e Mnemosine, confusa e smarrita, vaga tra le rovine. Monumenti e

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e Mnemosine, confusa e smarrita, vaga tra le rovine. Monumenti e
VILLA, Cristina. ‘… e Mnemosine, confusa e smarrita, vaga tra le rovine. Monumenti
e luoghi della memoria della deportazione razziale in Italia’. Memoria collettiva e
memoria privata: il ricordo della Shoah come politica sociale, a cura di Stefania Lucamante,
Monica Jansen, Raniero Speelman & Silvia Gaiga. ITALIANISTICA ULTRAIECTINA 3.
Utrecht: Igitur Utrecht Publishing & Archiving Services, 2008. ISBN 9789067010245.
RIASSUNTO
La memoria di eventi quali la persecuzione della comunità ebraica nella penisola italiana è
caratterizzata da traumi e rimozioni che possono portare all’abbandono di ‘luoghi della memoria’,
quali i lager di Ferramonti, Fossoli e la Risiera di San Sabba, e avere un profondo influsso sulla
creazione di spazi pubblici quali quello dei monumenti commemorativi come, ad esempio, il
monumento al sacrificio ebraico al cimitero monumentale di Milano.
PAROLE CHIAVE
Luoghi della memoria, Monumento al sacrificio ebraico, Monumento ai deportati, BBPR, cimitero
monumentale di Milano
© Gli autori
Gli atti del convegno Memoria collettiva e memoria privata: il ricordo della Shoah come politica sociale
(Roma, 6-7 giugno 2007) sono il volume 3 della collana ITALIANISTICA ULTRAIECTINA. STUDIES IN
ITALIAN LANGUAGE AND CULTURE, pubblicata da Igitur, Utrecht Publishing & Archiving Services, ISSN
1874-9577. (http://www.italianisticaultraiectina.org).
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… E MNEMOSINE, CONFUSA E SMARRITA, VAGA TRA LE ROVINE
MONUMENTI E LUOGHI DELLA MEMORIA
DELLA DEPORTAZIONE RAZZIALE IN ITALIA
Cristina Villa
University of Southern California
Lo scopo del mio intervento è di osservare come la memoria possa portare
all’abbandono di quelli che, seguendo le indicazioni dello storico francese Pierre
Nora, vengono definiti ‘luoghi della memoria’1 e fortemente plasmare e influire sulla
creazione di spazi pubblici quali quelli dei monumenti commemorativi e nello
specifico il Monumento al sacrificio ebraico al cimitero monumentale di Milano. La
mia attenzione si concentrerà, di conseguenza, sulla rievocazione e rielaborazione
degli eventi legati al secondo conflitto mondiale e in particolare alla persecuzione
della comunità ebraica nella penisola italiana.
AMNESIA-AMNISTIA DELLA MEMORIA
Un velo di oblio è stato in Italia steso per decenni sulle leggi razziali promulgate dal
governo fascista nel 1938 e la successiva persecuzione e deportazione nei lager del
Terzo Reich della popolazione di origine ebraica. Infatti, nel secondo dopoguerra, in
un’Italia distrutta dal tragico conflitto e da una guerra che ha visto gli italiani
combattere e perseguitare altri italiani, si assiste al tentativo di cancellare il recente
passato per dimenticare l’orrore della guerra, per riappacificarsi e iniziare la
ricostruzione di un paese ridotto in macerie. Evento esemplare a questo proposito è il
decreto presidenziale n. 4 del 22 luglio 1946, noto come ‘amnistia Togliatti’, che
concede l’amnistia per i reati politici e militari. Nella relazione che accompagna
questo decreto, il comunista Palmiro Togliatti, Ministro di Grazia e Giustizia, afferma
significativamente che tale atto normativo è dovuto all’esigenza di pacificazione e
riconciliazione di tutti ‘i buoni italiani’ nel nome di una Repubblica sorta
dall’ispirazione al rinnovamento della vita nazionale.2 All’amnistia seguono altri due
provvedimenti di clemenza nel 1948 e nel 1953 con il risultato che quasi tutti i
detenuti per delitti fascisti riacquistano la libertà dopo breve tempo e altri attraverso
la concezione della grazia.
