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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
anno 19 | numero 29 | 24 luglio 2013 |  2,00
Via dallo stress e
dai fallimenti della
fecondazione in provetta.
Ecco tutto quello che
avreste voluto sapere e
non vi hanno mai detto
sulla convenienza
(anche economica)
dei metodi naturali
nella cura dell’infertilità
Ridateci
la cicogna
EDITORIALI
BLITZ DEL PD CONTRO I VOUCHER SOCIO-SANITARI
Pur di cancellare il modello Formigoni
trattano i lombardi come dei cretini
D
a quando è stato eletto governatore lombardo a scorno dei poterazzi che contavano
di aver cancellato il ventennio di buona amministrazione delle giunte Formigoni, il nostro amico Roberto Maroni continua ad avere dei grossi calabroni che gli
ronzano attorno. Il ronzio, naturalmente, allude ai benpensanti che considerano il “Bene” affare loro. Così, nonostante il governatore sia molto consapevole delle malevole attenzioni di cui gode la sua maggioranza presso la grande stampa, suo malgrado, settimana scorsa ha permesso all’opposizione di cantare vittoria perché in sede di Consiglio
è stato approvato un ordine del giorno che sembra voler archiviare in ambito socio-sanitario i cosiddetti “voucher”. Cioè i “buoni” che oggi il cittadino spende nella struttura che offre servizi di assistenza domiciliare o di riabilitazione che ritiene più adeguata.
Durante un colloquio informale il governatore ha assicurato a Tempi che non ha nessuna intenzione di archiviare la sussidiarietà. Sappiamo però che il terreno è sdrucciolevole e i nemici della libera Lombardia sono tanti. Visti i suoi guai giudiziari, di Formigoni
è vietato parlare. Però, neanche si può accettare la logica secondo cui per cancellare un
nome si deve affermare che il cittadino è cretino. Dunque «non bisogna lasciarlo solo»
– come dice il Pd – nella scelta dei servizi, ma devono essere Asl e Comuni a decidere al
posto suo. Come abbiamo scritto e ripetuto a
iosa, a Formigoni può essere rimproverato di È PASSATO IN CONSIGLIO UN
tutto. Ma non l’aver lasciato ai cittadini lomODG DELLA SINISTRA CONTRO LA
bardi quei conti a posto, quelle libertà di scelta e quelle qualità dei servizi (specialmente LIBERTÀ DI SCELTA. MARONI ha
in sanità) che nel resto dell’Italia ci invidiano. ASSICURATO A TEMPI che non
E che per mancanza dei quali l’Italia affonda. ha intenzione di seguirLO
BORAT IN REDAZIONE
Dite a Ezio Mauro che l’amico italiano
del “satrapo” kazako è più P. che B.
S
arebbe bastato leggere i giornali stranieri per porsi delle domande sulla salute
dell’informazione italiana al seguito del pasticciaccio brutto combinato dai nostri apparati di polizia con la “deportatio” (termine usato dai gionali kazaki) della
moglie e figlia di Mukhtar Kabulovich Ablyazov. Per prima cosa, come racconta su queste pagine Fausto Biloslavo, tutto si può dire di un ricco sfondato ricercato dall’Interpol, tranne che è un “dissidente” e “capo dell’opposizione”. Punto secondo, ciò è niente davanti alla figura da Borat che ha fatto Ezio Mauro nel suo tonitruante editoriale di
lunedì e replica del martedì, in cui, per berlusconizzare il Kazakistan e chiedere le “Dimissioni, subito” del ministro Alfano, ha dovuto dipingere un Ciancimino asiatico come Solzenicyn e un padre-padrone come un Gheddafi del Cremlino. «Un satrapo che
dall’età sovietica, reprimendo il dissenso, guida quel paese e le ricchezze oligarchiche
del gas, che gli garantiscono amicizie e complicità interessate da parte dei più spregiudicati leader occidentali, con il putiniano Berlusconi naturalmente in prima fila». Naturalmente ciascuno è libero di pensare quello che vuole. Però, chi glielo dice a Ezio Mauro
che l’autorevole e di sinistra Der Spiegel il 13 marzo scorso ha segnalato tra «i consulenti» dell’«autocrate» non Berlusconi, ma i principali leader del centrosinistra europeo e il
«former prime minister Romano Prodi», tutti «membri dell’International Advisory Board
DER Spiegel INFORMA CHE
di Nazarbayev» dove «ciascuno è pagato anUNO DEI «consulenti»
nualmente con un fee a sette cifre»? Non è un
DI NAZARBAYEV È L’EX
reato. E neanche un peccato. Però non
PREMIER ITALIANO E PADRE si sa mai, magari poi Borat si incazza
DEL PD Romano Prodi
e berlusconizza pure il padre del Pd.
FOGLIETTO
Sul caso D’Amico.
Un malato incurabile
c’è: è la civilà che
subordina il rispetto
della natura all’arbitrio
G
iudice in pensione dal 2010. Gli
viene diagnosticato un male incurabile. Si reca in Svizzera, in
una clinica per “suicidi assistiti”: muore
l’11 aprile 2013. Tre mesi dopo, l’autopsia dice che i medici avevano sbagliato:
non c’era alcun tumore. I (pochi) commenti mediatici si concentrano non sul
viaggio della morte procurata e “legale”
nel cuore della civilissima Europa, né
sulla circostanza che non è il primo caso – ricordiamo tutti la vicenda di Lucio
Magri –, ma sul fatto che Pietro D’Amico sia stato ucciso “inutilmente”, visto
che era sano. È invece “sano” di mente
chi ritiene che se D’Amico avesse
avuto veramente il cancro, era giusto
ammazzarlo? Il male incurabile lo ha
un sistema giuridico nel quale il dato di
realtà è sempre più sostituito dalla percezione, e nel quale trova tutela non il
diritto fondato sul rispetto della natura
dell’uomo, ma qualcosa di transitorio e
di mutevole come il desiderio. La ferita
nell’ordinamento l’ha provocata 35 anni
fa la legge sull’aborto: costruita sul modello dell’“aborto terapeutico”, in realtà
permette di uccidere il concepito in
base al mero timore che nasca malformato; allora come oggi, una percezione
soggettiva si trasforma in una sentenza
di morte. Poiché il diritto alla vita è il
fondamento di tutti gli altri, non deve
sorprendere che la logica della sottomissione della realtà all’arbitrio della
soggettività scorra dalla fase iniziale
dell’esistenza a quella conclusiva. E
non è finita: nella legge sulla omofobia,
che destra e sinistra hanno fretta di
approvare alla Camera, la legge penale
è chiamata a tutelare l’«attrazione»
verso una persona dello stesso sesso e
la «percezione che una persona ha di
sé come appartenente» a un «genere
(…) anche se opposto al proprio sesso
biologico». La civiltà sta nel contrastare
questa deriva di morte o nel lasciare
che ci travolga del tutto?
Alfredo Mantovano
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA UNA FEDE CHE SORPRENDE | CAMISASCA, AMICONE
NUMERO
29
anno 19 | numero 29 | 24 luglio 2013 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
Via dallo stress e
dai fallimenti della
fecondazione in provetta.
Ecco tutto quello che
avreste voluto sapere e
non vi hanno mai detto
sulla convenienza
(anche economica)
dei metodi naturali
nella cura dell’infertilità
Ridateci
la cicogna
Ecco tutto quello che
avreste voluto sapere
e non vi hanno mai detto
sulla convenienza
(anche economica)
dei metodi naturali
nella cura dell’infertilità
14 INTERNI ABLYAZOV, DISSIDENTE PER FINTA | BILOSLAVO
LA SETTIMANA
Foglietto
Alfredo Mantovano...........5
Solo per i vostri occhi
Lodovico Festa........................ 19
Le nuove lettere di
Berlicche................................................33
Presa d’aria
Paolo Togni..................................... 38
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 39
Post Apocalypto
Aldo Trento.................................. 44
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 46
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 47
Terra di nessuno
Marina Corradi......................50
26 SOCIETÀ FIGLI SENZA PROVETTA
CASADEI, AGNOLI
RUBRICHE
20 ESTERI EGITTO, E DOPO IL GOLPE? | GROTTI
34 L’ITALIA CHE LAVORA ARTIGIANO DELLE PIPE
Stili di vita........................................... 38
Per Piacere.........................................41
Motorpedia........................................42
Lettere al direttore.......... 46
Taz&Bao................................................48
Foto: Ansa, AP/LaPresse,
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 19 – N. 29 dal 18 al 24 luglio 2013
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
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UNO DI NOI
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DI MASSIMO CAMISASCA
Foto: Getty Images
Il padre
imprevedibile
Dicevano: la Chiesa è morta. Poi è venuto Francesco,
la guida che tutti desideravano e che nessuno si
aspettava. Sempre alla ricerca di nuove strade
per raggiungere gli uomini, così papa Bergoglio
libera la fede dalle incrostazioni mondane e la rende
di nuovo attrattiva. Rimettendo al centro Gesù stesso
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guidare con autorevolezza e misericordia.
E non a caso Papa Francesco ha ripreso un
numero imprecisato di volte questa immagine: il pastore e le pecore, quelle smarrite da cercare, quelle già nell’ovile che non
bisogna perdere tempo a coccolare, dimenticando le altre, sole e perdute.
Ma le folle non cercano solo un padre.
Cercano un padre vicino. Ecco allora l’importanza della parola e dei segni. Bergoglio conosce l’arte della comunicazione.
Non parla solo con le parole, ma con i
gesti e le espressioni del volto. Il suo umorismo trasmette quella serenità di cui è
assetato il cuore dell’uomo. Ma è soprattutto attento ai segni. Non usare una cro-
ce pettorale d’oro, abitare a Santa Marta
assieme ad altri preti, chiedere la benedizione del popolo… sono segni che danno
alla gente l’impressione chiara che Francesco è un uomo vicino, che è uno di noi,
che qualcosa di nuovo sta accadendo.
Tanta gente che non entrava in una
chiesa da anni, forse da decenni, torna
a confessarsi. Tanti accorrono a Roma in
pellegrinaggio e affollano Piazza San Pietro. Non sono solo le udienze del mercoledì o gli Angelus della domenica a raccogliere decine e decine di migliaia di persone. Nella piazza, che è il cuore della cristianità, accorrono gruppi numerosi perfino di notte, pregando e cantando, tenen-
Foto: Ansa
C
he cosa cercano le folle in
Francesco? Un padre. La
sete di un padre caratterizza il nostro tempo. È la
ricerca di una presenza che
sappia indicare la strada, in
un tempo segnato da molte ombre e da
poche luci. Un padre che sappia indicare la via anche correggendo i percorsi sbagliati, ma sempre con un tono amorevole
e rassicurante.
La Tradizione della Chiesa, ma prima
ancora Gesù nel Vangelo (si legga il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni), hanno
indicato nell’immagine del Buon Pastore
il riferimento più chiaro a questa arte di
UNO DI NOI PRIMALINEA
Tanta gente che non entrava in una
chiesa da anni, forse da decenni, torna
a confessarsi. Tanti accorrono a
Roma in pellegrinaggio e affollano
Piazza San Pietro. Perfino di notte
lui? La risposta che più mi ha impressionato è stata quella di un giovane: in lui
mi attrae l’imprevedibilità. Bergoglio è,
in effetti, un uomo imprevedibile. Sembra sempre alla ricerca di nuove strade per
raggiungere gli uomini che ha davanti.
Ma in lui tutto ciò è naturale, come frutto
di un lungo esercizio vissuto ai tempi del
suo ministero sacerdotale ed episcopale.
Foto: Ansa
Massimo Camisasca,
fondatore e già
superiore della
Fraternità dei
missionari di San
Carlo Borromeo, è
vescovo di Reggio
Emilia dallo scorso
mese di dicembre
do in mano candele accese. Se un prete è
riconoscibile, in treno, in aereo, sull’autobus, ha molte probabilità che il suo vicino
gli parli di Papa Francesco, gli esprima la
sua gioia, la sua gratitudine, come se avesse contribuito ad eleggerlo.
Di questo Papa si parla dovunque e
il più delle volte con benevolenza, anzi
con gratitudine. Eppure non è un uomo
accondiscendente, un prete che gioca al
ribasso per non scontentare. Invita continuamente alla conversione e allo stesso
tempo ricorda che Dio è grazia, è perdono, gioia, pace e misericordia.
Ho chiesto a tanta gente: chi è per te
Papa Francesco? Che cosa ti colpisce in
Nessuna presunzione
La Chiesa ha bisogno di concentrarsi su
ciò che le è essenziale. È il suo bisogno di
sempre, avvertito con più stringenza in
alcuni passaggi della sua storia. Il tempo
che stiamo vivendo è uno di questi. L’essenziale è Gesù stesso, che va riscoperto
in ogni epoca del mondo ed efficacemente ripresentato ai propri contemporanei.
Lasciando perdere tutto ciò che ci divide da Lui perché è incrostazione dei secoli, dobbiamo riscoprire ciò che ci unisce a
Lui, ciò che lo rende contemporaneo, affascinante: la sua parola, i suoi sacramenti,
l’opera dello Spirito. La Chiesa può tornare a splendere.
Ma chi può operare tale passaggio
senza presunzione, senza farsi promotore di un’ideologia manichea che separa
prima del tempo il grano dalla zizzania?
Solo un santo. Per questo Papa Francesco
parla tanto della santità, che è dono di
Dio. Non accetta di ridurre il cristianesimo a un’esaltazione della volontà o a una
sapienza umana. Ha condannato più volte
il pelagianesimo e la gnosi. La sua opera di
riforma – che continua quella iniziata da
Benedetto XVI – punta tutto sulla conversione dei cuori.
Si tratta di aiutare la Chiesa a brillare unicamente della luce di Cristo, come
luna che trae la sua luce dal sole, e non
per le luci mondane che sono schermo
della vera luminosità.
Soltanto così si può comprendere l’invito continuamente rivolto dal Papa alla
Chiesa a superare le proprie chiusure,
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Un’epoca di grandi guide
Nessun secolo della bimillenaria storia
della Chiesa, come l’attuale e quello passato, ha visto una serie così sorprendente di Vescovi di Roma. Molte volte il popolo cristiano si è chiesto: dopo un Papa così
grande, chi potrà succedergli ora? Eppure dopo Pio XII abbiamo avuto la sorpresa epocale di Papa Giovanni, dopo Paolo
VI la personalità ricchissima e apostolica
di Giovanni Paolo II. Dopo Wojtyla sembrava aprirsi una successione impossibile,
eppure si è avuto il dono di un uomo umile, capace di leggere, come pochi, il tempo presente. E ora un’altra sorpresa epocale: Francesco.
La Chiesa è morta, raccontava, sul più
importante quotidiano italiano, l’articolo di un famoso regista cinematografico.
Sembrava schiacciata, almeno nei suoi
vertici ecclesiastici, dal peso del carrierismo, dalla ricerca del denaro. Così la presentavano i giornali, le televisioni, internet. È venuto Francesco e il cielo è improvvisamente cambiato. n
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IL CARTEGGIO INEDITO IN ITALIA
La strana amicizia
di Claudel e Péguy
Entrambi anarchici e uomini d’ordine, cattolici e
anticlericali, i due scrittori-lottatori erano allergici
l’uno all’altro. Eppure sorprendentemente uniti
N
on sbaglia l’arcivescovo di
Ferrara
Luigi Negri a definirlo nella sua
effervescente introduzione «uno
straordinario testo». È il saggio su Paul
Claudel e Charles Péguy, esaminati quasi al microscopio da Henri De Lubac, uno
dei padri del Concilio Vaticano II, e Jean
Bastaire, giornalista e discepolo del grande gesuita francese. Il primo morirà cardinale nel 1991. Il secondo, classe 1927,
approdato al cristianesimo grazie a Péguy,
ha consacrato la vita allo studio del poeta
di Orléans, caduto in guerra il 5 settembre
1914, primo giorno della battaglia della
Marna. Così, allo scoccare dei quarant’anni dell’edizione francese, arriva finalmente la prima traduzione italiana di un sag-
|
DI LUIGI AMICONE
gio tanto penetrante quanto avvincente
sulle relazioni, al tempo stesso di stima
e di allergia reciproca, tra i due maggiori
scrittori cristiani del secolo scorso.
Edito dalla fondazione veneziana (Marcianum) voluta dal patriarca e ora arcivescovo di Milano Angelo Scola, il volume
fu concepito in vista del centenario della
nascita di Péguy e doveva essere una presentazione del carteggio custodito presso
il Centro Charles Péguy di Orléans. Quattro lettere di Claudel, una di Péguy e quattro dediche di Péguy a Claudel. «Così verso la fine – annoterà De Lubac – ho avu-
Foto: Contrasto
a uscire, a raggiungere le periferie del
mondo. Come Cristo ha lasciato il cielo,
si è fatto uomo per raggiungere la nostra
umanità malata, così noi, che diventiamo
poveri imitando il Maestro, liberi da ogni
impaccio mondano, andiamo verso i poveri del mondo che attendono il Signore.
