. E qualcuno dell’Idv chiede che ai “tiranni” come Nazarbayev sia proibita la Costa Smeralda “dissidente” un po’ furbetto mette la mani sulla Bta Bank, uno dei più importanti istituti kazaki, ma continua a cullare il sogno di spodestare Nazarbayev. Nel 2008 fa sfracelli in Ucraina, investendo nella compagnia farmaceutica Max-Well, che ben presto rischia la bancarotta. Si sospetta che possano essere commercializzati con il marchio Max-Well alcuni farmaci che in realtà sono dannosi per la salute. Il risultato è che tutti i soldi della compagnia vanno a finire nella holding Eurasia di Ablyazov. Noccioline in confronto alle accuse kazake di aver sottratto 6 miliardi di dollari alla Bta Bank. Anche Mosca punta il dito contro l’oligarca, imputandogli di aver fregato alla Bank of Russia 24 miliardi di rubli. Fra un maneggio e l’altro, Ablyazov trova il tempo di finanziare i media kazaki che si oppongono a Nazarbayev e sfruttare qualunque debolezza dell’ex padrino. Da Astana, capitale del Kazakistan, reagiscono esautorando il dissidente furbetto dalla Bta Bank. Dal 2009 Ablyazov è costretto a rifugiarsi a Londra dove vive nel lusso. Il “maggiore oppositore” del Kazakistan compra una casa con nove stanze da letto, spa, parco, laghetto e campo di polo nella capitale inglese, nell’area chiamata dei “miliardari”. In gran parte sono oligarchi russi come il discusso Boris Berezovsky. La sua ex banca gli fa causa per appropriazione indebita di 6 miliardi di dollari, ma Ablyazov si difende sostenendo che è un’invenzione, una rappresaglia del gover- no kazako. Il dissidente furbetto riesce a convincere gli inglesi che nel 2011 gli concedono asilo politico. Londra è specialista nel garantirlo ai personaggi più dubbi, che poi si rivelano serpi in seno come nel caso di alcuni terroristi islamici. La fuga dall’Inghilterra In parallelo l’Alta corte inglese processa Ablyazov per i suoi maneggi finanziari. Secondo i giudici l’imputato ha dimostrato «una sprezzante indifferenza» nei confronti della corte. Per aver mentito gli affibbiano 22 mesi di carcere, ma lui fugge imbarcandosi su un treno diretto a Parigi. Il 6 novembre 2012, riferendosi al dissidente, il quotidiano londinese Independent scrive: «Cinico e subdolo boss bancario kazako rischia il congelamento dei suoi beni per 3 miliardi di sterline». Lo scorso maggio è iniziata la vendita all’asta di alcune proprietà di Ablyazov, come la villa da 17 milioni di sterline ad Hampstead, nel nord di Londra, e i 100 acri (18 milioni) di Oakland Park, vicino a Windsor. Gli inglesi gli avevano confiscato il passaporto, ma il latitante Ablyazov, ricercato dall’Interpol, viaggia prima in Svizzera, poi nell’Est Europa e probabilmente a Roma con documenti falsi. In Kirghizistan, altra repubblica ex sovietica, è riuscito a comprarsi almeno due passaporti. «Ablyazov si è rivenduto in Occidente come un campione della democrazia – dichiara Erlan Idrisov, ministro degli Esteri kazako –, ma è solo un cri- Foto: Ansa Kazakistan per appropriazione indebita avendo ottenuto fraudolentemente crediti di circa 52 milioni in valuta kazaka nella sua qualità di amministratore della Banka Bta», si legge nell’elenco del Viminale. Il secondo ordine di arresto internazionale del 4 gennaio 2011 arriva «dall’Ucraina per associazione a delinquere finalizzata al falso, commesso quale membro del Consiglio di amministrazione della menzionata Bta Bank». Il terzo mandato diffuso dall’Interpol il 28 febbraio 2013 proviene da Mosca «per frode, abuso di fiducia, riciclaggio e falsità documentale, avendo acquisito illegalmente ingenti crediti dalla Bta Bank, operante in Russia, trasferiti poi in paesi offshore». Una delle operazioni del povero “dissidente” riguarda i 70 milioni di dollari trasferiti prima nella società offshore Alphasea Investments Limited delle isole Vergini britanniche e poi a Cipro nella compagnia Kimoce Limited. Ma come vedremo Ablyazov è accusato di aver sottratto 6 miliardi di dollari con mezze truffe e distrazioni di fondi dal Kazakistan alla Russia e fino all’Ucraina. Tutto per la causa? Qualche dubbio dovrebbe sorgere scorrendo la parabola dell’oligarca in esilio che si è inventato dissidente per necessità. NON PARLIAMO DI COMPLOTTI L’harakiri di un paese divenuto appetibile solo per le speculazioni Foto: Ansa Ci mancava solo lo scandalo kazako. I casini che si accumulano sull’Italia adesso cominciano a essere un po’ troppi per non sospettare: A) siamo un paese di Tafazzi. B) qualcuno lassù ci vuole male. Volevi dire? Volevo dire: metti in fila che, Berlusconi riluttante perché contro i nostri interessi (Eni) in Libia, ci hanno obbligato a fare la guerra a Gheddafi (primavera 2011). Dopo di che, tra agosto e dicembre, sempre del 2011, ci hanno bombardato per sei mesi la Borsa italiana fino a ottenere (con probabile manina di frau Angela Merkel) la deposizione di Berlusconi e la nomina di Monti. Il quale fa “i compiti a casa” e lascia mano libera a Berlino mentre i nostri asset strategici, Eni e Finmeccanica, vengono attaccati dalle procure. Tra la primavera 2012 e quella del 2013, succede di tutto: scienziati condannati per non aver previsto terremoti, Lombardia di Formigoni triturata benché unica regione italiana non tecnicamente fallita, magistrati di Taranto che bloccano la più grande acciaieria d’Europa. E marea nera di scandali Belsito che aprono lo sfondamento del parlamento alle truppe di Grillo. Arrendetevi tutti! Intanto, zitti zitti, zelanti pubblici ministeri chiudono il business Finmeccanica in India e Brasile, mentre si ispessisce il dossier Eni (inchieste in Kazakistan e in Nigeria). Condannata la Saipem-Eni in Nigeria, notizia del giorno, naufragano le relazioni con il Kazakistan, paese cruciale per la nostra impresa petrolifera. Vabbè, del Cavaliere sapete tutto. In cima agli agit-prop che scommettono sulla nostra autodemolizione ci sono osservatori internazionali molto chic e molto liberal, molto in e molto obamiani. Seguono con un certo senso euforico e simpatetico l’harakiri di un paese divenuto appetibile solo per le speculazioni. Investimenti dall’estero? Zero. La Fiat? Andrà all’estero grazie alla grazia delle testate borghesi che riversano doni alla Fiom. Se ne dispiacciono perfino i giornalisti stranieri a Roma, dell’agonia italiana. Mentre da noi, in Italia, c’è l’Editoriale RepubblicaEspresso che è tutto un godere a rewind, nel senso che riavvolge sempre lo stesso nastro. E per ogni scandalo che scoppia? C’è uno straniero che ingrassa (vedi incetta di acquisizioni di marchi italiani). Ora, siccome anche noi siamo giornalisti a cui piace piacere, come è di retorica scrivere, anche noi scriveremo che “i complotti non esistono”. Mai. Però, cos’è questo remare indomito e costante a farci a pezzi? Sta già passando lo shopping? Ci portano via tutto a spezzatino? Quanti marchi e quali asset ci sono rimasti? Quando viene giù tutto? Ci mangeremo a vicenda? Godrà come un riccio, Grillo? Vien da dire: povero paese. Ricco Carlo De Benedetti. E di necessità virtù, forza governo Letta-Berlusconi. minale che si è appropriato di 6 miliardi di dollari e li ha trasferiti illegalmente all’estero». Forse è una visione troppo semplicistica, ma risulta comunque stupefacente l’icona della dissidenza cucita addosso all’oligarca dai giornaloni italiani. Non solo: se Ablyazov è un eroe incompreso, Nazarbayev viene dipinto come un volgare dittatore. Il presidente kazako non sarà uno stinco di santo e tiene in mano il paese da padre-padrone, ma paragonarlo a Stalin appare esagerato se teniamo conto che l’Italia è partner strategica del Kazakistan da vent’anni. In realtà gli obiettivi del pasticcio kazako sono ben altri, come spiega il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, in un illuminate editoriale che chiede le dimissioni di Alfano. Secondo lui, Nazarbayev è «un satrapo che dall’età sovietica, reprimendo il dissenso, guida quel paese e le ricchezze oligarchiche del gas, che gli garantiscono amicizie e complicità interessate da parte dei più spregiudicati leader occidentali, con il putiniano Berlusconi naturalmente in prima fila. Basterebbero que- sta sequenza e questo scenario per imbarazzare qualsiasi governo democratico e arrivare subito alla denuncia di una chiara responsabilità per quanto è avvenuto, con le inevitabili conseguenze». I rapporti commerciali con l’Italia Le stesse “ricchezze oligarchiche del gas” hanno garantito ad Ablyazov l’ascesa e il fiume di soldi che ha messo in saccoccia per fare anche l’oppositore. Non solo: i giornaloni, nelle ricostruzioni dei rapporti con Nazarbayev, puntano sempre il dito contro Berlusconi, per i suoi legami indubbiamente stretti. Si scorda spesso, però, che il primo e unico capo di Stato italiano a far visita al “dittatore” fu Oscar Luigi Scalfaro nel 1997, seguito a ruota dall’allora presidente dell’Ulivo, Romano Prodi e dal ministro degli Esteri Lamberto Dini. Prodi, poi, è ritornato ad Astana anche da premier. Berlusconi ha siglato nel 2009 il partenariato strategico con il Kazakistan e dopo di lui anche Monti è volato ad Astana cambiando le tappe del viaggio in Asia per incontrare il presidente kazako. Niente di nuovo sotto il sole tenendo conto che sul sito dell’ambasciata italiana in Kazakistan si legge: le relazioni fra i due paesi «sono eccellenti, basate su una comunanza di vedute sui principali temi di politica internazionale e favorite da un’intensa collaborazione economica bilaterale». Tradotto in soldoni, significa che dal prossimo autunno l’Eni parteciperà all’estrazione di petrolio dal mega giacimento di Kashagan, il più grande scoperto negli ultimi trent’anni. Nel 2012 l’interscambio commerciale con il Kazakistan ha raggiunto i 5,5 miliardi di euro (+28 per cento sul 2011). L’Italia è il terzo partner commerciale del paese, dopo Cina e Russia. Le nostre ditte, dal gruppo Salini-Todini all’Italcementi, sono in prima fila negli appalti. E qualcuno dell’Idv, in questi tempi di crisi, chiede che ai “tiranni” come Nazarbayev sia proibita la Costa Smeralda. n | | 24 luglio 2013 | 17 SOLO PER I VOSTRI OCCHI di Lodovico Festa A vevamo appena finito di scrivere che biTRA ECCESSI sognava difendere con unghie e denti le pur fragili prospettive di pacificazione dell’Italia aperte dopo il voto di febbraio, ed ecco che il circuito tra ambienti giudiziari milanesi e loro dependance mediatiche, unito alle preoccupazioni istituzionalcorporative di parte rilevante della magistratura nazionale, sembrano volere far saltare tutto. I rischi di radicalizzazione dello scontro sono dunque ridiventati consistenti. Però prima di iniziare a fasciarsi la testa è bene riflettere sul quadro generale dietro ai più recenti avvenimenti nazionali. Gli equilibri internazionali sono tutto tranne che stabili: anche dalla Cina e dal Brasile arrivano segnali poco rassicuranti. La ripresa d’iniziativa di Tokyo senza chiedere troppi permessi alla Fed mostra, insieme agli ancora più impressionanti disastri in Medio Oriente, la difficoltà di leadership americana. In questo senso si manifesta l’ultima scelta di Washington (spingere per un mercato unico transatlantico) che è assai condivisibile ed è collegata a ragionevoil rilancio dellA li progetti di costruire imprese che sostengano queNOSTRA economia sto nuovo “mercato”. Ma è dipendE dalla FORZA accompagnata anche dal- NEL trattare a livello la tentazione di perseguire europeo e globale e quest’ultimo obiettivo deQUINDI DAL LIVELLO DI stabilizzando i poteri italiasovranità nazionale. ni per avere condizioni più ANCHE TRA I PIÙ favorevoli di accesso. Il consigliere econoSPROVVEDUTI ORMAI È mico di Matteo Renzi che PENETRATA QUEST’IDEA chiede di vendere l’Eni, una strana arietta avvertibile nella battaglia sul Corriere della Sera, alcune mosse su una Telecom ben presidiata da una personalità strettamente legata ad ambienti americani, certe operazioni su Unicredit danno l’idea di movimenti economici protetti da manovre politiche tese a semplificare la governance italiana nel senso che Oltreatlantico si comanda e qui si ubbidisce. È interessante notare come in parte queste tendenze siano contrastate non solo da residui di forze organicamente nazionali (ben massacrate in questi anni anche grazie a un certa indifferenza berlusconiana) ma anche da ambienti saldamente legati agli Stati Uniti. Da Sergio Marchionne a Mario Draghi, da Gianni De Gennaro ai vari amichetti degli americani cresciuti negli anni Novanta tra gli ex Pci, alcune spinte alla “semplificazione” così catastrofiche da Istanbul a Damasco al Cairo non paiono per nulla convincenti, così si cercano sponde nell’amministrazione imperiale – a partire da Ben Bernanke – per resistere a improvvisazioni radicaleggianti foriere di guasti imprevedibili. È questo contesto che bisogna