Giù le mani dal Liceo Classico

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Giù le mani dal Liceo Classico
Giù le mani dal Liceo Classico
di TOMMASO ALBERINI
Di recente il noto settimanale “L’Espresso” ha promosso un’iniziativa a mio avviso degna di
nota:
chiamando a raccolta scrittori, intellettuali e opinionisti di vario genere ha chiesto loro di
esprimersi circa l’opportunità, fantasticata da alcuni, di sopprimere il liceo classico.
Le motivazioni addotte dall’accusa, per lo più composta da finanzieri senza scrupolo, politici di
bassa lega e imprenditori più pragmatici che pratici, sarebbe rivolta all’inconsistente
professionalizzazione della cultura classica e umanistica, che nel liceo classico, ovviamente, è
predominante.
Sì perché, pare, il sapere letterario, teatrale, artistico, filosofico, non troverebbe riscontro nelle
odierne esigenze di mercato, ergo la formazione degli studenti in questi campi è inutile, e va
soppressa.
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Per questi signori, quindi, non importa se i futuri studenti italiani saranno privati della possibilità
di imparare a pensare, a sviluppare una criticità di fondo verso tutto ciò che li circonda, non
importa se saranno privati della possibilità di imparare ad imparare.
Non sono luoghi comuni, il liceo classico insegna davvero tutto questo. Io l’ho fatto, per fortuna,
e pur non essendo (chiaramente) all’altezza di chi si è già espresso al riguardo sul noto
settimanale, voglio comunque provare a riflettere su quello che mi hanno lasciato quei cinque
fatidici anni.
Innanzitutto la meraviglia. La meraviglia nello scoprire che l’uomo di ieri è esattamente uguale
all’uomo di oggi: con tutti i suoi pregi, i suoi difetti, le sue debolezze e le sue potenze, la sua
arroganza e la sua umiltà, la sua capacità di creare e di distruggere, la sua paura per la morte e
il suo terrore per la vita.
La meraviglia nello scoprire che la disperazione di Antigone, mitologica principessa di Tebe,
nel far valere i propri diritti davanti a una legge ingiusta, è la stessa che proviamo noi che
combattiamo ogni giorno contro le ingiustizie sociali, economiche, culturali. Ed è disarmante,
ma ti rende consapevole che siamo stati destinati a combattere dal momento in cui i primi
uomini comparvero sulla terra, e ti dà la forza di non demordere, perché sai che i diritti sono
giusti, il mondo quasi mai.
La meraviglia nello scoprire che Orazio, celebre poeta latino, già sapeva e confessava ad un
amico che viaggiare muta i cieli e i boschi che ti circondano, ma non il male che ti affligge
dentro. E ti rinvigorisce perché insegna, a noi della “generazione erasmus”, che a volte partire è
necessario, tornare è sempre bellissimo.
La meraviglia nello scoprire che la parola “Xènos”, in greco, fin dall’alba in cui Omero cantó il
viaggio di Odisseo, è lo straniero ma anche l’ospite, sacro agli dei. E allora capisci che i
profughi di oggi sono i nostri salvatori di domani, che lasciarli morire nel mare che fu “nostrum”
è assurdo e, se questo non basta, contro il volere di Zeus.
Il liceo classico mi ha insegnato tutto questo, ma anche tanto altro: troppo per essere riassunto
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ragionevolmente nel post di un blog.
E chissà, nel tempo, quanti altri insegnamenti sepolti nella memoria scopriró di aver ricevuto. Il
bello di aver fatto il classico è questo: non sai mai quando effettivamente potrà tornarti utile, ma
quando succede tutti gli ingranaggi vanno al loro posto e il mondo si ricompone in quella storia
infinita e assurda che è la vita e che per ore, nella tua cameretta, hai studiato.
L’hai studiata attraverso gli Omero, i Sofocle, gli Eraclito, i Polibio, i Luciano e, perché no,
anche attraverso le favole all’apparenza tanto stupide di Esopo, gioia pura dei ginnasiali, certi
che, se gli venisse presentata sul banco “Il corvo e la volpe”, arriverebbe un 8 facile facile.
Il liceo classico è una scuola di vita, non esagero: una scuola di sensibilità, una scuola di
politica (in senso lato), una scuola di mondo.
E pazienza se lungo il percorso hai incontrato qualche maniaca dei verbi deponenti, troppo
isterica per riuscire a capire la bellezza vera di quello che insegna.
E pazienza se ti è venuto il mal di schiena a furia di portare nello zaino 10 kg di dizionario,
troppo pesante per quel 6 e mezzo che hai strappato alla versione.
Anni dopo, ripensandoci, accetti anche quello e pensi che, anzi, forse è stato meglio così,
perché sai che prima di te i greci avevano capito che gioia e dolore si definiscono e completano
a vicenda, che senza una fatica non c’è un piacere, e sei così grato di averlo imparato a scuola.
Anni dopo, ripensandoci, sorridi e pensi che si, lo risceglieresti il liceo classico, a occhi chiusi.
Penso che le motivazioni elencate non siano poche, nè di poco conto: il liceo classico non deve
morire, nè ora nè mai. Si può modificare, certo, migliorare, ma senza soffocarne il cuore
pulsante, che è l’eredità degli antichi, i nostri avi, troppo saggi per essere defenestrati da un
manipolo di gretti industriali e scaltri lupi della finanza.
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Sopprimere il liceo classico sarebbe paragonabile a un parricidio, che a Roma veniva punito
con la “pena del sacco”: il reo veniva cucito vivo in un sacco di cuoio, assieme ad un cane, una
scimmia e una vipera, per poi essere gettato nelle acque del Tevere.
Immagino nessuno voglia fare questa orrenda fine, sbaglio?
Se è così, giù le mani dal liceo classico.
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