UNO DI NOI PRIMALINEA
In queste foto, Paul
Claudel (a sinistra)
e Charles Péguy.
In un libro edito da
Marcianum Press è
ora pubblicato anche
in Italia il dialogo a
distanza tra i due
Foto: Contrasto
PÉGUY, l’«istitutore sporco d’inchiostro
fino alla punta del naso» come lo chiamava
Claudel, ci ha avvertiti: «Dobbiamo guardarci
dai parroci. Essi non hanno fede o ne hanno poca.
La fede, quando c’è, si può trovare nei laici»
to l’occasione di salutare due geni che ho
abbinato (quasi di nascosto, perché intorno a me nessuno sembrava riconoscerne
il valore) fin dall’inizio del mio noviziato
nel 1913, in un taccuino che mi ha accompagnato per lungo tempo. La lettura di
Claudel mi esaltava e mi esauriva; quella
di Péguy, anche nelle sue polemiche più
fumose, mi rilassava sempre».
Problemi di salute impediranno a De
Lubac di proseguire l’impresa oltre il centinaio di pagine introduttive. Così toccò a Bastaire annodare il filo dell’opera.
Il risultato appare così convincente che
l’unica domanda che sorge nel lettore è:
com’è possibile che un gioiello del genere sia rimasto insabbiato per quasi mezzo
secolo? Il peguyano Antonio Socci risponderebbe: «Sono le curie che interessano ai
media, non i cristiani (e neanche i santi).
Come diceva Péguy, le “curie clericali” e
le “curie anticlericali” si trovano sempre
accomunate dal loro orizzonte, che infine
è un orizzonte politico e di potere. Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph
Ratzinger e Jorge M. Bergoglio». È talmente giusta questa osservazione che, a fronte
dell’irrilevanza culturale dell’editoria cattolica, la sorpresa di questo libro sembra
della stessa luminosa natura dell’imprevedibilità di papa Francesco e dell’amicizia
tra i due, Bergoglio e Ratzinger.
Cosa dice la Lumen Fidei a proposito no solo idealmente». Era il 1930. L’ammidell’amore se non, essenzialmente, che nistratore dei Cahiers era morto da sedi«non esiste amore senza verità»? Sembra ci anni. E dire che lui, l’«istitutore sporl’enciclica fatta apposta per illuminare ciò co d’inchiostro fino alla punta del naso»
che ha unito anche Péguy e Claudel, pur come lo chiamava Claudel, ci ha avvertinel contrasto di temperamenti così appa- ti: «Dobbiamo guardarci dai parroci. Essi
rentemente opposti. «Mi spiace non aver- non hanno fede o ne hanno poca. La fede,
lo conosciuto», scriverà all’indomani del- quando c’è, si può trovare nei laici».
la morte dell’autore del trittico dei Misteri
il poeta ambasciatore Claudel. «Aveva una Un’unica scalata da versanti diversi
cattiva opinione di me. Credeva fossi un Sconvolgente Péguy che condivideva con
franco-massone», aveva sospettato Péguy. Cartesio la ripugnanza per l’inazione e
«Claudel è un grande artista, ma non è anche per la sola esitazione. «Qualunque
intelligente». E in un certo sencosa è meglio che girare a vuoso il giudizio sembrava cogliere
to. Muoversi, avanzare, arrivare
IL LIBRO
nel segno se è vero che l’autore
da qualche parte. Arrivare altrodell’Annuncio a Maria una volta
ve piuttosto che non arrivare…
L’errore più grande ancora una
confidò a un amico: «Ma in fin
volta è errare». Comprensibidei conti, chi è questo Péguy? E
le che l’ultima parola di Claucosa vuole? I suoi figli non sono
del su Péguy sia stata la conferneppure battezzati ma li affida
ma di una fraternità vera, ma
alla Santa Vergine. Non riesco
nella radicale diversità. «Siamo
proprio a capire».
ambedue cristiani giunti alla
In realtà l’intelligenza di
religione in maniera particolaClaudel, che era stato avvicinaCLAUDEL
re… non per la via abituale. Ma
to alla lettura di Péguy nien- E PÉGUY
devo riconoscere che non abbiate meno che dal giovane André H. De Lubac
mo scalato dallo stesso lato,
Gide, aveva capito una cosa J. Bastaire
eravamo su versanti differenessenziale dell’anarco-socialista Marcianum Press
ti… avremmo potuto incontrare cattolico escluso da tutti i 26 euro
ci soltanto in cima».
sacramenti: «Definire Péguy un
Contrasti apparenti, insisterà a spiegaconvertito… Sarebbe più giusto affermare che un giorno egli si accorse di esse- re il gesuita Pierre Ganne. «Claudel, che
re diventato cristiano. È così che il Cher si definiva un “uomo d’ordine”, era proo l’Indro avvertono impercettibilmente di fondamente anarchico; Peguy, il “rivoluessere confluiti nella Loira e di avere ini- zionario”, portava in sé quasi l’ossessione
ziato a dare impulso ai suoi flutti e al suo dell’“ordine organico” della “città Armocorso». Solo Péguy fu più esatto. «È per un niosa”». Il fatto curioso è che doveva arriapprofondimento costante del mio cuo- vare De Lubac a puntualizzare con dovizia
re sul medesimo cammino e non è affatto di particolari il controverso quadro cultuper un’evoluzione né per un ripensamen- rale e la filologia degli opposti che conviveto che ho trovato la strada del cristianesi- vano nei Cahiers (i grandi della letteratura
mo». Una volta sola Péguy chiese appun- francese sono passati di lì, ma per decenni
tamento a Claudel. E quell’unica volta il loro editore restò un signor nessuno). E
Claudel non rispose. «Onoro Péguy ma dimostrare che piuttosto che una “rivista”
con distacco. Camminiamo su due binari letteraria «i Cahiers non cesseranno mai di
completamente separati che si incontra- essere uno strumento di lotta».
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INTERNI
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ANOMALIA ITALIANA
DI FAUSTO BILOSLAVO
Il sedicente
Robin Hood
Cosa c’è dietro il pasticcio della reddition kazaka
della signora Shalabayeva e figlia? Un autentico
ricercato internazionale che il nostro sport preferito
ha tradotto in minaccia immediata al governo Letta
L’
oligarca principe della bancarotta,
che fa sparire milioni di dollari
nei paradisi fiscali ma si spaccia
per indomito dissidente. I giornali che ci
cascano pur di trovare un altro scandalo
che coinvolga il Cavaliere nero, responsabile di tutti i mali, o i suoi uomini più vicini, come il ministro dell’Interno e vicepremier Angelino Alfano. Il padre-padrone del
Kazakistan bollato come un dittatore della peggior specie, che in realtà è un nostro
partner strategico da vent’anni con i governi di tutti i colori.
E nel mezzo Alma Shalabayeva e sua
figlia Alua di 6 anni, che sono state deportate grazie a una vergognosa operazione di polizia. Il pasticcio kazako, che sta
scuotendo il governo, scatta nella notte
fra il 28 e 29 maggio a Casal Palocco, alle
porte di Roma, con l’irruzione in una villa di un’agguerrita compagine di agenti.
Nei giorni precedenti l’ambasciatore kaza-
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ko, Andrian Yelemessov, era salito al Viminale premendo in maniera inusuale per
far sferrare il blitz. La polizia pensava di
mettere le mani su Mukhtar Ablyazov, un
discusso oligarca kazako che si presenta al
mondo come il Robin Hood dissidente del
suo paese, ma trova solo moglie e figlia. In
fretta e furia le due vengono espulse, con
tanto di avallo della magistratura per soggiorno clandestino, e deportate in Kazakistan a bordo – fatto ancora più inusuale –
di un jet privato affittato dall’ambasciata.
Oltre un mese dopo scoppia lo scandalo
con un memoriale della signora Shalabayeva sul Financial Times. Il ministro Alfano giura di non essere mai stato informato, la titolare degli Esteri, Emma Bonino,
che fin dal 2 giugno aveva sollevato il caso
all’interno del governo, si chiama fuori e
il presidente del Consiglio fa marcia indietro ritrattando il procedimento di espulsione. I vertici della polizia che hanno aval-
Foto: Sintesi/Photoshot
Mukhtar Ablyazov,
classe 1963, è stato
nominato ministro
dell’Energia nel 1998.
Nel 2001 fonda
la prima formazione
di opposizione
al presidente Nursultan
Nazarbayev. È accusato
di aver sottratto
miliardi di dollari con
truffe e distrazioni
di fondi in Kazakistan,
Russia e Ucraina. Anche
l’Alta corte inglese
lo processa per i suoi
maneggi finanziari
lato l’operazione sono a rischio. Martedì 16
luglio cade la prima testa. Si dimette il prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Viminale. Venerdì 19 Sel e Movimento 5 stelle presentano una mozione di sfiducia contro il ministro Alfano. Insomma,
un pandemonio col rischio di caduta del
governo Letta. Ma vediamo com’è andata
questa ennesima storiaccia italiana.
In realtà il blitz a Casal Palocco non ha
avuto successo perchè il pesce grosso, Ablyazov, non c’era, pur essendo stato segnalato a Roma da un’agenzia di investigazioni privata assoldata dall’ambasciata kazaka. I giornaloni lo dipingono come “il maggiore oppositore” del bieco regime kazako, ma non è certo un Solzenicyn della
repubblica post sovietica che si batte per
la democrazia e la libertà. Basterebbe scavare un po’ per capire che Ablyazov è un
ricercato con più di un mandato di cattura internazionale pendenti sulla testa diffusi dall’Interpol. Come dice il diretto interessato, saranno anche frutto del complotto kazako per metterlo a tacere ma a scorrere le imputazioni risulta un po’ difficile identificare Ablyazov come un dissidente senza macchia e con il petto in fuori.
I mandati di cattura sono ben tre. «Dal
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INTERNI ANOMALIA ITALIANA
Romano Prodi insieme
ai principali leader
del centrosinistra
europeo è membro
dell’International
Advisory Board del
presidente Nazarbayev
Ex delfino del presidente
Classe 1963, laureato in fisica, nel 1998
viene nominato ministro dell’Energia,
dell’industria e del commercio proprio dal
suo attuale acerrimo nemico, Nursultan
Nazarbayev, l’ex comunista che guida il
Kazakistan fin dal crollo dell’Urss. Il padrepadrone del paese lo considera uno dei giovani delfini e lo fa crescere in termini di
potere e di soldi. Nel 2001 Ablyazov si monta la testa e “tradisce” il padrino fondando
la prima formazione di opposizione. L’anno dopo finisce in galera con una condanna a sei anni, ma in pochi mesi viene rilasciato grazie alle pressioni internazionali.
Ablyazov accetta di tornare a fare
business lasciando perdere la politica. Il
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L’Italia è il terzo partner
commerciale del paese,
dopo Cina e Russia. Le
nostre ditte sono in
prima fila negli appalti.
E qualcuno dell’Idv chiede
che ai “tiranni” come
Nazarbayev sia proibita
la Costa Smeralda
“dissidente” un po’ furbetto mette la mani
sulla Bta Bank, uno dei più importanti istituti kazaki, ma continua a cullare il sogno
di spodestare Nazarbayev. Nel 2008 fa sfracelli in Ucraina, investendo nella compagnia farmaceutica Max-Well, che ben presto rischia la bancarotta. Si sospetta che
possano essere commercializzati con il
marchio Max-Well alcuni farmaci che in
realtà sono dannosi per la salute. Il risultato è che tutti i soldi della compagnia vanno a finire nella holding Eurasia di Ablyazov. Noccioline in confronto alle accuse
kazake di aver sottratto 6 miliardi di dollari alla Bta Bank. Anche Mosca punta il dito
contro l’oligarca, imputandogli di aver
fregato alla Bank of Russia 24 miliardi di
rubli. Fra un maneggio e l’altro, Ablyazov
trova il tempo di finanziare i media kazaki
che si oppongono a Nazarbayev e sfruttare
qualunque debolezza dell’ex padrino. Da
Astana, capitale del Kazakistan, reagiscono esautorando il dissidente furbetto dalla Bta Bank. Dal 2009 Ablyazov è costretto a rifugiarsi a Londra dove vive nel lusso. Il “maggiore oppositore” del Kazakistan compra una casa con nove stanze da
letto, spa, parco, laghetto e campo di polo
nella capitale inglese, nell’area chiamata
dei “miliardari”. In gran parte sono oligarchi russi come il discusso Boris Berezovsky.
La sua ex banca gli fa causa per appropriazione indebita di 6 miliardi di dollari,
ma Ablyazov si difende sostenendo che è
un’invenzione, una rappresaglia del gover-
no kazako. Il dissidente furbetto riesce a
convincere gli inglesi che nel 2011 gli concedono asilo politico. Londra è specialista
nel garantirlo ai personaggi più dubbi, che
poi si rivelano serpi in seno come nel caso
di alcuni terroristi islamici.
La fuga dall’Inghilterra
In parallelo l’Alta corte inglese processa Ablyazov per i suoi maneggi finanziari. Secondo i giudici l’imputato ha dimostrato «una sprezzante indifferenza» nei
confronti della corte. Per aver mentito gli
affibbiano 22 mesi di carcere, ma lui fugge imbarcandosi su un treno diretto a Parigi. Il 6 novembre 2012, riferendosi al dissidente, il quotidiano londinese Independent scrive: «Cinico e subdolo boss bancario kazako rischia il congelamento dei suoi
beni per 3 miliardi di sterline». Lo scorso maggio è iniziata la vendita all’asta di
alcune proprietà di Ablyazov, come la villa
da 17 milioni di sterline ad Hampstead, nel
nord di Londra, e i 100 acri (18 milioni) di
Oakland Park, vicino a Windsor. Gli inglesi gli avevano confiscato il passaporto, ma
il latitante Ablyazov, ricercato dall’Interpol, viaggia prima in Svizzera, poi nell’Est
Europa e probabilmente a Roma con documenti falsi. In Kirghizistan, altra repubblica ex sovietica, è riuscito a comprarsi almeno due passaporti. «Ablyazov si è rivenduto in Occidente come un campione della
democrazia – dichiara Erlan Idrisov, ministro degli Esteri kazako –, ma è solo un cri-
Foto: Ansa
Kazakistan per appropriazione indebita
avendo ottenuto fraudolentemente crediti di circa 52 milioni in valuta kazaka nella sua qualità di amministratore della Banka Bta», si legge nell’elenco del Viminale.
Il secondo ordine di arresto internazionale
del 4 gennaio 2011 arriva «dall’Ucraina per
associazione a delinquere finalizzata al falso, commesso quale membro del Consiglio
di amministrazione della menzionata Bta
Bank». Il terzo mandato diffuso dall’Interpol il 28 febbraio 2013 proviene da Mosca
«per frode, abuso di fiducia, riciclaggio e
falsità documentale, avendo acquisito illegalmente ingenti crediti dalla Bta Bank,
operante in Russia, trasferiti poi in paesi
offshore». Una delle operazioni del povero
“dissidente” riguarda i 70 milioni di dollari trasferiti prima nella società offshore Alphasea Investments Limited delle isole Vergini britanniche e poi a Cipro nella compagnia Kimoce Limited. Ma come
vedremo Ablyazov è accusato di aver sottratto 6 miliardi di dollari con mezze truffe e distrazioni di fondi dal Kazakistan alla
Russia e fino all’Ucraina. Tutto per la causa? Qualche dubbio dovrebbe sorgere scorrendo la parabola dell’oligarca in esilio
che si è inventato dissidente per necessità.