avere presente per capire quel che potrà succedere. Certo tenendo conto del cuore nero del po- GIUSTIZIALISTI E MANOVRE SOSPETTE La voglia di pacificazione c’è ancora. Nonostante il cuore nero del potere tere immobile italiano, per il quale appena si parla di un Corriere meno ingessato scattano gli attacchi alla Fiat, ora da parte della Corte costituzionale, ora da un noto tribunale che improvvisamente si accorge del “tesoretto” degli Agnelli, ora da parte di autorità più o meno istituzionali. Il problema però per il nostro “potere immobile” è che le guerre non si ripetono mai nello stesso modo: lo schema del ’92 del mettersi al servizio delle influenze straniere per difendere la propria centralità ha difficoltà ad attuarsi. Anche tra i più sprovveduti è penetrata l’idea che il rilancio dell’economia nazionale dipenda dalla capacità di trattare a livello europeo e globale e che ciò sia possibile a seconda dei livelli di sovranità nazionale garantita dalla sovranità popolare. Il risveglio sociale e il pensiero forte che manca Alcune esagerazioni giustizialiste stanno poi convincendo la maggioranza della società (pur colpita da certe esibizioni berlusconiane) che il cuore nero del potere immobile poggi sulla politicizzazione di aree della magistratura collegata al corporativismo pigro della categoria. Da qui importanti prese di posizione di esponenti della Cisl e del Pd, e il crescente convincimento che l’Italia abbia bisogno di pacificazione per ripartire. Insomma le basi per far procedere la pacificazione, sia pure intaccate dai radicalismi giustizialisti, in parte reggono ancora e su queste bisogna insistere. Avendo consapevolezza che se per caso si arriverà a nuove rotture e così anche a nuovi scontri elettorali, lo schieramento che potrà vincere sarà quello che sventolerà la bandiera della pacificazione come unica base per recuperare una oggi indispensabile (benché limitata da Unione Europea e regole globali) sovranità nazionale. In questa ottica il problema non sarà tanto il classico “si vis pacem para bellum”, ma quello dell’essere consapevoli che se si vorrà vincere un eventuale poco auspicabile “bellum”, ci si potrà riuscire solo se si sarà in grado di dare da subito un’indicazione nel senso di una “pacem” futura. Il che non è possibile – lo ricordiamo ancora – senza un pensiero forte che spieghi come costruire un rapporto positivo ma non allo sbando con gli americani, quale Europa si voglia, quale riforma dello Stato e in particolare di una giustizia che non sia più il cuore nero del nostro potere immobile ma anche permetta di superare le ampie aree di illegalità che caratterizzano l’Italia. | | 24 luglio 2013 | 19 ESTERI E DOPO IL GOLPE? L’antipolitica dei Fratelli Musulmani Senza di loro non si governa, con loro neanche. L’Egitto congela la sua nuova democrazia e resta appeso alle pretese degli islamisti di Morsi. Che al potere «hanno sbagliato tutto» ma possono ancora contare su milioni di elettori. Sempre più fanatizzati | DI LEONE GROTTI A un anno dalle prime elezioni libere dopo l’era Mubarak, il presidente egiziano Morsi è stato deposto dall’esercito in seguito alle oceaniche proteste di piazza. I Fratelli Musulmani ora rifiutano ogni ipotesi di governo di unità ESTERI E DOPO IL GOLPE? «I Fratelli Musulmani sono il principale problema dell’Egitto, perché non si può raggiungere nessun obiettivo senza di loro ed è impossibile ottenere risultati insieme a loro». Mentre nel paese africano da 80 milioni di abitanti si consuma la crisi più grave dal 25 gennaio 2011, giorno in cui è cominciata la cosiddetta “primavera” che ha portato alle dimissioni del rais Hosni Mubarak, «l’Egitto avrebbe bisogno di un governo di unità nazionale ma nel breve periodo la riappacificazione con la Fratellanza è semplicemente impossibile». Non è dettata dal pessimismo l’analisi fatta a Tempi da Tewfik Aclimandos, ricercatore egiziano al Centre français d’Études et de Documentation Economiques, Juridiques et Sociales del Cairo dal 1984 al 2009 e oggi associato alla cattedra di Storia contemporanea del mondo arabo al Collège de France. Sono le parole stesse dei militanti islamisti a confermare questo scenario fosco. In occasione del primo anniversario di governo del presidente Mohamed Morsi, eletto con il partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, milioni di persone organizzate dal movimento Tamarod (“ribelli”) sono scese in piazza in tutte le principali città egiziane per chiedere le sue dimissioni ed elezioni anticipate, forti di una petizione firmata da oltre 20 milioni di egiziani. L’esercito ha deciso di appoggiare la protesta, lanciando un ultimatum a Morsi per venire incontro alle richieste degli egiziani, ma una volta certificato il fallimento delle trattative, dopo aver portato in piazza i carri armati, il 3 luglio il capo delle forze armate e ministro della Difesa Abdel Fattah Al-Sisi ha annunciato in diretta televisiva che la Costituzione era sospesa e Morsi non era più il presidente del paese, sostituito ad interim dal giudice della Corte costituzionale Adly Mansour e dal leader dell’opposizione Mohammed ElBaradei come vicepresidente. La reazione della Fratellanza non si è fatta attendere e lo stato d’animo delle migliaia di sostenitori degli islamisti scesi in piazza è ben rappresentato dalle rivendicazioni di un uomo barbuto intervistato al Cairo dalla tv araba Eretz Zen: «Voglio dire ad Al-Sisi: stai attento, sappi che hai creato un nuovo movimento di talebani e di al-Qaeda che distruggeranno te e l’Egitto. Hai appena formato dei kamikaze pronti al suicidio e al martirio: se qui una persona su dieci un domani si farà esplodere tra la gente, la colpa è tua. Fai un pas- 22 | 24 luglio 2013 | | so indietro e riabilita Morsi o questa gente farà esplodere l’Egitto». Il rischio di una guerra civile è alto, soprattutto dopo che l’esercito ha represso nel sangue una protesta dei Fratelli Musulmani davanti al quartier generale delle Guardie egiziane, lasciando sul terreno 51 vittime. «Le cose potrebbero peggiorare», afferma Aclimandos. «La Fratellanza e i suoi alleati hanno la volontà e i mezzi per creare problemi in molte aree del paese, inclusi Sinai ed Egitto superiore. Hanno le armi per fare la guerra ma gli manca ancora una massa critica di egiziani che li appoggi, ecco perché penso che a breve non scoppierà un conflitto». La maggior parte degli egiziani, infatti, «pensa che tutto quello che vuole e fa la Fratellanza sia sbagliato» e la causa di una posizione così schierata va ricercata nel modo in cui gli islamisti hanno gestito il potere in questo primo anno di governo. Duri, puri e indigesti Oltre ad avere eletto il presidente con il 51 per cento dei voti il 24 giugno 2012, il partito Libertà e Giustizia ha ottenuto la maggioranza relativa alla Camera bassa (235 seggi su 498) e nel Consiglio della Shura (105 seggi su 180). Tra il 2011 e il 2012, dunque, la Fratellanza ha conquistato tutti gli organi decisionali, ottenendo però magri risultati: «In quasi tutte le cose che contano, come voto meritano zero», sentenzia Aclimandos. «Direi che hanno semplicemente sbagliato tutto. Hanno gestito malissimo il problema della Costituzione», approvando a colpi di maggioranza e senza coinvolgere l’opposizione un testo che i cristiani non hanno esitato a definire «fascista e islamista». Inoltre «hanno attaccato i media e la giustizia», raggiungendo il poco invidiabile record di 24 denunce nei primi 200 giorni di governo per “insulti al presidente”. In trent’anni di dittatura di Mubarak c’erano stati solo quattro casi e 23 in 112 anni, cioè da quando la legge contro “chi insulta il re” è stata promulgata nel 1897. «La Fratellanza – prosegue lo storico egiziano – ha anche usato milizie private per scoraggiare l’opposizione», spesso minacciando di morte i suoi esponenti in quanto avversari politici, «e ha distrutto quel poco di Sta- «All’Egitto servirebbe un governo di unità nazionale ma per ora la riappacificazione coi Fratelli Musulmani è impossibile», dice a Tempi lo studioso egiziano Tewfik Aclimandos, associato alla cattedra di Storia contemporanea del mondo arabo al Collège de France to di diritto che rimaneva». Tutto questo facendo leva in modo insistente sull’ideologia islamica. «La gente è stufa delle tattiche della Fratellanza, quel loro battere sul tasto che “noi siamo l’islam” e i nostri avversari “sono nemici dell’islam”. Gli egiziani sono un popolo molto religioso ma non ne possono più». Il vero test dell’islam politico era risollevare l’economia e creare occupazione ma oggi secondo Aclimandos «tutti gli egiziani sono consapevoli che lo stato dell’economia è disastroso». Il debito pub- «La Fratellanza e i suoi alleati hanno volontà e mezzi per creare problemi in molte aree del paese, inclusi Sinai ed Egitto superiore. Hanno le armi per fare la guerra ma manca ancora una massa critica di egiziani che li APPOGGI» blico è passato in poco più di un anno da 33 a 45 miliardi di dollari: se per la fine del 2013 non verranno trovati altri 20 miliardi, oltre a quelli già offerti dagli arabi del Golfo, l’Egitto fallirà. Le riserve valutarie sono appena salite sopra il livello di guardia, raggiungendo i 16 miliardi di dollari, ma fino a quando Mubarak era al comando ammontavano a 36 miliardi. La disoccupazione, ufficialmente, si attesta al 13,2 per cento della popolazione, quella giovanile al 25, ma gli analisti pensano che i numeri reali siano superiori. Foto: AP/LaPresse; nelle pagine precedenti Getty Images Il gradimento di Morsi dall’inizio del mandato 100 80 76 77 79 57 60 40 20 0 Gradisce Non gradisce 78 34 9 13 13 63 28 15 53 33 49 47 47 43 45 46 53 42 61 32 Fonte: www.baseera.com.eg i i rni i rni 50 gio 60 giorn 80 giorn 100 gio 5 mes 6 mesi 7 mesi 8 mesi 9 mesi 10 mesi 11 mesi 12 mesi Quei sussidi intoccabili Infine, proprio per timore che gli egiziani scendessero in piazza, i Fratelli Musulmani si sono rifiutati di mettere mano ai sussidi, vero tarlo dell’economia egiziana: quelli per energia e carburante drenano più dell’8 per cento del Pil. Il timore di perdere consenso ha fatto saltare l’accordo con il Fondo monetario internazionale, pronto a prestare 4,8 miliardi di dollari al tasso di interesse dell’1,1 per cento a patto che il governo tagliasse i 14,5 miliardi di dollari spesi ogni anno in sussidi per la benzina e anche i 4 miliardi di sovvenzioni per il pane. «Il Fmi e la comunità internazionale vogliono aiutare l’Egitto, ma sono frustrati perché il Cairo non vuole fare niente per aiutare se stesso», ha detto Angus Blair, capo del Signet Institute, think-tank economico per il Medio Oriente e il Nord Africa, dopo l’ennesimo fallimento delle trattative tra Egitto e Fmi. I fallimenti in campo economico sono aggravati dal sistematico tentativo della Fratellanza di occupare ogni posto di potere di rilievo, contro ogni buon senso. Il caso più eclatante è stata la nomina nella seconda metà di giugno di Abdel Mohamed al-Khayat a governatore di Luxor, la località turistica più importante dell’Egitto, vero traino dell’economia del paese. La nomina ha scatenato le proteste dei cittadini, perché sedici anni fa al-Khayat era | | 24 luglio 2013 | 23 ESTERI E DOPO IL GOLPE? membro di un gruppo estremista islamico (al-Gamaa al-Islamiya) che ha ucciso 58 turisti nella Valle dei re. Le associazioni dei commercianti hanno definito Al-Khayat «l’ultimo chiodo che sigilla la bara del turismo a Luxor», e dopo una settimana di manifestazioni sono riuscite farlo dimettere. Le code infinite ai distributori di carburante e i continui blackout dell’ultimo mese hanno definitivamente scatenato il malcontento tra la popolazione, anche se secondo il New York Times questi ultimi due fattori potrebbero essere stati creati ad arte proprio per boicottare la Fratellanza e provocare una rivolta. apertura al governo ad interim guidato da Hazem el-Beblawi, che ha promesso nuove elezioni parlamentari entro sei mesi e modifiche alla Costituzione, così come del resto si erano dimostrati indisponibili i manifestanti del movimento Tamarod. «Nessun presidente durerà» «L’opposizione non si fida più dei Fratelli Musulmani, ecco perché ha rifiutato le offerte fatte in extremis da Morsi prima di essere deposto dall’esercito», spiega a Tempi Kristen Chick, inviata al Cairo del Christian Science Monitor. «Glielo hanno chiesto tante volte di governare assieme CONTRO I Cristiani che hanno appoggiato il COLPO DI STATO MILITARE GIURANO VENDETTA: «State per conto vostro, vi daremo fuoco» Complotto o non complotto, per Aclimandos «la gente era stanca dei Fratelli Musulmani, non ne poteva più». Sentimento certificato da un sondaggio condotto da Baseera, secondo cui solo il 32 per cento degli egiziani si riteneva soddisfatto dell’operato di Morsi dopo dodici mesi di