La relazione di Togliatti è fortemente significativa per comprendere quel
fenomeno di amnestia-amnesia della memoria che ha luogo in Italia e che viene
perfettamente descritto da Remo Bodei nel Libro della memoria e della speranza.3 Nella
rielaborazione ufficiale offerta l’italiano diviene una figura caratterizzata da innata
bontà e incapacità di compiere azioni crudeli ed efferate. Vengono creati il ‘mito del
bravo italiano’ e la leggenda di un intero popolo ostile al regime fascista e alla guerra
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e fortemente impegnato nella lotta per la libertà sotto la bandiera della Resistenza.
Come osserva lo storico Aurelio Lepre in Via Rasella. Leggenda e realtà della Resistenza
Romana, gli antifascisti consapevoli erano stati pochi e molti lo diventarono soltanto
per la tragica esperienza del conflitto mondiale e dopo la guerra. Nel secondo
dopoguerra scrive Lepre:
Molti immaginarono un passato diverso, di profonda avversione alla guerra fin dall’inizio e
anche di deciso antifascismo, sia pure tenuto nascosto. Nacque quindi la leggenda di un
popolo che era stato spinto alla guerra controvoglia, dalla sola forza della dittatura, e questa
leggenda placò i rimorsi.4
Tale processo di rimozione ha quindi portato a una rielaborazione edulcorata del
passato da parte della memoria ufficiale dello stato e di quella collettiva del popolo
italiano. Un’intera nazione ha creato il mito della propria incolpevolezza e bontà
scaricando la coscienza cattiva e la colpa di nefande azioni sui malefici ‘mostri
teutonici’ e ricostruendosi un passato di lotta nei confronti del tedesco invasore, cui
vengono imputate tutte le colpe per il tragico destino degli ebrei in Italia. Infatti,
come afferma Aurelio Lepre, riferendosi in particolare alla strage delle Fosse
Ardeatine e poi allargando il discorso a considerazioni più generali:
Venne a pesare tutto sui tedeschi, che nei decenni successivi furono considerati i soli
responsabili, non solo di questa e altre stragi, ma, più in generale, dell’intera disumana
condizione della guerra. Questa criminalizzazione fu anche un modo di assolvere gli italiani.5
I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA: FERRAMONTI, FOSSOLI, LA RISIERA DI SAN SABBA
Ciò permette di comprendere perché sul suolo italiano forte sia stato per decenni il
disinteresse nei confronti di quei luoghi della memoria che, quali cicatrici sul corpo
della penisola, testimoniano di un passato costellato da discriminazioni e crimini
perpetrati dal governo italiano, prima e durante il secondo conflitto mondiale, nei
confronti della minoranza ebraica presente nel territorio, come ha perfettamente
descritto Fabio Galluccio ne I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di
deportazione fascisti. Di conseguenza, è rimasta una misera traccia dei circa duecento
piccolissimi, piccoli e grandi campi di concentramento in Italia, data l’incuria e la
totale indifferenza, ed essi sono andati quasi totalmente perduti (solo recentemente è
iniziato il recupero dei più importanti tra essi). Lo storico del campo di Ferramonti,
Carlo Spartaco Capogreco, in varie interviste e nei suoi testi,6 ribadisce più volte
come gli edifici e le baracche dei campi di concentramento fascisti, senza alcuna
tutela istituzionale, siano stati tutti oggetto di distruzioni vandaliche e di
appropriazioni indebite delle strutture e dei terreni demaniali. Sono questi
appropriazioni e abusi edilizi che hanno favorito l’oblio, ma anche la cancellazione
fisica dei campi.
Un esempio è proprio il campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia in
provincia di Cosenza, il più grande luogo di prigionia per gli ebrei stranieri. Creato il
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4 giugno 1940 su richiesta del Ministero degli Interni, era composto di lunghi
capannoni in carpilite, materiale legnoso scarsamente isolante, posti nei pressi della
linea ferroviaria che collega l’entroterra di Cosenza alla fascia ionica e alla Puglia, in
una zona acquitrinosa mai bonificata ed evitata dagli abitanti del posto, in quanto
fonte di malaria e altre malattie incurabili. Ferramonti fu un campo particolare in
quanto i prigionieri riuscirono a instaurare rapporti di solidarietà con gli abitanti dei
paesi vicini ed essi costruivano oggetti di artigianato da offrire agli abitanti del posto,
in cambio di pane e olio. Dopo lo sbarco degli americani in Sicilia e in seguito alle
insistenti richieste dei prigionieri, il responsabile del campo ne permise la fuga,
lasciando aperti i cancelli ed essi non subirono quindi le gravi repressioni nazifasciste
e la deportazione.