NON PARLIAMO DI COMPLOTTI
L’harakiri di un paese divenuto
appetibile solo per le speculazioni
Foto: Ansa
Ci mancava solo lo scandalo kazako. I casini che si accumulano sull’Italia adesso cominciano a essere un po’ troppi per non sospettare: A) siamo
un paese di Tafazzi. B) qualcuno lassù ci vuole male. Volevi dire? Volevo dire:
metti in fila che, Berlusconi riluttante perché contro i nostri interessi (Eni) in
Libia, ci hanno obbligato a fare la guerra a Gheddafi (primavera 2011). Dopo
di che, tra agosto e dicembre, sempre del 2011, ci hanno bombardato per sei
mesi la Borsa italiana fino a ottenere (con probabile manina di frau Angela
Merkel) la deposizione di Berlusconi e la nomina di Monti. Il quale fa “i compiti
a casa” e lascia mano libera a Berlino mentre i nostri asset strategici, Eni
e Finmeccanica, vengono attaccati dalle procure. Tra la primavera 2012 e
quella del 2013, succede di tutto: scienziati condannati per non aver previsto
terremoti, Lombardia di Formigoni triturata benché unica regione italiana non
tecnicamente fallita, magistrati di Taranto che bloccano la più grande acciaieria d’Europa. E marea nera di scandali Belsito che aprono lo sfondamento del
parlamento alle truppe di Grillo. Arrendetevi tutti! Intanto, zitti zitti, zelanti
pubblici ministeri chiudono il business Finmeccanica in India e Brasile, mentre
si ispessisce il dossier Eni (inchieste in Kazakistan e in Nigeria). Condannata la
Saipem-Eni in Nigeria, notizia del giorno, naufragano le relazioni con il Kazakistan, paese cruciale per la nostra impresa petrolifera. Vabbè, del Cavaliere
sapete tutto. In cima agli agit-prop che scommettono sulla nostra autodemolizione ci sono osservatori internazionali molto chic e molto liberal, molto in e
molto obamiani. Seguono con un certo senso euforico e simpatetico l’harakiri
di un paese divenuto appetibile solo per le speculazioni. Investimenti dall’estero? Zero. La Fiat? Andrà all’estero grazie alla grazia delle testate borghesi
che riversano doni alla Fiom. Se ne dispiacciono perfino i giornalisti stranieri a
Roma, dell’agonia italiana. Mentre da noi, in Italia, c’è l’Editoriale RepubblicaEspresso che è tutto un godere a rewind, nel senso che riavvolge sempre lo
stesso nastro. E per ogni scandalo che scoppia? C’è uno straniero che ingrassa
(vedi incetta di acquisizioni di marchi italiani). Ora, siccome anche noi siamo
giornalisti a cui piace piacere, come è di retorica scrivere, anche noi scriveremo che “i complotti non esistono”. Mai. Però, cos’è questo remare indomito e
costante a farci a pezzi? Sta già passando lo shopping? Ci portano via tutto
a spezzatino? Quanti marchi e quali asset ci sono rimasti? Quando viene giù
tutto? Ci mangeremo a vicenda? Godrà come un riccio, Grillo? Vien da
dire: povero paese. Ricco Carlo De Benedetti. E di necessità virtù,
forza governo Letta-Berlusconi.
minale che si è appropriato di 6 miliardi di dollari e li ha trasferiti illegalmente
all’estero». Forse è una visione troppo semplicistica, ma risulta comunque stupefacente l’icona della dissidenza cucita addosso all’oligarca dai giornaloni italiani.
Non solo: se Ablyazov è un eroe incompreso, Nazarbayev viene dipinto come un
volgare dittatore. Il presidente kazako
non sarà uno stinco di santo e tiene in
mano il paese da padre-padrone, ma paragonarlo a Stalin appare esagerato se teniamo conto che l’Italia è partner strategica
del Kazakistan da vent’anni. In realtà gli
obiettivi del pasticcio kazako sono ben
altri, come spiega il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, in un illuminate editoriale che chiede le dimissioni di Alfano. Secondo lui, Nazarbayev è «un satrapo che dall’età sovietica, reprimendo il
dissenso, guida quel paese e le ricchezze oligarchiche del gas, che gli garantiscono amicizie e complicità interessate
da parte dei più spregiudicati leader occidentali, con il putiniano Berlusconi naturalmente in prima fila. Basterebbero que-
sta sequenza e questo scenario per imbarazzare qualsiasi governo democratico e
arrivare subito alla denuncia di una chiara responsabilità per quanto è avvenuto,
con le inevitabili conseguenze».
I rapporti commerciali con l’Italia
Le stesse “ricchezze oligarchiche del gas”
hanno garantito ad Ablyazov l’ascesa e il
fiume di soldi che ha messo in saccoccia
per fare anche l’oppositore. Non solo: i
giornaloni, nelle ricostruzioni dei rapporti con Nazarbayev, puntano sempre il dito
contro Berlusconi, per i suoi legami indubbiamente stretti. Si scorda spesso, però,
che il primo e unico capo di Stato italiano a far visita al “dittatore” fu Oscar Luigi
Scalfaro nel 1997, seguito a ruota dall’allora presidente dell’Ulivo, Romano Prodi
e dal ministro degli Esteri Lamberto Dini.
Prodi, poi, è ritornato ad Astana anche da
premier. Berlusconi ha siglato nel 2009 il
partenariato strategico con il Kazakistan e
dopo di lui anche Monti è volato ad Astana
cambiando le tappe del viaggio in Asia per
incontrare il presidente kazako.
Niente di nuovo sotto il sole tenendo
conto che sul sito dell’ambasciata italiana
in Kazakistan si legge: le relazioni fra i due
paesi «sono eccellenti, basate su una comunanza di vedute sui principali temi di politica internazionale e favorite da un’intensa collaborazione economica bilaterale».
Tradotto in soldoni, significa che dal prossimo autunno l’Eni parteciperà all’estrazione di petrolio dal mega giacimento di
Kashagan, il più grande scoperto negli
ultimi trent’anni. Nel 2012 l’interscambio
commerciale con il Kazakistan ha raggiunto i 5,5 miliardi di euro (+28 per cento sul
2011). L’Italia è il terzo partner commerciale del paese, dopo Cina e Russia. Le nostre
ditte, dal gruppo Salini-Todini all’Italcementi, sono in prima fila negli appalti. E
qualcuno dell’Idv, in questi tempi di crisi,
chiede che ai “tiranni” come Nazarbayev
sia proibita la Costa Smeralda. n
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SOLO PER
I VOSTRI OCCHI
di Lodovico Festa
A
vevamo appena finito di scrivere che biTRA ECCESSI
sognava difendere con unghie e denti le pur fragili prospettive di pacificazione dell’Italia aperte dopo il voto di
febbraio, ed ecco che il circuito tra ambienti
giudiziari milanesi e loro dependance mediatiche, unito alle preoccupazioni istituzionalcorporative di parte rilevante della magistratura nazionale, sembrano volere far saltare
tutto. I rischi di radicalizzazione dello scontro sono dunque ridiventati consistenti. Però
prima di iniziare a fasciarsi la testa è bene riflettere sul quadro generale dietro ai più recenti avvenimenti nazionali.
Gli equilibri internazionali sono tutto
tranne che stabili: anche dalla Cina e dal Brasile arrivano segnali poco rassicuranti. La ripresa d’iniziativa di Tokyo senza chiedere
troppi permessi alla Fed mostra, insieme agli
ancora più impressionanti disastri in Medio
Oriente, la difficoltà di leadership americana. In questo senso si manifesta l’ultima scelta di Washington (spingere per un mercato
unico transatlantico) che è assai condivisibile
ed è collegata a ragionevoil rilancio dellA
li progetti di costruire imprese che sostengano queNOSTRA economia
sto nuovo “mercato”. Ma è
dipendE dalla FORZA
accompagnata anche dal- NEL trattare a livello
la tentazione di perseguire
europeo e globale e
quest’ultimo obiettivo deQUINDI
DAL LIVELLO DI
stabilizzando i poteri italiasovranità nazionale.
ni per avere condizioni più
ANCHE TRA I PIÙ
favorevoli di accesso.
Il consigliere econoSPROVVEDUTI ORMAI È
mico di Matteo Renzi che
PENETRATA QUEST’IDEA
chiede di vendere l’Eni,
una strana arietta avvertibile nella battaglia sul Corriere della
Sera, alcune mosse su una Telecom ben presidiata da una personalità strettamente legata ad ambienti americani, certe operazioni su Unicredit danno l’idea di movimenti economici protetti
da manovre politiche tese a semplificare la governance italiana
nel senso che Oltreatlantico si comanda e qui si ubbidisce.
È interessante notare come in parte queste tendenze siano
contrastate non solo da residui di forze organicamente nazionali (ben massacrate in questi anni anche grazie a un certa indifferenza berlusconiana) ma anche da ambienti saldamente legati
agli Stati Uniti. Da Sergio Marchionne a Mario Draghi, da Gianni
De Gennaro ai vari amichetti degli americani cresciuti negli anni Novanta tra gli ex Pci, alcune spinte alla “semplificazione” così catastrofiche da Istanbul a Damasco al Cairo non paiono per
nulla convincenti, così si cercano sponde nell’amministrazione
imperiale – a partire da Ben Bernanke – per resistere a improvvisazioni radicaleggianti foriere di guasti imprevedibili.
È questo contesto che bisogna avere presente per capire quel
che potrà succedere. Certo tenendo conto del cuore nero del po-
GIUSTIZIALISTI E MANOVRE SOSPETTE
La voglia di pacificazione
c’è ancora. Nonostante
il cuore nero del potere
tere immobile italiano, per il quale appena si parla di un Corriere meno ingessato scattano gli attacchi alla Fiat, ora da parte
della Corte costituzionale, ora da un noto tribunale che improvvisamente si accorge del “tesoretto” degli Agnelli, ora da parte di
autorità più o meno istituzionali. Il problema però per il nostro
“potere immobile” è che le guerre non si ripetono mai nello stesso modo: lo schema del ’92 del mettersi al servizio delle influenze straniere per difendere la propria centralità ha difficoltà ad
attuarsi. Anche tra i più sprovveduti è penetrata l’idea che il rilancio dell’economia nazionale dipenda dalla capacità di trattare a livello europeo e globale e che ciò sia possibile a seconda dei
livelli di sovranità nazionale garantita dalla sovranità popolare.
Il risveglio sociale e il pensiero forte che manca
Alcune esagerazioni giustizialiste stanno poi convincendo la
maggioranza della società (pur colpita da certe esibizioni berlusconiane) che il cuore nero del potere immobile poggi sulla politicizzazione di aree della magistratura collegata al corporativismo pigro della categoria. Da qui importanti prese di posizione
di esponenti della Cisl e del Pd, e il crescente convincimento che
l’Italia abbia bisogno di pacificazione per ripartire.
Insomma le basi per far procedere la pacificazione, sia pure intaccate dai radicalismi giustizialisti, in parte reggono ancora e su queste bisogna insistere. Avendo consapevolezza che
se per caso si arriverà a nuove rotture e così anche a nuovi scontri elettorali, lo schieramento che potrà vincere sarà quello che
sventolerà la bandiera della pacificazione come unica base per
recuperare una oggi indispensabile (benché limitata da Unione
Europea e regole globali) sovranità nazionale.
In questa ottica il problema non sarà tanto il classico “si vis
pacem para bellum”, ma quello dell’essere consapevoli che se si
vorrà vincere un eventuale poco auspicabile “bellum”, ci si potrà riuscire solo se si sarà in grado di dare da subito un’indicazione nel senso di una “pacem” futura. Il che non è possibile – lo
ricordiamo ancora – senza un pensiero forte che spieghi come
costruire un rapporto positivo ma non allo sbando con gli americani, quale Europa si voglia, quale riforma dello Stato e in particolare di una giustizia che non sia più il cuore nero del nostro
potere immobile ma anche permetta di superare le ampie aree
di illegalità che caratterizzano l’Italia.
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ESTERI
E DOPO IL GOLPE?
L’antipolitica
dei Fratelli
Musulmani
Senza di loro non si governa, con loro neanche.
L’Egitto congela la sua nuova democrazia e resta
appeso alle pretese degli islamisti di Morsi. Che al
potere «hanno sbagliato tutto» ma possono ancora
contare su milioni di elettori. Sempre più fanatizzati
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DI LEONE GROTTI
A un anno dalle prime elezioni
libere dopo l’era Mubarak,
il presidente egiziano Morsi è
stato deposto dall’esercito
in seguito alle oceaniche
proteste di piazza. I Fratelli
Musulmani ora rifiutano ogni
ipotesi di governo di unità
ESTERI E DOPO IL GOLPE?
«I
Fratelli Musulmani sono il principale problema dell’Egitto, perché non si può raggiungere
nessun
obiettivo senza di loro
ed è impossibile ottenere risultati insieme a loro». Mentre nel paese africano da
80 milioni di abitanti si consuma la crisi
più grave dal 25 gennaio 2011, giorno in
cui è cominciata la cosiddetta “primavera” che ha portato alle dimissioni del rais
Hosni Mubarak, «l’Egitto avrebbe bisogno
di un governo di unità nazionale ma nel
breve periodo la riappacificazione con la
Fratellanza è semplicemente impossibile». Non è dettata dal pessimismo l’analisi
fatta a Tempi da Tewfik Aclimandos, ricercatore egiziano al Centre français d’Études et de Documentation Economiques,
Juridiques et Sociales del Cairo dal 1984
al 2009 e oggi associato alla cattedra di
Storia contemporanea del mondo arabo
al Collège de France. Sono le parole stesse
dei militanti islamisti a confermare questo scenario fosco.
In occasione del primo anniversario
di governo del presidente Mohamed Morsi, eletto con il partito Libertà e Giustizia,
braccio politico dei Fratelli Musulmani,
milioni di persone organizzate dal movimento Tamarod (“ribelli”) sono scese in
piazza in tutte le principali città egiziane
per chiedere le sue dimissioni ed elezioni
anticipate, forti di una petizione firmata
da oltre 20 milioni di egiziani. L’esercito
ha deciso di appoggiare la protesta, lanciando un ultimatum a Morsi per venire incontro alle richieste degli egiziani,
ma una volta certificato il fallimento delle trattative, dopo aver portato in piazza i
carri armati, il 3 luglio il capo delle forze
armate e ministro della Difesa Abdel Fattah Al-Sisi ha annunciato in diretta televisiva che la Costituzione era sospesa e
Morsi non era più il presidente del paese, sostituito ad interim dal giudice della Corte costituzionale Adly Mansour e
dal leader dell’opposizione Mohammed
ElBaradei come vicepresidente. La reazione della Fratellanza non si è fatta attendere e lo stato d’animo delle migliaia di
sostenitori degli islamisti scesi in piazza
è ben rappresentato dalle rivendicazioni
di un uomo barbuto intervistato al Cairo dalla tv araba Eretz Zen: «Voglio dire
ad Al-Sisi: stai attento, sappi che hai creato un nuovo movimento di talebani e di
al-Qaeda che distruggeranno te e l’Egitto.
Hai appena formato dei kamikaze pronti al suicidio e al martirio: se qui una persona su dieci un domani si farà esplodere tra la gente, la colpa è tua. Fai un pas-
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so indietro e riabilita Morsi o questa gente farà esplodere l’Egitto».
Il rischio di una guerra civile è alto,
soprattutto dopo che l’esercito ha represso nel sangue una protesta dei Fratelli
Musulmani davanti al quartier generale
delle Guardie egiziane, lasciando sul terreno 51 vittime. «Le cose potrebbero peggiorare», afferma Aclimandos. «La Fratellanza e i suoi alleati hanno la volontà e i
mezzi per creare problemi in molte aree
del paese, inclusi Sinai ed Egitto superiore. Hanno le armi per fare la guerra ma
gli manca ancora una massa critica di
egiziani che li appoggi, ecco perché penso che a breve non scoppierà
un conflitto». La maggior parte degli egiziani, infatti, «pensa che tutto quello che vuole
e fa la Fratellanza sia sbagliato» e la causa di una posizione
così schierata va ricercata nel
modo in cui gli islamisti hanno gestito il potere in questo
primo anno di governo.
Duri, puri e indigesti
Oltre ad avere eletto il presidente con il 51 per cento dei
voti il 24 giugno 2012, il partito Libertà e Giustizia ha ottenuto la maggioranza relativa
alla Camera bassa (235 seggi su
498) e nel Consiglio della Shura (105 seggi su 180). Tra il 2011
e il 2012, dunque, la Fratellanza ha conquistato tutti gli
organi decisionali, ottenendo
però magri risultati: «In quasi tutte le cose che contano,
come voto meritano zero», sentenzia Aclimandos. «Direi che
hanno semplicemente sbagliato tutto. Hanno gestito malissimo il problema della Costituzione», approvando a colpi
di maggioranza e senza coinvolgere l’opposizione un testo
che i cristiani non hanno esitato a definire «fascista e islamista». Inoltre «hanno attaccato i media e la
giustizia», raggiungendo il poco invidiabile record di 24 denunce nei primi 200 giorni di governo per “insulti al presidente”. In
trent’anni di dittatura di Mubarak c’erano
stati solo quattro casi e 23 in 112 anni, cioè
da quando la legge contro “chi insulta il
re” è stata promulgata nel 1897. «La Fratellanza – prosegue lo storico egiziano – ha
anche usato milizie private per scoraggiare l’opposizione», spesso minacciando di
morte i suoi esponenti in quanto avversari politici, «e ha distrutto quel poco di Sta-
«All’Egitto servirebbe
un governo di unità
nazionale ma per ora
la riappacificazione
coi Fratelli Musulmani
è impossibile», dice
a Tempi lo studioso
egiziano Tewfik
Aclimandos, associato
alla cattedra di Storia
contemporanea
del mondo arabo
al Collège de France
to di diritto che rimaneva». Tutto questo
facendo leva in modo insistente sull’ideologia islamica. «La gente è stufa delle tattiche della Fratellanza, quel loro battere
sul tasto che “noi siamo l’islam” e i nostri
avversari “sono nemici dell’islam”. Gli egiziani sono un popolo molto religioso ma
non ne possono più».