governo. Un risultato impietoso se si considera che dopo i primi tre mesi il 78 per cento degli egiziani era contento di Morsi e dopo undici mesi ben il 42 per cento. In appena un anno, secondo il rapporto Democracy Index dell’International Development Centre, ci sono state nel paese ben 9.427 proteste contro il governo. Nonostante errori e fallimenti, i Fratelli Musulmani godono ancora dell’appoggio di larga parte della popolazione e perché il colpo di Stato dei militari porti i frutti sperati dai giovani di piazza Tahrir, servirebbe un governo di unità nazionale. Eventualità che la Fratellanza ha già respinto con una minaccia: «Continueremo a combattere, anche per mesi, finché Morsi non tornerà al suo posto». Nessuna 24 | 24 luglio 2013 | | e se Morsi glielo avesse proposto sei mesi fa sicuramente avrebbero accettato. Ma ormai è tardi, sono entrati in gioco i militari, la gente è stanca. Le cose sono andate troppo oltre per un governo di coalizione». Come un “governo tecnico” possa guidare l’Egitto senza l’appoggio degli islamisti è difficile immaginarlo, anche perché, come spiega a Tempi il membro della Fratellanza Hassan Abdel-Fattah, le dimissioni di Morsi costituiscono un pericoloso “precedente”: «Non si possono ignorare milioni di egiziani scesi in piazza ma neanche i milioni che sostengono ancora Morsi. Siamo tutti sulla stessa barca e se Morsi viene sconfitto dalla piazza e dall’esercito, e non dalle urne, saremo tutti vinti, in futuro un presidente non durerà più di sei mesi». Ecco perché chiama a «un compromesso ragionevole». Ma la maggior parte dei Fratelli Musulmani non è disposta al «compromesso» e alla «riappacificazione», come confermano le parole consegnate sempre alla tv araba Eretz Zen da una donna completamen- te velata infuriata con i cristiani del paese, che hanno appoggiato il colpo di Stato militare: «Io sono un’egiziana religiosa musulmana e voglio dire solo una cosa ai cristiani: “Statevene per conto vostro: vi daremo fuoco, vi daremo fuoco”». Dalle parole ai fatti il passo è breve: in una settimana sono stati uccisi cinque cristiani, tra cui un sacerdote. La parrocchia copto-cattolica di San Giorgio, nel villaggio di Delgia, a 60 chilometri da Minya, è stata assaltata da gruppi di fanatici, saccheggiata e data alle fiamme. In tutti i governatorati dell’Egitto i cristiani sono stati attaccati, le loro case e i loro negozi bruciati. «Sono convinti che i cristiani abbiano giocato un ruolo importante nelle proteste e nell’intervento armato che ha portato al rovesciamento di Morsi. Questa è la loro vendetta», spiega al New York Times Ishaq Ibrahim, che ha documentato queste violenze per l’Egyptian Iniziative for Personal Rights. La persecuzione nelle prossime settimane sembra destinata a peggiorare, stando alle dichiarazioni di odio della Fratellanza, anche se il professor Aclimandos lascia aperta una speranza: «Sicuramente la deposizione di Morsi mette a rischio la vita dei cristiani, tuttavia bisogna tenere conto che la maggior parte degli egiziani è stanca dei discorsi incendiari della Fratellanza». Ma se gli islamisti non abbandonano la politica del muro contro muro e gli egiziani invocano l’intervento dell’esercito ogni volta che un governo li delude, come si può prospettare un futuro di stabilità per l’Egitto? «Di sicuro da oggi qualunque governo farà fatica a occuparsi di economia», prevede Aclimandos. «Potrebbero esserci forti reazioni di piazza a ogni tentativo di tagliare i sussidi, ma potremmo anche rimanere stupiti. Il nuovo governo dovrà cercare di convincere le monarchie del Golfo a prestare soldi all’Egitto e trovare un modo per tenere insieme laici e salafiti, in attesa che i Fratelli cambino strategia. Non sarà facile». n SOCIETÀ I FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA Molto incinta niente provetta Si chiama naprotecnologia. È più efficace della procreazione assistita, è meno invasiva e farebbe risparmiare al sistema sanitario una montagna di soldi. Ma è un metodo troppo naturale e “cattolicamente corretto” per non dare fastidio alla lobby miliardaria della fecondazione artificiale | 26 DI RODOLFO CASADEI | 24 luglio 2013 | | | | 24 luglio 2013 | 27 SOCIETÀ FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA Raffronto costi Napro-Fa Raffronto tassi di successo Napro-Fa H percorso di 2 anni insegnante metodi naturali ciclo di Fa (in genere se ne effettuano 6) 800 1.000 medicamenti per ciclo Napro Occlusione delle tube 800 Fa Donne sotto i 35 anni consultazioni mediche 1.500 medicamenti congelamento e mantenimento degli embrioni 1.200 trasferimento embrione TOTALE 38,4 % 35,0% Fa Donne tra i 35 e i 37 anni 25,0% Fa Donne tra i 38 e i 40 anni 20,0% Fa Donne oltre i 40 anni Creighton, che descrivono lo stato dei biomarcatori della fecondità durante tutto il ciclo mestruale della donna, e che sono basate principalmente sull’osservazione dello stato del muco cervicale da parte della donna stessa. Il pilastro che regge tutta la naprotecnologia è la capacità di osservazione di sé della donna: ad essa viene formata nella parte iniziale del percorso. Le Più che una tecnologia è un insieme di tecniche di Diagnosi e DI interventi medici che hanno per obiettivo individuaRE la causa dell’infertilità e rimUOVERLA ti farmacologici e/o chirurgici che si rendono necessari per permettere alla coppia di arrivare in modo naturale al concepimento». Il nome deriva dall’inglese “natural procreation technology”, tecnologia della procreazione naturale. Più che una tecnologia è un insieme di tecniche diagnostiche e interventi medici che hanno per obiettivo l’individuazione della causa dell’infertilità e la sua puntuale rimozione. Si parte con le tabelle del modello tabelle correttamente compilate, con lo stato del muco cervicale giorno per giorno e altri dati, sono la base di tutti i passi successivi. Da esse è già possibile diagnosticare carenze ormonali, insufficienze luteali e altri problemi trattabili con la somministrazione degli ormoni mancanti. Se l’infertilità persiste, si prosegue con l’esame dettagliato del livello degli ormoni nel sangue, l’ecografia dell’ovulazione e la laparoscopia avanzata. Possono allora rendersi necessari interventi di microchi- 100 90 80 Napro: tecnologia procreazione naturale Fa: fecondazione assistita 70 10,0% 60 ratorio». «La naprotecnologia è la vera fecondazione assistita», ironizza Raffaella Pingitore, la ginecologa chirurga più esperta nel metodo dell’area di lingua italiana, attiva presso la clinica Moncucco di Lugano. «Nel senso che assistiamo il concepimento dall’inizio alla fine, cioè dalla fase di individuazione dei marcatori di fecondità nella donna fino agli interven- 56,7% 40 2.600 30.500 Napro Endometriosi 50 TOTALE 62,5% 30 | 3.750 20 | 24 luglio 2013 | 300 10 28 Napro Sindrome dell’ovaio policistico 0 che è il doppio di quello della fecondazione assistita, per percentuali di nascite da coppie che seguono i trattamenti, e costa undici volte di meno, ma è praticata da pochi medici in tutto il mondo, boicottata dalla lobby della provetta e ignorata dai sistemi sanitari nazionali. La naprotecnologia è nata negli Stati Uniti e da qualche anno è approdata in Europa, ma continua a scontare il pregiudizio che la considera un approccio confessionale alla medicina, condizionato dai dogmi religiosi. Niente di più lontano dalla realtà. Se è vero che le pratiche della naprotecnologia si conformano rigorosamente alla bioetica cattolica, è altrettanto dimostrato che il suo approccio al problema della sterilità è scientificamente e clinicamente più rigoroso di quello praticato nell’ambito della fecondazione assistita. E per questo alla fine è anche più efficace: lo dicono le statistiche. «La differenza fra naprotecnologia e fecondazione in vitro consiste nel fatto che nella prima la questione fondamentale è la diagnosi delle cause dell’infertilità, si cerca una spiegazione medica del perché una coppia non riesce a procreare, quindi si cerca di eliminare il problema e “aggiustare” il meccanismo naturale, ridandogli la sua armonia», spiega Phill Boyle, il ginecologo irlandese che tiene i corsi di formazione in naprotecnologia per medici di tutta Europa in una clinica di Galway. «Nel procedimento in vitro, invece, la diagnosi delle cause non ha importanza, i medici vogliono semplicemente “aggirare l’ostacolo”, eseguendo una fecondazione artificiale. In naprotecnologia, la cura risolve il problema della coppia, che poi può avere anche altri figli. Con il metodo in vitro, i coniugi comunque non guariscono e continuano ad essere una coppia sterile, e per avere più bambini si devono sempre affidare a un laboa un tasso di riuscita FA NAPRO Dati in euro LA DISINFORMAZIONE PAGA. PROFUMATAMENTE Quel “commercio” selvaggio di bambini a cui nessuno è disposto a rinunciare Quello che si è riusciti a far credere con un’abile campagna allo stesso tempo ideologica e di marketing è che la fecondazione artificiale (Fa) funzioni. Ma non è la verità. Basta mettere da parte Repubblica, Io Donna e le riviste da parrucchiere e prendere in mano la letteratura scientifica, che da tempo ormai mette in luce, impietosamente, i fatti: la Fa ha un basso tasso di successo quanto a “figli in braccio”, mentre i bambini, dal canto loro, presentano percentuali di complicanze e malformazioni molto più alte rispetto a quelli nati naturalmente. Perché? Basta pensare alle tecniche. Innanzitutto, se ad essere infertile è il marito, il suo seme, iniettato a forza nell’ovulo, feconderà l’ovulo stesso, ma, come è intuibile, con effetti secondari negativi (erediterà la sterilità paterna? O la malattia che rendeva quel seme infertile?). Quanto agli ovuli, ogni procedimento di Fa ne richiede un alto numero, che si ottiene iperstimolando per via ormonale la donna; gli ovuli così prodotti saranno di qualità inferiore rispetto all’unico ovulo prodotto naturalmente ad ogni ciclo. A ciò si aggiunga che la formazione dell’embrione avviene fuori dall’utero materno, in una fredda provetta. È sufficiente il buon senso per capire che non è quello il luogo adatto non solo allo sviluppo dell’embrione. I figli della Fa sono dunque proporzionalmente pochi e meno sani (specie se si tratta di gemelli, una “complicanza” tipica della Fa). Tutto ciò anche senza considerare altre tipicità della Fa: la possibilità che i bimbi nati derivino da ovuli o da embrioni congelati, rimasti sotto azoto liquido 3-4-10 anni o più; che abbiano un genitore genetico sconosciuto; che siano figli di una madre genetica, avendo al contempo una diversa madre gestazionale e magari una ancora diversa madre adottiva… E non è finita. I danni possono riguardare anche le donne: le iperstimolazioni ormonali, oltre a risultare a volte inutili, comportano diversi rischi psicologici e fisici (emorragie, sterilità, persino la morte). «L’unica industria priva di regolamentazione» Ma perché se tutto questo è noto, almeno agli addetti ai lavori, non si fa nulla? Non ci sono alternative? No, le alternative ci sono. Si pensi non solo al ricorso alla prevenzione (quanta sterilità, oggi, in Occidente, per cattive abitudini sessuali, per uso prolungato di anticoncezionali eccetera), ma anche ai metodi naturali per l’individuazione e la regolazione dei picchi di fertilità, alla ricerca per rimuovere le cause della infertilità. La verità è che nessuno vuole toccare il fiume di soldi legato alla Fa e gestito, in gran parte, da cliniche private. Un fiume di denaro analizzato per esempio dall’economista di Harvard Debora L. Spar in Baby Business, un’indagine in cui si mostra come nel 2001 negli Stati Uniti circa 6 mila bambini sono nati grazie alla vendita di ovuli; 600 si sono sviluppati in uteri di madri surrogate, con contratti da 59 mila dollari l’uno: gli ovuli di prima qualità costavano mediamente 4.500 dollari, mentre il seme maschile veniva venduto allora a prezzi che variavano da 300 a 3 mila dollari. Ci sono dunque migliaia di coppie – non sempre realmente sterili – che arrivano a spendere più di 100 mila dollari per avere un figlio, magari ipotecando la casa o sottoponendosi a sperimentazioni assurde. Mentre nel 1986 vi erano negli Stati Uniti 100 cliniche per la fertilità, nel 2002 se ne contavano già 428. Il «commercio di figli», scrive la Spar, questo immenso mercato che nel 2004 ha avuto un giro d’affari di 3 miliardi di dollari solo in America, «spicca soprattutto come una straordinaria eccezione: è una delle pochissime industrie che operano praticamente in assenza di regolamentazione». Capitalismo selvaggio, si direbbe, se non fosse che dei bambini frega niente a nessuno. Francesco Agnoli Raffaella Pingitore, ginecologa presso la clinica Moncucco di Lugano, è la maggiore esperta di naprotecnologia nell’area di lingua italiana rurgia delle tube o di laparoscopia