Dopo la guerra fu abbandonato per decenni. Le baracche furono quasi
totalmente smantellate negli anni Cinquanta per far posto al tratto autostradale della
Salerno-Reggio Calabria e solo il dieci per cento della struttura originale del campo è
rimasto intatto. Sovrastato dall’autostrada, il campo è stato recuperato solo alla fine
degli anni Ottanta grazie alla creazione della Fondazione Ferramonti nel 1988. Tale
fondazione, come si legge nel suo sito internet,7 è molto attiva nell’ambito della
ricerca e delle diverse iniziative, in Italia e all’estero, per la salvaguardia dei ‘luoghi
di memoria’, quali i siti dell’internamento e della deportazione civile fascista. La
Fondazione Ferramonti è, infatti, collegata all’Istituto Nazionale per la Storia del
Movimento di Liberazione e al Centro Europeo per i Luoghi di Memoria.
Un altro esempio è il campo di Fossoli, luogo di transito per detenuti politici
ed ebrei rastrellati in Italia e inviati nei lager del Terzo Reich e scenario di violenze ed
eccidi. Istituito dagli italiani nel maggio 1942 come campo per prigionieri di guerra
inglesi, fu occupato dopo l’8 settembre 1943 dai nazisti e ceduto, alla fine del 1943,
alla Repubblica Sociale che lo ha fece diventare un centro di raccolta per ebrei. Dal
gennaio 1944, in seguito alla gestione diretta da parte delle SS, iniziò il vero e proprio
processo di deportazione dal campo di Fossoli e circa cinquemila prigionieri furono
deportati ad Auschwitz-Birkenau, Dachau, Buchenwald, Flossenburg, tra essi anche
Primo Levi.
Nel dopoguerra le baracche furono adibite per qualche mese a campo di
raccolta per profughi stranieri in attesa di rimpatrio, poi la struttura fu abbandonata.
Nel 1947 don Zeno Saltini la occupò con duecento orfani dando vita all’esperimento
comunitario di Nomadelfia, conclusosi nel 1952. Dal 1953 fino alla fine degli anni
Sessanta fu abitato da profughi giuliani e dalmati (Villaggio San Marco) e in seguito
abbandonato. L’apertura a Carpi nel 1973 del Museo - Monumento al Deportato,
progettato dallo studio di architetti BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressutti e Rogers) in
collaborazione con Renato Guttuso, ha spinto il Comune a richiedere all’Intendenza
di Finanza l’acquisto dell’area dell’ex Campo di Fossoli che, nel 1984, venne concessa
a titolo gratuito grazie ad una legge speciale. Il comune di Carpi ha deciso di
recuperare e valorizzare il campo ed è stato indetto un concorso internazionale
rivolto ad architetti europei e israeliani nel 1988 al fine di creare un museo dal titolo
emblematico: Museo nazionale a perenne ricordo delle vittime dei campi di
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concentramento nazisti. Ancora una volta vengono significativamente dimenticati i
fascisti italiani. Dal 1996 il campo è tutelato dalla Fondazione ex campo di Fossoli
costituita in quello stesso anno per volontà del Comune di Carpi e dell’Associazione
amici Museo del deportato con sede a Carpi.8
Per quanto riguarda la Risiera di San Sabba, vecchio complesso industriale del
1913 per la pilatura del riso alla periferia della città di Trieste, venne dapprima
utilizzata dal Terzo Reich come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani
catturati dopo l’8 settembre 1943. Verso la fine di ottobre del 1943, divenne un
Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia) per partigiani, detenuti politici ed
ebrei e un luogo di smistamento verso la Germania e la Polonia. Al suo interno era
attivo un crematorio che venne fatto saltare dai tedeschi in fuga. Tale area fu adibita
a campo profughi negli anni Cinquanta e poi abbandonata. Nel 1965 venne
dichiarata monumento nazionale in seguito al decreto presidenziale 510 del 15 aprile.