Il vero test dell’islam politico era risollevare l’economia e creare occupazione
ma oggi secondo Aclimandos «tutti gli
egiziani sono consapevoli che lo stato
dell’economia è disastroso». Il debito pub-
«La Fratellanza e i suoi alleati hanno
volontà e mezzi per creare problemi
in molte aree del paese, inclusi Sinai
ed Egitto superiore. Hanno le armi per
fare la guerra ma manca ancora una
massa critica di egiziani che li APPOGGI»
blico è passato in poco più di un anno da
33 a 45 miliardi di dollari: se per la fine
del 2013 non verranno trovati altri 20
miliardi, oltre a quelli già offerti dagli arabi del Golfo, l’Egitto fallirà. Le riserve valutarie sono appena salite sopra il livello di
guardia, raggiungendo i 16 miliardi di
dollari, ma fino a quando Mubarak era al
comando ammontavano a 36 miliardi. La
disoccupazione, ufficialmente, si attesta
al 13,2 per cento della popolazione, quella giovanile al 25, ma gli analisti pensano
che i numeri reali siano superiori.
Foto: AP/LaPresse; nelle pagine precedenti Getty Images
Il gradimento di Morsi dall’inizio del mandato
100
80
76
77
79
57
60
40
20
0
Gradisce
Non gradisce
78
34
9
13
13
63
28
15
53
33
49
47 47
43
45
46
53
42
61
32
Fonte: www.baseera.com.eg
i
i
rni
i
rni
50 gio 60 giorn 80 giorn 100 gio 5 mes
6 mesi
7 mesi
8 mesi
9 mesi 10 mesi 11 mesi 12 mesi
Quei sussidi intoccabili
Infine, proprio per timore che gli egiziani scendessero in piazza, i Fratelli Musulmani si sono rifiutati di mettere mano ai
sussidi, vero tarlo dell’economia egiziana: quelli per energia e carburante drenano più dell’8 per cento del Pil. Il timore di
perdere consenso ha fatto saltare l’accordo con il Fondo monetario internazionale, pronto a prestare 4,8 miliardi di dollari al tasso di interesse dell’1,1 per cento a
patto che il governo tagliasse i 14,5 miliardi di dollari spesi ogni anno in sussidi per
la benzina e anche i 4 miliardi di sovvenzioni per il pane. «Il Fmi e la comunità
internazionale vogliono aiutare l’Egitto,
ma sono frustrati perché il Cairo non vuole fare niente per aiutare se stesso», ha detto Angus Blair, capo del Signet Institute,
think-tank economico per il Medio Oriente e il Nord Africa, dopo l’ennesimo fallimento delle trattative tra Egitto e Fmi.
I fallimenti in campo economico sono
aggravati dal sistematico tentativo della Fratellanza di occupare ogni posto di
potere di rilievo, contro ogni buon senso.
Il caso più eclatante è stata la nomina nella seconda metà di giugno di Abdel Mohamed al-Khayat a governatore di Luxor, la
località turistica più importante dell’Egitto, vero traino dell’economia del paese. La
nomina ha scatenato le proteste dei cittadini, perché sedici anni fa al-Khayat era
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ESTERI E DOPO IL GOLPE?
membro di un gruppo estremista islamico (al-Gamaa al-Islamiya) che ha ucciso 58
turisti nella Valle dei re. Le associazioni
dei commercianti hanno definito Al-Khayat «l’ultimo chiodo che sigilla la bara del
turismo a Luxor», e dopo una settimana di
manifestazioni sono riuscite farlo dimettere. Le code infinite ai distributori di carburante e i continui blackout dell’ultimo
mese hanno definitivamente scatenato il
malcontento tra la popolazione, anche se
secondo il New York Times questi ultimi
due fattori potrebbero essere stati creati
ad arte proprio per boicottare la Fratellanza e provocare una rivolta.
apertura al governo ad interim guidato da
Hazem el-Beblawi, che ha promesso nuove elezioni parlamentari entro sei mesi
e modifiche alla Costituzione, così come
del resto si erano dimostrati indisponibili i manifestanti del movimento Tamarod.
«Nessun presidente durerà»
«L’opposizione non si fida più dei Fratelli Musulmani, ecco perché ha rifiutato le
offerte fatte in extremis da Morsi prima
di essere deposto dall’esercito», spiega a
Tempi Kristen Chick, inviata al Cairo del
Christian Science Monitor. «Glielo hanno
chiesto tante volte di governare assieme
CONTRO I Cristiani che hanno appoggiato
il COLPO DI STATO MILITARE GIURANO VENDETTA:
«State per conto vostro, vi daremo fuoco»
Complotto o non complotto, per Aclimandos «la gente era stanca dei Fratelli Musulmani, non ne poteva più». Sentimento certificato da un sondaggio condotto da Baseera, secondo cui solo il 32 per
cento degli egiziani si riteneva soddisfatto
dell’operato di Morsi dopo dodici mesi di
governo. Un risultato impietoso se si considera che dopo i primi tre mesi il 78 per
cento degli egiziani era contento di Morsi e dopo undici mesi ben il 42 per cento.
In appena un anno, secondo il rapporto
Democracy Index dell’International Development Centre, ci sono state nel paese
ben 9.427 proteste contro il governo.
Nonostante errori e fallimenti, i Fratelli Musulmani godono ancora dell’appoggio di larga parte della popolazione e
perché il colpo di Stato dei militari porti i
frutti sperati dai giovani di piazza Tahrir,
servirebbe un governo di unità nazionale. Eventualità che la Fratellanza ha già
respinto con una minaccia: «Continueremo a combattere, anche per mesi, finché
Morsi non tornerà al suo posto». Nessuna
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e se Morsi glielo avesse proposto sei mesi
fa sicuramente avrebbero accettato. Ma
ormai è tardi, sono entrati in gioco i militari, la gente è stanca. Le cose sono andate troppo oltre per un governo di coalizione». Come un “governo tecnico” possa guidare l’Egitto senza l’appoggio degli islamisti è difficile immaginarlo, anche perché, come spiega a Tempi il membro della
Fratellanza Hassan Abdel-Fattah, le dimissioni di Morsi costituiscono un pericoloso “precedente”: «Non si possono ignorare milioni di egiziani scesi in piazza ma
neanche i milioni che sostengono ancora Morsi. Siamo tutti sulla stessa barca
e se Morsi viene sconfitto dalla piazza e
dall’esercito, e non dalle urne, saremo tutti vinti, in futuro un presidente non durerà più di sei mesi». Ecco perché chiama a
«un compromesso ragionevole».
Ma la maggior parte dei Fratelli Musulmani non è disposta al «compromesso» e
alla «riappacificazione», come confermano le parole consegnate sempre alla tv araba Eretz Zen da una donna completamen-
te velata infuriata con i cristiani del paese, che hanno appoggiato il colpo di Stato militare: «Io sono un’egiziana religiosa musulmana e voglio dire solo una cosa
ai cristiani: “Statevene per conto vostro: vi
daremo fuoco, vi daremo fuoco”». Dalle
parole ai fatti il passo è breve: in una settimana sono stati uccisi cinque cristiani, tra
cui un sacerdote. La parrocchia copto-cattolica di San Giorgio, nel villaggio di Delgia, a 60 chilometri da Minya, è stata assaltata da gruppi di fanatici, saccheggiata e
data alle fiamme. In tutti i governatorati
dell’Egitto i cristiani sono stati attaccati,
le loro case e i loro negozi bruciati.
«Sono convinti che i cristiani abbiano
giocato un ruolo importante nelle proteste e nell’intervento armato che ha portato
al rovesciamento di Morsi. Questa è la loro
vendetta», spiega al New York Times Ishaq
Ibrahim, che ha documentato queste violenze per l’Egyptian Iniziative for Personal Rights. La persecuzione nelle prossime
settimane sembra destinata a peggiorare,
stando alle dichiarazioni di odio della Fratellanza, anche se il professor Aclimandos
lascia aperta una speranza: «Sicuramente
la deposizione di Morsi mette a rischio la
vita dei cristiani, tuttavia bisogna tenere
conto che la maggior parte degli egiziani
è stanca dei discorsi incendiari della Fratellanza». Ma se gli islamisti non abbandonano la politica del muro contro muro e
gli egiziani invocano l’intervento dell’esercito ogni volta che un governo li delude,
come si può prospettare un futuro di stabilità per l’Egitto? «Di sicuro da oggi qualunque governo farà fatica a occuparsi di economia», prevede Aclimandos. «Potrebbero
esserci forti reazioni di piazza a ogni tentativo di tagliare i sussidi, ma potremmo
anche rimanere stupiti. Il nuovo governo
dovrà cercare di convincere le monarchie
del Golfo a prestare soldi all’Egitto e trovare un modo per tenere insieme laici e salafiti, in attesa che i Fratelli cambino strategia. Non sarà facile». n
SOCIETÀ
I FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA
Molto incinta
niente provetta
Si chiama naprotecnologia. È più efficace della procreazione
assistita, è meno invasiva e farebbe risparmiare al sistema
sanitario una montagna di soldi. Ma è un metodo troppo
naturale e “cattolicamente corretto” per non dare fastidio
alla lobby miliardaria della fecondazione artificiale
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DI RODOLFO CASADEI
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SOCIETÀ FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA
Raffronto costi
Napro-Fa
Raffronto tassi di successo
Napro-Fa
H
percorso di 2 anni
insegnante
metodi naturali
ciclo di Fa
(in genere se ne
effettuano 6)
800
1.000
medicamenti per ciclo
Napro
Occlusione
delle tube
800
Fa
Donne sotto
i 35 anni
consultazioni mediche
1.500
medicamenti
congelamento e
mantenimento
degli embrioni
1.200
trasferimento
embrione
TOTALE
38,4 %
35,0%
Fa
Donne tra
i 35 e i 37 anni
25,0%
Fa
Donne tra
i 38 e i 40 anni
20,0%
Fa
Donne oltre
i 40 anni
Creighton, che descrivono lo stato dei biomarcatori della fecondità durante tutto il
ciclo mestruale della donna, e che sono
basate principalmente sull’osservazione
dello stato del muco cervicale da parte della donna stessa. Il pilastro che regge tutta
la naprotecnologia è la capacità di osservazione di sé della donna: ad essa viene formata nella parte iniziale del percorso. Le
Più che una tecnologia è un insieme di tecniche di
Diagnosi e DI interventi medici che hanno per obiettivo
individuaRE la causa dell’infertilità e rimUOVERLA
ti farmacologici e/o chirurgici che si rendono necessari per permettere alla coppia di arrivare in modo naturale al concepimento».
Il nome deriva dall’inglese “natural
procreation technology”, tecnologia della procreazione naturale. Più che una
tecnologia è un insieme di tecniche diagnostiche e interventi medici che hanno
per obiettivo l’individuazione della causa dell’infertilità e la sua puntuale rimozione. Si parte con le tabelle del modello
tabelle correttamente compilate, con lo
stato del muco cervicale giorno per giorno e altri dati, sono la base di tutti i passi successivi. Da esse è già possibile diagnosticare carenze ormonali, insufficienze luteali e altri problemi trattabili con la
somministrazione degli ormoni mancanti. Se l’infertilità persiste, si prosegue con
l’esame dettagliato del livello degli ormoni nel sangue, l’ecografia dell’ovulazione
e la laparoscopia avanzata. Possono allora
rendersi necessari interventi di microchi-
100
90
80
Napro: tecnologia
procreazione naturale
Fa: fecondazione assistita
70
10,0%
60
ratorio». «La naprotecnologia è la vera
fecondazione assistita», ironizza Raffaella Pingitore, la ginecologa chirurga più
esperta nel metodo dell’area di lingua italiana, attiva presso la clinica Moncucco di
Lugano. «Nel senso che assistiamo il concepimento dall’inizio alla fine, cioè dalla fase di individuazione dei marcatori di
fecondità nella donna fino agli interven-
56,7%
40
2.600 30.500
Napro
Endometriosi
50
TOTALE
62,5%
30
|
3.750
20
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300
10
28
Napro
Sindrome
dell’ovaio
policistico
0
che è il
doppio di quello della
fecondazione assistita, per
percentuali di nascite da
coppie che seguono i trattamenti, e costa undici volte di meno, ma è praticata da pochi medici in tutto il mondo, boicottata dalla lobby
della provetta e ignorata dai sistemi sanitari nazionali. La naprotecnologia è nata
negli Stati Uniti e da qualche anno è approdata in Europa, ma continua a scontare il
pregiudizio che la considera un approccio
confessionale alla medicina, condizionato
dai dogmi religiosi. Niente di più lontano
dalla realtà. Se è vero che le pratiche della
naprotecnologia si conformano rigorosamente alla bioetica cattolica, è altrettanto
dimostrato che il suo approccio al problema della sterilità è scientificamente e clinicamente più rigoroso di quello praticato
nell’ambito della fecondazione assistita. E
per questo alla fine è anche più efficace: lo
dicono le statistiche.
«La differenza fra naprotecnologia e
fecondazione in vitro consiste nel fatto
che nella prima la questione fondamentale è la diagnosi delle cause dell’infertilità, si cerca una spiegazione medica del
perché una coppia non riesce a procreare, quindi si cerca di eliminare il problema e “aggiustare” il meccanismo naturale, ridandogli la sua armonia», spiega
Phill Boyle, il ginecologo irlandese che
tiene i corsi di formazione in naprotecnologia per medici di tutta Europa in una
clinica di Galway. «Nel procedimento in
vitro, invece, la diagnosi delle cause non
ha importanza, i medici vogliono semplicemente “aggirare l’ostacolo”, eseguendo
una fecondazione artificiale. In naprotecnologia, la cura risolve il problema della
coppia, che poi può avere anche altri figli.
Con il metodo in vitro, i coniugi comunque non guariscono e continuano ad essere una coppia sterile, e per avere più bambini si devono sempre affidare a un laboa un tasso di riuscita
FA
NAPRO
Dati in euro
LA DISINFORMAZIONE PAGA. PROFUMATAMENTE
Quel “commercio” selvaggio di bambini
a cui nessuno è disposto a rinunciare
Quello che si è riusciti a far credere con un’abile campagna allo stesso
tempo ideologica e di marketing è che la fecondazione artificiale (Fa) funzioni.
Ma non è la verità. Basta mettere da parte Repubblica, Io Donna e le riviste
da parrucchiere e prendere in mano la letteratura scientifica, che da tempo
ormai mette in luce, impietosamente, i fatti: la Fa ha un basso tasso di successo quanto a “figli in braccio”, mentre i bambini, dal canto loro, presentano
percentuali di complicanze e malformazioni molto più alte rispetto a quelli nati
naturalmente. Perché? Basta pensare alle tecniche. Innanzitutto, se ad essere
infertile è il marito, il suo seme, iniettato a forza nell’ovulo, feconderà l’ovulo
stesso, ma, come è intuibile, con effetti secondari negativi (erediterà la sterilità
paterna? O la malattia che rendeva quel seme infertile?). Quanto agli ovuli,
ogni procedimento di Fa ne richiede un alto numero, che si ottiene iperstimolando per via ormonale la donna; gli ovuli così prodotti saranno di qualità
inferiore rispetto all’unico ovulo prodotto naturalmente ad ogni ciclo. A ciò si
aggiunga che la formazione dell’embrione avviene fuori dall’utero materno, in
una fredda provetta. È sufficiente il buon senso per capire che non è quello il
luogo adatto non solo allo sviluppo dell’embrione.
I figli della Fa sono dunque proporzionalmente pochi e meno sani (specie se
si tratta di gemelli, una “complicanza” tipica della Fa). Tutto ciò anche senza
considerare altre tipicità della Fa: la possibilità che i bimbi nati derivino da
ovuli o da embrioni congelati, rimasti sotto azoto liquido 3-4-10 anni o più; che
abbiano un genitore genetico sconosciuto; che siano figli di una madre genetica, avendo al contempo una diversa madre gestazionale e magari una ancora
diversa madre adottiva… E non è finita. I danni possono riguardare anche le
donne: le iperstimolazioni ormonali, oltre a risultare a volte inutili, comportano
diversi rischi psicologici e fisici (emorragie, sterilità, persino la morte).
«L’unica industria priva di regolamentazione»
Ma perché se tutto questo è noto, almeno agli addetti ai lavori, non si fa nulla?
Non ci sono alternative? No, le alternative ci sono. Si pensi non solo al ricorso
alla prevenzione (quanta sterilità, oggi, in Occidente, per cattive abitudini
sessuali, per uso prolungato di anticoncezionali eccetera), ma anche ai metodi
naturali per l’individuazione e la regolazione dei picchi di fertilità, alla ricerca
per rimuovere le cause della infertilità. La verità è che nessuno vuole toccare
il fiume di soldi legato alla Fa e gestito, in gran parte, da cliniche private. Un
fiume di denaro analizzato per esempio dall’economista di Harvard Debora L.
Spar in Baby Business, un’indagine in cui si mostra come nel 2001 negli Stati
Uniti circa 6 mila bambini sono nati grazie alla vendita di ovuli; 600 si sono
sviluppati in uteri di madri surrogate, con contratti da 59 mila dollari l’uno:
gli ovuli di prima qualità costavano mediamente 4.500 dollari, mentre il seme
maschile veniva venduto allora a prezzi che variavano da 300 a 3 mila dollari.
Ci sono dunque migliaia di coppie – non sempre realmente sterili – che arrivano a spendere più di 100 mila dollari per avere un figlio, magari ipotecando la
casa o sottoponendosi a sperimentazioni assurde. Mentre nel 1986 vi erano
negli Stati Uniti 100 cliniche per la fertilità, nel 2002 se ne contavano già
428. Il «commercio di figli», scrive la Spar, questo immenso mercato che nel
2004 ha avuto un giro d’affari di 3 miliardi di dollari solo in America, «spicca
soprattutto come una straordinaria eccezione: è una delle pochissime industrie
che operano praticamente in assenza di regolamentazione». Capitalismo
selvaggio, si direbbe, se non fosse che dei bambini frega niente a nessuno.
Francesco Agnoli
Raffaella
Pingitore,
ginecologa
presso la clinica
Moncucco
di Lugano,
è la maggiore
esperta di
naprotecnologia
nell’area di
lingua italiana
rurgia delle tube o di laparoscopia avanzata per rimuovere le parti danneggiate
dall’endometriosi. Il risultato finale è una
percentuale di nati vivi fra il 50 e il 60 per
cento del totale delle coppie che eseguono
i trattamenti per un massimo di due anni
(ma la maggior parte concepisce nel primo anno), contro una media del 20-30 per
cento fra chi ricorre ai cicli della fecondazione in vitro (generalmente sei cicli).
La sciatteria dei medici
«Una delle cose che mi scandalizza di più
è la diffusa negligenza nelle diagnosi delle
cause dell’infertilità», spiega Raffaella Pingitore. «Oggi dopo pochi esami di prammatica la donna viene invitata a rivolgersi ai centri per la fecondazione assistita.
Siamo arrivati al punto che qualche anno
fa la Società americana di medicina riproduttiva ha dichiarato l’insufficienza luteale come non esistente, perché non poteva essere “scientificamente” diagnosticata.
Noi siamo in grado di diagnosticarla perché coinvolgiamo la donna chiedendole di
osservare e descrivere quotidianamente lo
stato del muco cervicale, procedura che ci
permette di diagnosticare l’insufficienza
luteale. Questo per molti medici è impensabile: si limitano a un prelievo al 21esimo
giorno del ciclo per misurare il livello del
progesterone. Ma solo il 20 per cento delle
pazienti ha un ciclo perfettamente regolare, perciò il dato del prelievo è quasi sempre diagnosticamente inutile».
«Negli Stati Uniti a Omaha, nel Nebraska, dal dottor Thomas Hilgers, il vero
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SOCIETÀ FIGLI FATTI ALLA VECCHIA MANIERA
creatore della naprotecnologia, andavano donne alle quali l’endometriosi era
stata esclusa dopo una laparoscopia. Ma
rifacendone una più approfondita si scopriva che nel 90 per cento dei casi l’endometriosi c’era. A me è capitata spesso la
stessa cosa. Una laparoscopia approfondita dovrebbe essere una pratica standard
nello screening della sterilità, ma trattandosi di un intervento chirurgico l’ostilità è grande».
Che il ricorso indiscriminato alla
fecondazione assistita vada di pari passo
con la negligenza diagnostica lo si desume anche dall’alto numero di pazienti
che ricorrono con successo alla naprotecnologia dopo fallimentari cicli di fecondazione in vitro. Il dottor Boyle afferma
che negli ultimi sei anni nel gruppo delle sue pazienti sotto i 37 anni che aveva-
triosi eventualmente rimasti; dopo la terapia ho continuato con un farmaco, l’Antaxone, con la dieta e col sostegno della
fase luteale con piccole iniezioni di gonadotropina. Questo ha portato all’innalzamento degli ormoni, e al quarto mese di
trattamento si è raggiunto un muco molto buono. Al 17esimo giorno dopo l’ovulazione abbiamo eseguito il test di gravidanza, che è risultato positivo».
Costi e benefici
Lo scrupolo del professionista eticamente motivato può molto più delle tecniche
artificiali. Lo dimostra l’aneddoto della
dottoressa Pingitore, lo dimostrano le statistiche del dottor Boyle. In Irlanda nel corso di quattro anni il ginecologo ha curato
1.072 coppie che cercavano quasi tutte un
figlio da più di cinque anni. L’età media
«La naprotecnologia SI diffonderÀ, SE NON altro per
i costi, nei quali vanno INCLUSI gli effetti collaterali
della FA COME L’ALTO NUMERO DI NASCITE CON PROBLEMI»
no già provato due cicli di fecondazione
assistita la percentuale di quelle che hanno concepito grazie al metodo di procreazione naturale è stata del 40 per cento.
Raffaella Pingitore racconta la sua personale esperienza: «La paziente aveva 36
anni e desiderava una gravidanza da otto
anni; aveva fatto in passato cinque cicli di
fecondazione assistita senza successo. Le
ho fatto registrare la tabella dei marcatori della fertilità e abbiamo notato che aveva una fase di muco fertile soddisfacente, ma dei livelli ormonali un po’ bassi, il
che indica un’ovulazione un po’ difettosa.
Aveva anche dei sintomi di endometriosi;
ho eseguito una laparoscopia, ho trovato
l’endometriosi e ho coagulato i focolai di
endometriosi sull’utero, sulle ovaie e sulle tube. L’ho sottoposta a una terapia per
mandarla sei mesi in menopausa, così da
asciugare bene tutti i focolai di endome30
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delle donne era di 36 anni, e quasi un terzo
di esse aveva già tentato di avere un figlio
con la fecondazione in vitro. Dopo sei mesi
di cure naprotecnologiche, l’efficacia del
metodo era del 15,9 per cento. Dopo un
anno, del 35,5 per cento. Dopo un anno e
mezzo, il 48,5 per cento delle pazienti era
rimasto incinta. Se le cure duravano due
anni, quasi il 65 per cento delle pazienti
arrivava alla gravidanza.
Su una base di utenti molto più piccola la dottoressa Pingitore nel biennio
2009-2011 ha ottenuto una media del
47,3 per cento. Negli Stati Uniti (paese dove non vigono leggi che limitano il
numero degli embrioni fecondati trasferibili nell’utero) i tassi di successo della
fecondazione assistita dopo sei cicli sono
i seguenti: 30-35 per cento per le donne
sotto i 35 anni; 25 per cento per le donne
fra i 35 e i 37 anni; 15-20 per cento per le
donne fra i 38 e i 40 anni; 6-10 per cento
per le donne sopra i 40 anni.
Poi c’è la questione niente affatto
secondaria dei costi, anche se in Italia se
ne discute poco perché, a parte il ticket,
la spesa è a carico del sistema sanitario
nazionale. In tempi di austerità e di effetti deleteri del debito pubblico, tuttavia, un
occhio al rapporto spesa/efficacia dovrebbe valere anche da noi. Risulta dunque
che, se raffrontiamo i costi di due anni di
percorso naprotecnologico e quelli di sei
cicli di fecondazione assistita, la seconda costa ben undici volte di più della prima. Un singolo ciclo di fecondazione in
vitro costa circa 3.750 euro più 1.000 euro
di medicazioni, dunque sei cicli costerebbero 28.500 euro a cui ne vanno aggiunti altri 800 per il congelamento e il mantenimento degli embrioni e 1.200 per il trasferimento, per un totale di 30.500. Invece,
anche protraendo il percorso della naprotecnologia per due anni, i costi sono modesti: 300 euro per il corso di formazione nei
metodi naturali, 800 per le consultazioni
mediche e 1.500 per i medicamenti, per
un totale di appena 2.600 euro. Probabilmente parlamenti e ministri della Sanità
dei paesi europei non sono tanto sensibili
sui temi bioetici, ma difficilmente potranno fingersi sordi davanti alle richieste di
verificare il rapporto costi/benefici fra le
due metodologie. «La naprotecnologia è
destinata a diffondersi, non fosse altro che
per un discorso legato ai costi, nei quali
vanno calcolati anche gli effetti collaterali della pratica della fecondazione assistita: non dimentichiamo che i bambini che
nascono con quella tecnica hanno più probabilità di malformazioni e problemi di
salute di quelli che nascono in modo naturale», ricorda Raffaella Pingitore. «Prima,
però, occorre sconfiggere la lobby della
procreazione assistita. È una lobby miliardaria, che arricchisce centinaia di persone
e che non si lascerà mettere i bastoni tra le
ruote tanto facilmente». n
LE NUOVE LETTERE
DI BERLICCHE
LE CRITICHE (MALDESTRE) A FRANCESCO E QUALCHE PRECEDENTE
Il vizietto pretesco e furbesco
di condannare i silenzi altrui
M
Malcoda, quando non puoi
accusare uno per quello che dice, attaccalo per il suo silenzio. Impara
dai preti. Alcuni hanno ben chiaro il peccato
di omissione altrui. Questa volta si tratta della mancata difesa dell’onore del Papa. Succede che Francesco vada a Lampedusa, incontri
i migranti e dica quello che ha detto con tutta l’eco mediatica conseguente. Succede poi
che un politico laico (con il difetto di essere di
centrodestra) osservi che un conto è predicare
e un conto governare (parole maldestre). Succede infine che un sacerdote direttore di una
rivista “cristiana” fin dal titolo
giudichi queste parole un insul- una rivista cristiana attacca i cattolici DI UN
to al Papa, ma ritenga ancor più partito per NON AVER DIFESO IL PAPA DAGLI “INSULTI”
grave il non intervento a sua di- DEI COLLEGHI. QUANTI SACERDOTI ANDREBBERO sgridati?
fesa dei politici cattolici colleghi
di partito del suddetto. Con l’aggravante, per bella storia (consiglio di un direttore agli atgli onorevoli silenti, di essere invece spesso in- toniti cronisti, che però non hanno faticatervenuti a difesa del loro, poco eticamente to molto a metterlo in pratica). La seconda:
quando si può fare del male a una persona,
difendibile, capo di partito.
A parte che con questo criterio molti sa- perché tirarsi indietro (che sembra più cinicerdoti censori potrebbero a loro volta esse- ca della prima, ma in realtà contempla la core censurati per il silenzio che li ha contrad- scienza del male e quindi, se non il rispetto,
distinti quando altri Papi venivano ben più almeno il riconoscimento della verità che invigorosamente e pubblicamente insultati. Si vece la prima deride).
Ma lasciamo stare i preti, che arrivano
farebbe prima a fornire l’elenco (breve) dei
presbiteri che hanno protestato piuttosto di sempre dopo, in rincorsa affannata dei moquello (sterminato) di chi non ha proferito ralisti duri e puri. Veniamo a un grande diverbo quando a un Papa è stata negata la pa- lemma etico: le sentenze si discutono oppurola nell’università di Roma. È che dire delle re no? Non essere precipitoso nel rispondere,
tonache mute di fronte all’accusa di silenzio nipote. C’è sentenza e sentenza. C’è quella da
accettare e quella da criticare, soprattutto se
scagliata contro Pio XII?
Poco importa poi che qualcuno dei poli- sei un sincero democratico.
Un tribunale americano ha deciso che il
tici messi sotto accusa avesse seguito il viaggio del Papa, ne avesse ascoltate le parole, e bianco George Zimmerman non è colpevosi fosse fatto da esse interrogare commen- le della morte del nero Trayvon Martin antandole a voce e per iscritto ben prima delle che se l’ha ucciso. Il vigilante ha affermato di
polemiche sul predicare e il governare. Il di- aver sparato per legittima difesa, ma sull’uorettore “cristiano” forse non lo sapeva, forse mo pesa il sospetto di razzismo. Criticare la
prima di moraleggiare doveva informarsi… sentenza (vetrine rotte e bandiere bruciate) o
Ma perché mai? Trovato lo spunto per una accettarla in silenzio? E tutti coloro che tacpolemica e per un j’accuse non bisogna la- ciono, per tornare all’inizio, che fanno: acsciarselo sfuggire per una bassa questione di consentono?
Si dice che il mondo è bello perché è vario.
incoerenza con i fatti. Sono due le regole auree del giornalismo militante. La prima: non No, per noi il mondo è bello perché è avariato.
permettete mai che la verità vi rovini una
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
io caro
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L’ITALIA
CHE LAVORA
L’artigiano del
FUMO LENTO
Da nonno Stefano al nipote Stefano. Storia della
centenaria ditta Santambrogio, che in provincia
di Varese produce pipe in radica rigorosamente
fatte a mano. Oggetti di pregio per gustare un
buon tabacco ma anche pezzi unici da collezione
S
tefano Santambrogio era un ragazzo di grande intraprendenza e creatività. Nato
nel 1867 in Brianza, si trasferisce molto presto a Gallarate, in provincia di Varese, dove comincia il suo primo lavoro nella Manifatture Pipe Fratelli Lana, la prima impresa di pipe nel territorio. Dopo qualche anno l’azienda è costretta a chiudere,
ma Stefano non si scoraggia e con la moglie fa i bagagli e si trasferisce a Gavirate, sul
lago di Varese, dove trova lavoro come direttore della Fabbrica Pipe Rossi di Barasso. Le
pipe gli piacciono a tal punto che ogni giorno cresce in lui la voglia di provare a mettere in piedi una ditta con il suo nome sulla porta. Qualche anno dopo, nel 1910, Stefano riesce a comprare in una piccola frazione di Gavirate un mulino e una piccola cascina. Servono due anni per rendere quell’acquisto il posto giusto dove aprire la sua manifattura. Il mulino riesce a generare l’energia necessaria a muovere i torni per la lavorazione della pipa e finalmente nel 1912 la ditta Stefano Santambrogio può cominciare a scrivere la sua storia.
Gli anni passano sereni sulle rive del lago a forma di scarpa e nel 1926 finalmente
arriva la rete elettrica ad affiancare la forza dell’acqua. La produzione cresce e con essa
i numeri degli operai impiegati. Negli anni Trenta e Quaranta la piccola cascina lascia il
posto a una fabbrica con più di 130 operai e una produzione da centomila pipe al mese.
E il mercato italiano comincia a esser stretto. L’intraprendenza di Stefano lo porta a
guardare anche all’estero. Così, pian piano, le sue pipe arrivano in tutto il mondo, spingendosi sino alle colonie britanniche in Sudafrica, Australia, India.
34
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Una leggenda di
famiglia racconta
che la prima parola
pronunciata
da Stefano
Santambrogio
sia stata proprio
“pipa”. «Non ho
mai pensato di fare
un lavoro diverso
da quello di mio
padre e mio nonno»,
racconta il titolare
dell’omonima ditta
che dal 1912
produce pipe a
Groppello, frazione
di Gavirate (Va)
Alla sua morte, nel 1951, i figli Renzo e Armando prendono in mano l’eredità di famiglia ma devono fare i conti con il mercato che cambia. La sigaretta s’impone tra i consumatori di tabacco e la pipa finisce nel dimenticatoio, chiusa nel cassetto del comodino. La ditta tiene, seppur tra mille difficoltà, ma
saranno gli anni Settanta a rappresentare il momento di maggiore crisi del prodotto. È necessario cambiare strategia per non rischiare di dire addio al sogno di
un padre che aveva saputo vedere lontano. Lo intuisce
Stefano, nipote del fondatore della ditta, che da qualche anno aiuta il padre a mandare avanti l’impresa,
mentre la sera studia meccanica all’Istituto tecnico di
Varese. Nel 1981 papà Renzo scompare e tocca proprio
a lui prendere in mano il timone. Nulla di così difficile, per lui è naturale, l’odore del tabacco è un profumo familiare sin dalla tenera età, in famiglia raccontano che la prima parola pronunciata fu proprio
“pipa”. «Non ho mai pensato che avrei seguito un percorso diverso da quello di mio padre e mio nonno. La
passione per questo lavoro me la porto dentro sin dalla nascita», racconta Stefano che dal 1981, instancabilmente, produce pipe a Groppello, frazione di Gavirate. «Dopo la morte di mio padre decisi che era arrivato il momento d’invertire la rotta: meno produzione
ma di livello qualitativamente più alto. Volevo dare al
cliente un prodotto di nicchia ma allo stesso tempo
di pregio». Per farlo Stefano decide di occuparsi personalmente della produzione e di realizzare, quasi totalmente a mano, un oggetto da collezione.
Com’era accaduto per il nonno molti anni prima,
l’intuizione di Stefano è vincente e l’eccellenza dei
suoi prodotti porta la ditta Santambrogio a festeggiare nel 2012 i primi cento anni di vita, accompagnati da riconoscimenti, premi e soddisfazioni. Tutto per
amore della pipa: «Il mio non è quello che si definirebbe propriamente un mestiere. Non si può lavorare per
tre generazioni in un settore come quello della pipa se
non si ha passione. L’apporto creativo, emotivo e fisico richiesto è enorme. Senza buongusto, senza sacri|
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L’ITALIA CHE LAVORA
Nella foto a lato, il
fondatore della ditta
Stefano Santambrogio
(al centro), il figlio Renzo
(a destra) e un operaio
esperto (a sinistra). È il
1927. Renzo e il fratello
Armando garantirono
continuità alla ditta fino
al 1981. Fu allora che
Stefano Santambrogio,
figlio di Renzo e attuale
titolare, decise di
imprimere una svolta
all’attività di famiglia
«non si fa questo lavoro per tre generazioni
se non si ha passione. La pipa è il frutto della
manualità e dell’estro di chi la produce, non è
paragonabile a nessun altro prodotto da fumo»
ficio e senza passione, da questo laboratorio non verrebbe fuori nulla di buono». Stefano oggi ha sessant’anni e lavora dodici ore al giorno per fare in modo che
dalle sue abili mani prendano vita dei piccoli capolavori. Ad aiutarlo c’è la moglie Sara, che si occupa della
parte amministrativa e di tutto quello che c’è da fare.
Una vera azienda a conduzione familiare che ruota
attorno a un oggetto per intenditori: «La pipa è il frutto della manualità e dell’estro di chi la produce, è pura
artigianalità, per questo non è paragonabile a nessun
altro prodotto da fumo. Chi sceglie la pipa non lo fa
per vizio ma per una sorta di simbiosi tra l’oggetto e il
piacere di possederlo e fumarlo».
Stefano si sente tutt’uno con le sue creazioni, piccoli oggetti di radica «che sembrano banali, costituiti
da pochi elementi, sempre uguali, ma hanno bisogno
del tocco di un artigiano per diventare unici». Spesso
i clienti si rivolgono a lui con richieste bizzarre: «Mi
chiedono, per esempio, di realizzare pipe lunghissime. Cerco di ascoltare tutte le indicazioni e assecondare i desideri senza dimenticare che il mio è soprattutto un lavoro creativo. Non potrei mai fare qualcosa che non incontra il mio gusto, rischierei di fare un
lavoro pessimo. Ho bisogno di esprimere il mio ingegno e la mia manualità, in questo senso sono come
un pittore. Non si potrebbe mai chiedere a un artista
espressionista di realizzare un quadro impressionista
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perché il risultato sarebbe pessimo. Per me è lo stesso».
L’arte del signor Stefano «che è frutto di anni di osservazione, soprattutto del lavoro delle persone più brave di me» qualche anno fa è tornata a valicare i confini nazionali ed è arrivata dall’altra parte del mondo,
in Oriente: «Sin dall’inizio mio nonno ha intuito che
era necessario guardare ai mercati esteri e oggi la sua
idea sopravvive e ci consente di stare sereni. La provincia di Varese per anni ha potuto contare su numerose manifatture di pipa, ma con la crisi molti colleghi sono stati costretti a interrompere la produzione.
Noi, per fortuna, vendiamo molto all’estero e puntiamo a una clientela di nicchia, soprattutto collezionisti. Esportiamo in Europa, negli Stati Uniti e in Cina. I
clienti europei sono tradizionalisti, come gli italiani,
gli americani adorano le pipe classiche, ma chiedono
sempre prodotti più grandi del normale. In Cina, invece, contiamo su due distributori, uno a Shanghai e l’altro a Pechino, con cui collaboriamo da cinque anni. È
iniziato tutto per caso e il primo ordine non superava
le venti pipe. Adesso la Cina è diventata uno dei nostri
clienti più importanti. Il mercato cinese è interessante perché è giovane, potenzialmente molto esteso ed è
attento a tutto ciò che è made in Italy».
La scomparsa dei segantini
Un problema legato al mondo delle pipe però c’è e si
chiama radica: «Uso solo la radica italiana, la migliore, che cresce nel bacino del Mediterraneo. Purtroppo sono sempre meno le persone che si dedicano alla
raccolta della radice dell’Erica Arborea e i produttori si trovano in difficoltà. Stanno scomparendo anche
i segantini, persone in grado di tagliare i ceppi degli
alberi. Noi lavoriamo con un fornitore che si avvale
del lavoro di un segantino che ha 80 anni. Lui vorrebbe anche andare in pensione, ma non c’è nessuno che
possa sostituirlo». Anche il signor Santambrogio ogni
tanto pensa alla pensione. Ama il suo lavoro e non si
risparmia, ma sa che prima o poi arriverà il momento di dire basta: «Purtroppo mio figlio ha deciso di
dedicarsi ad altro e poi non ha la manualità necessaria per fare questo lavoro. Ogni giorno mi sveglio
e penso a quando finirà questa centenaria avventura
familiare. Non so cosa succederà, finché potrò andrò
avanti qui, tra le mie pipe, il solo posto dove sono
sempre stato e dove ho sempre voluto stare».
Paola D’Antuono
STILI DI VITA
CINEMA
IL PIANETA NON PUÒ RESTARE IMMOBILE
Cari ambientalisti, evolvetevi
The Last Exorcism –
Liberaci dal male,
di Ed Gass-Donnelly
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
C’
a se stesso, e strilla e
schiamazza per qualunque modifica dell’ecosistema; non tengono conto
del fatto che il mondo è quello che noi conosciamo solo perché è arrivato
allo stato attuale attraverso una lunghissima serie di mutazioni e di drammi causati dalla natura stessa; ad ogni stormir di fronde, per annunciato che possa essere, costoro schiamazzano come fecero le oche del Campidoglio all’arrivo di Brenno. Eppure nessuno strillò quando questi signori, essi stessi come ognuno di noi
novazione irreversibile della biosfera, vennero alla luce; si ebbero piuttosto immotivati festeggiamenti e improvvide manifestazioni di giubilo.
L’evoluzione non è avvenuta per interventi umani o comunque esterni, ma in
applicazione delle leggi poste alla natura nel momento della creazione dell’universo. In questo quadro, abbiamo certezza di almeno quattro o cinque cicli di
estinzione massiccia di forme di vita verificatisi in conseguenza di drastici cambiamenti climatici, di eventi interplanetari o di altre cause, delle quali la scienza ci sta facendo via via conoscere tempi, modi e cause. È poi evidente, a chi non
abbia la mente ottusa o sia guidato da interessi concreti, che i cambiamenti climatici non sono avvenuti per intervento dell’uomo, che quando molti di questi
avvennero sulla Terra non c’era.
ritenegono che tutela
Neanche la tecnologia attuale ha alcuna incidenza sul clidell’ambiente significhi
ma: figuriamoci quando l’uogarantire la sua invarianza
mo non c’era, o c’erano alcune
nel tempo. dicono no a strade,
migliaia di individui che andaferrovie, ponti; no a tutto.
vano vagando per tundre e foreUn atteggiamento talmente
ste coperti di pelli, armati di clava, di lancia o tutt’al più di arco
retrivo da sbalordire
e frecce.
Una notazione: è tipico degli ambientalisti giurassici ritenere che tutela
dell’ambiente significhi garantire la sua invarianza nel tempo. È un errore. Mantenere uguale a se stesso l’ambiente significa perpetrare la più grave delle violenze contro un complesso di situazioni in continuo mutamento che hanno scritte
nella loro natura le leggi che le regolano. Essi dicono no a strade, ferrovie, ponti;
no a impianti di qualunque tipo; no a tutto. Un atteggiamento talmente retrivo
da sbalordire: a confronto con loro, il cardinale Ruffo può essere considerato un
pericoloso sovversivo.
Ce n’è di gente così in Italia? Ce n’è, ce n’è. Qualche nome? Per cominciare il
presidente onorario di Legambiente Ermete Realacci. Poi Sgarbi, Prestigiacomo,
Pecoraro Scanio. E ce ne sono molti, molti altri: presto liste e imprese.
[email protected]
è chi crede che il mondo debba restare sempre uguale
HUMUS IN FABULA
QUALCHE DRITTA ESTIVA
Decalogo Sorgenia
per risparmiare
Regola il termostato dello scaldabagno a non più di 50° C: riscaldare troppo l’acqua quando poi bisogna miscelarla con
quella fredda è inutile, specialmente d’estate, quando
la regolazione ideale è 40° C.
Mantieni la temperatura del
frigorifero tra 1 e 4° C e quella del congelatore a -18° C: per
38
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ogni grado in meno il consumo
aumenta del 5 per cento. Evita
la fase di asciugatura in lavastoviglie: comporta il dispendio
di molta energia. Sono solo alcuni dei comportamenti suggeriti da Sorgenia all’interno del
suo “decalogo” per risparmiare energia utilizzando in modo
intelligente gli elettrodomestici
e applicare un po’ di sano buon
senso. Dallo scaldabagno elettrico al forno, dal frigo alla lavatrice, la mini-guida del gruppo energetico (online per tutto
il mese di luglio all’interno di
una striscia quotidiana sul sito
www.energiesensibili.it intitolata
Prevedibile ma
buona suspense
Nuove disavventure per la
giovane Nell, sopravvissuta
a un massacro ma ancora
perseguitata.
Ci si addentra nell’esta-
te e fioccano gli horroracci.
Stavolta va meglio del solito. Il primo episodio era
piuttosto brutto: poca suspense e, soprattutto, il solito gioco di rimessa. Tante scopiazzature di film del
filone demoniaco, lo pseudo realismo di Paranormal
Activity e una regia anonima incapace di prendersi dei rischi. Con il secondo
HOME VIDEO
Gambit,
di Michael Hoffman
Commedia giallorosa
Un terzetto improbabile cerca di truffare un ricco e odioso milionario.
Da una sceneggiatura dei fratelli Coen, una discreta commedia con un bel cast (Colin Firth,
Alan Rickman e Cameron Diaz).
Si guarda alla commedia giallorosa: il ritmo c’è e una sequenza – quella in hotel con Firth – è
molto divertente. Gli attori funzionano in quello che vuole essere un omaggio al cinema di Blake Edwards. Hoffman ci riesce
in parte, non avendo la stoffa né
di Blake né dei fratelli Coen.
“L’Efficienza a casa tua”) invita a
piccoli accorgimenti per aggiustare la bolletta e al contempo
informare i consumatori. Alcune
nozioni di base? Utilizzare la funzione grill del forno può raddoppiare il consumo. I Led consentono di risparmiare fino all’80
per cento di energia elettrica rispetto a una normale lampada a incandescenza e hanno
una vita molto lunga
(da 50 a oltre 100
mila ore). I trasformatori invece continuano a consumare
elettricità anche a pc
spento: spegnere sempre computer e stampanti staccando
anche la spina è in questo caso
più di una buona abitudine. Non
mancano le “dritte estive”, come
quella di regolare il termostato
in modo che la differenza di temperatura tra esterno e interno
non superi mai i 5° C.
NOZZE DI PERLA
capitolo si vira dalla parte
del thriller paranoico: l’incipit non è male e per una
buona metà il film riserva
qualche discreta sorpresa
anche grazie a una messinscena piuttosto curata e a
una protagonista che non è
la solita biondona pettoruta
di prodotti del genere. Nulla di che: anzi, sceneggiatura prevedibile, personaggi
secondari risaputi ma dietro
la macchina da presa ci sta
un regista giovane che almeno conosce i meccanismi della suspense e della sorpresa.
Forse ci si può accontentare. visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
Il regista
Ed Gass-Donnelly
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
T
rent’anni di matrimonio. E in tanti ci stanno a guardare, come si
fa, qual è il segreto? Un caffè a
letto tutte le mattine, non si stupiscano gli amici di un tempo, da trent’anni
io a lui, che conosco anche la versione
contraria, lui a lei, e non è che siamo i
più romantici e caritatevoli pur nel regalo bello e semplice, è che altrimenti non si alzano, e un Angelo di Dio
che la carità paterna di don Giussani
ci diede come compito – «ditelo insieme tutti i giorni» – e noi abbiamo obbedito, siamo rimasti fedeli al poco e
ci è stato dato molto. Ti ricordo che il
nostro si chiama anniversario di nozze di perla, caro marito che tranne 3 o
4 volte, quelle più importanti, per questa data io sono qui a casa Marinedda
a fare scorte di orizzonte infinito e pazienza con il Gio e un tot di bambini,
amici e nonni e pizzate-cinema per 20,
nel ricrearsi e rinnovarsi delle forze e
dell’amicizia famigliare e cristiana,
e tu sei lì che subisci la pena del contrappasso con tutti i figli grandi, che di
anno in anno aumentano di numero
e quest’anno, che anche la Teresina è
cresciuta, fa 5. E anche di questa libertà reciproca ci dobbiamo ringraziare e
render conto alle giovani famiglie. Piccoli gesti che ognuno ricrea e inventa
a modo suo, a volte nati per caso, i più
adatti a costruire la propria strada insieme. Lasciando ovviamente stare che
bisogna amare la verità più di se stessi
e fare figli, possibilmente molti.
mammaoca.wordpress.com
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Requisiti per la pensione
Mi sono resa conto che non mi
risultano coperti da contributi alcuni mesi dell’anno 2001 e
2004. In quei mesi non ho lavorato. La domanda è se posso recuperarli ricorrendo ai versamenti
volontari, in modo da aumentare l’anzianità contributiva.
Carmen C.
Il caffè a letto
e l’Angelo di Dio
invia il tuo quesito a
[email protected]
Purtroppo no. I versamenti volontari possono essere utilizzati
solo per periodi futuri. La legge,
una volta ottenuta l’autorizzazione ai versamenti volontari,
introduce la possibilità di effettuare i versamenti per periodi
che si collocano temporalmente nel semestre antecedente la
data di presentazione della domanda, se non sono già coperti
da altra contribuzione.
Desidero sapere se un figlio disoccupato e non sposato ha diritto alla reversibilità della pensione da lavoro del genitore. Qual
è il percorso da seguire ed even-
tualmente quanta percentuale
della pensione del genitore
viene assegnata al figlio?
Pasquale P.
Hanno diritto alla pensione di
reversibilità nel caso in cui alla data della morte del genitore
siano minorenni, inabili, studenti
di scuola media superiore (non
oltre i 21 anni) o universitari
(non oltre i 26) e che siano a carico del genitore. L’importo spettante ai superstiti è calcolato
sulla base della pensione dovuta
al lavoratore deceduto applicando le percentuali che potrà trovare nella legge 335 del 1995.
In agosto 2013 compirò 66 anni
con 36 anni di contributi. Quando potrò andare in pensione? Esiste sul vostro sito una tabella che
non sia complicata da analizzare?
Davide G.
I requisiti previsti nel 2013 per
la pensione di vecchiaia sono 66
anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contribuzione. Potrà andare in pensione dal 1° dicembre e potrà trovare conferma
di questo sul sito www.inps.it,
nell’area dedicata alla Riforma
delle pensioni, in cui troverà una
semplicissima tabella riassuntiva dei requisiti anno per anno.
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Tempi
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era il gruppo. Come nella
Nazionale di quest’anno»
di Luigi Amicone
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di Oscar Giannino
di religione
spread, ormai è una guerra
Giannino: Altro che debiti e
PER PIACERE
NEW DELHI, MILANO
Niente manzo ma tanto riso,
verdure e salse di ogni tipo
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI/1
La persecuzione
nazista a musicisti
e compositori ebrei
A partire dagli anni Trenta il regime nazista ha iniziato una accanita lotta contro tutti quei
musicisti, compositori, direttori ebrei portatori di “musica degenerata” e per questo costretti
all’esilio o confinati nei campi di
sterminio. Lo scellerato disegno
del nazismo atto a eliminare
ogni contributo all’arte tedesca
da parte dei “non ariani” (che
comunque non riuscì a produrre
un vero e proprio trattato in cui
musica e razza fossero messi in
relazione) è ben documentato
ne L’armonia delle tenebre, saggio di Nicola Montenz, edito da
Archinto (366 pagine, 16 euro).
L’opera approfondisce inoltre
la posizione di chi, tra gli artisti del periodo, ebbe un atteggiamento ambiguo nei confronti del potere e chi invece, come
il violinista Josef Szigeti o il sovrintendente Gustav Hartung, si
oppose al folle meccanismo.
Mario Leone
Twitter: maestroleone
di Tommaso Farina
I
mpossibile generalizzare sulla civiltà culinaria di un paese come
l’India, grande più o meno come mezza Europa. L’unico tratto davvero comune è l’assenza della carne di manzo su quei
deschi, vista la sacralità della vacca per i seguaci della maggioritaria religione induista. Per il resto, via libera con tante salse e, cosa
che piacerà non solo ai vegetariani, tanta verdura.
Per diletto, siamo tornati al milanese New Delhi: una trattoria indiana che i lettori del nostro giornale già conoscono, accanto allo Spazio Oberdan. Una garanzia: lo conosciamo da anni, e
non ci ha mai tradito. Non cercate lo sfarzo un po’ pacchiano di
altri posti: qui i riferimenti ambientali all’India sono quasi assenti. Il sapore del sub-continente viene tutto dalle cucine. I samosa,
involtini ripieni di verdure o di carne, sono morbidi, ottimi. I curry sono parecchi, una ventina, principalmente secondo la tradizione dell’India del nord ma con qualche eccezione: il Vindaloo,
scuola dell’India meridionale, particolarmente piccante, eseguito con pollo o agnello. All’opposto, il Korma (anche qui, pollo o
agnello) è morbido e cremoso, arricchito da yogurt, mentre il Rogan josh, ossia il cosiddetto curry rosso d’agnello, si fa con peperoni e anacardi. Per i più tradizionalisti, c’è anche il pollo tandoori, ossia cotto nel famoso forno e colorato di rosso cupo in modo
naturale. Dal tandoor vengono pure i Booti kebab, spiedini di carne di agnello (in India piace, e non hanno torto) marinati in yogurt e aceto di malto con una speciale miscela di spezie, che conferisce anche ad essi il caratteristico colore.
Il riso non può mancare, rigorosamente tipo basmati: bianco, pulao (pilaf di zafferano), con aglio, con funghi, con agnello
(biryani) o con verdure. Di dolce, il famoso gelato indiano. Da bere qualche vino, qualche birra oppure qualche bevanda indiana.
Contemplate circa 30 euro di spesa, a seconda di quanto mangiate. Tenete conto che il pranzo può essere richiesto anche da portare a casa, se volete. Buon appetito.
Per informazioni
New Delhi
www.ristorantenewdelhi.it
Via Tadino, 1 – Milano
Tel. 0229536448. Sempre aperto
«Nel cielo ormai quasi buio s’inseguivano lucenti pallottole traccianti. In quel cielo c’era Dio: io
stavo muto e grigio davanti a
Lui, nel gran freddo. Vicino a me
c’erano la mia miseria e il mio
voler continuare a essere uomo e capo di uomini, nonostante
tutto». È un giovanissimo Eugenio Corti che scrive nel suo diario, dove descrive l’odissea degli
italiani in fuga dalla Russia. Ventunenne, tenente dell’esercito,
Corti racconta i ventotto giorni in una sacca sul fronte rus-
so (inverno 1942-43), giorni interminabili, freddi, bianchi. I più
non ritornano è stato pubblicato nel 1947: era la prima volta
che qualcuno raccontava quella
tragedia avendola vissuta, avendo visto amici e compagni cadere sulla morbida neve senza
più potersi alzare. Corti è stato il primo a raccontare di tutti quei commilitoni che accucciati nelle dune si lasciavano morire
di stenti e di freddo chiedendo
aiuto alla propria madre, lontana migliaia di chilometri. L’ennesima riedizione, questa volta di
Ares (336 pagine, 12,90 euro),
è preceduta da una partecipa-
Chiusa la trilogia
del mal d’amore
È la storia di Antonio, un professore universitario ed ex deputato del Pci che si interroga sulla
cecità che ha colpito la moglie,
Chiara: «Una cieca capace di cucire l’orlo di una sottana, ma incapace di riconoscere il mio volto». Si intitola Quando Chiara ha
perduto la luce (Tabula Fati, 143
pagine, 12 euro) l’ultimo libro
con cui Francesco Bova conclude
la sua trilogia del mal d’amore
iniziata con La leggenda dei pesci bambini e proseguita con Nata con il cuore in una mano. Questo romanzo è il racconto di un
pellegrinaggio interiore tra cielo e terra e di una conversione.
Ambientato tra Liguria e Francia, il registro è quello sospeso
tra misticismo e psicanalisi.
LO SPECIALE DI TEMPI
Verso il Meeting 2013
LIBRI/2
I più non ritornano
Per chi deve leggerlo
e chi lo ha già fatto
LIBRI/3
ta introduzione a cura del giornalista e scrittore Luca Doninelli che di questo diario sottolinea
il cuore della ricerca di Corti: «I
più non ritornano è pieno di cose
che fanno girare la testa dall’altra parte, e Corti non prova nessun piacere sadico nel raccontarcele. Semplicemente, ci istruisce
circa una possibilità nuova, quella di guardare l’orrore e raccontarlo, testimoniarlo, senza dover
cadere nella disperazione, portando l’intelligenza umana fin sul
margine di quell’impossibile speranza da cui scaturisce, finalmente incensurata, tutta la narrazione del mondo».
In allegato a questo numero di
Tempi, uno speciale dedicato alla prossima edizione del Meeting, 84 pagine per raccontare le
mostre, gli incontri e parlare con
i protagonisti presenti a Rimini
dal 18 al 24 agosto prossimo. «Il
centro di questo Meeting – scrive Amicone nell’editoriale – è un
volto. Il Volto. E i volti che da Lui
discendono. La Veronica di Manoppello (…) nella più bella delle
mostre viene ora indicata a tutto il popolo. E poi i volti di Chesterton e di Testori. Di Shahbaz e
delle migliaia di martiri cristiani
di questo mondo. I volti di Paul
Bhatti, John Waters e di tutti
quegli uomini e donne che sono
come sentinelle della verità».
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| 24 luglio 2013 |
41
MOTORPEDIA
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Aprilia Tuono V4 R Abs
Italiana come la Fiat 500, ma di tutt’altra pasta, la Aprilia Tuono V4 R Abs preferisce essere cavalcata dal solo pilota, magari in pista dove, nonostante l’aspetto da naked, si
dimostra più efficace di molte supersportive carenate. È di
questi giorni l’arrivo sul mercato del nuovo modello equipaggiato con Abs (con tre mappature) che rimpiazza in listino il
precedente e riceve anche una iniezione di potenza per il già
esuberante V4, ora capace di ben 170 cavalli. Tra le novità
introdotte segnaliamo il nuovo serbatoio più capiente e, soprattutto, una sella più morbida che migliora il comfort. Nonostante tutte le migliorie, l’Aprilia Tuono Abs conferma il
[sc]
prezzo della precedente: 16.100 euro.
42
| 24 luglio 2013 |
|
Se la Fiat 500 L è
luminosa, la Living
lo è ancora di più,
specie se si decide
di adottare il tetto
panoramico di ben
1,5 metri quadrati
offerto in optional
per entrambe
le versioni
PopStar e Lounge.
Nella foto a sinistra,
la nuova Aprilia
Tuono equipaggiata
con Abs e motore V4
da ben 170 cavalli
Sette posti e tanta luce
per la FIAT 500 L Living
Un piccolo loft
su quattro ruote
Q
ualcuno l’ha già definita l’erede della Multipla: la 500 L Living riesce, però, a fare ancora meglio della precedente multispazio
di casa Fiat, ad esempio aggiungendo un posto a
sedere. Grazie ai 25 centimetri di lunghezza in
più rispetto alla 500 L “normale”, tutti concentrati nella zona posteriore, la Living riesce infatti a offrire spazio per sette passeggeri. Un’opportunità, quella della terza fila di sedili (offerta in
optional a 750 euro), che sarà senza dubbio apprezzata da chi ha una famiglia numerosa. La
500 L, quindi, si allunga senza per questo cambiare l’immagine da monovolume a “pulmino”,
come accaduto ad alcune concorrenti in configurazione sette posti. Le dimensioni, infatti, restano compatte, con 4,35 metri di lunghezza,
1,78 di larghezza e 1,67 di altezza.
Parlando di numeri, se usata in configurazione cinque posti la Living aumenta di 200 litri
il volume del bagagliaio rispetto alla “L”, passando dai 560 litri con divanetto tutto arretrato e
più spazio per le gambe, ai 638 litri quando il divanetto stesso è tutto avanzato. Spazio che passa a ben 1.584 litri nel caso si decida di abbattere
tutti i sedili. Sfruttando, invece, i sette posti disponibili la capienza scende a 168 litri.
La gamma dei motori si affida a unità note
per il gruppo Fiat: si parte dall’immancabile bicilindrico 0.9 TwinAir da 105 cavalli, per passare
ai più interessanti (visto il tipo di auto) 1.3 Multijet da 85 cavalli e 1.6 Multijet da 105 cavalli; prevista in autunno anche una versione a metano e
un Multijet da 120 cavalli.
la terza fila di
Se la 500 L è luminosa, la
Living lo è ancora di più, sosedili (in optional
prattutto se si decide di adota 750 euro) sarà
tare il tetto panoramico di
senza dubbio
ben 1,5 metri quadrati offerapprezzata daLLE
to in optional per entrambe
famigliE numerosE le versioni PopStar e Lounge,
quest’ultima la più ricca nella dotazione: offre di serie climatizzatore bi-zona, rivestimenti in ecopelle, sensori di parcheggio, telecamera posteriore e schermo touch da
5’’ con navigatore Uconnect, cerchi da 16’’.
Attesa a settembre nelle concessionarie, la
500 L Living avrà un prezzo di ingresso di 19.200
euro (21.400 per la 1.6 MJet). Come ormai consuetudine per Fiat è prevista al lancio la versione
Opening Edition, che sarà prodotta in 500 esemplari particolarmente ricchi nella dotazione.
Stefano Cordara
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| 24 luglio 2013 |
43
POST
APOCALYPTO
JULIO E LE SUE PERIPEZIE
L’epilessia, l’alcolismo,
il tradimento e poi
un’accoglienza inattesa
S
olo l’incontro con un grande amore salva e cambia la vita. È stato così per me da parte del Servo di Dio monsignor Luigi Giussani ed è quello che mi succede ogni giorno incontrando tante persone che mi scrivono o vengono qui a visitarmi o fanno parte della
mia grande famiglia. Ma l’amore è un uomo, un uomo che duemila anni fa affermò di essere Figlio di Dio. E quest’uomo continua ad essere nell’abbraccio, nella carezza, nella compagnia di chi
Lui ha scelto per manifestarsi in ogni uomo. Quando molti anni fa insegnavo in un liceo, ero solito ripetere con molta passione che il segno dell’amore di Dio in una classe era evidente nel fatto
che tra 20 o 25 ragazzi Dio aveva scelto alcuni di loro per essere il segno della Sua Presenza. Ed
era per me una commozione quando nelle assemblee perfino i peggiori “nemici” chiedevano: ma
chi siete voi, nostri compagni di banco, per vivere in modo completamente differente da noi? La
stessa domanda che ogni classe di persone continua a pormi dopo 42 anni di sacerdozio e 24 di
missione in Paraguay. Qui incontro tutti: poveri della strada, bambini, bambine distrutte, malati
terminali di Aids o di cancro, persone di altre confessioni cristiane, giornalisti, politici, ministri, fino al presidente della Repubblica. Tutti si avvicinano con la stessa domanda degli anni nei quali stavo al liceo di Feltre, Belluno. Saranno cambiati i tempi, ma la curiosità dell’uomo davanti ad
una provocazione vera è tuttavia sempre la stessa. E la provocazione non è una coerenza di vita
ma uno sguardo pieno di compassione come quella di Gesù con Zaccheo, la samaritana, Matteo,
l’adultera. È l’amore, la tenerezza che rompe il cuore di pietra e muove la persona a confrontarsi
con lo sguardo di Gesù vivo negli occhi di un peccatore innamorato di Gesù. Il mondo è affamato di Cristo. Cioè di una carezza autenticamente umana, di un abbraccio capace di comunicare il
senso, il gusto della vita. Alcuni giorni fa è morta di cancro Carola, una bella ragazza di 20 anni.
È morta quasi all’improvviso, con grande sorpresa di tutti. Non potrò dimenticare mai l’abbraccio di sua mamma appoggiata con la testa sulla mia spalla. In quel momento ho sentito la presenza di Gesù che mi chiedeva di comunicarle tutta la sua tenerezza, come segno della tenerezza
divina nella quale la figlia stava già vivendo. Finché i suoi singhiozzi si sono calmati, lasciando il
posto ad una profonda pace. È la stessa cosa
che succede con i miei bambini che quando mi
È l’amore che rompe
vedono da lontano cominciano a gridare il mio
nome, correndomi incontro e gettandosi tra
il cuore di pietra e
le mie braccia o aggrappandosi a me. L’altro
muove verso lo
giorno una bimba voleva abbracciarmi e, istinsguardo di Gesù.
tivamente, per quell’inumano clima di terrore
creato dalla questione della pedofilia, mi soIl mondo è affamato
no tirato indietro. La bimba mi ha chiesto, tridi Cristo. Cioè di una
ste: «Papà, perché non lasci che ti abbracci?».
Mi ha causato un forte dolore e anche, sincarezza veramente
ceramente, una grande rabbia verso chi crea
umana, di un abbraccio
questo clima di violenza per il quale non posso
permettermi neanche di amare questi bambicapace di comunicare
ni a cui nessuno ha mai voluto bene nella viil senso, il gusto
ta e che hanno bisogno di tanto amore. Nei
giorni scorsi, in compagnia dell’avvocato della
della vita
44
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A destra, Aldo
Trento nella “sua”
fattoria Padre Pio
in Paraguay
Fondazione, sono dovuto comparire davanti al
Tribunale dei minori perché una donna pazza,
alla quale abbiamo proibito di portarsi a casa tre bambini, denunciò alla procura la casetta di Betlemme per abusi sessuali. Una cosa
assurda, una vergogna che non mi preoccupa
personalmente, sono abituato a questo genere
di vendetta. Una persecuzione normale per chi
si occupa di raccogliere, amare, educare questi bambini abbandonati. Ma niente e nessuno
mi potrà impedire di andare avanti, vivendo
la posizione di Gesù verso i più piccoli. La testimonianza che segue è quella di un giovane
che vive con noi nella fattoria “Padre Pio.” È
la storia di un immenso dolore e di un piccolo
gesto di amore che gli ha salvato la vita.
[email protected]
I
l mio nome è Julio
Santiago Fernandez
Ramirez. Sono nato a Caaguazú il 6 luglio del 1985 e sono figlio unico. Non sono riuscito a finire la scuola perché soffrivo
di epilessia. Per anni mio padre e mia madre
hanno badato molto a me, dato che la mia
malattia è incurabile. Prendevo medicine per
cercare di avere meno convulsioni, perché le
avevo molto spesso. Poi a 16 anni ho conosciuto una ragazza, Juanita, di 15 anni, anche
lei della mia città. Nel 2004, quando avevo
19 anni, mio padre è morto di ictus ed è stato un colpo molto duro. Dopo la sua morte ho
iniziato a bere alcolici e ho smesso di prende-
di Aldo Trento
re le medicine. Mia madre e la mia fidanzata mi dicevano di smettere ma io non gli davo
retta. Ho cercato di imparare un mestiere per
costruirmi un futuro, ma per colpa della malattia avevo poche possibilità di lavorare. A
22 anni ho sposato Juanita con rito civile anche se mia madre mi consigliava di aspettare.
Mio zio è venuto dall’Argentina per portarci a vivere là. Ci siamo rimasti per 5 mesi, ma
mia madre non stava bene e infatti a maggio,
tre giorni prima del suo compleanno, è morta improvvisamente. Prima di morire le avevo promesso che avrei ripreso a prendere la
mia medicina. Mio zio mi aiutò molto a superare questa perdita tanto grande, la più dolorosa della mia vita. Sono tornato in Paraguay
molto scioccato insieme a mia moglie, anche
lei mi è stata molto vicina. Siamo venuti a Caaguazú, nella casa che aveva comprato mia
madre. Abbiamo messo su un negozietto che
mia moglie si occupava di gestire quando io
dovevo andare a lavorare fuori. Lei era incinta e diede alla luce un bambino che abbiamo
chiamato Keanu Gerardo Fernandez Ramos.
Dopo alcuni mesi mi accorsi che mia moglie si
comportava in modo strano.
Al principio pensavo che fosse arrabbiata con me perché continuavo a bere, ogni fine settimana con un vicino di nome Fazio e in
più non prendevo le medicine. Finché un giorno mia moglie non mi disse la verità: amava
Fazio. Quando l’ho saputo ho preso una fune,
l’ho fissata a un albero e me la sono messa
intorno al collo. Mi sono buttato e poco dopo ho visto una persona vestita di bianco e
poi mia moglie insieme al mio vicino che mi
hanno salvato. Lei allora mi ha detto: «Grazie
a Fazio sei vivo!». Le ho chiesto perché non
mi avesse lasciato morire. Poco dopo questo
fatto lei è tornata a casa dei suoi genitori e io
ho deciso di tornare in Argentina. Sono partito senza conoscere nessuno nel posto in cui
andavo. Sono rimasto in una piazza per quindici giorni senza mangiare né bere niente.
Una casa e ancora il vagabondaggio
Un giorno una persona mi ha chiesto di dove
fossi. «Sono del Paraguay», ho risposto. Era
paraguaiano anche lui e mi ha offerto ospitalità a casa sua per alcuni mesi. Ho cercato
di lavorare, ma il guadagno era minimo e così sono tornato in Paraguay, nella città di Capiatá, all’indirizzo che mi aveva dato l’amico
con cui ero vissuto in Argentina. I primi giorni sono stati molto difficili perché non conoscevo nessuno e nemmeno il posto. Ancora una volta mi sono ritrovato in una piazza
e poi mi sono giocato le possibilità di alloggio che avevo trovato. Soprattutto, non potevo lavorare molto per via della mia malattia. Eppure riuscivo a rimediare qualcosa per
guadagnare denaro e ubriacarmi. Fino a che
un giorno il miscuglio della mia medicina e
dell’alcol mi hanno quasi ammazzato. In quel
momento ho preso la decisione di smettere di
bere e così ho fatto.
È già da un anno e mezzo che ho smesso di
bere e ho ripreso le medicine. Per fortuna ho
trovato delle persone che mi aiutavano quando terminavo la medicina, ma riconosco che
comunque non mi curavo come avrei dovuto. Poi nel 2012 mi viene detto che dovevo lasciare la casa in cui vivevo perché i proprietari dovevano affittarla. Mi sembrava uno
scherzo. Invece dopo due anni mi hanno buttato fuori per davvero. Per fortuna nel quartiere viveva una signora chiamata Rufina che
di solito mi aiutava dandomi da mangiare e
a volte anche dei soldi. Grazie a lei e a molte altre persone ho continuato a vivere. Grazie a Rufina, in particolare, sono arrivato alla Fondazione San Rafael, a padre Aldo e a
tutte le persone che ci lavorano. Grazie a loro
posso continuare il mio trattamento in modo
adeguato e avere una casa dove vivere. Rendo grazie a Dio e alla Vergine, ai miei genitori
che mi proteggono. Sono arrivato alla Fattoria Padre Pio e qui sono rinato, ho incominciato una vita nuova e mi sento molto felice perché ho finalmente trovato persone che
mi vogliono veramente bene. Qui viviamo come persone normali, abbiamo i nostri lavori
giornalieri, come una famiglia. C’è un’altra cosa che voglio dire: qui vive una persona molto speciale. Mi cura e mi consiglia quando ho
qualche problema e mi aiuta molto. Quella signora è Ña Nilda e io la ringrazio moltissimo.
Sono già 8 mesi che sto vivendo nella fattoria
e mi sento molto felice. Ringrazio padre Aldo Trento per avermi ricevuto quando ero già
perso, anche la Fondazione San Rafael per offrirmi tutto quello di cui ho bisogno per curarmi, le medicine e altre cose. Di tutto cuore dico loro molte grazie e chiedo a Dio e
alla Vergine che abbiano cura delle loro vite.
Julio
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LETTERE
AL DIRETTORE
G. Bocca si chiese se sia
giusto o no ammazzare
un prigioniero di guerra
L
a lettura del numero 28 di Tempi mi ha provocato le
seguenti considerazioni. Si parte dall’on. Lupi (quello delle multe scontate del 30 per cento, per cui sarà
sempre più conveniente pagare e tacere che non ricorrere
contro un’ingiusta sanzione), che fa l’elogio delle opere pubbliche, ossia della spesa pubblica (=tasse). Si prosegue con
Roberto Snaidero, felice e sollevato per essere entrato anche lui nel club delle imprese sussidiate dallo Stato. Arriviamo all’articolo di Morri che esalta la (s)vendita del patrimonio immobiliare pubblico, ignorando
che questo avrà effetti devastanti sul
già esanime mercato immobiliare italiano, lasciando invariata la vera causa
della recessione italiana, ossia l’elefantiaca spesa pubblica di uno Stato tra
i meno sussidiari al mondo. Ci si mette anche Berlicche che, da buon diavolo, dice la verità ma si dimentica (intenzionalmente, of course, se no che
diavolo sarebbe?) che il perdono va
elargito sì grandemente, ma che vi sono delle precondizioni quali: accusa
dei peccati, pentimento di cuore, fermo proposito a non peccare più. Come
apoteosi: l’elogio del gioco d’azzardo
gestito e/o regolamentato dallo Stato, altro bel sistema per aumentare il
gettito fiscale ingoiando il denaro dei
grulli (non diceva qualcuno che le lotterie son la tassa sugli imbecilli?), come se l’unico gioco cattivo fosse quello clandestino, mentre quello pubblico
è tutto sommato buono (dove ho già
sentito questa argomentazione? Legge 194? Può darsi). Concludo citando un proverbio veneto: “Le speranze
dei disperati sono tre: trovare denaro,
ereditare, vincere al Lotto”. Dall’ultimo numero di Tempi ho capito questo:
siamo disperati, e facciamo pure l’elogio della disperazione. Con immutata
stima e augurio di buon lavoro.
Andrea Zambelli via internet
Mi faccia capire: realizzare grandi
infrastrutture pubbliche come l’Alta Velocità, fare Pil con la circolazione e l’approvviginamento di mezzi e servizi, è spesa quanto trenta
bidelli a plesso scolastico moltiplicati per gli impiegati alla Regione
Sicilia, più l’esercito di uscieri, applicati di cancelleria, lavoratori socialmente utili eccetera? Mettere
a reddito il patrimonio statale che
langue come Pompei e produce solo
parassitismo abbattendo di brutto
il debito pubblico che ci costa qualcosa come due finanziarie l’anno
(80 miliardi) di interessi, renderebbe povero Caltagirone? Devo vietarmi il Superenalotto e andare in
giro con l’occhio da boia? Scusi, ma
lei è disperato o ci fa? Con simpatia.
2
Lunedì 15 luglio è apparsa su Repubblica la trascrizione di un’intervista
a Giorgio Bocca realizzata nel 2009
per un libro che uscirà prossimamente. Che io sappia, è la prima volta che
l’“arcitaliano” dell’Espresso racconta di
avere ucciso a sangue freddo, da partigiano, un maresciallo delle Ss tedesche
prigioniero della sua brigata. «Era un
uomo fortissimo», ricorda Bocca. «Conosceva tutti i posti a disposizione delle nostre bande. A un certo punto viene un rastrellamento e io dico: “Questo
qui non possiamo lasciarlo andare,
perché va immediatamente a rivelare tutte le nostre posizioni, bisogna fucilarlo”. L’ho detto ai miei comandanti
di banda, che uno dopo l’altro sono venuti a dirmi: “Io non ce la faccio!”. Abbiamo persino tirato la pagliuzza per
vedere a chi toccava e, visto che nessuno si decideva, l’ho fatto io. L’ho fatto io… e ancora adesso mi chiedo se
ho fatto bene o se ho fatto male. Allora ero certo di aver fatto bene: per
spiegare agli uomini che era una guerra spietata e che non si potevano avere pietà o pentimenti, bisognava che il
comandante si assumesse le responsabilità. Ma adesso, dopo tanti anni, non
so se fosse giusto o non giusto». Ecco,
mi è parso molto bello ricevere questa lezioncina di “spietatezza necessaria” proprio nei giorni in cui lo stesso
quotidiano ci fa una testa così perché abbiamo strapazzato i diritti umani consegnando la povera famiglia del
dissidente kazako al «satrapo».
Paco Minelli Ferrara
Bella “la spietatezza necessaria”.
Ma non c’entra la lezioncina da Borat. Il problema piuttosto è se tra
tutti gli autori puri, giusti, superiori che frequentano Repubblica ce ne
sia almeno uno che non abbia posto
ad altri invece che a se stesso la domanda fatidica che si è rivolto Giorgio Bocca (sì, è vero, forse un po’
tardivamente).
2
Si sono fronteggiati ancora una volta, a Milano, prolife e femministe. Nelle precedenti occasioni, queste ultime
– non autorizzate e del tutto indisturdi Fred Perri
IO DICO: LIBERALIZZIAMO
Q
uando il mondo dello sport viene squassato da casi
clamorosi di doping come quelli appena rivelati di Gay e Powell o semplicemente dal sospetto
(su Froome il dominatore del Tour: non appena uno
va forte a pedali si pensa subito a una bomba), torno
ad avanzare la mia vecchia proposta: liberalizzazione
totale del doping sportivo che, in questo caso, non sa-
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rebbe neanche più doping. Tra l’altro, se fosse tutto
alla luce del sole, ne trarrebbero giovamento anche
gli atleti che potrebbero essere seguiti da strutture organizzate, da medici preparati e non da stregoni più
o meno laureati.
Ovviamente mi rendo conto dell’enormità della
proposta e rispetto le opinioni di chi pretende la re-
Foto: AP/LaPresse
C’è una cosa peggio del doping
il professionismo dell’anti-doping
[email protected]
bate – avevano insultato, lanciato oggetti e distrutto cartelloni di chi difende la vita degli esseri umani inermi e
innocenti non ancora nati. Stavolta,
le libertarie hanno giocato di fino, esibendo anche un cartello con scritto:
«I Cav (Centri di aiuto alla vita, ndr)
si chiudono con il fuoco con gli obiettori dentro se no è troppo poco!». Si
tratta di istigazione a delinquere (omicidio e strage), un reato perseguibile
d’ufficio che, vista la flagranza, avrebbe meritato l’arresto della responsabile e l’immediata rimozione del cartello.
Niente di tutto questo, le forze dell’ordine hanno redarguito solo chi ha segnalato il grave reato. Potrebbe essere il passaggio definitivo dell’Italia da
culla a tomba del diritto. Enrico Pagano via internet
Capisco che questi prolife disturbino la quiete pubblica e anche la
mia immaginazione quietista. Però
le esagerazioni da nonne acide proprio non le capisco. Lasciamole scalmanare e non scalmaniamoci noi,
per favore.
2
Leggo volentieri dell’attività del ministro Maurizio Lupi che peraltro mi informa costantemente e puntualmente del suo operato, essendo io un suo
elettore, perché non potevo esprimere
preferenze. Reputo però che si debba parlare con chiarezza a 360 gradi:
lui non mi dice cosa pensa dell’aborto
e di altre questioni che gli pongo. Perché non ci sente? È sordità congenita
(allora ci vuole un miracolo) o sordità
acquisita (vediamo le cause)? Leo Aletti
A CIASCUNO IL SUO COMPITO
La battaglia sui princìpi irrinunciabili
e il messaggio essenziale del Papa
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
L
Accattoli ha fatto notare sul Corriere della Sera che Papa Francesco evita di
parlare delle questioni legislative cosiddette “irrinunciabili”: la legislazione su
matrimonio, aborto, scuola non statale, eutanasia e così via. Il Papa parla e agisce con radicalità evangelica: i suoi discorsi invitano alla generosità senza ipocrisie e
sono costellati di parabole come quelle che i vangeli ci riportano secondo i discorsi di
Gesù. Il suo comportamento è proprio di colui che non ha dove posare il capo: come
Gesù si ferma a confortare chi soffre, anche se si tratta di samaritani cioè di persone
che hanno un diverso credo religioso, corre dagli ammalati e dai prigionieri, scansa
gli incontri mondani. Mi sembra che l’intenzione del Papa sia quella di lasciare a me,
che sono un cittadino cristiano, il compito di adoperarmi perché la società sia retta
da leggi rispettose della dignità umana, mentre lui, il Papa, si è assunto il compito di
annunciare in modo trasparente e fedele il messaggio di Gesù.
È su quel messaggio che si è fondata la civiltà armonica e rispettosa dell’uomo
di cui ancora oggi, malgrado tutto, godiamo i benefici: è la civiltà che conta gli anni
dalla nascita di Cristo. Il Papa va all’essenziale, perciò le sue parole e il suo comportamento sono così evocativi del fascino di Gesù. Senza quel fascino non si costruisce
niente. Se è vero che devo esigere una legislazione giusta dallo Stato, è vero anche che
devo ringraziare il Papa per la nuova primavera della Chiesa.
uigi
Ecco, se l’aborto non esistesse, cosa non si farebbe per evocarlo anche nel discorrere di mattoni, non
forcipi.
2
La presidente della Camera Laura Boldrini si è detta soddisfatta della scelta della Rai di non mandare più in onda Miss Italia e ne ha approfittato per
deplorare il ruolo “muto” a cui sono
relegate le donne nel piccolo schermo.
Adesso sì che il nostro sarà un paese civile senza cosce né fondoschiena (pardon, lato B!) in vista. Una bella
legge sull’omofobia, una sul femminicidio e magari pure una norma che regola il grado di nudità permesso alle
signore in tv. Questo è progresso?
Cecilia Marchetti Milano
Lauretta ha proprio meritato il ritrattino che le dedicheremo la settimana prossima.
Foto: AP/LaPresse
SPORT ÜBER ALLES
golarità delle manifestazioni sportive. Ma c’è un altro aspetto non marginale, al di là del tema etico, che
rende irrealizzabile la faccenda. L’anti-doping, come
tanti “anti” della nostra epoca, in se stessi rispettabili
(anti-fascismo, anti-mafia, anti-imperialismo), è diventato un business clamoroso. Insomma, un mestiere.
Sull’anti-doping, come su tutti gli altri anti, sono state
costruite carriere, aziende, guadagni, si mantengono
mogli e amanti, case con l’Imu e palazzi senza. Insomma, ho il sospetto che ormai gli “anti” guadagnino di
più di quelli che vogliono contrastare e che quindi
non ci libereremo mai di loro, né di quelli che, in teoria, stanno contrastando. Dio, adoro essere così lucido.
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taz&bao
Eurottus
«Oltre a vedere il mondo da una prospettiva
distorta, i funzionari (dell’Unione Europea)
non si curano delle cause profonde, e si concentrano perlopiù sugli aspetti tecnici, legali e
istituzionali. Quando difendono l’austerità, lo
fanno a partire dalla cornice dei trattati europei, che dicono loro in grande dettaglio come
deve avere luogo l’aggiustamento fiscale e cosa succede se non viene fatto. Non è che sono
in stato di negazione circa gli effetti dell’austerità fiscale o della disoccupazione. Alcuni
lo sono, altri no. Ma il punto è che la cosa sta
fuori dalla loro cornice di riferimento. Pertanto non è una sorpresa che il sistema prescriva
la medicina sbagliata. Anziché azzerare la politica monetaria e quella fiscale, tutti stanno
sprecando tempo prezioso con programmi cinici che hanno per oggetto la disoccupazione
giovanile, benché tutte le evidenze teoriche
e pratiche ci dicano che tali programmi sono
uno spreco di tempo e soldi se non sono sostenuti da una politica macroeconomica».
Wolfgang Münchau
Financial Times, 14 luglio 2013
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| Foto: Getty Images
usità
TERRA
DI NESSUNO
LIVORNO, AL BAR DELLO SPORT
Italia così uguale
così in pace
V
ada (Livorno), sabato 13 luglio. Le nove
del mattino. Il sole già alto nel cielo
chiaro. Me ne sto qui sotto i portici,
a un tavolino del Bar dello Sport, a guardare chi va e chi viene in piazza Garibaldi. Davanti a me la tazzina vuota manda ancora
aroma di caffè. Questa è la piazza principale
del paese: in fondo c’è la chiesa, e qui davanti un giardino con gli oleandri e le palme; e
una fontana, dove nelle ore calde vanno a bere i bambini che giocano alle altalene. Si affacciano sulla piazza una pescheria, un gelataio, due trattorie e delle botteghe di cose da
mare. Appesi in fila, costumi, sandali, palette e secchielli. Alligatori di gomma gonfiabili. Passa una bambina per mano alla madre
e guarda l’alligatore, incantata. La madre la
tira via e lei ancora si volta a
guardarlo, l’indice teso a indicarlo, innamorata.
Il movimento più intenso è
attorno all’edicola. Un andirivieni di uomini anziani in canottiera e ciabatte, che se ne
tornano con Il Tirreno sottobraccio. Poi passano dal tabaccaio, e infine oziosamente ciabattando vanno verso casa. Le
donne sono più di fretta, con la sporta della
spesa già piena e un figlio o un nipote accanto. I ciclisti pedalano indolenti, e volentieri in
contromano; un vigile all’angolo lascia correre, non osando contraddire ciò che evidentemente è usanza qui, da generazioni.
Davanti alla bottega del fornaio c’è una
lunga coda per la pizza al trancio. La si porterà, oggi, alle Spiagge Bianche insieme all’anguria, nella piccola chiazza d’ombra dell’ombrellone, sotto al sole a picco di luglio.
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di Marina Corradi
Passano dei turisti nordici, paonazzi. Annusano il profumo di cacciucco che già viene
da una trattoria. Dicono qualcosa in tedesco,
sorridono fra loro.
Piazza Garibaldi, Bar dello Sport. Quante
piazze Garibaldi e quanti Bar dello Sport ci saranno, nei paesi d’Italia? Con la chiesa al centro, e poco più in là, magari ancora la vecchia
insegna rossa del Pci, con la falce e il martello
sbiaditi. Col tabacchi, e accanto la buca delle
lettere, dove il postino passa a orari uguali; e
i pensionati che, passata l’ora più calda, si siedono sulle panchine del giardino pubblico. E scricchiolano
i passi sulla ghiaia, e arrivano
le grida dei ragazzini dal cortile dell’oratorio. Le foglie sulle chiome degli alberi sopra di
loro sono verde scuro, pesanti,
nel colmo dell’estate.
I giornali in edicola hanno
titoli a caratteri grossi, allarmanti; ma la gente di piazza
Garibaldi sa, o crede, che non ci sia da allarmarsi davvero. Che l’anno prossimo si sarà
ancora qui, sotto a un cielo azzurro, e nuovi bambini appena capaci di stare in piedi
pretenderanno palette e secchiello. Per fare
castelli di sabbia che le onde disferanno, al
tramonto; quando, pedalando adagio, si tornerà, senza fretta, a casa. Piazza Garibaldi,
dai tavolini del Bar dello Sport l’Italia sembra ancora così uguale; e così in pace, e antica, che fatichi a credere possa mai cambiare.
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