avanzata per rimuovere le parti danneggiate dall’endometriosi. Il risultato finale è una percentuale di nati vivi fra il 50 e il 60 per cento del totale delle coppie che eseguono i trattamenti per un massimo di due anni (ma la maggior parte concepisce nel primo anno), contro una media del 20-30 per cento fra chi ricorre ai cicli della fecondazione in vitro (generalmente sei cicli). La sciatteria dei medici «Una delle cose che mi scandalizza di più è la diffusa negligenza nelle diagnosi delle cause dell’infertilità», spiega Raffaella Pingitore. «Oggi dopo pochi esami di prammatica la donna viene invitata a rivolgersi ai centri per la fecondazione assistita. Siamo arrivati al punto che qualche anno fa la Società americana di medicina riproduttiva ha dichiarato l’insufficienza luteale come non esistente, perché non poteva essere “scientificamente” diagnosticata. Noi siamo in grado di diagnosticarla perché coinvolgiamo la donna chiedendole di osservare e descrivere quotidianamente lo stato del muco cervicale, procedura che ci permette di diagnosticare l’insufficienza luteale. Questo per molti medici è impensabile: si limitano a un prelievo al 21esimo giorno del ciclo per misurare il livello del progesterone. Ma solo il 20 per cento delle pazienti ha un ciclo perfettamente regolare, perciò il dato del prelievo è quasi sempre diagnosticamente inutile». «Negli Stati Uniti a Omaha, nel Nebraska, dal dottor Thomas Hilgers, il vero | | 24 luglio 2013 | 29 SOCIETÀ FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA creatore della naprotecnologia, andavano donne alle quali l’endometriosi era stata esclusa dopo una laparoscopia. Ma rifacendone una più approfondita si scopriva che nel 90 per cento dei casi l’endometriosi c’era. A me è capitata spesso la stessa cosa. Una laparoscopia approfondita dovrebbe essere una pratica standard nello screening della sterilità, ma trattandosi di un intervento chirurgico l’ostilità è grande». Che il ricorso indiscriminato alla fecondazione assistita vada di pari passo con la negligenza diagnostica lo si desume anche dall’alto numero di pazienti che ricorrono con successo alla naprotecnologia dopo fallimentari cicli di fecondazione in vitro. Il dottor Boyle afferma che negli ultimi sei anni nel gruppo delle sue pazienti sotto i 37 anni che aveva- triosi eventualmente rimasti; dopo la terapia ho continuato con un farmaco, l’Antaxone, con la dieta e col sostegno della fase luteale con piccole iniezioni di gonadotropina. Questo ha portato all’innalzamento degli ormoni, e al quarto mese di trattamento si è raggiunto un muco molto buono. Al 17esimo giorno dopo l’ovulazione abbiamo eseguito il test di gravidanza, che è risultato positivo». Costi e benefici Lo scrupolo del professionista eticamente motivato può molto più delle tecniche artificiali. Lo dimostra l’aneddoto della dottoressa Pingitore, lo dimostrano le statistiche del dottor Boyle. In Irlanda nel corso di quattro anni il ginecologo ha curato 1.072 coppie che cercavano quasi tutte un figlio da più di cinque anni. L’età media «La naprotecnologia SI diffonderÀ, SE NON altro per i costi, nei quali vanno INCLUSI gli effetti collaterali della FA COME L’ALTO NUMERO DI NASCITE CON PROBLEMI» no già provato due cicli di fecondazione assistita la percentuale di quelle che hanno concepito grazie al metodo di procreazione naturale è stata del 40 per cento. Raffaella Pingitore racconta la sua personale esperienza: «La paziente aveva 36 anni e desiderava una gravidanza da otto anni; aveva fatto in passato cinque cicli di fecondazione assistita senza successo. Le ho fatto registrare la tabella dei marcatori della fertilità e abbiamo notato che aveva una fase di muco fertile soddisfacente, ma dei livelli ormonali un po’ bassi, il che indica un’ovulazione un po’ difettosa. Aveva anche dei sintomi di endometriosi; ho eseguito una laparoscopia, ho trovato l’endometriosi e ho coagulato i focolai di endometriosi sull’utero, sulle ovaie e sulle tube. L’ho sottoposta a una terapia per mandarla sei mesi in menopausa, così da asciugare bene tutti i focolai di endome30 | 24 luglio 2013 | | delle donne era di 36 anni, e quasi un terzo di esse aveva già tentato di avere un figlio con la fecondazione in vitro. Dopo sei mesi di cure naprotecnologiche, l’efficacia del metodo era del 15,9 per cento. Dopo un anno, del 35,5 per cento. Dopo un anno e mezzo, il 48,5 per cento delle pazienti era rimasto incinta. Se le cure duravano due anni, quasi il 65 per cento delle pazienti arrivava alla gravidanza. Su una base di utenti molto più piccola la dottoressa Pingitore nel biennio 2009-2011 ha ottenuto una media del 47,3 per cento. Negli Stati Uniti (paese dove non vigono leggi che limitano il numero degli embrioni fecondati trasferibili nell’utero) i tassi di successo della fecondazione assistita dopo sei cicli sono i seguenti: 30-35 per cento per le donne sotto i 35 anni; 25 per cento per le donne fra i 35 e i 37 anni; 15-20 per cento per le donne fra i 38 e i 40 anni; 6-10 per cento per le donne sopra i 40 anni. Poi c’è la questione niente affatto secondaria dei costi, anche se in Italia se ne discute poco perché, a parte il ticket, la spesa è a carico del sistema sanitario nazionale. In tempi di austerità e di effetti deleteri del debito pubblico, tuttavia, un occhio al rapporto spesa/efficacia dovrebbe valere anche da noi. Risulta dunque che, se raffrontiamo i costi di due anni di percorso naprotecnologico e quelli di sei cicli di fecondazione assistita, la seconda costa ben undici volte di più della prima. Un singolo ciclo di fecondazione in vitro costa circa 3.750 euro più 1.000 euro di medicazioni, dunque sei cicli costerebbero 28.500 euro a cui ne vanno aggiunti altri 800 per il congelamento e il mantenimento degli embrioni e 1.200 per il trasferimento, per un totale di 30.500. Invece, anche protraendo il percorso della naprotecnologia per due anni, i costi sono modesti: 300 euro per il corso di formazione nei metodi naturali, 800 per le consultazioni mediche e 1.500 per i medicamenti, per un totale di appena 2.600 euro. Probabilmente parlamenti e ministri della Sanità dei paesi europei non sono tanto sensibili sui temi bioetici, ma difficilmente potranno fingersi sordi davanti alle richieste di verificare il rapporto costi/benefici fra le due metodologie. «La naprotecnologia è destinata a diffondersi, non fosse altro che per un discorso legato ai costi, nei quali vanno calcolati anche gli effetti collaterali della pratica della fecondazione assistita: non dimentichiamo che i bambini che nascono con quella tecnica hanno più probabilità di malformazioni e problemi di salute di quelli che nascono in modo naturale», ricorda Raffaella Pingitore. «Prima, però, occorre sconfiggere la lobby della procreazione assistita. È una lobby miliardaria, che arricchisce centinaia di persone e che non si lascerà mettere i bastoni tra le ruote tanto facilmente». n LE NUOVE LETTERE DI BERLICCHE LE CRITICHE (MALDESTRE) A FRANCESCO E QUALCHE PRECEDENTE Il vizietto pretesco e furbesco di condannare i silenzi altrui M Malcoda, quando non puoi accusare uno per quello che dice, attaccalo per il suo silenzio. Impara dai preti. Alcuni hanno ben chiaro il peccato di omissione altrui. Questa volta si tratta della mancata difesa dell’onore del Papa. Succede che Francesco vada a Lampedusa, incontri i migranti e dica quello che ha detto con tutta l’eco mediatica conseguente. Succede poi che un politico laico (con il difetto di essere di centrodestra) osservi che un conto è predicare e un conto governare (parole maldestre). Succede infine che un sacerdote direttore di una rivista “cristiana” fin dal titolo giudichi queste parole un insul- una rivista cristiana attacca i cattolici DI UN to al Papa, ma ritenga ancor più partito per NON AVER DIFESO IL PAPA DAGLI “INSULTI” grave il non intervento a sua di- DEI COLLEGHI. QUANTI SACERDOTI ANDREBBERO sgridati? fesa dei politici cattolici colleghi di partito del suddetto. Con l’aggravante, per bella storia (consiglio di un direttore agli atgli onorevoli silenti, di essere invece spesso in- toniti cronisti, che però non hanno faticatervenuti a difesa del loro, poco eticamente to molto a metterlo in pratica). La seconda: quando si può fare del male a una persona, difendibile, capo di partito. A parte che con questo criterio molti sa- perché tirarsi indietro (che sembra più cinicerdoti censori potrebbero a loro volta esse- ca della prima, ma in realtà contempla la core censurati per il silenzio che li ha contrad- scienza del male e quindi, se non il rispetto, distinti quando altri Papi venivano ben più almeno il riconoscimento della verità che invigorosamente e pubblicamente insultati. Si vece la prima deride). Ma lasciamo stare i preti, che arrivano farebbe prima a fornire l’elenco (breve) dei presbiteri che hanno protestato piuttosto di sempre dopo, in rincorsa affannata dei moquello (sterminato) di chi non ha proferito ralisti duri e puri. Veniamo a un grande diverbo quando a un Papa è stata negata la pa- lemma etico: le sentenze si discutono oppurola nell’università di Roma. È che dire delle re no? Non essere precipitoso nel rispondere, tonache mute di fronte all’accusa di silenzio nipote. C’è sentenza e sentenza. C’è quella da accettare e quella da criticare, soprattutto se scagliata contro Pio XII? Poco importa poi che qualcuno dei poli- sei un sincero democratico. Un tribunale americano ha deciso che il tici messi sotto accusa avesse seguito il viaggio del Papa, ne avesse ascoltate le parole, e bianco George Zimmerman non è colpevosi fosse fatto da esse interrogare commen- le della morte del nero Trayvon Martin antandole a voce e per iscritto ben prima delle che se l’ha ucciso. Il vigilante ha affermato di polemiche sul predicare e il governare. Il di- aver sparato per legittima difesa, ma sull’uorettore “cristiano” forse non lo sapeva, forse mo pesa il sospetto di razzismo. Criticare la prima di moraleggiare doveva informarsi… sentenza (vetrine rotte e bandiere bruciate) o Ma perché mai? Trovato lo spunto per una accettarla in silenzio? E tutti coloro che tacpolemica e per un j’accuse non bisogna la- ciono, per tornare all’inizio, che fanno: acsciarselo sfuggire per una bassa questione di consentono? Si dice che il mondo è bello perché è vario. incoerenza con i fatti. Sono due le regole auree del giornalismo militante. La prima: non No, per noi il mondo è bello perché è avariato. permettete mai che la verità vi rovini una Tuo affezionatissimo zio Berlicche io caro | | 24 luglio 2013 | 33 L’ITALIA CHE LAVORA L’artigiano del FUMO LENTO Da nonno Stefano al nipote Stefano. Storia della centenaria ditta Santambrogio, che in provincia di Varese produce pipe in radica rigorosamente fatte a mano. Oggetti di pregio per gustare un buon tabacco ma anche pezzi unici da collezione S tefano Santambrogio era un ragazzo di grande intraprendenza e creatività. Nato nel 1867 in Brianza, si trasferisce molto presto a Gallarate, in provincia di Varese, dove comincia il suo primo lavoro nella Manifatture Pipe Fratelli Lana, la prima impresa di pipe nel territorio. Dopo qualche anno l’azienda è costretta a chiudere, ma Stefano non si scoraggia e con la moglie fa i bagagli e si trasferisce a Gavirate, sul lago di Varese, dove trova lavoro come direttore della Fabbrica Pipe Rossi di Barasso. Le pipe gli piacciono a tal punto che ogni giorno cresce in lui la voglia di provare a mettere in piedi una ditta con il suo nome sulla porta. Qualche anno dopo, nel 1910, Stefano riesce a comprare in una piccola frazione di Gavirate un mulino e una piccola cascina. Servono due anni per rendere quell’acquisto il posto giusto dove aprire la sua manifattura. Il mulino riesce a generare l’energia necessaria a muovere i torni per la lavorazione della pipa e finalmente nel 1912 la ditta Stefano Santambrogio può cominciare a scrivere la sua storia. Gli anni passano sereni sulle rive del lago a forma di scarpa e nel 1926 finalmente arriva la rete elettrica ad affiancare la forza dell’acqua. La produzione cresce e con essa i numeri degli operai impiegati. Negli anni Trenta e Quaranta la piccola cascina lascia il posto a una fabbrica con più di 130 operai e una produzione da centomila pipe al mese. E il mercato italiano comincia a esser stretto. L’intraprendenza di Stefano lo porta a guardare anche all’estero. Così, pian piano, le sue pipe arrivano in tutto il mondo, spingendosi sino alle colonie britanniche in Sudafrica, Australia, India. 