Ciò sembra apparentemente sorprendente, visto il profondo e decennale desiderio di
rimozione di un passato colpevole da parte dello Stato italiano. Tuttavia, come si
legge nel testo del decreto, non viene fatto riferimento alcuno al ruolo del governo
italiano nelle persecuzioni e la Risiera viene vista come monumento storico in quanto
considerata unico esempio di lager ‘nazista’ in Italia.9
Successivamente, nel 1966 il comune di Trieste indisse un concorso per
trasformare la Risiera nell’attuale Museo, vinto dall’architetto Romani Boico. Egli
compì vari interventi e motivò il suo progetto nel seguente modo, come si legge nel
sito ufficiale dedicato alla Risiera:
La Risiera semidistrutta dai nazisti in fuga era squallida come l’intorno periferico: pensai
allora che questo squallore totale potesse assurgere a simbolo e monumentalizzarsi. Mi sono
proposto di togliere e restituire, più che di aggiungere. Eliminati gli edifici in rovina ho
perimetrato il contesto con mura cementizie alte undici metri, articolate in modo da
configurare un ingresso inquietante nello stesso luogo dell’ingresso esistente. Il cortile cintato
si identifica, nell’intenzione, quale una basilica laica a cielo libero. L’edificio dei prigionieri è
completamente svuotato e le strutture lignee portanti scarnite di quel tanto che è parso
necessario. Inalterate le diciassette celle e quelle della morte. Nell’edificio centrale, al livello
del cortile, il Museo della Resistenza, stringato ma vivo. Sopra il Museo, i vani per
l’Associazione deportati. Nel cortile un terribile percorso in acciaio, leggermente incassato:
l’impronta del forno, del canale del fumo e della base del camino.10
Per concludere, nel Secondo dopoguerra, il disinteresse e la dimenticanza nei
confronti della persecuzione razziale dominano in Italia, testimoniati dall’assenza,
sparizione o tardo recupero di luoghi della memoria significativi in ricordo delle
vittime della deportazione razziale. Solo una targa a Trastevere ricorda il destino di
circa mille ebrei romani. Non vi sono quasi per nulla nel periodo immediatamente
successivo al conflitto quelli che James Young in The Texture of Memory. Holocaust
Memorials and Meaning chiama ‘memoriali’ e distingue da ‘monumenti’. Scrive
Young:
‘Memorials’, recall only past deaths or tragic events and provide place to ‘mourn’, while
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‘monuments’ remain essentially celebratory markers of triumphs and heroic individuals.11
La nazione italiana non sembra elaborare il suo lutto e si rifugia talvolta solo nella
celebrazione eroica della vittoria delle Resistenza e dei suoi caduti per la lotta per la
libertà, dimenticando la campagna antiebraica fascista e non compiendo distinzione
alcuna tra le vittime. Non casualmente Young nel suo testo non si occupa dell’Italia
mentre concentra la sua attenzione sui luoghi tedeschi, polacchi, israeliani ed
americani.
È infatti solo recentemente che in Italia si rivolge lo sguardo a un passato
dimenticato e Mnemosine sembra voler uscire dallo stato di confusione in cui si
trovava aggirandosi tra le rovine rimaste e assumendo anche le sembianze del ‘Treno
della Memoria e dei Diritti Umani’, inaugurato nel 2001, uno spettacolo teatrale su
un treno di carri bestiame che dal 2001 al 2004 da gennaio ad aprile (mesi
concomitanti con le lunghe marce della morte nel 1945) ha ripercorso i luoghi della
memoria in Italia.12
L’ELABORAZIONE DEL
EBRAICO A MILANO
LUTTO DELL’EBRAISMO ITALIANO E IL
MONUMENTO
AL
SACRIFICIO
In Italia, tale fenomeno di rimozione e rielaborazione della memoria ha fortemente
influenzato anche la simbologia dei monumenti. La rielaborazione avviene sia da
parte della memoria ufficiale dello stato italiano (caratterizzata, come
precedentemente osservato, da amnesia nei confronti delle persecuzioni fasciste) sia
da parte della classe dirigente ebraica, come analizza Guri Schwarz in L’elaborazione
del lutto. La classe dirigente ebraica italiana e la memoria dello sterminio (1944-1948).13 Nei
monumenti voluti dalla comunità ebraica, osserva Schwarz, la Shoah viene sempre
ricordata in associazione con altri elementi quali il sionismo, la Resistenza o inserita
in un contesto a-storico, quale ulteriore episodio della interminabile storia delle
persecuzioni.14
Questo atteggiamento era dovuto da un lato al tentativo di far divenire il
ricordo un incitamento ad agire per le vittime e le generazioni future. Allo stesso
tempo era indice delle difficoltà nel confrontarsi con la Shoah, incomprensibile e
spesso indicibile, e mostrava il desiderio di interpretare questa tragedia riferendosi al
repertorio della tradizione o “giustapponendo il genocidio a elementi quali sionismo
e Resistenza, il cui senso e valore erano percepiti come evidenti e che contrastavano
in qualche modo la negatività dei campi di sterminio”.15 In particolare lo sterminio,
analizza Schwarz, viene ricollegato alla Resistenza al fine di inserire il dramma degli
ebrei italiani in quello dell’intera nazione italiana e accomunare i martiri della
deportazione razziale ai partigiani e a coloro che combatterono per la libertà. Lo
scopo è quello di non far divenire la memoria delle deportazioni un patrimonio
esclusivo dell’ebraismo e stabilire il legame di esso con la nuova Italia democratica
nata dall’antifascismo.
La comunità ebraica italiana dopo la deportazione preferiva quindi
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identificarsi con la nazione italiana e riconciliarsi con essa dato il grado di
integrazione raggiunto nel periodo precedente al fascismo. Afferma
significativamente Giacomo De Benedetti in Otto ebrei in relazione alle vittime della
deportazione razziale:
È quello che gli ebrei già liberi hanno patito, e quello che i perseguitati patiscono ancora,
desiderano sia versato, messo in comune, mescolato al lungo, collettivo, unanime tributo di
lacrime e supplizi, che gli uomini degni di questo nome hanno offerto, e offrono tuttavia, per
assicurare al mondo la più lunga serie di secoli civili. Se una rivendicazione gli ebrei hanno da
fare, è questa sola: che i loro morti di violenza e di fame […] siano messi in fila con tutti gli
altri morti con tutte le altre vittime di questa guerra. Soldati anche loro come altri soldati.16
Risulta di particolare importanza al fine di questo discorso sulla memoria il
Monumento al sacrificio ebraico, inaugurato il 13 luglio 1947 nel cimitero
Monumentale di Milano, progettato dell’architetto Manfredo d’Urbino e voluto dal
presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Raffaele Cantoni. Infatti, accanto alle
salme di dodici membri della comunità ebraica uccisi a Bolzano, Meina, nel carcere di
San Vittore, nelle Fosse Ardeatine, a Dachau, vi sono coloro che erano morti sui
monti durante la guerra partigiana e infine quello del sionista Israel Epstein,
militante dell’Irgun.17
Ciò risulta significativo in quanto:
Lo sterminio non rivestiva nella simbologia del monumento, un dramma assurdo, ma veniva
colmato di senso accostandolo simbolicamente alla Resistenza, rappresentata dalle salme dei
partigiani ebrei lì custodite, e al sionismo, rappresentato dal corpo di Epstein. Sterminio,
Resistenza, e sionismo venivano così proposti come tre aspetti di un’unica questione, la
persecuzione dell’ebraismo e la lotta per la libertà e l’indipendenza.18
Inoltre per l’inaugurazione del monumento venne consegnato a ogni famiglia
italiana che ebbe un lutto un attestato in memoria, che ricordava ulteriormente la
deportazione razziale nel Terzo Reich accanto alle millenarie persecuzioni subite,
destoricizzando la Shoah, e affiancandola alla lotta resistenziale. In esso si legge:
Gli ebrei d’Italia ricordano al mondo i sei milioni di fratelli innocenti ferocemente soppressi e
tramandano ai posteri nelle vittime qui sepolte un esempio del secolare martirio sofferto dal
popolo d’Israele per la giustizia, la libertà e la fratellanza umana.19
IL MONUMENTO AI CADUTI NEI CAMPI DI STERMINIO NAZISTI DI BBPR A MILANO
Nel grande piazzale del cimitero monumentale di Milano, alle spalle del famedio
degli uomini illustri, si trova un altro monumento, molto diverso dal precedente,
dedicato ai morti dei campi nazisti e che preferisce dapprima significativamente
dimenticare l’identità delle vittime, qui anonime, e concentrare l’attenzione sui
responsabili degli eccidi, sempre e solo i nazisti, e in particolare rievocare il luogo di
martirio dei caduti, i campi di sterminio. Si tratta, infatti, di un monumento in forma
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di cubo composto da un’intelaiatura in tubi metallici saldati, in cui trovano
collocazione lastre in marmo e granito con la dedica e brani tratti dal Discorso della
Montagna; al centro una gavetta contenente un pugno di terra proveniente da
Mauthausen circondata da filo spinato intrecciato che richiamano elementi
caratteristici dei lager.
È stato realizzato in tre versioni (1945, 1947, 1955) dallo studio di architettura
BBPR, un gruppo di architetti (Belgiojoso, Banfi – morto prima della realizzazione del
monumento – Peressutti, Rogers) laureatisi al Politecnico di Milano e strettamente
collegati al razionalismo architettonico degli anni Trenta. In realtà, il vero e proprio
autore del monumento è il solo Enrico Peressutti in quanto l’unico presente nello
studio dopo la guerra. Infatti, due dei soci fondatori di BBPR, Barbiano di Belgiojoso
e Gian Luigi Banfi, furono attivi nell’ambito della Resistenza e per questo motivo
furono internati nel campo di concentramento di Gusen, dove Banfi perse la vita.
L’ebreo Ernesto Rogers finì invece internato in Svizzera. Non casualmente alcuni dei
maggiori lavori di BBPR sono memoriali legati alla deportazione quali il Memorial di
Gusen (1960-1965), il Memorial italiano ad Auschwitz (1970), il museo “Monumento
al Deportato“ di Carpi (1973) e il Memorial italiano di Ravensbrück (1982).
L’importanza del Monumento di Milano, secondo la critica, è che in esso
si direbbe che la forma artistica abbia prevaricato la funzione commemorativa, e quindi
collettiva, del simbolo, divenendo, semmai, un simbolo artistico privato; più che presentarsi a
un conferimento di senso da parte della comunità, il Monumento rinvia a se stesso in quanto
opera d’arte moderna e, mediatamente, alla personalità artistica dello o degli autori.20
Si tratta, infatti, di un monumento di difficile definizione sia dal punto di vista
stilistico che del significato e che dà vita a numerosi dibattiti. Appartiene all’ambito
architettonico o a quello delle arti plastiche come esempio di arte concreta, seguendo
le indicazioni del critico, scultore, pittore, architetto e grafico Max Bill nel suo saggio
‘De la surface à l’espace’ del 1953. Qual è il suo valore simbolico e ne ha veramente
uno, in quanto l’arte concreta si sottrae a priori a ogni analisi iconografica? Afferma
Belgiojoso:
Il monumento rappresenta un punto importante di una ricerca espressiva tipica del nostro
Studio tendente a comporre ordine e libertà formali in una sintesi che affida alla struttura
‘portante’ la funzione ordinatrice (le pareti di chiusura dell’edilizia) e/o la possibilità di
variazioni richieste da necessità funzionali, al di fuori di regole geometriche schematiche.[…]
In temi […] di carattere simbolico e rappresentativo come il Monumento al Cimitero del 1945
[…] la scioltezza compositiva è affidata a elementi inseriti nella struttura, ma distribuiti nello
spazio con criteri puramente estetici, mancando qui la necessità di esprimere una funzione
pratica. Malgrado la sostanziale differenza dei soggetti, possiamo cioè identificare una
coerenza e una continuità in questa scelta espressiva che ha costituito nella nostra produzione
comune un motivo comune sia nei temi di carattere pratico che in quelli celebrativi. Nella
‘casa ideale’ la componente aleatoria che permette di adeguare l’abitazione alle necessità
vitali, pratiche, psicologiche del singolo, sono i tamponamenti opachi e trasparenti; per questa
sua particolarità la ‘casa ideale’ e il Monumento costituirebbero dunque nel campo
dell’architettura due precoci esempi di ‘opera aperta’ così come è stata poi teorizzata da
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Umberto Eco verso la fine degli anni cinquanta.21
Il Monumento sembra quindi presentarsi come un’opera ‘aperta’ a varie
interpretazioni e significati, se di significati nell’ambito di quest’opera d’arte
ambigua, forse a metà tra architettura e arte concreta, si può parlare. Ciò che è
interessante per il discorso sulla memoria è proprio il titolo Monumento dedicato ai
caduti nei campi di sterminio nazisti, che lo pone accanto a delle lunghe fila di
monumenti che, specchio della memoria italiana, preferisce non menzionare il ruolo
del fascismo nelle persecuzioni di ebrei, partigiani e prigionieri politici e che, d’altro
canto, preferisce anche non compiere distinzioni tra le vittime (partigiani, ebrei, ecc.)
e accomunarle nel loro tragico destino. Per quanto riguarda quest’ultimo elemento,
ciò è anche dovuto al fatto che il monumento fu commissionato dall’Associazione dei
reduci dei campi di concentramento e dai familiari delle vittime e non, come quello
precedente, dalla sola comunità ebraica, e fatto divenire il simbolo di una tragedia
generale e collettiva. Infatti:
Simbolo di un lutto e di un dolore collettivo, il Monumento si atteneva a questa sua
destinazione collettiva perfino nel tacere i nomi delle vittime, che di solito, ordinati secondo
l’alfabeto e, talvolta, secondo il grado, scalfiscono fittamente anche la tomba del milite
ignoto.22
Questa mancanza crea, tuttavia, dei problemi e critiche, ai quali ovviano le successive
versioni. Come si legge nel catalogo della mostra dedicata al monumento alla
Galleria della Triennale di Milano dal 25 aprile al 25 giugno 1995:
Questo riserbo estremo non aveva però fatto i conti con il comprensibile bisogno
d’identificazione da parte dei congiunti delle vittime, i quali rimediarono come poterono: una
fotografia della seconda versione mostra l’aiuola circolare disseminata di piccole foto-ricordo
ovali o quadrate montate su dei cavicchi e conficcate a filo d’erba, come un prato fiorito dalla
pietà dei sopravvissuti. Anni più tardi e, dopo numerosi studi, sette lastre coi nomi, disposte a
raggera sull’aiuola, ristabilirono l’ordine delle cose perenni anche in quel fulcro visivo del
Monumentale. Difficile dire se un monumento più tradizionale sarebbe stato accetto anche
privo delle tavole coi nomi. Rimane il fatto che da un monumento commemorativo i
destinatari richiedono un coinvolgimento emotivo.23
CONCLUSIONI
Per concludere, ciò che risulta di maggiore interesse per quanto riguarda i luoghi
menzionati quali Ferramonti, Fossoli e la Risiera di San Sabba e i monumenti quali il
Monumento al sacrificio ebraico e il Monumento ai caduti dei campi nazisti di
Milano, è il loro riflettere i laboriosi meccanismi della memoria. Sono essi tracce
visibili di Mnemosine. Sono tutti veri e propri monumenti che ricordano,
contrassegnano e ammoniscono. Sono, seguendo il termine tedesco per
‘monumento’, dei veri Denkmal, parola che deriva significativamente dal verbo
denken, pensare. Infatti, sono essi luoghi fisici ed anche del pensiero, stimoli mentali
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per combattere l’oblio e testimonianza della rielaborazione del ricordo dell’evento
traumatico. Non casualmente, la visita al museo “Monumento al Deportato” di Carpi
inizia con un’intensa ed eloquente citazione, tratta dall’epilogo a Der Aufhaltsame
Aufstieg des Arturo Ui (La resistibile ascesa di Arturo Ui) di Bertold Brecht del 1941,
un’allegoria della scalata al potere di Adolf Hitler. E vorrei terminare le mie
osservazioni proprio con le ultime frasi tratte dal testo di Brecht di chiaro riferimento
ad Hitler ed alla Germania nazista:
Ihr aber lernet, wie man sieht statt stiert
Und handelt, statt zu reden noch und noch.
So was hätt einmal fast die Welt regiert!
Die Völker wurden seiner Herr, jedoch
Dass keiner uns zu früh da triumphiert –
Der Schoss ist fruchtbar noch, aus dem das kroch!24
NOTE
Secondo lo storico francese Pierre Nora sono quei luoghi, ma anche quegli oggetti o quelle particolari
idee, dove la memoria si è incarnata e che la volontà degli uomini e il lavoro del tempo hanno
trasformato in elementi simbolici di una comunità. Egli dedica a questi luoghi un’opera monumentale
in vari volumi Les Lieux de mémoire (1984-1992).
1
“Giusta e profondamente sentita, da un lato, la necessità di un rapido avviamento del paese a
condizioni di pace politica e sociale. La Repubblica, sorta dalla aspirazione al rinnovamento della
nostra vita nazionale, non può non dare soddisfazione a questa necessità, presentandosi così sin dai
primi suoi passi come il regime della pacificazione e della riconciliazione di tutti i buoni italiani”
(Togliatti in Canosa 1999, 435).
2
3
Bodei 1995, 25.
4
Lepre 1996, 43.
5
Ibidem.
6
Capogreco 2004 e 1987.
7
Fondazione Ferramonti, http://www.fondazioneferramonti.it.
Sito ufficiale Fondazione Fossoli: http://www.fondazionefossoli.org. Vedasi in questo volume anche
l’intervento di Speelman (p. 195).
8
Ecco il testo del decreto riportato in uno dei siti dedicati alla Risiera di San Sabba: “IL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA/ Veduta la legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse
artistico o storico./ Veduto il regio decreto 30 gennaio 1913, n. 363, che approva il regolamento per
l’esecuzione delle leggi relative alle antichità e belle arti./ Considerata l’opportunità che la Risiera di
San Sabba in Trieste, – unico esempio di Lager nazista in Italia – sia conservata e affidata al rispetto
della Nazione per il suo rilevante interesse, sotto il profilo storico-politico;/ Sulla proposta del
Ministro Segretario di Stato per la pubblica istruzione;/ Decreta:/ La Risiera di San Sabba in Trieste è
dichiarata monumento nazionale./ Il presente decreto, munito di sigillo dello Stato, sarà inserito nella
Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti,
di osservarlo e di farlo osservare/ Dato a Roma, addì 15 aprile 1965. SARAGAT/ Visto, il Guardasigilli:
9
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REALE/ Registrato alla Corte dei conti, addì 26 maggio 1965/ Atti del Governo, registro n. 193, foglio n. 109 –
VILLA (La Risiera di San Sabba, Trieste, http://digilander.libero.it/lopreda/testodec.htm).
Rete civica di Trieste: Museo Morpurgo,
http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/musei/civicimusei/risiera/virtual/virtual.htm.
10
11
Young 1993, 3.
Si legge nel sito dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea:
“Il 27 Gennaio del 1945 fu liberato il Lager di Auschwitz, ma si dovette aspettare la primavera
inoltrata prima che tutti i campi fossero liberati. Da Gennaio ad Aprile 1945 vi furono ‘le marce della
morte’, i trasferimenti forzati da un campo all’altro, man mano che avanzavano gli alleati. I nazisti
avrebbero voluto che nessun deportato giungesse vivo nelle mani degli alleati, così da non avere
testimonianze dell’eccidio. Dal 2001 con il ‘Treno della deportazione e dei diritti umani’ si è invece
voluto utilizzare simbolicamente gli stessi mesi per portare in molte città italiane la testimonianza di
ciò che accadde in quel periodo. In questi anni a ogni tappa il treno ha raccolto dati, nomi,
informazioni sulle deportazioni avvenute nelle città dove si è fermato, ha raccolto le anime di quelle
persone dimenticate che aspettano di essere ricordate sulle banchine dove cominciò il loro ultimo
viaggio. Il treno della memoria dà e riceve, cresce di tappa in tappa. Oggi più di 25.000 persone si sono
fermate ad ascoltare queste storie. Sono soprattutto giovani studenti, ma anche vecchi partigiani, ex
deportati,
gente
comune”
(Il
treno
della
memoria
e
dei
diritti
umani,
http://www.istoreto.it/museo_lab/treno_memoria/treno_memoria_diario04.htm).
12
13
Schwarz 1998, 167-180.
Una lettura data dalla comunità ebraica alle persecuzioni è legata alla destoricizzazione della Shoah,
il cancellamento della sua specificità e il suo inserimento nel contesto astorico della millenaria lotta
delle persecuzioni. Si fa riferimento, seguendo le parole di Schwarz, a uno schema interpretativo che
inserisce la deportazione razziale nel Terzo Reich nella narrazione della schiavitù d’Egitto, dell’Esodo
e della conquista della Terra Promessa. Il vedere la Shoah quale momento di una lunga storia di
persecuzioni permette di rassicurare la comunità ebraica e guardare al futuro con ottimismo (Schwarz
1998, 176).
14
15
Ibidem, 173.
16
De Benedetti 1944, 33-34.
Epstein era giunto in Italia alcuni giorni prima dell’attentato all’ambasciata britannica di Roma nei
pressi di Porta Pia, il 31 ottobre del 1946. Fu sospettato di aver preso parte all’attentato e arrestato.
Venne ucciso in seguito ad un tentativo di fuga nel dicembre dello stesso anno. L’attentato di Roma,
con la totale distruzione dell’edificio storico dell’ambasciata, fu il più grave attentato dell’Irgun in
Europa ed ebbe risonanza mondiale. Irgun, abbreviazione di Irgun Zvai, significa ‘Organizzazione
Nazionale Militare’. È un gruppo militante sionista operante nel corso del Mandato britannico sulla
Palestina dal 1931 al 1948. L’Irgun è stato considerato dalle autorità della Gran Bretagna come
un’organizzazione terrorista e da altri come un movimento indipendentista.
17
18
Schwarz 1998, 178.
19
Ibidem, 177.
20
AA.VV 1995, 46.
21
Ibidem, 41. Con rif. a Belgiojoso 1979.
22
Ibidem, 45.
23
Ibidem, 45.
191
Brecht 1976, 1839. “E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non
parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non
cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo” (Brecht 1963, 122).
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