34 | 24 luglio 2013 | | Una leggenda di famiglia racconta che la prima parola pronunciata da Stefano Santambrogio sia stata proprio “pipa”. «Non ho mai pensato di fare un lavoro diverso da quello di mio padre e mio nonno», racconta il titolare dell’omonima ditta che dal 1912 produce pipe a Groppello, frazione di Gavirate (Va) Alla sua morte, nel 1951, i figli Renzo e Armando prendono in mano l’eredità di famiglia ma devono fare i conti con il mercato che cambia. La sigaretta s’impone tra i consumatori di tabacco e la pipa finisce nel dimenticatoio, chiusa nel cassetto del comodino. La ditta tiene, seppur tra mille difficoltà, ma saranno gli anni Settanta a rappresentare il momento di maggiore crisi del prodotto. È necessario cambiare strategia per non rischiare di dire addio al sogno di un padre che aveva saputo vedere lontano. Lo intuisce Stefano, nipote del fondatore della ditta, che da qualche anno aiuta il padre a mandare avanti l’impresa, mentre la sera studia meccanica all’Istituto tecnico di Varese. Nel 1981 papà Renzo scompare e tocca proprio a lui prendere in mano il timone. Nulla di così difficile, per lui è naturale, l’odore del tabacco è un profumo familiare sin dalla tenera età, in famiglia raccontano che la prima parola pronunciata fu proprio “pipa”. «Non ho mai pensato che avrei seguito un percorso diverso da quello di mio padre e mio nonno. La passione per questo lavoro me la porto dentro sin dalla nascita», racconta Stefano che dal 1981, instancabilmente, produce pipe a Groppello, frazione di Gavirate. «Dopo la morte di mio padre decisi che era arrivato il momento d’invertire la rotta: meno produzione ma di livello qualitativamente più alto. Volevo dare al cliente un prodotto di nicchia ma allo stesso tempo di pregio». Per farlo Stefano decide di occuparsi personalmente della produzione e di realizzare, quasi totalmente a mano, un oggetto da collezione. Com’era accaduto per il nonno molti anni prima, l’intuizione di Stefano è vincente e l’eccellenza dei suoi prodotti porta la ditta Santambrogio a festeggiare nel 2012 i primi cento anni di vita, accompagnati da riconoscimenti, premi e soddisfazioni. Tutto per amore della pipa: «Il mio non è quello che si definirebbe propriamente un mestiere. Non si può lavorare per tre generazioni in un settore come quello della pipa se non si ha passione. L’apporto creativo, emotivo e fisico richiesto è enorme. Senza buongusto, senza sacri| | 24 luglio 2013 | 35 L’ITALIA CHE LAVORA Nella foto a lato, il fondatore della ditta Stefano Santambrogio (al centro), il figlio Renzo (a destra) e un operaio esperto (a sinistra). È il 1927. Renzo e il fratello Armando garantirono continuità alla ditta fino al 1981. Fu allora che Stefano Santambrogio, figlio di Renzo e attuale titolare, decise di imprimere una svolta all’attività di famiglia «non si fa questo lavoro per tre generazioni se non si ha passione. La pipa è il frutto della manualità e dell’estro di chi la produce, non è paragonabile a nessun altro prodotto da fumo» ficio e senza passione, da questo laboratorio non verrebbe fuori nulla di buono». Stefano oggi ha sessant’anni e lavora dodici ore al giorno per fare in modo che dalle sue abili mani prendano vita dei piccoli capolavori. Ad aiutarlo c’è la moglie Sara, che si occupa della parte amministrativa e di tutto quello che c’è da fare. Una vera azienda a conduzione familiare che ruota attorno a un oggetto per intenditori: «La pipa è il frutto della manualità e dell’estro di chi la produce, è pura artigianalità, per questo non è paragonabile a nessun altro prodotto da fumo. Chi sceglie la pipa non lo fa per vizio ma per una sorta di simbiosi tra l’oggetto e il piacere di possederlo e fumarlo». Stefano si sente tutt’uno con le sue creazioni, piccoli oggetti di radica «che sembrano banali, costituiti da pochi elementi, sempre uguali, ma hanno bisogno del tocco di un artigiano per diventare unici». Spesso i clienti si rivolgono a lui con richieste bizzarre: «Mi chiedono, per esempio, di realizzare pipe lunghissime. Cerco di ascoltare tutte le indicazioni e assecondare i desideri senza dimenticare che il mio è soprattutto un lavoro creativo. Non potrei mai fare qualcosa che non incontra il mio gusto, rischierei di fare un lavoro pessimo. Ho bisogno di esprimere il mio ingegno e la mia manualità, in questo senso sono come un pittore. Non si potrebbe mai chiedere a un artista espressionista di realizzare un quadro impressionista 36 | 24 luglio 2013 | | perché il risultato sarebbe pessimo. Per me è lo stesso». L’arte del signor Stefano «che è frutto di anni di osservazione, soprattutto del lavoro delle persone più brave di me» qualche anno fa è tornata a valicare i confini nazionali ed è arrivata dall’altra parte del mondo, in Oriente: «Sin dall’inizio mio nonno ha intuito che era necessario guardare ai mercati esteri e oggi la sua idea sopravvive e ci consente di stare sereni. La provincia di Varese per anni ha potuto contare su numerose manifatture di pipa, ma con la crisi molti colleghi sono stati costretti a interrompere la produzione. Noi, per fortuna, vendiamo molto all’estero e puntiamo a una clientela di nicchia, soprattutto collezionisti. Esportiamo in Europa, negli Stati Uniti e in Cina. I clienti europei sono tradizionalisti, come gli italiani, gli americani adorano le pipe classiche, ma chiedono sempre prodotti più grandi del normale. In Cina, invece, contiamo su due distributori, uno a Shanghai e l’altro a Pechino, con cui collaboriamo da cinque anni. È iniziato tutto per caso e il primo ordine non superava le venti pipe. Adesso la Cina è diventata uno dei nostri clienti più importanti. Il mercato cinese è interessante perché è giovane, potenzialmente molto esteso ed è attento a tutto ciò che è made in Italy». La scomparsa dei segantini Un problema legato al mondo delle pipe però c’è e si chiama radica: «Uso solo la radica italiana, la migliore, che cresce nel bacino del Mediterraneo. Purtroppo sono sempre meno le persone che si dedicano alla raccolta della radice dell’Erica Arborea e i produttori si trovano in difficoltà. Stanno scomparendo anche i segantini, persone in grado di tagliare i ceppi degli alberi. Noi lavoriamo con un fornitore che si avvale del lavoro di un segantino che ha 80 anni. Lui vorrebbe anche andare in pensione, ma non c’è nessuno che possa sostituirlo». Anche il signor Santambrogio ogni tanto pensa alla pensione. Ama il suo lavoro e non si risparmia, ma sa che prima o poi arriverà il momento di dire basta: «Purtroppo mio figlio ha deciso di dedicarsi ad altro e poi non ha la manualità necessaria per fare questo lavoro. Ogni giorno mi sveglio e penso a quando finirà questa centenaria avventura familiare. Non so cosa succederà, finché potrò andrò avanti qui, tra le mie pipe, il solo posto dove sono sempre stato e dove ho sempre voluto stare». Paola D’Antuono STILI DI VITA CINEMA IL PIANETA NON PUÒ RESTARE IMMOBILE Cari ambientalisti, evolvetevi The Last Exorcism – Liberaci dal male, di Ed Gass-Donnelly PRESA D’ARIA di Paolo Togni C’ a se stesso, e strilla e schiamazza per qualunque modifica dell’ecosistema; non tengono conto del fatto che il mondo è quello che noi conosciamo solo perché è arrivato allo stato attuale attraverso una lunghissima serie di mutazioni e di drammi causati dalla natura stessa; ad ogni stormir di fronde, per annunciato che possa essere, costoro schiamazzano come fecero le oche del Campidoglio all’arrivo di Brenno. Eppure nessuno strillò quando questi signori, essi stessi come ognuno di noi novazione irreversibile della biosfera, vennero alla luce; si ebbero piuttosto immotivati festeggiamenti e improvvide manifestazioni di giubilo. L’evoluzione non è avvenuta per interventi umani o comunque esterni, ma in applicazione delle leggi poste alla natura nel momento della creazione dell’universo. In questo quadro, abbiamo certezza di almeno quattro o cinque cicli di estinzione massiccia di forme di vita verificatisi in conseguenza di drastici cambiamenti climatici, di eventi interplanetari o di altre cause, delle quali la scienza ci sta facendo via via conoscere tempi, modi e cause. È poi evidente, a chi non abbia la mente ottusa o sia guidato da interessi concreti, che i cambiamenti climatici non sono avvenuti per intervento dell’uomo, che quando molti di questi avvennero sulla Terra non c’era. ritenegono che tutela Neanche la tecnologia attuale ha alcuna incidenza sul clidell’ambiente significhi ma: figuriamoci quando l’uogarantire la sua invarianza mo non c’era, o c’erano alcune nel tempo. dicono no a strade, migliaia di individui che andaferrovie, ponti; no a tutto. vano vagando per tundre e foreUn atteggiamento talmente ste coperti di pelli, armati di clava, di lancia o tutt’al più di arco retrivo da sbalordire e frecce. Una notazione: è tipico degli ambientalisti giurassici ritenere che tutela dell’ambiente significhi garantire la sua invarianza nel tempo. È un errore. Mantenere uguale a se stesso l’ambiente significa perpetrare la più grave delle violenze contro un complesso di situazioni in continuo mutamento che hanno scritte nella loro natura le leggi che le regolano. Essi dicono no a strade, ferrovie, ponti; no a impianti di qualunque tipo; no a tutto. Un atteggiamento talmente retrivo da sbalordire: a confronto con loro, il cardinale Ruffo può essere considerato un pericoloso sovversivo. Ce n’è di gente così in Italia? Ce n’è, ce n’è. Qualche nome? Per cominciare il presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci. Poi Sgarbi, Prestigiacomo, Pecoraro Scanio. E ce ne sono molti, molti altri: presto liste e imprese. [email protected] è chi crede che il mondo debba restare sempre uguale HUMUS IN FABULA QUALCHE DRITTA ESTIVA Decalogo Sorgenia per risparmiare Regola il termostato dello scaldabagno a non più di 50° C: riscaldare troppo l’acqua quando poi bisogna miscelarla con quella fredda è inutile, specialmente d’estate, quando la regolazione ideale è 40° C. Mantieni la temperatura del frigorifero tra 1 e 4° C e quella del congelatore a -18° C: per 38 | 24 luglio 2013 | | ogni grado in meno il consumo aumenta del 5 per cento. Evita la fase di asciugatura in lavastoviglie: comporta il dispendio di molta energia. Sono solo alcuni dei comportamenti suggeriti da Sorgenia all’interno del suo “decalogo” per risparmiare energia utilizzando in modo intelligente gli elettrodomestici e applicare un po’ di sano buon senso. Dallo scaldabagno elettrico al forno, dal frigo alla lavatrice, la mini-guida del gruppo energetico (online per tutto il mese di luglio all’interno di una striscia quotidiana sul sito www.energiesensibili.it intitolata Prevedibile ma buona suspense Nuove disavventure per la giovane Nell, sopravvissuta a un massacro ma ancora perseguitata. Ci si addentra nell’esta- te e fioccano gli horroracci. Stavolta va meglio del solito. Il primo episodio era piuttosto brutto: poca suspense e, soprattutto, il solito gioco di rimessa. Tante scopiazzature di film del filone demoniaco, lo pseudo realismo di Paranormal Activity e una regia anonima incapace di prendersi dei rischi. Con il secondo HOME VIDEO Gambit, di Michael Hoffman Commedia giallorosa Un terzetto improbabile cerca di truffare un ricco e odioso milionario. Da una sceneggiatura dei fratelli Coen, una discreta commedia con un bel cast (Colin Firth, Alan Rickman e Cameron Diaz). Si guarda alla commedia giallorosa: il ritmo c’è e una sequenza – quella in hotel con Firth – è molto divertente. Gli attori funzionano in quello che vuole essere un omaggio al cinema di Blake Edwards. Hoffman ci riesce in parte, non avendo la stoffa né di Blake né dei fratelli Coen. “L’Efficienza a casa tua”) invita a piccoli accorgimenti per aggiustare la bolletta e al contempo informare i consumatori. Alcune nozioni di base? Utilizzare la funzione grill del forno può raddoppiare il consumo. I Led consentono di risparmiare fino all’80 per cento di energia elettrica rispetto a una normale lampada a incandescenza e hanno una vita molto lunga (da 50 a oltre 100 mila ore). I trasformatori invece continuano a consumare elettricità anche a pc spento: spegnere sempre computer e stampanti staccando anche la spina è in questo caso più di una buona abitudine. Non mancano le “dritte estive”, come quella di regolare il termostato in modo che la differenza di temperatura tra esterno e interno non superi mai i 5° C. NOZZE DI PERLA capitolo si vira dalla parte del thriller paranoico: l’incipit non è male e per una buona metà il film riserva qualche discreta sorpresa anche grazie a una messinscena piuttosto curata e a una protagonista che non è la solita biondona pettoruta di prodotti del genere. Nulla di che: anzi, sceneggiatura prevedibile, personaggi secondari risaputi ma dietro la macchina da presa ci sta un regista giovane che almeno conosce i meccanismi della suspense e della sorpresa. Forse ci si può accontentare. visti da Simone Fortunato SPORTELLO INPS Il regista Ed Gass-Donnelly MAMMA OCA di Annalena Valenti T rent’anni di matrimonio. E in tanti ci stanno a guardare, come si fa, qual è il segreto? Un caffè a letto tutte le mattine, non si stupiscano gli amici di un tempo, da trent’anni io a lui, che conosco anche la versione contraria, lui a lei, e non è che siamo i più romantici e caritatevoli pur nel regalo bello e semplice, è che altrimenti non si alzano, e un Angelo di Dio che la carità paterna di don Giussani ci diede come compito – «ditelo insieme tutti i giorni» – e noi abbiamo obbedito, siamo rimasti fedeli al poco e ci è stato dato molto. Ti ricordo che il nostro si chiama anniversario di nozze di perla, caro marito che tranne 3 o 4 volte, quelle più importanti, per questa data io sono qui a casa Marinedda a fare scorte di orizzonte infinito e pazienza con il Gio e un tot di bambini, amici e nonni e pizzate-cinema per 20, nel ricrearsi e rinnovarsi delle forze e dell’amicizia famigliare e cristiana, e tu sei lì che subisci la pena del contrappasso con tutti i figli grandi, che di anno in anno aumentano di numero e quest’anno, che anche la Teresina è cresciuta, fa 5. E anche di questa libertà reciproca ci dobbiamo ringraziare e render conto alle giovani famiglie. Piccoli gesti che ognuno ricrea e inventa a modo suo, a volte nati per caso, i più adatti a costruire la propria strada insieme. Lasciando ovviamente stare che bisogna amare la verità più di se stessi e fare figli, possibilmente molti. mammaoca.wordpress.com In collaborazione con DOMANDA & RISPOSTA Tutto quello che bisogna sapere Requisiti per la pensione Mi sono resa conto che non mi risultano coperti da contributi alcuni mesi dell’anno 2001 e 2004. In quei mesi non ho lavorato. La domanda è se posso recuperarli ricorrendo ai versamenti volontari, in modo da aumentare l’anzianità contributiva. Carmen C. Il caffè a letto e l’Angelo di Dio invia il tuo quesito a [email protected] Purtroppo no. I versamenti volontari possono essere utilizzati solo per periodi futuri. La legge, una volta ottenuta l’autorizzazione ai versamenti volontari, introduce la possibilità di effettuare i versamenti per periodi che si collocano temporalmente nel semestre antecedente la data di presentazione della domanda, se non sono già coperti da altra contribuzione. Desidero sapere se un figlio disoccupato e non sposato ha diritto alla reversibilità della pensione da lavoro del genitore. Qual è il percorso da seguire ed even- tualmente quanta percentuale della pensione del genitore viene assegnata al figlio? Pasquale P. Hanno diritto alla pensione di reversibilità nel caso in cui alla data della morte del genitore siano minorenni, inabili, studenti di scuola media superiore (non oltre i 21 anni) o universitari (non oltre i 26) e che siano a carico del genitore. L’importo spettante ai superstiti è calcolato sulla base della pensione dovuta al lavoratore deceduto applicando le percentuali che potrà trovare nella legge 335 del 1995. In agosto 2013 compirò 66 anni con 36 anni di contributi. Quando potrò andare in pensione? Esiste sul vostro sito una tabella che non sia complicata da analizzare? Davide G. I requisiti previsti nel 2013 per la pensione di vecchiaia sono 66 anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contribuzione. Potrà andare in pensione dal 1° dicembre e potrà trovare conferma di questo sul sito www.inps.it, nell’area dedicata alla Riforma delle pensioni, in cui troverà una semplicissima tabella riassuntiva dei requisiti anno per anno. | | 24 luglio 2013 | 39 Tempi Leggi il settimanale sul tuo tablet AT&T Aggiorna Beppe Grillo e Casaleggio? Meluzzi: «Il M5S è una setta messianica e millenarista» di Francesco Amicone Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile di Luigi Amicone Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Bergomi e Spagna ’82: «La forza era il gruppo. Come nella Nazionale di quest’anno» di Luigi Amicone di Luigi Amicone Nazionale di quest’anno» era il gruppo. Come nella Bergomi e Spagna ’82: «La forza di Luigi Amicone per la famiglia» le magnifiche giornate milanesi Papa: «Come ho vissuto di Carlo Candiani Seguici su «Una follia anche economica» Bologna, referundum anti-paritarie. di Antonio Simone del nuovo compagno di cella Simone: Il segreto (rivoluzionario) TUTTI GLI ARTICOLI di Oscar Giannino di religione spread, ormai è una guerra Giannino: Altro che debiti e PER PIACERE NEW DELHI, MILANO Niente manzo ma tanto riso, verdure e salse di ogni tipo IN BOCCA ALL’ESPERTO AMICI MIEI LIBRI/1 La persecuzione nazista a musicisti e compositori ebrei A partire dagli anni Trenta il regime nazista ha iniziato una accanita lotta contro tutti quei musicisti, compositori, direttori ebrei portatori di “musica degenerata” e per questo costretti all’esilio o confinati nei campi di sterminio. Lo scellerato disegno del nazismo atto a eliminare ogni contributo all’arte tedesca da parte dei “non ariani” (che comunque non riuscì a produrre un vero e proprio trattato in cui musica e razza fossero messi in relazione) è ben documentato ne L’armonia delle tenebre, saggio di Nicola Montenz, edito da Archinto (366 pagine, 16 euro). L’opera approfondisce inoltre la posizione di chi, tra gli artisti del periodo, ebbe un atteggiamento ambiguo nei confronti del potere e chi invece, come il violinista Josef Szigeti o il sovrintendente Gustav Hartung, si oppose al folle meccanismo. Mario Leone Twitter: maestroleone di Tommaso Farina I mpossibile generalizzare sulla civiltà culinaria di un paese come l’India, grande più o meno come mezza Europa. L’unico tratto davvero comune è l’assenza della carne di manzo su quei deschi, vista la sacralità della vacca per i seguaci della maggioritaria religione induista. Per il resto, via libera con tante salse e, cosa che piacerà non solo ai vegetariani, tanta verdura. Per diletto, siamo tornati al milanese New Delhi: una trattoria indiana che i lettori del nostro giornale già conoscono, accanto allo Spazio Oberdan. Una garanzia: lo conosciamo da anni, e non ci ha mai tradito. Non cercate lo sfarzo un po’ pacchiano di altri posti: qui i riferimenti ambientali all’India sono quasi assenti. Il sapore del sub-continente viene tutto dalle cucine. I samosa, involtini ripieni di verdure o di carne, sono morbidi, ottimi. I curry sono parecchi, una ventina, principalmente secondo la tradizione dell’India del nord ma con qualche eccezione: il Vindaloo, scuola dell’India meridionale, particolarmente piccante, eseguito con pollo o agnello. All’opposto, il Korma (anche qui, pollo o agnello) è morbido e cremoso, arricchito da yogurt, mentre il Rogan josh, ossia il cosiddetto curry rosso d’agnello, si fa con peperoni e anacardi. Per i più tradizionalisti, c’è anche il pollo tandoori, ossia cotto nel famoso forno e colorato di rosso cupo in modo naturale. Dal tandoor vengono pure i Booti kebab, spiedini di carne di agnello (in India piace, e non hanno torto) marinati in yogurt e aceto di malto con una speciale miscela di spezie, che conferisce anche ad essi il caratteristico colore. Il riso non può mancare, rigorosamente tipo basmati: bianco, pulao (pilaf di zafferano), con aglio, con funghi, con agnello (biryani) o con verdure. Di dolce, il famoso gelato indiano. Da bere qualche vino, qualche birra oppure qualche bevanda indiana. Contemplate circa 30 euro di spesa, a seconda di quanto mangiate. Tenete conto che il pranzo può essere richiesto anche da portare a casa, se volete. Buon appetito. Per informazioni New Delhi www.ristorantenewdelhi.it Via Tadino, 1 – Milano Tel. 0229536448. Sempre aperto «Nel cielo ormai quasi buio s’inseguivano lucenti pallottole traccianti. In quel cielo c’era Dio: io stavo muto e grigio davanti a Lui, nel gran freddo. Vicino a me c’erano la mia miseria e il mio voler continuare a essere uomo e capo di uomini, nonostante tutto». È un giovanissimo Eugenio Corti che scrive nel suo diario, dove descrive l’odissea degli italiani in fuga dalla Russia. Ventunenne, tenente dell’esercito, Corti racconta i ventotto giorni in una sacca sul fronte rus- so (inverno 1942-43), giorni interminabili, freddi, bianchi. I più non ritornano è stato pubblicato nel 1947: era la prima volta che qualcuno raccontava quella tragedia avendola vissuta, avendo visto amici e compagni cadere sulla morbida neve senza più potersi alzare. Corti è stato il primo a raccontare di tutti quei commilitoni che accucciati nelle dune si lasciavano morire di stenti e di freddo chiedendo aiuto alla propria madre, lontana migliaia di chilometri. L’ennesima riedizione, questa volta di Ares (336 pagine, 12,90 euro), è preceduta da una partecipa- Chiusa la trilogia del mal d’amore È la storia di Antonio, un professore universitario ed ex deputato del Pci che si interroga sulla cecità che ha colpito la moglie, Chiara: «Una cieca capace di cucire l’orlo di una sottana, ma incapace di riconoscere il mio volto». Si intitola Quando Chiara ha perduto la luce (Tabula Fati, 143 pagine, 12 euro) l’ultimo libro con cui Francesco Bova conclude la sua trilogia del mal d’amore iniziata con La leggenda dei pesci bambini e proseguita con Nata con il cuore in una mano. Questo romanzo è il racconto di un pellegrinaggio interiore tra cielo e terra e di una conversione. Ambientato tra Liguria e Francia, il registro è quello sospeso tra misticismo e psicanalisi. LO SPECIALE DI TEMPI Verso il Meeting 2013 LIBRI/2 I più non ritornano Per chi deve leggerlo e chi lo ha già fatto LIBRI/3 ta introduzione a cura del giornalista e scrittore Luca Doninelli che di questo diario sottolinea il cuore della ricerca di Corti: «I più non ritornano è pieno di cose che fanno girare la testa dall’altra parte, e Corti non prova nessun piacere sadico nel raccontarcele. Semplicemente, ci istruisce circa una possibilità nuova, quella di guardare l’orrore e raccontarlo, testimoniarlo, senza dover cadere nella disperazione, portando l’intelligenza umana fin sul margine di quell’impossibile speranza da cui scaturisce, finalmente incensurata, tutta la narrazione del mondo». In allegato a questo numero di Tempi, uno speciale dedicato alla prossima edizione del Meeting, 84 pagine per raccontare le mostre, gli incontri e parlare con i protagonisti presenti a Rimini dal 18 al 24 agosto prossimo. «Il centro di questo Meeting – scrive Amicone nell’editoriale – è un volto. Il Volto. E i volti che da Lui discendono. La Veronica di Manoppello (…) nella più bella delle mostre viene ora indicata a tutto il popolo. E poi i volti di Chesterton e di Testori. Di Shahbaz e delle migliaia di martiri cristiani di questo mondo. I volti di Paul Bhatti, John Waters e di tutti quegli uomini e donne che sono come sentinelle della verità». | | 24 luglio 2013 | 41 MOTORPEDIA WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO Aprilia Tuono V4 R Abs Italiana come la Fiat 500, ma di tutt’altra pasta, la Aprilia Tuono V4 R Abs preferisce essere cavalcata dal solo pilota, magari in pista dove, nonostante l’aspetto da naked, si dimostra più efficace di molte supersportive carenate. È di questi giorni l’arrivo sul mercato del nuovo modello equipaggiato con Abs (con tre mappature) che rimpiazza in listino il precedente e riceve anche una iniezione di potenza per il già esuberante V4, ora capace di ben 170 cavalli. Tra le novità introdotte segnaliamo il nuovo serbatoio più capiente e, soprattutto, una sella più morbida che migliora il comfort. Nonostante tutte le migliorie, l’Aprilia Tuono Abs conferma il [sc] prezzo della precedente: 16.100 euro. 42 | 24 luglio 2013 | | Se la Fiat 500 L è luminosa, la Living lo è ancora di più, specie se si decide di adottare il tetto panoramico di ben 1,5 metri quadrati offerto in optional per entrambe le versioni PopStar e Lounge. Nella foto a sinistra, la nuova Aprilia Tuono equipaggiata con Abs e motore V4 da ben 170 cavalli Sette posti e tanta luce per la FIAT 500 L Living Un piccolo loft su quattro ruote Q ualcuno l’ha già definita l’erede della Multipla: la 500 L Living riesce, però, a fare ancora meglio della precedente multispazio di casa Fiat, ad esempio aggiungendo un posto a sedere. Grazie ai 25 centimetri di lunghezza in più rispetto alla 500 L “normale”, tutti concentrati nella zona posteriore, la Living riesce infatti a offrire spazio per sette passeggeri. Un’opportunità, quella della terza fila di sedili (offerta in optional a 750 euro), che sarà senza dubbio apprezzata da chi ha una famiglia numerosa. La 500 L, quindi, si allunga senza per questo cambiare l’immagine da monovolume a “pulmino”, come accaduto ad alcune concorrenti in configurazione sette posti. Le dimensioni, infatti, restano compatte, con 4,35 metri di lunghezza, 1,78 di larghezza e 1,67 di altezza. Parlando di numeri, se usata in configurazione cinque posti la Living aumenta di 200 litri il volume del bagagliaio rispetto alla “L”, passando dai 560 litri con divanetto tutto arretrato e più spazio per le gambe, ai 638 litri quando il divanetto stesso è tutto avanzato. Spazio che passa a ben 1.584 litri nel caso si decida di abbattere tutti i sedili. Sfruttando, invece, i sette posti disponibili la capienza scende a 168 litri. La gamma dei motori si affida a unità note per il gruppo Fiat: si parte dall’immancabile bicilindrico 0.9 TwinAir da 105 cavalli, per passare ai più interessanti (visto il tipo di auto) 1.3 Multijet da 85 cavalli e 1.6 Multijet da 105 cavalli; prevista in autunno anche una versione a metano e un Multijet da 120 cavalli. la terza fila di Se la 500 L è luminosa, la Living lo è ancora di più, sosedili (in optional prattutto se si decide di adota 750 euro) sarà tare il tetto panoramico di senza dubbio ben 1,5 metri quadrati offerapprezzata daLLE to in optional per entrambe famigliE numerosE le versioni PopStar e Lounge, quest’ultima la più ricca nella dotazione: offre di serie climatizzatore bi-zona, rivestimenti in ecopelle, sensori di parcheggio, telecamera posteriore e schermo touch da 5’’ con navigatore Uconnect, cerchi da 16’’. Attesa a settembre nelle concessionarie, la 500 L Living avrà un prezzo di ingresso di 19.200 euro (21.400 per la 1.6 MJet). Come ormai consuetudine per Fiat è prevista al lancio la versione Opening Edition, che sarà prodotta in 500 esemplari particolarmente ricchi nella dotazione. Stefano Cordara | | 24 luglio 2013 | 43 POST APOCALYPTO JULIO E LE SUE PERIPEZIE L’epilessia, l’alcolismo, il tradimento e poi un’accoglienza inattesa S olo l’incontro con un grande amore salva e cambia la vita. È stato così per me da parte del Servo di Dio monsignor Luigi Giussani ed è quello che mi succede ogni giorno incontrando tante persone che mi scrivono o vengono qui a visitarmi o fanno parte della mia grande famiglia. Ma l’amore è un uomo, un uomo che duemila anni fa affermò di essere Figlio di Dio. E quest’uomo continua ad essere nell’abbraccio, nella carezza, nella compagnia di chi Lui ha scelto per manifestarsi in ogni uomo. Quando molti anni fa insegnavo in un liceo, ero solito ripetere con molta passione che il segno dell’amore di Dio in una classe era evidente nel fatto che tra 20 o 25 ragazzi Dio aveva scelto alcuni di loro per essere il segno della Sua Presenza. Ed era per me una commozione quando nelle assemblee perfino i peggiori “nemici” chiedevano: ma chi siete voi, nostri compagni di banco, per vivere in modo completamente differente da noi? La stessa domanda che ogni classe di persone continua a pormi dopo 42 anni di sacerdozio e 24 di missione in Paraguay. Qui incontro tutti: poveri della strada, bambini, bambine distrutte, malati terminali di Aids o di cancro, persone di altre confessioni cristiane, giornalisti, politici, ministri, fino al presidente della Repubblica. Tutti si avvicinano con la stessa domanda degli anni nei quali stavo al liceo di Feltre, Belluno. Saranno cambiati i tempi, ma la curiosità dell’uomo davanti ad una provocazione vera è tuttavia sempre la stessa. E la provocazione non è una coerenza di vita ma uno sguardo pieno di compassione come quella di Gesù con Zaccheo, la samaritana, Matteo, l’adultera. È l’amore, la tenerezza che rompe il cuore di pietra e muove la persona a confrontarsi con lo sguardo di Gesù vivo negli occhi di un peccatore innamorato di Gesù. Il mondo è affamato di Cristo. Cioè di una carezza autenticamente umana, di un abbraccio capace di comunicare il senso, il gusto della vita. Alcuni giorni fa è morta di cancro Carola, una bella ragazza di 20 anni. È morta quasi all’improvviso, con grande sorpresa di tutti. Non potrò dimenticare mai l’abbraccio di sua mamma appoggiata con la testa sulla mia spalla. In quel momento ho sentito la presenza di Gesù che mi chiedeva di comunicarle tutta la sua tenerezza, come segno della tenerezza divina nella quale la figlia stava già vivendo. Finché i suoi singhiozzi si sono calmati, lasciando il posto ad una profonda pace. È la stessa cosa che succede con i miei bambini che quando mi È l’amore che rompe vedono da lontano cominciano a gridare il mio nome, correndomi incontro e gettandosi tra il cuore di pietra e le mie braccia o aggrappandosi a me. L’altro muove verso lo giorno una bimba voleva abbracciarmi e, istinsguardo di Gesù. tivamente, per quell’inumano clima di terrore creato dalla questione della pedofilia, mi soIl mondo è affamato no tirato indietro. La bimba mi ha chiesto, tridi Cristo. Cioè di una ste: «Papà, perché non lasci che ti abbracci?». Mi ha causato un forte dolore e anche, sincarezza veramente ceramente, una grande rabbia verso chi crea umana, di un abbraccio questo clima di violenza per il quale non posso permettermi neanche di amare questi bambicapace di comunicare ni a cui nessuno ha mai voluto bene nella viil senso, il gusto ta e che hanno bisogno di tanto amore. Nei giorni scorsi, in compagnia dell’avvocato della della vita 44 | 24 luglio 2013 | | A destra, Aldo Trento nella “sua” fattoria Padre Pio in Paraguay Fondazione, sono dovuto comparire davanti al Tribunale dei minori perché una donna pazza, alla quale abbiamo proibito di portarsi a casa tre bambini, denunciò alla procura la casetta di Betlemme per abusi sessuali. Una cosa assurda, una vergogna che non mi preoccupa personalmente, sono abituato a questo genere di vendetta. Una persecuzione normale per chi si occupa di raccogliere, amare, educare questi bambini abbandonati. Ma niente e nessuno mi potrà impedire di andare avanti, vivendo la posizione di Gesù verso i più piccoli. La testimonianza che segue è quella di un giovane che vive con noi nella fattoria “Padre Pio.” È la storia di un immenso dolore e di un piccolo gesto di amore che gli ha salvato la vita. [email protected] I l mio nome è Julio Santiago Fernandez Ramirez. Sono nato a Caaguazú il 6 luglio del 1985 e sono figlio unico. Non sono riuscito a finire la scuola perché soffrivo di epilessia. Per anni mio padre e mia madre hanno badato molto a me, dato che la mia malattia è incurabile. Prendevo medicine per cercare di avere meno convulsioni, perché le avevo molto spesso. Poi a 16 anni ho conosciuto una ragazza, Juanita, di 15 anni, anche lei della mia città. Nel 2004, quando avevo 19 anni, mio padre è morto di ictus ed è stato un colpo molto duro. Dopo la sua morte ho iniziato a bere alcolici e ho smesso di prende- di Aldo Trento re le medicine. Mia madre e la mia fidanzata mi dicevano di smettere ma io non gli davo retta. Ho cercato di imparare un mestiere per costruirmi un futuro, ma per colpa della malattia avevo poche possibilità di lavorare. A 22 anni ho sposato Juanita con rito civile anche se mia madre mi consigliava di aspettare. Mio zio è venuto dall’Argentina per portarci a vivere là. Ci siamo rimasti per 5 mesi, ma mia madre non stava bene e infatti a maggio, tre giorni prima del suo compleanno, è morta improvvisamente. Prima di morire le avevo promesso che avrei ripreso a prendere la mia medicina. Mio zio mi aiutò molto a superare questa perdita tanto grande, la più dolorosa della mia vita. Sono tornato in Paraguay molto scioccato insieme a mia moglie, anche lei mi è stata molto vicina. Siamo venuti a Caaguazú, nella casa che aveva comprato mia madre. Abbiamo messo su un negozietto che mia moglie si occupava di gestire quando io dovevo andare a lavorare fuori. Lei era incinta e diede alla luce un bambino che abbiamo chiamato Keanu Gerardo Fernandez Ramos. Dopo alcuni mesi mi accorsi che mia moglie si comportava in modo strano. Al principio pensavo che fosse arrabbiata con me perché continuavo a bere, ogni fine settimana con un vicino di nome Fazio e in più non prendevo le medicine. Finché un giorno mia moglie non mi disse la verità: amava Fazio. Quando l’ho saputo ho preso una fune, l’ho fissata a un albero e me la sono messa intorno al collo. Mi sono buttato e poco dopo ho visto una persona vestita di bianco e poi mia moglie insieme al mio vicino che mi hanno salvato. Lei allora mi ha detto: «Grazie a Fazio sei vivo!». Le ho chiesto perché non mi avesse lasciato morire. Poco dopo questo fatto lei è tornata a casa dei suoi genitori e io ho deciso di tornare in Argentina. Sono partito senza conoscere nessuno nel posto in cui andavo. Sono rimasto in una piazza per quindici giorni senza mangiare né bere niente. Una casa e ancora il vagabondaggio Un giorno una persona mi ha chiesto di dove fossi. «Sono del Paraguay», ho risposto. Era paraguaiano anche lui e mi ha offerto ospitalità a casa sua per alcuni mesi. Ho cercato di lavorare, ma il guadagno era minimo e così sono tornato in Paraguay, nella città di Capiatá, all’indirizzo che mi aveva dato l’amico con cui ero vissuto in Argentina. I primi giorni sono stati molto difficili perché non conoscevo nessuno e nemmeno il posto. Ancora una volta mi sono ritrovato in una piazza e poi mi sono giocato le possibilità di alloggio che avevo trovato. Soprattutto, non potevo lavorare molto per via della mia malattia. Eppure riuscivo a rimediare qualcosa per guadagnare denaro e ubriacarmi. Fino a che un giorno il miscuglio della mia medicina e dell’alcol mi hanno quasi ammazzato. In quel momento ho preso la decisione di smettere di bere e così ho fatto. È già da un anno e mezzo che ho smesso di bere e ho ripreso le medicine. Per fortuna ho trovato delle persone che mi aiutavano quando terminavo la medicina, ma riconosco che comunque non mi curavo come avrei dovuto. Poi nel 2012 mi viene detto che dovevo lasciare la casa in cui vivevo perché i proprietari dovevano affittarla. Mi sembrava uno scherzo. Invece dopo due anni mi hanno buttato fuori per davvero. Per fortuna nel quartiere viveva una signora chiamata Rufina che di solito mi aiutava dandomi da mangiare e a volte anche dei soldi. Grazie a lei e a molte altre persone ho continuato a vivere. Grazie a Rufina, in particolare, sono arrivato alla Fondazione San Rafael, a padre Aldo e a tutte le persone che ci lavorano. Grazie a loro posso continuare il mio trattamento in modo adeguato e avere una casa dove vivere. Rendo grazie a Dio e alla Vergine, ai miei genitori che mi proteggono. Sono arrivato alla Fattoria Padre Pio e qui sono rinato, ho incominciato una vita nuova e mi sento molto felice perché ho finalmente trovato persone che mi vogliono veramente bene. Qui viviamo come persone normali, abbiamo i nostri lavori giornalieri, come una famiglia. C’è un’altra cosa che voglio dire: qui vive una persona molto speciale. Mi cura e mi consiglia quando ho qualche problema e mi aiuta molto. Quella signora è Ña Nilda e io la ringrazio moltissimo. Sono già 8 mesi che sto vivendo nella fattoria e mi sento molto felice. Ringrazio padre Aldo Trento per avermi ricevuto quando ero già perso, anche la Fondazione San Rafael per offrirmi tutto quello di cui ho bisogno per curarmi, le medicine e altre cose. Di tutto cuore dico loro molte grazie e chiedo a Dio e alla Vergine che abbiano cura delle loro vite. Julio | | 24 luglio 2013 | 45 LETTERE AL DIRETTORE G. Bocca si chiese se sia giusto o no ammazzare un prigioniero di guerra L a lettura del numero 28 di Tempi mi ha provocato le seguenti considerazioni. Si parte dall’on. Lupi (quello delle multe scontate del 30 per cento, per cui sarà sempre più conveniente pagare e tacere che non ricorrere contro un’ingiusta sanzione), che fa l’elogio delle opere pubbliche, ossia della spesa pubblica (=tasse). Si prosegue con Roberto Snaidero, felice e sollevato per essere entrato anche lui nel club delle imprese sussidiate dallo Stato. Arriviamo all’articolo di Morri che esalta la (s)vendita del patrimonio immobiliare pubblico, ignorando che questo avrà effetti devastanti sul già esanime mercato immobiliare italiano, lasciando invariata la vera causa della recessione italiana, ossia l’elefantiaca spesa pubblica di uno Stato tra i meno sussidiari al mondo. Ci si mette anche Berlicche che, da buon diavolo, dice la verità ma si dimentica (intenzionalmente, of course, se no che diavolo sarebbe?) che il perdono va elargito sì grandemente, ma che vi sono delle precondizioni quali: accusa dei peccati, pentimento di cuore, fermo proposito a non peccare più. Come apoteosi: l’elogio del gioco d’azzardo gestito e/o regolamentato dallo Stato, altro bel sistema per aumentare il gettito fiscale ingoiando il denaro dei grulli (non diceva qualcuno che le lotterie son la tassa sugli imbecilli?), come se l’unico gioco cattivo fosse quello clandestino, mentre quello pubblico è tutto sommato buono (dove ho già sentito questa argomentazione? Legge 194? Può darsi). Concludo citando un proverbio veneto: “Le speranze dei disperati sono tre: trovare denaro, ereditare, vincere al Lotto”. Dall’ultimo numero di Tempi ho capito questo: siamo disperati, e facciamo pure l’elogio della disperazione. Con immutata stima e augurio di buon lavoro. Andrea Zambelli via internet Mi faccia capire: realizzare grandi infrastrutture pubbliche come l’Alta Velocità, fare Pil con la circolazione e l’approvviginamento di mezzi e servizi, è spesa quanto trenta bidelli a plesso scolastico moltiplicati per gli impiegati alla Regione Sicilia, più l’esercito di uscieri, applicati di cancelleria, lavoratori socialmente utili eccetera? Mettere a reddito il patrimonio statale che langue come Pompei e produce solo parassitismo abbattendo di brutto il debito pubblico che ci costa qualcosa come due finanziarie l’anno (80 miliardi) di interessi, renderebbe povero Caltagirone? Devo vietarmi il Superenalotto e andare in giro con l’occhio da boia? Scusi, ma lei è disperato o ci fa? Con simpatia. 2 Lunedì 15 luglio è apparsa su Repubblica la trascrizione di un’intervista a Giorgio Bocca realizzata nel 2009 per un libro che uscirà prossimamente. Che io sappia, è la prima volta che l’“arcitaliano” dell’Espresso racconta di avere ucciso a sangue freddo, da partigiano, un maresciallo delle Ss tedesche prigioniero della sua brigata. «Era un uomo fortissimo», ricorda Bocca. «Conosceva tutti i posti a disposizione delle nostre bande. A un certo punto viene un rastrellamento e io dico: “Questo qui non possiamo lasciarlo andare, perché va immediatamente a rivelare tutte le nostre posizioni, bisogna fucilarlo”. L’ho detto ai miei comandanti di banda, che uno dopo l’altro sono venuti a dirmi: “Io non ce la faccio!”. Abbiamo persino tirato la pagliuzza per vedere a chi toccava e, visto che nessuno si decideva, l’ho fatto io. L’ho fatto io… e ancora adesso mi chiedo se ho fatto bene o se ho fatto male. Allora ero certo di aver fatto bene: per spiegare agli uomini che era una guerra spietata e che non si potevano avere pietà o pentimenti, bisognava che il comandante si assumesse le responsabilità. Ma adesso, dopo tanti anni, non so se fosse giusto o non giusto». Ecco, mi è parso molto bello ricevere questa lezioncina di “spietatezza necessaria” proprio nei giorni in cui lo stesso quotidiano ci fa una testa così perché abbiamo strapazzato i diritti umani consegnando la povera famiglia del dissidente kazako al «satrapo». Paco Minelli Ferrara Bella “la spietatezza necessaria”. Ma non c’entra la lezioncina da Borat. Il problema piuttosto è se tra tutti gli autori puri, giusti, superiori che frequentano Repubblica ce ne sia almeno uno che non abbia posto ad altri invece che a se stesso la domanda fatidica che si è rivolto Giorgio Bocca (sì, è vero, forse un po’ tardivamente). 2 Si sono fronteggiati ancora una volta, a Milano, prolife e femministe. Nelle precedenti occasioni, queste ultime – non autorizzate e del tutto indisturdi Fred Perri IO DICO: LIBERALIZZIAMO Q uando il mondo dello sport viene squassato da casi clamorosi di doping come quelli appena rivelati di Gay e Powell o semplicemente dal sospetto (su Froome il dominatore del Tour: non appena uno va forte a pedali si pensa subito a una bomba), torno ad avanzare la mia vecchia proposta: liberalizzazione totale del doping sportivo che, in questo caso, non sa- 46 | 24 luglio 2013 | | rebbe neanche più doping. Tra l’altro, se fosse tutto alla luce del sole, ne trarrebbero giovamento anche gli atleti che potrebbero essere seguiti da strutture organizzate, da medici preparati e non da stregoni più o meno laureati. Ovviamente mi rendo conto dell’enormità della proposta e rispetto le opinioni di chi pretende la re- Foto: AP/LaPresse C’è una cosa peggio del doping il professionismo dell’anti-doping [email protected] bate – avevano insultato, lanciato oggetti e distrutto cartelloni di chi difende la vita degli esseri umani inermi e innocenti non ancora nati. Stavolta, le libertarie hanno giocato di fino, esibendo anche un cartello con scritto: «I Cav (Centri di aiuto alla vita, ndr) si chiudono con il fuoco con gli obiettori dentro se no è troppo poco!». Si tratta di istigazione a delinquere (omicidio e strage), un reato perseguibile d’ufficio che, vista la flagranza, avrebbe meritato l’arresto della responsabile e l’immediata rimozione del cartello. Niente di tutto questo, le forze dell’ordine hanno redarguito solo chi ha segnalato il grave reato. Potrebbe essere il passaggio definitivo dell’Italia da culla a tomba del diritto. Enrico Pagano via internet Capisco che questi prolife disturbino la quiete pubblica e anche la mia immaginazione quietista. Però le esagerazioni da nonne acide proprio non le capisco. Lasciamole scalmanare e non scalmaniamoci noi, per favore. 2 Leggo volentieri dell’attività del ministro Maurizio Lupi che peraltro mi informa costantemente e puntualmente del suo operato, essendo io un suo elettore, perché non potevo esprimere preferenze. Reputo però che si debba parlare con chiarezza a 360 gradi: lui non mi dice cosa pensa dell’aborto e di altre questioni che gli pongo. Perché non ci sente? È sordità congenita (allora ci vuole un miracolo) o sordità acquisita (vediamo le cause)? Leo Aletti A CIASCUNO IL SUO COMPITO La battaglia sui princìpi irrinunciabili e il messaggio essenziale del Papa CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano L Accattoli ha fatto notare sul Corriere della Sera che Papa Francesco evita di parlare delle questioni legislative cosiddette “irrinunciabili”: la legislazione su matrimonio, aborto, scuola non statale, eutanasia e così via. Il Papa parla e agisce con radicalità evangelica: i suoi discorsi invitano alla generosità senza ipocrisie e sono costellati di parabole come quelle che i vangeli ci riportano secondo i discorsi di Gesù. Il suo comportamento è proprio di colui che non ha dove posare il capo: come Gesù si ferma a confortare chi soffre, anche se si tratta di samaritani cioè di persone che hanno un diverso credo religioso, corre dagli ammalati e dai prigionieri, scansa gli incontri mondani. Mi sembra che l’intenzione del Papa sia quella di lasciare a me, che sono un cittadino cristiano, il compito di adoperarmi perché la società sia retta da leggi rispettose della dignità umana, mentre lui, il Papa, si è assunto il compito di annunciare in modo trasparente e fedele il messaggio di Gesù. È su quel messaggio che si è fondata la civiltà armonica e rispettosa dell’uomo di cui ancora oggi, malgrado tutto, godiamo i benefici: è la civiltà che conta gli anni dalla nascita di Cristo. Il Papa va all’essenziale, perciò le sue parole e il suo comportamento sono così evocativi del fascino di Gesù. Senza quel fascino non si costruisce niente. Se è vero che devo esigere una legislazione giusta dallo Stato, è vero anche che devo ringraziare il Papa per la nuova primavera della Chiesa. uigi Ecco, se l’aborto non esistesse, cosa non si farebbe per evocarlo anche nel discorrere di mattoni, non forcipi. 2 La presidente della Camera Laura Boldrini si è detta soddisfatta della scelta della Rai di non mandare più in onda Miss Italia e ne ha approfittato per deplorare il ruolo “muto” a cui sono relegate le donne nel piccolo schermo. Adesso sì che il nostro sarà un paese civile senza cosce né fondoschiena (pardon, lato B!) in vista. Una bella legge sull’omofobia, una sul femminicidio e magari pure una norma che regola il grado di nudità permesso alle signore in tv. Questo è progresso? Cecilia Marchetti Milano Lauretta ha proprio meritato il ritrattino che le dedicheremo la settimana prossima. Foto: AP/LaPresse SPORT ÜBER ALLES golarità delle manifestazioni sportive. Ma c’è un altro aspetto non marginale, al di là del tema etico, che rende irrealizzabile la faccenda. L’anti-doping, come tanti “anti” della nostra epoca, in se stessi rispettabili (anti-fascismo, anti-mafia, anti-imperialismo), è diventato un business clamoroso. Insomma, un mestiere. Sull’anti-doping, come su tutti gli altri anti, sono state costruite carriere, aziende, guadagni, si mantengono mogli e amanti, case con l’Imu e palazzi senza. Insomma, ho il sospetto che ormai gli “anti” guadagnino di più di quelli che vogliono contrastare e che quindi non ci libereremo mai di loro, né di quelli che, in teoria, stanno contrastando. Dio, adoro essere così lucido. | | 24 luglio 2013 | 47 taz&bao Eurottus «Oltre a vedere il mondo da una prospettiva distorta, i funzionari (dell’Unione Europea) non si curano delle cause profonde, e si concentrano perlopiù sugli aspetti tecnici, legali e istituzionali. Quando difendono l’austerità, lo fanno a partire dalla cornice dei trattati europei, che dicono loro in grande dettaglio come deve avere luogo l’aggiustamento fiscale e cosa succede se non viene fatto. Non è che sono in stato di negazione circa gli effetti dell’austerità fiscale o della disoccupazione. Alcuni lo sono, altri no. Ma il punto è che la cosa sta fuori dalla loro cornice di riferimento. Pertanto non è una sorpresa che il sistema prescriva la medicina sbagliata. Anziché azzerare la politica monetaria e quella fiscale, tutti stanno sprecando tempo prezioso con programmi cinici che hanno per oggetto la disoccupazione giovanile, benché tutte le evidenze teoriche e pratiche ci dicano che tali programmi sono uno spreco di tempo e soldi se non sono sostenuti da una politica macroeconomica». Wolfgang Münchau Financial Times, 14 luglio 2013 48 | 24 luglio 2013 | | Foto: Getty Images usità TERRA DI NESSUNO LIVORNO, AL BAR DELLO SPORT Italia così uguale così in pace V ada (Livorno), sabato 13 luglio. Le nove del mattino. Il sole già alto nel cielo chiaro. Me ne sto qui sotto i portici, a un tavolino del Bar dello Sport, a guardare chi va e chi viene in piazza Garibaldi. Davanti a me la tazzina vuota manda ancora aroma di caffè. Questa è la piazza principale del paese: in fondo c’è la chiesa, e qui davanti un giardino con gli oleandri e le palme; e una fontana, dove nelle ore calde vanno a bere i bambini che giocano alle altalene. Si affacciano sulla piazza una pescheria, un gelataio, due trattorie e delle botteghe di cose da mare. Appesi in fila, costumi, sandali, palette e secchielli. Alligatori di gomma gonfiabili. Passa una bambina per mano alla madre e guarda l’alligatore, incantata. La madre la tira via e lei ancora si volta a guardarlo, l’indice teso a indicarlo, innamorata. Il movimento più intenso è attorno all’edicola. Un andirivieni di uomini anziani in canottiera e ciabatte, che se ne tornano con Il Tirreno sottobraccio. Poi passano dal tabaccaio, e infine oziosamente ciabattando vanno verso casa. Le donne sono più di fretta, con la sporta della spesa già piena e un figlio o un nipote accanto. I ciclisti pedalano indolenti, e volentieri in contromano; un vigile all’angolo lascia correre, non osando contraddire ciò che evidentemente è usanza qui, da generazioni. Davanti alla bottega del fornaio c’è una lunga coda per la pizza al trancio. La si porterà, oggi, alle Spiagge Bianche insieme all’anguria, nella piccola chiazza d’ombra dell’ombrellone, sotto al sole a picco di luglio. 50 | 24 luglio 2013 | | di Marina Corradi Passano dei turisti nordici, paonazzi. Annusano il profumo di cacciucco che già viene da una trattoria. Dicono qualcosa in tedesco, sorridono fra loro. Piazza Garibaldi, Bar dello Sport. Quante piazze Garibaldi e quanti Bar dello Sport ci saranno, nei paesi d’Italia? Con la chiesa al centro, e poco più in là, magari ancora la vecchia insegna rossa del Pci, con la falce e il martello sbiaditi. Col tabacchi, e accanto la buca delle lettere, dove il postino passa a orari uguali; e i pensionati che, passata l’ora più calda, si siedono sulle panchine del giardino pubblico. E scricchiolano i passi sulla ghiaia, e arrivano le grida dei ragazzini dal cortile dell’oratorio. Le foglie sulle chiome degli alberi sopra di loro sono verde scuro, pesanti, nel colmo dell’estate. I giornali in edicola hanno titoli a caratteri grossi, allarmanti; ma la gente di piazza Garibaldi sa, o crede, che non ci sia da allarmarsi davvero. Che l’anno prossimo si sarà ancora qui, sotto a un cielo azzurro, e nuovi bambini appena capaci di stare in piedi pretenderanno palette e secchiello. Per fare castelli di sabbia che le onde disferanno, al tramonto; quando, pedalando adagio, si tornerà, senza fretta, a casa. Piazza Garibaldi, dai tavolini del Bar dello Sport l’Italia sembra ancora così uguale; e così in pace, e antica, che fatichi a credere possa mai cambiare. Abbonamento annuale Campagna Meeting 2013 Cartaceo Abbonamento annuale Digitale Tutti gli abbonamenti comprendono: i T e mp p l i c az i on ve r s i one www. .it www. .it le a r tphone Ap in gita sm i r tabl et e di pe 20 * di buono spesa in omaggio da € Ti aspettiamo al nostro stand PADIGLIONE A3 dal 18 al 24 agosto * 2500 punti C o r r i s p o n d enti a 30 euro d i c a r b u r a nte omaggio A fronte di una spesa di almeno 50€ con Carta Vantaggi Sottoscrivendo un abbonamento durante il Meeting di Rimini avrai diritto a: