43° Congresso Internazionale SCIVAC

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43° Congresso Internazionale SCIVAC
CONGRESSO INTERNAZIONALE SCIVAC
European Society of Feline Medicine
Società Italiana di Medicina Felina
in collaborazione con
Associazione Veterinari Umbri Liberi Professionisti
PERUGIA 28, 29 e 30 SETTEMBRE 2001
PROGRESSI E
E PROBLEMI
PROBLEMI IN
IN
PROGRESSI
MEDICINA FELINA
ATTI DEL CONGRESSO
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC
ERMENEGILDO BARONI, Presidente
PIER MARIO PIGA, Presidente Senior
MASSIMO BARONI, Vice Presidente
MATTEO SPALLAROSSA, Segretario
CARLO DAMIANI, Tesoriere
CARLO DE FEO, Consigliere
ROBERTO TOVINI, Consigliere
CONSIGLIO DIRETTIVO SIMEF
TOMMASO FURLANELLO, Presidente
MARIA CRISTINA CROSTA, Vice Presidente
STEFANO BO, Segretario
CRISTINA PICCO, Tesoriere
ANDREA BOARI, Consigliere
COMMISSIONE SCIENTIFICA
GIORGIO ROMANELLI, Presidente
FULVIO STANGA, Segretario
DAVIDE DE LORENZI
UGO LOTTI
PIER MARIO PIGA
SEGRETERIA SCIVAC
Palazzo Trecchi – Via Trecchi, 20 – 26100 Cremona
Tel. 0372/403506 - 403502 – Fax 0372/457091
email: [email protected] - website: www.scivac.it
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
NEW TEAM – Via Ghiretti, 2 – 43100 PARMA
Tel. 0521/293913 – Fax 0521/294036 – email: [email protected]
ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA
TOWERS VIAGGI
Centro Direzionale Quattrotorri
06074 Ellera Scalo (PG) – Tel. 075/5170098 – Fax 075/5171045
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ATTI DEL
CONGRESSO INTERNAZIONALE SCIVAC
European Society of Feline Medicine
Società Italiana di Medicina Felina
in collaborazione con
Associazione Veterinari Umbri Liberi Professionisti
PERUGIA 28, 29 e 30 SETTEMBRE 2001
PROGRESSI E PROBLEMI IN
MEDICINA FELINA
Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto
Coordinamento editoriale: Dr. Fulvio Stanga
La SCIVAC è particolarmente grata alle ditte
Hill’s*
Global Leader in Pet Nutrition
Animal Health
per il significativo contributo fornito alla realizzazione del Congresso.
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
NORME CONGRESSUALI
SEGRETERIA CONGRESSUALE
La Segreteria verrà aperta alle ore 13.30 di venerdì 28 Settembre 2001. All’atto della registrazione
si prega di esibire la tessera SCIVAC e un documento d’identità.
CONTRASSEGNI CONGRESSUALI
COLORI
Rosso: Relatori; Bianco: Congressisti; Verde: Ditte Espositrici.
Il contrassegno congressuale che consente l’accesso alla sala deve essere esibito per tutta la durata
del congresso in maniera visibile ed è obbligatorio.
Il contrassegno congressuale è strettamente personale e non può essere ceduto ad altre persone
non iscritte al Congresso.
ATTENZIONE!
In caso di smarrimento il badge supplementare verrà fornito al costo di Lit. 50.000.
RINUNCE
In caso di rinuncia la quota versata verrà restituita all’80% se la richiesta perverrà per iscritto alla
Segreteria Organizzativa Congressuale entro 10 giorni dalla data di svolgimento del Congresso;
oltre tale termine al Socio iscritto che non ha potuto partecipare spetterà unicamente il volume
degli Atti.
MOSTRA TECNICO-SCIENTIFICA
Nell’area congressuale sarà allestita una mostra dedicata alle attrezzature chirurgiche, alla diagnostica strumentale, alla farmacoterapia e all’editoria scientifica.
VARIAZIONI
L’Organizzazione si riserva il diritto di apportare al programma del Congresso cambiamenti resi
necessari da esigenze tecniche o da cause di forza maggiore.
TELEFONI CELLULARI
È severamente vietato l’uso dei telefoni cellulari all’interno delle sale congressuali.
VIETATO FUMARE
È severamente vietato fumare in tutti i locali del Centro Congressi, area espositiva inclusa. Tuttavia le minacce e le multe per i contravventori sono un po’ fuori luogo: un ambiente fumoso non
crediamo piaccia neanche ai fumatori. Pertanto chi vuole fumare può approfittare del clima mite di
fine settembre e farsi due salutari passi fuori del Centro Congressi. Tutti (non solo i non fumatori)
gliene saranno grati.
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
SERVIZI CONGRESSUALI
INCLUSI NELL’ISCRIZIONE
ATTI DEL CONGRESSO
Il volume degli atti del Congresso viene consegnato a tutti gli iscritti al momento della registrazione presso la Segreteria in sede congressuale. Grazie all’impostazione tipografica adottata, con lo
spazio libero per le note a fianco di ogni pagina, gli Atti costituiscono, durante lo svolgimento delle relazioni, un utile strumento didattico. Ulteriori copie del volume degli Atti sono disponibili, a
pagamento presso la Segreteria.
CONGRESS PROCEEDINGS
The Congress Proceedings will be given to all participants at the Registration Desk. The Congress
Proceedings are a useful scientific support during all the congress sessions. Additional copies of
the Proceedings will be sold at the Registration Desk.
SERVIZIO DI TRADUZIONE
È disponibile, senza alcuna maggiorazione del costo di iscrizione, un servizio di traduzione simultanea Inglese-Italiano e Italiano-Inglese. Il servizio è fornito tramite radio-cuffia disponibile in sede congressuale previa consegna di un documento di identità. Ricordarsi di riconsegnare la cuffia
al termine del Congresso!
SIMULTANEOUS TRANSLATION
There will be a simultaneous translation from Italian to English and from English to Italian. This
service is included in the registration fee.
PLEASE NOTE THAT THE LECTURES GIVEN IN ITALIAN WILL BE TRANSLATED IN
ENGLISH ONLY IF A MINIMUM OF 15 FOREIGN DELEGATES WILL REGISTER TO THE
CONGRESS.
The headphones will be given to participants on site registration, in return of a personal document.
Please, don’t forget to return the headphones at the end of the Congress!
ATTESTATO DI FREQUENZA
Al termine del Congresso sarà rilasciato a tutti i partecipanti che ne fanno richiesta presso la
Segreteria.
CERTIFICATE OF ATTENDANCE
It will be given to the delegates at the end of the Congress at the Registration Desk.
SEDE DEL CONGRESSO
Centro Congressi Quattrotorri
Via Corcianese - Perugia - Italia - Tel. 075/5170098 - Fax 075/5171045
Autostrada: Uscita CORCIANO della superstrada Valdichiana-Perugia.
Il Centro Congressi è a 500 m. dall’uscita di Corciano e a 10 minuti dal Centro di Perugia.
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
RELATORI
MARCO
BERNARDINI
Med Vet, Dipl ECVN
Libero professionista, Bologna
ANDREA BOARI
Med Vet
Facoltà di Veterinaria,
Università di Teramo
ALESSANDRO
BONIOLI
Med Vet
Libero professionista, Torino
TOMMASO
FURLANELLO
Med Vet
Libero professionista, Padova
ANTONIO MOLLO
Med Vet
Facoltà di Veterinaria,
Università di Padova
GIORGIO
ROMANELLI
Med Vet, Dipl ECVS
Libero professionista, Milano
ROBERTO SANTILLI
Med Vet, Dipl ECVIM-CA
Libero professionista, Varese
FABIA
SCARAMPELLA
Med Vet, Dipl ECVD
Libero professionista, Milano
ANDY SPARKES
DEBORAH GRECO
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Veterinary Teaching Hospital,
Colorado State University
Fort Collins, USA
BVet Med, PhD,
Dipl ECVIM-CA, MRCVS
The Animal Health Trust
Newmarket, Regno Unito
FRANK VERSTRAETE
MICHAEL LAPPIN
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
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DVM Dipl AVDC, Dipl EVDC,
Dipl ECVS
VMTH, Dentistry
& Oral Surgery Service
School of Veterinary Medicine
University of California,
Davis, USA
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
PROGRAMMA SCIENTIFICO
PRIMO GIORNO
VENERDÌ POMERIGGIO 28 SETTEMBRE 2001
13.30
REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI
• SALA 1 •
MALATTIE INFETTIVE
• SALA 2 •
NEUROLOGIA
Chairperson: Tommaso Furlanello
Chairperson: Cristina Picco
14.30 Primo approccio diagnostico e terapeutico
al gatto con febbre di origine sconosciuta
An initial diagnostic and therapeutic plan
for the cat with fever of unknown origin
Michael Lappin (USA)
Debolezza generalizzata di origine
neurologica
Generalised weakness of neurological origin
15.10
15.15 Malattie infettive con coinvolgimento
dell’apparato respiratorio nel gatto
Infectious causes of fever that also involve
the respiratory tract
Michael Lappin (USA)
Epilessia e sindromi convulsive
Epilepsy and seizures in cats
15.15
Marco Bernardini (I)
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
• SALA 1 •
MALATTIE INFETTIVE
• SALA 2 •
NEUROLOGIA
Chairperson: Tommaso Furlanello
Chairperson: Cristina Crosta
16.30 Cause di febbre cronica nel gatto
di recente acquisizione
Newly recognized causes of chronic fever
in cats
Michael Lappin (USA)
I problemi dell’equilibrio nel gatto
Balance disorders in the cat
15.55
16.30
Marco Bernardini (I)
17.10
17.10
17.15 Principi e linee guida per la corretta
interpretazione dei test diagnostici per FIP,
FIV e FeLV
Principles and guidelines for the correct
interpretation of the tests for FIP, FIV and FeLV
Michael Lappin (USA)
18.00
14.30
Marco Bernardini (I)
15.10
15.55
13.30
Atassia e paraparesi nel gatto
Ataxia and paraparesis in cats
17.15
Marco Bernardini (I)
TERMINE DELLA GIORNATA
18.00
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
SECONDO GIORNO
SABATO MATTINA 29 SETTEMBRE 2001
• SALA 1 •
MALATTIE INFETTIVE
• SALA 2 •
ODONTOSTOMATOLOGIA
Chairperson: Tommaso Furlanello
Chairperson: Dea Bonello
8.45 Cause infettive di uveite nel gatto
Infectious causes of uveitis in cats
Michael Lappin (USA)
Prime importanti considerazioni per capire
l’odontostomatologia felina
Important considerations in feline dentistry
Frank Verstraete (USA)
9.25
9.25
9.30 Malattie protozoarie nel gatto come causa
di patologie gastrointestinali
Feline protozoal diseases as infectious causes
of feline gastrointestinal disease
Michael Lappin (USA)
Stomatite cronica nel gatto
Chronic stomatitis in cats
10.10
10.15 Malattie batteriche e parassitarie come
causa di patologie gastrointestinali
Feline bacterial and parasitic diseases as
infectious causes of feline gastrointestinal
disease
Michael Lappin (USA)
Tecniche di estrazione
Extraction techniques
• SALA 1 •
MALATTIE INFETTIVE
• SALA 2 •
ODONTOSTOMATOLOGIA
Chairperson: Tommaso Furlanello
Chairperson: Dea Bonello
Michael Lappin (USA)
Fistole oronasali e tecniche ricostruttive
del trauma maxillofacciale
Oronasal fistula and maxillofacial trauma
repair
10.55
11.30
Frank Verstraete (USA)
12.10
12.10
12.15 Malattie infettive rare e/o emergenti
nel gatto
Emerging/rare infectious diseases in cats
Michael Lappin (USA)
10
10.15
Frank Verstraete (USA)
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
11.30 Analisi delle più recenti linee guida
per i protocolli vaccinali del gatto
A discussion over the most recent guidelines
for feline vaccination protocols
12.55
9.30
Frank Verstraete (USA)
10.10
10.55
8.45
Tumori orali e lesioni simili-tumorali
Oral tumors and tumor-like lesions
12.15
Frank Verstraete (USA)
PAUSA PRANZO ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
12.55
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
SECONDO GIORNO
SABATO POMERIGGIO 29 SETTEMBRE 2001
• SALA 1 •
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
• SALA 2 •
DIABETOLOGIA FELINA
Chairperson: Stefano Bo
Chairperson: Ugo Lotti
14.30 Tecniche radiografiche e interpretazione
radiologica della cavità orale nel gatto
Oral radiography and radiology in cats
Frank Verstraete (USA)
Dieta e diabete nel gatto:
la connessione carnivora
Diet and feline diabetes:
the carnivore connection
Deborah Greco (USA)
15.10
15.10
15.15 Radiologia del torace nel gatto
Radiology of the torax
Agenti ipoglicemizzanti orali:
realtà o finzione?
Oral hypoglycemic agents: Fact or fiction
15.55
16.00 Radiologia cardiaca nel gatto
Cardiac radiology
Terapia insulinica nel gatto: come ottenere
la curva glicemica desiderata
Insulin therapy in cats: Getting the glucose
curve you want
16.00
Deborah Greco (USA)
Roberto Santilli (I)
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
• SALA 1 •
NEFROLOGIA/UROLOGIA
• SALA 2 •
DIABETOLOGIA FELINA
Chairperson: Stefano Bo
Chairperson: Ugo Lotti
17.15 Diagnosi e trattamento dell’insufficienza
renale cronica nel gatto (1ª parte)
Diagnosis and management of feline chronic
renal failure (Part 1)
Andy Sparkes (UK)
Complicazioni legate al diabete
e al suo trattamento
Complications caused by diabetes
and by its treatment
16.40
17.15
Andea Boari (I)
17.55
17.55
18.00 Diagnosi e trattamento dell’insufficienza
renale cronica nel gatto (2ª parte)
Diagnosis and management of feline chronic
renal failure (Part 2)
Andy Sparkes (UK)
18.40
15.15
Deborah Greco (USA)
Roberto Santilli (I)
15.55
16.40
14.30
Presentazione di casi clinici complessi
di diabete mellito nel gatto
Presentation of complicated cases of diabets
mellitus in cats
18.00
Deborah Greco (USA)
TERMINE DELLA GIORNATA
18.40
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TERZO GIORNO
DOMENICA MATTINA 30 SETTEMBRE 2001
• SALA 1 •
ENDOCRINOLOGIA
• SALA 2 •
DIVERSITÀ
Chairperson: Andrea Boari
Chairperson: Stefano Bo
8.45 Endocrinopatie emergenti feline: ipoadrenocorticismo,
sindrome di Conn’s, acromegalia, diabete insipidus,
ipotiroidismo
Emerging feline endocrinopathies: Hypoadrenocorticism, Conn’s
Syndrome, Acromegaly, Diabetes Insipidus, Hypothyroidism
Deborah Greco (USA)
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in chirurgia e ortopedia
When (and how) the cat is different from the
dog in soft tissue surgery and orthopaedics
Giorgio Romanelli (I)
9.25
9.25
9.30 Approccio all’ipercalcemia
e all’ipocalcemia nel gatto
Emerging feline endocrinopathies
Hypercalcemia and Hypocalcemia
Deborah Greco (USA)
10.10
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in oncologia
When (and how) the cat is different from the
dog in oncology
• SALA 1 •
ENDOCRINOLOGIA
• SALA 2 •
DIVERSITÀ
Chairperson: Ugo Lotti
Chairperson: Stefano Bo
Deborah Greco (USA)
9.30
Giorgio Romanelli (I)
PAUSA CAFFÈ ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
10.45 Sta cominciando ad assomigliare molto
ad un Cushing
It’s beginning to look a lot like Cushing’s
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in anestesiologia
When (and how) the cat is different from
the dog in anaesthesiology
10.10
10.45
Alessandro Bonioli (I)
11.25
11.25
11.30 Aggiornamenti sull’ipertiroidismo felino
Update on feline hyperthyroidism
Deborah Greco (USA)
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in diagnostica di laboratorio
When (and how) the cat is different from
the dog in clinical pathology
11.30
Tommaso Furlanello (I)
12.10
12.10
12.15 Aggiornamenti nella diagnosi
e nel trattamento dell’ipertiroidismo
Update on diagnosis and treatment
of hyperthyroidism
Roberto Santilli (I)
12.55
8.45
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in gastroenterologia
When (and how) the cat is different from
the dog in gastroenterology
12.15
Andrea Boari (I)
PAUSA PRANZO ED ESPOSIZIONE COMMERCIALE
12.55
12
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
TERZO GIORNO
DOMENICA POMERIGGIO 30 SETTEMBRE 2001
• SALA 1 •
DERMATOLOGIA
• SALA 2 •
RIPRODUZIONE
Chairperson: Cristina Picco
Chairperson: Cristina Crosta
14.30 Approccio al prurito e all'alopecia nel gatto
Approach to pruritus and alopecia in the cat
Fabia Scarampella (I)
Controllo del ciclo estrale della gatta
Control of the oestrus cycle in the queen
Antonio Mollo (I)
15.10
15.10
15.15 Complesso del granuloma eosinofilico
(confusione eosinofilica felina)
Granulamatous eosinophilic complex
Fabia Scarampella (I)
Iperplasia mammaria nel gatto
Mammar hyperplasia in the cat
15.15
Antonio Mollo (I)
15.55
15.55
16.00 Quando e come il gatto è diverso dal cane
in dermatologia
When (and how) the cat is different from
the dog in dermatology
Fabia Scarampella (I)
16.40
14.30
Note di anestesia in caso di taglio cesareo
nella gatta e rianimazione dei cuccioli
Anesthetic protocols for the cesarian section
and kittens resuscitation
16.00
Alessandro Bonioli (I)
TERMINE DEL CONGRESSO
16.40
13
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PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Marco Bernardini
Med Vet, Dipl ECVN
Libero professionista
Bologna
Debolezza generalizzata
di origine neurologica
Generalised weakness of neurological origin
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 14.30
15
NOTE
16
Classicamente, i quadri di debolezza riconoscono
un’origine metabolica, cardiovascolare o neurologica. Come in altri casi, quindi, l’esame neurologico dovrebbe per
prima cosa aiutare il clinico a capire se si trova di fronte a
un caso veramente neurologico o no.
L’anamnesi riferisce di una debolezza ad esordio acuto
o cronico; non raramente, i proprietari notano fluttuazioni
della sintomatologia, da un giorno all’altro o anche nello
stesso giorno.
L’esame neurologico dovrebbe evidenziare una certa
riluttanza al movimento, rifiuto o indecisione al salto,
tendenza ad acquattarsi anche in situazioni incomode, di
precario equilibrio, alle quali il gatto risponde quasi
unicamente con manifestazioni comportamentali di malessere o aggressività, indicativi di uno stato mentale
normale.
La testa viene tenuta spesso ventroflessa, con il mento
che arriva a toccare il petto. C’è tetraparesi e, nei casi più
seri, la postura è impossibile e si può arrivare alla tetraplegia flaccida. A volte si notano tremori generalizzati.
C’è ipo-/ariflessia a livello appendicolare, ma spesso i
nervi cranici sono risparmiati. I muscoli sono ipotonici e
l’atrofia muscolare (neurogenica) può essere più o meno
pronunciata, a seconda dell’intensità e della cronicità della malattia.
Questo quadro è in teoria compatibile con più di una
localizzazione: nervo periferico (neuropatie), giunzione
neuromuscolare (giunzionopatie) e muscolo (miopatie).
In realtà, differenze piccole o grandi possono aiutare a
sospettare già durante la visita quale delle tre localizzazioni sia corretta, ma in molti casi anche clinici con una
grossa esperienza si trovano in difficoltà. Come regole di
massima si può dire che i deficit propriocettivi, non molto pronunciati nelle neuropatie, sono spesso assenti nelle
miopatie; che gatti con giunzionopatie, eccezion fatta per
i casi gravi, spesso presentano un esame neurologico nella norma; che le miopatie riconoscono spesso una causa
infiammatoria e quindi, clinicamente, c’è dolore alla palpazione muscolare.
La diagnosi differenziale varia ovviamente con la localizzazione, per cui vengono presentate di seguito tre
tabelle distinte. Si sottolinea come le seguenti tabelle
non comprendono tutte le patologie possibili per ogni localizzazione, ma solo quelle che possono dare debolezza
generalizzata.
Neuropatie
V
I
T
A
M
I
N
D
Vascolari
Infiammatorie
Traumi
Anomalie cong.
Metaboliche
Neuropatia diabetica
Idiopatiche
Neoplastiche
Degenerative
Malattie da accumulo
NOTE
Polineurite idiopatica
Iperossaluria primaria
Neuropatia paraneoplastica
Motor Neuron Disease
Giunzionopatie
V
I
T
A
M
Vascolari
Infiammatorie
Traumi
Anomalie cong.
Metaboliche
I
N
D
Idiopatiche
Neoplastiche
Degenerative
Miastenia grave acquisita
Miastenia grave congenita
Avvelenamento da OP
Avvelenamento da carbamati
Miastenia grave paraneoplast.
Miopatie
V
I
Vascolari
Infiammatorie
T
A
M
Traumi
Anomalie cong.
Metaboliche
I
N
D
Idiopatiche
Neoplastiche
Degenerative
Polimiositi
Toxoplasmosi
Miopatia nemalinica
Ipopotassemia
Ipernatremia
Ipocalcemia
Ipertiroidismo
Malattie da accumulo
Miopatia fibrotica e ossificante
17
NOTE
18
La polineurite idiopatica è segnalata aneddoticamente.
La diagnosi è ottenibile solo tramite biopsia, che mostra
quadri di demielinizzazione e rimielinizzazione accompagnati da infiltrati infiammatori. La prognosi è buona, ma
può essere difficile la gestione del gatto per tutto il periodo
di immobilità (settimane o mesi).
Della neuropatia diabetica si parlerà fra le cause di
paraparesi.
L’iperossaluria primaria è dovuta all’assenza dell’enzima D-glicerato deidrogenasi e causa considerevoli danni
renali assieme a segni neurologici caratterizzati da estrema
debolezza. Malattia rarissima, è caratterizzata dalla presenza intermittente di cristalli di ossalato nelle urine dovute
alla deposizione di questo composto a livello di parenchima renale. I sintomi sono progessivi. Non esistono possibilità terapeutiche.
Le neuropatie paraneoplastiche sono rare nel gatto.
Con tale termine si intendono quei quadri neurologici periferici, rilevabili in pazienti portatori di neoplasie, che non
sono attribuibili direttamente nè alla localizzazione, nè alle
dimensioni, nè alla capacità di metastatizzazione del tumore. Compaiono a volte come primo segno della presenza
della neoplasia e possono scomparire parallelamente alla
remissione del tumore in caso di succeso terapeutico, per
lo meno momentaneo.
La malattia del motoneurone (Motor Neuron Disease - MND) è stata segnalata recentemente nel gatto e si
manifesta come un processo progressivo in soggetti adulti.
La diagnosi finale si ottiene evidenziando la diminuzione
del numero di neuroni motori a livello delle corna ventrali
del midollo spinale. La difficoltà diagnostica di questa malattia sta nel fatto che è localizzata nel SNC, anche se,
coinvolgendo il soma del MNI, causa una sintomatologia
tipicamente periferica.
Coinvolgendo tutto l’organismo per un difetto enzimatico genetico, molte malattie da accumulo possono dare segni di neuromiopatia. Nei gatti di razza Siamese, Balinese
ed Europea riveste una particolare importanza l’assenza
dell’enzima sfingomielinasi, che causa importanti alterazioni del rivestimento mielinico dei nervi simili a quelli riscontrati nella malattia di Niemann-Pick tipo A.
La miastenia gravis (MG) si riscontra nel gatto più frequentemente di quello che succedeva fino a pochi anni fa:
rimane comunque rara, specialmente nella sua forma congenita. La forma congenita è causata dall’insufficiente pre-
senza di recettori per l’ACh a livello postsinaptico. La forma acquisita è dovuta alla formazione di autoanticorpi
contro gli stessi recettori: i soggetti di razza Abissina sembrano particolarmente soggetti. Debolezza episodica peggiorata dall’esercizio, ventroflessione del capo, assenza del
riflesso palpebrale e talvolta megaesofago vengono notati
all’esame neurologico. Spesso si rilevano masse mediastiniche. Prove farmacologiche (Tensilon test), elettrodiagnostiche (stimolazione ripetuta delle fibre nervose) e dimostrazione della presenza degli autoanticorpi contro i recettori postsinaptici permettono la diagnosi. Un titolo anticorpale maggiore di 0.3 nmol/L è considerato diagnostico. Se
la terapia orale è possibile, da 0,5 a 3 mg/Kg di bromuro di
piridostigmina (Mestinon) dovrebbero essere somministrati ogni 8-12 ore, partendo dai dosaggi più bassi per una
probabile elevata sensibilità dei gatti a questi farmaci. Discussa è l’efficacia dei cortisonici.
Le molecole dei composti organofosfati (OP) e carbamati si legano con legame rispettivamente irreversibile e
reversibile all’acetilcolinesterasi nello spazio sinaptico impedendone l’azione. La sintomatologia può essere acuta o
cronica. Nel primo caso si assiste a tremori generalizzati e
debolezza associati ai tipici segni di coinvolgimento del sistema nervoso autonomo (salivazione, miosi, frequenti
minzioni), nel secondo la sintomatologia è molto più subdola e compare solo debolezza.
Polimiositi immunomediate sono state descritte nel
gatto. Il dolore è spesso presente e può aiutare nel sospetto
di una patologia infiammatoria più che metabolica. La diagnosi definitiva si ottiene con la dimostrazione di infiltrati
infiammatori tra le fibre muscolari.
La toxoplasmosi è probabilmente una causa sovrastimata di patologia neuromuscolare nel gatto. Raramente è
causa di polimiosite e quasi mai di polineurite. Predisposti
a sviluppare una miosite da Toxoplasma sono i soggetti
FIV-positivi.
La miopatia nemalinica è una malattia congenita diagnosticabile solo con la biopsia muscolare, che permette di
evidenziare al microscopio ottico bastoncelli singoli e multipli subsarcolemmatici. Pur essendo una patologia ereditaria, la sintomatologia inizia tra i 6 e i 18 mesi di vita ed è
invariabilmente progressiva, per cui si rende inevitabile
l’eutanasia del soggetto.
Ipocalcemia da 3 a 17 giorni prima del parto è stata dimostrata essere causa di debolezza, depressione, tremori
NOTE
19
NOTE
20
muscolari e stati tetanici in alcuni gatti. Tale patologia è
comunque aneddotica e risponde alla somministrazione
endovenosa di gluconato di calcio. Anche l’ipoparatiroidismo può causare quadri simili.
L’ipopotassemia riconosce varie cause, ma la perdita
secondaria a patologie renali è la più frequente. Raramente
è dovuta ad una diminuzione della normale assunzione
(“diete vegetariane”). È probabilmente la causa più comune di neuromiopatia del gatto. Tale situazione è più frequente di altri squilibri elettrolitici saltuariamente segnalati
(ipernatremia). Sono possibili recidive, per cui si parla a
volte di forme ricorrenti.
L’ipertiroidismo si manifesta con debolezza in circa un
gatto su quattro. Il proprietario può notare difficoltà nel
salto. La contemporanea presenza di aggressività senza dolore dimostrabile aumenta il sospetto di ipertiroidismo.
Il piano diagnostico da seguire in queste forme è quasi
sempre lo stesso.
1) Si esegue un completo esame emocromocitometrico,
emobiochimico ed esame chimico-fisico delle urine per
evidenziare problemi metabolici, segni di flogosi ed
eventuali controindicazioni all’anestesia generale necessaria per i successivi esami. Troppo spesso vengono
trascurati i livelli serici della creatinfosfochinasi (CPK)
e dei principali elettroliti, molto utili in queste diagnosi.
2) Si ricorre all’elettrodiagnostica. L’elettromiografia
(EMG) aiuta a confermare la localizzazione periferica
della patologia, ma difficilmente si evidenziano alterazioni diagnostiche. Le giunzionopatie non danno solitamente alterazioni elettromiografiche. La misurazione
della velocità di conduzione nervosa (NCV) può aiutare
in una più precisa localizzazione (nervo periferico vs
muscolo). Come già visto, la stimolazione ripetuta delle
fibre nervose (RNS) è importante nella diagnosi delle
giunzionopatie.
3) La biopsia nervosa e muscolare permette diagnosi altrimenti impossibili. Il limite maggiore per questi esami è
costituito dal trasporto del campione e dal reperimento
di un laboratorio attrezzato e affidabile.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Marco Bernardini
Med Vet, Dipl ECVN
Libero professionista
Bologna
Epilessia e sindromi convulsive
Epilepsy and seizures in cats
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 15.15
21
NOTE
La terminologia delle epilessie e delle loro manifestazioni cliniche è controversa e spesso imprecisa nella letteratura neurologica veterinaria. Spesso si tende ad usare il
termine di crisi convulsiva per qualsiasi manifestazione
derivante da un’attività parossistica transitoria cerebrale. In
realtà una convulsione implica una stato di contrazione
muscolare generalizzata che è presente in alcuni, ma non
in tutti i casi. Sarebbe quindi probabilmente corretto parlare di attacchi per qualsiasi forma di disordine neurologico
caratterizzato da parossismi improvvisi, transitori e ricorrenti dell’attività elettrica del cervello, che causano alterazioni funzionali brevi e concomitanti. L’unico limite
all’uso del termine “epilettico” è la mancanza di ricorrenza, l’unicità, del fenomeno.
Molti autori pensano che l’epilessia nel gatto riconosca
quasi sempre alterazioni morfofunzionali del parenchima
cerebrale, per cui l’epilessia idiopatica (ereditaria) non costituirebbe una causa importante delle crisi
Tutte le razze di gatti sono potenzialmente soggette
all’epilessia, senza distinzione di sesso e di stato ormonale
sessuale (animali sterilizzati o no).
Da un punto di vista clinico, la classificazione classica
delle crisi è la seguente:
Crisi generalizzate:
Crisi focali:
Tonico cloniche con perdita
di conoscenza
Tonico cloniche
Semplici
Assenze?
Semplici con generalizzazione
secondaria
Complesse
Le crisi tonico cloniche con perdita di conoscenza
(grande male) sono le più frequenti, anche se non tanto come nel cane. Generalmente sono molto violente, impressionanti, e non raramente l’animale si traumatizza (morsi
alla lingua). Frequenti sono le concomitanti manifestazioni
di interessamento del sistema nervoso autonomo (salivazione, perdita di urine). Altre crisi più leggere, tonico cloniche senza perdita di conoscenza non sono infrequenti,
mentre le assenze sono ancora discusse. Relativamente
frequenti, molto più che nel cane, sono le crisi focali, raramente semplici, più spesso semplici con generalizzazione
secondaria e soprattutto complesse (crisi focali con altera22
zioni dello stato di coscienza): contrazioni monolaterali dei
muscoli facciali, inclinazioni ritmiche del capo, contrazioni di gruppi muscolari di un arto, accompagnate da atteggiamenti di paura, aggressività, difesa da un nemico immaginario, circospezione, circling, ecc.
La durata di ogni singolo episodio varia da pochi secondi a 2-4 minuti. La frequenza può variare da più crisi
nello stesso giorno (cluster o stato di male epilettico) a parecchi mesi. In assenza di terapie, indipendentemente dalla
causa, il periodo interictale (cioè il periodo di tempo che
intercorre tra una crisi e la successiva) tende a diminuire.
Il problema principale per il clinico è che nella maggior
parte dei casi al momento della visita il gatto non è in crisi.
C’è quindi necessità di un’anamnesi approfondita.
NOTE
1) La prima crisi
• Quando si è manifestata (prima dei 9-12 mesi di vita,
tra 1 e 5 anni, dopo il quinto anno di vita)?
• Quali manifestazioni cliniche si sono presentate (motorie, sensoriali, autonomiche, psichiche)?
• Quanto è durata?
• C’è stata una fase postictale?
• Cosa è stato fatto in seguito (indagini collaterali, inizio di terapie)?
2) Quante crisi fino ad ora?
• Numero
• Regolarità
• Frequenza media
• Sempre uguali?
• Concomitanza con qualche avvenimento (momenti
del giorno, sonno, pasti, sforzi fisici, cicli ormonali
sessuali, eccitazioni psichiche)?
3) C’è una terapia in corso?
• Farmaco iniziale (dosi e frequenza di somministrazione, momento dell’inizio della terapia in relazione alle
crisi, efficacia, controlli livelli ematici).
• È stata modificata la terapia (aumento o diminuzione
della dose iniziale, sostituzione del farmaco iniziale,
aggiunta di un nuovo farmaco)?
La comparsa di crisi focali viene da molti ritenuta indicativa di alterazioni strutturali acquisite del parenchima cerebrale, ma non c’è accordo su questo punto.
L’encefalopatia ischemica è dovuta ad occlusione
dell’arteria cerebrale media. Causa una sintomatologia
23
NOTE
Diagnosi differenziale delle epilessie del gatto
V
Vascolari
I
Infiammatorie
T
Traumi
A
Anomalie cong.
M
Metaboliche
I
N
Idiopatiche
Neoplastiche
D
Degenerative
Encefalopatia ischemica
Policitemia
Emorragie
FIP
Meningoencefalite
non suppurativa
Batteri (ascesso)
Toxoplasmosi
Criptococcosi
Cuterebra (?)
Recenti
Remoti
Idrocefalia
Lissencefalia
Ipoglicemia
Ipocalcemia
Encefalopatia epatica
Encefalopatia uremica
Iperpotassemia
Tossici:
Pb, OP, Glicole etilenico
Carenza di tiamina
Epilessia idiopatica (?)
Meningiomi
Gliomi
Ependimomi
Papillomi dei plessi corioidei
Metastatici
Malattie da accumulo
unilaterale iperacuta localizzabile al cervello anteriore,
che generalmente, come in tutti i problemi vascolari, tende a regredire con il tempo. Le crisi convulsive costituiscono quindi un’eccezione del quadro sintomatologico,
poiché possono comparire a distanza del tempo ed essere
progressive.
La policitemia, vera o falsa, causa uno stato di ipossia
cerebrale dovuto alla viscosità assunta dal sangue. Anche
se tutto il parenchima cerebrale è interessato, alcune zone
lo sono maggiormente, poiché le crisi che si manifestano
sono tipicamente focali. È un classico esempio di come un
problema sistemico può causare crisi focali.
24
Emorragie da cause non traumatiche sono molto rare,
possono essere conseguenza di avvelenamenti e raramente
i sintomi neurologici sono gli unici a manifestarsi.
La FIP è l’infiammazione più frequente del SNC del
gatto. Difficilmente le crisi convulsive sono il primo o
l’unico segno di FIP nervosa, poiché l’infezione interessa
principalmente il tronco encefalico.
Frequenti sono i casi di meningoencefalite non suppurativa, diagnosticabile attraverso l’esame del LCR: aumento della componente proteica e pleocitosi mononucleare in assenza di cause virali dimostrabili serologicamente.
Le encefaliti batteriche sono rare. La presenza di ascessi può essere secondaria alla presenza di corpi estranei.
La toxoplasmosi è sospettata molto più frequentemente
della sua effettiva presenza.
La criptococcosi è rara e la sua diagnosi può avvenire
tramite riconoscimento del microrganismo nel LCR.
La larva della mosca Cuterebra causa una miasi caratteristica del SNC che può essere responsabile di crisi convulsive. Non si registrano casi in Europa.
Crisi convulsive possono comparire da pochi secondi
ad anni dopo un trauma cranico. Più intercorre tempo tra
l’evento traumatico e la comparsa delle crisi e più è difficile stabilire una connessione tra i due eventi. Probabilmente, la responsabilità di vecchi traumi nella comparsa di crisi convulsive è sovrastimata.
L’idrocefalia congenita è rara nel gatto e ancora più rara è la possibilità che sia causa di crisi convulsiva. Più facilmente è secondaria a neoplasie o infiammazioni (FIP):
in questi casi può essere difficile stabilire se è la causa delle crisi o semplicemente un evento concomitante. La lissencefalia (assenza o riduzione delle circonvoluzioni cerebrali) è stata segnalata nel Korat.
Le cause metaboliche di crisi convulsive sono rare nel
gatto. Varie patologie possono essere responsabili di ipoglicemia, ipocalcemia, encefalopatia epatica, encefalopatia uremica. Intossicazioni da piombo, organofosfati,
glicole etilenico e altre sostanze si verificano con una frequenza sempre minore. La carenza di tiamina è difficilmente dimostrabile ma facilmente reversibile.
L’esistenza dell’epilessia idiopatica nel gatto è discussa e viene generalmente messa in dubbio dagli autori americani. Sicuramente presenta una incidenza nettamente inferiore rispetto al cane.
Le neoplasie intracraniche sono spesso causa di convul-
NOTE
25
NOTE
26
sioni. Tra di essi sono nettamente più frequenti i meningiomi, ma anche gliomi e altri tumori primari e metastatici sono occasionalmente riportati.
Infine, le malattie da accumulo sono causa di crisi convulsive in soggetti giovani, ma a volte anche di quadri tardivi. Nel gatto sono state segnalate le gangliosidosi nel
gatto domestico, nel Siamese e nel Korat; la sfingomielinosi nei gatti domestici e di razza Siamese e Balinese; la
leucodistrofia a cellule globoidi nel gatto domestico; le
mucopolisaccaridosi (MPS) nel gatto domestico (MPS I MPS VI) e nel Siamese (MPS VI); la mannosidosi nel
gatto domestico e nel Persiano; la glicogenosi nel gatto domestico e nel Norvegese delle foreste; la lipofuscinosi ceroide nel Siamese e nel gatto domestico; infine, la mucolipidosi tipo 2 in un gatto domestico.
La terapia dipende dalla diagnosi della patologia responsabile delle crisi. Quasi sempre si instaura una terapia
anticonvulsivante per il controllo immediato delle crisi.
Nel caso in cui esista una terapia per la patologia scatenante la terapia sintomatica è temporanea e si sospende una
volta risolto il problema. Se, al contrario, la patologia non
è trattabile o non è stata diagnosticata, la terapia anticonvulsivante deve essere protratta per lunghi periodi di tempo, spesso per tutta la vita dell’animale.
Bisogna ricordare che crisi di lunga durata e alta frequenza possono provocare danni strutturali al parenchima
cerebrale, rendendo più probabile l’insorgenza di ulteriori
episodi; un po’ come con le ciliege, una crisi tira l’altra: è
quindi consigliabile essere aggressivi fin dall’inizio nel controllo delle crisi. In generale, si raccomanda di iniziare la terapia con frequenze inferiori ad una crisi ogni 6-8 settimane.
Il fenobarbital è ancora considerato il farmaco di prima scelta nel gatto, poiché è poco tossico, poco costoso, è
un barbiturico con effetto anticonvulsivante a dosi non
ipnotiche ed è presente in commercio con una vasta gamma di dosaggi che ne permettono una facile somministrazione anche ad animali di pochi chilogrammi di peso. Le
dosi di partenza variano da 1,5 a 2 mg/kg/q12h. Nei soggetti molto giovani, che metabolizzano il farmaco rapidamente, può essere consigliabile iniziare con 3 mg/kg/q12h.
Non esistono quasi mai giustificazioni a somministrazioni
meno (q24h) o più (q8h) frequenti. Tali dosi dovrebbero
permettere il raggiungimento di livelli serici terapeutici
che, estrapolati dalla medicina canina, sono compresi tra
15 e 40 µg/ml. Nel gatto si pensa che il range possa essere
un po’ più basso: 10-30 µg/ml. Controlli della fenobarbitalemia sono consigliabili 15 gg dopo l’inizio di ogni nuovo
dosaggio o ogni 3-12 mesi in caso di stabilizzazione del
quadro clinico. Va ricordato che c’è una grande individualità nell’effetto della terapia anticonvulsivante e che la dose
va aumentata in caso di mancato controllo delle crisi e non
unicamente sulle indicazioni della fenobarbitalemia. Gli
svantaggi (sedazione, atassia, agitazione, nistagmo, poliuria, polidipsia, polifagia) sono di solito temporanei, all’inizio della terapia. Epatopatie sono infrequenti e di solito
compaiono dopo terapie molto prolungate. Ancora più rari
ipoplasie midollari e reazioni immunomediate.
Nel gatto, a differenza del cane, il diazepam è una valida alternativa per terapie a lungo termine. La dose raccomandata, pari a 0,25-0,5 mg/kg/q8-12h, dovrebbe permettere il raggiungimento del livello terapeutico di 500-700
ng/ml. È difficile trovare un laboratorio che effettui tale
esame: questo è probabilmente un grosso limite all’uso
continuativo di questo farmaco. Segni di epatotossicità sono possibili nelle prime due settimane di terapia, nel qual
caso è indispensabile la sospensione della terapia.
L’uso del bromuro di potassio dovrebbe ricalcare
quello che si effettua nel cane (20-40 mg/kg/q24h), ma non
esistono studi approfonditi in tal senso. La difficile somministrazione di questo farmaco nel gatto costituisce probabilmente il limite maggiore al suo utilizzo.
NOTE
27
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Marco Bernardini
Med Vet, Dipl ECVN
Libero professionista
Bologna
I problemi dell’equilibrio nel gatto
Balance disorders in the cat
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 16.30
29
NOTE
I problemi dell’equilibrio sono frequenti nella clinica
felina. Solitamente coinvolgono il sistema vestibolare, raramente il cervelletto.
Il sistema vestibolare modifica la posizione degli occhi,
del tronco e degli arti in risposta ai cambiamenti di posizione della testa al fine di mantenere l’equilibrio. Il mantenimento di un corretto equilibrio dipende dall’uguaglianza
delle informazioni provenienti ed elaborate dalla componente destra e da quella sinistra del sistema vestibolare. In
entrambe le parti esiste una componente periferica (sistema vestibolare periferico - SVP), situata a livello di orecchio interno (canali semicircolari, utricolo, sacculo), e una
centrale (sistema vestibolare centrale - SVC), localizzabile
a livello di ponte.
Tutte le volte che un gatto presenta una sindrome vestibolare (S. V.) è quindi necessario stabilire qual è il lato
coinvolto, il che di solito non comporta grosse difficoltà.
Più difficile, specialmente nelle fasi acute, può essere definire se si tratta di un problema centrale o periferico.
La sintomatologia puramente vestibolare è comune alle
forme centrali e a quelle periferiche: permette quindi la
diagnosi di sindrome vestibolare, ma spesso nulla di più.
Per localizzare la lesione bisogna verificare la presenza o
l’assenza di altri deficit neurologici. Caratteristiche delle
sindromi vestibolari sono nella maggior parte dei casi
l’esordio acuto e la lateralizzazione dei sintomi.
I sintomi puramente vestibolari sono i seguenti:
1) L’head tilt, inclinazione della testa da un lato, come se
un orecchio fosse diventato più pesante dell’altro. È il
sintomo più costante nelle sindromi vestibolari, è sempre presente nello stesso lato della lesione, tranne che
nelle sindromi vestibolari paradosse, rarissime nel gatto.
2) Il nistagmo spontaneo, oscillazione ritmica involontaria dei globi oculari che generalmente interessa i due
occhi contemporaneamente. Si riconosce una fase lenta
ed una veloce: quest’ultima caratterizza il nistagmo ed
è diretta verso il lato opposto alla lesione. È il primo
sintomo che l’organismo riesce spontaneamente a compensare, per cui tende a scomparire da poche ore a un
paio di giorni dopo l’insorgenza dei sintomi. Il nistagmo può essere orizzontale, verticale, rotatorio o posizionale (quando cambia direzione in seguito a cambiamenti di posizione della testa).
30
Localizzazione
Inclinazione laterale del capo (head tilt)
Perdita dell’equilibrio
Andatura in circolo
Rotolamento
Atassia
Nistagmo
posizionale
verticale
orizzontale
rotatorio
Strabismo
Deficit della propriocezione
Emiparesi ipsilaterale - Tetraparesi
Deficit dei nervi cranici
Alterazioni dello stato mentale
Sindrome di Horner
Periferica Centrale
+
+
+
+
+
NOTE
+
+
+
+
+
–
+
rarissimo
+
+
+
+
+
+
+
–
+
–
+
VII
V, VI, VII
–
+
+
rarissima
3) Lo strabismo ventrale o ventrolaterale, dovuto ad
una alterazione dell’influenza del sistema vestibolare
sui nuclei del III paio di nervi cranici. È spesso presente, ma difficilmente evidenziabile ad una semplice osservazione; si evoca raddrizzando il capo e alzando la
testa.
4) L’inclinazione del corpo, fino alla caduta e al rotolamento, è dovuto alla perdita dell’azione facilitante per i
muscoli antigravitazionali ipsilaterali (ipotono muscolare ipsilaterale) e di quella inibitoria per i muscoli antigravitazionali controlaterali (ipertono muscolare controlaterale) normalmente presenti grazie alle vie vestibolospinali.
5) L’atassia, detta atassia vestibolare quando compare in
associazione con i sintomi sopra descritti.
I sintomi extravestibolari che permettono la localizzazione sono i seguenti:
1) Deficit propriocettivi, presenti nelle forme centrali.
Localizzabili unicamente o principalmente nello stesso
lato della lesione, sono dovuti ad un coinvolgimento a
livello del ponte delle fibre sensitive ascendenti.
31
NOTE
2) Paresi da MNS, presente nelle forme centrali. Sono totalmente o prevalentemente ipsilaterali alla lesione, per
il coinvolgimento delle fibre del MNS a livello di tronco encefalico.
3) Sindrome di Horner (miosi, enoftalmo, procidenza
della terza palpebra e ptosi palpebrale superiore), nelle
forme periferiche, per coinvolgimento delle fibre postgangliari simpatiche destinate all’occhio e passanti per
la bolla timpanica.
4) Sintomi cerebellari, per contiguità con il ponte.
5) Deficit del nervo trigemino (atrofia dei muscoli masticatori, assenza di sensibilità della cornea e dell’emifaccia ipsilaterale), nelle forme centrali, per contiguità del
nucleo con i nuclei vestibolari.
6) Deficit del nervo abducente (strabismo mediale, impossibilità a retrarre il bulbo oculare), nelle forme centrali, per contiguità del nucleo con i nuclei vestibolari.
7) Deficit del nervo facciale (impossibilità ad ammiccare,
ptosi labiale superiore e inferiore, impossibilità di muovere il padiglione auricolare, deficit dell’innervazione
di alcune ghiandole salivari e lacrimali), nelle forme
centrali per contiguità del nucleo con i nuclei vestibolari, nelle forme periferiche per la stretta relazione anatomica con la bolla timpanica.
A volte si osservano due quadri clinici vestibolari con
caratteristiche peculiari: la sindrome vestibolare paradossa
e la sindrome vestibolare bilaterale.
La sindrome vestibolare paradossa è così detta perché
l’head tilt si manifesta dalla parte opposta alla lesione ed è
causata da lesioni localizzate in quella parte di cervelletto
coinvolta nell’equilibrio, cioè il lobo flocculonodulare, e
nei peduncoli cerebellari, che contengono le fibre di connessione tra il sistema vestibolare e il cervelletto. Il quadro
tipico, evidenziato da un animale con sindrome vestibolare
paradossa, consiste in un deficit propriocettivo e anormalità di alcuni nervi cranici ipsilateralmente alla lesione, come in tutte le sindromi vestibolari centrali, ma l’head tilt è
dalla parte opposta. Questa eccezione è spiegabile ricordando come l’attività regolatrice del cervelletto si esplichi
con meccanismi di tipo inibitorio.
La sindrome vestibolare bilaterale si manifesta nel
caso in cui il processo patologico coinvolga contemporaneamente e più o meno con la stessa intensità, sia le strutture di destra che di sinistra. Manca l’head tilt ed è caratte-
32
rizzata da una grave atassia con ondeggiamento pronunciato del capo. È più frequente nei gatti ed è a localizzazione
periferica. Manca il nistagmo.
Una volta localizzata la lesione, si procede come sempre alla diagnosi differenziale.
NOTE
Localizzazione al Sistema Vestibolare Centrale
V
Vascolari
I
Infiammatorie
T
A
M
Traumi
Anomalie cong.
Metaboliche
I
N
Idiopatiche
Neoplastiche
D
Degenerative
Emorragie
Infarti
FIP
Toxoplasmosi
Criptococcosi
Traumi cranici
Intossicaz. da metronidazolo
Carenza di tiamina
Linfoma
Meningioma
Metastasi
Localizzazione al Sistema Vestibolare Periferico
V
I
Vascolari
Infiammatorie
T
A
M
Traumi
Anomalie cong.
Metaboliche
I
N
Idiopatiche
Neoplastiche
D
Degenerative
Otite media-interna
Neuriti
Traumi della bolla
SV congenita
Antibiotici aminoglicosidici
Detergenti per l’orecchio est.
Metalli pesanti
Terapie antineoplastiche
SV idiopatica
PNST
Linfomi
Polipi nasofaringei
Carcinoma a cell. squamose
Neurofibromi
Neoplasie delle bolle timpan.
33
NOTE
34
La peritonite infettiva felina è la causa di infiammazione del SNC più comune nel gatto. Può manifestarsi ad ogni
età, ma è più frequente in animali con meno di due anni. Il
coronavirus della FIP è in grado di produrre una vasculite
che interessa vari organi, fra cui il SNC. L’interessamento
del tronco encefalico è frequente, per cui i primi sintomi
della malattia possono essere vestibolari. Linfopenia, neutrofilia, anemia, iperprotinemia da iperglobulinemia (γpatia
policlonale) supportano il sospetto di FIP. La conferma si
ottiene all’esame del LCR: aumento della componente proteica, presenza di specifiche IgG e pleocitosi mista (linfociti, plasmacellule con eventuali corpi di Russell, macrofagi e
granulociti neutrofili). L’impossibilità di raccolta del LCR
dalla cisterna magna può essere indicativo di FIP ed è dovuto al blocco del deflusso del liquor a livello di acquedotto
mesencefalico per accumulo di cellule infiammatorie e/o
per la notevole viscosità data dall’elevato contenuto proteico. La diagnosi definitiva di mielite da FIP si ottiene postmortem con l’evidenziazione di un ingrandimento del canale centrale del midollo spinale; leptomeningite, ependimite
e mielite piogranulomatosa. Non esiste una terapia per questa patologia progressivamente fatale. Dosi immunosoppressive di corticosteroidi possono allungare il decorso e
fornire un temporaneo miglioramento.
La criptococcosi è causata da Cryptococcus neoformans, fungo rotondo od ovoidale di cui sono state identificate due varianti (C. neoformans var. neoformans e C.
neoformans var. gattii). È rara e può interessare il gatto a
tutte le età. L’esame del LCR può rivelare un aumento di
proteine e una pleocitosi mista. In numerosi casi si può
evidenziare lo stesso microrganismo. Esiste un test di agglutinazione diretto agli antigeni capsulari, che può essere
effettuato sul LCR in caso di criptococcosi nervosa. In generale, la reazione infiammatoria è scarsa nel gatto: i microrganismi possono addensarsi nello spazio subaracnoideo o creare nel parenchima ingrandimenti notevoli dello
spazio perivascolare. La diagnosi può essere confermata
con tecniche di immunofluorescenza. La flucitosina (30-75
mg/kg/q6-8-12h/1-9 mesi PO), sola o in associazione con
amfotericina B (0,1-0,5 mg/kg/q48h IV) costituirebbe la
terapia di scelta, ma ha scarsa permeabilità a livello di
BEE. Una opzione terapeutica per la forma neurologica è
costituita dal ketoconazolo (5-20 mg/kg/q12-24h/6-10 mesi PO) o dall’itraconazolo alla stessa dose. La criptococcosi nervosa è spesso fatale.
La toxoplasmosi, causata dal coccidio intracellulare
Toxoplasma gondii, è probabilmente sovrastimata nel gatto. Può manifestarsi a qualsiasi età, specialmente in caso di
stati di immunodepressione, come quelli causati dal virus
della FIV. Nella forma neurologica il Toxoplasma si localizza dentro ai neuroni e alle fibre muscolari, dove permane quiescente a meno che una malattia concomitante non
causi immunosoppressione. L’esame del LCR evidenzia un
aumento del contenuto proteico e una pleocitosi di cellule
principalmente mononucleate, a volte accompagnata da
granulociti neutrofili e eosinofili. La produzione intratecale
di anticorpi contro T. gondii non viene modificata da una
eventuale coinfezione con il virus della FIV. All’esame autoptico si evidenzia una meningomielite non suppurativa a
distribuzione focale, multifocale o diffusa. Emorragie del
parenchima o perdita di una chiara distinzione tra sostanza
grigia e bianca possono caratterizzare rispettivamente le
forme acute e quelle croniche. Manicotti perivascolari di
cellule mono o polimorfonucleate, necrosi e gliosi sono solitamente presenti. La clindamicina viene considerato l’antibiotico d’elezione per trattare la toxoplasmosi, ma la sua
penetrazione attraverso la barriera ematoencefalica è discussa. Un’alternativa è l’uso di trimetoprim-sulfonamide.
Dosi antinfiammatorie di prednisone possono migliorare la
sintomatologia senza interferire nella risposta immunitaria.
Il metronidazolo è un farmaco utilizzato in medicina
veterinaria (10-60 mg/kg) per il trattamento di infestazioni
protozoarie, infezioni da anaerobi, gastriti da Helicobacter
e stati di encefalopatia epatica. Effetti secondari si manifestano a livello gastrointestinale e nervoso (atassia, convulsioni, letargia, disorientamento, debolezza, tremori, nistagmo, amaurosi), sia in seguito alla somministrazione di alte
dosi (2-4 volte la dose massima) per pochi giorni, sia in caso di trattamenti prolungati. I sintomi sono probabilmente
dovuti al blocco della sintesi proteica con conseguente degenerazione neuronale. Di solito la sintomatologia è reversibile sospendendo la terapia e aiutando sintomaticamente
l’animale.
L’ipovitaminosi B1 (deficit di tiamina) è causa di alterazioni gravi principalmente nel metabolismo glucidico,
ma anche in quello lipidico e proteico. Nel gatto si riscontrano quadri di carenza di tiamina dovuti a una dieta ricca
di tiaminasi (pesce crudo o lunghe terapie antibiotiche che
selezionano una flora batterica produttrice di tale enzima),
o per incorretta preparazione di mangimi commerciali (di-
NOTE
35
NOTE
36
struzione da calore). La sintomatologia neurologica, accompagnata talvolta da segni aspecifici quali inappetenza e
perdita di peso, consistono in una debolezza generalizzata,
ventroflessione marcata del capo, andatura barcollante,
sintomi vestibolari, cecità, midriasi inalterata dalla stimolazione luminosa, a volte convulsioni. La diagnosi di carenza di tiamina è difficile, per la difficoltà pratica di trovare un laboratorio che misuri i livelli serici di tiamina (nel
gatto: 32 µg / 100 ml), della transchetolasi eritrocitaria o
del pirofosfato. Vista la facilità con cui viene eliminato un
eventuale eccesso, si consiglia di somministrare sempre da
25 a 50 mg giornalieri di vit. B1 a tutti i gatti in cui si sospetta una carenza.
L’approccio diagnostico al paziente sospettato di essere
portatore di neoplasia dipende principalmente dalla localizzazione della lesione. In generale va ricordato che uno
studio radiografico del torace deve precedere qualsiasi altro esame collaterale in un animale con sospetto di neoplasia del SN. Il reperimento di metastasi rende la prognosi
infausta. Nel gatto le neoplasie più frequenti sono i meningiomi, solitamente ben incapsualti. Se localizzati al ponte
possono essere causa di S. V. Meningiomi cerebellari possono essere responsabili di sindromi vestibolari paradosse.
Classicamente, una neoplasia determina una sintomatologia cronica e progressiva. Nel SNC, non raramente, l’esordio è acuto o subacuto quando il suo sviluppo determina
improvvise variazioni della pressione intracranica o coinvoge centri di vitale importanza. La diagnosi di tumore intracranico viene conseguita tramite l’effettuazione di una
TAC o di una RMN. I meningiomi solitamente captano facilmente contrasto sia alla TAC che alla RMN. I potenziali
evocati del tronco encefalico (BAER) possono essere utili
in caso di neoplasie del ponte. L’asportazione chirurgica è
condizionata dalla posizione e dalla dimensione del tumore: in generale la fossa posteriore è di difficile approccio.
La prognosi di sopravvivenza a lungo termine nei gatti
operati di meningioma intracranico è buona. Linfomi del
ponte possono avere comportamenti simili, ma prognosi
peggiore.
La sindrome vestibolare idiopatica si può manifestare
a qualsiasi età: non sembra quindi essere legata alla senilità come nel cane (sindrome vestibolare geriatrica). Inoltre, in Europa non presenta alcun collegamento con la stagione dell’anno, come invece si verifica negli Stati Uniti
(tarda estate o inizio dell’autunno). Un danno vascolare a
livello di orecchio interno è la causa più sospettata. Il coinvolgimento del solo orecchio interno è confermato dall’assenza di altri sintomi che accompagnano i processi patologici della bolla (paresi del nervo facciale e sindrome di
Horner). L’andamento è benigno è si risolve in pochi giorni senza necessità di terapie (il che avvalora l’ipotesi vascolare), anche se atassia ed head tilt possono essere sequele permanenti.
L’otite interna è probabilmente la causa più frequente
di S. V. periferica. Si parla comunemente di otiti medie-interne sia perché quasi sempre lo stato infiammatorio a livello di orecchio interno è dovuto all’estensione di una flogosi della bolla timpanica, sia perché tutti gli sforzi diagnostici sono orientati verso la dimostrazione dell’otite
media, essendo impossibile valutare direttamente le strutture dell’orecchio interno. A sua volta, l’otite media è generalmente un’estensione di una flogosi del condotto uditivo esterno, ma nel gatto non è infrequente il passaggio dello stato infiammatorio dalla faringe attraverso la tuba di
Eustachio. Il primo e più importante passo nell’iter diagnostico è l’esame otoscopico del condotto uditivo esterno e
della membrana timpanica. L’anestesia generale è necessaria per esaminare correttamente il segmento terminale, disposto orizzontalmente, e conseguentemente la membrana
timpanica. L’esame permette di valutare la presenza di corpi estranei, che potrebbero sia essere i responsabili
dell’head tilt, simulando così una sindrome vestibolare, sia
veicolare agenti infettivi. Un abbondante lavaggio permette di visualizzare bene le strutture e costituisce la prima,
fondamentale, tappa della terapia, in quanto permette la rimozione di una cospicua quantità di agenti patogeni. A
questo punto è possibile visualizzare la membrana del timpano e valutarne l’integrità, la trasparenza e la vascolarizzazione, spesso compromesse dal processo infiammatorio.
Nei casi in cui non esistano segni di otite esterna, la semitrasparenza della membrana timpanica permette di ipotizzare un otite media, qualora si intravedano essudati al di là
di essa. In molti casi, inoltre, gli stessi essudati e i cambiamenti di pressione nella bolla provocano un’inversione della convessità del timpano, che tende a protrudere verso
l’esterno. Se la membrana timpanica è rotta si può prelevare direttamente un campione di essudato per esami citologici diretti e colture. Se è integra, il sospetto di un’otite
media può essere confermato tramite miringotomia. La
presenza di un’otite media può essere indagata tramite uno
NOTE
37
NOTE
38
studio radiografico delle bolle timpaniche, anche questo da
effettuare in anestesia per un corretto posizionamento
dell’animale. È consigliabile effettuare quattro proiezioni:
laterale obliqua destra, laterale obliqua sinistra, ventrodorsale e rostrocaudale a bocca aperta. Nel gatto è pratica una
proiezione frontale con il capo inclinato di 10-20° rispetto
alla perpendicolare. Se è presente un accumulo di materiale infiammatorio, la bolla affetta presenterà una minore radiotrasparenza; segni di inspessimento delle pareti sono visibili nelle forme croniche. Ancora maggiori informazioni
sono ottenibili dalla tomografia assiale computerizzata e
dalla risonanza magnetica. I potenziali evocati uditivi
(BAEP) possono essere utili nella diagnosi delle otiti interne. Tracciati anormali caratteristici vengono registrati in
presenza di lesioni dei recettori cocleari periferici.
I polipi della bolla timpanica sono una causa non infrequente di sindrome vestibolare periferica nel gatto. La sintomatologia è dovuta alla compressione delle strutture vestibolari dell’orecchio interno da parte del tumore. Il polipo può estendersi dall’orecchio medio verso il nasofaringe
attraverso la tuba di Eustachio o verso il canale uditivo
esterno. La massa è spesso visibile con l’esame otoscopico
e radiograficamente e deve essere differenziata da altre
neoplasie, spesso maligne, tramite esame citologico o
bioptico. L’asportazione chirurgica del polipo è la terapia
di scelta nella maggior parte dei casi.
Le S. V. congenite sono state descritte nel gatto Siamese e Burmese. Possono essere associate a sordità e, anche
se congenite, possono manifestarsi dopo varie settimane
dalla nascita. La giovane età permette a volte una buona
compensazione della sintomatologia durante la crescita.
Farmaci ototossici (aminoglicosidi, prodotti topici per
l’orecchio esterno) possono essere raramente causa di S. V.
periferica.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Marco Bernardini
Med Vet, Dipl ECVN
Libero professionista
Bologna
Atassia e paraparesi nel gatto
Ataxia and paraparesis in cats
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 17.15
39
NOTE
Atassia e paraparesi si manifestano con una certa frequenza nella clinica neurologica del gatto. Con il termine
paraparesi si indica un deficit puramente motorio localizzato ad entrambe le estremità posteriori. La perdita totale
della funzione motoria si definisce paraplegia L’atassia è
un’incoordinazione nel movimento, dovuto a deficit sensoriali, che può coinvolgere solo le estremità posteriori. Queste due condizioni possono comparire disgiunte (paresi
senza atassia o atassia senza paresi), ma nella maggior parte dei quadri neurologici, che coinvolgono solo gli arti posteriori, sono associate fra di loro. Riuscire a definire con
esattezza se sono entrambi presenti o meno sarebbe importante per localizzare con precisione, da un punto di vista
funzionale, la lesione e per stilare una buona diagnosi differenziale. Purtroppo, molto spesso le alterazioni della
marcia sono così gravi che è difficile distinguere con certezza le due componenti.
Un approfondito esame clinico generale deve essere
compiuto all’inizio della visita, per rilevare eventuali problemi extraneurologici che possono aiutare nella diagnosi
finale. La stessa patologia che sta causando il problema
neurologico può coinvolgere anche altri apparati (occhio,
cute, sistema linfatico, ecc.).
L’esame neurologico deve essere completo, anche se,
fin dal primo approccio all’animale, la patologia sembra localizzata esclusivamente al treno posteriore. Al loro esordio, patologie intracraniche o cervicali possono manifestarsi unicamente con deficit degli arti posteriori, per cui un
esame delle reazioni e dei riflessi cranici e la valutazione
delle reazioni posturali degli arti anteriori sono importanti
per svelare deficit a prima vista non apparenti. Al contrario,
a volte le alterazioni della postura e dell’andatura nel bipede posteriore sono così marcate da condizionare il movimento degli arti anteriori in un tentativo di compensazione,
per cui si tende a localizzare la lesione troppo anteriormente o a considerare diffusa una patologia localizzata.
Una volta accertato che solo gli arti posteriori sono
coinvolti, le possibili localizzazioni della patologia sono in
teoria solo tre:
1. segmenti midollari T3-L3;
2. segmenti midollari L4-S3;
3. nervi periferici.
Una lesione localizzata ai segmenti midollari T3-L3 è
caratterizzata da chiari deficit nelle reazioni posturali degli
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arti posteriori: in particolar modo risulta coinvolto il posizionamento propriocettivo. La paraparesi è di tipo spastico,
per cui l’andatura, quando è possibile, denota una rigidità
degli arti posteriori. L’atassia è di solito ben evidente. Esiste una normo-/iperriflessia a livello di arti posteriori, che
può a volte essere confusa con una iporiflessia se la spasticità muscolare è elevata. Il riflesso pannicolare può aiutare
nel tentativo di localizzare meglio la lesione in questo tratto di midollo, ma nel gatto non è sempre facilmente evocabile. Se la lesione è grave, con impossibilità alla deambulazione, e la patologia è insorta da almeno un mese, si può
notare un’atrofia da disuso. Specialmente nei maschi, una
lesione a questo livello può essere responsabile di ritenzione urinaria per spasticità dello sfintere vescicale: questa
evenienza deve essere distinta dalle patologie ostruttive
delle vie urinarie.
Una lesione localizzata ai segmenti midollari L4-S3 è
caratterizzata da chiari deficit nelle reazioni posturali degli
arti posteriori: in particolar modo risulta coinvolto il posizionamento propriocettivo. La paraparesi è di tipo flaccido,
per cui l’andatura, quando è possibile, denota una debolezza del treno posteriore. Il gatto tende a sedersi appena può
e la coda viene tenuta tendenzialmente flaccida, perdendo i
caratteristici movimenti su base comportamentale. L’atassia non è ben evidente, perché è spesso mascherata dalla
debolezza. Esiste una ipo-/ariflessia a livello di arti posteriori, che cominciano a presentare, dopo pochi giorni
dall’esordio della patologia, una atrofia più o meno evidente a seconda del grado di coinvolgimento del motoneurone
inferiore (atrofia neurogenica). Il riflesso pannicolare è raramente utile, ma a volte può essere significativa una sua
scomparsa a livello L4-L5. Il coinvolgimento dei segmenti
sacrali può essere responsabile di incontinenza urinaria e
ipo-/ariflessia dello sfintere anale. Raramente però l’ano si
presenta beante. Un coinvolgimento della parte più craniale dell’intumescenza lombare (L4-L7) può causare ritenzione urinaria.
Una lesione localizzata ai nervi periferici non provoca
solitamente chiari deficit nelle reazioni posturali degli arti
posteriori: il posizionamento propriocettivo è spesso normale. Alterazioni significative si possono evidenziare con
la prova del saltellamento e della forza posturale estensoria. La paraparesi è di tipo flaccido, ma molto difficilmente
così grave da impedire l’andatura, che può essere caratterizzata da difficoltà o impossibilità a sollevare il tarso e il
NOTE
41
NOTE
42
metatarso dal terreno (andatura da plantigrado). Il gatto
tende a sedersi appena può. L’atassia è praticamente assente e la debolezza costituisce il sintomo nettamente più evidente. Si manifesta di solito una iporiflessia degli arti posteriori, ma raramente si arriva all’ariflessia. L’atrofia neurogenica non è solitamente così evidente come nelle lesioni dell’intumescenza lombare. Se i nervi periferici sono interessati dalla lesione nella loro porzione più prossimale,
all’interno del canale vertebrale, la sintomatologia è sovrapponibile a quella vista precedentemente a proposito
del coinvolgimento dell’intumescenza lombare caudale
(incontinenza urinaria, ipo-/ariflessia anale, coda flaccida,
ridotta o assente sensibilità della coda e della regione perianale). Se la lesione è più periferica, la coda non mostra
alterazioni neurologiche e la minzione è normale.
Una volta localizzata la lesione, si procede con la diagnosi differenziale. Ai fini pratici, anche se si sono definite tre possibili localizzazioni, si possono elencare due diagnosi differenziali differenti, a seconda che la lesione interessi il midollo spinale (SNC) o i nervi periferici (SNP).
L’embolismo fibrocartilagineo è eccezionale nel gatto
e riconosce le stesse caratteristiche riscontrabili nel cane.
La sintomatologia è invariabilmente iperacuta e generalmente monolaterale. Il dolore è presente solo nelle prime
ore. La diagnosi è basata sulla sintomatologia e sull’esclusione di altre patologie tramite mielografia (normale) ed
esame del liquido cefalorachidiano (normale o con aspecifico aumento della componente proteica e/o presenza di
eritrociti). La gravità dipende soprattutto dalla localizzazione: la prognosi è infatti generalmente favorevole se la
patologia interessa il tratto tra le due intumescenze, mentre
è spesso infausta se si localizza a livello di intumescenza
lombare.
La peritonite infettiva felina è la causa di infiammazione del SNC più comune nel gatto. Generalmente c’è interessamento delle strutture intracraniche (principalmente
sistema vestibolare e/o cervelletto), ma possono verificarsi
anche semplici mieliti. Per ulteriori nozioni sopra la FIP, la
criptococcosi e la ta toxoplasmosi, si rimanda agli atti sui
problemi dell’equilibrio.
Fratture e lussazioni sono frequenti cause di paraparesi, spesso conseguenti ad investimenti automobilistici, più
raramente cadute, morsi di cani o proiettili. I traumi devono essere sempre sospettati in gatti liberi di uscire e con
esordio acuto di paraparesi o paraplegia. Nel gatto non si
Localizzazione al midollo spinale T3-S3
V
I
Vascolari
Infiammatorie
T
Traumi
A
Anomalie cong.
M
I
N
Metaboliche
Idiopatiche
Neoplastiche
D
Degenerative
NOTE
Embolismo fibrocartilagineo
FIP
Criptococcosi
Toxoplasmosi
Discospondiliti
Fratture
Lussazioni
Meningo(mielo)cele
Idro/siringomielia
Linfoma
Meningioma
Metastasi
Estrusioni discali
Cisti aracnoidea
Localizzazione ai nervi periferici
V
I
T
Vascolari
Infiammatorie
Traumi
A
M
I
N
Anomalie cong.
Metaboliche
Idiopatiche
Neoplastiche
D
Degenerative
Neuropatia ischemica
Toxoplasmosi
Fratture del bacino
Lussazioni sacroiliache
Diabete mellito
PNST
Linfoma
riscontra solitamente la varietà di sintomatologie registrabili nel cane, ma si assiste a quadri con sintomatologia lieve o gravissima. La palpazione della zona affetta dalla lesione provoca intenso dolore. La diagnosi è radiografica:
normali radiografie permettono a volte di emettere una
prognosi infausta (scomparsa o notevole riduzione del canale vertebrale), ma spesso si deve ricorrere alla mielografia per avere un quadro preciso della situazione. La gravità
di una lesione vertebrale deve essere sempre valutata in ba43
NOTE
44
se alla sintomatologia e alla localizzazione. Una particolare cura va rivolta ad evitare peggioramenti del quadro clinico durante le manualità diagnostiche.
Il meningo(mielo)cele è una patologia congenita che
consiste nella fuoriuscita delle meningi (ed eventualmente
di parenchima nervoso) attraverso un’apertura dell’arco
vertebrale (spina bifida). Patologia rarissima, deve essere
sospettata in giovani gatti di razza Manx con deficit lombosacrali. La diagnosi è radiografica. Altre rarissime patologie congenite od acquisite sono l’idromielia (aumento di
diametro del canale midollare) e la siringomielia (cavità
neoformata all’interno del midollo, ripiena di LCR). Tali
patologie, essendo solo sospettabili o accidentalmente diagnosticabili con l’indagine radiologica, richiedono un’indagine tramite risonanza magnetica (RMN) per una diagnosi definitiva.
Una prima suddivisione delle neoplasie del midollo
spinale è basata sulla loro localizzazione: si distinguono
tumori extradurali, intradurali-extramidollari e intramidollari. Tra i tumori extradurali si annoverano i tumori metastatici e le neoformazioni che si sviluppano a carico delle
strutture che circondano il rivestimento durale: osteosarcomi, fibrosarcomi, condrosarcomi, osteocondromi, liposarcomi, angiolipomi, emangiosarcomi, linfomi. I tumori intradurali-extramidollari comprendono le neoplasie dei
nervi periferici che si sviluppano a livello di radice e i menigiomi, meno frequenti rispetto alla localizzazione intracranica. Questi ultimi sono, nel gatto, i tumori del midollo
spinale più frequenti, escludendo quelli di origine linfoide.
I tumori intramidollari sono i più rari e la loro immagine
mielografica può essere confusa con altre cause di aumento del diametro del midollo spinale (edema): vengono riportati astrocitomi, oligodendrogliomi, ependimomi, linfomi e tumori metastatici. Di solito non causano dolore. Nel
gatto i linfomi suscitano particolare interesse. È stato stimato che circa il 12% dei casi di linfoma coinvolgano il
SNC, quasi sempre a livello di midollo spinale, che viene
colpito salvo rare eccezioni in un solo punto nel tratto toracolombare. La maggior parte di questi animali sono giovani (2-4 anni), e FeLV positivi. L’esame del LCR è utile nelle forme intradurali, mentre risulta negativo in caso di masse epidurali.
Per la diagnosi dei tumori midollari, l’esame radiografico con mezzo di contrasto è ancora considerato il più affidabile. Esami più avanzati quali la TAC e la RMN possono
essere utili in un secondo momento, ma spesso le ridotte
dimensioni degli organi esplorati vanificano l’utilizzo di
questi metodi di indagine. L’esame del LCR non presenta
le stesse controindicazioni esistenti per le neoplasie intracraniche, per cui va sempre effettuato, anche se le possibilità diagnostiche sono limitate.
Le estrusioni discali sono eventi rarissimi nel gatto,
quando non riconoscono un’eziologia traumatica. Raramente acute come esordio, più spesso sono croniche e progressive in zone di instabilità vertebrale di lunga durata e
in soggetti sovrappeso. Metodi diagnostici (mielografia) e
protocolli terapeutici (antinfiammatori e chirurgia decompressiva) sono sovrapponibili a quelli impiegati nel cane.
Alcuni casi di cisti aracnoidea sono stati descritti nel
gatto. La definizione di “cisti aracnoidea” è fuorviante. Si
tratta in realtà di una depressione del midollo spinale in cui
si accumula liquor, per cui sarebbe forse più corretto parlare generalmente di “aumento focale dello spazio subaracnoideo”. La sintomatologia è cronica focale e di solito non
causa dolore. Persistono dubbi sull’eziologia vascolare,
traumatica o infiammatoria. La diagnosi si ottiene tramite
mielografia o RMN. L’apertura della cisti, abbassando la
pressione locale, può portare a benefici.
Altra patologia molto rara nel gatto è la
discospondilite, caratterizzata da dolore spinale con deficit neurologici assenti o minimi. Di solito la localizzazione
discale del focolaio settico consegue ad una transitria setticemia in partenza da altri organi (pelle, apparato urinario,
cuore, cavo orale, ecc.). La diagnosi è radiografica.
Patologia frequente nel gatto, la neuropatia ischemica
(tromboembolismo ilio-aortico) colpisce per lo più gatti
anziani maschi. Cardiomiopatie possono dare origine a
trombi che possono embolizzare fino a localizzarsi
nell’aorta caudale, a livello della biforcazione delle arterie
iliache. Nella maggior parte dei casi è possibile riscontrare
alla visita clinica sintomi riferibili ad una cardiomiopatia.
L’esame neurologico evidenzia paresi non ambulatoria o
più spesso paralisi degli arti posteriori, che risultano freddi
alla palpazione e spesso in iperestensione. Il polso femorale non è percettibile o si presenta flebile. L’animale può
evidenziare assenza di sensibilità algica negli arti posteriori o, al contrario, notevole dolorabilità alla palpazione. La
rimozione chirurgica dell’embolo non è consigliata sia perché quasi sempre si ha la possibilità di intervenire troppo
tardivamente (> 8 ore), sia per la concomitante cardiomio-
NOTE
45
NOTE
46
patia, sia infine per la frequeste presenza di una coagulazione intravasale disseminata. Può essere indicato l’uso di
antiaggreganti piastrinici.
Fratture del bacino e soprattutto lussazioni sacroiliache da investimenti possono coinvolgere uno o entrambi i
nervi sciatici nel loro tratto prossimale. La diagnosi è ancora ua volta radiografica, mentre la terapia può essere
conservativa o chirurgica.
Il diabete mellito può causare un’assonopatia con secondaria demielinizzazione. Andrebbe quindi annoverato
tra le cause di debolezza generalizzata, se nel gatto non si
riscontrasse spesso come unico segno clinico un’incapacità
a sollevare il tarso dal terreno (atteggiamento da plantigrado) durante la stazione e l’andatura.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Andrea Boari
Med Vet
Dipartimento delle Scienze Veterinarie
e Agroalimentari
Sezione di Medicina Interna
Università degli Studi di Teramo - Italy
Giovanni Aste
Dipartimento delle Scienze Veterinarie
e Agroalimentari
Sezione di Medicina Interna
Università degli Studi di Teramo - Italy
Complicazioni legate al diabete
e al suo trattamento
Complications caused by diabetes
and by its treatment
Sabato, 29 settembre 2001, ore 17.15
47
NOTE
Il diabete mellito nel gatto è un’endocrinopatia di frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana che presenta una caratteristica e peculiare origine multifattoriale.
Al contrario di quanto accade nel cane dove il DM (diabete
mellito) risulta prevalentemente di I tipo e comunque correlato ad una carenza assoluta d’insulina, nel gatto è stato
dimostrato che la malattia diabetica è condizionata da diversi fattori che possono agire in diverso sinergismo tra loro (Tabella 1).
Infatti, accanto ad una forma di diabete mellito non
complicato, nella quale possono essere raggruppati vari
stati clinici della malattia diabetica caratterizzati da assenza di chetonuria, osmolarità sierica <340 mOsm/L, da assente o lieve acidosi e da interventi terapeutici limitati al
controllo della glicemia, è possibile, distinguere una forma
di malattia diabetica complicata. In quest ultima forma, il
quadro clinico della malattia è reso complesso dalla presenza di molteplici fattori, spesso coinvolti nello sviluppo
stesso del diabete e responsabili della precipitazione delle
condizioni cliniche. Le complicazioni del DM possono essere così raggruppate: A) Malattie e stati morbosi associati
a DM: sono rappresentate varie forme morbose che possono venir implicate sia nella genesi sia nell’aggravamento
delle stato clinico-metabolico; B) Complicazioni legate al-
Tabella 1
Fattori predisponenti il DM nel gatto
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Età
Sesso
Obesità
Iperlipidemia (?)
Sedentarietà
Pancreatite/neoplasia pancreatica
Infezioni (UTI, stomatite)
Insufficienza renale
Insufficienza epatica
Malattie epatiche (lipidosi,colangioepatite)
Malattie infiammatorie intestinale ed altri disordini
di natura infiammatoria
Ipertiroidismo
Iperadrenocorticismo
Acromegalia
Farmaci (glicocorticoidi, megestrolo acetato)
la fase iniziale del trattamento ed al periodo che lo precede: comprende gli squilibri elettrolitici caratteristici della
condizione che precede e segue l’intervento terapeutico,
l’ipoglicemia e le complicanze organico-metaboliche legate alla persistente iperglicemia; C) L’insulino-resistenza:
fenomeno complesso e multifattoriale che viene coinvolto
nei meccanismi patogenetici di molte forme complicate di
DM, e, al contempo, ne rappresenta una complicazione
piuttosto comune; D) Emergenze diabetologiche: vengono
considerate l’overdose insulinica, la chetoacidosi, il coma
iperosmolare non-chetosico per le quali è necessario l’immediato intervento terapeutico; E) Complicazioni a lungo
termine: comprende neuropatie, retinopatie, vascolopatie,
che pur essendo ampiamente documentate in medicina
umana, lo sono solo raramente in medicina felina.
NOTE
MALATTIE ASSOCIATE A DM
Nel gatto sono numerose le patologie che possono essere implicate sia nella genesi del Diabete Mellito (DM) che
nel peggioramento dello stato clinico e nello sviluppo
dell’insulino-resistenza (Tabella 2). Tra le varie malattie
associate al DM, in medicina felina, assumono un’importanza particolare per il loro frequente riscontro nella pratica clinica, le infezioni del tratto urinario e della cavità buccale, la lipidosi epatica, la colangioepatite, l’insufficienza
renale cronica, la pancreatite, le malattie infiammatorie
croniche intestinali, la somministrazione di farmaci (cortisonici, progestinici) e l’ipertiroidismo. Vista l’estrema varietà delle possibili patologie associate a DM, la raccolta di
Tabella 2
Principali malattie associate a DM nel gatto
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Pancreatite/neoplasia pancreatica
Infezioni (UTI, stomatite)
Insufficienza renale
Malattie epatiche (lipidosi,colangioepatite)
Malattie infiammatorie intestinale ed altri disordini
di natura infiammatoria
• Ipertiroidismo
• Iperadrenocorticismo
• Acromegalia
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NOTE
un’anamnesi completa, un esame clinico accurato, l’effettuazione di appropriati test clinico-patologici (profilo completo emato-biochimico e urinario comprensivo di urinocoltura, T4 basale, TLI felino, acidi biliari pre-e-postprandiali) nonché di rilievi radiografici ed ecografici, sono di
estrema utilità per un’efficace ricerca dei possibili fattori
precipitanti.
DIAGNOSI DELLE MALATTIE
ASSOCIATE A DM
Insufficienza Renale. Un quadro compatibile con forme di insufficienza renale può essere definito dall’incremento della creatinina sierica (forme lievi <2,5mg/dL, stati
più gravi se >3mg/dL), della BUN, e da un peso specifico
urinario <1035, valore compatibile con una scarsa capacità
di concentrare le urine. Analogo comportamento si può riscontrare anche in corso di diuresi osmotica, d’ipokalemia
cronica, di grave disidratazione. Per una maggior accuratezza nella diagnosi è consigliabile ripetere la determinazione dei valori di funzionalità renale dopo il trattamento
dello stato diabetico.
Infezioni. Similmente a ciò che accade in Medicina
Umana, la presenza di leucocitosi può associarsi a stati di
stress, disidratazione, ad infezioni o alla presenza in elevate concentrazioni sieriche di corpi chetonici. Il Diabete
Mellito è una condizione che riduce la resistenza all’infezioni, causando una accumulo di glucosio extracellulare,
alterando la fagocitosi ed il microcircolo (Cristopher,
1995). Una leucocitosi con marcato spostamento a sinistra
può svilupparsi, ancora, in seguito ad acidosi ed ad ipertonicità plasmatici (Siperstein, 1992).
Ipertiroidismo. La determinazione del T4 sierico è di
uso comune nella diagnosi dell’ipertiroidismo felino, anche se la prevalenza di questa endocrinopatia nelle forme
secondarie di diabete mellito è piuttosto bassa (Peterson,
1983). In uno studio multicentrico (in corso di pubblicazione) condotto dagli Autori solo 1 gatto su 35 soggeti affetti da DM è risultato portatore d’ipertiroidismo. L’ipertiroidismo causa insulino-resistenza agendo sia sulla secrezione di insulina che sul metabolismo del glucosio: il trattamento di questa patologia comporta la diminuzione della
richiesta giornaliera d’insulina ed un miglioramento dello
stato diabetico.
50
L’iperadrenocorticismo. Nel gatto è una patologia non
comune che riconosce due principali forme: l’iperadrenocorticismo iatrogeno da somministrazione di glicocorticoidi esogeni e l’iperadrenocorticismo pituitario-dipendente
(PDH) solitamente associato ad adenoma ipofisario. I principali segni clinici sono rappresentati da debolezza muscolare, addome pendulo, epatomegalia, alopecia, PU/PD e
polifagia. Altri sintomi sono dati da alopecia a livello del
tronco o nella porzione ventrale dell’addome ed assottigliamento della cute. Secondo Peterson et al., (1995), più
del 80% dei gatti affetti da iperadrenocorticismo sviluppano una forma di diabete mellito di tipo transitorio. L’insulino-resistenza e gli effetti diabetogeni da eccesso di glicocorticoidi sono i meccanismi patogenetici maggiormente
imputati. L’approccio diagnostico si basa sulla combinazione di diverse prove: il test di stimolazione-ACTH, il test
di soppressione con desametasone, a basso (0,01mg/kg) e
ad alto dosaggio (0,1 mg/kg). L’affidabilità clinica di questi test è, secondo l’opinioni di Moore et al., (2000), poco
convincente, per la diversa sensibilità della specie felina rispetto a quella canina all’eccesso di glicocorticoidi esogeni
(risposta alla stimolazione ACTH fornisce una risposta
esagerata in una percentuale che va dal 33%-75% gatti affetti da iperadrenocorticismo, mentre il test di soppressione a basso dosaggio condotto su gatti normali non ha portato a nessuna risposta o a risposte temporanee poco interpretabili). Altri procedimenti diagnostici indicati in letteratura, sono rappresentati dalla determinazione plasmatica
dell’ ACTH e dalle tecniche di diagnostica per immagini.
Infatti, l’impiego dell’ecografia nella misurazione delle dimensioni delle ghiandole surrenali rappresenta un strumento diagnostico di estrema utilità nella determinazione
di PDH (aumento bilaterale delle dimensioni delle ghiandole surrenale senza modificazione della forma) e nella
diagnosi differenziale tra iperadrenocorticismo pituitario e
surrenalico.
Il trattamento di scelta del PDH nel gatto è prevalentemente chirurgico (adrenalectomia bilaterale) (Elliott et al.,
2000).
Acromegalia. L’acromegalia è rappresentata dall’ipersecrezione cronica di GH (growth hormone) ed è caratterizzata dalla crescita esuberante del tessuto connettivo, del
tessuto osseo e dei visceri (fegato, reni, cuore). L’acromegalia è un’importante causa di insulino-resistenza dovuta
all’attività diabetogena dell’ormone della crescita (diminu-
NOTE
51
NOTE
zione del numero dei recettori dell’insulina, deficit post-recettoriali). Diversamente a quanto succede nel cane, il progesterone nella specie felina non ha alcuna attività ipersecretoria nei confronti del GH, per cui la causa predominante di acromegalia nel gatto è rappresentata dal tumore GHsecernente a carico dell’ipofisi. I principali strumenti diagnostici sono rappresentati dalla valutazione della concentrazione di IGF-1 in circolo e dall’applicazione delle tecniche di diagnostica per immagini (Tac e risonanza magnetica). Entrambe i tipi di indagini collaterali sono disponibili
in centri di ricerca specializzati.
COMPLICAZIONI LEGATE AGLI STADI
INIZIALI DALLA DIAGNOSI DI MALATTIA
E AL TRATTAMENTO
L’esame clinico del paziente diabetico, al momento della prima visita, offre a considerare alcune frequenti complicazioni: una disidratazione di solito di grado moderatograve (dal 7% al 12%), uno stato di acidosi metabolica
(TCO2< 15mEq/L), ed un aumento della osmolalità plasmatica (>330mOsm/kg). Non è inoltre infrequente rilevare, in alcune casi di DM, delle complicazioni ematologiche: forme lievi di anemia normocromica e falsamente macrocitica, forme più rare e gravi di anemia arigenerativa, ed
alterazione morfologiche e metaboliche a carico degli eritrociti, leucociti, piastrine, delle proteine plasmatiche, accompagnati da anormalità dell’emostasi.
L’osmolalità sierica nei soggetti affetti da diabete mellito risulta frequentemente aumentata, (da 322-337 mOsm/L fino a 350mOsm/L). Il valore effettivo della tonicità
sierica viene convenzionalmente calcolato attraverso una
semplice formula: 2(Na+ + K+) + glucosio/18 + BUN/2.8
che prende in considerazione le principali sostanze osmoticamente attive, responsabili cioè del passaggio di acqua
dalla cellula e dallo spazio interstiziale al compartimento
vascolare, che possono fornire una maggiore stima del grado di disidratazione. In questo senso un grado di osmolalità maggiore a 330mOsm/L può essere senza alcun dubbio
associato ad un grave stato di disidratazione. Le più frequenti forme cliniche di diabete mellito associate ad iperosmolarità sono rappresentate dalle varianti non-chetosiche
(osmolalità compresa tra 330-340mOsm/L, assenza di corpi chetonici nelle urine, con o senza la concomitante pre52
senza di uno stato di acidosi), seguite dalla Chetoacidosi e
dalla Sindrome Iperosmolare non-Chetosica (osmolarità
>340 mOsm/L, acidosi, chetonuria minima o assente). Se
da una parte la chetoacidosi senza un significativo aumento
della osmolalità può indicare l’assenza totale di insulina,
dall’altra la presenza di una sindrome iperosmolare nonchetosica può essere una caratteristica dei pazienti affetti
da diabete non insulino-dipendente. In questo modo i diversi quadri clinici del diabete mellito possono essere considerati come aspetti estremi della stessa malattia (Nichols
et al., 1995).
L’acidosi in corso di diabete mellito presenta un range
compreso tra i valori di PCO2 di 12,5-18 mEq/L nel gatto
(Crenshaw et al., 1996) ed ha effetti diretti sulla vasodilatazione periferica e sulla diminuzione della contrattilità
cardiaca.
Il trattamento di queste alterazioni dello stadio iniziale
di DM si basa fondamentalmente su di una corretta fluidoterapia, mirata al ripristino di una normale idratazione
ed alla correzione dello stato acidotico. Per il calcolo della richiesta dei fluidi si può seguire le indicazione a carattere generale riportate da vari testi sull’argomento. Circa
l’80% del volume di reidratazione viene somministrato
nelle prime 8-10 ore dall’inizio del trattamento e vengono usate varie soluzioni cristalloidi: la soluzione fisiologica viene impiegata in corso di chetoacidosi diabetica e
nelle forme iperosmolari ad una diversa percentuale di
NaCl in base alla relativa concentrazione sierica (0,9%
NaCl per[Na + ] <140mEq/L e tra i 140mEq/L ed i
160mEq/L; 0,45% per concentrazioni superiori a
160mEq), Le soluzioni debolmente alcalinizzanti, Ringer
lattato o acetato, sono di solito preferite al bicarbonato di
sodio nelle acidosi di grado lieve o moderato (ph>7,1) a
causa degli svantaggi che la terapia con il bicarbonato
può comportare (sviluppo di ipokalemia, ipofosfatemia,
edema cerebrale, aumento dell’affinità per l’emoglobina
e conseguente ipossia tissutale, acidosi paradossa del liquido cerebrospinale).
NOTE
COMPLICAZIONI EMATOLOGICHE
Le principali alterazioni morfo-funzionali che si riscontrano a carico delle cellule del sangue negli animali affetti
da diabete mellito possono diventare irreversibili con lo
53
NOTE
54
sviluppo delle complicazioni organiche a lungo termine associate a DM, anche se il più delle volte, tornano alla normalità una volta raggiunto il controllo metabolico della
malattia.
I principali meccanismi patogenetici alla base di queste
complicazioni ematologiche sono essenzialmente rappresentati dalla (a) glicosilazione proteica, (b) dal danno ossidativi, (c) dalla contemporanea presenza della chetoacidosi
e da altri meccanismi di minore importanza (bassi livelli di
insulinemia, iperlipidemia, diminuzione della quantità di
glucosamminoglicani).
La glicosilazione proteica è un processo non-enzimatico che avviene in corso di iperglicemia persistente e consiste nel legame fra glucosio e molecole proteiche con conseguente alterazione della struttura e della funzionalità delle stesse. Negli eritrociti, piastrine e cellule endoteliali, la
captazione del glucosio è insulino-dipendente: in corso di
iperglicemia persistente si assiste al riarrangiamento delle
proteine glicate con la formazione dei cosiddetti prodotti
finali della glicosilazione avanzata (ACES), (Brownlee et
al., 1981). Questi ACEs sono legati irreversibilmente e
vengono implicati direttamente nell’insorgenza delle complicanze a lungo termine.
Il danno ossidativo è un altro importante meccanismo
implicato nello sviluppo delle complicazioni legate al diabete mellito che vede l’interazione tra i radicali ossigeno
(es. perossido di idrogeno, anione superossido) e le cellule
lipidiche, proteiche e gli acidi nucleici. Nel diabete mellito
il danno ossidativo risulta sia dall’eccessiva formazione di
radicali ossigeno, sia dal deficit del sistema antiossidante
che induce delle alterazioni che coinvolgono il metabolismo del ferro e dei micronutrienti (per esempio Zn). Inoltre, il legame tra glucosio e proteine e la spontanea autossidazione sono considerati importanti fonti di radicali ossigeno: in questo senso la correlazione con i valori dell’emolobina glicosilata può essere di notevole utilità.
La chetoacidosi può, ancora, contribuire all’instaurarsi
delle complicazioni ematologiche, soprattutto in conseguenza delle alterazioni secondarie che l’accompagnano
(acidosi, squilibrio elettrolitico, insufficienza renale, infezioni). L’eccesso di corpi chetonici può avere un effetto
diretto sulla funzione dei leucociti, contribuire al danno
ossidativo a carico dei globuli rossi, mentre l’acidemia
conseguente può diminuire la capacità di trasporto
dell’ossigeno.
Alterazioni a carico degli eritrociti
NOTE
Le maggiori complicazioni a carico degli eritrociti sono
rappresentate da varie alterazione strutturali e metaboliche. La
glicosilazione dell’emoglobina porta ad un legame molto più
stabile con l’ossigeno, interferendo sui siti di legame del 2,3
DPG (Diglicerolofosfato) e conducendo ad ipossia tissutale,
condizione meno evidente nella chetoacidosi a causa della deplezione del fosfato organico. Numerosi fattori in corso di
DM sono responsabili di una diminuita deformabilità dei globuli rossi che riducendo drasticamente l’emivita eritrocitaria
provoca uno stato di anemia: alterazioni della membrana citoplasmatica e della normale fluidità del citosol, anomalie
dell’attività della proteina Ca-ATPasi (echinocitosi, emolisi) e
della Na-K-ATPasi (squlibrio elettrolitico a carico dei globuli
rossi, aumento della fragilità osmotica), aumento della viscosità intracellulare attraverso la produzione di sorbitolo, iperlipidemia (diminuzione degli acidi grassi polinsaturi di membrana) (Cristopher 1995). Inoltre, forme di anemia caratterizzate da una ridotta attività eritropoietica da alterata risposta
del midollo osseo si sorprendono nelle forme di diabete mellito a lungo decorso, mentre non è infrequente la presenza di un
falso aumento del MCV (Median corpuscolar volume), causato dall’effetto dell’iperosmolalità sugli eritrociti, in seguito alla ridotta attività Na-K-ATPasi, alla presenza eccessiva di corpi che tonici ed alla persistenza dell’iperglicemia.
Alterazione dei leucociti
Le principali alterazioni delle funzioni dei leucociti sono rappresentati da deficit a carico della capacità di adesione, della chemiotassi, della fagocitosi e della attività battericida intracellulare a carico dei neutrofili; dalla diminuzione della risposta proliferativa agli stimoli mutageni ed
dalla riduzione dei markers superficiali di membrana, a carico dei linfociti (cellule B e T). Tali alterazioni sono comunque funzionali e reversibili, e tendono a normalizzarsi
con l’ottenimento di un controllo glicemico adeguato.
Disturbi dell’emostasi
Nel corso di diabete mellito le principali alterazioni
emostatiche sono rappresentate dall’ipercoagulabitità e
55
NOTE
dalla tendenza al tromboembolismo. Tutti gli stadi
dell’emostasi sembrano coinvolti (formazione ed inibizione del trombo, fibrinolisi), compresa la funzionalità delle
piastrine e delle cellule endoteliali. L’iperaggregabilità è la
principale alterazione a carico delle piastrine, ed è causata
principalmente dall’aumentato legame con trombossani e
fibrinogeno e dalla ridotta capacità legante della prostaciclina. Alla base di tutto ciò sarebbero indicate alterazioni
della membrane lipidiche ed un aumentato stress ossidativo che porterebbe inoltre ad una diminuzione dell’emivita
delle stesse ed all’aumento della capacità di adesione
all’endotelio promuovendo i processi della coagulazione.
Complicazione legate al trattamento terapeutico
Le complicazioni legate allo stadio iniziale del trattamento terapeutico sono rappresentate essenzialmente
dall’ipoglicemia, dall’ipokalemia e dall’ipofosfatemia.
L’ipoglicemia rappresenta la più grave complicanza
della terapia insulinica, ed è un evento non-infrequente nel
trattamento del diabete mellito insulino-dipendente. I principali fattori di rischio associabili a questa complicazione,
escludendo l’overdose di insulina, sono rappresentati dal
controllo troppo “stretto” della glicemia (es. range 60120mg/dL), concomitanti malattie epatiche o renali, febbre, anoressia. La maggior parte degli episodi di ipoglicemia nel gatto decorrono in maniera asintomatica anche se
la gravità dei segni clinici è in diretta relazione al grado,
alla durata alla velocità con cui s’instaura l’ipoglicemia.
La sintomatologia è dominantemente di tipo neurologico
ed è caratterizzata da: incoordinazione dei movimenti, debolezza generalizzata, cambiamenti del carattere, convulsioni e coma; mentre brividi, tremori, tachicardia, vomito,
debolezza, senso di fame e nervosismo, si possono presentare in relazione all’attivazione del sistema nervoso autonomo. Nel gatto, episodi più o meno frequenti di ipoglicemia sono spesso segnalati nelle forme di diabete mellito
transitorio. Questa forma di diabete è caratterizzata dal ripristino dello stato euglicemico e della produzione d’insulina dopo settimane, mesi o addirittura anni di terapia insulinica (Nelson et al., 1999) ed appare connessa al fenomeno della “tossicità al glucosio” (“down regulation” dei
meccanismo di trasporto del glucosio e della capacità secretoria delle Beta-cellule).
56
La correzione dello stato ipoglicemico, nelle prime fasi
(soprattutto nelle prime 6-8 ore) ed in soggetti ospedalizzati, consiste nel mantenere i valori di glicemia su una soglia non inferiore a 200mg/dL, attraverso la somministrazione di basse dosi di insulina (0,2-0,3 UI/Kg), il frequente monitoraggio glicemico (almeno ogni 6 ore, idealmente
ogni 3) e la supplementazione con glucosio delle soluzioni impiegate nella fluidoterapia (Ringer lattato). Nelle forme di diabete transitorio, inoltre, la prevenzione delle crisi
ipoglicemiche è affidata al monitoraggio a lungo termine
dello stato diabetico basato sulla determinazione delle
fruttosamine, sul monitoraggio glicemico seriale, ogni 23settimane, e sull’esame delle urine. Nella maggior parte
delle forme sintomatiche d’ipoglicemia la somministrazione di sostanze zuccherine ad elevata concentrazione di
glucosio (per esempio miele, soluzioni di glucosio…) per
bocca o semplicemente applicate sulla superficie delle
mucose orali è sufficiente a ripristinare lo stato di normalità. Nelle forme più gravi d’ipoglicemia si rende necessaria l’ospedalizzazione del paziente e la somministrazione
IV lenta di glucosio (glucosio 50% I.V lenta in bolo unico, diluito 1:4, seguito da glucosio 2,5-5% per il mantenimento della glicemia).
Ipokalemia. Sebbene la diuresi osmotica, l’acidosi metabolica, l’anoressia, l’atrofia delle masse muscolari, il vomito e la diarrea, condizioni più o meno frequenti dello
stato diabetico, possano spesso condurre alla deplezione
del potassio corporeo, nella maggior parte dei gatti diabetici al momento della diagnosi non si riscontrano segni clinici d’ipopotassemia ed il livello di potassio sierico risulta
normale o aumentato. A questa situazione concorrono lo
stato di acidosi, che causa uno spostamento del potassio
dal compartimento intracellulare a quello extracellulare,
l’iperglicemia, che similmente provoca una deplezione intracellulare, e l’iperosmolalità che promuove uno spostamento di acqua e potassio dal settore intra a quello extracellulare. Durante la prima fase della terapia la reidratazione del paziente, la correzione dello stato di acidemia (spostamento di idrogenioni al di fuori dalla cellula compensato dall’ingresso del potassio al suo interno), la captazione
di potassio cellulare insulino-dipendente e la perdita urinaria dello stesso, portano ad una marcata deplezione dei valori sierici e talvolta all’evidenziazione di una sintomatologia specifica (aritmia cardiaca, insufficienza respiratoria,
debolezza muscolare e stasi gastrointestinale). La supple-
NOTE
57
NOTE
mentazione con KCl delle soluzioni utilizzate nel corso
della terapia fluida (vedi Tabella 3), rappresenta l’intervento più corretto per evitare questo genere di complicanze.
Particolari indicazioni riguardano valori di kalemia bassi o
normali in presenza di una grave acidosi, dove l’infusione
di potassio deve essere immediata, ed i casi di oliguria o
anuria in presenza di una normokalemia, nei quali la supplementazione di potassio dovrebbe essere sospesa per circa 2-4 ore (Nichols et al., 1995).
Ipofosfatemia. La deplezione del fosfato corporeo è comune nelle forme di diabete mellito (soprattutto nella chetoacidosi) e similmente a quanto accade nelle condizioni di
ipokalemia, trova spiegazione nel concorso di vari fattori:
diminuito apporto dietetico in corso di anoressia e vomito,
aumento delle perdite urinarie per la presenza di diuresi
osmotica e di una terapia fluida aggressiva, traslocazione
dello ione all’interno del comparto cellulare in seguito al
trattamento insulinico e alla somministrazione di soluzioni
alcalinizzanti. Una fosfatemia <1mg/dL è associata ad un
corredo sintomatologico che comprende: rapida emolisi,
debolezza muscolare, rabdomiolisi, insufficienza respiratoria, deficit neurologici che possono condurre a convulsioni,
stupor e coma. In medicina felina la condizione di ipofosfatemia associata a diabete mellito è, nella maggior parte
dei casi, clinicamente silente e rilevabile solamente attraverso indagini laboratoristiche. La maggior parte dei pazienti diabetici presentano diminuzione del potassio sierico
(<2mg/dL) dopo il trattamento terapeutico e nelle forme
complicate da chetosi o da chetoacidosi (Nichols et al.,
1995). IL trattamento dell’ipofosfatemia si basa sulla supplementazione di fosfato alla dose di 0,03-0,12
mmol/Kg/ora seguita da determinazioni ripetute della fo-
Tabella 3
58
K sierico
Supplemento
K mEq/250mL
> 3.5
3-3.5
2.5-3
2.0-2.5
<2
5
7
10
15
20
sfatemia ogni 12-24 ore fino alla normalizzazione della
concentrazione (>2,5 mg/dL). Il monitoraggio del calcio è
sempre consigliato in corso della somministrazione endovenosa di fosfato, in quanto la diminuzione della concentrazione di calcio sierico può esitare nella deposizione di
fosfato di calcio nei tessuti molli.
NOTE
INSULINO-RESISTENZA
Durante il trattamento del diabete mellito nel gatto, non
è infrequente lo sviluppo di una resistenza all’azione
dell’insulina esogena caratterizzata dal persistere dei sintomi clinici (per es. poliuria, polidipsia, perdita di peso), a
scapito del progressivo aumento delle dosi d’insulina. Il fenomeno dell’insulino-resistenza, infatti, potrebbe essere
sospettato nel caso di una marcata iperglicemia a dosi d’insulina superiori a 1,5UI/Kg BID, o, viceversa, nella situazione in cui elevati (>2,2UI/Kg BID) dosaggi d’insulina
sono necessari al mantenimento di un adeguato controllo
glicemico.
Un primo approccio diagnostico nella valutazione dello
stato d’insulino-resistenza, vede l’esclusione delle possibili
cause connesse all’attività del tipo di insulina somministrata ed alle eventuali problematiche che spesso incorrono
nella gestione del paziente diabetico da parte del proprietario (vedi Schema 1).
L’attività dell’insulina somministrata può essere influenzata dall’inadeguata miscelazione (mancato mescolamento-eccessivo scuotimento), da un’impropria diluizione,
dall’errata stima (sotto-sovradosaggio) nella lettura del dosaggio sulla scala graduata della siringa o connessa all’utilizzo di una siringa non idonea. L’eccesssivo contenuto calorico della dieta può esacerbare le fluttuazioni glicemiche
post-prandiali contribuendo così ad una aumentata richiesta per il fabbisogno insulinico.
L’insulino-resistenza è il risultato di processi che alterano la disponibilità d’insulina in circolo e di altre svariate
condizioni che riducono l’azione della stessa a livello delle
cellule bersaglio (Tabella 4).
Insulino-resistenza sottocutanea. L’assorbimento
dell’insulina nel sottocute può variare sensibilmente da individuo ad individuo. Un insufficiente assorbimento sottocutaneo d’insulina è stato ampiamente documentato in medicina umana nei pazienti affetti da insulino-resistenza.
59
NOTE
Schema 1
Valutazione iniziale di insulino-resistenza nel gatto
?Insulino-resistenza
(Dosi >2.2UI/kg)
Cambiamento
della dieta
Controllo
del management
casalingo
Correzione
della metodica
d’iniezione
Effetto
Somogyi
Curva
glicemica
12-24 ore
Rapido
metabolismo
dell’insulina
Riduzione del dosaggio
di insulina (50-75%)
Insulino-resistenza
Cambio
tipo insulina
Esclusione
delle possibili cause
I principali meccanismi chiamati in causa nella patogenesi del fenomeno sono rappresentati dalle alterazioni del
flusso sanguigno sottocutaneo e dalla degradazione enzimatica dell’insulina nel sito d’iniezione. In Medicina Veterinaria è stato documentato che solo meno del 50% della
dose di insulina somministrata per via sottocutanea raggiunge il circolo sanguigno e che esistono, nel gatto come
nel cane, marcate differenze nell’assorbimento sottocutaneo tra insuline di tipo diverso. In uno studio sul gatto (Peterson, 1995) è stato riportato una maggior permeabilità
sottocutanea dell’insulina Rapida rispetto le insuline
“long-acting” e tra queste ultime, la Ultralenta rappresenta
l’insulina meno assorbibile in questa specie. L’assorbimento d’insulina nel tessuto sottocutaneo può essere dunque
considerato facilmente un fattore da considerare nei pazienti affetti da insulino-resistenza, soprattutto se il trattamento insulinico si avvale d’insuline “long-acting”.
60
Tabella 4
Insulino-resistenza: diagnosi differenziale
•
•
•
•
•
•
•
•
•
NOTE
Insufficiente assorbimento sottocutaneo d’insulina
Anticorpi anti-insulina
Infezioni
Chetoacidosi
Malattie intercorrenti
a. Pancreatite
b. Malattie renali
c. insufficienza epatica
d. Stati di defedazione
Obesità
Iperlipidemia (?)
Altre endocrinopatie
a. Acromegalia
b. Iperadrenocorticismo
c. Ipertiroidismo
Farmaci
a. Glicocorticoidi
b. Megestrolo acetato
Inoltre appare di una certa importanza la localizzazione
il sito d’inoculo, per le caratteristiche anatomico-funzionali che possono presentare le diverse zone del corpo in relazione alla capacità di assorbimento del farmaco iniettato
(flusso del microcircolo, spessore di connettivo sottocutaneo e grado di distensione della cute). Nel gatto, l’iniezione d’insulina viene preferibilmente eseguita a livello del
dorso e dei fianchi evitando il collo e la zona di cute a livello del garrese.
Cause immunologiche di insulino-resistenza. In tutti
gli animali domestici l’insulina presenta una struttura simile, due catene aminoacidiche, A e B, rispettivamente di 21
e di 30 amninoacidi. Le maggiori variazioni interspecifiche
sono a carico della composizione aminoacidica o della posizione dei singoli aminoacidi in una delle due catene: l’insulina del cane ha una struttura identica all’insulina porcina e differisce per un solo aminoacido della catena B
dall’insulina umana, mentre l’insulina più simile a quella
felina è l’insulina bovina (differisce per la posizione di un
singolo aminoacido sulla catena A, e nella composizione
di quattro aminoacidi da quella porcina). La maggior parte
delle insuline commerciali disponibili per la terapia del
61
NOTE
62
diabete mellito del gatto sono di origine umana (da DNA
ricombinante), o di origine porcina e quindi differiscono,
anche se leggermente (4-5 aa), nella composizione aminoacidica. In maniera del tutto teorica, ogni animale trattato con insulina esogena potrebbe sviluppare degli anticorpi
anti-insulina non solo per l’effetto antigenico dell’insulina
esogena, ma anche per quello esercitato da altri componenti come la pro-insulina e la protammina. Nella pratica clinica l’insulino-resistenza causata dalla presenza di anticorpi anti-insulina è una situazione piuttosto rara e difficile da
diagnosticare, a causa della carenza di specifiche attrezzature in grado di compiere una stima quantitativa degli anticorpi. Comunque, la determinazione dell’insulina sierica è
considerata da alcuni AA (Ihle et al., 1991) come un valido
test di screening della presenza di anticorpi anti-insulina.
Infatti la maggior parte delle tecniche radioimmunologiche
utilizzate nella determinazione dell’insulinemia risentono
della presenza degli anticorpi insulino-specifici, dando origine a valori di insulinemia falsamente elevati. Nei gatti
diabetici, infatti, la presenza di anticorpi insulino-specifici
porta l’insulinemia a valori >3500pmol/L dopo 24 ore
dall’iniezione di insulina, rispetto ai valori riscontrati negli
animali diabetici in assenza anticorpi (<350pmol/L). Alcuni AA ritengono che la presenza di anticorpi anti-insulina
possa essere interpretata come un aspetto positivo in quanto potrebbero essere responsabili di una più lenta ma progressiva disponibilità d’insulina dal sito d’inoculo.
Nel sospetto di un’insulino-resistenza di natura immunologia può essere utile la scelta di un altro tipo di insulina.
Insulino-resistenza da cause infettive. Il diabete mellito riduce la resistenza alle infezioni portando ad un della
secrezione di glucagone e cortisolo e molto probabilmente
di adrenalina antagonizzando in questo modo l’azione
dell’insulina.
Malattie concomitanti e Chetoacidosi. Sono già state
discusse in un’altra sezione della presente trattazione. Similmente a quanto accade per le forme infettive, la chetoacidosi come altri stati morbosi possono causare insulinoresistenza per l’aumento degli ormoni controregolatori
(glucagone, glucocorticoidi, catecolammine).
Obesità e sedentarietà. Rappresentano una causa piuttosto comune di insulino-resistenza nel gatto. I meccanismi patogenetici coinvolti nell’obesità sono principalmente: la diminuzione dei recettori cellulari per l’insulina, la
riduzione dell’affinità per il recettore e il deficit post-recet-
toriale che diminuisce l’attività di trasporto del glucosio.
La mancanza di esercizio fisico, può contribuire allo stato
di insulino-resistenza mediante due meccanismi: uno diretto sulla sensibilità recettoriale, l’altro indiretto, aumentando il rischio di obesità.
Endocrinopatie. Nel gatto le principali dismetabolie
che possono condurre ad insulino-resistenza sono date
dall’ipertiroidismo e dall’acromegalia, dall’iperadrenocorticismo. Per la trattazione delle stesse si rimanda alle parti
precedenti della trattazione.
Iperlipidemia. L’ipertrigliceridemia diminuisce l’affinità di legame recettoriale dell’insulina, promuove la
“down-regulation” dei recettori e causa difetti post-recettoriali all’azione dell’insulina. È una condizione più comune
nel cane che nel gatto, e si trova spesso associata nelle forme di diabete mellito, di iperadrenocorticismo e di nefropatie proteino-disperdenti.
Farmaci. Nel gatto, come nel cane, la somministrazione di glicocorticoidi e di progestinici (megestrolo acetato)
può portare ad insulino-resistenza e all’insorgenza di diabete mellito. Nel gatto la somministrazione di megestrolo
acetato non induce, come nel cane, l’iperproduzione di GH
(Growth hormone) ma sembra legata ad un coinvolgimento
di altri ormoni diabetogeni (per es. cortisolo). Lo sviluppo
di un’intolleranza al glucosio e il grado di insulino-resistenza dipendono dalla dose di farmaco somministrata e
dalla durata del trattamento.
Il trattamento dell’insulino-resistenza nel gatto si basa
sull’identificazione delle cause responsabili del fenomeno
e sul loro trattamento specifico.
NOTE
EMERGENZE NEL DIABETE MELLITO
DEL GATTO
Le principali emergenze endocrinologiche mel gatto affetto da diabete mellito sono considerate, l’overdose d’insulina, la chetoacidosi ed il coma iperosmolare non chetosico. L’approccio iniziale si basa sulla diagnosi differenziale e sulla determinazione del grado di gravità del danno
metabolico, attraverso l’effettuazione immediata di una serie di esami di base che comprendono: l’ematocrito, le proteine totali, BUN, elettroliti sierici e l’analisi delle urine.
Ulteriori esami possono essere rappresentati dall’osmolalità sierica e dall’emogasanalisi.
63
NOTE
Overdose d’insulina
L’overdose insulinica porta rapidamente ad un stato
d’ipoglicemia, i cui principali segni clinici sono rappresentati da atassia, astenia,debolezza, repentino cambiamento
del carattere,vomito, tachicardia, amaurosi, fino alle convulsioni ed al coma. Nel paziente diabetico il riconoscimento di una sintomatologia simile alla precedente deve essere trattata immediatamente, ed i proprietari degli animali
dovrebbero essere istruiti allo scopo. Il primo soccorso da
parte del proprietario vede l’immediata somministrazione
di soluzioni concentrate di glucosio (miele, soluzioni di
glucosio) per bocca o semplicemente applicato sulle mucose orali nell’animale che è impossibilitato a deglutire, la sospensione della terapia insulinica ed il ricovero dell’animale presso il più vicino centro di assistenza veterinaria. Il
trattamento dell’overdose insulinica vede, quindi, la somministrazione di soluzioni al glucosio 50% endovena a bolo
lento (0,5g/kg diluito 1:4), e per il mantenimento della glicemia nel range di sicurezza (>100mg/dL), l’infusione continua di soluzioni di glucosio 5% (anche 2,5% secondo necessità), fino a quando l’animale non è in grado di alimentarsi in maniera autonoma. È necessario un controllo glicemico frequente, mentre la terapia insulinica viene ripresa
solo all’instaurarsi di un evidente stato iperglicemico. Spesso lo stato d’ipoglicemia può protrarsi a causa dell’esaurimento dei depositi di glucosio endogeno, in questo caso la
somministrazione di insulina viene sospesa anche per giorni. Le principali cause dell’overdose d’insulina sono dovute
ad errori del dosaggio della somministrazione giornaliera
(siringhe da 40UI o da tubercolina utilizzate per flaconi da
100UI/dL) e alla variazione delle richieste d’insulina esogena da parte delll’animale. Nel gatto per esempio forme di
diabete transitorio possono risolversi dopo mesi o anni di
terapia insulinica e condurre ad episodi anche gravi di overdose insulinica, in modo simile il trattamento delle malattie
complicanti il diabete, quali infezioni croniche, ipertiroidismo, infiammazioni gastrointestinali, ed altre possono esitare nella modificazione della richiesta giornaliera d’insulina esogena. L’aggiustamento del dosaggio insulinico mediante curve glicemiche (12-24 ore) effettuate periodicamente, accanto ad un attenta valutazione clinico-laboratoristica (comprensiva della determinazione delle fruttosammine) rappresentano il comportamento più idoneo alla prevenzione delle situazioni sopradescritte.
64
Chetoacidosi diabetica
NOTE
La chetoacidosi Diabetica (DKA, Diabetic Ketoacidosis) è un’emergenza medica caratterizzata da un complesso
di gravi alterazioni metaboliche (iperglicemia, chetonemia,
acidosi metabolica, disidratazione, perdita di elettroliti),
che risultano dall’interazione di tre fondamentali momenti
patogenetici intimamente connessi tra loro: l’insufficienza
assoluta o relativa di insulina, l’aumento dei livelli degli
ormoni dello stress (glucagone, cortisolo catecolammine,
cortisolo e GH) e lo stato ipovolemico. L’insufficienza
d’insulina nella DKA felina può essere assoluta o più spesso, relativa, dove i livelli di insulina circolante sono simili
alle concentrazioni plasmatiche negli animali sani, a digiuno, ma risultano inefficaci per il fabbisogno metabolico
nello stato d’iperglicemia (Bruskiewicz et al., 1997). Il
persistere dello stato di iperglicemia porta ad un’eccessiva
concentrazione nell’ultrafiltrato glomerulare di glucosio,
che supera la soglia renale (nel gatto fino a 300mg/dl), ed
interferendo con il riassorbimento renale di soluti (Na soprattutto), conduce ad una grave disidratazione per deplezione del volume del liquido extracellulare. L’organismo di
fronte a questa situazione si comporta come in uno stato di
digiuno prolungato e di stress metabolico stimolando, a
scopo energetico, i processi catabolici a carico del tessuto
muscolare ed adiposo ed aumentando notevolmente i livelli degli ormoni dello stress in circolo (catecolammine, glucagone, cortisolo, GH). La chetogenesi è indicativa di questo stato ed è il risultato della mobilizzazione degli acidi
grassi a lunga catena, immagazzinati nel tessuto adiposo,
ad opera delle lipasi ormono-dipendenti e dell’ossidazione
degli stessi, come acidi grassi liberi (FFA), a livello epatico. Il grado di chetogenesi è direttamente proporzionale a
quello della gluconeogenesi e della lipolisi. L’assenza di
insulina e/o la presenza di elevate concentrazioni plasmatiche degli ormoni dello stress determinano un notevole aumento dei livelli circolanti degli FFA e dei corpi ketonici
(CK) a causa dell’inibizione del meccanismo feed-back di
regolazione (chetoni->rilascio di insulina-> inibizione delle lipasi ormono-dipendenti).
I sintomi classici della DKA, anoressia, depressione,
vomito, diarrea e disidratazione grave, sono caratterizzati
da un periodo d’insorgenza piuttosto breve (meno di una
settimana). Non è comunque infrequente riscontrare quelli
che sono i sintomi riferibili a Diabete mellito (PU/PD, po65
NOTE
66
lifagia e perdita di peso) che possono identificare forme
iniziali o stati clinici che precedono la forma classica.
Le analisi di laboratorio si basano sul rilievo di iperglicemia persistente, della presenza di CK nelle urine e dello
stato di acidosi metabolica. L’iperglicemia in corso di
DKA è varia, ed il range (200-400 mg/dL) può comprendere valori compatibili con uno stato di lieve o media iperglicemia e quelli estremi, caratteristici del coma iperosmolare. Nella DKA vi è un’elevata produzione epatica di glucosio ed il grado di iperglicemia è primariamente legato al
gravità dello stato ipovolemico (diminuzione del volume
extracellulare, del ritmo di filtrazione glomerulare ed incapacità dell’escrezione di glucosio con le urine). La presenza dei CK nelle urine è evidente quando la concentrazione
degli stessi nello spazio extracellulare supera la soglia renale. Occasionalmente è possibile distinguere la presenza
dei CK nel siero ma non nelle urine, segno che non è stata
superata la soglia renale. Occorre comunque fare presente
che la maggior parte delle strisce reattive in commercio per
la determinazione quantitativa dei CK nelle urine, si basano sulla reazione al nitroprussiato e che questa reazione
chimica anche se molto sensibile, rileva la presenza del solo acetoacetato. In corso di DKA il rapporto tra beta-idrossibutirrato e acetoacetato varia da 3:1 a 30:1, dando origine
a risultati di una certa approssimazione, inoltre durante la
terapia insulinica, con la metabolizzazione epatica dei chetoni, il rapporto tra i due varia a favore dell’acetoacetato
conducendo alla falsa impressione di scarsa efficacia della
terapia. Gli AA hanno inoltre osservato, pur disponendo al
momento di dati preliminari, che le striscie reattive utilizzate normalmente per la ricerca dei CK nelle urine possono trovare impiego anche sul siero o plasma dei pazienti
diabetici, rendendo molto più semplice ed immediata tale
determinazione.
L’eccessiva produzione di CK e il loro diminuito utilizzo periferico sviluppano in breve tempo uno stato di acidosi metabolica, evidenziabile mediante un’emogasanalisi arteriosa o venosa (pH diminuito, bicarbonato diminuiti, divario anionico aumentato, CO2 normale/leggermente diminuita), oppure tramite la determinazione della CO2 totale
su sangue venoso.
Le principale alterazioni elettrolitiche in corso di DKA
coinvolgono il sodio, il potassio ed il fosfato. La concentrazione di Na nei pazienti in chetoacidosi spesso risulta
normale; l’iponatriemia può verificarsi in seguito all’effet-
to osmotico causato dall’iperglicemia e dalla conseguente
diluizione operata dallo spostamento di liquidi dal compartimento extracellulare a quello intracellulare. L’iponatremia può, ancora, essere dovuta all’aumentato apporto d’acqua di abbeverata in condizione di iperosmolalità sanguigna oppure rappresentare un artefatto da iperlipidemia. Il
rilievo di un aumento della concentrazione ematica di Na
può, invece, essere connesso con la presenza di vomito
profuso, o di un diminuito apporto d’acqua in seguito ad
uno stato di depressione mentale.
Nei pazienti chetoacidosici il livello di potassio sierico spesso è normale o aumentato. L’aumento della kaliemia può essere dovuto a diversi fattori in vario modo correlati fra loro, quali una diminuzione dell’escrezione renale, una grave acidosi (shift del K dal compartimento intracellulare a quello extracellulare), l’insufficienza di insulina, il catabolismo delle proteine che rilascia K intracellulare. In questo senso il rilievo di una normo-kaliemia
richiede una maggiore supplementazione al momento
della terapia insulinica.
Per quanto riguarda la fosfatemia il discorso è analogo
a quello fatto per il K. È importante rilevare come, durante
la terapia, la concentrazione del fosforo possa diminuire
precipitosamente. Questo fenomeno è però, attenuato dallo
stato di acidosi, per cui le conseguenze tissutali possono
essere più evidenti alla normalizzazione del pH sanguigno.
L’iperglicemia e la grave disidratazione sono i fattori
primariamente responsabili dell’iperosmolalità in corso di
DKA. Raramente i pazienti in chetoacidosi sono in grado
di compensare la massiccia perdita di acqua libera che si
instaura con la diuresi osmotica.
Il trattamento terapeutico della DKA si basa su quattro
punti fondamentali: a) identificazione dei fattori responsabili della precipitazione del processo morboso; b) fluidoterapia adeguata; c) bilanciamento dell’equilibrio elettrolitico ed acido-base; d) riduzione della glicemia.
Evidenziazione dei fattori predisponenti. La DKA vede
nell’insufficienza insulinica e nell’alto livello sierico degli
ormoni dello stress i due punti principali per la sua manifestazione. L’identificazione degli stati morbosi connessi a situazioni estremamente stressanti (pancreatite, infezioni del
tratto urinario, iperadrenocorticismo, insufficienza renale
ed epatica, somministrazione di glicocorticoidi, infezioni
enteriche, neoplasie, acromegalia) può, quindi rivelarsi fondamentale per una corretta terapia. Il piano diagnostico è ad
NOTE
67
NOTE
68
ampio spettro comprendendo un’analisi completa dei parametri sanguigni (emocromocitometrico completo, profilo
biochimico, elettrolitico, emogasanalisi), radiografie al torace -se c’è dispnea- all’addome, l’esame completo delle
urine comprensivo di urinocoltura.
Terapia fluida. La fluidoterapia appare di fondamentale
importanza considerato il grave stato di disidratazione in
cui versano la maggior parte dei pazienti in DKA.
Una volta stimato il fabbisogno giornaliero, le soluzioni
più impiegate nella DKA sono rappresentate da a) soluzione fisiologica 0,9%; b) Ringer acetato; c) Ringer lattato.
La soluzione fisiologica isotonica è la soluzione preferita da molti Autori nel trattamento iniziale della DKA. Infatti, durante la terapia insulinica, gran parte dei CK vengono ossidati a livello epatico con la produzione di bicarbonato, similmente per quanto avviene al lattato. La capacità epatica di metabolizzare il lattato può, in questa situazione, essere saturata ed il lattato potrebbe venir eliminato
attraverso il rene. Per il mantenimento dell’elettroneutralità
la carica negativa del lattato viene bilanciata dall’escrezione del Na e K, carichi positivamente, aumentando l’escrezione di questi due ioni.
Nel corso di DKA stati di ipokalemia ed ipofosfatemia
sono comunemente riscontrati e la terapia fluida non può
prescindere dalla supplementazione dei due elementi nelle
soluzioni elettrolitiche endovenose usate, (20-40mEq/L di
KCl ad una velocità non superiore ai 12ml/kg/ora, 0,030,12mmol fosfato/kg/ora per concentrazioni di fosforo
<1mg/dl). L’uso del bicarbonato di sodio nella correzione
dell’acidosi metabolica è controverso. È risaputo che con il
trattamento insulinico la somministrazione dei soli liquidi
di rimpiazzo è sufficiente a correggere lo squilibrio acidobasico in atto tramite l’ossidazione dei CK a livello epatico
che genera bicarbonato, e l’escrezione di ioni idrogeno
nelle urine. L’uso del bicarbonato presenta degli effetti collaterali (iperosmolarità, abbassamento della kalemia, rebound alcalosico, diminuita distribuzione di ossigeno ai
tessuti) e viene riservato nelle situazioni dove il pH è inferiore a 7.1.
Terapia insulinica. La riduzione della glicemia viene
perseguita con la somministrazione di insulina esogena. Il
solo tipo di insulina usata nel paziente chetoacidosico critico è la insulina R, regolare, mentre altri tipi di insulina
(Lenta, Ultralenta) viene riservata ai pazienti stabilizzati
che hanno ripreso ad alimentarsi. L’insulina regolare viene
somministrata per via IM o EV, mentre la via sottocutanea
è poco affidabile perché il grado elevato di disidratazione
ne compromette un regolare e prevedibile assorbimento.
L’uso intramuscolare di insulina R prevede una dose
iniziale di 0,2 UI /kg (range 0,1-0,4 UI/kg), uno stretto
monitoraggio glicemico (ogni ora), la somministrazione di
0,1 UI/kg ogni ora fino a stabilizzare il valore di glicemia
(≥ 250 mg/dl). Circa dopo 4-6 ore è possibile diminuire la
frequenza delle somministrazioni di insulina (6-8 ore se la
somm. è SC e l’animale è ben idratato).
Gli AA preferiscono la somministrazione endovenosa di
insulina tramite l’utilizzo di pompe da infusione, con un
dosaggio iniziale di 1,1UI/kg/gatto diluita in 250ml di soluzione fisiologica isotonica (0,9%NaCl) ad una velocità di
10ml/ora. È consigliato il lavaggio del tubo del deflussore
con 50mL della stessa soluzione per evitare che parte
dell’insulina presente si leghi alla plastica. Alcuni Autori
(Fort et al., 1983; Sanson et al., 1989; Yeates et al., 1990)
raccomandano la somministrazione di 0,1-0,2UI/kg in bolo
I.V prima dell’infusione continua, per ovviare ad un ritardo
d’azione di 20’-30’ della soluzione ad infusione continua,
anche se alla luce di più recenti studi (Macintire, 1993)
questa somministrazione non risulterebbe necessaria.
Per entrambe le modalità di somministrazione di insulina, la glicemia viene mantenuta rigorosamente a valori
≥250 mg/dl per le prime 4-6 ore di terapia per evitare che
la brusca diminuzione del glucosio ematico possa portare
all’edema cerebrale: la stabilizzazione del valore di glicemia si ottiene mediante l’utilizzo da una parte di insulina
esogena, dall’altra, di soluzioni glucosate a diversa percentuale di glucosio (5% per aumentare valori inferiori a
250mg/dl, 2,5% per mantenere i valori pari o leggermente
inferiori in presenza di insulina esogena). È sempre consigliato il monitoraggio della glicemia almeno ogni due ore,
dell’ematocrito, proteine totali ed elettroliti ogni 4 ore.
Complicazioni legate al DKA. Il tasso di mortalità nel
corso di DKA varia dal 25% al 30%; le principali complicazioni sono rappresentate dall’ipoglicema, l’ipokalemia,
l’edema cerebrale, le infezioni e lo shock. L’ipoglicemia e
l’ipokalemia sono spesso la conseguenza di un inadeguato
protocollo insulinico (eccessivo dosaggio) e/o di un carente monitoraggio della glicemia e degli elettroliti. L’edema
cerebrale è l’esito dell’accumulo nel terzo spazio di una
eccessiva quantità di acqua libera conseguente alla rapida
diminuzione della glicemia (dose troppo elevata di insuli-
NOTE
69
NOTE
na, somministrazione di liquidi ipotonici). Durante lo stato
di iperglicemia il SNC metabolizza il glucosio principalmente in sorbitolo, particella osmoticamente attiva che
permane in sede perché mancano i meccanismi facilitati di
trasporto attraverso le membrane citoplasmatiche. Per questo motivo il SNC si adatta piuttosto lentamente alle variazione intravascolari della osmolarità e quindi in un rapido
abbassamento della glicemia può condurre ad edema per il
passaggio dal compartimento extracellulare a quello intracellulare di liquidi.
La somministrazione di mannitolo sembra essere il trattamento più raccomandato in letteratura; l’efficacia del desametasone in questa situazione sembra invece poco chiara.
La sovrainfestazione da elminti sembra essere la maggior causa di morte nella DKA, appare, quindi, molto importante la tempestività nella diagnosi e nel trattamento.
Sebbene la presenza di infezioni spesso non viene evidenziata da rialzi termici, febbre o leucocitosi occorre considerare il paziente in DKA come un soggetto a rischio: in
alcuni casi l’esame colturale delle urine e del sangue si
rendono spesso necessari. Nel dubbio e comunque in attesa
dei risultati laboratoristici, è consigliabile ricorrere all’uso
di antibiotici ad ampio spettro.
Coma iperosmolare non chetosico
Il diabete iperosmolare non chetosico è uno stato morboso caratterizzato da elevata iperglicemia (>600mg/dL),
iperosmolalità (>350mOsm/L), grave disidratazione, assenza di corpi chetonici, acidosi metabolica assente o lieve, depressione del sistema nervoso centrale. Nel gatto non
è una sindrome piuttosto comune, anche se stati d’iperosmolalità e di neuropatie concomitanti sono state segnalate
in molte forme chetosiche e non, per lo più complicate da
varie stati patologici: anormalità cardiache, malattie renali,
ipertiroidismo. La sequenza degli eventi conseguenti
all’aumento dell’osmolalità plasmatica comprende, stati
confusionali, delirio, disorientamento, depressione, atassia,
nistagmo, tremori ed ondeggiamenti irregolari, convulsioni, ipertermia, coma e morte per insufficienza respiratoria.
Molte delle anormalità neurologiche si manifestano dopo il
trattamento, a causa dell’edema cerebrale dovuto allo squilibrio osmotico tra circolo sanguigno e SNC, in seguito alla rapida diminuzione del glucosio plasmatici (3-7 ore) do70
vuto alla somministrazione di insulina. I meccanismi patogenetici del fenomeno sono stati già descritti a proposito
delle complicanze in corso di DKA
Trattamento. Più o meno sovrapponibile al trattamento
descritto per la DKA, la terapia del coma iperosmolare non
chetosico, è mirata alla reidratazione del paziente, al recupero della funzionalità renale e al controllo dello stato
iperglicemico. Dopo la stima del fabbisogno idrico del paziente, la fluidoterapia viene effettuata a regime di shock
(50-60mL7Kg/ora), e l’80% del volume di reidratazione
viene somministrato nelle prime 12-24 ore. La soluzione
elettrolitica utilizzata è NaCl 0,9% nel regime di rimpiazzo
e NaCl 0,45% in quello di mantenimento. La terapia insulinica viene intrapresa solo dopo 2-4 ore dalla somministrazione della fluidoterapia ed il dosaggio di insulina non
supera le 1,1UI/kg/24 ore. È necessario, inoltre il monitoraggio stretto dei valori di osmolalità e della glicemia.
NOTE
COMPLICAZIONI A LUNGO TERMINE
DEL DIABETE MELLITO
Il controllo della glicemia e la durata dello stato diabetico sono, in Medicina Umana, i fattori che maggiormente
vengono implicati nell’aumento dell’incidenza delle cosiddette “complicanze a lungo termine” (vascolari, glomerulari ed oculari) che rappresentano una significativa causa di
morbilità e mortalità fra i pazienti diabetici. Nel gatto, come nel cane, non è comune il riscontro, nella pratica clinica, delle complicazioni a lungo termine associate a DM,
quali retinopatie, neuropatie, nefropatie, in quanto questi
eventi patologici necessitano di un periodo di tempo piuttosto lungo (anni) dall’inizio dello stato diabetico per manifestarsi clinicamente, mentre la durata della vita del paziente diabetico spesso non supera i 2-5 anni dall’avvenuta
diagnosi di malattia (Munana, 1995). Visti i continui progressi che avvengono in Medicina Veterinaria nell’ambito
del trattamento del DM, ed al conseguente miglioramento
delle condizioni cliniche e della durata della vita dei pazienti, è possibile che questo tipo di complicazioni diventino sempre più comuni nella pratica clinica.
Le principali complicazioni a lungo termine associati
alla malattia diabetica sono elencati in Tabella 5.
I tessuti più colpiti da questo tipo di complicazioni sono
quelli in cui la captazione del glucosio non dipende
71
NOTE
Tabella 5
Complicazioni a lungo termine nel DM
•
•
•
•
•
•
•
•
Neuropatie
Nefropatie
Retinopatie
Cataratta
Problemi gastroenterici
Patologie epatiche
Patologie pancreatiche
Patologie infiammatorie
dall’insulina (reni, retina, nervi) e risultano pertanto esposti in grado maggiore agli effetti dell’iperglicemia persistente. L’accumulo di glucosio all’interno dei tessuti altera
i normali processi metabolici attraverso diversi e molteplici meccanismi spesso in sinergismo tra loro.
Tra i principali eventi patogenetici sono da segnalare: le
alterazioni del metabolismo (aumentata attività della via
dei polioli, con accumulo di sorbitolo), le anormalità della
struttura e della funzione dei vasi, la glicosilazione non-enzimatca delle proteine, le alterazioni a carico del metabolismo degli acidi grassi (diminuzione della produzione di
prostaglandine E1 e della prostaciclina, aumento dei trombossani A2 a livello vascolare).
Nel gatto affetto da DM la complicanza a lungo termine più frequentemente segnalata in letteratura è rappresentata dalla neuropatia diabetica, una polineuropatia distale, simmetrica, che coinvolge primariamente gli arti
pelvici e che è dovuta alla degenerazione assonale con
demielinizzazone e rimielinizzazione secondaria. I sintomi classici comprendono: atteggiamento plantigrado causato dall’appoggio a terra di entrambi i tarsi e dalla debolezza muscolare del treno posteriore, diminuzione del riflesso patellare e delle reazioni posturali. La polineuropatia sensoriale, la neuropatia autonoma così come il coinvolgimento dei nervi cranici, sono forme ben descritte nei
pazienti diabetici in medicina umana, mentre non sono
mai state documentate nel gatto affetto da DM, probabilmente a causa della difficoltà nell’identificazione della
sindrome. La retinopatia diabetica, la nefropatia, la cataratta e le altre complicazioni del diabete a lungo termine
sono evenienze piuttosto rare nel gatto come nel cane, an72
che se in medicina felina è riscontrabile una minore incidenza che può trovare spiegazione nelle differenze metaboliche, non ancora sufficientemente documentate, che
intercorrono tra le due specie (Nelson, 1995; Feldman e
Nelson, 1996).
NOTE
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Focus on Critical Care. 17:240-248.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Andrea Boari
Med Vet
Dipartimento delle Scienze Veterinarie
e Agroalimentari
Sezione di Medicina Interna
Università degli Studi di Teramo - Italy
Morena Di Tommaso
Dipartimento delle Scienze Veterinarie
e Agroalimentari
Sezione di Medicina Interna
Università degli Studi di Teramo - Italy
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in gastroenterologia
When (and how) the cat is different from the dog
in gastroenterology
Domenica, 30 settembre 2001, ore 12.15
75
NOTE
76
Le malattie dell’apparato digerente del gatto rappresentano una delle cause di più frequente consultazione clinica.
È noto come il gatto differisca più o meno significativamente dal cane nell’anatomia, nella fisiologia, nella biochimica e nel diverso tipo di abitudini alimentari. A quest’ultimo riguardo, mentre il cane può essere considerato
onnivoro, il gatto è evoluto come tutti i felini ad un comportamento alimentare strettamente o totalmente carnivoro.
Ciò giustifica il motivo del diverso modo di alimentarsi del
gatto rispetto al cane, ad es. 10-20 piccoli pasti al dì contro
1 o 2 e la particolare sensibilità alle caratteristiche organolettiche e fisiche del cibo.
Queste caratteristiche singolari hanno una importanza
fondamentale nella gestione di un gatto sia dal punto di vista prettamente gastroenterologico che in un approccio clinico più generale, in cui sia necessario cambiare dieta o
fornire comunque un adeguato apporto calorico per correggere un deficit metabolico di origine diversa.
La gastroenterologia felina costituisce un campo di studio ancora sconosciuto e poco esplorato anche se negli ultimissimi anni diversi ricercatori si sono impegnati in una
più puntuale ricerca atta proprio a mettere in evidenza il
comportamento distintivo e peculiare di certe patologie digestive in questa specie.
Nell’ambito della gastroenterologia felina le malattie
dell’orofaringe e dello stomaco sono piuttosto comuni,
mentre quelle esofagee e del colon possono essere considerate relativamente meno frequenti.
Fino a pochi anni fa le malattie epatiche, pancreatiche
e intestinali erano considerate assai poco comuni e solo
recentemente hanno assunto una notevole importanza clinica in quanto, grazie anche ad una maggior sensibilizzazione e al perfezionamento di specifiche indagini diagnostiche, vengono riconosciute con una sempre più accresciuta incidenza.
Dal momento che nel gatto i segni clinici osservabili
nei disordini dell’apparato gastroenterico sono assolutamente aspecifici e comuni ad altre patologie extraintestinali, nell’approccio diagnostico occorre affidarsi, soprattutto
in questa specie, ad un accurato esame clinico e all’applicazione puntuale di indagini collaterali adeguate. Purtroppo però mai come nella gastroenterologia felina, le conoscenze appaiono estremamente esigue e incomplete e ciò è
in parte ad imputare alla carenza di test diagnostici dotati
di sensibilità e specificità adeguata per questa specie, ina-
deguatezza che diventa particolarmente evidente nel caso
delle malattie pancreatiche e intestinali.
Per una comodità di consultazione abbiamo ritenuto opportuno trattare ed esaminare le varie differenze fra cane e
gatto, laddove presenti, affrontando le diverse patologie
gastroenteriche del gatto procedendo attraverso l’apparato
digerente in senso oro-aborale.
NOTE
MALATTIE DELL’OROFARINGE
Le malattie dell’orofaringe sono piuttosto comuni in
medicina felina e possono costituire un disordine primario
oppure la manifestazione di malattie sistemiche. Dal momento che queste patologie odontostomatologiche verranno trattate in particolare in un’altra relazione di questo
Congresso, si rimandano i lettori interessati a consultare la
specifica trattazione.
MALATTIE DELL’ESOFAGO
Le malattie esofagee sono relativamente poco comuni
nel gatto. Dal punto di vista anatomico l’esofago del gatto,
per circa 2/3, è costituito prevalentemente da fibre muscolari striate (procedendo in senso cranio-caudale, i due strati
muscolari sono orientati obliquamente per poi assumere un
andamento a spirale), mentre il terzo distale è rappresentato quasi esclusivamente da fibre muscolari lisce; diversamente nel cane dove la muscolatura striata predomina su
quella liscia per l’intera lunghezza del corpo dell’esofago.
Questa differente distribuzione della componente motoria
si rende responsabile nel gatto di una peristalsi esofagea
molto più lenta rispetto a quella del cane (1-2 cm/sec contro i 80/100 cm al sec) che giustifica il lento transito esofageo delle ingesta nella specie felina.
Il segno clinico più frequentemente incontrato in corso
di patologie esofagee è di solito il rigurgito, ma possono
essere presenti anche disfagia, continui e ripetuti atti deglutitori, ptlialismo e dispnea. Il rigurgito deve sempre essere differenziato dal vomito in quanto consente la localizzazione rispettivamente delle lesioni esofagee da quelle gastrointestinali e extra-intestinali. Il rigurgito può comparire
immediatamente dopo il pasto nelle malattie del tratto
prossimale dell’esofago o nell’ostruzione completa dello
77
NOTE
stesso, oppure può manifestarsi dopo diverse ore dall’assunzione del cibo nelle dilatazioni esofagee (megaesofago)
che costituiscono un temporaneo deposito di cibo e liquidi.
Di solito in questi casi il rigurgito appare ricco di saliva e il
cibo indigerito può assumere un tipico aspetto tubulare. A
volte le malattie esofagee sono associate a segni clinici
quali febbre, tosse e dispnea per la comparsa di polmoniti
da aspirazione.
Accanto ad un accurata visita clinica, le indagini radiologiche e endoscopiche rappresentano le metodiche
diagnostiche di più frequente utilità nelle patologie esofagee. In particolare l’esame clinico può, in casi particolari,
mettere in evidenza segni di malattie sottostanti sistemiche quali appunto la disautonomia felina e la polmonite
ab ingestis.
DILATAZIONE ESOFAGEA
È una condizione che può presentarsi primariamente a
causa di anomalie strutturali e funzionali della muscolatura
esofagea, o secondariamente a patologie sistemiche o a carico di altri apparati.
MEGAESOFAGO
È una sindrome caratterizzata da un esofago dilatato e
flaccido a causa di una diffusa alterazione della funzione
motoria. È una condizione molto più frequente nel cane
che nel gatto (Hoenig et al., 1990).
Si conoscono forme di natura congenita e acquisita. Le
forme congenite sono legate ad una assente o insufficiente
innervazione e si manifestano al momento dello svezzamento; esiste una certa predisposizione di razza in entrambe le specie e fra i gatti il più colpito è il Siamese (Clifford
et al., 1971; Pearson et al., 1974; Watrous, 1983). Quelle
acquisite insorgono secondariamente a disordini neuromuscolari (es. miastenia gravis, disautonomia, polimiositi),
endocrini (es. ipocorticosurrenalismo e ipotiroidismo riportati solo nel cane), infiammatori o meccanici (Twedt,
1995; Guilford and Strombeck, 1996); esiste anche una
forma di megaesofago idiopatico acquisito presente solo
nel cane (Magne, 1986; Washabau, 1992).
Il megaesogago è un tipico reperto nel gatto con disautonomia (neuropatia generalizzata del sistema nervoso autonomo attualmente segnalata anche nel cane), mentre rap78
presenta una rara complicazione in corso di miastenia gravis al contrario di quanto accade nella specie canina. Comunque, quando si manifesta, la dilatazione esofagea è a
carico delle porzioni più prossimali dell’esofago, in funzione della particolare distribuzione della muscolatura
striata nel gatto (Joseph et al., 1988).
NOTE
DILATAZIONE DA ANOMALIE VASCOLARI
CONGENITE
Pur ricorrendo meno frequente rispetto al cane, l’anomalia vascolare più comune è la persistenza dell’arco aortico destro (McCandlish et al., 1984; Wheaton et al.,
1984). La dilatazione dell’esofago, che consegue alla stenosi indotta dall’anello vascolare, interessa la porzione
cervicale e quella toracica cranialmente alla base del cuore
e per questo è importante differenziarla dalle sopracitate
forme di megaesofago.
ESOFAGITE
L’infiammazione primaria della mucosa esofagea è rara nel gatto; comune è invece quella secondaria a reflusso
gastroesofageo dopo un’anestesia generale e l’esofagite
focale indotta dalla somministrazione orale di compresse
e capsule soprattutto quando non associate ad assunzione
di acqua o cibo (Carlborg and Densert, 1980; Westfall et
al., 2001). In entrambi i casi spesso si associa una stenosi
esofagea.
MALATTIE DELLO STOMACO
Le patologie gastriche sono molto comuni nel gatto.
Il segno clinico più frequente è il vomito, ma non dimentichiamo che questo sintomo può anche essere associato a malattie intestinali e extra-intestinali quali i disordini
epatici, genito-urinari, pancreatici e neurologici, peritonite,
ipocorticosurrenalismo, chetoacidosi diabetica, farmaci e
tossine. Per quanto riguarda la farmacologia dell’emesi
sottolineiamo l’importanza di alcuni recenti studi che hanno consentito un passo avanti nell’approccio terapeutico
del vomito nei piccoli animali. Ci riferiamo in particolare
al fatto che fra i vari neurotrasmettitori implicati nella genesi del vomito, pare che alcuni rivestano un ruolo più importante di altri. In particolare i recettori D2-dopaminergici
della zona chemiorecettoriale scatenante (CRTZ) del gatto
79
NOTE
80
non sembrano rivestire la stessa importanza come mediatori umorali rispetto al cane dove invece risultano meno rappresentati i recettori alfa-adrenergici. Questi dati acquistano un notevole risvolto clinico se si pensa che farmaci antiemetici quali la metoclopramide, considerata essenzialmente un antidopaminergico e di largo impiego nel cane e
nel gatto, in quest’ultima specie vede il suo utilizzo quale
antiemetico umorale quantomeno discutibile. Viceversa la
maggior presenza di recettori alfa adrenergici nella CRTZ
del gatto indirizzano il clinico verso una maggior efficacia
degli antagonisti alfa-adrenergici quali i promazinici (ad
es. clorpromazina). Infine è stata dimostrata la presenza di
istamina e recettori H1 e H2–istaminergici nella CRTZ del
cane, ma non del gatto. L’istamina è quindi considerato un
potente emetico nel cane mentre i felini sembrano risultare
particolarmente resistenti al suo effetto.
Altri segni clinici associati alle malattie gastriche sono
l’anoressia, la nausea, la pica e il dimagramento. Le caratteristiche del vomito possono essere di estremo aiuto al clinico nell’identificazione dell’origine del sintomo (ad es.
vomito di tricobezoari) così come la comparsa di melena
può orientare verso una emorragia a carico dello stomaco o
del tratto intestinale superiore.
L diagnosi delle malattie gastriche si basa su un approfondito esame clinico che di solito risulta scarsamente significativo se si eccettuano i casi in cui corpi estranei o masse gastriche possono essere riconosciute alla palpazione.
Una particolare attenzione deve essere riservata alla visita
del cavo orale e soprattutto nella regione sublinguale per la
repertazione di corpi estranei lineari che nel gatto appaiono
una frequente e grave causa di vomito. Nei casi di vomito
particolarmente severo con compromissione dello stato generale, risulta opportuno approfondire l’esame clinico con
indagini ematobiochimiche e urinarie complete al fine di
escludere la presenza delle patologie più sopra menzionate
frequentemente causa di vomito nel gatto. Tali indagini forniranno inoltre un utile indicazione dello stato di idratazione
e dell’assetto elettrolitico (ipokaliemia) che rappresentano
una frequente complicazione metabolica del vomito.
Anche l’esame delle feci può risultare utile nella diagnosi di parassitosi (Ascaridi e Ollulanus tricuspis). La
diagnostica per immagini è di estrema utilità nel completamento diagnostico. Ricordiamo le radiografie dell’addome
dove elementi quali la ritenzione di cibo dopo 12 ore dal
pasto può far suggerire la presenza di ostacoli meccanici al
deflusso pilorico o un rallentamento della motilità gastrica.
Tuttavia l’indagine più utile nella diagnosi di malattie gastriche rimane l’esame endoscopico che consente una completa visualizzazione dell’organo e ne permette la campionatura bioptica che deve sempre essere ottenuta anche in
assenza di lesioni macroscopicamente rilevabili. Dal momento che, come verrà ribadito in seguito, spesso il vomito
costituisce l’unico e precoce segno di coinvolgimento cronico del piccolo intestino, durante l’esecuzione della gastroscopia si dovrebbe sempre cercare di ottenere biopsie
anche dal tratto prossimale del tenue.
La GASTRITE ACUTA è più frequente nel cane ed è
probabilmente da imputare al fatto che il gatto per natura
ha abitudini alimentari più meticolose e selettive.
La GASTRITE CRONICA è invece un reperto che si
può riscontrare in corso di malattie infiammatorie croniche
del piccolo intestino e nell’ipertiroidismo.
Per quanto riguarda le lesioni ulcerative non esistono
particolari note distintive nel gatto. Come nel cane, possono riconoscere cause quali somministrazione di farmaci
antinfiammatori, stress, mastocitomi, gastrinomi, malattie
epatiche e insufficienza renale.
La diagnosi si basa ancora una volta su un accurato esame clinico arricchito da una dettagliata anamnesi e
sull’esito degli esami ematobiochimici e urinari completi
che volta per volta metteranno in evidenza gli eventuali
coinvolgimenti d’organo o d’apparato (rene, tiroide, intestino). In alcuni casi la diagnosi definitiva viene ottenuta
sui campioni bioptici ottenuti mediante endoscopia.
La terapia si basa sul controllo della causa primaria e
dalla protezione della barriera gastrica mediante farmaci
antiacidi e citoprotettivi (vedi Tabella 1)
NOTE
MALATTIE INTESTINALI
La diarrea è uno dei segni più comunemente riscontrati
in corso di patologie intestinali (anche se può essere una
manifestazione di patologie extraintestinali) e la raccolta
anamnestica e l’accurato esame clinico sono di fondamentale importanza per determinare la durata, la sede del problema (piccolo v/s grosso intestino), la gravità della malattia, valutare la presenza di eventuali malattie sottostanti extraintestinali e identificare eventuali fattori predisponesti
(dieta, ambiente, etc.)
81
NOTE
82
La diarrea acuta è più frequente rispetto alle forme croniche ma probabilmente, se si eccettuano le forme infettive, ricorre più raramente rispetto all’analoga forma del cane. Ancora una volta le diverse e peculiari abitudini alimentari rendono più improbabili il ricorrere del grosso capitolo degli errori alimentari. La maggior parte delle situazioni in cui si manifesta diarrea acuta sono autolimitanti o
comunque facilmente risolvibili, tuttavia altre forme possono essere fulminanti e pericolose per la vita quali la panleucopenia, la presenza di un corpo estraneo lineare e le
paratopie. Se si eccettua il limitato numero di casi gravi
(marcata disidratazione, virus, batteri, paratopie), di solito
non è necessario ricorrere a valutazioni diagnostiche approfondite.
Non dimentichiamo che nel gatto, accanto a virus quali
parvo, corona, FeLV e FIV anche alcuni batteri sono responsabili di sindromi diarroiche acute o croniche. Fra
questi ricordiamo la Salmonella spp, il Campyolobacter
jejuni e la forma alimentare di tubercolosi descritta in gatti
alimentati con latte infetto e presentanti un quadro clinico
sovrapponibile a un linfosarcoma intestinale.
La sindrome da malassorbimento, piuttosto comune nel
gatto in seguito a processi infiammatori cronici e neoplastici diffusi intestinali, insufficienza pancreatica e ipertiroidismo si manifesta solitamente con feci voluminose associate a dimagrimento e ad appetito variabile (da anoressia
a polifagia).
Le patologie infiammatorie del grosso intestino (più
frequenti nel cane che nel gatto e causa di diarrea cronica
in assenza di malassorbimento) tendono a produrre piccole
quantità di feci contenenti sangue fresco e muco, associate
a tenesmo e frequenti defecazioni. Tenesmo e ripetuti insuccessi nella defecazione possono invece far sospettare
una costipazione nel colon che nel gatto a volte sfocia e/o
accompagna il megacolon.
Anoressia, vomito e dimagramento sono segni che
spesso si associano alla diarrea cronica del piccolo intestino. In alcuni gatti il vomito saltuario contenente o meno
materiale alimentare può rappresentare l’unico e precoce
segno di un coinvolgimento infiammatorio cronico della
parete intestinale.
La ridotta mole e la minor tensione della parete addominale in questa specie, rendono il contenuto addominale
più facilmente apprezzabile e facilmente distinguibile alla
palpazione che quindi acquista in questa specie una pecu-
liarità diagnostica clinica diretta di particolare rilievo soprattutto nell’individuare anormalità come la presenza di
fluidi, gas e ispessimenti a carico delle anse intestinali, fecalomi, neoformazioni, aumento di volume dei linfonodi
mesenterici o ascite.
Le patologie intestinali croniche più frequentemente
rappresentate nel gatto sono le malattie infiammatorie del
piccolo intestino e, in seconda battuta il linfoma alimentare.
Non dimentichiamo che nel gatto le manifestazioni gastroenteriche più sopra menzionate possono comparire anche nei soggetti FeLV e/o FIV positivi per cui nell’ambito
dell’approccio diagnostico queste due malattie devono
sempre essere tenute in debita considerazione.
Un discorso a parte merita il capitolo, ancora molto dibattuto, sulle allergie alimentari.
Nel gatto le manifestazioni cliniche spesso coinvolgono
contemporaneamente l’apparato digerente e quello cutaneo
(dermatite miliare, prurito, alopecia). Nell’ambito dell’apparato gastroenterico i sintomi più frequentemente osservati sono la diarrea del grosso intestino e il dimagrimento
(Guilford et al., 2001), al contrario del cane dove le manifestazioni dominanti sono quelle a carico del piccolo intestino con grave malassorbimento come avviene nella forma classica di allergia alimentare legata al glutine segnalata soprattutto nel setter irlandese (Hall and Batt, 1990).
NOTE
MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE INTESTINALI
(IBDs)
Il termine IBD si riferisce unicamente a delle alterazioni istologiche piuttosto che a una precisa malattia e descrive quindi soltanto una infiltrazione patologica della mucosa intestinale da parte di cellule infiammatorie o immunocompetenti. Possono essere coinvolti anche lo stomaco e/o
il grosso intestino.
L’IBD è considerata la causa più comune di vomito e
diarrea cronici sia nel gatto che nel cane (Guilford, 1996).
C’è spesso la errata tendenza a considerare le IBD come una diagnosi definitiva mentre invece rappresentano
soltanto una manifestazione istologica di svariate cause
note e non quali l’ipertiroidismo felino, l’insufficienza renale, l’allergia o l’intolleranza alimentare, alcune malattie
infettive (FeLV, FIV, toxoplasmosi), parassitosi intestinale
(Anchilostomi, Trichuri, Giardia), proliferazione batterica
del piccolo intestino (soprattutto nel cane e ritenuto raro
nel gatto) e neoplasie.
83
NOTE
84
Si può parlare di malattia infiammatoria cronica idiopatica solo quando nessuna di queste eziologie viene identificata.
I meccanismi eziopatogenetici non sono chiari e tuttora
oggetto di studi sia in medicina veterinaria che umana; vari
autori sono però concordi nell’affermare che nella patogenesi siano coinvolti il sistema immunitario mucosale, la
predisposizione genetica e i fattori ambientali (es. fenomeni di ipersensibilità verso antigeni presenti nel lume o nella
mucosa intestinale come parassiti, batteri e principi nutritivi) (Jergens, 1999).
Queste malattie vengono classificate in base al tipo di
infiltrato cellulare:
1) enterocolite linfoplasmocitaria (LPE); rappresenta la
forma più comune di IBD sia nel cane che nel gatto con
una spiccata predisposizione di razza (Boxer, Pastore
tedesco, Basenji e gatti Siamesi) (Jergens et al., 1992;
Guilford, 1996).
2) Enterocolite eosinofilica (EE): è meno comune della
LPE ed è più frequente nel cane che nel gatto (Jergens,
1999). Nel gatto l’EE può presentarsi in associazione
alla sindrome ipereosinofilica (Moore, 1981). La sindrome eosinofilica è una malattia poco comune che colpisce i gatti di media età ed è caratterizzata da anoressia, vomito diarrea spesso emorragica e marcato ispessimento dell’intestino con eosinofilia periferica e spesso infiltrazione di queste popolazioni cellulari anche in
altri organi (fegato, milza, linfonodi meseraici, cuore,
fegato). Al contrario di quanto avviene nel cane con enterite eosinofilica, questa forma nel gatto risulta particolarmente insensibile alla terapia per cui la prognosi di
solito è da riservata a infausta.
3) Colite suppurativa cronica, molto comune nel gatto, è
l’unica forma di malattia cronica infiammatoria intestinale nella quale predomina la componente neutrofilica
(Guilford, 1996).
4) Enterocolite granulomatosa: è una rara forma descritta
primariamente nel cane (Van Kruiningen, 1976; Wilcox, 1992), ma che colpisce anche se in minor misura il
gatto, caratterizzata dalla presenza di aggregati transmurali di istiociti non PAS-positivi soprattutto a carico
dell’ileo e colon. La terapia combinata chirurgica (enterectomia) e medica (corticosteroidi) ha fornito risultati
contrastanti.
5) Colite ulcerativa istiocitaria cronica: è una variante delle IBDs caratterizzata da un infiltrato infiammatorio mi-
sto con istiociti PAS- positivi che colpisce quasi esclusivamente la razza Boxer ed è stata segnalata solo una volta nel
gatto (Van Kruiningen and Dobbins, 1979).
Da uno studio condotto nel 1992 (Jergens et al., 1992)
su 84 casi di IBD è emerso che le lesioni infiammatorie nel
gatto si localizzano prevalentemente a livello del duodeno,
seguito dal colon e dallo stomaco. Nel cane le sedi più colpite, in ordine di frequenza, sono il colon, il duodeno e in
ultimo lo stomaco. Questi dati confermano infatti la prevalenza nel gatto con IBD di sintomi clinici associabili a malattia del piccolo intestino (anoressia e dimagramento),
mentre il cane più spesso si presenta con tenesmo, ematochezia e muco nelle feci.
Ancora una volta riteniamo importante sottolineare la
stretta correlazione esistente fra patologie croniche intestinali (IBD), pancreatiche e malattie epatiche che enfatizzano la complessa e peculiare natura delle malattie gastrointestinali nella specie felina.
Per quanto riguarda la diagnosi, utili dati possono essere ricavati dalla valutazione del profilo emato-biochimico e
urinario completo. Da questi esami si possono trarre utili
elementi che possono costituire momento di ulteriore approfondimento diagnostico. La microcitosi può indicare
una carenza di ferro come in corso di emorragia del tratto
gastrointestinale oppure uno shunt porto sistemico. La macrocitosi accanto ad un indice di eritro-rigenerazione può
suggerire l’ipertiroidismo o la FeLV. L’eosinofilia a volte è
correlata a forme di parassitismo o di gastroenterite eosinofilica. Una eosinofilia di modesta entità non è un reperto
raro nel corso di alcune enteropatie croniche e probabilmente è interpretabile quale espressione della ipotizzata
origine immunomediata di numerose forme di enteropatie.
La presenza di neutrofilia può suggerire una malattia infiammatoria, mentre la linfopenia è più indicativa di uno
stato d’immunodeficienza (Parvovirosi) o di linfangiectasia. Infine la panipoproteinemia potrebbe essere espressione di una enteropatia proteino-disperdente che seppur non
comune nel gatto, compare come segno di grave compromissione della permeabilità intestinale soprattutto nel
linfoma alimentare.
Un profilo biochimico completo ed un accurato esame
delle urine può essere utile per escludere processi morbosi
extraintestinali e metabolici che possano essere causa della
diarrea (insufficienza renale o epatica, ipoadrenocorticismo, ipertiroidismo). In queste due ultime endocrinopatie
NOTE
85
NOTE
86
la diagnosi viene ottenuta mediante la valutazione delle
funzioni tiroidea (determinazione del T4) e pur nella rara
evenienza nel gatto di un morbo di Addison, attraverso la
valutazione della cortisolemia prima e dopo stimolazione
con ACTH.
Anche in questo caso è di notevole importanza l’effettuazione di un esame approfondito delle feci al fine di verificare l’eventuale ruolo operato da parassiti intestinali (soprattutto da quelli del genere Giardia e Criptosporidi) e/o
da microrganismi batterici (Campylobacter spp, Salmonella spp., Clostridium spp. etc). Dal momento che le spore di
Clostridium spp. sono state isolate anche in gatti clinicamente sani, sarebbe opportuno ricercare le endotossine
(metodica Elisa e di agglutinazione).
Gli esami radiologico e ultrasonografico sono indicati
soprattutto negli stati subocclusivi intestinali. L’esame radiologico non è utile nella diagnosi delle IBD.
In particolare l’esame ultrasonografico è forse l’indagine collaterale in grado di fornire i dati più attendibili in ordine allo stato dell’intestino, linfonodi, fegato e pancreas.
Questa indagine assume ancora più importanza se si considera la stretta correlazione esistente fra patologie pancreatiche, intestinali ed epatiche recentemente documentate nel
gatto. L’esame ecografico può mettere in evidenza un
ispessimento della parete intestinale e/o un modico ingrossamento dei linfonodi meseraici in corso di IBD (Baez et
al., 1999).
Trattando di ecografia riteniamo opportuno ricordare
che questa metodica è utile nella diagnosi precoce di un’altra sindrome del gatto caratterizzata da disoressia, dimagramento, vomito e diarrea cronica del piccolo intestino.
Quest’ultima forma, estremamente rara, è stata osservata
solo nel gatto, cavallo e uomo e viene denominata ipertrofia primaria o idiopatica della muscolatura intestinale
(Guilford and Strombeck, 1996; Cipone et al., 1999). Esistono due forme di ipertrofia della muscolatura liscia intestinale, una primaria ad eziologia ancora sconosciuta e una
secondaria di solito in risposta a fatti stenotici di diversa
natura (anatomica o funzionale). L’indagine ecografia in
questo caso consente di emettere un sospetto di ipertrofia
della muscolatura intestinale attraverso la valutazione
morfologica della parete intestinale (spessore >4 mm con
mantenimento della suddivisione in 5 strati e ispessimento
relativo al solo strato muscolare).
Infine, l’esame endoscopico con la biopsia intestinale
rappresenta la diagnosi spesso definitiva. Dal momento che
solo il 50% dei gatti con IBD esaminati da alcuni Autori
(Baez et al., 1999) presentavano lesioni macroscopicamente evidenti durante l’endoscopia (eritema, placche, friabilità della mucosa), si raccomanda di effettuare biopsie
multiple dello stomaco e dell’intestino tutte le volte che si
effettua una indagine endoscopica.
Altri test laboratoristici utili nella diagnosi delle patologie croniche intestinali sono dati dalla determinazione
combinata dei folati e della cobalamina sierici in grado di
fornire utili informazioni sulla capacità assorbitiva del tenue. Infatti studi hanno messo in evidenza l’analogo meccanismo di assorbimento per la cobalamina sia nell’uomo
che nel cane e nel gatto. L’assorbimento infatti di queste
vitamine da parte del tenue avviene in maniera differenziata: probabile trasporto attivo a livello della porzione prossimale per i folati e, previa complessazione con il fattore intrinseco a livello della porzione distale per la cobalamina.
Bassi valori di folati sierici nel gatto indicano sempre un
danno significativo della porzione prossimale del tenue
(atrofia dei villi, infiltrazione cellulare della parete) ma anche il 50% dei gatti con IPE presenta analoghe riduzioni
contrariamente a quanto accade nel cane. Questo diverso
comportamento può essere spiegato non tanto da una influenza dell’IPE sull’assorbimento dei folati quanto piuttosto dalla concomitante presenza di una patologia del tenue
prossimale da moderata a grave. Ridotte concentrazioni
sieriche di cobalamina sono reperto relativamente frequente sia in corso di un interessamento del tratto distale del tenue che di stati di IPE. In quest’ultimo caso, il comportamento della cobalamina viene spiegato con il frequente riscontro di lesioni pancreatiche associate ad alterazione del
tenue.
Valori particolarmente bassi di cobalamina, spesso al di
sotto del limite di lettura, sono stati osservati in corso di
linfoma e la correlazione con ridotti valori dei folati denuncia l’interessamento di tutto il tratto intestinale e ne indica quindi la gravità (Simpson et al., 2001)
Questi dati indicano che probabilmente il gatto possiede un rapidissimo turnover della cobalamina a confronto
dell’uomo e forse del cane e quindi è particolarmente sensibile ad una carenza di questa vitamina. In conclusione,
nel gatto il rilievo di bassi valori di cobalamina e/o folati
assume un significato altamente specifico per la presenza
di una patologia intestinale e/o pancreatica.
NOTE
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NOTE
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Ancorché indici di funzionalità intestinale, la determinazione dei folati e della cobalamina, qualora ridotti rispetto ai valori normali, possono fornire al clinico un utile indirizzo terapeutico. È stato infatti osservato che la carenza
di cobalamina e/o di folati può causare anoressia, dimagrimento, diarrea, pica e alterazione del pelo (opaco, mal adagiato e untuoso). Nell’uomo e nel cane (Boari et al., dati in
corso di pubblicazione) quadri carenziali analoghi sono in
grado di provocare anemia megaloblastica, atrofia dei villi
con secondario malassorbimento dei folati, grassi e xilosio.
Sebbene questo comportamento non sia stato ancora documentato nel gatto, è ragionevole sospettare la possibile
evenienza di conseguenze analoghe anche in questa specie.
Non è raro infatti in gatti con malassorbimento del piccolo
intestino non assistere a miglioramento alcuno a seguito di
protocolli terapeutici basati sul cambio della dieta, prednisone e/o antibiotici fino a che non viene corretto il deficit
di cobalamina e/o folati.
Nel gatto il range fisiologico di folati sierici si pone entro valori nettamente più alti rispetto al cane a motivo
dell’elevato numero di batteri normalmente presenti nel
tratto prossimale del tenue, tuttavia il rilievo di valori di
folati sierici aumentati è piuttosto raro. Questo inusuale
comportamento dei folati può essere osservato nell’emolisi, mentre la correlazione con una eventuale proliferazione
batterica del piccolo intestino (SIBO), evenienza piuttosto
comune nel cane, non è stata ancora dimostrata nel gatto
dove infatti si ritiene sia di estrema rarità nelle forme non
occlusive (Johnston et al., 2001).
La terapia dell’infiammazione intestinale cronica idiopatica è rappresentata dalla combinazione fra alimentazione (dieta ad eliminazione che prevede l’utilizzo di nuove
fonti proteiche, alimenti altamente digeribili e a basso tenore lipidico), somministrazione di farmaci antinfiammatori e immunosoppressivi (prednisolone o prednisone) e
antibiotici (Tab. 1).
Nel gatto, fermo restando il concetto generale che l’uso
dei farmaci antimicrobici deve essere effettuato con estrema cautela per evitare tra l’altro di provocare squilibri della flora intestinale, l’uso di questi farmaci nelle IBD è tuttavia ancora controverso.
Per effetto di meccanismi non ancora noti ma che potrebbero andare sotto la definizione di “enteropatie che rispondono agli antibiotici”, l’uso di questi farmaci in una
specie come il gatto, dove non pare ancora essere stata do-
Tabella 1
Farmaci utilizzati nella gastroenterologia felina
Farmaco
Dose
Acido deidrocolico
10-15 mg/kg
Acido ursodesossicolico 10-15 mg/kg
Alluminio idrossido
50-100 mg
0,5 ml/kg
Amoxicillina
10-20 mg/kg
Bisacodile
5 mg/capo
Via
Intervallo
Cimetidina
5-10 mg/kg
10 mg/kg
Clorpromazina
(antiemetico)
Cobalamina
Dioctil sodio
solfosuccinato
Enrofloxacin
Famotidina
0,2-0,4 mg/kg
12 ore
24 ore
4-6 ore
4-6 ore
8 ore
24 ore, sec.
necessità
PO
6-8 ore
IV infusione 6 ore
lenta
SC
8 ore
100-250 ug/capo
15-30 mg/kg
SC, IM
PO
1 settimana
12-24 ore
5 mg/kg
0,5 mg/kg
12 ore
12-24 ore
0,25-5 ml/capo
5-10 ml diluito
1:3 con acqua
0,1-0,3 mg/kg
0,1-0,3 mg/kg
0,02 mg/kg
1-2 mg/kg
10 mg/kg
2-5 µg/kg
10-20 mg/kg
5 mg/kg
0,7 mg/kg
10-20 mg/kg
1,1 mg/kg
PO, IV lenta
PO, SC, IM,
IV lenta
PO
Rettale
6 ore
12 ore
PO
PO, SC, IM
IV infusione
IV infusione
PO, IV
PO
PO
PO
PO
PO
PO
12-24 ore
8 ore
1 ora
24 ore
12-24 ore
12 ore
12 ore
24 ore
24 ore
12 ore
12 ore
1-2 tsp/capo
PO
sec.
necessità
nel cibo
Ranitidina
0,5-2,0 mg/kg
Sucralfato
Sulfasalazina
0,25 gr/capo
10-20 mg/kg
PO, IV,
IM, SC
PO
PO
Tilosina
Xilazina (emetico)
20 mg/kg
PO
da 0,1 a 0,5 mg/kg IM
Lattulosio
Loperamide
Metoclopramide
Metronidazolo
Misoprostolo
Neomicina
Nizatidina
Omeprazolo
Olsalazina
Prednisone
o Prednisolone
Psyllium
NOTE
PO
PO
PO
PO
PO, SC
PO
8-12 ore
8-12 ore
8-12 ore,
(max 10 gg)
8 ore
una volta
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NOTE
cumentata la SIBO, può trovare in alcuni casi utile indicazione nella pratica clinica.
Gli antibiotici generalmente raccomandati sono il metronidazolo e la tilosina. La durata del trattamento di solito
è di almeno 4 settimane ma a volte può essere necessario
prolungare il periodo e in alcuni casi anche ripetere uno o
più cicli.
Altre condizioni patologiche in cui è indicato il ricorso
ad “antibiotici” è la Giardiasi o comunque qualora vengano isolati dalle feci batteri enteropatogeni quali Salmonella
species e Campylobacter species ed infine in determinate
forme di coliti croniche.
Per quanto riguarda il metronidazolo, accanto all’azione antibatterica svolta primariamente sulla flora anaerobica
del piccolo intestino, è provvisto di proprietà anti-infiammatorie (potente azione inibitrice sull’immunità cellulomediata), antiprotozoarie (soprattutto nei riguardi della
Giardia spp.: nel cane ma non nel gatto!!) e di induttore
enzimatico a livello dell’orletto a spazzola degli enterociti,
che ne fanno un farmaco dotato di elevata efficacia in numerose situazioni di diarrea cronica sia del gatto che del
cane siano esse del piccolo che del grosso intestino. In particolare può essere usato con particolare successo come
singolo agente terapeutico nelle forme lievi di IBD. Ricordiamo che le forme più gravi necessitano comunque di una
terapia combinata con corticosteroidi, consentendo così la
gestione dei casi refrattari e soprattutto una riduzione dei
dosaggi dei glicocorticoidi.
Tuttavia l’uso del metronidazolo nel gatto, soprattutto
nel protocollo terapeutico della IBD è tutt’ora controverso.
Gli Autori ne consigliano l’utilizzo in quelle situazioni in
cui si sospetti comunque la presenza di “enteropatie antibiotico responsive” o comunque di abnormi fermentazioni
intestinali d’origine batterica denunciate da flatulenza, palpazione di anse intestinali ripiene di gas e fluido e diarrea
cronica maleodorante. I benefici effetti spesso riscontrati
nei gatti con diarrea cronica ed imputabili all’azione antibatterica del metronidazolo, potrebbero invece essere dovuti all’azione immunoregolatrice del farmaco.
MEGACOLON
La specializzazione regionale anatomo-funzionale del
colon del gatto implica due principali funzioni: la porzione prossimale (cieco, sfintere ileociecale, colon ascendente e traverso) è responsabile dell’assorbimento di fluidi e
90
del metabolismo microbico mentre la porzione distale (colon discendente, retto e canale anale) è la zona deputata al
deposito delle feci e all’evacuazione. Questa peculiare
specializzazione del colon del gatto è stata attribuita a differenze regionali nel tipo di motilità colonica (Washabau
and Stalis, 1996). Una alterazione della normale motilità
del colon, caratterizzata da una asincronia fra motilità del
colon distale e del retto, da cui dipende il rilassamento recettivo per lo stoccaggio delle feci e il verificarsi delle
contrazioni migranti associate al riflesso della defecazione
esita nella costipazione, evento piuttosto comune nel gatto. Tale costipazione (evacuazione infrequente e difficoltosa di feci) se perdura nel tempo e non risponde ai più
comuni trattamenti medici può sfociare nella stitichezza
ostinata o intrattabile che comporta una permanente perdita delle funzioni motorie del colon e porta alla cosiddetta
sindrome del megacolon idiopatico. Per megacolon si intende una dilatazione o ipertrofia del colon. (Washabau
and Holt, 1999). La forma ipertrofica, si sviluppa a seguito di fratture o stenosi pelviche o per altre forme ostruttive
(tumori, corpi estranei etc). La forma dilatativa rappresenta la fase terminale delle disfunzioni motorie del colon nei
casi idiopatici.
Al contrario del cane dove il megacolon insorge nella
maggioranza dei casi, secondariamente a disturbi di tipo
metabolico-ormonale (es. ipotiroidismo), meccanico, farmacologico e neuromuscolare, nel gatto riconosce solo in
parte cause neurologiche, ortopediche o metaboliche predisponenti mentre la forma più frequente è quella idiopatica
(Washabau and Hasler, 1997).
Secondo un recente studio, il megacolon idiopatico nel
gatto sarebbe legato ad una disfunzione generalizzata della
muscolatura liscia longitudinale e circolare delle porzioni
prossimali e distali del colon, ma non è chiaro se il megacolon è dovuto ad un disturbo primario della muscolatura
liscia, se questa disfunzione è il risultato di una costipazione persistente (Washabau and Stalis, 1996) o se piuttosto si
tratti di una associazione di due o più concause.
Il quadro clinico più spesso osservato è costituito da
tentativi multipli, ripetuti e improduttivi di defecare della
durata di giorni, mesi o anni. Se tale stato si protrae nel
tempo possono comparire anche anoressia, letargia, dimagramento e a volte vomito.
I reperti desumibili all’esame clinico rispecchiano la
causa primaria e comunque sono caratterizzati da una di-
NOTE
91
NOTE
92
stensione variabile del colon che, qualora marcata, può essere confusa con neoplasie del colon, linfonodi o altri organi addominali. Nei gatti con disautonomia possono essere presenti altri segni clinici quali incontinenza urinaria, rigurgito causato dal megaesofago, midriasi, lacrimazione
diminuita, prolasso della terza palpebra e bradicardia.
L’esame clinico deve comprendere, previa opportuna sedazione, una accurato esame digitorettale per escludere la
presenza di stenosi su base anatomica scheletrica e non
(fratture, iperparatiroidismo nutrizionale nei giovani gatti e
masse o processi flogistici a carico dell’ultimo tratto del
colon). Il tenesmo cronico può essere associato a ernia perianale. In ultimo anche l’esame neurologico deve essere
condotto soprattutto alla luce di alterazioni della porzione
caudale del midollo.
La diagnosi laboratoristica comprende un profilo ematobiochimico completo volto soprattutto a escludere situazioni quali ipokaliemia, ipercalcemia e disidratazione. Anche l’esplorazione della tiroide merita un cenno in quanto
pur estremamente rara evenienza in corso di ipotiroidismo
acquisito, il megacolon è stato segnalato nella forma congenita o giovanile di questa endocrinopatia del gatto.
L’indagine radiografica sarà utile per valutare l’eventuale entità della dilatazione, fratture, presenza di corpi estranei o altro materiale radiopaco endoluminale, fratture o lesioni midollari. Ancora lesioni localizzate all’ano e colon e
di natura infiammatoria o neoplastica possono essere opportunamente osservate mediante l’esame colonoscopico.
Per quanto riguarda la terapia, il protocollo dipende essenzialmente dalla gravità della costipazione e/o dalla
eventuale causa sottostante.
L’armadietto farmaceutico a disposizione del veterinario in caso di costipazione del grosso intestino varia dalle
formulazioni in supposte di prodotti a base di glicerina e di
dioctil sodio sulfosuccinato a enemi (soluzioni saline tiepide, olio minerale o lattulosio) fino ai vari tipi di lassativi
orali (emollienti, di massa, lubrificanti, iperosmotici, stimolanti e procinetici) (Tab. 1).
Un discorso a parte meritano i farmaci procinetici
quali il cisapride. Studi condotti da vari autori (Hasler
and Washabau, 1997) hanno dimostrato la sua efficacia
nello stimolare in vitro e in vivo la contrazione della muscolatura liscia del colon anche se mancano dati conclusivi sulla sua azione in vivo sulla motilità propulsiva colonica. Il cisapride si è dimostrato utile nel controllo della
costipazione da lieve a moderata mentre nei casi di grave
megacolon è difficile che vengano ottenuti miglioramenti
significativi. Nei casi lievi il dosaggio varia da 0,1-05
mg/Kg tid o bid po per arrivare fino a 1 mg/Kg tid o bid
os nei casi più gravi.
Altri farmaci, classificati fra gli antagonisti dei recettori
H2 (ranitidina e nizatidina) (Tab. 1), sono in grado di stimolare la motilità del colon attraverso un meccanismo di
inibizione della acetilcolinesterasi sinaptica. Il ricorso ai
due sopracitati farmaci è consigliato in quei pazienti costipati che non hanno presentato alcuna risposta al cisapride.
Qualora la terapia medica non sia in grado di riportare
il colon alle normali funzioni motorie è consigliabile ricorrere alla colectomia (Rosin et al., 1988) Solitamente, la
prognosi relativa alla guarigione in seguito all’intervento
chirurgico è abbastanza favorevole. Talvolta si verifica una
diarrea che può durare da settimane a mesi, in altri casi si
osserva la ricomparsa di costipazione.
NOTE
NEOPLASIE
I tumori intestinali del gatto si riscontrano più frequentemente a carico dell’intestino tenue, mentre nel cane le
sedi più colpite sono il colon e il retto. La neoplasia gastroenterica più comune nel gatto è il linfoma alimentare
che rappresenta anche il più frequente tumore gastrico in
questa specie, seguito dagli adenocarcinomi e dal mastocitoma (Brodey, 1966; Birchard et al., 1986; Straw, 1996).
Nel cane l’adenocarcinoma gastrointestinale è molto frequente, mentre per i linfomi anche se ritenuti abbastanza
rappresentati in questa specie, la localizzazione intestinale
è una delle forme meno comuni (la più frequente è quella
multicentrica) (Madewell and Theilen, 1987).
Il linfoma alimentare colpisce prevalentemente gatti anziani con una sempre più infrequente positività alla FeLV e
con una preferenziale localizzazione nel piccolo intestino
(Fondacaro et al., 1999).
L’adenocarcinoma colpisce ugualmente gatti anziani
(soprattutto il Siamese) e si localizza prevalentemente
nell’ileo, digiuno e regione ileocecale, a differenza del cane in cui la localizzazione più frequente è a carico del
grosso intestino e duodeno (Turk et al., 1981; Birchard et
al., 1986; Kosovsky et al., 1988).
Per ulteriori informazioni sulle neoplasie gastrointestinali del gatto si rimanda il lettore alla specifica relazione
sull’argomento contenuta in questo volume.
93
NOTE
MALATTIE DEL PANCREAS ESOCRINO
PANCREATITE
La classificazione delle pancreatici nel gatto deriva dal
sistema adottato in medicina umana. Vengono distinte pancreatiti acute e croniche in funzione delle alterazioni istopatologiche del tessuto e quindi della reversibilità o meno
del processo. La forma acuta può essere distinta come
quella condizione patologica che risulta completamente reversibile dopo l’avvenuta rimozione della causa. D’altro
canto, le pancreatiti croniche sono caratterizzate da un processo infiammatorio di lunga durata associato a mutamenti
irreversibili del parenchima quali la fibrosi. Le suddette
forme non possono essere differenziate clinicamente e possono decorrere entrambe in forma lieve o grave anche se la
prima è più una prerogativa delle pancreatiti croniche e la
seconda di quelle acute.
Tradizionalmente la pancreatite nel gatto è stata sempre
considerata una patologia rara e comunque molto meno
comune che nel cane. Tuttavia in uno studio del 1990 Hünichen e Minkus hanno però documentato che l’1,3% di
6504 gatti esaminati alla necroscopia mostravano segni di
lesioni pancreatiche, contro l’1,7% di 9342 cani testati nello stesso lavoro. Se si valuta un altro studio condotto su
180.648 felini, solo lo 1027 (0,57%) di questi soggetti è
stato diagnosticato come affetto da patologia del pancreas
esocrino. Questa discrepanza fra i dati clinici e anatomopatologici dimostrano come in realtà le patologie pancreatiche ricorrano con una incidenza quasi sovrapponibile a
quella del cane, ma che vengono riconosciute con molta
difficoltà.
Il motivo per cui la pancreatite nel gatto è poco diagnosticata in vivo, a fronte delle sempre più numerose positività agli esami bioptici e/o necroscopici, è da imputare soprattutto alla aspecificità e transitorietà della sintomatologia e alla mancanza (almeno fino a qualche anno fa) di test
dotati di alta sensibilità e specificità per questo organo.
Le cause di pancreatite nel gatto sono tuttora sconosciute e quindi classificate come idiopatiche. Ci sono sicuramente delle patologie e dei fattori di rischio scatenanti
quali: il trauma da incidente stradale e “high rise syndrome”; lo shock o l’ipotensione durante l’anestesia che possono indurre ipoperfusione dell’organo, ischemia e necrosi; l’intossicazione da organofosforici; agenti infettivi quali
il parvovirus felino e il Toxoplasma gondii. Biopsie effet-
94
tuate su gattini morti di panleucopenia hanno messo in evidenza la presenza del virus e delle lesioni nelle cellule
pancreatiche, ma senza alcun segno di infiltrazione infiammatoria del parenchima e soprattutto senza segni clinici di
pancreatite (VonSandersleben et al., 1983). Il ruolo
dell’Herpesvirus felino e del Coronavirus della FIP sono
ancora oggetto di studio, anche se gli Autori hanno osservato 2 casi di FIP essudativa associati a lesioni infiammatorie pancreatiche (dati non pubblicati). Resta comunque
da verificare se tali lesioni siano indotte direttamente dal
virus o piuttosto siano l’espressione e la conseguenza della
grave peritonite causata dal virus. Il reflusso duodenale/biliare può essere causa di pancreatite nel gatto soprattutto
quando la bile è arricchita di batteri e contemporaneamente diviene insufficiente il meccanismo antireflusso. Questo
può verificarsi tutte le volte che la pressione duodenale sovrasta quella del dotto pancreatico come avviene dopo il
pasto, nel vomito e dopo un trauma al duodeno (Arendt,
1993). Il complesso colangite-colangioepatite viene osservato spesso in concomitanza alla pancreatite felina, ma
sembra esserne più l’effetto che la causa (Weiss et al.,
1997).
I segni clinici più comuni, in ordine di frequenza, sono
rappresentati da letargia, anoressia, disidratazione e ipotermia; mentre il vomito e il dolore addominale, sintomi dominanti la pancreatite del cane e dell’uomo, sono risultati
poco frequenti (Hill and Van Winkle, 1993).
È possibile che alcuni casi decorrano in forma subclinica e altri mostrino segni lievi e transitori che possono sfuggire al proprietario.
È importante sottolineare come nel gatto la pancreatite
cronica non deve considerasi una entità patologica unica,
ma piuttosto deve essere intesa come una manifestazione
di una sindrome più complessa che coinvolge contemporaneamente fegato (colangite/colangioepatite, lipidosi epatica), intestino (IBD), (Weiss et al., 1996) e in ultimo la porzione endocrina pancreatica (diabete mellito). Questo particolare comportamento sottolinea ancora una volta la
stretta correlazione che esiste in questa specie tra il sistema
epato-biliare, il pancreas e il duodeno.
La diagnosi di pancreatite nel gatto risulta molto difficoltosa e anche gli esami ematobiochimici risultano spesso
solo lievemente alterati e in maniera non specifica.
I parametri epatici si modificano in funzione soprattutto
della lipidosi epatica secondaria o per il coinvolgimento
NOTE
95
NOTE
96
delle vie epatobiliari. La glicemia subisce un innalzamento
transitorio, come avviene anche nel cane, eccezion fatta
per i casi di pancreatite suppurativa dove spesso si sviluppa ipoglicemia (Hill and Van Winkle, 1993).
Diversamente dal cane, la determinazione dell’amilasi e
lipasi sierica nel gatto non è utile ai fini diagnostici. Diversi studi hanno infatti dimostrato che, in molti casi di pancreatite, questi due enzimi rimangono nei range di riferimento, o che l’amilasemia è ridotta (Kitchell et al., 1986;
Parent et al., 1995), a differenza di quanto accade nel cane
dove entrambe le attività enzimatiche sieriche spesso sono
aumentate.
Mentre l’indagine radiologica rimane ancora una metodica dotata di scarsa sensibilità e specificità, l’ecografia
addominale sta assumendo una importanza diagnostica di
notevole rilievo (Saunders, 1991).
Un test recentemente introdotto anche nel gatto per la
diagnosi della pancreatite è la determinazione dell’immunoreattività tripsinosimile felina (fTLI) messa a punto da
Steiner e Williams nel 1996. I dati a tutt’oggi disponibili in
merito al rapporto fra fTLI e pancreatite sono ancora molto
limitati e controversi. Secondo alcuni autori (Swift et al.,
2000) i valori del fTLI sono scarsamente correlabili alla
diagnosi istopatologica di pancreatite nel gatto. Infatti sono
stati osservati aumenti consistenti del fTLI in soggetti portatori di gravi enteropatie croniche pur in assenza di qualsiasi coinvolgimento pancreatico e viceversa livelli normali
di fTLI in soggetti portatori di gravi pancreatici acute necrotizzanti. Falsi negativi e falsi positivi sono stati riportati
anche da Parent e collaboratori (Parent et al., 1995) anche
se ne vantano l’elevata affidabilità diagnostica. Su 7 casi di
pancreatite, diagnosticata istologicamente mediante biopsia laparotomia, gli Autori hanno osservato valori di fTLI
variabili fra 101 e > 500 ug/L laddove Steiner and Williams (2000) indicano come cut off per la diagnosi di pancreatite valori di 100 ug/L (dati personali non pubblicati).
Tuttavia, anche se i dati relativi alla sensibilità e alla
specificità di questo test sono ancora in via di pubblicazione e quindi non disponibili per la consultazione, riteniamo
che dai vari elementi ricavati dalla letteratura e dalla seppur limitata esperienza specifica personale acquisita negli
ultimi anni, appare chiaro che ci sia ancora molto da lavorare prima di trovare un test dotato di una maggior sicurezza diagnostica per le pancreatici nei nostri animali. Tuttavia riteniamo che questo test sierologico sia in grado di
fornire un dato clinico di estrema utilità che deve comunque sempre essere valutato e confrontato con l’insieme di
tutti gli elementi ricavati in sede clinica, laboratoristica e
ultrasonografica. Un altro elemento diagnostico deponente
per una pancreatite è rappresentato dal versamento pleurico e/o addominale che può essere evidenziato sia mediante
indagine radiologica che ecografica.
La diagnosi di certezza di pancreatite nel gatto è comunque fornita dall’esame istologico condotto su biopsia pancreatica effettuata in sede laparotomica o laparoscopica.
In conclusione ci sembra doveroso affermare che data
la complessità del quadro patologico che accompagna la
maggior parte dei casi di pancreatite, e la carenza di test
dotati di sufficiente affidabilità diagnostica, il clinico deve
essere particolarmente cauto nel formulare la diagnosi sulla base dei risultati relativi ad un solo test, ma deve invece
costruire il quadro conclusivo sulla base dei reperti clinici,
laboratoristici, di diagnostica per immagini e dove possibile istopatologici.
Il protocollo terapeutico è, per alcuni aspetti, sovrapponibile a quello utilizzato per il cane (fluidoterapia aggressiva, terapia del dolore e degli altri sintomi). Una differenza
sostanziale nella terapia, tuttora oggetto di studio, è rappresentata dall’introduzione precoce di un alimento ricco
di carboidrati e povero di grassi, al fine di prevenire o controllare la lipidosi epatica; non bisogna infatti dimenticare
che l’anoressia è uno dei sintomi principali ed il vomito è
relativamente infrequente. A tal fine può essere utile il posizionamento di una sonda da digiunostomia o, se l’animale non vomita, una sonda da gastrotomia visto che il completo riposo pancreatico sembra non essere così utile o addirittura controindicato nella risoluzione di questa patologia nel gatto (Steer, 1992). Nel caso in cui l’animale non
tolleri la sonda, si può optare per la nutrizione parenterale.
La profilassi antibiotica, a giudicare dagli esiti delle necroscopie, nelle quali raramente si rinvengono segni di
complicazione batterica, non sembra essere necessaria nel
gatto, fermo restando la necessità di una terapia antibiotica
nei casi di accertata o sospetta presenza di un processo infettivo in corso. Gli antibiotici generalmente raccomandati
sono il metronidazolo, soprattutto per l’attività svolta primariamente sulla flora anaerobica del piccolo intestino, la
tilosina e i chinoloni (enrofloxacin) (Tab. 1). I corticosteroidi possono essere utili solo in caso di shock o nel caso
che una forma lieve di pancreatite cronica sia associata a
NOTE
97
NOTE
IBD (Steiner and Williams, 2000); in tutti gli altri casi sono controindicati perché deprimono la funzionalità del sistema reticolo-endoteliale necessaria per la rimozione delle proteasi captate dalle alpha2-macroglobuline. La somministrazione di plasma o l’emotrasfusione possono essere
utili anche per rimpiazzare le perdite da consumo di queste
importanti globuline ma risultano soprattutto utili nelle
forme acute.
La prognosi sarà diversa e in funzione dell’estensione
della necrosi pancreatica e del coinvolgimento o meno di altri organi ed apparati e comunque, visto il ridotto numero di
casi descritti in letteratura, mancano ancora dati definitivi.
INSUFFICIENZA PANCREATICA ESOCRINA (IPE)
L’insufficienza pancreatica esocrina (IPE) è una sindrome legata all’insufficiente sintesi e secrezione di enzimi digestivi da parte del pancreas esocrino. Nel 90% dei cani
colpiti questa sindrome è legata ad una atrofia acinosa pancreatica idiopatica (PAA) conseguente ad una pancreatite
linfocitaria (Wiberg et al., 1999) che colpisce soprattutto
soggetti giovani e solo raramente coinvolge la porzione endocrina dell’organo (Williams, 1996; Boari et al., 1997).
Nel gatto, come anche nell’uomo, la causa più comune
è invece rappresentata da una pancreatite cronica che può
coinvolgere anche la porzione endocrina pancreatica e
quindi concorrere alla comparsa di diabete mellito (Andriulli et al., 1981; Larsen, 1993).
Come è noto è necessario che almeno il 90% del pancreas venga danneggiato prima che si manifestino i segni
dell’insufficienza pancreatica esocrina. La carenza di enzimi digestivi causa una maldigestione delle macromolecole
alimentari e un malassorbimento anche di mono e disaccaridi, aminoacidi e acidi grassi probabilmente per la mancanza di fattori trofici per l’intestino presenti normalmente
nel succo pancreatico. Questa perdita di principi nutritivi
con le feci causa dimagramento e carenza di vitamine. In
particolare la maggior parte dei gatti con IPE presenta valori di cobalamina sierica significativamente ridotti. Invece
la repertazione frequente di bassi valori di folati sierici in
questi soggetti sarebbe da porre in relazione soprattutto a
concomitanti malattie a carico del tratto prossimale del tenue. Quest’ultimo dato è in contrasto con quanto accade
nell’uomo e nel cane con IPE dove i folati di solito appaiono aumentati per la presenza di una SIBO.
I segni clinici, sovrapponibili a quelli del cane, sono
98
rappresentati da polifagia, diarrea cronica tipica del piccolo intestino e dimagrimento.
La diagnostica per immagini può mostrare segni specifici riferibili alla patologia in discussione qualora, come
spesso accade, consegua ad una pancreatite cronica, mentre tra le indagini laboratoristiche l’unico test dotato di una
elevata specificità per l’IPE nel gatto è il fTLI. Un valore
inferiore o uguale a 8µg/l (range di riferimento: 17-49 µg/l)
è diagnostico di IPE (Steiner and Williams, 2000).
La terapia prevede l’integrazione di enzimi pancreatici
nel pasto (meglio le formulazioni in polvere che quelle in
capsule o compresse), la somministrazione parenterale di
vit B12 (da 100 a 250 ug/capo/settimana sc o im) e una
dieta di mantenimento di alta qualità e basso tenore di fibre
insolubili che interferirebbero con l’attività degli enzimi
pancreatici (Dutta et al., 1983). La terapia antibiotica, in
virtù delle considerazioni sopra fatte, non è indicata se non
in particolari casi di cambiamenti nella flora intestinale o
concomitante IBD. Infine, nella terapia, sono da prendere
in considerazione le eventuali patologie concomitanti come DM, IBD e lipidosi o colangioepatite.
Tenendo presente che il completo recupero è improbabile a causa della irreversibile perdita del tessuto pancreatico, in genere si può assicurare all’animale in terapia e costantemente monitorato una buona qualità della vita.
NOTE
MALATTIE DEL FEGATO
Le particolarità metaboliche ed anatomiche del fegato
del gatto sono la base per la comprensione delle patologie
epatiche tipiche di questa specie. Il deficit relativo di glucuronil transferasi e l’incapacità di sintetizzare arginina,
rendono il fegato di questi animali poco abile, rispettivamente, a metabolizzare farmaci e tossine e a detossificare
l’organismo dall’ammoniaca attraverso il ciclo dell’urea.
La maggior incidenza delle patologie del tratto biliare, rispetto al cane, è invece spesso legata ad una particolarità
anatomica del dotto pancreatico principale che nel gatto si
immette nel dotto biliare extraepatico prima di aprirsi nella
papilla duodenale maggiore tramite un dotto comune. Nel
cane i due dotti si aprono indipendentemente nella papilla
duodenale.
In una indagine condotta negli Stati Uniti, è risultato che
le epatopatie di più frequente riscontro nel gatto sono rap99
NOTE
100
presentate dalla lipidosi epatica (49%), dalle forme infiammatorie (26%) e dalle neoplasie (10%) (Gagne et al., 1996).
Secondo una recente classificazione (Gagne et al.,
1996), le malattie infiammatorie epatiche comprese nella
definizione più ampia di sindrome o complesso colangitecolangioepatite del gatto possono essere divise in due
gruppi in funzione delle caratteristiche istopatologiche: colangioepatiti acute (suppurative) e croniche e epatite linfocitica portale. In entrambi i casi le lesioni coinvolgono il
sistema biliare e tutte le strutture ad esso connesse (triade
portale), a differenza di quanto avviene nel cane nel quale
le malattie epatocellulari sono molto più comuni di quelle
biliari (Bunch, 1998).
I meccanismi eziopatogenetici delle colangioepatiti feline non sono stati ancora chiariti ad eccezione dei casi associati alle forme sistemiche quali la PIF e la toxoplasmosi
(Kauffman, 1994).
È stato ipotizzato che le forme acute originino da una
infezione batterica ascendente le vie biliari con conseguente
infiltrazione neutrofilica periduttale ed epatica di grado variabile. La malattia poi può evolvere in una forma cronica
caratterizzata da diffusa infiltrazione linfocitaria e plasmacellulare, ipertrofia dei dotti biliari e fibrosi periportale. La
cirrosi di solito rappresenta la fase finale della malattia.
Dal momento che alcuni autori hanno trovato inusuale
l’isolamento di batteri dalle forme epatiche acute, si ritiene
che in parte questo aspetto sia da ricondursi ad un precedente utilizzo di antibiotici, alla difficoltà dell’isolamento
di batteri in un liquido dotato di proprietà batteriostatiche
come la bile oppure l’invasione batterica sarebbe soltanto
presente all’esordio della malattia con l’attivazione di meccanismi di risposta immunitaria che perpetuerebbero l’insulto del parenchima epatico anche in assenza della causa
scatenante.
Infine ancora può rivestire una notevole importanza il
ricorrere frequente di IBD (83%) e pancreatiti (50%) che
alterando il sistema biliare predisporrebbero a reflussi di
secrezioni pancreatiche e/o batteri dal duodeno all’albero
biliare. Per quanto riguarda la calcolosi biliare, si ritiene
che essa sia più la conseguenza piuttosto che la causa di
colangioepatiti.
L’epatite linfocitica portale, ritenuta da alcuni autori
(Weiss et al., 1995) entità autonoma molto frequente nei
gatti anziani, secondo alcuni autori potrebbe essere di natura immunologica in virtù del tipico infiltrato infiammato-
rio rappresentato esclusivamente da linfociti e plasmacellule (Jones, 1989; Center and Rowland, 1994).
Nel cane, le malattie infiammatorie non infettive sono invece la categoria più rappresentata fra le epatopatie, seguite
dalle neoplasie epatiche, epatotossicosi e shunts portosistemici (Twedt, 1992). L’epatite cronica canina, rappresentata
da un infiltrato infiammatorio misto che coinvolge il parenchima dell’organo e che spesso evolve in fibrosi, è la più frequente tra le patologie infiammatorie e riconosce diverse
cause, quali: predisposizione genetica (es. l’epatite da accumulo di rame osservata nel Bedlington Terrier ed in altre razze), farmaci, infezioni come la leptospirosi, immunomediate
come nell’epatite cronica attiva idiopatica (Rutgers, 2000).
Per quanto riguarda la sintomatologia delle colangioepatiti del gatto da uno studio retrospettivo (Armstrong et
al., 1996) risulta che i sintomi più frequenti sono anoressia, letargia, vomito, dimagramento e febbre.
La lipidosi epatica (LE)è la più comune malattia epatobiliare dei gatti adulti ed è la causa più frequente di epatopatia dei gatti con ittero. È una sindrome caratterizzata da
un imponente accumulo di lipidi epatocellulari con conseguente danneggiamento della funzionalità epatica. La disfunzione d’organo si manifesta qualora più del 50% del
parenchima epatico venga infiltrato dal grasso (Center,
1996), condizione che in altre specie, compreso il cane,
non porta a conseguenze di rilievo. Il meccanismo patogenetico della LE felina non e ancora chiaro e per questo è
definita idiopatica. C’è sicuramente il coinvolgimento di
più fattori quali il digiuno, l’obesità, carenze nutrizionali
soprattutto proteiche, il deficit relativo di carnitina e l’insulino resistenza, che inducono una aumentata mobilizzazione degli acidi grassi, una loro ridotta ossidazione nei mitocondri e una diminuzione delle lipoproteine a bassissima
densità (Dimski and Taboada, 1995; Dimski, 1997). Al
contrario di quello che si è sempre pensato, l’obesità da sola non sembra sia un fattore in grado di giustificare la comparsa della lipidosi.
Clinicamente l’animale si presenta con una diminuzione di peso e delle masse muscolari preceduti da un periodo
di anoressia di almeno di 10-15 giorni (Biourge et al.,
1994), vomito intermittente, a cui si possono associare ittero e segni di encefalopatia epatica (depressione e ptialismo). Recenti studi hanno dimostrato che nel 50-75% dei
casi la lipidosi epatica può anche apparire in forma secondaria associata a numerose condizioni patologiche (Center
NOTE
101
NOTE
et al., 1993; Center and Warner, 1998). Queste condizioni
includono malattie endocrine (es.ipertiroidismo e diabete),
malattie renali, neoplasie e soprattutto, a causa della aumentata incidenza, colangioepatiti, IBDs e pancreatiti.
DIAGNOSI
La diagnosi dei disordini epatici è resa difficoltosa e comunque ostacolata dalla grande capacità di riserva e di rigenerazione del parenchima epatico che spesso ritarda e maschera il riconoscimento dei segni clinici di patologie anche
gravi. Il quadro sintomatologico è di scarso aiuto nella diagnosi in quanto assolutamente aspecifico perché spesso derivante dal coinvolgimento di altri organi e apparati (pancreas, intestino). Si aggiunga che al fine di poter evidenziare modificazioni laboratoristiche è necessario che le lesioni
siano particolarmente gravi, che colpiscano aree anatomicamente strategiche o comunque siano associate a colestasi.
Lo sviluppo di poichilocitosi (eritrociti di forma irregolare) è un segno comune nel gatto affetto da patologie epatobiliari. Tale alterata forma, in cui gli acantociti rappresentano la quota più significativa, è legata a specifiche alterazioni della membrana eritrocitaria per un alterato rapporto fosfolipidi/colesterolo o per una specifica carenza di
fattori antiossidanti. Un altro aspetto ematologico piuttosto
comune è l’anemia emolitica a corpi di Heinz che consegue di solito a carenza di fosforo o da insulti ossidativi.
Gli enzimi associati con la colestasi, ALP e γGT, sono
associati alle membrane e aumentano nel plasma dopo un
breve periodo di tempo dall’insulto. Entrambi sono presenti in elevata concentrazione nelle zone pericanalicolari
dell’epatocita e delle strutture biliari. Anche se possono essere ritrovati nel rene e nel pancreas, difficilmente tale fonte enzimatica contribuisce ad innalzare significativamente
la loro attività plasmatica, in quanto vengono escreti rispettivamente nelle urine e nel succo pancreatico. Nelle malattie epatobiliari, dei dotti biliari e pancreatici del gatto tipicamente si assiste ad un aumento delle ALP e γGT. Nel
gatto questi due parametri biochimici acquisiscono una notevole importanza e specificità nella diagnosi delle malattie
epatiche in quanto solo l’ipertiroidismo e l’accrescimento
osseo sono in grado di stimolare uno specifico isoenzima
della ALP d’origine ossea. La sola malattia epatica colestatica in cui si assiste ad una discordanza fra le attività
102
della ALP e della γGT è la LE idiopatica dove quest’ultimo enzima si mantiene nei limiti della norma. Tuttavia nella forma di LP secondaria a pancreatite, colangioepatite o
ostruzione extraepatica dei dotti si verifica lo stesso un incremento significativo anche della γGT. Per cui questo parametro può essere impiegato utilmente per la diagnosi differenziale fra lipidosi idiopatiche e secondarie.
In corso di LE idiopatica si assiste inoltre spesso a iperbilirubinemia e ad un aumento della ALT. Anche la valutazione della concentrazione sierica delle globuline può essere d’aiuto per distinguere le forme di LE idiopatica dagli
altri disordini colestatici. Infatti le malattie epatobiliari feline più severe sono associate ad un aumento delle proteine
della fase acuta dell’infiammazione, mentre i gatti con LE
primaria presentano tipicamente una normale concentrazione delle globuline sieriche.
Sebbene la maggioranza dei casi di LP decorra con ittero, l’assenza di iperbilirubinemia non esclude la diagnosi
di LE in quanto l’aumento dell’attività sierica degli enzimi
epatici si manifesta prima dello sviluppo dell’iperbilirubinemia (Center et al., 1993).
Comunque la migliore informazione diagnostica per valutare la funzionalità epatica, in assenza di iperbilirubinemia, è data dalla determinazione degli acidi biliari pre e
post-prandiali. Un loro aumento indica la presenza di colestasi ed è molto più sensibile della bilirubina.
Le coagulopatie sono molto comuni nei gatti con varie
forme di malattia epatica, inclusa la LE. Approssimativamente il 45% dei gatti con LE hanno una o più anormalità
coagulative che possono riflettere una deficienza di vitamina K, diminuita produzione dei fattori della coagulazione
da parte del fegato, o una coagulopatia da consumo (Center et al., 1993; Center and Warner, 1998).
Le indagini radiografiche possono mettere in evidenza
una epatomegalia, mentre l’ecografia addominale è molto
utile sia per escludere un’ostruzione biliare, una massa focale e una pancreatite acuta, che per fornire una guida per
la biopsia epatica che è il mezzo più utile nel fornire una
diagnosi definitiva. Un fegato in preda ad una lipidosi, a livello ultrasonografico mostra un aumento diffuso della
ecogenicità, ma da studi recenti è emerso che questo dato
non è un indicatore specifico e sensibile della LE nel gatto
(Newell et al., 1994; Nicoll et al., 1996).
La terapia per la LE è mirata a bloccare il metabolismo
lipidico e proteico, correggere gli squilibri elettrolitici e
NOTE
103
NOTE
trattare i segni clinici della malattia epatica e delle eventuali condizioni patologiche sottostanti o concorrenti. Un
supporto nutrizionale aggressivo è il fondamento e l’unica
terapia efficace conosciuta per i gatti con LE. La dieta prevede un’alimentazione ad alto contenuto proteico con un
adeguato apporto energetico. In commercio sono disponibili diverse diete formulate per gatti con questo tipo di esigenze e che contengono anche degli elementi essenziali
che questa specie non riesce a sintetizzare quali taurina, arginina (utile per la detossificazione dell’ammoniaca), niacina, acido arachidonico e la vitamina A.
I gatti con i segni di encefalopatia epatica, che deve sempre essere confermata dalla determinazione dell’ammoniemia a digiuno, dovrebbero essere alimentati con una dieta a
basso tenore proteico. In questa condizione è utile somministrare del lattulosio (Tab. 1), per diminuire l’assorbimento di
ammoniaca nel circolo portale, e degli antibiotici (metronidazolo, neomicina o amoxicillina per via orale - vedi Tabella
1) che riducono la flora microbica e quindi la produzione e
l’assorbimento di ammoniaca nel grosso intestino.
Considerato che il gatto con LE è un animale anoressico e che vomita, la somministrazione della dieta è attuabile
tramite un supporto enterico con sonde nasogastriche, esofagee, gastriche o digiunali, in funzione delle necessità.
Durante la fase iniziale di stabilizzazione è importante
idratare e correggere gli squilibri elettrolitici con una fluidoterapia adeguata, e reintrodurre l’alimentazione gradualmente nei primi giorni per minimizzare lo stimolo del vomito. A questa fase ne seguirà un’altra di nutrizione enterale a lungo termine, mediamente 3-6 settimane, finché
l’animale torni ad alimentarsi autonomamente.
Infine è bene notare che il tasso di mortalità associato
alla LE è del 10-40% nei gatti trattati con una terapia nutrizionale aggressiva, contro più del 90% nei soggetti non
trattati aggressivamente (Dimski and Taboada, 1995; Center and Warner, 1998).
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NOTE
107
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Alessandro Bonioli
Med Vet
Libero professionista
Torino
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in anestesiologia
When (and how) the cat is different
from the dog in anaesthesiology
Domenica, 30 settembre 2001, ore 10.45
109
NOTE
Per comodità ho diviso in due parti la trattazione, definendole rispettivamente parte generale, dove vengono fatte
considerazioni ad ampio spettro su alcuni concetti di base,
ed una parte speciale che riguarda le differenze maggiori a
cui noi possiamo trovarci di fronte nell’affrontare l’anestesia di un gatto.
PARTE GENERALE
In anestesiologia, come in molte altre branche della medicina veterinaria, ci rendiamo conto quotidianamente di
alcune differenze che esistono tra il cane ed il gatto. Il problema maggiore diventa focalizzarle e valutarle globalmente per evitare di incorrere in incidenti che potrebbero
essere seri per i nostri pazienti felini. Quando noi somministriamo qualsiasi tipo di farmaco ad un paziente dobbiamo tener presente, che si tratti di un anestetico o altro, sia
le caratteristiche del principio attivo che le caratteristiche
del soggetto. In anestesiologia queste assumono un’importanza fondamentale perché sono in continuo divenire e
soggette a modificazioni che alterano la risposta ai farmaci
utilizzati. Ultimamente, per fortuna, la figura dell’anestesista veterinario sta acquistando importanza in una serie di
circostanze che spaziano dalla semplice sedazione per procedure diagnostiche, all’anestesia vera e propria, sia in situazioni di emergenza che in situazioni “normali” ed alla
delicata questione del controllo del dolore perioperatorio.
Sono quindi sempre più importanti le nozioni tecniche e
farmacologiche che devono essere in possesso per la gestione corretta del paziente.
Vediamo ora quali sono le caratteristiche che deve soddisfare una qualsiasi protocollo anestetico:
1)
2)
3)
4)
Ipnosi (perdita di coscienza)
Analgesia
Miorilassamento
Perdita o mancanza di movimenti riflessi
Dal momento che non esiste un unico anestetico che
racchiuda in sé tutte queste peculiarità ci rendiamo quindi
conto che il miglior metodo per raggiungere questo scopo
sia la scelta di farmaci che in combinazione ci garantiscano tutti questi parametri, fermo restando il concetto che la
depressione cardiovascolare deve essere ridotta al minimo
110
come tutti gli altri effetti collaterali negativi. Questo complica ulteriormente la vita dell’anestesista, soprattutto in
relazione al fatto che la farmacologia, per ciò che concerne
i gatti, è per alcuni principi attivi ancora carente.
Vediamo ora quali sono i criteri di scelta di un protocollo anestetico:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
NOTE
Specie
Razza
Età
Temperamento
Condizioni cliniche
Tipo e durata dell’intervento
Chirurgo
Familiarità con le tecniche
Materiali e personale a disposizione
Questi fattori devono sempre essere considerati quando
ci si avvicina ad un paziente destinato all’anestesia.
Continuando il nostro discorso generale occorre considerare alcuni aspetti che possono influenzare la risposta
dei soggetti e l’azione degli anestetici:
1)
2)
3)
4)
Assorbimento
Distribuzione
Metabolismo
Escrezione
ASSORBIMENTO
Per ciò che riguarda l’assorbimento degli anestetici non
esistono grosse differenze tra il cane ed il gatto, cosa che
invece incomincia ad avere un certo interesse per ciò che
concerne la
DISTRIBUZIONE
Nel gatto il volume ematico è di circa 70 mls/Kg, mentre nel cane è di circa 90 mls/Kg questo determina una
concentrazione maggiore che potrebbe creare alcuni problemi di sovradosaggio per azione sugli organi bersaglio
che sono quelli più per fusi (SNC, cuore, ecc.)
Sempre il gatto è più sensibile del cane ad alterazioni
patologiche che più facilmente portano a disidratazione ed
a squilibri idroelettrolitici. Considerando che la disidratazione determina ipovolemia questa altera la distribuzione
dei farmaci anestetici e può alterare l’assorbimento delle
111
NOTE
inoculazioni sottocutanee.
Nel gatto obeso, situazione molto comune, è alterata la
distribuzione dei farmaci liposolubili.
METABOLISMO
Anche se è vero che il gatto non è un piccolo cane le ridotte dimensioni fanno sì che il rapporto superficie/peso
corporeo sia decisamente maggiore e questo fatto da solo
può giustificare che in certi casi il dosaggio debba essere
superiore. Esistono poi delle differenze nella metilazione e
nell’idrossilazione di certi composti, ma soprattutto, nel
gatto, una diminuita possibilità di glucuronidazione legata
ad una minor disponibilità di glucuronil transferasi. Ciò
implica un possibile accumulo di sostanze per un minore
smaltimento oppure un maggior accumulo di metaboliti attivi, con conseguente possibilità del protrarsi dell’effetto
farmacologico. Ovviamente questa situazione viene esacerbata in corso di epatopatia, dal momento che i processi
di cui sopra avvengono principalmente nel fegato. Ciò porta a dover prestare una particolare attenzione nella gestione
del gatto con disordini epatici.
ESCREZIONE
Anche se il volume di filtrazione è diverso (gatto 2,53,5 ml/min/Kg cane 3-5 ml/min/Kg) non sembra vi siano
delle grosse differenze nell’eliminazione dei farmaci e dei
loro metaboliti. Questo è vero se le condizioni del rene sono ottimali, se esistono invece delle patologie, possono verificarsi anche pericolosi accumuli. Dal momento che le
nefropatie nel gatto sono estremamente frequenti occorre
valutare attentamente tutti i parametri che ci indicano la
funzionalità renale.
PARTE SPECIALE
Cerchiamo ora di valutare nello specifico quelle che sono le maggiori differenze tra cane e gatto in anestesiologia.
Abbiamo citato precedentemente quale fattore di scelta
del protocollo anestesiologico anche il temperamento. Sappiamo tutti come sia difficile in buona parte dei gatti eseguire delle manualità che nel cane sono di relativa facilità
anche nei soggetti meno collaborativi. Molto spesso i nostri pazienti felini sono nervosi e poco trattabili e ci impediscono di eseguire prelievi e indagini diagnostiche senza
112
prima aver subito una sedazione con somministrazione di
farmaci per via intramuscolare. Ciò va contro il principio
secondo il quale un’anestesia deve essere eseguita in accordo con le condizioni cliniche. Occorre quindi effettuare
delle scelte che alterino meno possibile sia il metabolismo
che l’omeostasi cardiopolmonare del nostro paziente. Allo
stesso modo occorre poter utilizzare dei farmaci che ci permettano la somministrazione per altre vie che non siano
quella intravenosa.
Per lo stesso motivo molto frequentemente non possiamo scegliere dei protocolli nei quali sia prevista solamente
la somministrazione endovenosa di farmaci e quindi dobbiamo ricorrere a sedativi anche se le condizioni cliniche
non ne prevederebbero l’uso.
Strettamente collegato alla scarsa maneggevolezza è la
risposta neuroendocrina a certe situazioni di disagio, meglio definita come stress, che può alterare alcuni parametri
ematologici ed anche la risposta ad alcuni anestetici. Sempre in ordine a modificazioni che alterano la risposta ai farmaci da noi utilizzati dobbiamo segnalare l’ipotermia. Nel
gatto, a differenza che nel cane, ha un’incidenza decisamente maggiore ed è legata sia alla dispersione di calore
dovuta al rapporto superficie/peso corporeo, sia alla dispersione dovuta all’esposizione dei visceri, sia all’azione
diretta dei farmaci sul centro della termoregolazione che si
esplica anche con un’inibizione di quelli che sono i meccanismi di compensazione. La conseguenza di questa situazione porta ad una diminuzione del metabolismo con conseguente rischio di sovradosaggio, per cui al diminuire della temperatura è necessario diminuire la quantità di anestetico somministrato. Addirittura si consiglia per temperature intorno ai 30°C la cessazione di somministrazione di
anestetici.
Il concetto di temperatura rientra in un discorso più complesso che riguarda il monitoraggio in generale. Anche qui,
le differenze tra cane è gatto sono notevoli anche solo per la
funzionalità e la difficoltà degli apparecchi nella registrazione dei parametri. Ricordiamo infatti come l’onda elettrocardiografica nel gatto sia spesso difficilmente leggibile per il
basso voltaggio, la valutazione della saturimetria a livello
linguale non sempre precisa per la presenza delle papille
cornee e la pressione non invasiva di dubbia valutazione se
si utilizza un apparecchio oscillometrico, d’elezione si potrebbero considerare la misurazione invasiva ed il metodo
Doppler, che sta acquisendo importanza anche nel paziente
NOTE
113
NOTE
sveglio. Limite di questo metodo è la mancanza della possibilità di leggere la pressione minima e media importanti nella valutazione globale delle condizioni emodinamiche.
Altro fattore di fondamentale differenza tra il cane ed il
gatto è l’estrema sensibilità della glottide che caratterizza
quest’ultimo. Sarà successo a tutti di provare ad incubare
dei gatti e, con una glottide non completamente desensibilizzata osservare uno spasmo che, il più delle volte si risolve in pochi secondi, ma può anche essere più duraturo costringendoci a manovre d’urgenza. Generalmente si ovvia
al problema instillando alcune gocce di anestetico locale,
ma anche questa manovra può creare dei problemi. Sappiamo che la mucosa laringea ha la possibilità di assorbire la
lidocaina (l’anestetico locale utilizzato allo scopo) per cui
occorre tener presente le quantità che applichiamo in relazione alla dose tossica che nel gatto viene indicata, da alcuni autori, a 2 mg/Kg. Altro problema che può conseguire
a questa instillazione è un possibile edema della glottide
che può creare non pochi problemi in fase di estubazione.
Altra situazione che spesso si verifica in corso di anestesia nei gatti ed è dovuta principalmente alle loro dimensioni ridotte è un sovradosaggio di fluidi che per disattenzione può essere maggiore dei 10-20 ml/Kg consigliati e
che può portare alla formazione di edemi polmonari con
conseguente perdita del soggetto.
Veniamo ora alla parte riguardante i farmaci utilizzati in
anestesia e terapia del dolore analizzandoli per categorie.
ANTICOLINERGICI
L’uso dell’atropina in anestesiologia sta diminuendo
notevolmente e lo si limita ad i casi specifici nei quali è
strettamente necessario. Nel gatto, in cui la frequenza cardiaca è quasi sempre elevata la si sconsiglia in condizioni
normali. La sua azione di diminuzione delle secrezioni anche a livello del tratto respiratorio è associata ad un aumento di viscosità delle stesse che può creare dei problemi
meccanici per la ventilazione soprattutto in soggetti con le
vie aeree di dimensioni ridotte. Nel gatto il metabolismo è
epatico ed abbastanza rapido per la presenza di grandi
quantità di atropina esterasi.
TRANQUILLANTI
Fenotiazinici
L’acepromazina è il più utilizzato tra i fenotiazinici. I
dosaggi sono sovrapponibili a quelli del cane e sono estre-
114
mamente variabili. Generalmente utilizzato da solo non determina nel gatto una gran sedazione e lo si preferisce associato ad altri farmaci per aumentarne l’effetto (Ketamina) o per ridurne alcuni effetti collaterali (es. oppioidi).
NOTE
Benzodiazepine
Diazepam e Midazolam sono famosi nel gatto perché
possono aumentare l’assunzione di cibo. Sono estremamente utili per le loro caratteristiche di scarsa depressione
cardiorespiratoria e per la loro possibilità di sinergizzare
l’effetto di molti altri sedativi ed anestetici. Il midazolam,
grazie alla sua idrosolubilità può essere somministrato per
via intramuscolare (il diazepam no) determinando una
buona sedazione, il che lo può rendere prezioso nel trattamento di pazienti caratterialmente difficili.
Alfa Agonisti
Xilazina e Medetomidina sono da sempre largamente
utilizzati nel gatto poiché determinano una sedazione ed
un’analgesia dose dipendente, con somministrazioni sottocutanee, intramuscolari ed endovenose, che permettono
una buona manipolazione dei soggetti. Da soli o associati
ad altri farmaci anestetici e/o sedativi vengono impiegati
per brevi interventi e procedure diagnostiche, anche per la
possibilità di utilizzare degli antagonisti che ne reversano
gli effetti. Con il tempo si sta limitando l’uso solamente a
quei soggetti appartenenti alle classi di rischio ASA I e
ASAII preferendo per i pazienti più debilitati dei protocolli differenti, scevri degli effetti collaterali dei farmaci
di questa categoria. Nel gatto possono determinare in buona percentuale il vomito e ciò li rende controindicati in
certe situazioni.
OPPIOIDI
L’uso degli oppioidi, soprattutto agonisti puri (morfina,
fentanyl ecc.) è stato fino ad alcuni anni fa controverso, se
non addirittura sconsigliato. Questo perché si notavano
delle crisi eccitative e convulsive dovute probabilmente ad
una maggior concentrazione dei recettori sigma, responsabili di detti effetti collaterali, a livello del SNC dei nostri
pazienti felini. Venivano quindi prediletti farmaci quali il
Butorfanolo o la Buprenorfina che uniscono una buona
azione analgesica ad una discreta azione sedativa, se associati ad altre sostanze, e, soprattutto, garantiscono una
scarsa quantità di effetti collaterali. Ultimamente, grazie
115
NOTE
anche al conforto della letteratura in materia si è visto che
anche gli agonisti puri si possono utilizzare nel gatto diminuendo le dosi rispetto a quelle consigliate per i cani ed associandoli ad altri sedativi (benzodiazepine, fenotiazinici).
Allo stesso modo si possono applicare con buoni risultati i
patch di fentanyl per il controllo del dolore perioperatorio,
fatte salve le attenzioni del caso per evitare l’ingestione ed
eventualmente i sovradosaggi.
ANESTETICI INIETTIVI
Agenti Dissociativi
Tra questi il più famoso ed il più utilizzato è la Ketamina, alla quale bisogna dare il merito, nonostante i suoi limiti, di aver modificato drasticamente l’approccio dei veterinari italiani alla medicina felina. Il suo successo è dovuto
alla buona maneggevolezza, alla possibilità di associarlo a
quasi tutti i sedativi ed anestetici ed alla possibilità di somministrarlo per tutte le vie parenterali e volendo anche per
os. Ovviamente nel gatto questa è stata, prima che abitualmente si incanulassero le vene periferiche, una situazione
di estrema comodità. Nel tempo si sono poi valutati effetti
collaterali e limiti, rimane comunque ad oggi un efficace
immobilizzatore chimico che rientra abitualmente in una
serie di protocolli. Da un punto di vista clinico la maggior
differenza tra l’azione nel cane e nel gatto è legata all’insorgenza di crisi epilettiformi, estremamente rara nel felino
che invece può avere una rigidità muscolare diffusa. Le
differenze sostanziali sono a livello metabolico e di durata
d’azione. Dopo somministrazione intramuscolare la durata
nel gatto è circa il doppio del cane (30-60 minuti). Sempre
nel gatto il suo metabolismo epatico è estremamente scarso e l’eliminazione renale è di un farmaco praticamente
inalterato. Va da se che per queste condizioni trova buone
indicazioni nei pazienti epatopatici, ma meno in quelli nefropatici, dove le dosi andrebbero ridotte in accordo con i
valori della creatininemia.
Barbiturici
I barbiturici generalmente utilizzati in anestesiologia
veterinaria sono ad azione ultrabreve e tra questi in commercio in Italia esiste solamente il Thiopentale sodico. La
fortuna dei barbiturici nel gatto non è paragonabile a quella della ketamina, sicuramente per la loro minor maneggevolezza, per l’impossibilità di utilizzare la via sottocutanea
ed intramuscolare per l’azione altamente istolesiva e per la
116
possibilità di avere delle depressioni respiratorie in mancanza di personale esperto nell’intubazione, che nei gatti è
leggermente difficoltosa. Se poi ci aggiungiamo la possibilità di avere laringospasmo (?) ci rendiamo conto del perché non sono particolarmente utilizzati, almeno nel nostro
paese. Dal mio punto di vista ritengo che in alcune situazioni e con le debite precauzioni possano tornare decisamente utili.
NOTE
Propofol
Farmaco di recente acquisizione per il mercato veterinario Italiano, è un principio attivo che va inoculato solamente
per via endovenosa, come i barbiturici, ed ha degli effetti induttivi e collaterali simili a quelli del Thiopentale sodico.
Nel cane, stante la sua velocità di metabolizzazione può
essere utilizzato anche in infusione lenta per garantire il
prolungamento dell’effetto ipnotico anche oltre la fase di
induzione. Anche nel gatto è consigliata questa tecnica,
personalmente ritengo che si debba eseguire con un minimo di cautela. Il propofol è un composto fenolico e, come
tutti i fenoli necessita della glucuronidazione epatica per il
suo metabolismo. Ora abbiamo visto come nel gatto questi
processi siano minori che nel cane e questo potrebbe spiegare eventuali accumuli e durate maggiori delle ipnosi da
propofol nei gatti che nei cani.
ANESTETICI INALATORI
Alogenati
Con i nuovi liquidi volatili e con i farmaci analgesici a
disposizione si può dire che il protossido d’azoto è diventato di scarsa utilità, per cui consideriamo fondamentalmente tra gli anestetici inalatori gli alogenati. Fondamentalmente non esistono grosse variazioni tra gli effetti e le
reazioni avverse nel cane e nel gatto. Le due specie differiscono fondamentalmente per la MAC che condizionandone la potenza ne condiziona anche il dosaggio. Citerò di
seguito le MAC per il cane e per il gatto di Alotano, Isofluorano, desfluorano e sevofluorano
Alotano
Isofluorano
Desfluorano
Sevofluorano
Cane
Gatto
0,87%
1,28%
7,20%
2,10%
0,82%
1,63%
9,79%
2,60%
117
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Alessandro Bonioli
Med Vet
Libero professionista
Torino
Note di anestesia in caso di taglio
cesareo nella gatta e rianimazione
dei cuccioli
Anesthetic protocols for the cesarian section
and kittens resuscitation
Domenica, 30 settembre 2001, ore 16.00
119
NOTE
Come per ogni tipo di anestesia, il protocollo per il
taglio cesareo deve provvedere a determinare ipnosi,
miorilasssamento, analgesia e mancanza di risposte riflesse. Ovviamente occore tener presente che i farmaci
che utilizziamo per la madre passano la barriera placentare e di conseguenza esercitano una certa attività anche
sui feti. Considerando, altresì, che il taglio cesareo è prevalentemente una procedura d’urgenza ci rendiamo conto che il discorso si complica non poco. Purtroppo è una
procedura che da qualsiasi parte la si valuti comporta dei
rischi soprattutto per la prole che il più delle volte è destinata a rimanere sotto l’influenza dell’effetto farmacologico per molto tempo con seri problemi dopo la nascita. Questo principalmente è dovuto a problemi tecnici
che fanno sì che la procedura in questione si protragga
per molto più tempo di quello che succede in medicina
umana.
Focalizziamo brevemente quali sono le modificazioni
maggiori che si verificano in gravidanza a carico dei maggiori apparati e le principali relazioni emodinamiche che
intercorrono tra la madre ed il feto.
ALTERAZIONI CARDIOVASCOLARI
Durante la gravidanza avvengono dei cambiamenti
che portano ad un aumento del volume ematico di circa il
40%, ma in considerazione del fatto che l’aumento plasmatico è maggiore si otterrà come risultato finale una
diminuzione dell’emoglobina e dell’ematocrito. L’aumento della frequenza cardiaca e dello “stroke volume”
causano un incremento della gittata cardiaca di circa 3050% Durante il travaglio si avrà un aumento ulteriore del
10-25% dovuto all’immissione in circolo del sangue uterino come conseguenza delle contrazioni. Altresì la gittata sarà condizionata da alcuni fattori contingenti: posizione, dolore e stato di eccitazione. Una discreta rilevanza da un punto di vista emodinamico la esercita anche il
posizionamento in decubito dorsale della madre perché
l’utero aumentato di dimensioni esercita una notevole
pressione sia sulla cava caudale che sull’aorta addominale con relative conseguenze in caso di chirurgia. L’utilizzo di ossitocina in grandi o ripetute quantità può determinare vasodilatazione periferica con conseguente ipotensione che può danneggiare sia la madre che i feti per di120
minuzione della perfusione tissutale, situazione che è aggravata dall’utilizzo di sedativi ed anestetici depressati
sul cardiovascolare.
NOTE
ALTERAZIONI RESPIRATORIE
Il volume ventilatorio residuo diminuisce per la diminuzione dell’escursione del diaframma dovuta alla presenza dell’utero gravido, essendo questo il volume di polmone
disponibile immediatamente per gli scambi gassosi, in caso di arresto respiratorio può instaurarsi rapidamente
un’ipossia. La tensione di CO2 nella gravida è di circa 3033 mm Hg (normalmente è di 40 mm Hg). In caso di iperventilazione ciò comporta una notevole ipocapnia. L’ipocapnia materna è associata ad una diminuzione del flusso
ematico uterino ed ombelicale. Il sangue materno in queste
condizioni aumenta l’affinità per l’emoglobina. La combinazione di questi due fattori porta come conseguenza ad
una diminuzione dell’ossigenazione fetale.
ALTERAZIONI GASTROENTERICHE
La dislocazione gastrica dovuta all’utero aumentato di
volume e la diminuzione della motilità fanno sì che lo
svuotamento sia rallentato. Si anno aumento delle secrezioni, diminuzione del tono dello sfintere esofageo ed aumento della pressione intragastrica. Spesso i pazienti che
devono essere sottoposti a taglio cesareo non sono digiuni,
il che comporta, anche in relazione alle condizioni precedenti, un rischio notevole di vomito e/o rigurgito con conseguente rischio di aspirazione del contenuto gastrico
nell’albero respiratorio. Si consiglia quindi una rapida intubazione al fine di evitare questo rischio.
ALTERAZIONI EPATICHE E RENALI
Per ciò che riguarda il fegato dobbiamo segnalare solamente una diminuzione delle colinesterasi con conseguente
diminuzione della metabolizzazione della succinilcolina. A
livello renale invece aumenta di circa 60% la filtrazione
glomerulare con relativa diminuzione dei valori di azotemia e creatininemia.
121
NOTE
ALTERAZIONI DEL FLUSSO EMATICO
UTERINO
Il flusso ematico uterino è direttamente proporzionale
alla pressione di perfusione ed inversamente proporzionale
alle resistenze vascolari dell’utero stesso (che possono aumentare anche durante le contrazioni). L’ipotensione arteriosa può essere causata da ipovolemia, depressione cardiovascolare indotta da anestetici o blocco dell’ortosimpatico. La vasocostrizione è indotta da scariche adrenergiche
endogene ed esogene.
ANESTETICI ATTRAVERSO LA BARRIERA
PLACENTARE
Molti anestetici attraversano la placenta per semplice
diffusione in accordo con l’equazione di Fick : D/t = k[A
x(cm – cf/d)], dove k è la costante di diffusione del farmaco, A è la superficie della placenta, d è lo spessore
della placenta, cm è la concentrazione materna, cf è la
concentrazione fetale del farmaco. Farmaci con un’alto
coefficiente di diffusione diffondono rapidamente. Nel
gatto, la cui placenta è endoteliocoriale il valore di d è
molto basso. Da un punto di vista pratico l’unico fattore
che l’anestesista veterinario è in grado di conoscere e di
controllare è la concentrazione materna di anestetico. Il
modo e la via di somministrazione in aggiunta alla dose
totale di anestetico determinano la concentrazione plasmatica materna. La quantità di farmaco disponibile per
il passaggio attraverso la placenta è determinato dalla
quantità di farmaco legato alle proteine, dalla concentrazione plasmatica delle proteine, dal pKa del farmaco, e
dal pH materno. Una bassa quantità di proteine, uno
scarso legame proteico ed una grossa quantità di anestetico non ionizzato facilitano l’attraversamento della placenta. Un animale ipoproteinemico e acidemico necessita di una minore quantità di barbiturico per l’induzione
rispetto ad un paziente normale. L’ipoproteinemia aumenta la quantità di farmaco libero e quindi attivo.
L’acidosi aumenta la parte non ionizzata (rapidamente
diffusibile della frazione libera) Circa l’85% del sangue
venoso ombelicale passa attraverso il fegato fetale dove
il farmaco viene metabolizzato. Poiché il sistema enzimatico microsomiale è immaturo molti farmaci possono
122
avere una durata d’azione maggiore. Tanto è minore
l’esposizione agli anestetici tanto sarà maggiore la vitalità del cucciolo nato con un taglio cesareo.
NOTE
CONSIDERAZIONI CLINICHE
Gli anestetici ed i sedativi devono esser scelti attentamente per evitare depressioni sia materne che fetali e per
garantire il maggior vigore possibile ai neonati. Quasi tutti
passano la barriera placentare agendo quindi sul feto.
I fenotiazinici, usati frequentemente come sedativi, possono indurre ipotensione (per blocco alfa adrenergico) e
depressione centrale. Il risultato è una depressione respiratoria ed una diminuzione della capacità di termoregolare.
La durata d’azione è di circa 8 ore altro motivo per il quale
la loro scelta dovrebbe limitarsi ad i casi in cui sono davvero necessari.
Le benzodiazepine possono produrre nel feto letargia,
diminuzione del tono muscolare ed ipotermia. Sembra che
questi effetti collaterali possano essere ridotti con una riduzione del dosaggio. Di positivo dobbiamo segnalare la possibilità di riversarne l’effetto con il Flumazenil.
Gli alfa agonisti utilizzati a dismisura in medicina felina determinano un’imponente e dose dipendente depressione cardiorespiratoria sia nella madre che nel feto. Anche in questo caso esiste la possibilità di riversare gli effetti con la somministrazione di un antagonista.
Gli oppioidi causano una depressione respiratoria ed
una bradicardia dose dipendenti, senza peraltro alterare la
situazione emodinamica. Nel gatto sono largamente utilizzati gli agonisti-antagonisti (butorfanolo, buprenorfina) i
cui effetti collaterali sono inferiori agli agonisti puri; i quali a loro volta dovrebbero iniziare ad essere presi in considerazione, nei modi già descritti; il loro effetto può essere
reversato dal naloxone.
I barbiturici ad azione ultrabreve determinano, a bassi
dosaggi una scarsa depressione neonatale, a patto che non
vengano utilizzati per il mantenimento.
La ketamina determina depressione del feto, soprattutto
in virtù del fatto che deve essere associata a farmaci con
notevoli effetti collaterali.
Il propofol, nonostante l’azione depressiva sul cardiorespiratorio ha il vantaggio di essere velocemente metabolizzato e di permettere un eventuale mantenimento dell’ipnosi
123
NOTE
con l’infusione continua, anche in soggetti a cui non è stato somministrato nessun preanestetico.
I bloccanti neuromuscolari non passano la barriera placentare, possono quindi essere di notevole aiuto in caso di
anestesia bilanciata senza determinare azioni sui feti.
L’unica cautela occorre averla con la succinilcolina poiché
essendo questa metabolizzata dalle colinesterasi plasmatiche, la cui produzione diminuisce in corso di gravidanza,
potrebbe avere una durata d’azione maggiore.
Tra gli anestetici inalatori il più indicato potrebbe essere il protossido d’azoto che determina una minima depressione neonatale e potenzia, consentendone una diminuzione del dosaggio, l’azione degli alogenati. Questi ultimi
causano ipotensione, diminuzione del flusso ematico uterino ed una acidosi nel cucciolo. L’entità degli effetti collaterali è in relazione alla profondità del piano anestesiologico. Tra questi i migliori sono quelli che garantiscono un risveglio più rapido.
Gli anestetici locali possono essere usati in combinazione con altri farmaci per diminuire la dose di questi ultimi.
Gli esteri dell’acido para-amino benzoico (procaina) sono
metabolizzati dalle pseudocolinesterasi, mentre i derivati
amidici (lidocaina, bupivacaina, mepivacaina) vengono
scissi dal sistema microsomiale epatico. La quantità necessaria per un’anestesia epidurale è minore in una paziente
gravida forse per una riduzione del lume da parte dei vasi
le cui dimensioni sono aumentate. La loro durata d’azione
è variabile e gli effetti tossici sul feto (depressione) sono
dose dipendenti
SCELTA DEL PROTOCOLLO ANESTETICO
In relazione a quanto citato brevemente sopra ci rendiamo conto di quanto sia difficile scegliere delle associazioni farmacologiche che contemporaneamente ci permettano di avere il minor numero di effetti collaterali sia
nella madre che nei feti. In medicina umana, stante la
collaborazione perichirurgica della paziente, il tempo che
può intercorrere dall’induzione alla nascita è minimo (pochi minuti) e ciò fa sì che la quantità di farmaci che passano la barriera placentare è scarsa. In medicina veterinaria invece siamo costretti molte volte a sottoporre i nostri
animali a delle sedazioni ed a delle anestesie troppo lunghe (difficoltà di maneggiare i pazienti svegli, tempi pro124
tratti per la tricotomia e la preparazione del campo operatorio, numero decisamente alto di feti ecc…) con conseguente assunzione da parte dei cuccioli di notevoli quantità di farmaci.
In letteratura sono consigliati una serie di protocolli,
nessuno comunque scevro di problemi. Ritengo che occorra dare delle linee guida, la scelta dovrà poi essere fatta in
relazione ai normali principi che si seguono in anestesiologia, tenendo presente il duplice scopo di salvare la madre e
la prole.
NOTE
1) Utilizzare anestetici locali e minimizzarne l’assorbimento
2) Utilizzare la minima dose possibile per garantire alla
madre una buona anestesia
3) Utilizzare farmaci con una breve durata d’azione
4) Utilizzare farmaci il cui effetto possa essere antagonizzato
5) Minimizzare l’assunzione di anestetici volatili utilizzando altre tecniche per il mantenimento dell’anestesia.
RIANIMAZIONE DEI CUCCIOLI
Non ci sono dei dati precisi che indichino le percentuali
di mortalità nei gatti nati con taglio cesareo, occorre però
considerare che generalmente diminuiscono con il trascorrere del tempo. I problemi ai quali ci possiamo trovare di
fronte possono essere legati ad una depressione farmacologia conseguente alla procedura chirurgica oppure in aggiunta a questa una depressione legata ad un’eventuale sofferenza fetale. Nei cuccioli il problema maggiore sono le
ridotte dimensioni che non sempre ci permettono di mettere in atto le normali tecniche rianimatorie. La somministrazione dei farmaci ad esempio può essere effettuata attraverso la vena ombelicale oppure per via intramuscolare
soottocutanea o per contatto con la mucosa orale. Queste
ultime tre vie possono non essere efficaci in caso di ipotensione o riduzione del circolo periferico. Allo stesso modo
l’intubazione può essere problematica Si possono comunque indicare una serie di procedure da applicare nella rianimazione dei cuccioli.
1) Asciugatura e riscaldamento
2) Ossigenoterapia
125
NOTE
3) Somministrazione di farmaci per il supporto cardiorespiratorio e per antagonizzare l’effetto degli anestetici e
dei sedativi.
4) Se possibile intubazione
ASCIUGATURA E RISCALDAMENTO
Asciugare i cuccioli impedisce l’eliminazione di calore
dovuta all’evaporazione. L’ipotermia aumenta la domanda
metabolica e diminuisce la risposta alle procedure di rianimazione. È consigliabile mantenerli sotto una fonte di calore fino al momento dell’avvicinamento alla madre.
OSSIGENOTERAPIA
Occorre aspirare attentamente e con cautela le secrezioni presenti al livello dell’albero respiratorio. Valutare nei
primi 30 secondi se sono presenti la respirazione spontanea, una frequenza cardiaca superiore o uguale a 120-150
bpm ed il colore delle mucose. Se alcuni parametri non sono soddisfacenti iniziare l’ossigenoterapia con l’apposizione di una maschera ed eventualmente, con cautela praticare
una respirazione assistita, prestando attenzione a non riempire di gas lo stomaco. Se possibile intubare con delle cannule venose
FUNZIONE CARDIACA
Generalmente la bradicardia è legata all’ipossia miocardia, per cui la somministrazione di ossigeno potrebbe già
migliorare la situazione.In caso di arresto potrebbe essere
necessario un delicato massaggio cardiaco.
FARMACI PER LA RIANIMAZIONE
L’atropina contrasta la bradicardia, ma essendo questa
legata ad un’ipossia miocardia determineremmo un ulteriore lavoro del cuore con aumento della necessità di ossigeno. È quindi sconsigliata.
Il doxapram è un’analettico respiratorio la cui azione è
diminuita a seguito dell’ipossia, per cui non sembra di
126
molto aiuto in caso di apnea. Pare che sia di una certa utilità quando la respirazione è già iniziata, consideriamo
però che la sua durata d’azione è molto breve.
L’adrenalina sembra il farmaco più efficace nella rianimazione cardiopolmonare dei cuccioli anche se può determinare crisi ipertensive ed eventuali emorragie cerebrali.
NOTE
127
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Tommaso Furlanello
Med Vet
Libero professionista
Clinica Veterinaria Privata “San Marco”
Padova
Antonio Bertoldi, Carlo Patron,
Mahmut Sozmen
Med Vet
Liberi professionisti
Clinica Veterinaria Privata “San Marco”
Padova
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in diagnostica di laboratorio
When (and how) the cat is different from the dog
in clinical pathology
Domenica, 30 settembre 2001, ore 11.30
129
NOTE
INTRODUZIONE
Quando il clinico esamina un referto di laboratorio, sia
esso stato prodotto in sede ambulatoriale oppure da un laboratorio professionale, rivolge la sua attenzione sui risultati in esso contenuti, al fine di trasformarli in dati clinici.
Spesso poco interesse è rivolto al modo in cui questi dati
sono stati generati e all’intervallo di riferimento proposto,
indispensabile per la comprensione dei dati stessi. Partendo dal presupposto che la gran parte delle apparecchiature
di laboratorio e delle metodiche attualmente disponibili sono state originariamente ideate per campioni provenienti
da pazienti umani, è indispensabile che il laboratorio abbia
validato ogni procedura per la specie canina e felina. In
particolare le peculiarità della specie felina, di seguito
sommariamente elencate, sono tali e tante, da imporre un
intenso sforzo da parte del clinico-patologo per essere in
grado di creare dei dati che possano essere poi utilizzati
correttamente dal clinico. Come esempio si vuole ricordare
la necessità di allegare ad ogni dato un intervallo di riferimento che deve necessariamente essere prodotto dal laboratorio, utilizzando campioni provenienti da gatti non patologici ed elaborando poi i dati con appositi software. L’intervallo di riferimento deve essere visto com un concetto
dinamico, in quanto deve essere rielaborato se cambiano
apparecchiature e/o metodiche. La scarsa collaborazione di
molti gatti al prelievo ematico complica la procedura, in
quanto il contenimento farmacologico (ma anche manuale!) può modificare numerosi parametri emato-biochimici.
Nel testo verranno esposti alcuni punti salienti nella valutazione degli esami emato-biochimici di base nei campioni felini. Ad informazioni presenti nella letteratura saranno affiancate considerazioni personali degli Autori, che
sono quotidianamente coinvolti nella realizzazione ed intepretazione di tali indagini.
FASE PRE-ANALITICA
È notorio che la funzione coagulativa nel gatto è estremamente “attiva”. Di conseguenza il prelievo ematico deve essere rapido, utilizzando la vena di maggior portata e
diametro possibile. Solo la vena giugulare permette di
esaudire queste condizioni. Gli Autori utilizzano con ottimi risultati, nella pratica quotidiana, siringhe da 10 ml
130
con ago “corto” (21 G, 0,8x161). L’uso di aghi a farfalla
per prelievi dalla vena cefalica è tipicamente associato a
prelievi di modesta qualità, a volte inutilizzabili ed è fortemente sconsigliato.
Il sangue deve essere immediatamente distribuito nelle
provette, rispettando il maniera precisa il rapporto tra
sangue ed anticoagulante. Per l’esecuzione dell’esame
emocromocitometrico, se il campione è di modeste quantità, possono essere utilizzate provette che sono predisposte per minori volumi ematici (ad es. provette per 1 ml invece che da 2 ml). Purtroppo la formazione di coaguli è
molto più probabile con provette di piccole dimensioni.
L’uso di provette che richiedano volumi > a 2,5 ml è una
pratica irrazionale.
La procedura standard degli Autori è la seguente: raccolta di 7-8 ml di sangue, così distribuiti:
• 2 ml per esame emocromocitometrico in provetta con
K3EDTA, al quale viene allegato un vetrino con striscio
eseguito con il sangue fresco;
• 3 ml per l’esame biochimico, in provetta di vetro non siliconato, senza separatore;
• 2 ml per la determinazione del fibrinogeno o dell’intero
assetto coagulativo, in provetta di plastica con sodio citrato (rapporto sangue-anticoagulante 1:9);
• 0,9 ml per la determinazione della VES, in provetta di
plastica con sodio citrato (rapporto sangue-anticoagulante 1:4).
NOTE
ESAME EMOCROMOCITOMETRICO
La principale differenza tra i globuli felini e quelli di altre specie (cane, uomo) è il minor diametro (5,8 micron di
diametro medio rispetto ai 7 del cane). Se il contaglobuli
non è opportunamente tarato oppure non è fornito di alcuni
accorgimenti tecnologici, la conta tende ad essere inferiore
rispetto a quella reale. Altre problematiche legate alla conta sono la tendenza dei globuli rossi a formare roleaux (impilamenti) e le dimensioni piastriniche, che possono sovrapporsi a quelle eritrocitarie. In ognuno di questi casi il
laboratorio deve fornire opportune indicazioni al clinico riguardo ad eventuali problemi nella refertazione.
1
Microlance® 3, Becton-Dickinson.
131
NOTE
132
Al microscopio ottico vi sono numerose peculiarità nei
globuli rossi felini:
• manca il tipico pallore centrale che si vede nel cane.
• Nel 0-1% dei globuli rossi si osservano corpi di Howell
Jolly (piccoli residui nucleari).
• La molecola di emoglobina felina è più ricca di gruppi
sulfidrilici rispetto al cane e questa caratteristica la rende più sensibile ai danni ossidativi. Diverse sostanze
(per es alcuni farmaci) sono in grado di determinare un
danno ossidativo irreversibile alla molecola di emoglobina. I corpi di Heinz, visibili al microscopio ottico, soprattutto con la colorazione sopravitale al Nuovo Blu di
Metilene, sono il risultato di questa denaturazione
dell’emoglobina. Nel gatto, secondo taluni Autori, una
bassa percentuale di eritrociti con corpi di Heinz di piccole dimensioni, può essere considerata fisiologica.
• Esistono due tipi di reticolociti, gli aggregati (che corrispondono ai policromatofili nelle colorazioni tipo Romanowsky) e i reticolociti puntati. Gli aggregati sono
presenti nel sangue periferico dopo 4-7 gg. dallo stimolo
ipossico/anemizzante. I reticolociti puntati sono presenti
anche in gatti non anemici e sono di scarsa utilità nella
valutazione della rigenerazione eritrocitaria.
La più evidente differenza morfologica dei leucociti felini rispetto ai canini riguarda i granulociti eosinofili. Nel
gatto i granuli di questi polimorfonucleati sono piccoli, bastoncellari e riempiono completamente il citoplasma della
cellula mentre nel cane i granuli sono tondeggianti, possono essere presenti in numero variabile e alle volte hanno
dimensioni diverse tra di loro.
I neutrofili presenti nei vasi sanguigni sono distribuiti
in due popolazioni, quelli circolanti (che vengono trasportati dal sangue e sono “disponibili” per il prelievo) e quelli
marginali (che sono adesi alle pareti dei vasi). Situazioni
che determinano paura (come un prelievo di sangue) possono causare un rilascio di adrenalina che è in grado di
“movimentare” i neutrofili dal pool marginale al circolante. Nel gatto i neutrofili del pool marginale possono essere
fino a tre volte il pool circolante e il loro spostamento nel
torrente circolatorio può indurre un’intensa leucocitosi che
deve essere adeguatamente interpretata.
Infine le piastrine dei gatti sono più grandi e più reattive di quelle canine. Per questo motivo gli aggregati piastrinici sono più frequenti negli strisci di sangue di gatto.
Gli aggregati spesso non vengono individuati dai conta-
globuli e ciò freqeuntemente porta a erronee diagnosi di
trombocitopenie.
In conclusione per una corretta valutazione dell’esame
emocromocitometrico di un felino sono indispensabili:
• Corretto prelievo, in assenza di stasi.
• Realizzazione di uno striscio a fresco, con sangue privo
di anticoagulante.
• Uso di contaglobuli tecnologicamente avanzati, validati
per la specie felina, con operatori esperti.
• Disponibilità di intervalli di riferimento propri dell’attrezzatura.
• Lettura accurata dello striscio.
• Rapporto costante di collaborazione tra clinico e clinicopatologo, per esaminare eventuali peculiarità del campione e relative problematiche.
NOTE
PROFILO BIOCHIMICO
Riferendosi al profilo biochimico standard come refertato dagli Autori, verranno sommariamente elencate alcune
particolarità dei felini rispetto alla specie canina.
Parametro Peculiarità dei felini
CPK
Può essere utilizzato come marker dello stato
di nutrizione (l’attività plasmatica è aumentata in caso di malnutrizione grave)
AST, ALT, Manca l’effetto di “induzione enzimatica” da
ALP
parte di cortisolo, e farmaci. Inoltre l’emivita
plasmatica di tali enzimi, nel gatto è estremamente ridotta, se paragonata a quella del cane. Infatti l’emivita di ALT nel gatto è di sole
3,5 ore contro le 60 del cane; lo stesso avviene per AST dove i valori sono di 77 minuti
nel gatto contro le 12 ore del cane ed infine
per ALP con un’emivita rispettivamente di 6
ore nel gatto e di 70 nel cane. Ne consegue
che un aumento, anche lieve, di tali attività
enzimatiche è sempre indicativo di un danno
epatocellulare
GGT
È un indicatore specifico di colestasi
133
NOTE
Amilasi
e lipasi
Non sono di alcuna utilità per la diagnosi di
pancreatite acuta o cronica. La determinazione routinaria di questi enzimi nei campioni felini è quantomeno discutibile
Calcio
corretto
Non esiste attualmente una formula validata
nella specie felina che permetta di rapportare la calcemia alla protidemia o alla albuminemia
Ferritina
Non è disponibile una metodica specie-specifica o adattabile alla specie felina
TLI
L’immunoreattività del fattore tripsino-simile deve essere analizzata con apposita metodica. La metodica per la specie canina non è
utilizzabile
Un’ultima differenza riguarda l’interpretazione della
bilirubinuria, la quale per quanto di pertinenza dell’esame delle urine, va inserita in questo paragrafo a causa
della sua stretta correlazione con la bilirubinemia. Le cellule tubulari renali del gatto possiedono un’elevato potenziale di riassorbimento della bilirubina ed a differenza di
quelle del cane non sono dotate di sistemi enzimatici per
la sintesi (anche se in quantità limitata) della stessa, cosa
che invece è possibile per il cane. Per questi motivi il riscontro di bilirubinuria nel gatto, in assenza di anemia
emolitica, è da considerare un importante indice di insufficienza epatica.
PROFILO COAGULATIVO
La maggior parte dei concetti che utilizziamo nello studio della funzione coagulativa dei felini sono estrapolati
dalla medicina canina. In realtà vi sono importanti differenze, anche se difficili da definire.
Peculiarità del gatto (esempi):
• funzione piastrinica, con tendenza all’iperaggregabilità.
• La corretta determinazione di PT e aPTT può avvenire
solo con alcuni reagenti. Il laboratorio deve specificamente garantire la validazione della propria metodica
nei confronti dei campioni felini.
134
• Alta incidenza di una carenza congenita del fattore XII,
con conseguente allungamento dell’aPTT. Tale emofilia
è quasi sempre asintomatica.
• Da definire l’incidenza della coagulazione intravascolare disseminata, la patogenesi e la scelta di marker diagnostici. I parametri utilizzati attualmente in medicina
canina (FDPs e d-dimeri della fibrina) non sono validati
e sono di difficile interpretazione.
• L’antitrombina III è una proteina della fase acuta
(marker dell’infiammazione).
NOTE
CONCLUSIONI
Considerando che per la valutazione dei pazienti felini
utilizziamo prevalentemente metodiche di laboratorio orginariamente create per la specie umana e che i dati scientifici spesso sono estrapolati dalla medicina canina, è chiaro
che la patologia clinica è di estrema complessità e purtroppo questo a volte si riflette nella qualità globale della medicina felina. La scarsa collaborazione di molti pazienti poi
impone sedazioni chimiche e ciò costringe spesso a limitare l’esecuzione di prelievi ematici in pazienti critici. Ne
consegue che il massimo sforzo deve essere compiuto da
parte della medicina di laboratorio, che deve assicurare la
correttezza dei dati che produce. D’altra parte il clinico deve 1) offrire al laboratorio campioni di adeguata qualità 2)
interagire con il patologo per risolvere eventuali problematiche analitiche e 3) interpretare correttamente i dati ottenuti. Il gap presente attualmente tra le informazioni disponibili per le patologie canine e feline viene giorno dopo
giorno colmato. Il ruolo della Società Italiana di Medicina
Felina è proprio quello di aiutare il veterinario pratico nel
recepire queste nuove conoscenze, al fine di migliorare
sempre più l’assistenza medica ai felini e la professionalità
del medico veterinario.
Letture Consigliate
AA VV (2000): Progressi nella medicina felina, Simposio Waltham per il trattamento delle malattie dei piccoli animali, Edizioni Scivac
Clinkenbeard KD & Meinkoth JH (2000): “Normal Hematology of the Cat”, in
Schalm’s Veterinary Hematology, 5th Ed (Feldman et al., eds), Lippincott
Williams & Wilkins, 1064-1068
Eibert M & Lewis DC (1998): “Valutazione dell’eritrone felino in condizioni di
salute e di malattia”, Veterinaria, 12, 4, 75-85
135
NOTE
136
Loar AS (1994): “Anemia: Diagnosis and Treament”, in Contributions in Feline
Internal Medicine, 2nd Ed (August ed), WB Saunders, 469-487
Meador VP et al., (1994): “Sample Handling and Submission: Blood and Serum”, in Contributions in Feline Internal Medicine, 2nd Ed (August ed),
WB Saunders, 461-468
Willard MD et al., (1999): Small Animal Clinical Diagnosis by Laboratory
Methods, 3rd Ed., WB Saunders Co.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Deborah S. Greco
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Veterinary Teaching Hospital
Colorado State University
Fort Collins, USA
Il diabete nel gatto
Diabetes in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 14.30
137
NOTE
DIABETE MELLITO DI TIPO II NEL GATTO
Il diabete mellito è una delle più comuni endocrinopatie
dei felini, che colpisce 1 gatto su 300.1 La patogenesi del
diabete mellito di tipo II nel gatto è stata ampiamente descritta.2-4 La diagnosi della condizione può essere impegnativa, in particolare nei primi stadi, quando gli animali
sono non-insulinodipendenti. Tuttavia, una volta che si siano osservati i segni clinici della malattia (poliuria/polidipsia, neuropatia), in molti gatti possono ancora essere utili
le alternative all’insulinoterapia. In generale, le anomalie
primarie associate al diabete mellito di tipo II, come l’obesità e l’insulinoresistenza, sono reversibili. Le alterazioni
della capacità di secrezione dell’insulina, tuttavia, possono
essere reversibili (intossicazione da glucosio) o irreversibili (deposito di amiloide pancreatico).2-4 Nel gatto, la differenziazione del diabete mellito insulinodipendente da quello non-insulinodipendente è praticamente impossibile prima del trattamento; quindi, è possibile che il clinico debba
fare affidamento sulla risposta agli ipoglicemizzanti orali
per trarre delle indicazioni utili a stabilire se il gatto possieda ancora un numero di cellule beta funzionalmente attive sufficiente a consentire il trattamento con gli ipoglicemizzanti orali.
Storicamente, si sospettava che i felini diabetici fossero
insulinopenici; tuttavia, una recente ricerca indica che la
maggior parte dei gatti (50-60%) sviluppa un diabete simile
a quello non-insulinodipendente dell’uomo. L’eziologia di
questa forma di diabete mellito è indubbiamente multifattoriale. Nel suo sviluppo nell’uomo sono coinvolti l’obesità, i
fattori genetici e l’amiloidosi degli isolotti. L’obesità e
l’amiloidosi intervengono anche nella patogenesi della condizione nel gatto. È oggi accertato che le classiche anomalie metaboliche riscontrate nel diabete mellito non-insulinodipendente comprendono la riduzione della secrezione di
insulina e l’insulinoresistenza periferica, due condizioni
che possono essere conseguenti all’abnorme produzione di
amiloide da parte delle cellule beta del pancreas. Nel 1986,
è stata individuata come principale componente dei depositi
amiloidi di un insulinoma umano una proteina precedentemente non identificata e detta polipeptide amiloide degli
isolotti (IAPP - islet-amyloid polypeptide - o amilina). Questa nuova proteina è risultata anche essere la principale
componente dell’amiloide degli isolotti (IA) isolato da queste strutture pancreatiche nei pazienti umani con diabete
138
mellito non-insulinodipendente e nei gatti con diabete. Lo
sviluppo di questa forma di amiloide può svolgere un ruolo
cardine nella patogenesi del diabete mellito non-insulinodipendente nel gatto e nell’uomo.
NOTE
Compromissione della capacità secretoria
Nei gatti e nei pazienti umani con diabete mellito noninsulinodipendente, la prima fase della risposta secretoria
dell’insulina è marcatamente ridotta o assente. La seconda
è ritardata o accentuata. La risposta insulinica 20 minuti
dopo un’iniezione di glucosio risulta ridotta dell’80% circa
rispetto ai gatti normali e la massima capacità di rilascio
dell’insulina è diminuita dell’80-90%. Nell’uomo, risulta
influenzata la normale secrezione pulsante dell’ormone,
con una riduzione del normale andamento pulsatorio, nonché della quantità di insulina secreta per ogni impulso.
Perché si verifichi la secrezione di insulina stimolata dal
glucosio, il glucosio extracellulare si deve legare agli specifici recettori sulla superficie delle cellule beta. Tali recettori fungono sia da sensori che da trasportatori. Esperimenti condotti in vitro suggeriscono che il principale difetto
della funzione delle cellule beta sia la compromissione del
riconoscimento del glucosio. Si ha una diminuzione della
capacità di quello extracellulare di indurre il rilascio di insulina. Ciò può essere dovuto ad un calo della sintesi del
trasportatore del glucosio nella membrana delle cellule beta. Le concentrazioni intracellulari del glucosio diventano
insufficienti ad innescare il rilascio di insulina. Un altro
fattore che influenza la compromissione della secrezione
di insulina nel diabete mellito non-insulinodipendente è la
tossicità del glucosio. Quest’ultima consiste nell’inibizione
apparentemente paradossa della secrezione di insulina da
parte di un’iperglicemia marcata e persistente. L’iperglicemia cronica induce la desensibilizzazione dei trasportatori
del glucosio sulle membrane delle cellule beta, con conseguente calo della secrezione insulinica. Ciò può contribuire
a spiegare il fenomeno del diabete transitorio nel gatto;
quando gli ipoglicemizzanti orali o le modificazioni della
dieta inducono un periodo di normoglicemia, la tossicità
da glucosio viene meno e la funzione delle cellule beta e la
secrezione insulinica migliorano, “risolvendo” lo stato diabetico. Infine, la stessa IAPP è in grado di inibire la secrezione insulinica.
139
NOTE
Insulinoresistenza
Un’altra delle principali caratteristiche distintive del
diabete mellito non-insulinodipendente (NIDDM) è l’insulinoresistenza periferica. L’obesità svolge un ruolo significativo nell’insulinoresistenza osservata nei gatti con diabete e costituisce un fattore di rischio ben documentato per lo
sviluppo della forma non-insulinodipendente nell’uomo.
La resistenza è dovuta alla deviazione verso l’interno dei
recettori insulinici nelle membrane dei muscoli e delle cellule adipose. Inoltre, l’obesità riduce l’affinità recettoriale
per la molecola insulinica.
Per riassumere le attuali ipotesi sulla patogenesi del
diabete mellito non-insulinodipendente, l’insulinoresistenza (dovuta ad obesità e/o aumento dei livelli plasmatici di
IAPP) induce una stimolazione cronica della produzione di
insulina da parte delle cellule beta del pancreas. Insieme
all’ormone, si ha la sintesi dell’IAPP. La compromissione
della secrezione di insulina determina un accumulo della
stessa e dell’IAPP nelle cellule beta. Le elevate concentrazioni locali dell’IAPP provocano la sua polimerizzazione
per formare la sostanza amiloide insulare all’interno di
queste cellule. Il deposito di amiloide insulare compromette ulteriormente il riconoscimento del glucosio e la diffusione delle sostanze nutritive nelle cellule beta. Alla fine,
la IA conduce alla necrosi delle cellule beta ed al rilascio
dell’amiloide nello spazio extracellulare.
Quadro clinico del diabete nel gatto
Le probabilità di sviluppo del diabete mellito sono 1,5
volte maggiori nei gatti maschi castrati rispetto alle femmine. Altri fattori di rischio per lo sviluppo del diabete mellito nel gatto sono rappresentati dall’aumento del peso corporeo (>6,8 kg), dall’età avanzata (> 10 anni) e dalla sterilizzazione.3 La maggior parte dei gatti diabetici viene portata alla visita con i classici segni clinici di poliuria e polidipsia. Sulla base della patogenesi della malattia, ci si potrebbe aspettare che la polifagia sia un comune riscontro
anamnestico nei gatti diabetici; tuttavia, solo il 12% circa
di questi soggetti la manifesta. I gatti spesso presentano
complicazioni croniche del diabete, come anomalie
dell’andatura derivanti da una neuropatia diabetica o problemi gastroenterici cronici come il vomito e la diarrea. I
140
riscontri clinici nei gatti con diabete mellito non chetosico
sono tipicamente aspecifici. Quelli più comuni sono rappresentati da letargia e depressione, disidratazione, mantello trascurato e consunzione muscolare. Il 35% dei gatti
diabetici si presenta obeso ad un esame iniziale. Gli animali diabetici ed obesi hanno maggiori probabilità di essere affetti da diabete mellito non-insulinodipendente. Nei
gatti diabetici si osservano spesso epatomegalia e nefromegalia. I segni caratteristici del diabete mellito, come l’appoggio da plantigrado degli arti posteriori a causa di una
neuropatia diabetica sono poco comuni.
La diagnosi del diabete mellito va formulata sulla base
della presenza dei segni clinici compatibili con la condizione e della dimostrazione di iperglicemia a digiuno e glicosuria. La presenza dei soli segni clinici può essere fuorviante, dal momento che l’ipertiroidismo e la nefropatia si
possono manifestare nel gatto con quadri analoghi. Per
complicare ulteriormente la situazione, molti gatti sono
sensibili ad un’iperglicemia “da stress”, in cui le concentrazioni sieriche del glucosio possono avvicinarsi a 300400 mg/dl. Inoltre, negli animali con affezioni dei tubuli
renali, ed occasionalmente in quelli con iperglicemia da
stress, si può rilevare una glicosuria renale. Quindi, per
confermare la diagnosi di diabete mellito nel gatto è necessaria la presenza di tutti e tre i criteri citati (segni clinici
della malattia, iperglicemia a digiuno e glicosuria). Recenti
studi hanno preso in esame l’impiego della determinazione
dei livelli sierici di fruttosamina e di emoglobina glicosilata per differenziare l’iperglicemia da stress dal diabete
mellito palese al momento della diagnosi e durante il monitoraggio dell’insulinoterapia. Le proteine glicosilate ven-
NOTE
141
NOTE
gono formate attraverso un legame non enzimatico ed irreversibile del glucosio con l’emoglobina o la proteina. Via
via che le concentrazioni plasmatiche del glucosio aumentano, la glicosilazione si accresce in proporzione. La fruttosamina sierica si forma per glicosilazione di proteine sieriche come l’albumina. La concentrazione della fruttosamina nel siero è direttamente correlata alla glicemia. Tuttavia, data la minore durata della vita dell’albumina rispetto
a quella dell’emoglobina, le concentrazioni della fruttosamina riflettono alterazioni della glicemia più recenti (1-3
settimane) rispetto a quelle dell’emoglobina glicosilata. I
livelli normali di fruttosamina nel gatto sono di 233 ± 32
µmol/l (< 350 mg/dl).
Gli scopi della terapia del diabete mellito sono rappresentati dal ripristino della normale glicemia a digiuno, dalla normalizzazione dei livelli sierici di fruttosamina e dalla
regressione o attenuazione delle complicazioni croniche
come la neuropatia diabetica e la nefropatia. Come nei pazienti umani con diabete mellito di tipo II, l’approccio migliore nel gatto è quello che prevede una progressione graduale della terapia dal trattamento dietetico agli ipoglicemizzanti orali ed infine all’insulinoterapia da attuare quando si verifica la distruzione degli isolotti.
Dieta ed esercizio
L’esercizio e la dieta sono il caposaldo della terapia nei
pazienti umani con diabete mellito di tipo II. Nella maggior parte dei gatti diabetici l’esercizio fisico non è una
possibilità ragionevolmente attuabile. Uno dei modi con
cui si può cercare di incoraggiare i gatti a compiere una
certa attività è quello di alimentarli con pasti piccoli e frequenti nascosti in vari punti della casa. Ad esempio, un
gatto diabetico potrebbe essere spinto a saltare sul frigorifero o su un bancone per trovare piccole quantità di cibo e
poi a dover cercare il resto della razione all’estremità opposta della casa.
Nei pazienti umani con diabete, ai fini del trattamento
della malattia, risulta utile l’integrazione con fibra.
Nell’uomo e nel cane, ciò rallenta la velocità di assorbimento del glucosio dall’intestino e riduce al minimo le
fluttuazioni postprandiali della glicemia. In questo modo si
rendono possibili un miglior controllo glicemico e la correzione dell’obesità; tuttavia, i dati rilevati nel gatto sono
142
meno convincenti. Nell’unico studio relativo all’impiego di
diete ad alto tenore di fibra nel gatto, in 9 soggetti su 13 è
stato riscontrato un significativo miglioramento del controllo glicemico in seguito al consumo della dieta ricca di
fibra.5 Esempi di diete ad elevato tenore di fibra sono le
Prescription Diet w/d ed r/d, la Science Diet Maintenance
Light, la Purina OM e la Iams Less Active. Poiché molti
gatti trovano scarsamente appetibili le diete ricche di fibra,
è possibile miscelare della fibra solubile come lo psillio al
loro alimento abituale e ottenere comunque ancora un miglior controllo della glicemia. Se il peso del gatto è normale all’inizio della terapia, la dieta va attestata a livelli di
mantenimento pari a 60-70 kcal/kg/die. Se il paziente è
obeso, l’assunzione calorica va limitata al 60-75% dei fabbisogni energetici per il peso ottimale del gatto.
I felini sono carnivori obbligati e, in quanto tali, presentano caratteristiche esclusive fra i mammiferi per quanto
riguarda la risposta insulinica ai carboidrati, alle proteine
ed ai grassi della dieta. Il fegato del gatto mostra una normale attività esochinasica, mentre quella glucochinasica è
praticamente assente.6 La glucochinasi converte il glucosio
a glicogeno per lo stoccaggio a livello epatico ed è importante per “eliminare” gli eccessivi livelli di glucosio postprandiali. I gatti normali sono in realtà simili ai pazienti
umani diabetici, perché nei pazienti umani affetti da diabete mellito di tipo II i livelli glucochinasici cadono precipitosamente con l’iperglicemia persistente. Lo stimolo per il
rilascio di insulina nel gatto è rappresentato dagli aminoacidi piuttosto che dal glucosio.7 In effetti, una recente pubblicazione ha dimostrato che è possibile effettuare una valutazione più efficace della riserva insulinica nel gatto utilizzando il test di risposta all’arginina piuttosto che quello
di tolleranza al glucosio.8 Un altro aspetto inusuale del metabolismo dei felini è l’incremento della gluconeogenesi
epatica che si osserva dopo un pasto normale. I gatti normali mantengono fabbisogni essenziali di glucosio ottenuto dai precursori gluconeogenici (gli aminoacidi) piuttosto
che dai carboidrati della dieta. Di conseguenza, possono
conservare una glicemia normale anche quando vengono
privati del cibo per più di 72 ore;7 inoltre, l’alimentazione
determina effetti molto scarsi sulla loro glicemia.2,9 Riassumendo, i felini si sono adattati in modo esclusivo ad una
dieta prettamente carnivora (topi) e non risultano metabolicamente pronti all’ingestione di un eccesso di carboidrati.
Quando si verifica un diabete di tipo II nel gatto, gli
NOTE
143
NOTE
adattamenti metabolici alla dieta carnivora diventano ancor
più deleteri, portando ad un grave catabolismo proteico;
l’assunzione di una dieta ricca di carboidrati può esacerbare l’iperglicemia ed il consumo di proteine in questi gatti
diabetici. In effetti, nei pazienti umani con diabete di tipo
II, la prima raccomandazione è quella di limitare l’eccesso
di carboidrati nella dieta, come le patate ed il pane, e controllare l’obesità attraverso la restrizione calorica.10 Inoltre,
è stato dimostrato che nei pazienti umani con diabete mellito di tipo II si ha un miglioramento del controllo glicemico e del turn-over azotato durante la perdita di peso che si
verifica quando la dieta a basso contenuto energetico (e
ricca di proteine) viene associata alla terapia con ipoglicemizzanti orali.11
Abbiamo riscontrato che diete ad elevato tenore proteico sono utili per aumentare la massa corporea magra e ridurre l’iperglicemia postprandiale. Quando si utilizzano
diete ricche di proteine e povere di carboidrati nei gatti che
vengono anche trattati con insulina è necessaria una certa
cautela, perché il fabbisogno insulinico può diminuire. Di
solito, il dosaggio dell’insulina viene ridotto del 25-50%
nei gatti che passano ad una dieta ricca di proteine mentre
vengono trattati con alte dosi di insulina.
Ipoglicemizzanti orali
Il trattamento del diabete mellito non-insulinodipendente è volto ad attenuare le anomalie fisiologiche del diabete
mellito attraverso la riduzione della produzione di glucosio
epatico e dell’assorbimento del glucosio dall’intestino, incrementando la sensibilità periferica all’insulina ed assicurando una maggiore secrezione di quest’ultima da parte del
pancreas. Gli ipoglicemizzanti orali sono rappresentati da
sulfoniluree (glipizide, gliburide, glimiperide), biguanidi
(metformid), tiazolidiedioni (troglitazone), inibitori alfaglucosidasici (acarbosio) e metalli di transizione (cromo,
vanadio).12,13
Le indicazioni per la terapia con ipoglicemizzanti orali
nel gatto sono rappresentati da peso corporeo normale o
aumentato, assenza di chetoni, probabile diabete di tipo II
senza affezioni primarie (pancreatiti, tumori pancreatici),
anamnesi di trattamenti diabetogeni e disponibilità dei proprietari a somministrare farmaci per os piuttosto che per
iniezione. Le regressione della tossicità da glucosio ottenu144
ta con un breve ciclo di insulinoterapia prima della somministrazione degli ipoglicemizzanti orali o in associazione
ad essi può migliorare la risposta a questi farmaci.2 allo
scopo, è essenziale che il proprietario collabori al mantenimento della dieta.
NOTE
Agenti che inibiscono l’assorbimento intestinale
del glucosio
Gli inibitori alfa-glucosidasici compromettono l’assorbimento del glucosio dall’intestino diminuendo la digestione della fibra e, quindi, la produzione di glucosio dalle
fonti alimentari.12-14 L’acarbosio viene utilizzato come terapia iniziale nei pazienti umani obesi prediabetici che soffrono di insulinoresistenza o come terapia aggiuntiva con
sulfoniluree o biguanidi per accrescere l’effetto ipoglicemizzante nei pazienti con diabete mellito di tipo II. Gli effetti collaterali sono rappresentati da flatulenza, feci molli
e diarrea a dosi elevate. L’acarbosio ed i composti correlati
non sono indicati nei pazienti di peso corporeo normale o
ridotto, per i loro effetti sulla nutrizione. L’acarbosio può
essere somministrato alla dose di 12,5-25 mg/gatto con i
pasti. Gli effetti collaterali sono più comuni ai dosaggi superiori e comprendono produzione di feci semiformate o,
in alcuni casi, una diarrea palese. L’effetto di riduzione del
glucosio determinato dal solo acarbosio è lieve e la glicemia si riduce soltanto nell’ordine di 11,8 -16,8 mmol/l
(250-300 mg/dl). Tuttavia, l’acarbosio è un eccellente
agente quando viene associato all’insulina, da sola o abbinata alla dieta, per migliorare il controllo glicemico. L’autore ha ottenuto un buon successo utilizzandolo in associazione con una dieta povera di carboidrati e ricca di proteine nel gatto alla dose di 12,5 mg/BID PO.
Agenti che promuovono il rilascio dell’insulina
dal pancreas
Il meccanismo d’azione delle sulfoniluree è quello di
aumentare la secrezione dell’insulina e migliorare l’insulinoresistenza; tuttavia, alcuni di questi agenti causano anche un incremento della produzione epatica del glucosio.12
Le sulfoniluree, poiché provocano il rilascio di insulina,
possono promuovere la progressione dell’amiloidosi pan145
NOTE
creatica. Nel gatto, la glipizide è stata utilizzata per trattare
con successo il diabete mellito alla dose di 2,5-5 mg/BID
in associazione con la terapia dietetica.15,16 Il paziente viene valutato una volta alla settimana e ogni 2 settimane per
un periodo di 2-3 mesi. Se la glicemia a digiuno diminuisce fino a valori inferiori a 200 mg/dl, la somministrazione
della glipizide va continuata allo stesso dosaggio ed il gatto va ricontrollato ogni 3-6 mesi. Se invece resta superiore
a 200 mg/dl dopo 2-3 mesi di terapia ed il paziente risulta
ancora sintomatico (poliuria/polidipsia, perdita di peso), il
farmaco va sospeso e si deve instaurare l’insulinoterapia.
Se la glicemia resta superiore a 200 mg/dl ed il gatto diventa asintomatico, la somministrazione della glipizide va
continuata a tempo indefinito e l’animale va ricontrollato
ogni 3-6 mesi.16 Le prime esperienze con la glipizide come
ipoglicemizzante orale nel gatto sono state deludenti. Tuttavia, è possibile che ciò sia correlato alla scelta del paziente ed all’impiego di una dieta non ideale piuttosto che
ad una chiara insufficienza del farmaco. I gatti colpiti da
un diabete di tipo II in fase iniziale hanno maggiori probabilità di rispondere a qualsiasi ipoglicemizzante orale. Gli
effetti collaterali di questi agenti sono rappresentati da grave ipoglicemia (rara nel gatto), epatite colestatica e vomito. Gli effetti collaterali gastroenterici, che si verificano nel
15% circa dei gatti trattati con glipizide, si risolvono quando il farmaco viene somministrato con il cibo.15,16
Una nuova sulfonilurea, la glimiperide (Amaryl®) è caratterizzata da minori effetti collaterali della glipizide e
può essere somministrata una sola volta al giorno. Gli studi
iniziali condotti nel gatto suggeriscono che questa possa
essere una valida alternativa alla glipizide alla dose di 1-2
mg totali una volta al giorno. Anche in questo caso, secondo l’esperienza dell’autore, l’associazione delle sulfoniluree con una dieta povera di carboidrati e ricca di proteine
ha avuto più successo della terapia dietetica basata sul ricorso alle fibre.
Agenti che inibiscono la produzione del glucosio
a livello epatico
La metformina appartiene al gruppo delle biguanidi
degli ipoglicemizzanti orali.12 Questi agenti operano inibendo il rilascio del glucosio dal fegato e migliorando la
sensibilità periferica all’insulina.17-18 Sono stati utilizzati
146
da soli ed in associazione con altri ipoglicemizzanti orali
per trattare il diabete mellito di tipo II nell’uomo.17 Un
vantaggio delle biguanidi è quello di non promuovere il rilascio di insulina; pertanto, quando vengono utilizzate da
sole non comportano alcun rischio di ipoglicemia. Inoltre,
si evitano le preoccupazioni relative alla progressione del
deposito di amiloide a livello pancreatico. Gli effetti collaterali delle biguanidi sono rappresentati da acidosi lattica
e manifestazioni gastroenteriche. Le controindicazioni
della terapia con metformina nell’uomo e, presumibilmente, nel gatto sono la concomitante presenza di nefropatia,
disfunzione epatica, ipossia ed alcolismo. I primi studi relativi all’impiego di questo farmaco per il trattamento del
diabete mellito non-insulinodipendente nel gatto sono stati deludenti, perché è stato associato a gravi effetti collaterali. La ricerca attuale indica che dosaggi inferiori di
metformina possono essere sicuri e forse efficaci come
ipoglicemizzanti orali nel gatto.18 Nell’uomo, l’associazione di questo agente con una sulfonilurea e con la dieta
(restrizione dei carboidrati) ha rappresentato l’approccio
terapeutico più efficace.17
NOTE
Agenti che migliorano la sensibilità periferica
all’insulina
Una nuova classe di ipoglicemizzanti orali che sta ricevendo notevole attenzione in medicina umana è rappresentata dai composti tiazolidinedionici.19,10 I tiazolidinedionici
facilitano l’eliminazione insulinodipendente del glucosio
ed inibiscono il rilascio dello stesso da parte del fegato attraverso l’attenuazione della gluconeogenesi e della glicogenolisi.19 Il troglitazone (Rezulin®) aumenta la trascrizione e la traslazione delle proteine necessarie al metabolismo
del glucosio. Alcuni autori hanno ipotizzato che l’uso di
questo farmaco nelle fasi iniziali del decorso del diabete
mellito non-insulinodipendente possa rallentare la progressione della malattia. Gli effetti collaterali del troglitazone
sono risultati minimi e non sono state descritte reazioni
ipoglicemiche. Nell’uomo, sono stati riscontrati in tutti i
pazienti un miglioramento dei livelli di glicemia a digiuno,
emoglobina glicosilata e complicazioni diabetiche, in misura significativa rispetto ai casi trattati con placebo.19
L’autore ha utilizzato 200 mg di troglitazone una volta al
giorno nel gatto senza osservare variazioni significative
147
NOTE
della regolazione della glicemia o effetti collaterali. Tuttavia, nell’uomo, in rari casi è stata osservata una tossicità
epatica (idiosincrasica) ed il farmaco sta venendo ritirato
dal mercato. Recenti pubblicazioni hanno descritto l’impiego di un dosaggio di 25 mg/kg nel gatto;21 tuttavia, non
sono disponibili dati relativi alla sua efficacia nei felini
diabetici.
I composti contenenti vanadio e cromo, metalli di transizione si sono dimostrati dotati di proprietà insulinomimetiche quando sono stati somministrati nell’acqua da bere a
topi e ratti colpiti da diabete mellito sperimentalmente indotto (di tipo I e di tipo II).22-25 La ricerca attuale indica che
questi metalli di transizione aggirano il recettore insulinico
ed attivano il metabolismo del glucosio all’interno della
cellula. Agendo a livello di un sito post-recettoriale, i composti del vanadio e del cromo rappresentano un trattamento
ideale per il diabete mellito di tipo II, che è dovuto ad una
mancanza di risposta dei recettori dell’insulina. A differenza di quest’ultima, il vanadio ed il cromo non diminuiscono
la glicemia negli animali normali.22-25 Gli studi condotti
presso il nostro laboratorio indicano che la somministrazione di basse dosi di vanadio per os riduce la glicemia ed i livelli sierici di fruttosamina ed allevia i segni clinici del diabete (polidipsia/poliuria) nei gatti con diabete mellito di tipo II in fase iniziale. Gli effetti collaterali sono rappresentati inizialmente da anoressia e vomito; tuttavia, la maggior
parte dei gatti non ha mostrato reazioni indesiderate in seguito alla ripresa della terapia con vanadio. Un recente studio della USDA su 180 pazienti con diabete mellito non-insulinodipendente ha riscontrato che la somministrazione di
1000 mg di cromo picolinato una volta al giorno ha determinato un miglioramento dei segni clinici classici del diabete e la normalizzazione dei livelli ematici di emoglobina
A1c.25 Il cromo può essere somministrato alla dose di 200
µg/gatto una volta al giorno sotto forma di compresse o capsule, mentre il vanadio si trova in commercio come Vanadyl Fuel (1/2 capsula una volta al giorno nel cibo).
Associazione degli ipoglicemizzanti orali
con l’insulina: modificazioni rispetto all’insulina
Gli agenti che compromettono l’assorbimento del glucosio dall’intestino (acarbosio) o aumentano la sensibilità
all’insulina (vanadio, metformina, troglitazone) possono es148
Tabella 1
Ipoglicemizzanti orali utilizzati nel trattamento del diabete mellito
non-insulinodipendente nell’uomo e nel gatto
Farmaco
Dose
(nome
commerciale®)
Frequenza
Effetti
collaterali
Agenti che promuovono il rilascio dell’insulina
Glipizide
2,5-5 mg (G) BID
Vomito,
epatotossicità,
ipoglicemia
Glimiperide 1-4 mg (U)
Amaryl®
sconosciuta
(G)
Ogni 24 ore (U) Gli stessi della
sconosciuta
glipizide, ma
(G)
con una minore
incidenza
Agenti che inibiscono la produzione epatica del glucosio
Metformina 500-750 mg BID (U)
Anoressia,
BID (G)
vomito
Glucophage® BID (U)
2-10 mg/kg (G)
NOTE
Meccanismo
d’azione
Rilascio di
insulina,
aumento della
sensibilità dei
recettori
insulinici
Rilascio
dell’insulina,
aumento della
sensibilità dei
recettori
insulinici
Inibisce la
produzione
epatica di
glucosio
Agenti che compromettono l’assorbimento del glucosio dall’intestino
Precose
50 mg (U)
BID-TID
Flatulenza,
Inibitore
con i pasti
feci molli,
dell’alfa-1
Acarbose® 12,5-25 mg
(G)
diarrea
glucosidasi,
compromette
l’assorbimento
del glucosio
dall’intestino
Agenti insulinosensibilizzanti
Troglitazone 200-400 mg ogni 24 ore
Rezulin®
(U)
25 mg/kg (G)
Vanadio
1/2 capsula
Vanadyl Fuel®
Cromo
picolinato
200 µg/gatto
ogni 24 ore
nel cibo
Ogni 24 ore
nel cibo
Lieve riduzione
di leucociti,
piastrine e livelli
di emoglobina
Aumenta la
sensibilità dei
recettori
insulinici
Anoressia,
vomito
Aumenta la
sensibilità dei
recettori
insulinici
Aumenta la
sensibilità dei
recettori
insulinici
149
NOTE
sere associati a quest’ultima per migliorare il controllo del
glucosio. Nel caso dei “diabetici fragili”, in cui piccole variazioni in aumento del dosaggio dell’insulina possono scatenare l’ipoglicemia, l’aggiunta di un farmaco che accentua
l’azione dell’insulina può portare ad una riduzione del dosaggio di quest’ultima necessario per ottenere l’euglicemia.
Nell’uomo, si utilizzano comunemente l’acarbosio e la
metformina in associazione con l’insulina ed altri ipoglicemizzanti orali (sulfoniluree) che causano il rilascio dell’insulina. L’associazione di qualsiasi ipoglicemizzante orale
con l’insulina va effettuata con cautela, perché esiste il rischio di un’ipoglicemia grave o fatale. In alcuni gatti diabetici, può essere necessario il passaggio dall’insulina agli
ipoglicemizzanti orali o viceversa. Se un gatto è particolarmente sensibile all’insulina o mostra un diabete transitorio
dovuto alla regressione della “tossicità del glucosio”, si deve prendere in considerazione il passaggio ad un ipoglicemizzante orale. Al contrario, se un gatto viene trattato con
ipoglicemizzanti orali ed insorge una chetosi, i farmaci utilizzati vanno sospesi e si deve passare all’insulina.
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NOTE
151
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Deborah S. Greco
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Veterinary Teaching Hospital
Colorado State University
Fort Collins, USA
Sta cominciando ad assomigliare
molto ad un Cushing
It’s beginning to look a lot like Cushing’s
Domenica, 30 settembre 2001, ore 10.45
153
NOTE
154
L’iperadrenocorticismo (sindrome di Cushing) può essere causato da tumori o iperplasie dell’ipofisi o delle surreni o da tumori non endocrini (di solito polmonari), oppure può essere iatrogeno. L’iperadrenocorticismo è una malattia dei gatti di media età o anziani (7-12 anni). Si tratta
di un raro disordine endocrino dei felini, solitamente
(99%) di origine ipofisaria.
I segni clinici più comunemente associati all’iperadrenocorticismo felino sono rappresentati da polidipsia, poliuria, polifagia, letargia, aumento di dimensioni dell’addome
o “ventre a botte”, polipnea, obesità, debolezza muscolare
e diabete mellito. Le manifestazioni dermatologiche della
condizione possono essere rappresentate da alopecia (soprattutto del tronco), cute sottile, flebectasia, comedoni,
ecchimosi, iperpigmentazione cutanea, calcinosis cutis,
piodermite, atrofia del derma (soprattutto intorno alle cicatrici), seborrea e demodicosi secondaria. La cute sottile è
la caratteristica distintiva dell’iperadrenocorticismo del
gatto. I felini colpiti da sindrome di Cushing sviluppano un
assottigliamento dell’epidermide così grave da potersi infliggere delle ferite aperte semplicemente durante la pratica dell’autotoelettatura.
La diagnosi dell’iperadrenocorticismo può essere impegnativa. Le anomalie del profilo biochimico sono rappresentate da aumento delle attività sieriche della fosfatasi alcalina (ALP) e dell’alaninatransferasi (ALT), ipercolesterolemia ed iperglicemia. L’emogramma è spesso caratterizzato da segni di rigenerazione eritroide (eritrociti nucleati)
e da un classico “leucogramma da stress”. Occasionalmente, si osserva basofilia. Il peso specifico dell’urina è di norma diminuito e può essere ipostenurico. Negli animali con
iperadrenocorticismo è spesso coinvolto anche lo status tiroideo, come si evince dalla diminuzione dei livelli totali
di T4 e T3 causata dalla “sindrome dell’eutiroideo malato”
e dall’attenuazione della risposta alla stimolazione con
TSH dovuta alla “saturazione” degli ormoni tireotropi ipofisari ad opera degli adrenocorticotropi. Nell’85% circa dei
gatti con iperadrenocorticismo si può avere un diabete
mellito palese dovuto all’antagonismo dell’insulina causato dall’ipercortisolemia. Al contrario, negli animali diabetici l’iperadrenocorticismo può essere una causa di resistenza all’insulina e di scarso controllo glicemico.
La diagnosi dell’iperadrenocorticismo va basata sul riscontro dei segni clinici indicativi della condizione e sulla
successiva identificazione di un numero minimo di anoma-
lie dei dati di laboratorio (elevati livelli sierici di colesterolo, aumento dell’attività dell’ALP), ecc., e confermata attraverso un appropriato test di screening.
NOTE
TEST DI SCREENING PER
L’IPERADRENOCORTICISMO NEL GATTO
I test di screening per l’iperadrenocorticismo, come
quello di soppressione con basse dosi di desametazone
(LDDS, low-dose dexamethasone suppression) e quello di
stimolazione con adrenocorticotropina (ACTH), operano
sul principio della soppressione o stimolazione dell’asse
ipofisi-surrene. Nel caso del LDDS, il desametazone viene
somministrato a basse dosi per indurre un feed-back negativo sull’ipofisi. In un animale normale, tale feed-back negativo esita in una riduzione della secrezione endogena di
ACTH ed in un conseguente calo delle concentrazioni del
cortisolo circolante. Il desametazone è l’unico corticosteroide di sintesi che non dà origine a reazioni crociate con il
test del cortisolo. La stimolazione con ACTH viene impiegata per determinare l’entità dell’ingrossamento delle surreni. Quelle che sono aumentate di dimensioni a causa della stimolazione ipofisaria cronica operata dall’ adrenocorticotropina o quelle neoplastiche mostrano una risposta esagerata all’ACTH esogeno.
Il test di stimolazione con corticotropina (ACTH) viene
utilizzato per diagnosticare una varietà di disordini adrenopatici come l’iperadrenocorticismo endogeno o iatrogeno e
l’ipoadrenocorticismo spontaneo. All’inizio del test si deve
prelevare un campione di sangue su cui determinare il livello basale di cortisolo; successivamente, si somministra per
via endovenosa durante la fluidoterapia iniziale un ACTH
di sintesi (Cortrosyn, 0,25 mg). A distanza di 30 minuti e di
un’ora, si possono prelevare dei campioni post-ACTH, e
dopo il prelievo del campione a distanza di un’ora si somministrano dei glucocorticoidi. Se si impiega l’ACTH in
gel, i campioni vanno prelevati a distanza di 1 o 2 ore
dall’iniezione. Come test di screening per la diagnosi
dell’iperadrenocorticismo spontaneo, il test di risposta
all’ACTH possiede una sensibilità diagnostica del 95% circa ed una specificità più elevata di quello di stimolazione
con basse dosi di desametazone. In uno studio, solo il 15%
dei cani con affezioni non surrenaliche ha mostrato una risposta esagerata alla stimolazione con ACTH. Il test di sop155
NOTE
pressione con basse dosi di desametazone (0,1 mg/kg IV) è
stato utilizzato per lo screening dei gatti con sospetto iperadrenocorticismo. Tuttavia, non esistono studi imponenti che
abbiano preso in esame la specificità e la sensibilità di questo test nei felini; quindi, negli animali di questa specie
l’esame di elezione è quello di stimolazione con ACTH.
La misurazione dei livelli plasmatici di ACTH endogeno è il metodo più affidabile per distinguere l’iperadrenocorticismo ipofisi-dipendente dai tumori surrenalici. I cani
con neoplasie del surrene presentano concentrazioni di
ACTH basse o non rilevabili. Al contrario, quelli con iperadrenocorticismo ipofisi-dipendente mostrano livelli di
ACTH normali o aumentati. Il prelievo di sangue intero in
provette con EDTA dopo l’aggiunta di un inibitore delle
proteasi, l’aprotinina, inibisce la degradazione dell’ACTH.
TRATTAMENTO
DELL’IPERADRENOCORTICISMO FELINO
Nei gatti con iperadrenocorticismo accertato, sono possibili tre opzioni terapeutiche. Per il trattamento di questi
pazienti sono state utilizzate tecniche chirurgiche, radioterapiche e mediche, e tutte e tre le modalità hanno ottenuto
vari gradi di successo. Secondo l’esperienza dell’autore,
nel gatto il trattamento d’elezione è quello chirurgico.
La terapia chirurgica dell’iperadrenocorticismo felino,
anche se nella maggior parte di questi animali la condizione è ipofisi-dipendente, è la surrenalectomia bilaterale. Su
6 gatti così trattati presso il CSU-VTH (Colorado State
University - Veterinary Teaching Hospital), tutti i casi sono
rimasti asintomatici dopo l’intervento. In effetti, in tutti i
gatti è stata osservata la risoluzione dello stato diabetico in
seguito alla rimozione delle surreni. Per la descrizione della procedura operatoria, si rimanda il lettore ai trattati di
chirurgia; tuttavia, per un buon esito è essenziale la terapia
medica del gatto durante il periodo operatorio e postoperatorio. Immediatamente dopo la surrenalectomia si deve avviare una terapia sostitutiva con mineralcorticoidi (desossicorticosterone pivalato [DOCP] 12,5 mg/gatto ogni 25
giorni) e glucocorticoidi (20 mg di metilprednisolone acetato ogni 30 giorni). Le complicazioni della surrenalectomia sono rappresentate da deiscenza, aumento dell’aggressività (c.d. “steroid-rage”), scarsa guarigione delle ferite,
crisi addisoniana, ipoglicemia se dopo l’intervento si conti156
Tabella 1
Protocolli per i test di screening e di differenziazione
dell’iperadrenocorticismo
NOTE
Test di screening per l’iperadrenocorticismo
Test di soppressione con basse dosi di desametazone
Protocollo: 0,015 mg/kg IV o IM di una soluzione di desametazone, o 0,01 mg/kg IV di desametazone sodio fosfato, con prelievo di campioni dopo 0, 3 ed 8 ore
Valori normali: prima dell’inizio del test = 28-110 mmol/l, dopo
3 ore < 40 mmol/l, dopo 8 ore = 40 mmol/l.
Test di stimolazione con corticotropina ACTH
Protocollo: 0,5 U/kg di corticotropina acquosa IV, campioni a 0,
30 minuti ed 1 ora
Protocollo: 2,2 U/kg di corticotropina in gel IM (10 unità), campioni a 0, 1 e 2 ore
Valori normali: prima dell’inizio del test = 28-110 mmol/l, dopo
somministrazione di ACTH < 550 mmol/l.
Rapporto cortisolo/creatinina nell’urina
Protocollo: prelievo di un singolo campione di urina, emesso
spontaneamente o ottenuto per cistocentesi
Valori normali: dipendono dal laboratorio
Isoenzimi della fosfatasi alcalina
Protocollo: prelievo di un singolo campione di siero, la fosfatasi
alcalina deve essere almeno 2-3 volte superiore al normale
Valori normali: < 150 U/l
Test di differenziazione per l’iperadrenocorticismo
Test di soppressione con alte dosi di desametazone
Protocollo: 1 mg/kg IV di desametazone, campioni a 0 ed 8 ore
Valori normali: soppressione a < 40 mmol/l dopo 8 ore
ACTH endogeno
Protocollo: prelievo di un singolo campione di plasma (che si
può ottenere prima del test di screening e congelare per ulteriori
analisi). Effettuare il prelievo in vacutainer con EDTA (con
aprotinina), centrifugare e conservare in provette di plastica,
trasportare a 4°C (o congelare se il prelievo non viene effettuato
in aprotinina)
Valori normali: 4,4-8,8 pmol/l
157
NOTE
nua con l’insulinoterapia e aumento di dimensioni del tumore ipofisario con conseguente insorgenza di cecità o crisi convulsive (sindrome di Nelson).
La seconda opzione terapeutica in ordine di efficacia
per i gatti con iperadrenocorticismo è la radioterapia del
tumore ipofisario, dal momento che nel 90% dei soggetti
colpiti la condizione è ipofisi-dipendente. Tuttavia, la radioterapia è costosa (da 1500 a 2000 $) e richiede tempo (3
settimane). I risultati ottenuti in 5 gatti così trattati presso
il CSU-VTH dimostrano che si tratta di un metodo efficace
associato a bassa morbilità; tuttavia, possono occorrere parecchi mesi per ottenere la remissione dei segni clinici
dell’iperadrenocorticismo ipofisi-dipendente nei gatti trattati. Alla fine, tuttavia, questi animali restano in buone
condizioni di salute a lungo (anni) perché è stato trattato il
processo patologico primario (tumore ipofisario).
Infine, la terapia medica ha avuto un limitato successo
nei gatti con iperadrenocorticismo. A differenza del cane,
nei felini questo non risponde al mitotane. Analogamente,
in questi animali di solito non risulta efficace il ketoconazolo, perché, a dosi elevate, può essere causa di grave anoressia. In un piccolo numero di gatti è stato utilizzato con
un certo successo il metirapone, un inibitore enzimatico
steroideo; tuttavia, va somministrato tre volte al giorno.
Non sono stati pubblicati studi relativi all’efficacia della
selegilina cloridrato (Anipryl) nei gatti con iperadrenocorticismo ipofisi-dipendente, ma, data la sua limitata utilità
nel cane, non sembra che questo farmaco sia adatto per la
terapia a lungo termine dei felini. L’impiego primario della
terapia medica, solitamente attuata con il ketoconazolo, nei
gatti con iperadrenocorticismo è quello di preparare i soggetti alla surrenalectomia chirurgica o alla radioterapia.
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Tabella 2
Confronto fra i test di screening per l’iperadrenocorticismo
NOTE
VANTAGGI
SVANTAGGI
Test di soppressione con basse dosi di desametazone
1. Facile da eseguire
2. Affidabile
3. Sensibilità elevata (92-95%)
4. Può essere diagnostico per
iperadrenocorticismo ipofisidipendente, se si rilevano
soppressione e fuga
1. Specificità inferiore al test di
stimolazione con ACTH,
soprattutto nei cani stressati
(56% di falsi positivi)
2. Richiede l’ospedalizzazione
3. Richiede 8 ore di esame
4. È meno economico della
stimolazione con ACTH
5. Necessita di tre campioni
Test di stimolazione con corticotropina
1. Facile da attuare, affidabile
1. Sensibilità complessiva inferiore
a quella del test di soppressione
con basse dosi di desametazone
(85%), soprattutto in caso di
tumore surrenalico (50-60%)
2. Specificità più elevata del test 2. Variazione di laboratorio entro
di soppressione con basse dosi
la gamma normale
di desametazone (85%)
3. Necessita di un minor numero 3. Non consente di differenziare
di campioni di siero
l’iperadrenocorticismo ipofisidipendente dal tumore
surrenalico
4. L’ospedalizzazione non è
necessaria
5. Il test dura 1 o 2 ore
6. Permette di differenziare
l’iperadrenocorticismo iatrogeno
da quello endogeno
7. Consente si stabilire i valori basali
per il monitoraggio della terapia
Rapporto cortisolo creatinina nell’urina
1. Altamente sensibile:
1. Bassa specificità: 24%
non si hanno falsi negativi
segue →
159
NOTE
Tabella 2 - seguito
2. Richiede un singolo campione 2. I casi positivi vanno confermati
di urina emessa naturalmente
con un test di soppressione con
basse dosi di desametazone o
con quello di stimolazione con
ACTH
3. Maggiore comodità
per il proprietario
4. Diminuzione dei costi:
campione unico
Isoenzima della fosfatasi alcalina
1. Ampiamente disponibile
1. Non diagnostico per
l’iperadrenocorticismo iatrogeno
2. Economico
2. Influenzato dallo stress
3. Necessita solo di un singolo
3. Influenzato da malattie
campione di siero
non surrenaliche
4. Valore prognostico di un test 4. Va confermato mediante test
negativo: 100%
di soppressione con basse dosi
di desametazone o stimolazione
con ACTH
Associazione del test di stimolazione con corticotropine
e di soppressione con alte dosi di desametazone
1. Associa un test
1. Richiede almeno tre campioni
di screening/differenziazione
per la ricerca del cortisolo
2. Necessita di un’unica visita
2. La parte di test relativa alla
ospedaliera
stimolazione con ACTH è meno
affidabile dello stesso test da
solo
3. Durata inferiore a quella del
3. Difficile interpretazione
test di soppressione con basse
o alte dosi di desametazone
4. Può fornire informazioni
relative allo stadio clinico
dell’iperadrenocorticismo
6.
7.
8.
9.
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Tabella 3
Confronto fra test e tecniche per la differenziazione
dell’iperadrenocorticismo ipofisario o surrenalico
NOTE
VANTAGGI
SVANTAGGI
Test di soppressione con alte dosi di desametazone
1.
2.
3.
4.
5.
1.
2.
3.
1.
2.
3.
1.
2.
3.
1.
2.
Non richiede strutture speciali 1. Necessita dell’ospedalizzazione
Economico
2. È costoso
Scomodo
Prelievo dei campioni
nell’arco di 8 ore
I macroadenomi ipofisari
possono sfuggire alla soppressione
Misurazione dell’adrenocorticotropina endogena
Unico campione di plasma
1. Costoso
Può essere prelevato prima
2. L’analisi è effettuata solo
del test di screening e congelato
da certi laboratori
per le analisi successive
Più affidabile del test di
3. È necessaria una particolare
soppressione con alte dosi
manipolazione
di desametazone
Esame ecografico delle surreni
Permette di differenziare
1. Richiede strumenti sofisticati
bene il tumore surrenalico
dall’iperadrenocorticismo
ipofisi-dipendente
Non è invasivo
2. Necessita di un operatore
esperto
Relativamente economico
ed ampiamente disponibile
Tomografia computerizzata
Non invasiva
1. Costosa
Localizza i tumori ipofisari
2. Necessita di strumenti sofisticati
Permette di stimare le
3. Non ampiamente disponibile
dimensioni del tumore
Risonanza magnetica
Non invasiva
1. Costosa
Localizza i tumori ipofisari
2. Necessita di strumenti sofisticati
segue →
161
NOTE
Tabella 3 - seguito
3. Permette di stimare
3. Non ampiamente disponibile
le dimensioni del tumore
Associazione fra test di soppressione con alte dosi di desametazone
e test di stimolazione con ACTH
1. Associa un test di screening
1. Richiede almeno tre campioni
con uno di differenziazione
di sangue
in un’unica procedura
2. Economica
2. Se non si verifica la
stimolazione con ACTH, il test
di soppressione con alte dosi di
desametazone diventa non
interpretabile
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
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NOTE
163
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Deborah S. Greco
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Veterinary Teaching Hospital
Colorado State University
Fort Collins, USA
Aggiornamenti sull’ipertiroidismo felino
Update on feline hyperthyroidism
Domenica, 30 settembre 2001, ore 11.30
165
NOTE
L’ipertiroidismo è la più comune endocrinopatia del
gatto. In questa specie animale, nella maggior parte dei casi la malattia è causata da un iperfunzionamento autonomo
di noduli della ghiandola tiroide.
Tali noduli secernono tirossina (T4) e triiodotironina
(T3) senza il controllo dei normali meccanismi fisiologici
(ad es., secrezione di tireotropina [TSH] ipofisaria).
Possono essere colpiti uno o entrambi i lobi della
ghiandola. Rari casi di ipertiroidismo felino (1-2%) sono
dovuti ad un carcinoma tiroideo iperfunzionante.
Risultano tipicamente affetti i gatti di media età o anziani e non è stata riscontrata alcuna predilezione di razza
o sesso.
L’ipertiroidismo è caratterizzato da ipermetabolismo;
di conseguenza, le caratteristiche più accentuate della
malattia sono la polifagia, la perdita di peso, la polidipsia e la poliuria. Le manifestazione gastroenteriche
dell’ipertiroidismo sono rappresentate dal vomito causato dalla stimolazione della zona chemiorecettoriale scatenante e dalla sovralimentazione e dalla diarrea dovuta
al malassorbimento.
Si osserva anche un’attivazione del sistema nervoso
simpatico con iperattività, tachicardia, dilatazione pupillare e modificazioni comportamentali che costituiscono ulteriori caratteristiche della malattia nel gatto. L’ipertiroidismo di vecchia data conduce a miocardiopatia ipertrofica,
insufficienza cardiaca ad elevata gittata e cachessia che
possono portare a morte l’animale.
L’esame radiografico ed ecocardiografico dei gatti ipertiroidei rivela spesso una miocardiopatia ipertrofica. Occasionalmente, nei felini gravemente ipertiroidei si può osservare un versamento toracico pseudochiloso.
Riscontri anamnestici
•
•
•
•
•
•
•
•
•
166
Perdita di peso
Polifagia
Vomito
Diarrea
Polidipsia
Tachipnea
Iperattività
Dispnea
Aggressività
Riscontri clinici
•
•
•
•
•
•
•
NOTE
Ingrossamento della tiroide (bilaterale nel 70% dei casi)
Scadimento delle condizioni corporee
Soffio cardiaco
Tachicardia
Ritmo di galoppo
Aspetto trascurato
Unghie ispessite
Le caratteristiche alterazioni degli esami di laboratorio
nei soggetti ipertiroidei sono rappresentate da eritrocitosi e
leucogramma da stress (neutrofilia, linfocitosi) dovuto
all’aumento dei livelli circolanti di catecolamine.
L’incremento del catabolismo del tessuto muscolare nei
gatti ipertiroidei può determinare un aumento dell’azotemia, ma non della creatininemia. Anzi, nei felini colpiti
dalla malattia si può verificare un aumento della velocità di
filtrazione glomerulare che può mascherare un’insufficienza renale sottostante.
Anche se l’ipertiroidismo aumenta la velocità di filtrazione glomerulare, l’effetto dell’eccesso di ormone tiroideo sull’analisi delle urine risulta variabile. Tuttavia, la
maggior parte dei gatti presenta un calo del peso specifico
dell’urina, in particolare se fra i segni clinici è presente la
poliuria.
L’aumento del metabolismo esita in un ipermetabolismo epatico; quindi, nell’80-90% dei gatti ipertiroidei si riscontra un incremento delle attività degli enzimi epatici
(ALT, AST). I livelli sierici di colesterolo diminuiscono,
non a causa di una riduzione della sintesi, quanto piuttosto
dell’aumento della clearance epatica mediata dall’eccesso
di ormone tiroideo.
Emogramma/profilo biochimico/analisi dell’urina
• Eritrocitosi (lieve) e, meno comunemente, leucocitosi,
linfopenia ed eosinopenia (risposta da stress associata ad
elevati livelli di T3 e T4).
• Elevata attività dell’ALT (comune).
• Elevate concentrazioni di ALP, LDH, AST, azotemia,
creatinina, glucosio, fosforo e bilirubina sono meno comuni e vengono causate da complicazioni più gravi
dell’ipertiroidismo.
167
NOTE
Diagnosi differenziale
I segni clinici dell’ipertiroidismo felino si possono sovrapporre a quelli dell’insufficienza renale cronica,
dell’epatopatia cronica e delle neoplasie (soprattutto del
linfoma intestinale). Queste possibili diagnosi differenziali
vanno escluse attraverso gli esami di laboratorio di routine
ed i test di funzionalità tiroidea.
Diagnosi dell’ipertiroidismo nel gatto
La diagnosi dell’ipertiroidismo felino viene formulata
sulla base della misurazione dei livelli sierici totali di tiroxina (TT4); quelli della triiodotironina (TT3) generalmente non forniscono indicazioni utili da questo punto di
vista. Poiché la malattia è diventata più comune e viene riconosciuta negli stadi iniziali, recentemente è stato dimostrato che la determinazione dei livelli di tiroxina libera
(FT4, free T4) ha maggior valore diagnostico per l’identificazione dell’ipertiroidismo iniziale o “occulto”. Tuttavia, i
livelli di FT4 vanno interpretati alla luce di quelli di TT4,
dal momento che una malattia non tiroidea (insufficienza
renale cronica) può determinare innalzamenti spuri dei valori di FT4. La determinazione dei livelli di triiodotironina
libera (FT3) non offre alcun vantaggio rispetto a quella
delle concentrazioni di FT4. La diagnosi può risultare impegnativa nei gatti con ipertiroidismo occulto che mostrano segni clinici indicativi di ipertiroidismo (polifagia, polidipsia, poliuria, perdita di peso, gozzo) ma presentano concentrazioni normali (solitamente ai limiti superiori della
norma) di TT4. Nei casi di sospetto ipertiroidismo occulto,
può essere indicato il test di soppressione con T3 o quello
di stimolazione con TRH.
• Concentrazioni sieriche totali di T4 (TT4; questo test
misura sia la T4 legata alle proteine che quella libera
[non legata]) - il riscontro di elevate concentrazioni a riposo conferma la diagnosi di ipertiroidismo.
• Determinazione dei livelli sierici totali di T3 - il riscontro di valori elevati è meno affidabile della determinazione della TT4 sierica
• Misurazione della T4 libera (FT4) mediante dialisi
all’equilibrio - utile per la diagnosi dell’ipertiroidismo
lieve o iniziale nel gatto (questi animali possono presentare livelli sierici di TT4 a riposo normali). La FT4, teo168
ricamente, riflette in modo più accurato il reale status secretorio della tiroide, tuttavia in alcuni gatti con malattia
non tiroidea non si riscontrano aumenti inspiegabili di questo parametro. Di conseguenza, la FT4 non va utilizzata da
sola come primo test di screening.
• Test di soppressione con T3 - utile per la diagnosi
dell’ipertiroidismo lieve
• Test di stimolazione con ormone tireotropinorilasciante
(TRH) - utile per la diagnosi dell’ipertiroidismo lieve
NOTE
Diagnostica per immagini
• L’esame radiografico e quello ecocardiografico del torace possono essere utili per valutare la gravità della miocardiopatia. L’ecografia addominale può servire a giudicare una nefropatia primaria nel gatto
Procedure diagnostiche
• Il trattamento dell’ipertiroidismo può determinare un significativo calo della funzione renale. Qualsiasi anomalia dell’emogramma, del profilo biochimico o dell’analisi delle urine va ulteriormente valutata mediante urocoltura, radiografia addominale ed esame ecografico del
tratto urinario.
• Inoltre, nei gatti in cui si sospetta una nefropatia primaria
si può effettuare la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare attraverso la scomparsa dal plasma
dell’ioexolo o di radiofarmaci appropriati (se disponibili).
• Nella completa valutazione pretrattamento e per il monitoraggio della terapia può essere utile la misurazione
della pressione sanguigna con tecniche non invasive.
Terapia chirurgica
I vantaggi nella terapia chirurgica sono rappresentati
dall’ampia disponibilità di strutture per la sua attuazione e
dal costo relativamente ridotto. Gli svantaggi comprendono l’ipotiroidismo iatrogeno, le recidive delle forme bilaterali, il rischio anestetico e la paralisi laringea. Alcuni svantaggi possono essere evitati effettuando le tiroidectomie
“per stadi”. Si rimuove dapprima la porzione più grande
169
NOTE
della ghiandola, mentre quella controlaterale viene asportata diverse settimane o mesi dopo l’intervento. Ciò tende
ad evitare i problemi di ipocalcemia osservati con la tiroidectomia bilaterale.
Radioterapia
La terapia con 131I resta la forma più efficace e meno invasiva di terapia dell’ipertiroidismo del gatto. I suoi vantaggi dipendono dalla somministrazione in dose unica, dalla non invasività, dalla permanenza del trattamento
dell’ipertiroidismo e dall’efficacia nei casi di adenoma extratiroideo. Il principale svantaggio è la scarsa disponibilità, seguita dal costo e dalla durata dell’ospedalizzazione
(3-4 settimane in alcuni Stati).
Iniezione di etanolo
Un metodo recentemente descritto per il trattamento
dell’ipertiroidismo è l’iniezione di etanolo nel gozzo tiroideo (Schaer 1998). Si tratta di un metodo poco costoso che
non necessita di speciali apparecchiature. Si effettuano nel
nodulo tiroideo una serie di iniezioni (3-5) di etanolo al
95% ad intervalli di 7-14 giorni. Nel gatto descritto nello
studio pubblicato in letteratura è stato osservato un declino
costante dei livelli sierici di TT4 e l’animale è parso ben
tollerare le iniezioni fino alla quarta. Nel corso dell’ultima,
il soggetto si è dibattuto ed ha immediatamente manifestato una grave dispnea causata da una disfunzione laringea.
È stato inserito un tubo da tracheostomia ed è stato effettuato un tie-back laringeo, dopodiché il gatto è guarito senza complicazioni. Sei mesi dopo il trattamento, l’animale
restava asintomatico e con livelli normali di TT4.
Terapia medica
Le opzioni della terapia medica per l’ipertiroidismo felino sono rappresentate da tapazolo, propiltiouracile (PTU)
e sodio ipodato. I vantaggi di questo trattamento sono legati al basso costo iniziale, alla disponibilità ed alla reversibilità Gli svantaggi comprendono l’ipotiroidismo iatrogeno,
l’esacerbazione della nefropatia e gli effetti collaterali co170
me la neutropenia e la colangioepatite. La maggior parte
dei gatti viene trattata con terapia medica mediante somministrazione di tapazolo alla dose di 5 mg BID; tuttavia,
molti casi possono essere trattati con 2,5-5 mg una volta al
giorno o a giorni alterni se insorgono effetti collaterali. Il
PTU viene utilizzato raramente a causa delle discrasie
ematiche; tuttavia, viene prescritto per il trattamento della
crisi tireotossica per inibire la conversione di T4 a T3 a livello periferico. Come alternativa alla terapia con tapazolo
è stato descritto l’impiego del sodio o calcio ipodato alla
dose di 50-200 mg BID. Tuttavia, questo agente non diminuisce i livelli di T4, ma previene la conversione del T4 a
T3 a livello periferico. Si devono quindi monitorare le concentrazioni sieriche di T3 piuttosto che di T4. Altri farmaci
che possono essere utili nel trattamento medico dell’ipertiroidismo, ed in particolare nella crisi tireotossica, sono
rappresentati da desametazone (che inibisce la conversione
periferica di T4 a T3), beta-1 bloccanti (atenololo), soluzione glucosata al 5% e tiamina.
• Il metimazolo è il farmaco antitiroideo raccomandato
con maggiore frequenza (5 mg ogni 12 ore)
• Per il trattamento di alcuni effetti cardiovascolari e neurologici degli eccessi di ormone tiroideo si utilizzano talvolta i beta-bloccanti. Questi farmaci possono essere impiegati in associazione con il metimazolo e sono usati
principalmente per la preparazione del paziente alla tiroidectomia chirurgica o alla terapia con iodio radioattivo.
NOTE
Precauzioni
• I farmaci antitiroidei presentano diversi effetti collaterali. L’anoressia ed il vomito insorgono comunemente in
seguito all’impiego del metimazolo. Rare reazioni sono
l’escoriazione da autotraumatismo del muso, la trombocitopenia, la diatesi emorragica, l’agranulocitosi, la
comparsa di anticorpi antinucleari sierici e l’epatopatia.
Questi effetti collaterali si sviluppano di solito entro i
primi tre mesi di trattamento e possono imporre o meno
la sospensione del farmaco ed il ricorso ad una terapia
alternativa (a seconda della gravità)
• Emorragia, ittero ed agranulocitosi impongono l’immediata sospensione del trattamento
• Il carbimazolo, un altro utile agente antitiroideo, non è
disponibile negli Stati Uniti
171
NOTE
• Se non si può utilizzare il metimazolo, può essere utile
il propiltiouracile. Gli effetti collaterali possono essere
più comuni e più gravi che con il metimazolo.
MONITORAGGIO DEL PAZIENTE
• Metimazolo - esame clinico, emogramma (con conteggio piastrinico), profilo biochimico e determinazione di
livelli sierici di T4 ogni 2-3 settimane per i primi tre mesi di trattamento. Modificare il dosaggio del farmaco per
mantenere le concentrazioni dell’ormone ai limiti inferiori della norma.
• Tiroidectomia chirurgica - effettuare il monitoraggio per
rilevare lo sviluppo di ipocalcemia e/o paralisi laringea
durante il primo periodo postoperatorio. La misurazione
delle concentrazioni di T4 va effettuata entro la prima
settimana dopo l’intervento e poi ogni 3-6 mesi per rilevare eventuali recidive.
• Iodio radioattivo - effettuare la misurazione delle concentrazioni di T4 due settimane dopo il trattamento e
poi ogni 3-6 mesi.
• Funzione renale - nella maggior parte dei pazienti la velocità di filtrazione glomerulare diminuisce in seguito al
trattamento dell’ipertiroidismo. Quindi, si devono valutare l’esame clinico, il profilo biochimico e l’analisi delle urine un mese dopo il trattamento e poi ogni volta che
sia indicato in base all’anamnesi.
POSSIBILI COMPLICAZIONI
La malattia non trattata può portare ad insufficienza
cardiaca congestizia, diarrea incoercibile, danno renale, distacco retinico (conseguente ad ipertensione) e morte. Le
complicazioni del trattamento chirurgico sono rappresentate da iperparatiroidismo, ipotiroidismo e paralisi laringea.
Nei soggetti sottoposti a terapia con iodio radioattivo,
l’ipotiroidismo è raro.
CONDIZIONI ASSOCIATE
Nei gatti con nefropatia (sia secondaria all’ipertensione
che non correlata all’affezione tiroidea), la prognosi è me172
no favorevole. L’insufficienza renale può non divenire apparente fino a che non sia stato ristabilito l’eutiroidismo.
Per questa ragione, si raccomanda il ricorso ad una forma
reversibile di trattamento (farmaci antitiroidei) se si sospetta una nefropatia in un gatto ipertiroideo. In alcuni pazienti
può essere preferibile non attuare alcun trattamento per
l’ipertiroidismo.
NOTE
Complicazioni della terapia
Nefropatia - Si può osservare in seguito a qualsiasi rapida regressione dello stato ipertiroideo. Tutte le forme di
terapia, compresa quella medica, quella chirurgica o la
somministrazione di 131I possono esitare nel deterioramento della funzione renale. Nel caso della terapia medica, il
farmaco va sospeso ed il dosaggio ridotto per consentire ai
livelli di TT4 di restare ai limiti superiori della norma in
modo da sostenere la funzione renale. Nei casi in cui si intende effettuare una terapia permanente dell’ipertiroidismo, per stabilire se i gatti colpiti siano in grado di tollerarla si raccomanda di effettuare un trattamento preventivo
con tapazolo. È necessario porre grande cura al sostegno
della funzione renale durante la radioterapia o la chirurgia.
Si raccomanda la diuresi indotta mediante fluidoterapia endovenosa seguita da fluidoterapia di supporto per via sottocutanea. Se la funzione renale continua a deteriorarsi dopo
la fluidoterapia, si può utilizzare la levotiroxina a basse dosi (0,1 mg/die) per trattare l’animale.
Paralisi laringea - Si osserva nei soggetti sottoposti ad
iniezioni di etanolo e, occasionalmente, in seguito a tiroidectomia bilaterale a causa del danneggiamento del nervo
ricorrente laringeo. Il trattamento consiste nell’attuazione
di un tie-back laringeo monolaterale.
Recidive dell’ipertiroidismo - Si osservano più comunemente in seguito alla incompleta rimozione chirurgica della ghiandola. Può essere indicata la ripetizione dell’intervento o la terapia con 131I.
Ipotiroidismo - Si riscontra secondariamente a qualsiasi
terapia; tuttavia, nel caso di quella medica si può far regredire facilmente con la sospensione del farmaco. In presenza di un ipotiroidismo permanente, nella maggior parte dei
casi è indicata l’integrazione con ormone tiroideo mediante somministrazione di 0,1 mg di levotiroxina una volta la
giorno.
173
NOTE
PROGNOSI
• La prognosi per le forme non complicate è eccellente.
Sono possibili le recidive, che nella maggior parte dei
casi sono associate a scarsa collaborazione da parte del
proprietario nell’attuazione della terapia medica. La ricrescita di tessuto ipertiroideo dopo tiroidectomia chirurgica o trattamento con iodio radioattivo è possibile,
ma poco comune.
• Nei cani o nei gatti con carcinoma tiroideo, la prognosi
è sfavorevole. Il trattamento con iodio radioattivo e/o
chirurgia di solito è seguito da una recidiva. La chemioterapia adiuvante è di utilità discutibile.
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174
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Primo approccio diagnostico
e terapeutico al gatto
con febbre di origine sconosciuta
An initial diagnostic and therapeutic plan
for the cat with fever of unknown origin
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 14.30
175
NOTE
FISIOPATOLOGIA
Le due principali diagnosi differenziali in presenza di
temperatura corporea elevata (> 40 °C) sono la febbre (piressia) e l’ipertermia. Quest’ultima è dovuta ad un incremento dell’attività muscolare, della temperatura ambientale
o dell’attività metabolica (ipertiroidismo). La febbre si ha
quando il punto di taratura della termoregolazione a livello
ipotalamico viene innalzato, determinando un aumento della temperatura corporea attraverso meccanismi fisiologici
che inducono la produzione di calore endogeno o la termoconservazione.1 Se la causa della febbre non viene individuata per più di due settimane, il caso viene classificato come un episodio di febbre di origine sconosciuta.
La febbre si ha in seguito all’attivazione dei leucociti,
ed in particolare degli elementi mononucleati e dei neutrofili. I leucociti vengono generalmente stimolati dal contatto
con agenti batterici, virali, mitotici e parassitari, dalle neoplasie, dalla necrosi tissutale (compresi i traumi estesi e la
pancreatite) e dalle malattie immunomediate primitive come l’anemia emolitica immunomediata, la trombocitopenia immunomediata ed il lupus eritematoso sistemico. I
leucociti attivati rilasciano una varietà di fattori solubili come l’interleuchina 1 ed il fattore di necrosi tumorale, che
penetrano nel sistema nervoso centrale e modificano il
punto di taratura della termoregolazione.2 Quest’ultimo
può anche essere alterato dalla presenza di affezioni intracraniche come i traumi e le neoplasie, oppure da farmaci
come le tetracicline. I brividi e la vasocostrizione sono due
delle più importanti risposte fisiologiche alle variazioni del
punto di taratura della termoregolazione, che esitano, rispettivamente, nella produzione e nella conservazione del
calore.
La febbre < 40,5 °C può essere utile per il trattamento
delle malattie infettive, perché potenzia la fagocitosi, il rilascio di interferon e la trasformazione dei linfociti. Durante le condizioni infiammatorie croniche che esitano nella
sua comparsa, gli elementi mononucleari attivati effettuano
anche il sequestro del ferro sierico, riducendo la replicazione batterica. Le temperature corporee > 41 °C possono
essere dannose a causa degli effetti esercitati sul metabolismo cellulare. Un aumento di grado estremo può indurre
una coagulazione intravasale disseminata. In confronto al
cane, nel gatto lo sviluppo degli effetti dannosi della febbre è meno probabile.
176
RISCONTRI CLINICI
NOTE
L’elenco delle possibili diagnosi differenziali della febbre nel gatto è lungo. In questi animali, le cause infettive
del rialzo termico sono molto più comuni delle malattie
immunomediate primarie o delle neoplasie. Inizialmente,
ci si deve basare su segnalamento, anamnesi ed esame clinico per identificare un primo elenco di possibili diagnosi
differenziali. Per confermare la causa primaria, si ricorre
poi a test diagnostici o tentativi terapeutici.
Segnalamento. L’età, la razza ed il sesso del gatto possono contribuire a stabilire l’ordine dell’elenco delle possibili diagnosi differenziali della febbre. Ad es., i soggetti
giovani sono spesso colpiti da malattie infettive, mentre in
quelli anziani si ha lo sviluppo di neoplasie. La consanguineità può determinare una predisposizione alle malattie infettive. Ad esempio, la peritonite infettiva felina è più comune nei soggetti di razza pura. I maschi hanno maggiori
probabilità di impegnarsi in combattimenti, il che spiega in
parte la superiore incidenza dell’infezione da virus
dell’immunodeficienza felina in questo sesso.3
Anamnesi. Anche l’anamnesi può contribuire a determinare la probabile origine dell’aumento della temperatura
corporea. È necessario stabilire se al gatto sia stato somministrato un farmaco di qualsiasi tipo. Alcuni principi attivi
possono indurre la febbre, in particolare le tetracicline. Si
deve accertare se siano stati somministrati dei vaccini nei
precedenti 1-2 mesi. Le reazioni vaccini possono indurre
un aumento delle temperature corporee attraverso le reazioni immunomediate (tutti i vaccini) o, nel caso di prodotti vivi ed attenuati, in seguito alla replicazione dell’agente
vaccinale nell’organismo ospite.4 Questo fenomeno sembra
essere comune soprattutto nel caso della vaccinazione dei
gattini con calicivirus attenuato, che esita nella comparsa
di febbre e rigidità a distanza di diversi giorni dall’inoculazione.5 È anche importante determinare quali vaccini siano
stati somministrati ai gatti e con quali intervalli. Le risposte immunitarie possono venire meno col passare del tempo, predisponendo l’animale all’infezione. È improbabile
che questo rappresenti un problema nel caso del virus della
panleucopenia; la somministrazione di due vaccini spenti
ai gatti è esitata in un’immunità del 100% a distanza di 7,5
anni.6
Dal momento che molte cause di febbre del gatto sono
trasmissibili, è necessario accertare se l’animale sia stato
177
NOTE
178
recentemente esposto a conspecifici, escrementi o ectoparassiti. Ad esempio, i felini con febbre e pulci possono essere infetti da Haemobartonella felis o Bartonella
henselae, agenti infettivi trasmessi da questi parassiti. I
gatti che vivono con altri animali della stessa specie hanno
maggiori probabilità di venire a contatto con felini che veicolano agenti infettivi. È necessario stabilire se altri animali o membri della famiglia siano colpiti da analoghi segni clinici di malattia. Alcuni agenti infettivi hanno una distribuzione regionale e, quindi, bisogna determinare se il
gatto abbia recentemente effettuato dei viaggi. Ad esempio, negli Stati Uniti l’infezione da Cryptococcus neoformans è più comune nella California meridionale. Anche
determinare le specie predate nei gatti che vivono all’aperto può servire a stabilire l’ordine delle malattie infettive
all’interno della lista delle possibili diagnosi differenziali;
l’ingestione di uccelli (salmonellosi), conigli (tularemia), o
roditori (Yersinia pestis o toxoplasmosi) può trasmettere
malattie infettive associate a febbre.
È necessario porre al proprietario alcune domande relative alla presenza o meno di segni clinici a carico degli apparati comunemente associati a febbre, come la cavità orale, il sistema nervoso centrale, quello cardiopolmonare o
quello urogenitale, i tessuti sottocutanei, la cavità peritoneale ed il tratto gastroenterico.
Esame clinico. Anoressia, depressione, iperpnea, riluttanza a muoversi e rigidità da disagio muscolare ed articolare sono comuni manifestazioni aspecifiche della febbre
nel gatto. Possono essere evidenti segni clinici associati
agli apparati primariamente coinvolti dall’infezione o riferibili alla presenza di necrosi tissutale, neoplasie o malattie
immunomediate. In alcuni casi, l’unico riscontro all’esame
clinico è dato dalla febbre. Quest’ultima va differenziata
dall’ipertermia determinando se il gatto sia stato esposto
recentemente ad un aumento della temperatura ambientale
o abbia aumentato la propria attività muscolare a causa di
eccitazione, esercizio fisico o crisi convulsive. Tutti i gatti
apparentemente normali che presentano una temperatura
corporea elevata devono essere lasciati tranquilli nella sala
da visita, insieme al cliente, per 15-20 minuti, per poi ripetere la misurazione della temperatura corporea. Alcuni gatti normali, quando si trovano all’interno delle strutture veterinarie presentano un aumento persistente di questo valore, dovuto ad ipertermia; in questi gatti, la misurazione
della temperatura corporea va effettuata a casa, durante i
periodi di riposo, per determinare se sia davvero presente
la febbre.
Il cavo orale va esaminato accuratamente alla ricerca di
affezioni dentali, malattie infiltranti, aumento della presenza di muco, arrossamento o pallore delle mucose, petecchie o ingrossamento delle tonsille. Le narici vanno esaminate per rilevare la presenza di scoli; un essudato mucopurulento indica generalmente un’infezione batterica primaria o secondaria o una forma micotica. Si deve effettuare
un’accurata auscultazione del torace per rilevare soffi cardiaci, attenuazione dei suoni cardiaci o polmonari o rantoli
o sibili polmonari; inoltre, si deve effettuare la delicata
compressione del torace per valutare la presenza di masse
mediastiniche. Bisogna eseguire la palpazione dei linfonodi esterni o della milza per apprezzare eventuali ingrossamenti che possono indicare una stimolazione immunitaria
o una neoplasia. Nei gatti che mostrano segni clinici di rigidità, è necessario effettuare la palpazione separata dei
muscoli, delle ossa lunghe, della colonna vertebrale e delle
articolazioni. Queste ultime vanno delicatamente estese e
flesse mentre si effettua la ricerca dei segni di tumefazione, dolore o arrossamento. Anche l’addome va palpato, per
rilevare organomegalia, versamento peritoneale o dolore.
Si deve effettuare un accurato esame dell’occhio per
valutare l’eventuale presenza di segni di infiammazione
del segmento anteriore o posteriore. Diversi agenti infettivi associati a febbre nel gatto (come T. gondii, FeLV,
FIV, FIP, B. henselae, herpes virus felino 1 e micosi sistemiche) determinano la comparsa di un’uveite. Tuttavia, la
mancanza di quest’ultima non esclude queste diagnosi
differenziali.
NOTE
PIANO DIAGNOSTICO
Una volta effettuato l’esame clinico e la raccolta
dell’anamnesi, è necessario trattare in modo appropriato le
cause evidenti di febbre, come le ascessualizzazioni sottocutanee o le ferite da morso. Il successivo piano diagnostico dipende dai risultati dell’indagine anamnestica e clinica. Nella maggior parte dei gatti che presentano febbre
senza una causa apparente facilmente identificabile, è indicata come minimo l’esecuzione di emogramma, profilo
biochimico, analisi delle urine, test per gli antigeni di
FeLV e test per gli anticorpi di FIV.
179
NOTE
180
Esame emocromocitometrico completo. La presenza
di una leucocitosi neutrofila, con o senza spostamento a sinistra ed alterazioni tossiche dei neutrofili è aspecifica, ma
può indicare una condizione infiammatoria. La monocitosi
si riscontra comunemente nelle infiammazioni croniche.
Neutrofilia e monocitosi non dimostrano l’esistenza di una
malattia infettiva. Nel gatto, la neutropenia è dovuta al
consumo dei neutrofili in un focolaio infiammatorio, oppure ad un calo della loro produzione. La neutropenia di grado estremo è di norma associata a panleucopenia, infezione da FeLV o FIV e salmonellosi acuta. L’eosinofilia è comunemente presente nelle reazioni di ipersensibilità di tipo
I e nelle infestazioni da parassiti metazoi, compresi quelli
gastroenterici e le filarie.
Si può riscontrare un’anemia in presenza di alcune cause di febbre come l’anemia emolitica immunomediata primaria o secondaria, l’emobartonellosi e l’infezione da virus della leucemia felina. Anche gli esami ematologici
possono fornire informazioni relative alle eziologie primarie. Si possono identificare parassiti eritrocitari come H. felis o Cytauxzoon felis; sferociti e microagglutinazione possono indicare un’anemia emolitica immunomediata. I gatti
con anemia emolitica che non presentano H. felis negli eritrociti prelevati in EDTA devono essere sottoposti all’esame di strisci di sangue fresco allestiti con campioni prelevati da una vena marginale dell’orecchio. Negli Stati Uniti,
è possibile effettuare la valutazione dell’infezione da H. felis su campioni di sangue intero utilizzando la reazione a
catena della polimerasi (PCR). La trombocitopenia si sviluppa in presenza di molte malattie immunomediate, neoplastiche ed infettive.
Profilo biochimico. I risultati del profilo biochimico
sono di solito aspecifici e non consentono di identificare la
causa della febbre, ma possono fornire indizi utili al successivo piano diagnostico. L’iperazotemia in presenza di
un peso specifico dell’urina inferiore al limite ottimale (<
1.035 nel gatto) in associazione con batteriuria e piuria
può indicare una pielonefrite. Gli aumenti dei livelli di attività degli enzimi del citosol epatico (ALT ed AST) possono suggerire una colangioepatite batterica o immunomediata, un’ascessualizzazione epatica, infezioni primarie del
fegato come quella da virus della peritonite infettiva (FIP)
o neoplasie epatiche. La pancreatite del gatto può essere
causa di febbre, ma è difficile da diagnosticare a causa della scarsa correlazione con le concentrazioni di lipasi ed
amilasi.7 Nei casi sospetti, l’associazione di dati di laboratorio, TLI (immunoreattività tripsinosimile del siero), indagini ecografiche e confronto delle concentrazioni di lipasi
nei campioni di siero ed in quelli di fluido addominale
possono servire a formulare un sospetto diagnostico.
L’iperglobulinemia si ha comunemente in presenza di malattie immunomediate primarie croniche, malattie infettive
e neoplasie. Il linfoma, la stomatite plasmocitaria e la FIP
sono cause comuni di iperglobulinemia nel gatto. Per determinare se la gammopatia è mono- o policlonale va impiegata l’elettroforesi delle proteine. In alcuni gatti con aumento della temperatura corporea può essere indicata la
misurazione delle concentrazioni totali di T4, ma si tratta
di una causa poco comune.
Analisi dell’urina. Il riscontro di piuria e batteriuria in
campioni di urina prelevati mediante cistocentesi indica
un’infezione delle vie urinarie superiori o inferiori; se è
presente febbre, è probabile una pielonefrite. I gatti con
piuria o batteriuria devono essere sottoposti ad urocoltura
ed antibiogramma. La proteinuria può indicare la deposizione di immunocomplessi a livello glomerulare, indotto
da malattie immunomediate come il lupus eritematoso sistemico o da infiammazioni croniche come la FIP, la FeLV,
l’erlichiosi o la filariosi cardiopolmonare. Il rapporto proteine:creatinina nell’urina può essere utilizzato per effettuare una valutazione semiquantitativa dei livelli di proteine e per monitorare la terapia negli animali con proteinuria
che non presentano un sedimento infiammatorio.
Citologia. Gli esami citologici possono servire a confermare la presenza dell’infiammazione e, occasionalmente, a identificare agenti infettivi con caratteristiche morfologiche specifiche (Tabella 1). I gatti che mostrano segni
radiografici di quadri polmonari alveolari o bronchiali non
associati ad insufficienza cardiaca devono essere esaminati
mediante lavaggio transtracheale o broncoalveolare destinando il materiale prelevato agli esami citologici e colturali ed agli antibiogrammi.
I linfonodi periferici ingrossati devono essere sottoposti
al prelievo di campioni per aspirazione al fine di differenziare le cause neoplastiche dall’iperplasia dovuta a malattie immunomediate primarie od infettive. Nei gatti che vivono negli stati in cui è endemica Yersinia pestis e presentano febbre o segni clinici di polmonite si deve effettuare,
con molta cautela, l’aspirazione dei linfonodi sottomandibolari, utilizzando il materiale così ottenuto per preparare
NOTE
181
NOTE
Tabella 1
Aspetto citologico di alcuni agenti infettivi
con forme morfologiche caratteristiche
Batteri
Actynomices
Macroscopicamente, granuli zolfini gialli;
forme bastoncellari ramificate e filamentose,
acidoresistenti, tipicamente riscontrate in
infezioni piogene
Bacteroides
Forme bastoncellari filamentose Gram
fragilis
negative, tipicamente riscontrate in infezioni
piogene
Chlamidia
Inclusioni intracitoplasmatiche (10 µ)
psittaci
riscontrate in elementi epiteliali di raschiati
congiuntivali
Clostridium
Forme bastoncellari Gram positive di grandi
perfringens
dimensioni nella citologia rettale, con spore
apicali, non colorate
Campylobacter Spirochete a forme di “gabbiano” di 1,5 - 5 µ x
jejuni
0,2 - 0,5 µ, evidenziate alla citologia rettale
Mycobacterium Forme bastoncellari acidoresistenti solitamente
spp.
notate nel citoplasma dei macrofagi nelle
infezioni piogranulomatose. Non si colorano
con le tecniche Romanowski
Nocardia spp. Organismi disposti a catena, Gram-positivi,
debolmente acido resistenti, filamentosi,
ramificati
Parassiti
Babesia spp.
Corpi anulari singoli o accoppiati nel citoplasma
degli eritrociti di gatti in Africa, Asia ed India
Cytauxzoon felis Corpi intracitoplasmatici negli eritrociti che si
presentano tondeggianti (a forma di anello con
castone), bipolari ed ovali (“a forma di spilla di
sicurezza”), a forma di tetradi o punti
tondeggianti anaplasmoidi
Dirofilaria
In rari casi, i gatti risultano positivi alla
immitis
presenza di microfilarie nel sangue circolante
Da Rickettsie
Erlichia spp.
Corti bastoncelli (morule) negli elementi
mononucleati o nei neutrofili
Haemobartonella Piccoli cocchi, bastoncelli o anelli epicellulari
felis
sulla superficie degli eritrociti
segue →
182
Tabella 1 - seguito
Da miceti
Cryptococcus
neoformans
Blastomyces
dermatitidis
Histoplasma
capsulatum
Coccidioides
immitis
Sporothrix
schenckii
NOTE
Lievito extracellulare, di 3,5 - 7,0 µ di
diametro, con capsula spessa non colorata,
gemma a base sottile, di colore violetto, con
una capsula rosso chiaro con la colorazione di
Gram, capsula non colorata con inchiostro di
China
Lievito extracellulare, di 5-20 µ di diametro,
spesso, con una parete rifrangente a doppio
profilo, gemma a base ampia, le colorazioni di
routine sono adeguate
Lievito intracellulare nei fagociti mononucleari,
di 2-4 µ di diametro, centro basofilo, con corpo
più chiaro con la colorazione di Wright
Sferule extracellulari di 20-200 µ di diametro,
contenenti endospore, di colore rosso intenso o
porpora, duplice parete esterna con endospore
rosso brillanti con la colorazione PAS
Microrganismi tondeggianti, ovali o a forma
di sigaro, nel citoplasma dei macrofagi o a
livello extracellulare
degli strisci da colorare ed esaminare alla ricerca delle caratteristiche forme bastoncellari bipolari. Per confermare la
diagnosi è possibile utilizzare l’immunofluorescenza. In
alcuni gatti può essere identificata citologicamente la presenza di agenti micotici o protozoari. Nei soggetti con febbre e versamento pleurico o peritoneale sono indicate, rispettivamente, la paracentesi addominale o la toracentesi.
La peritonite batterica o il piotorace sono caratterizzati da
un’elevata concentrazione proteica e da un numero estremamente alto di neutrofili e macrofagi. Di solito si osserva
una popolazione mista di neutrofili degenerati e non degenerati; possono essere presenti o meno dei batteri. I gatti
con pancreatite possono mostrare un versamento peritoneale o, contemporaneamente, peritoneale e pleurico. Le
caratteristiche citologiche dei fluidi sono simili a quelle rilevate nelle malattie batteriche, ma il materiale ottenuto di
solito non è settico. Il riscontro nel fluido addominale di
concentrazioni di lipasi superiori a quelle sieriche può servire a confermare la diagnosi di pancreatite. I versamenti
183
NOTE
184
indotti dalla FIP mostrano di solito un’elevata concentrazione proteica ed un aumento del numero di neutrofili e
macrofagi, ma i neutrofili di norma non sono degenerati.
La determinazione del rapporto albumine:globuline nei liquidi di versamento peritoneali o pleurici può facilitare la
diagnosi di FIP. È improbabile che la malattia sia presente
nei gatti in cui tale rapporto è > 0,8. Rapporti < 0,4 sono di
solito associati a FIP.8
L’artrocentesi può servire a confermare la presenza di
infiltrati neutrofili nel fluido sinoviale, che conforta la diagnosi di poliartrite immunomediata o infettiva anche se il
versamento articolare o il dolore non risultano facilmente
apprezzabili. Fra gli agenti infettivi associati a poliartrite
nel gatto si riscontrano spesso calicivurs, micoplasmi e
batteri in forme L.
Esami coprologici. Nei gatti con febbre e diarrea è indicata la citologia rettale Nei casi in cui questa evidenzia la
presenza di neutrofili. sono generalmente suggerite le coprocolture finalizzate alla ricerca di Salmonella e Campylobacter. Clostridium perfringens può produrre un’enterotossina che risulta misurabile nelle feci e viene di solito
determinata nei gatti con forme bastoncellari sporigene rilevate citologicamente. Nei gatti con gastroenterite emorragica e neutropenia può essere indicato un ulteriore esame
per individuare con il metodo ELISA in un campione di feci la presenza di un’infezione da parvovirus negli animali
non vaccinati contro la panleucopenia e per la salmonellosi
in quelli vaccinati.
Esami colturali ed antibiogrammi. Gli esami colturali
e gli antibiogrammi allestiti con fluidi organici, aspirati o
campioni bioptici tissutali, oppure con le feci, possono
contribuire a confermare le cause infettive della febbre. Il
metodo migliore per accertare l’esistenza di una batteriemia è l’emocoltura, ma in futuro si potrà utilizzare la reazione a catena della polimerasi (PCR). Attraverso la vena
giugulare, dopo la preparazione sterile della cute, nell’arco
di due ore si devono prelevare almeno tre campioni di sangue da destinare alle emocolture batteriche. In alcuni casi
può essere indicato l’allestimento di colture aerobiche ed
anaerobiche e micotiche. Per assicurare la crescita di certi
microrganismi come Mycobacterium e Mycoplasma è necessario impiegare terreni speciali. I batteri in forma L non
vengono coltivati nei terreni di routine.
Esami sierologici. In alcuni gatti con febbre sono indicati i test sierologici; le scelte sono basate sull’associazio-
ne dei risultati dell’esame clinico e delle indagini di laboratorio di routine. Nei gatti con febbre di origine sconosciuta sono indicati i test per l’identificazione degli antigeni di FeLV e degli anticorpi di FIV. La febbre viene raramente indotta dall’infezione da FeLV e, quando è dovuta a
FIV, compare nella maggior parte dei casi nella fase acuta
dell’infezione. Tuttavia, entrambi i virus causano un’immunodeficienza e, quindi, predispongono alle infezioni da
parte di altri agenti.
La maggior parte dei gatti con sospetta infezione da
FeLV viene sottoposta ai test di screening per l’identificazione degli antigeni specifici nei neutrofili e nelle piastrine
mediante immunofluorescenza oppure con il test ELISA
(enzyme-linked immunosorbent assay) su campioni di sangue intero, plasma, siero, saliva o lacrime. L’immunofluorescenza non risulta positiva sino a che non si è verificata
l’infezione del midollo osseo. I suoi risultati sono accurati
al 98,3%. Si possono avere reazioni false negative quando
la leucopenia o la trombocitopenia impedisce la valutazione di un numero adeguato di cellule. Reazioni false positive si possono verificare se gli strisci di sangue inviati al laboratorio sono troppo spessi. La positività dell’immunofluorescenza indica che il gatto è viremico e contagioso; il
90-97% dei gatti con immunofluorescenza positiva saranno viremici per la vita. La rara combinazione di positività
all’immunofluorescenza e negatività ai test ELISA suggerisce un artefatto tecnico. La negatività dei risultati del test
ELISA risulta ben correlata con quella dell’immunofluorescenza e con l’incapacità di isolare FeLV.
Il virus può essere rilevato nel siero con il metodo ELISA prima dell’infezione del midollo osseo e, quindi, il test
può risultare positivo in alcuni gatti durante gli stadi iniziali dell’infezione o nelle fasi autolimitanti, anche se l’immunofluorescenza è negativa. Altre possibilità che consentono di spiegare i risultati discordanti (ELISA positivo, immunofluorescenza negativa) sono la falsa positività dei test
ELISA o la falsa negatività dell’immunofluorescenza. I
gatti con ELISA positivo ed immunofluorescenza negativa
probabilmente non sono contagiosi al momento del prelievo, ma devono essere isolati fino a che non saranno riesaminati dopo 4-6 settimane, dal momento che la malattia
può progredire verso la viremia persistente e l’infezione
delle cellule epiteliali.
I gatti ELISA-positivi che tornano alla negatività hanno
sviluppato anticorpi neutralizzanti oppure un’infezione la-
NOTE
185
NOTE
186
tente o una localizzata. Queste ultime due condizioni possono essere confermate mediante isolamento del virus, immunofluorescenza su cellule di midollo osseo, colorazione
immunoistochimica dei tessuti e reazione a catena della
polimerasi. I gatti con infezione localizzata o latente probabilmente non sono contagiosi per i loro conspecifici, ma
le femmine infette possono trasmettere il virus ai gattini
durante la gestazione o il parto oppure attraverso il latte.
Inoltre, i gatti con infezione localizzata o latente possono
presentare un’immunodeficienza e sviluppare una viremia
(immunofluorescenza- ed ELISA-positiva) in seguito ad un
trattamento con corticosteroidi o ad uno stress di grado
estremo.
Generalmente, esiste un ritardo di 1-2 settimane fra
l’insorgenza della viremia ed il momento in cui i test ELISA su lacrime e saliva diventano positivi, per cui questi
esami possono essere negativi anche quando quelli sul siero sono positivi. Presso alcuni laboratori di ricerca è possibile effettuare la determinazione dei titoli anticorpali verso
gli antigeni dell’envelope di FeLV (anticorpi neutralizzanti) e verso le cellule tumorali virus-trasformate (anticorpi
FOCMA), ma il significato prognostico dei risultati di questi esami è sconosciuto. I gatti con sospetta infezione latente da FeLV possono essere sottoposti alla valutazione
per rilevare la presenza del virus nel midollo osseo mediante immunofluorescenza, reazione a catena della polimerasi o isolamento virale.
Nella pratica professionale, si effettua la ricerca nel siero degli anticorpi anti-FIV, di norma col metodo ELISA.
Nei gatti con infezione sperimentale, la sieroconversione si
ha dopo 2-4 settimane dall’inoculazione; quindi, durante le
infezioni iperacute si possono avere reazioni false-negative. Utilizzando la tecnica ELISA sono comuni le risposte
false-positive. Gli esiti positivi del test ELISA devono essere confermati mediante Western blot o immunofluorescenza, specialmente se il gatto positivo è sano o se proviene da una popolazione a basso rischio di infezione. I gattini possono presentare anticorpi rilevabili di derivazione colostrale fino a 12-14 settimane di età e non devono essere
sottoposti al test fino a dopo la 14° settimana. Il riscontro
di anticorpi anti-FIV nel siero dei gatti dimostra l’avvenuta
esposizione ed è ben correlata ad un’infezione persistente,
ma non alla malattia indotta dal virus. Dal momento che
molte delle sindromi cliniche associate alla FIV possono
essere dovute ad infezioni opportunistiche, attraverso ulte-
riori metodiche diagnostiche è possibile individuare la presenza di eziologie trattabili. Ad esempio, nella maggior
parte dei gatti sieropositivi per FIV che presentano uveite
si riscontra una coinfezione da T. gondii che spesso risponde alla somministrazione dei farmaci anti-Toxoplasma. I
gatti nella fase primaria dell’infezione da FIV possono presentare febbre ma essere sieronegativi. Il test anticorpale
va ripetuto dopo 6-8 settimane nei soggetti in cui esiste un
elevato indice di sospetto per questa infezione.9
L’identificazione degli anticorpi sierici è di scarsa utilità per la valutazione dei gatti con FIP. L’infezione dei felini da parte di qualsiasi coronavirus può causare anticorpi
in grado di dare origine a reazioni crociate, per cui il riscontro di un titolo anticorpale positivo non permette di
diagnosticare la FIP, non protegge dalla malattia e non
consente di prevedere quando un gatto potrà sviluppare la
forma clinica della FIP. I test anticorpali per i coronavirus
non sono standardizzati, per cui i risultati forniti dai differenti laboratori in genere non risultano correlati. Gli anticorpi sierici specifici per i prodotti del siero bovino derivanti dalla vaccinazione possono causare risultati falsi positivi in alcuni test anticorpali anti-coronavirus. I gatti con
FIP sono occasionalmente sieronegativi a causa della veloce progressione della malattia con rapido aumento dei titoli, scomparsa degli anticorpi negli stadi terminali o formazione di immunocomplessi. Gli anticorpi di origine materna diminuiscono sino a concentrazioni non rilevabili dopo
4-6 settimane di vita; i gattini che contraggono l’infezione
nel periodo postnatale diventano sieropositivi all’età di 814 settimane. Quindi, l’esame dei gattini mediante test sierologici può servire a prevenire la diffusione dei coronavirus. L’attuazione di questi test è indicata come procedura
di screening nelle colonie da riproduzione che risultano
negative per gli anticorpi anti-coronavirus. È stato introdotto un test per rilevare la proteina 7B dei coronavirus e
stabilirne la correlazione con la FIP. Tuttavia, non tutti i
gatti positivi sviluppano la malattia. Quindi, tutti i test positivi per coronavirus devono essere interpretati tenendo
conto degli altri fattori clinici come il segnalamento (generalmente gatti giovani), la presenza di segni clinici appropriati e l’esistenza di anomalie di laboratorio come la
linfopenia e l’iperglobulinemia. La diagnosi definitiva di
FIP richiede ancora la documentazione mediante tecniche
immunoistochimiche o PCR dei caratteristici riscontri istopatologici dell’organismo nei tessuti infiammati.
NOTE
187
NOTE
188
Nei gatti con febbre si deve prendere in considerazione
l’esecuzione dei test sierologici per Toxoplasma gondii, in
particolare se sono contemporaneamente presenti iperestesia o uveite.10 La toxoplasmosi è anche molto comune nei
gatti ai quali viene permesso di vivere all’aperto e che,
quindi, hanno maggiori probabilità di ingerire roditori infestati. La presenza di IgM nel siero risulta correlata alla
toxoplasmosi clinica meglio di quella delle IgG. Il riscontro degli anticorpi anti-T. gondii con il metodo ELISA o
l’identificazione del microrganismo nell’umore acqueo o
nel liquor con la PCR rappresentano i metodi più accurati
per dimostrare l’esistenza di una toxoplasmosi oculare o a
carico del SNC.
L’unico test antigenico disponibile per la diagnosi delle
micosi sistemiche è relativo a Cryptococcus neoformans.
Questo microrganismo può di solito essere identificato citologicamente. Tuttavia, il test antigenico viene utilizzato
anche per seguire l’efficacia del trattamento e, quindi, è indicato nella maggior parte dei casi.11 Per le altre micosi sono disponibili soltanto test anticorpali. La presenza degli
anticorpi non è indicativa dell’infezione in atto.
È stato dimostrato che l’erlichiosi è causa di febbre nei
gatti di diversi Paesi del mondo compresa la Francia, il
Brasile, la Svezia, l’Africa, la Tainlandia e gli Stati Uniti.12
In alcune nazioni sono disponibili test sierologici (Protatek
Reference Laboratory, Chandler, AZ). Come nel caso della
maggior parte degli altri test anticorpali, l’esito positivo
delle prove sierologiche per Erlichia spp. è da ritenere correlato soltanto all’esposizione e non alla malattia clinica.
Reazione a catena della polimerasi. Con la PCR è
possibile rilevare il DNA degli agenti infettivi nei liquidi
organici, nelle feci e nei tessuti; questa tecnica viene utilizzata per favorire la diagnosi di molteplici cause infettive
della febbre. Quelli che seguono sono alcuni esempi. Con
la PCR, nel sangue dei gatti si possono rilevare sia le grandi che le piccole forme di H. felis e la tecnica è più sensibile della citologia.13 Bartonella henselae può essere individuata nel sangue e la sensibilità può essere pari a quella
degli esami colturali. L’infezione da Erlichia spp. nel gatto
è stata accertata con la PCR. La reazione a catena della polimerasi nel caso dei Coronavirus può dimostrare la presenza del microrganismo nei versamenti e nel sangue intero; tuttavia, mentre la positività dei risultati degli esami
condotti sui versamenti è discretamente ben correlata alla
FIP, quella dei test sul sangue intero no.14 Dal momento
che vengono immessi sul mercato ulteriori test basati su
questa metodica, è necessario informarsi su sensibilità,
specificità, valore prognostico positivo e negativo di ciascun saggio.
Diagnostica per immagini. Gli esami radiografici del
torace e dell’addome vengono comunemente utilizzati per
cercare di identificare le cause della febbre; spesso, è possibile riconoscere infezioni o neoplasie che non risultano
evidenti all’esame clinico. Ad esempio, i gatti con piotorace monolaterale possono non presentare una respirazione
di tipo restrittivo. Non tutti i gatti con pielonefrite mostrano una dolorabilità renale; le radiografie dell’addome possono visualizzare reni di forma irregolare. L’esame radiografico dello scheletro assile o appendicolare può servire a
valutare la presenza di neoplasie o osteomielite. Per esaminare i differenti apparati allo scopo di identificare le malattie che possono causare la febbre si possono utilizzare gli
studi contrastografici, l’ecografia, la scintigrafia, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica.
Test immunologici primari. I test più frequentemente
utilizzati nel gatto per contribuire alla diagnosi delle malattie immunomediate primarie sono quello di Coombs diretto e quello degli anticorpi antinucleari. È necessario consultare il laboratorio per stabilire se il test ed i controlli siano stati validati per l’impiego nel gatto. La positività dei risultati, associata ai quadri clinici o di laboratorio appropriati, può confortare una diagnosi di malattia immunomediata. Entrambi questi test possono risultare positivi secondariamente a malattie infiammatorie croniche indipendenti
da quelle immunologiche primarie.
Altri test. L’esame citologico di campioni di midollo
osseo prelevati per aspirazione può contribuire all’identificazione delle malattie immunomediate, infettive o neoplastiche. Ad esempio, si possono osservare macrofagi
che hanno ingerito piastrine o eritrociti e nel midollo osseo dei gatti infetti si riscontra comunemente Histoplasma capsulatum.
L’elettroforesi delle proteine può servire a determinare
se una gammopatia è mono- o policlonale; l’immunoelettroforesi può essere utilizzata per accertare la classe di anticorpi maggiormente prodotta. La gammopatia monoclonale è in genere associata a neoplasie, ma è stata rilevata
anche nell’erlichiosi.12 I risultati dell’elettroforesi delle
proteine sieriche non servono a documentare l’infezione da
virus della peritonite infettiva (vedi sezione relativa alla ci-
NOTE
189
NOTE
tologia). La gammopatia policlonale che si ha in caso di
FIP non può essere distinta da quella indotta da altre malattie infiammatorie croniche.
PIANO DI TRATTAMENTO
Nei gatti che presentano un aumento della temperatura
corporea si utilizza frequentemente un trattamento empirico. Se si sospetta un’ipertermia, nei casi in cui è possibile
si deve eliminare la causa (crisi convulsive, aumento della
temperatura ambientale, ecc…).
Quando si sospetta che la febbre sia dovuta a cause infettive, neoplastiche o immunomediate primarie, è possibile ricorrere a molteplici opzioni terapeutiche specifiche ed
aspecifiche. La somministrazione endovenosa di fluidi a
temperatura ambiente è spesso tutto ciò che occorre per
mantenere la temperatura corporea a livelli di sicurezza.
Può anche essere utile impiegare una gabbia refrigerata o
orientare verso il paziente un ventilatore. Dal momento
che in genere è biologicamente utile, di solito la febbre
non va fatta diminuire artificialmente. Quindi, il ricorso a
farmaci come il dipirone di solito è controindicato. Se è
presente una febbre cronica che esita in morbilità (depressione, inappetenza), si può ricorrere alla somministrazione
di acido acetilsalicilico alla dose di 5 mg/kg per os una
volta al giorno. Dopo aver escluso le cause infettive e neoplastiche della febbre, può essere indicato l’impiego dei
glucocorticoidi per il trattamento delle malattie immunomediate primarie.
Ai gatti con presunte infezioni batteriche si devono
somministrare antibiotici. Col tempo, il trattamento va basato se possibile sui risultati degli esami colturali e degli
antibiogrammi. La scelta empirica degli antibiotici può essere fondata sull’apparato colpito o sul microrganismo sospetto (Tabella 2).
La maggior parte delle infezioni micotiche del gatto
viene in ultima analisi trattata con amfotericina B, itraconazolo o fluconazolo. Nei felini, il ketoconazolo non va
usato a causa dei rischi di tossicità. L’amfotericina va impiegata se è presente un’affezione potenzialmente letale,
che richiede un farmaco fungicida. Questo farmaco va preferibilmente utilizzato nella forma incapsulata nei liposomi
e nei lipidi, perché le probabilità di indurre una nefrotossicità sono minori, ma il costo è elevato. Recentemente, è
190
stata descritta per il trattamento della criptococcosi la somministrazione sottocutanea di amfotericina B regolare (Tabella 3), che costituisce un’alternativa più economica.15
L’itraconazolo o il fluconazolo sono i farmaci utilizzati
con maggiore frequenza nella terapia cronica. Grazie alla
maggiore penetrazione, nei gatti con coinvolgimento oculare o del SNC si deve utilizzare il gluconazolo.
La febbre indotta dalle infezioni virali viene raramente
trattata in modo primario, dal momento che nella maggior
parte dei casi si tratta di episodi acuti. L’AZT è stato utilizzato con successo per migliorare la qualità della vita in alcuni gatti colpiti da FeLV o FIV.16,17 Attualmente, impiego
una dose di 5 mg/kg PO ogni 12 ore. Mancano studi controllati che documentino l’efficacia di Propionibacterium
acnes, Staphylococcus protein A, acemannano, Pind-dorf o
interferon alfa per il trattamento delle infezioni da retrovirus nel gatto.
I glucocorticoidi vengono utilizzati per la terapia della
forma non essudativa della FIP, delle malattie immunomediate primarie e di alcune neoplasie. In certi gatti il prednisolone è più efficace del prednisone e costituisce quindi il
primo glucocorticoide d’elezione di molti clinici. I felini
colpiti da malattie immunitarie primarie in cui si ritiene
che sia presente una resistenza al prednisolone devono essere trattati con desametazone o triamcinolone prima di
passare ad impiegare i farmaci citotossici. Nei casi in cui è
necessario ricorrere a questi ultimi, il clorambucil sembra
essere più sicuro dell’azatioprina per la somministrazione
a lungo termine.
NOTE
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
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191
NOTE
Tabella 2
Antibiotici utilizzati per il trattamento delle infezioni
batteriche nel gatto
Farmaco
Azione
Dosaggio
batteriostatica
o battericida
Aminoglicosidi Battericidi
Amikacina
5-10 mg/kg,
ogni 8 ore
2-4 mg/kg,
ogni 8 ore
Gentamicina
2,5-10 mg/kg,
Neomicina
ogni 8-12 ore
Tobramicina
2 mg/kg,
ogni 8 ore
Carbapenemi
Battericidi
Imipenem
2-5 mg/kg,
ogni 6-8 ore
Cefalosporine Battericidi
Cefadroxil
22 mg/kg,
(prima generazione)
ogni 12 ore
Cefalessina
20-40 mg/kg,
(prima generazione)
ogni 8 ore
Cefazolin
20-25 mg/kg,
(prima generazione)
ogni 8 ore
Cefoxitin
22 mg/kg,
(seconda generazione)
ogni 8 ore
Cefotaxime
25-50 mg/kg,
(prima generazione)
ogni 8 ore
Cefixime
5-12,5 mg/kg,
(prima generazione)
ogni 12 ore
Cloramfenicolo Batteriostatici 12-25 mg/kg,
ogni 12 ore
Macrolidi/
Batteriostatici
lincosamidi
Azitromicina
5-10 mg/kg,
ogni 12-72 ore
Claritromicina
7,5 mg/kg,
ogni 12-24 ore
Clindamicina
5,5-11 mg/kg,
ogni 12-24 ore
Eritromicina
10-20 mg/kg,
ogni 8-12 ore
Via di
somministrazione
IV, IM, SC
IV, IM, SC, PO
IV, IM, SC
IV, SC
PO
PO
IM, IV
IM, IV
SC, IM, IV
PO
PO, IV
PO
PO
PO, SC, IM
PO
segue →
192
NOTE
Tabella 2 - seguito
Lincomicina
Tilosina
Metronidazolo
Batteriostatici
Penicillina
Amossicillina
Battericidi
Amossicillina ed
acido clavulanico
Ampicillina sodica
Oxacillina
Penicillina G
Chinoloni
Ciprofloxacin
10-22 mg/kg,
ogni 8-12 ore
62,5 mg,
ogni 8-12 ore
22 mg/kg,
ogni 8 ore
22-40 mg/kg,
ogni 8 ore
22.000 U/kg,
ogni 6-8 ore
PO, SC
5-15 mg/kg,
ogni 12 ore
2,5-10 mg/kg,
ogni 12 ore
2,5-7,5 mg/kg,
giornalmente
Orbifloxacin
Associazioni
Battericidi
di sulfamidici
Ormetoprimsulfodimetossina
Tetraciclina
PO, IM, IV
PO
PO
PO
SC, IM, IV
PO
IM, IV
Battericidi
Enrofloxacin
Trimetoprimsulfonamide
Tetracicline
Doxiciclina
15-25 mg/kg,
ogni 12 ore
10-40 mg/kg,
ogni 12 ore
10 mg/kg,
ogni 12 ore
55 mg/kg,
ogni 24 ore
al giorno 1,
poi 27 mg/kg,
ogni 24 ore
15-30 mg/kg,
ogni 12 ore
PO
PO, IM, SC, IV
PO
PO
PO, SC
Batteriostatici
5-10 mg/kg,
ogni 12 ore
22 mg/kg,
ogni 8-12 ore
PO, IV
PO
IM = per via intramuscolare, IV = per via endovenosa, SC = per via sottocutanea, PO = per via orale
193
NOTE
Tabella 3
Farmaci antimicotici utilizzati nel trattamento
delle micosi sistemiche del gatto
Farmaci
Dosaggioa
Amfotericina B
0,25 mg/kg, IV, tre volte alla settimanab
0,5-0,8 mg/kg, SC, due volte alla settimanac
Amfotericina B
(liposomi o lipidi)
Fluconazolo
Flucitosinae
Ketoconazolo
Itraconazolo
0,5 mg/kg IV come dose di prova, poi
1,0 mg/kg, IV, 3-5 volte alla settimanad
50 mg, PO, BID
50 mg/kg, PO, QID
10 mg/kg, PO, SID
5 mg/kg, PO, BID
a
IV = per via endovenosa; PO = per via orale; SC = per via sottocutanea
Nei gatti con funzione renale normale, diluire in 50 – 100 ml di destrosio al 5% e somministrare IV nell’arco di 3-6 ore. Dose cumulativa di
almeno 8-10 mg/kg.
c
Miscelare in soluzione allo 0,45% di NaCl e 2,5% di destrosio. Volume totale di 400 ml nel gatto e 500 ml nel cane. In rari casi porta al distacco dei tessuti ed è meno tossico della via endovenosa. Sino ad oggi,
descritta principalmente per C. neoformans.
d
Diluire il contenuto di una fiala in destrosio al 5% fino ad una concentrazione finale di 1,0 mg/ml ed agitare per 30 secondi. Aspirare il volume necessario e filtrare attraverso un ago filtro monoject calibro 18 in
100 ml di destrosio al 5%. Infondere per via endovenosa nell’arco di 15
minuti. AbelcetR, Lipsome Co., Princeton, NJ.
e
Utilizzata soltanto con altri farmaci per il trattamento di Cryptococcus.
b
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
194
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NOTE
195
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Malattie infettive con coinvolgimento
dell’apparato respiratorio nel gatto
Infectious causes of fever that also involve
the respiratory tract
Venerdì, 28 settembre 2001, ore 15.15
197
NOTE
STERNUTI E SCOLO NASALE
Malattie virali. Le infezioni da herpesvirus-1 (rinotracheite) e da calicivurs sono le più comuni cause virali di
starnuti e scolo nasale nel gatto. Se sono presenti ulcere
orali, è più probabile il calicivirus. Se le ulcere sono corneali, è invece più probabile l’herpesvirus-1. La rinite virale con o senza infezione batterica secondaria può essere ricorrente. L’herpesvirus può essere dimostrato mediante colorazione fluorescente diretta di raschiati congiuntivali,
isolamento del virus o reazione a catena della polimerasi.
Dal momento che questo virus può essere riscontrato nelle
cellule congiuntivali del 25% circa dei gatti sani, il valore
prognostico positivo di questi test nei gatti malati è basso.
Non esistono terapie primarie costantemente efficaci.
Generalmente, l’autore utilizza soltanto i seguenti trattamenti se è presente una malattia cronica. La lisina, alla dose di 250 mg PO BID può essere utile in alcuni gatti e si è
dimostrata sicura. La somministrazione di alfa-interferon
(30 U/die PO) può servire in alcuni gatti con sospetta infezione da herpesvirus-1. È improbabile che lisina ed alfa-interferon portino ad una risoluzione definitiva, ma ci si augura che riducano i segni clinici della malattia. La somministrazione intranasale di vaccini a virus vivo e modificato
contro herpesvirus-1 e calicivirus può diminuire la malattia
in alcuni gatti con infezione cronica. Nei gattini con infezione acuta potenzialmente letale, può essere utile l’impiego di alfa-interferon alla dose di 10.000 U/kg/die SC per
periodi fino a tre settimane. L’aciclovir è un farmaco antiherpesvirus destinato all’impiego nell’uomo, che però può
essere tossico per il gatto. L’autore inizia con 10-25 mg/kg
PO BID monitorando l’emogramma ogni 2-3 settimane.
Non ha mai prescritto l’aciclovir prima di aver completato
la valutazione diagnostica.
I gattini portati alla visita ad un’età inferiore a 12 settimane devono essere trattati con un vaccino trivalente per la
prevenzione della panleucopenia, della rinotracheite e
dell’infezione da calicivirus (FVRCP) a virus vivo modificato o inattivato e successivamente sottoposti a richiami
ogni 3-4 settimane fino alla dodicesima settimana di vita.
Quelli portati alla visita dopo le 12 settimane devono essere trattati con 2 inoculazioni di vaccino anti-FVRCP a virus inattivato o vivo modificato a distanza di 3-4 settimane.
Si deve evitare un eccessivo impiego di prodotti vaccinali
vivi modificati nel gatto. All’età di un anno si devono som-
198
ministrare i richiami delle vaccinazioni anti-FVRCP e antirabbica. Dopo un anno di età si deve valutare il rischio di
infezione da herpesvirus-1, calicivirus e panleucopenia.
Nei soggetti in cui tale rischio è basso, i vaccini antiFVRCP possono essere somministrati ogni tre anni.
Malattie batteriche. In quasi tutti i gatti con scolo nasale mucopurulento o purulento, la malattia riconosce una
componente batterica. Le forme primitive sono rare, ma
possono essere associate all’infezione da Bordetella bronchiseptica, Mycoplasma spp. e Chlamydophyla. Generalmente, la clamidiosi è un’infezione lieve che esita solo in
una congiuntivite. Se si sospettano infezioni primarie, di
solito risultano efficaci la somministrazione di doxiciclina
alla dose di 5-10 mg/kg PO una volta al giorno o i trattamenti topici con tetracicline. Anche i batteri in forme L
possono occasionalmente infettare le cavità nasali e di solito rispondono alla doxiciclina o ai chinoloni. I gatti colpiti
dalla malattia acuta necessitano solo di un trattamento della durata di 7-10 giorni. La maggior parte dei casi di rinite
batterica è secondaria ad altre malattie quali traumi, neoplasie, infiammazioni da infezione virale, corpi estranei,
polipi infiammatori ed ascessualizzazione delle radici dei
denti. Quindi, se la terapia antibiotica di routine non ha
successo, si deve effettuare un’indagine diagnostica.
Dato il numero elevato di microrganismi presenti nella
flora normale della cavità nasale, i risultati degli esami colturali e degli antibiogrammi allestiti con campioni di scolo
sono difficili da interpretare. Dal momento che la rinite
batterica è causa di condrite ed osteomielite, nei gatti colpiti in forma cronica la terapia antibiotica va continuata
per settimane. Generalmente, l’autore utilizza farmaci con
uno spettro anaerobico capaci di penetrare anche nell’osso
e nella cartilagine. Come prima scelta, risultano validi
l’amossicillina, da sola o associata ad acido clavulanico, il
metronidazolo e la clindamicina. L’amossicillina con acido
clavulanico ha il vantaggio di determinare la morte della
maggior parte dei ceppi di Bordetella. La clindamicina ha
il vantaggio di essere efficace nei confronti di Mycoplasma
spp. e di poter essere utilizzata una volta al giorno per il
trattamento delle infezioni batteriche nel gatto. La doxiciclina ed il metronidazolo possono essere superiori ad altri
farmaci per il trattamento delle infezioni croniche, perché
possono modulare la reazione immunitaria, riducendo l’infiammazione. Nei gatti con malattia cronica si può utilizzare l’azitromicina (5,0-15,0 mg/kg PO ogni 12-72 ore).
NOTE
199
NOTE
200
Il virus della leucemia felina e quello dell’immunodeficienza felina possono indurre un’immunosoppressione che
predispone alla rinite batterica.
Generalmente, l’infezione da Chlamydophila nel gatto
esita soltanto in una lieve congiuntivite, per cui la reale necessità della vaccinazione costituisce un argomento controverso. L’uso di questo vaccino va riservato ai gatti ad alto
rischio di esposizione ad altri felini ed a quelli che vivono
in gattili in cui la malattia è endemica. La durata dell’immunità dei vaccini anti-Chlamydophila può essere breve,
per cui i soggetti ad alto rischio devono essere immunizzati
prima di una potenziale esposizione.
Molti gatti presentano anticorpi anti-Bordetella bronchiseptica ed esistono segnalazioni sporadiche di gravi affezioni delle basse vie respiratorie dovute a bordetellosi,
principalmente in gattini giovani e stressati. La maggior
parte dei casi è stata riscontrata in ambienti sovraffollati
come i rifugi ed i gattili. Invece, nei gatti da compagnia la
reale importanza del problema non è stata definita e, al
momento, la vaccinazione anti-Bordetella deve essere presa in considerazione principalmente nei gatti ad alto rischio di esposizione. Nell’arco di 7 anni, presso il Diagnostic Laboratory at Colorado State University, B. bronchiseptica è stata isolata in un caso su 109 colture delle vie
aeree profonde (0,9%) ed in 4 casi su 81 (4,9%) di colture
nasali allestite con il materiale prelevato da gatti di proprietà clinicamente malati. Durante questo periodo, su
15.000 gatti ricoverati, 1.500 circa erano colpiti da malattie
respiratorie. Dal momento che apparentemente la condizione non è potenzialmente letale nel gatto adulto, è poco
comune e risponde ad una varietà di antibiotici, l’impiego
di routine della vaccinazione nella popolazione dei gatti di
proprietà è stato considerato non necessario.
Malattie micotiche. Cryptococcus neoformans è il più
comune micete responsabile delle affezioni delle vie aeree
superiori nel gatto. Le deformazioni facciali e le lesioni ulcerative sono comuni; la neoplasia rappresenta una delle
principali diagnosi differenziali. Gli esami citologici, istopatologici, colturali e sierologici possono confermare la
diagnosi. Il ketoconazolo, l’itraconazolo ed il fluconazolo
costituiscono dei trattamenti efficaci; fra i casi pubblicati,
il fluconazolo ha avuto la percentuale di successo più elevata. A causa della maggiore tossicità, il ketoconazolo non
va usato nel gatto. La concomitante presenza di malattie
dell’occhio o del sistema nervoso centrale o la coinfezione
da FeLV o FIV possono aggravare la prognosi. Tuttavia, in
uno studio, tutti i gatti con infezione da FIV hanno risposto
al fluconazolo. I test per la ricerca degli antigeni sierici
spesso non tornano negativi dopo il trattamento, anche se
la malattia rilevabile è scomparsa. Si raccomanda la somministrazione di fluconazolo alla dose di 50 mg/gatto PO
una o due volte al giorno, in particolare in presenza di malattie oculari o del SNC.
Se si verifica un’infezione potenzialmente letale o se il
gatto non riesce a rispondere ai farmaci azolici, si deve ricorrere all’amfotericina-B. Quella incapsulata nei liposomi
o nei lipidi è più sicura di quella regolare, ma più costosa.
Se il cliente non è in grado di sostenere il costo dei prodotti incapsulati nei lipidi o nei liposomi, nella maggior parte
dei gatti si può utilizzare senza rischi l’amfotericina B regolare per via sottocutanea. Il farmaco viene diluito alla
dose 0,5-0,8 mg/kg in 400 ml di destrosio al 2,5% ed NaCl
allo 0,45% e somministrato SC in un unico punto. Questa
operazione può essere effettuata due volte alla settimana
nella maggior parte dei gatti, con una probabilità del 10%
circa di distacco dei tessuti sovrastanti o di cicatrizzazione.
Si infonde come minimo una dose cumulativa di 12 mg/kg.
Durante il trattamento con amfotericina B si deve continuare la terapia azolica. Generalmente, l’autore tratta i gatti per un periodo minimo di 8 settimane o 4 settimane dopo
la risoluzione della malattia misurabile. Preferibilmente, si
deve effettuare la misurazione dei titoli antigenici sierici.
In condizioni ottimali, questi si devono negativizzare. Tuttavia, alcuni gatti clinicamente normali conservano titoli
antigenici positivi. Se il titolo antigenico diminuisce di 1632 volte ed il gatto è clinicamente normale, le recidive sono poco comuni.
Malattie parassitarie. Negli Stati Uniti, mentre nel cane si riscontrano gli acari nasali (Pneumonyssoides) ed un
elminta (Eucoleus), nel gatto non sono presenti parassiti
del naso significativi.
NOTE
TOSSE E DISPNEA
Malattie parassitarie. I più comuni parassiti responsabili di tosse e dispnea nel gatto sono rappresentati da Toxocara cati, Toxoplasma gondii, Aelurostrongylus abstrusus
e Paragonimus kellicotti. Aelurostrongylus abstrusus è caratterizzato da un ciclo vitale indiretto con i roditori come
201
NOTE
202
ospiti intermedi; si riscontra in Colorado. È difficile dimostrare la tosse respiratoria da migrazione di parassiti come
Toxocara; l’evidenziazione delle larve o delle uova in gattini che tossiscono conforta un sospetto diagnostico. Non
esiste alcun trattamento primario efficace per la fase di migrazione dei parassiti. La diagnosi delle parassitosi respiratorie primarie si basa sulla dimostrazione dell’organismo
nei campioni di aspirato transtracheale e di lavaggio broncoalveolare o nelle feci. Nella maggior parte degli animali
colpiti l’eliminazione avviene in modo intermittente, per
cui può essere necessario ripetere più volte gli esami coprologici. La tecnica dell’imbuto di Baermann accresce le
probabilità di individuare le larve di A. abstrusus. Le tecniche di esame per sedimentazione sono superiori a quelle
per flottazione per la dimostrazione delle uova di Paragonimus kellicotti. Sono disponibili test sierologici utili per
confortare la diagnosi di toxoplasmosi. Gli elminti polmonari generalmente rispondono alla somministrazione di
ivermectina alla dose di 100-400 µg/kg, PO, una volta alla
settimana per tre settimane. Dal momento che con questi
agenti si riscontra una polmonite eosinofilica, generalmente si somministra prednisolone alla dose di 1,0-2,0
mg/kg/die PO in associazione con l’ivermectina. Il fenbendazolo rappresenta una terapia alternativa. Spesso lo si impiega alla dose di 50-100 mg/kg/die PO per 10-14 giorni.
Per il trattamento dell’infestazione da Paragonimus kellicotti si può utilizzare il praziquantel. Per la terapia della
toxoplasmosi può essere efficace la clindamicina somministrata alla dose di 10-12 mg/kg BID, PO per 3-4 settimane.
Filariosi cardiopolmonare. In generale, si può ritenere
che l’incidenza della filariosi cardiopolmonare nel gatto in
una data area corrisponda approssimativamente al 10% di
quella riscontrata nel cane. Il carico parassitario è solitamente basso (1-2 elminti), ma la morbilità e la mortalità
tendono ad essere più elevate che nel cane. Molti gatti mostrano segni aberranti come morte improvvisa, vomito ed
anomalie del sistema nervoso centrale. Di solito, la ricerca
delle microfilarie nei felini risulta negativa, così come i test per la ricerca degli antigeni, a causa del ridotto carico di
infestazione o della presenza di soggetti di un unico sesso.
Attualmente, sono disponibili test anticorpali (HESKA
Corp., Fort Collins CO; Synbiotics Corp., San Diego, CA).
Si ritiene che questi siano più sensibili di quelli antigenici
e non diano origine a reazioni crociate con altri parassiti.
Tuttavia, il loro esito positivo dimostra solo l’avvenuta
esposizione e non un’infestazione in atto o una malattia
clinicamente manifesta. In uno studio condotto sui gatti in
Florida, la sensibilità e specificità del test anticorpale Synbiotics sono risultate pari al 68% ed al 93%. Quelle del test
anticorpale HESKA erano dell’89% e del 77%. Al contrario, la sensibilità e specificità del test antigenico era circa
del 75% e del 98%. Quindi, è importante sottoporre i gatti
sia all’esame con il test anticorpale che a quello antigenico. La dimostrazione di arterie polmonari distese, tortuose
e tronche nelle immagini radiografiche del torace rappresenta un’importante modalità diagnostica. Occasionalmente, con l’ecocardiografia è possibile individuare la presenza degli elminti.
L’infestazione da filarie nel gatto è generalmente autolimitante entro due anni, per cui la maggior parte di questi
animali va sottoposta ad una terapia sintomatica con glucocorticoidi. I soggetti colpiti devono essere sottoposti a profilassi, per evitare nuove infestazioni. La somministrazione
della tiacetarsamide con il medesimo protocollo utilizzato
nel cane può essere utile, ma esita comunemente in una
mortalità acuta. Nel gatto non sono necessari i farmaci microfilaricidi. A scopo profilattico, sono approvate l’ivermectina e la milbemicina.
Malattie bronchiali. L’ostruzione dei bronchi può essere dovuta ad infiltrazione infiammatoria (eosinofili, neutrofili o macrofagi) o all’ipertrofia dei tessuti bronchiali.
Ne deriva l’ostruzione delle vie aeree. L’aumento della resistenza di queste ultime con conseguente dispnea espiratoria caratterizza la pneumopatia ostruttiva. La bronchite è
l’infiammazione delle vie aeree. L’asma generalmente implica una broncocostrizione reversibile correlata ad ipertrofia della muscolatura liscia delle vie aeree, ipertrofia delle
ghiandole mucipare ed infiltrazione di eosinofili. L’asma
del gatto è primariamente dovuta a reazioni di ipersensibilità di tipo I; l’eziologia generalmente resta indeterminata.
I gatti con bronchite non dovuta ad asma presentano di
norma degli infiltrati di neutrofili o macrofagi ed un’ipertrofia delle ghiandole mucipare, un’iperplasia delle cellule
caliciformi, una quantità eccessiva di muco ed infine una
fibrosi secondaria all’infiammazione cronica. L’infezione
da calicivirus è la più comune malattia virale del gatto responsabile di affezioni bronchiali acute. Bordetella bronchiseptica, Mycoplasma spp. ed eventualmente Chlamydia
psittaci sono i batteri capaci di indurre una malattia bronchiale. Se è presente una forma dovuta a Chlamydia, è lie-
NOTE
203
NOTE
204
ve. Le infestazioni da Aelurostrongylus e Dirofilaria possono indurre una pneumopatia bronchiale.
I gatti con bronchite possono avere qualsiasi età; la
bronchite cronica si sviluppa solitamente nei soggetti di
media età o anziani; non esistono evidenti predilezioni di
razza o di sesso. I principali motivi che spingono i proprietari a portare alla visita gli animali sono rappresentati da
tosse, dispnea e sibili. Alcuni gatti presentano un conato
terminale dopo la tosse. Le anomalie dell’esame clinico
sono rappresentate da tosse, dispnea e rantoli, nonché da
sibili nei tessuti polmonari. L’aumento dei suoni broncovescicolari può essere l’unica anomalia rilevata all’auscultazione. Se è presente, la dispnea riconosce comunemente
una pronunciata componente espiratoria. Durante i periodi
di stress è comune il riscontro di respirazione a bocca
aperta o polipnea.
L’emogramma è generalmente normale, fatta eccezione
per il riscontro di eosinofilia in alcuni gatti con asma, parassitosi respiratorie o filariosi cardiopolmonare. L’esame
radiografico del torace rivela principalmente un quadro
bronchiale. In alcuni gatti dispnoici con malattia cronica si
osservano iperinsufflazione ed intrappolamento dell’aria.
Le broncografie gassose sono comuni nei gatti con bronchite da infezione batterica. L’esame citologico del materiale prelevato mediante lavaggio transtracheale (TTW;
l’autore utilizza nel gatto soltanto la tecnica transorale) o
broncoalveolare rivela in genere un aumento del muco e
mostra che il tipo cellulare primario è rappresentato da eosinofili, neutrofili o macrofagi. Si possono visualizzare o
meno dei batteri. Si devono effettuare le colture aerobiche
e la ricerca di micoplasmi, nonché gli antibiogrammi, indipendentemente dal tipo di cellule infiammatorie e dal riscontro o meno di batteri.
I gatti in cui l’esame citologico del lavaggio transtracheale evidenzia la presenza di eosinofili devono essere sottoposti al test per la diagnosi della filariosi cardiopolmonare mediante ricerca degli antigeni dei parassiti adulti e degli
anticorpi se provengono da aree endemiche. Il riscontro degli eosinofili nel lavaggio transtracheale, in particolare se i
gatti esaminati vivono anche all’aperto e provengono da
aree con parassitosi endemiche, impone l’esame delle feci
per flottazione (Toxocara), con il metodo di Baermann (Aelurostrongylus) e per sedimentazione (Paragonimus).
I gatti non dispnoici vengono generalmente trattati con
antibiotici ad ampio spettro in attesa dei risultati dei test
diagnostici. Di solito, l’autore utilizza inizialmente la doxiciclina per la sua efficacia nei confronti dei batteri patogeni primari delle vie respiratorie e degli effetti antinfiammatori. Non utilizza invece abitualmente la teofillina per os
(inibitore della fosfodiesterasi) o la terbutalina (beta 2 agonista) a meno che non sia necessario. La farmacocinetica
della terbutalina nel gatto è diversa da quella riscontrata
nell’uomo; nei felini, i livelli sierici sono estremamente
elevati. Questo farmaco va evitato nei gatti con cardiopatia
o affezioni che esitano in ipertensione come l’insufficienza
renale e l’ipertiroidismo. Gli inibitori della fosfodiesterasi
causano spesso anoressia e modificazioni comportamentali
del gatto. I soggetti in cui l’esame citologico del lavaggio
transtracheale evidenzia la presenza di neutrofili e in cui le
colture batteriche risultano positive vengono trattati con
antibiotici appropriati per 4-8 settimane a seconda della
gravità radiografica della malattia e della risposta alla terapia. In alcuni gatti con bronchite acuta la malattia si risolve
e non recidiva. La maggior parte dei soggetti con bronchite
cronica richiede la somministrazione di antinfiammatori e,
forse, di broncodilatatori per tutta la vita. Se nel lavaggio
transtracheale è presente una componente eosinofilica, è
probabile che siano necessari i glucocorticoidi. Questi possono essere somministrati per os o utilizzando prodotti deposito. Generalmente, l’autore tenta dapprima di attuare la
terapia con prednisolone per os. La somministrazione di
metilprednisolone acetato ogni 2-3 settimane consente di
ottenere un adeguato controllo di alcuni gatti con asma. Il
dosaggio dei glucocorticoidi va modulato fino ad ottenere
la dose più bassa necessaria per il controllo dei segni clinici della malattia. In alcuni gatti, se non si possono utilizzare i glucocorticoidi (diabete mellito) può essere efficace la
ciproeptadina. L’uso di un’integrazione con acidi grassi
omega-3 può diminuire il fabbisogno di glucocorticoidi. I
gatti che diventano refrattari al prednisolone spesso rispondono al desametazone o al triamcinolone. Alcuni soggetti
con asma mostrano delle esacerbazioni stagionali. La rimozione di potenziali agenti irritanti nell’ambiente come
le lettiere di argilla, il fumo di sigarette, la lacca per capelli
ed i prodotti per la pulizia dei tappeti va presa in considerazione in tutti i casi di infiammazione bronchiale.
Polmonite batterica. La polmonite è un’infiammazione del parenchima polmonare; la broncopolmonite è la
polmonite che ha avuto inizio nei bronchioli terminali. La
polmonite batterica è raramente una malattia primaria. Oc-
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205
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206
casionalmente, Bordetella bronchiseptica o Mycoplasma
spp. la inducono direttamente grazie ai loro effetti negativi
sulla funzione dell’apparato mucociliare. Yersinia pestis
può causare una polmonite nei gatti infetti ed è direttamente responsabile di una zoonosi. I gatti che vivono all’aperto
negli stati sud-occidentali e presentano febbre associata a
tosse o dispnea devono essere manipolati con cautela, in
particolare in primavera, estate ed autunno. La maggior
parte dei casi di broncopolmonite batterica è secondaria a
malattie immunosoppressive o a precedenti eventi patologici a carattere infiammatorio come le infezioni virali, le
forme ab ingestis e l’inalazione di composti irritanti. I proprietari devono essere accuratamente interrogati sulla possibile esposizione ad altri animali e sulla presenza o meno
di segni clinici associati a malattie immunosoppressive o a
fenomeni di aspirazione.
La maggior parte dei gatti con polmonite batterica si
presenta clinicamente malata. I principali problemi riscontrati sono rappresentati da depressione, anoressia, dispnea,
tosse umida e produttiva con conato terminale ed intolleranza all’esercizio. Alcuni gatti con polmonite batterica
presentano solo la tosse. L’esame clinico evidenzia comunemente febbre, rantoli e sibili ed attenuazione dei suoni
polmonari in caso di epatizzazione o ascessualizzazione
dei lobi polmonari. In molti gatti si riscontra un incremento dei suoni tracheali, una tosse tracheale ed un’infiammazione faringea dovuta al trasporto di elementi infiammatori
lungo l’apparato mucociliare sino al cavo orale.
Il piano diagnostico iniziale nei gatti con sospetta polmonite batterica deve comprendere l’esecuzione di emogramma, profilo biochimico, analisi dell’urina e radiografie del torace. La leucocitosi neutrofila con o senza spostamento a sinistra è comune, ma non sempre presente. La
monocitosi è frequente nella polmonite cronica. La valutazione del quadro biochimico e dell’analisi dell’urina evidenzia spesso la presenza di malattie immunosoppressive
primarie. L’esame radiografico del torace mostra di solito
un quadro di tipo misto alveolare, bronchiale e interstiziale. La polmonite ab ingestis è generalmente caratterizzata
da lesioni radiografiche che risultano più pronunciate a livello del lobo polmonare medio di destra. Valutando le radiografie toraciche risultano comunemente evidenti le affezioni dell’esofago. La paralisi laringea predispone frequentemente alla polmonite ab ingestis ed è caratterizzata da
stridore inspiratorio; la malattia è rara nel gatto. Gli ulte-
riori test diagnostici da attuare nei felini con sospetta laringopatia sono rappresentati dalla valutazione della funzione
laringea mediante visualizzazione sotto sedazione. La
somministrazione endovenosa di basse dosi di tiobarbiturici ad azione ultrarapida consente di esaminare la funzione
della laringe. Una volta dimostrata attraverso le radiografie
del torace la presenza di un’affezione polmonare, si deve
effettuare un lavaggio transtracheale per prelevare il materiale da destinare agli esami citologici, alle colture per la
ricerca di batteri aerobi e Mycoplasma ed agli antibiogrammi. Si deve prendere in considerazione anche la possibilità di effettuare l’aspirazione transtoracica dei lobi
polmonari epatizzati per allestire colture anaerobiche ed
antibiogrammi. Talvolta è necessario ricorrere alla broncoscopia per eseguire il lavaggio broncoalveolare ed il prelievo di campioni bioptici, che risulta superiore al lavaggio
transtracheale.
L’associazione dell’aumento numerico dei neutrofili e
dei macrofagi nella valutazione citologica dei secreti ottenuti mediante lavaggio transtracheale e la positività delle
colture confermano la diagnosi di polmonite batterica. Gli
esami colturali risultano comunemente positivi nei gatti sani, per cui la presenza di batteri non associata ad elementi
infiammatori non dimostra l’esistenza di una polmonite. Il
trattamento consiste in idratazione delle vie aeree, terapia
antibiotica, fisioterapia, espettoranti e broncodilatatori.
Una volta corrette le condizioni primarie, il trattamento
più importante della polmonite batterica è l’idratazione.
L’apparato mucociliare funziona al meglio in un animale
ben idratato ed è essenziale per la clearance dell’infezione.
I gatti colpiti devono essere sottoposti a fluidoterapia paraenterale sino a che non sono in grado di mantenere
l’idratazione per os. L’idratazione delle vie aeree può essere accentuata mediante nebulizzazione o chiudendo l’animale in una stanza da bagno in cui viene lasciata scorrere
acqua calda dalla doccia.
La terapia antibiotica va basata sui risultati degli esami
colturali e degli antibiogrammi. I gatti con sepsi devono
essere trattati inizialmente con antibiotici per via paraenterale. Gli antibiotici per os vanno somministrati per 6-8 settimane o per almeno due settimane dopo la risoluzione dei
segni radiografici della malattia. Questi farmaci possono
essere somministrati mediante nebulizzazione. Si utilizzano comunemente gli aminoglicosidi. La loro tossicità renale non costituisce motivo di preoccupazione, dal momento
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che i livelli sierici di questi antibiotici restano bassi a causa
della nebulizzazione. Se si utilizza questo metodo di somministrazione, generalmente si impiegano 25 mg di gentamicina miscelati a 3-4 ml di soluzione fisiologica.
Quest’ultima possiede alcuni effetti mucolitici e favorisce
la funzione dell’apparato mucociliare. Generalmente, la
nebulizzazione viene effettuata 3-4 volte al giorno. Di norma, a causa della grave broncocostrizione durante la nebulizzazione dei gatti non si utilizzano gli agenti mucolitici
come l’acetilcisteina. Se la si impiega, si deve anche nebulizzare un beta-2 agonista topico come l’isoetarina. La nebulizzazione può essere attuata attraverso la maggior parte
delle gabbie ad ossigeno. Presso molte società di noleggio
di apparecchi medicali per la cura a domicilio dell’uomo è
possibile trovare pompe per aria elettriche e nebulizzatori
manuali che erogano particelle delle dimensioni di 5 µ. La
nebulizzazione può essere effettuata raccordando il nebulizzatore ad una scatola chiusa e dotata di fori sul lato opposto per consentire la fuoriuscita della CO2.
In alcuni gatti con broncopolmonite è indicata l’ossigenoterapia, a causa della dispnea acuta. Se non si dispone di
una gabbia ad ossigeno, il gas può essere somministrato
mediante sonda nasale o raccordando un apparecchio da
anestesia ad un lato di una scatola di cartone. La pressione
tele-espiratoria positiva favorisce il trattamento di alcune
affezioni polmonari, ma non risulta pratica nella maggior
parte delle situazioni cliniche.
Per il trattamento della polmonite batterica è indicata la
fisioterapia passiva. Una delicata percussione realizzata
con la mano a coppa rappresenta la tecnica più comunemente utilizzata, che però non viene tollerata da molti gatti. Può essere utile giocare con l’animale per incoraggiare
un lieve esercizio.
L’utilità dell’impiego dei broncodilatatori nel trattamento della polmonite batterica è discutibile. L’autore generalmente utilizza questa terapia se i trattamenti precedentemente indicati non determinano una rapida risoluzione della malattia. Gli inibitori della fosfodiesterasi come la
teofillina possono migliorare la funzione dell’apparato mucociliare. Dal momento che gli antitussigeni ad azione indiretta sono controindicati, i broncodilatatori possono essere utili per determinare una lieve riduzione della tosse
agendo indirettamente riducendo la broncocostrizione.
I gatti con lobi polmonari epatizzati devono essere trattati con antibiotici capaci di penetrare bene nei tessuti e
dotati di uno spettro d’azione contro gli anaerobi. La clindamicina cloridrato costituisce una scelta appropriata.
Questo farmaco viene di solito associato ad altri dotati di
uno spettro d’azione sui microrganismi Gram-negativi,
come i chinoloni. L’esame radiografico del torace va ripetuto in tutti i casi entro 3-4 giorni dall’inizio del trattamento e poi ogni 2-3 settimane sino alla risoluzione dei
segni radiografici della malattia. Se i lobi polmonari epatizzati non risultano insufflati entro 7 giorni dall’inizio del
trattamento, si deve prendere in considerazione l’esplorazione chirurgica.
Peste felina. La peste felina è causata da Yersinia pestis,
un coccobacillo Gram-negativo che si riscontra più comunemente negli stati medio occidentali ed occidentali, in particolare nel New Mexico e nel Colorado. Gli ospiti naturali
di questo batterio sono i roditori; nella maggior parte dei
casi i gatti contraggono l’infezione ingerendo roditori o lagomorfi batteriemici oppure attraverso il morso di pulci di
roditori infette da Yersinia. I cani sono più resistenti all’infezione e non sono stati associati alla trasmissione zoonosica. In genere l’uomo si infetta attraverso il morso delle pulci dei roditori, ma sono stati documentati molti casi di trasmissione mediante esposizione ad animali selvatici ed a
gatti domestici infetti. L’infezione può essere indotta mediante inalazione di secrezioni respiratorie di gatti con peste
polmonare, ferite da morso o contaminazione di mucose o
cute abrasa da parte di secrezioni o essudati.
Nel gatto e nell’uomo si possono sviluppare la peste
bubbonica, setticemica e polmonare; ciascuna forma è accompagnata da febbre, mal di testa, debolezza e malessere.
Dal momento che nella maggior parte dei casi i gatti si infettano con l’ingestione di roditori batteriemici, la manifestazione clinica più comune è la linfoadenite suppurativa
(bubbone) dei linfonodi cervicali e sottomandibolari. Gli
essudati dei gatti con linfoadenopatia devono essere sottoposti ad esame citologico per evidenziare la presenza di un
gran numero dei caratteristici bastoncelli bipolari. La diagnosi viene confermata mediante immunofluorescenza degli essudati (attuabile presso il Center for Disease Control,
Fort Collins, CO), l’esame colturale di essudati, area tonsillare e saliva e la dimostrazione di un aumento dei titoli
anticorpali. Per il trattamento della peste si possono utilizzare con successo i derivati della tetraciclina (doxiciclina 5
mg/kg, PO, BID per 21 giorni), l’enrofloxacin (5 mg/kg,
PO, IM o IV, BID per 21 giorni), il cloramfenicolo e gli
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209
NOTE
210
aminoglicosidi. Durante la fase batteriemica si devono impiegare gli antibiotici paraenterali. Può essere necessario il
drenaggio dei linfonodi. I gatti con linfoadenite suppurativa devono essere considerati come sospetti casi di peste e
si deve utilizzare un’estrema cautela nella manipolazione
degli essudati o nel trattamento delle ferite drenanti. Gli
animali sospetti devono essere trattati con prodotti antipulci e ricoverati in isolamento. Tutte le persone esposte al
contatto con il gatto devono essere inviate dal medico per
la somministrazione di antibiotici a scopo profilattico. I
gatti non sono infettanti per l’uomo dopo 3-4 giorni di terapia antibiotica.
Piotorace. Il piotorace è la malattia infettiva più comunemente responsabile di dispnea nel gatto. Possono essere
coinvolti tutti i batteri, ma si riscontrano frequentemente
gli anaerobi come Nocardia ed Actinomyces. A meno che
non sia presente un evidente corpo estraneo, l’autore tratta
inizialmente il piotorace con la terapia medica, mediante
somministrazione di antibiotici appropriati e lavaggio del
cavo pleurico. A seconda dei singoli casi, si inserisce una
sonda mono- o bilaterale.
Il lavaggio del cavo pleurico si effettua due volte al
giorno con circa 20 ml/kg di soluzione fisiologica o di Ringer riscaldata. Il liquido di lavaggio va instillato lentamente; se insorge una difficoltà respiratoria, l’iniezione va sospesa. Il fluido viene lasciato nello spazio pleurico per
un’ora, a meno che non compaia una difficoltà respiratoria.
Il 25% circa del volume infuso viene assorbito dal paziente. L’efficacia del lavaggio viene monitorata mediante riscontri clinici, esame radiografico del torace e valutazione
citologica del versamento pleurico. La maggior parte degli
animali in cui questa operazione ha successo mostra una
riduzione della febbre ed un miglioramento delle condizioni generali entro le prime 48 ore. In genere, l’autore effettua la ripetizione delle radiografie 48 ore dopo l’inserimento della sonda. Le immagini vengono riprese dopo la completa rimozione di tutti i fluidi di lavaggio ed utilizzate per
valutare il volume dei liquidi nello spazio pleurico, l’atelettasia e la presenza di aree di raccolte liquide incapsulate.
Prima del lavaggio, di norma si effettua l’esame citologico
del liquido pleurico. Inoltre, si stima il numero di neutrofili, macrofagi e batteri, nonché la percentuale di neutrofili
degenerati. La maggior parte dei casi con piotorace mostra
una graduale riduzione del numero degli elementi infiammatori entro 3-5 giorni.
La terapia antibiotica sistemica deve infine essere basata sui risultati degli esami colturali e degli antibiogrammi.
Il successo della coltura dei batteri anaerobi dipende dalla
manipolazione dei campioni al laboratorio. La coltura
anaerobia deve essere richiesta specificamente ed i campioni devono essere inviati in una siringa chiusa entro
un’ora o in un terreno di trasporto appropriato (Anaerobic
culturette, Marion Scientific Corp.; Portacul, Bectin
Dickinson) entro 24 ore. Data l’elevata incidenza delle infezioni anaerobie, immediatamente dopo la diagnosi di
piotorace si deve iniziare la somministrazione di antibiotici
con uno spettro d’azione attivo su questi microrganismi,
continuando per tutta la durata della malattia. Molti animali con piotorace mostrano batteriemia o setticemia e nel periodo di trattamento iniziale è indicata la somministrazione
di antibiotici per via endovenosa. L’autore utilizza comunemente l’ampicillina (22 mg/kg, IV, ogni 6-8 ore) o il
cefoxitin (22 mg/kg, IV, ogni 6-8 ore). Recentemente, è
stato dimostrato che l’amossicillina con acido clavulanico
possiede un migliore spettro di azione nei confronti degli
anaerobi rispetto all’ampicillina. La gentamicina viene impiegata soltanto se vi sono segni di shock settico e solo dopo aver corretto la disidratazione e l’ipokalemia. L’enrofloxacin può essere utilizzato per via paraenterale per migliorare lo spettro d’azione nei confronti dei microrganismi Gram-negativi negli animali settici. La terapia antibiotica per os deve continuare per almeno 4-6 settimane dopo
la diagnosi iniziale. In genere, si suggerisce la ripresa di
radiografie del torace a distanza di 7 e 28 giorni dalla rimozione della sonda. L’associazione del lavaggio pleurico
e della terapia antibiotica, secondo quanto è stato segnalato, risolve con successo il piotorace nel 60% dei gatti.
Peritonite infettiva felina. La forma essudativa della
peritonite infettiva felina può portare ad un versamento
pleurico ed alla conseguente comparsa dei segni clinici di
malattia. Alcuni dei gatti colpiti non mostrano quadri riferibili a versamento peritoneale. Questa sindrome si riscontra più comunemente nei felini che vivono in ambienti
affollati ed hanno un’età inferiore a due anni. Spesso si riscontrano concomitanti affezioni oculari, del SNC, epatiche e renali; nella maggior parte dei casi l’anamnesi segnala perdita di peso e febbre.
I versamenti riscontrabili nei gatti con FIP sono sterili,
incolori o di colore paglierino, possono contenere filamenti
di fibrina e possono coagulare quando vengono esposti
NOTE
211
NOTE
212
all’aria. Le concentrazioni proteiche evidenziate dall’analisi del fluido sono comunemente comprese fra 3,5 e 12
g/dl. Di norma, si riscontrano popolazioni cellulari infiammatorie di tipo misto costituite da linfociti, macrofagi e
neutrofili; nella maggior parte dei casi predominano i neutrofili non degenerati, ma in alcuni gatti il tipo cellulare
primario è rappresentato dai macrofagi. La misurazione dei
livelli di proteine nei versamenti può contribuire alla diagnosi della FIP essudativa. Se il rapporto albumina:globulina nel versamento è > 0,81, la peritonite infettiva è improbabile. Se invece è < 0,81, ma > 04, il valore prognostico positivo per la FIP è approssimativamente dell’80%. Un
rapporto albumina:globulina nel versamento > 0,4 corrisponde ad un valore prognostico positivo per la FIP del
100%.
Nei gatti colpiti dalla forma essudativa della malattia i
test sierologici possono risultare falsi-negativi e la presenza di anticorpi nel siero non conferma la diagnosi. È stato
realizzato un test per rilevare la proteina 7B dei coronavirus e stabilire una correlazione con la FIP. Tuttavia, non
tutti i gatti che risultano positivi sviluppano la malattia.
Quindi, tutti i casi di positività al test per la diagnosi
dell’infezione da coronavirus devono essere interpretati alla luce degli altri fattori clinici come il segnalamento (generalmente gatti giovani), la presenza di segni clinici ed alterazioni appropriati e il riscontro di anomalie compatibili
degli esami di laboratorio, come la linfopenia e l’iperglobulinemia. La diagnosi definitiva di FIP richiede ancora la
dimostrazione dei caratteristici riscontri istopatologici o
della presenza del virus nei tessuti infiammati, mediante
tecniche immunoistochimiche o PCR.
L’accuratezza diagnostica della reazione a catena della
polimerasi per il riconoscimento dei coronavirus è stata valutata in un numero limitato di gatti. Reazioni positive sono state riscontrate nei versamenti pleurici o peritoneali di
13 soggetti su 15 con FIP essudativa. Attualmente, il riconoscimento del coronavirus mediante PCR nel sangue intero non sembra essere correlato allo sviluppo della FIP. Non
esiste alcun trattamento efficace. La somministrazione di
alfa-interferon alla dose di 10.000 U/kg/die SC può in alcuni casi attenuare i segni clinici della malattia.
Tabella 1
Dosaggio dei farmaci comunemente utilizzati nel trattamento
delle affezioni delle vie aeree superficiali e profonde del gatto
Antielmintici
Fenbendazolo
Ivermectina
Antibiotici
Amossicillina
Amossicillinaacido clavulanico
Cefadroxil
Cefoxitin
Cefalessina
Cloramfenicolo
Clindamicina-battericida
Clindamicinaanti-Toxoplasma
Doxiciclina
Enrofloxacin
Imipenem
Metronidazolo
Trimetoprim-sulfamidico
Antistaminici/
antiserotoninici
Clorfeniramina
Ciproeptadina
Broncodilatatori
Terbutalina
Teofillina (Theodur)
Catecolamine
Adrenalina
Glucocorticoidi
Prednisolone
Desametazone SP
Metilprednisolone
acetato
Triamcinolone
NOTE
20 mg/kg, PO, die per 5 giorni, ripetere dopo 5 giorni
0,4 mg/kg, SC, una volta
22 mg/kg, PO ogni 12 ore
12,5-25 mg/kg, PO, ogni 12 ore
22 mg/kg, PO, ogni 24 ore
22 mg/kg, PO, ogni 8 ore
22 mg/kg, PO, ogni 8 ore
10-15 mg/kg, PO, ogni 12 ore
10-12 mg/kg, PO, ogni 24 ore
10-12 mg/kg, PO, ogni 12 ore
5 mg/kg, PO, ogni 12-24 ore
2,5-5 mg/kg, PO, ogni 12-24 ore
3-10 mg/kg, IV, ogni 6-8 ore
12,5-25 mg/kg, PO, ogni 12 ore
15 mg/kg, PO, ogni 12 ore
2 mg/gatto, PO, ogni 12 ore
2 mg/gatto, PO, ogni 12 ore
0, 625-1,25 mg/gatto, PO, ogni 12 ore
25 mg/kg, PO, di notte
0,5 ml; soluzione 1:10.000, SC o IM
2,5-5 mg/gatto, PO, ogni 12 ore
0,5-1 mg/kg, IV, secondo necessità
5-15 mg, IM, ogni 2-3 settimane,
secondo necessità
0,1-0,2 mg/kg, IM o SC, ogni 2-3
settimane, secondo necessità
Immunomodulatori/antivirali
Aciclovir (herpesvirus 1) 10-50 mg/kg, PO, ogni 8 ore
segue →
213
NOTE
Tabella 1 - seguito
Interferon alfa infezioni
di routine
Interferon alfa infezioni
potenzialmente letali
Vaccino intranasale
Lisina (herpes virus 1)
214
30 U, PO, ogni 24 ore
10.000 U/kg, SC, ogni 24 ore
Una volta
250 mg, PO, ogni 12 ore
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Cause infettive di uveite nel gatto
Infectious causes of uveitis in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 8.45
215
NOTE
Definizione e cause. Il tratto uveale è costituito da iride, corpo ciliare e coroide. Nel gatto, l’uveite può essere
indotta da cause esogene o endogene. Nel primo caso, le
eziologie più comuni sono rappresentate da traumi, ulcera
corneale e ferite penetranti, che di solito possono essere
diagnosticate nel corso dell’esame clinico. L’uveite endogena può essere distinta in parassitaria, infettiva, facoindotta, neoplastica o idiopatica. Escludendo i casi da cause
facoindotte e neoplastiche, non esistono alterazioni oftalmiche cliniche e patognomoniche associate all’uveite nel
gatto. Indipendentemente dall’eziologia, nella camera anteriore si sviluppano comunemente intorbidamento
dell’acqueo, precipitati cheratici, ifema ed ipopion. La coroide può essere infiammata con o senza concomitante interessamento del segmento anteriore. È importante trattare
in modo appropriato l’uveite del gatto per evitare la lussazione della lente, la formazione di cataratte ed il glaucoma, che rappresentano tre comuni sequele dell’infiammazione intraoculare.
Cause infettive suggerite. I più comuni agenti infettivi
suggeriti come causa di uveite nei gatti esposti naturalmente negli Stati Uniti sono Toxoplasma gondii, il virus della
leucemia felina (FeLV), quello dell’immunodeficienza felina (FIV), quello della peritonite infettiva felina (FIP) e le
micosi come la criptococcosi, l’istoplasmosi, la blastomicosi, la coccidioidomicosi e la candidosi. L’uveite è stata
indotta nel gatto in seguito all’inoculazione di FIV, FIP e
T. gondii. Alcune recenti acquisizioni suggeriscono che
Bartonella henselae ed herpesvirus 1 possano indurre una
flogosi intraoculare in alcuni gatti. Clinicamente, questi
agenti suscitano alterazioni endoculari indistinguibili con
l’esame oftalmoscopico, soprattutto se risulta infiammato
soltanto il tratto anteriore dell’uvea.
VALUTAZIONE DIAGNOSTICA
Test sierologici. Diagnosticare la causa dell’uveite endogena nei singoli gatti è estremamente difficile. In alcuni
studi epidemiologici sono stati utilizzati test sierologici per
evidenziare l’esposizione alle cause infettive dell’uveite. In
un’indagine, campioni di siero ottenuti da gatti (n=93) con
uveite non associata ad un’evidente causa endogena sono
stati sottoposti ai test per la ricerca degli anticorpi di FIV e
di quelli del coronavirus felino, dell’antigene p27 di FeLV,
216
delle immunoglobuline M (IgM) e di quelle G (IgG) specifiche per T. gondii e degli antigeni di T. gondii. In alcuni
gatti sono state riscontrate prove sierologiche di infezione
da T. gondii (78,5%), FeLV (5,9%), FIV (22,9%) e coronavirus felino (titolo anticorpale ≥ 1 : 1.600; 4,1%). La sieroprevalenza di T. gondii in questi gatti era significativamente più elevata di quella riscontrata in un gruppo di soggetti
sani provenienti da un’area geografica simile (P < 0,001),
suggerendo che almeno alcuni dei gatti fossero colpiti da
un’infiammazione intraoculare indotta dall’infezione da T.
gondii. Tuttavia, dal momento che i test sierologici forniscono risultati positivi per gli agenti infettivi sia nei gatti
sani che in quelli malati, non è possibile stabilire una correlazione fra questi esiti e le affezioni oculari clinicamente
manifeste nei singoli gatti.
Inoltre, a seconda del metodo di analisi, i test sierologici possono anche fornire esiti falsi-positivi e falsi-negativi.
Ad esempio, molti felini con uveite presentano IgM T.
gondii-specifiche in assenza di IgG T. gondii-specifiche
nel siero. È stato dimostrato che i kit commerciali basati
sull’agglutinazione al lattice e sull’emoagglutinazione indiretta per il riconoscimento degli anticorpi anti-T. gondii
non riescono a rilevare nella maggior parte dei casi le IgM
T. gondii-specifiche. Questi risultati falsi-negativi hanno
probabilmente portato in passato a sottostimare la sieroprevalenza dell’infestazione nei gatti con uveite. I test per la
ricerca degli anticorpi anti-FIV con il metodo ELISA possono comunemente fornire risultati falsi-positivi. Dal momento che i coronavirus enterici provocano la formazione
di anticorpi sierici che non possono essere distinti da quelli
indotti dai ceppi di coronavirus responsabili della FIP, il titolo anticorpale anti-coronavirus è estremamente difficile
da interpretare. Tuttavia, l’associazione di un valore >
1:160, linfopenia ed ipergammaglobulinemia ha un valore
prognostico positivo pari all’88,9% nei casi con sospetta
FIP sistemica.
Nei gatti con uveite sono comuni le prove sierologiche
dell’esposizione a più di un agente infettivo, che rendono
l’interpretazione dei test ancor più difficile. Ad esempio, in
uno studio tutti i gatti con uveite sieropositivi per FIV erano anche sieropositivi per T. gondii.
Test sull’umore acqueo. Per la diagnosi dell’uveite nel
gatto sono state valutate diverse tecniche basate sull’analisi
dell’umore acqueo. L’esame citologico del fluido di solito
non è diagnostico. I microrganismi micotici si identificano
NOTE
217
NOTE
più comunemente con l’esame citologico dell’umore vitreo. Nell’uomo e nel gatto, per valutare un certo numero
di malattie infettive oculari è stato utilizzato il calcolo degli indici di produzione anticorpale a livello dell’occhio.
La tecnica è stata utilizzata frequentemente in studi condotti in pazienti umani con toxoplasmosi oculare ed è stata
adattata all’impiego nel gatto. Nella prima indagine, il siero e l’umore acqueo di 14 gatti clinicamente normali e 96
gatti con uveite idiopatica endogena sono stati valutati per
le IgM T. gondii-specifiche, le IgG T. gondii-specifiche, gli
antigeni specifici di T. gondii, le IgM totali e le IgG totali
(Lappin et al., 1992). Quindi, è stato calcolato come segue
il coefficiente di Goldmann-Witmer (valore C):
Anticorpi anti-T. gondii (acqueo) X Anticorpi totali (siero)
Anticorpi anti-T. gondii (siero) X Anticorpi totali (acqueo)
Questa formula corregge la variazione dovuta al passaggio degli anticorpi dal siero nell’umore acqueo secondariamente all’infiammazione. Un valore C > 1 è indicativo di una produzione locale di anticorpi T. gondii-specifici
nell’umore acqueo. I gatti clinicamente normali con prove
sierologiche di infestazione da T. gondii non presentavano
anticorpi T. gondii-specifici nell’umore acqueo. Fra quelli
con uveite endogena, 59 (61,4%) presentavano anticorpi T.
gondii-specifici nel siero; 51 su 59 presentavano anticorpi
T. gondii-specifici nell’umore acqueo. Di questi 59 gatti, i
valori di C nell’acqueo erano: valore C < 1 (8/59, 13,6%);
valore C 1-8 (20/59, 33,9%) e valore C > 8 (23/59, 39,0%).
Questi risultati suggeriscono che T. gondii possa essere
una causa comune di uveite endogena nel gatto.
Sono state sviluppate tecniche analoghe per il riconoscimento della produzione oculare di anticorpi anti-herpesvirus felino 1 (FHV-1) ed anti-Bartonella spp. In uno studio su gatti esposti naturalmente, la produzione di anticorpi oculari anti-FHV-1 non è stata riscontrata in gatti normali FHV-1 sieropositivi. Nei gatti in cui la causa
dell’uveite era sconosciuta, 22 su 44 (50%) presentavano
per FHV-1 valori di C > 1, dimostrando una produzione
anticorpale oculare. La produzione oculare di IgG antiBartonella spp. (valore C > 1) è stata rilevata in 7 su 49
gatti con uveite, 0 su 49 gatti sani di rifugi e 4 su 9 gatti
sottoposti ad inoculazione sperimentale.
Sfortunatamente, il riconoscimento della produzione
anticorpale oculare non dimostra in modo definitivo che il
218
microrganismo in questione sia responsabile dell’uveite.
Ad esempio, valori C > 1 delle IgG specifiche per Toxoplasma gondii e valori C > 1 delle IgA specifiche per T. gondii si possono rilevare in modo transitorio nell’umore acqueo di gatti sani sottoposti ad inoculazione sperimentale.
Inoltre, la produzione di anticorpi IgG specifici per Toxoplasma gondii nell’umore acqueo può essere indotta nei
gatti con infezione cronica mediante stimolazione immunitaria aspecifica. Quindi, la produzione di IgG o IgA T. gondii-specifiche nell’umore acqueo dei gatti con uveite non è
correlata in tutti i casi alla malattia indotta dal microrganismo. È probabile che molteplici malattie infettive sistemiche inducano risposte immunitarie oculari durante la fase
acuta dell’infezione, indipendentemente dall’insorgenza o
meno di una malattia oculare.
La classe degli anticorpi rilevati nell’umore acqueo può
influire sul valore prognostico. Ad esempio, le IgM T. gondii-specifiche non sono mai state rilevate nell’umore acqueo dei gatti sottoposti ad inoculazione sperimentale,
mentre valori C > 1 per le IgM sono comuni nei gatti con
uveite. Per le IgM anti-Bartonella spp., un valore C > 1 è
stato rilevato soltanto nei gatti con uveite; inoltre, queste
IgM sono state riscontrate in misura maggiore nel siero dei
gatti con uveite che in quello dei soggetti sani dei rifugi.
Sulla base di questi dati, consideriamo la produzione oculare di anticorpi della classe delle IgM un fattore prognostico di malattia clinicamente manifesta migliore di quello
della classe delle IgG.
Stiamo utilizzando il test immunologico western blot
per confrontare i quadri di riconoscimento degli antigeni
da parte degli anticorpi nel siero e nell’umore acqueo come procedura diagnostica da utilizzare nei soggetti con
uveite associata a FIV (dati non pubblicati, Gomez N. PhD
dissertation, University of Buenos Aires) e T. gondii. Mentre gli anticorpi T. gondii-specifici nel siero e nell’umore
acqueo presentano occasionalmente quadri differenti di riconoscimento dell’antigene, sino ad oggi non sono stati
identificati risultati che permettano di stabilire una correlazione con le affezioni oculari clinicamente evidenti.
Il riconoscimento del microrganismo nell’umore acqueo sarebbe potenzialmente in grado di favorire la diagnosi della causa dell’uveite. In un primo studio, antigeni
di Toxoplasma gondii sono stati riscontrati nell’umore acqueo di alcuni gatti con uveite, dimostrando la presenza
del microrganismo. Il test per la ricerca degli antigeni di
NOTE
219
NOTE
220
Cryptococcus può essere condotto sia sull’umore acqueo
che sul vitreo.
Recentemente, abbiamo riscontrato mediante PCR il
DNA di Toxoplasma gondii, FHV-1, o Bartonella spp.
nell’umore acqueo di 8 su 43 (18,6%), 11 su 44 (25%) e 3
su 24 (12,5%) gatti con uveite, rispettivamente. Questi risultati suggeriscono che questi tre agenti infettivi penetrano
nell’occhio durante l’infezione. Tuttavia, mediante PCR,
nell’umore acqueo di alcuni gatti sani è possibile rilevare il
DNA di Toxoplasma gondii (2 su 23; 8,7%), FHV-1 (1 su
13; 7,8%) o Bartonella spp. (1 su 49; 2,0%). Inoltre, è stato
dimostrato che il DNA di T. gondii si può riscontrare transitoriamente nell’umore acqueo di gatti con uveite sottoposti
ad inoculazione sperimentale. Quindi, il riscontro del DNA
del microrganismo nell’umore acqueo non è sempre correlato alla malattia clinicamente manifesta.
Patogenesi. L’uveite può essere conseguente alla replicazione del microrganismo nei tessuti oculari. Ad esempio,
nei casi di toxoplasmosi acuta che travolge le difese
dell’organismo, Toxoplasma si riscontra comunemente nei
tessuti oculari istologicamente. Tuttavia, viene raramente
individuato nei campioni prelevati da gatti infestati da T.
gondii e colpiti dalla sola uveite. La maggior parte dei felini con uveite presenta infiltrati linfoplasmocitari nell’iride
e nel corpo ciliare. È probabile che gli infiltrati cellulari
siano secondari ad un fenomeno immunomediato. L’interleuchina-6 (range = 28,9 U/ml –15.702 U/ml) è stata riscontrata in 22 campioni di umore acqueo su 27 prelevati
da gatti con uveite, ma in 0 campioni di umore acqueo su 6
ottenuti da gatti normali, suggerendo che questa citochina
possa essere un mediatore dell’infiammazione nell’uveite.
È probabile che molte malattie oculari o sistemiche possano indurre queste alterazioni. Per T. gondii, abbiamo ipotizzato che nel gatto, come nell’uomo, le probabilità di sviluppare un’affezione oculare siano maggiori se l’infezione
avviene per via transplacentare o nel periodo neonatale.
Questa ipotesi sembra essere vera; la toxoplasmosi oculare
clinicamente manifesta si è sviluppata in 5 gattini su 9 sopravvissuti nati da 3 gatte infestate.
Trattamento. Dal momento che l’uveite è una malattia
a carattere infiammatorio, i gatti colpiti che non presentano
ulcere cheratiche devono essere trattati con glucocorticoidi
topici, che non sembrano attivare le cause infettive della
malattia. Nei casi resistenti, è indicata la somministrazione
sistemica o sottocongiuntivale dei glucocorticoidi.
I casi di uveite micotica devono sempre essere trattati
con farmaci antifungini. Apparentemente, fra gli agenti
somministrati per os il fluconazolo è quello che penetra
meglio nei tessuti oculari. Può essere efficace la somministrazione di 50 mg per os ogni 12 – 24 ore per settimane.
L’opportunità di trattare i gatti sieropositivi per T. gondii e colpiti da uveite con farmaci anti-Toxoplasma è stata
oggetto di controversie. Nei gatti sieropositivi per T. gondii
ed in quelli sieronegativi sono stati valutati numerosi protocolli terapeutici. Nei gatti sieropositivi per T. gondii e
colpiti da uveite, si è avuto un numero più elevato di risposte in seguito al trattamento con: 1) clindamicina-HCl da
sola piuttosto che glucocorticoidi topici da soli, 2) clindamicina-HCl da sola piuttosto che qualsiasi associazione di
glucocorticoidi, 3) un’associazione di clindamicina-HCl e
qualsiasi associazione di glucocorticoidi piuttosto che i
glucocorticoidi topici da soli e 4) un’associazione di clindamicina e qualsiasi associazione di glucocorticoidi piuttosto che qualsiasi associazione di glucocorticoidi da sola. I
gatti sieropositivi per Toxoplasma gondii trattati con clindamicina-HCl con o senza glucocorticoidi avevano maggiori probabilità di mostrare una risposta positiva alla terapia rispetto a quelli trattati con glucocorticoidi senza clindamicina-HCl. Nel complesso, la percentuale di risposta
positiva al trattamento nei gatti sieropositivi per T. gondii
(60,6%) è risultata simile a quella dei soggetti sieronegativi per T. gondii (75%). Utilizzando soltanto i glucocorticoidi topici, i gatti sieronegativi per T. gondii avevano
maggiori probabilità di mostrare una risposta positiva rispetto a quelli sieropositivi. La clindamicina è stata utilizzata per il trattamento di 15 gatti con valori C T. gondiispecifici >1; 13 gatti hanno mostrato un miglioramento clinico indipendente dalla risposta dei glucocorticoidi. Questi
risultati terapeutici ci hanno portato a suggerire di somministrare i farmaci anti-Toxoplasma a tutti i gatti sieropositivi per T. gondii che presentano uveite, in particolare se si è
osservata una scarsa risposta ai glucocorticoidi topici. Nella maggior parte dei casi è stato suggerito l’uso della clindamicina cloridrato alla dose di 12 mg/kg PO BID per 4
settimane o di trimethoprim-sulfamidici alla dose di 15
mg/kg PO BID per 4 settimane. Nessuno di questi due antibiotici è in grado di eliminare il microrganismo dal corpo
dell’animale, per cui si possono avere delle recidive. Inoltre, è necessario tenere presente che non esiste alcun test
da condurre sul siero o sull’umore acqueo che dimostri in
NOTE
221
NOTE
modo definitivo la toxoplasmosi clinica e, quindi, che non
tutti i gatti rispondono ai farmaci anti-Toxoplasma.
L’associazione di doxiciclina alla dose di 5 mg/kg, PO,
BID per 21 giorni con i glucocorticoidi topici ha risolto
con successo l’uveite da bartonellosi in un gatto. La doxiciclina può anche essere efficace per il trattamento della
toxoplasmosi oculare.
Attualmente, si ignora se i gatti con uveite ed infezioni
da herpesvirus-1 debbano essere trattati con una terapia
primaria.
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Malattie batteriche e parassitarie
come causa di patologie gastrointestinali
Feline bacterial and parasitic diseases as
infectious causes of feline gastrointestinal disease
Sabato, 29 settembre 2001, ore 10.15
225
NOTE
226
Problema clinico. Il vomito è l’eiezione forzata del
contenuto dello stomaco e del tratto prossimale del duodeno attraverso la bocca. Può essere indotto da stimolazioni vestibolari, vagali, della zona chemiorecettoriale
scatenante o del centro del vomito. Il rigurgito è l’espulsione passiva del cibo o dei fluidi attraverso cavità orale,
faringea o esofago. La diarrea è una condizione caratterizzata da aumento della frequenza delle defecazioni, del
contenuto di fluidi delle feci o del loro volume. Un marcato incremento della frequenza delle defecazioni, la riduzione del volume delle feci, il tenesmo, l’urgenza,
l’ematochezia e il muco sono compatibili con una diarrea
del grosso intestino. Un lieve aumento della frequenza
delle defecazioni, un volume elevato, melena, steatorrea e
segni clinici polisistemici sono più compatibili con quella
del piccolo intestino. La diarrea di tipo misto è una combinazione delle caratteristiche o dei segni clinici appena
descritti.
I segni clinici primari associati alle cause infettive di
malattia del tratto gastroenterico vengono indicati con le
seguenti abbreviazioni: P = piccolo intestino; M = di tipo
misto (piccolo e grosso intestino); G = grosso intestino; V
= vomito. Ognuno dei seguenti agenti che inducono la
diarrea è potenzialmente in grado di provocare anche il
vomito. I batteri primariamente associati alle affezioni del
tratto gastroenterico del gatto sono rappresentati da Salmonella spp. (P, M, G), Campylobacter jejuni (M, G),
Clostridium perfringens (G, raro), Helicobacter spp. (V),
sindromi di proliferazione batterica (P), peritonite batterica (P) e colangioepatite batterica (P). Gli agenti virali primari comprendono i coronavirus felini (P), il virus della
leucemia felina (FeLV; V, P, M, G), quello dell’immunodeficienza felina (FIV; V, P, M, G) e quello della panleucopenia felina (V solo frequentemente, P). I principali elminti sono Ancylostoma/Uncinaria (P, M), Strongiloides
cati (P, M, raro), Dirofilaria immitis (V), Toxocara cati
(V), Toxascaris leonina (V), Ollulanus tricuspis (V) e
Physaloptera spp. (V). I protozoi enterici sono rappresentati da Giardia spp. (P, M), Cystoisospora spp. (Isospora;
M, G), Cryptosporidium spp. (P, M), Entamoeba histolytica (G, raro) e Pentatrichomonas hominis (G, raro). I cestodi Taenia, Dipylidium ed Echinococcus causano generalmente un’infestazione subclinica. Il principale agente
micotico associato alle affezioni gastroenteriche del gatto
è Histoplasma capsulatum (G).
PROCEDURE DIAGNOSTICHE
NOTE
Le seguenti procedure vengono utilizzate per la diagnosi delle malattie infettive ed infestive del tratto gastroenterico del gatto.
Striscio diretto. Le feci liquide o quelle che contengono abbondanti quantità di muco vanno esaminate immediatamente al microscopio, per rilevare la presenza di trofozoiti protozoari, come quelli di Giardia spp., Pentatrichomonas hominis ed Entamoeba histolytica. È possibile allestire uno striscio diretto con soluzione fisiologica per favorire l’osservazione di questi microrganismi mobili. La
quantità di feci necessaria a coprire la capocchia di un
fiammifero viene miscelata accuratamente ad una goccia
di soluzione di NaCl allo 0,9%. Dopo aver applicato un vetrino coprioggetto, si esamina lo striscio alla ricerca di microrganismi mobili utilizzando un ingrandimento di 100 X.
Striscio colorato. Si deve allestire un sottile striscio fecale in tutti i gatti che presentano diarrea del piccolo o
grosso intestino. Se possibile, il materiale da utilizzare va
prelevato mediante tampone rettale, per aumentare le probabilità di riscontrare i leucociti. Si introduce delicatamente un tampone di cotone per 3-4 cm attraverso l’ano fino
nel tratto terminale del retto, dirigendolo verso la parete
del viscere e facendolo delicatamente ruotare più volte.
L’applicazione di una goccia di soluzione fisiologica sul
tampone di cotone ne facilita l’introduzione, ma non influisce negativamente sulla morfologia cellulare. Il tampone viene quindi fatto delicatamente rotolare più volte su un
vetrino da microscopio in modo da ottenere aree di spessore variabile. Dopo essere stato lasciato asciugare all’aria, il
preparato può essere colorato. Utilizzando il metodo DiffQuick o quello di Wright-Giemsa è possibile visualizzare
leucociti e batteri morfologicamente compatibili con
Campylobacter jejuni o Clostridium perfringens. Nel citoplasma degli elementi mononucleari si possono osservare
Histoplasma capsulatum o Prototheca. Il blu di metilene in
tampone acetato (pH 3,6) colora i trofozoiti dei protozoi
enterici. Per la dimostrazione di questi ultimi si utilizzano
anche i coloranti allo iodio e il verde di metile acido. Nei
gatti con diarrea si deve effettuare la colorazione degli strisci fecali mediante tecniche acidoresistenti o con anticorpi
monoclonali, per effettuare la diagnosi di criptosporidiosi.
Cryptosporidium parvum è l’unico microrganismo enterico
che misuri approssimativamente 4-6 µ di diametro e che si
227
NOTE
228
colori di rosa o rosso con le tecniche acidoresistenti. La
presenza di neutrofili all’esame citologico rettale può suggerire un’infiammazione indotta da Salmonella spp.,
Campylobacter jejuni o Clostridium perfringens; in questi
casi è indicata la coprocoltura. Nei gatti con forme bastoncellari sporigene morfologicamente compatibili con C.
perfringens si deve prendere in considerazione la misurazione dell’enterotossina fecale.
Esame delle feci per flottazione. Le cisti, oocisti e uova presenti nelle feci possono essere concentrate per aumentare la sensibilità dei metodi di rilevamento. La maggior parte delle uova, delle oocisti e delle cisti viene facilmente identificata mediante flottazione per centrifugazione
in solfato di zinco. Questa procedura viene considerata da
molti autori quella ottimale per la dimostrazione delle cisti
protozoarie, in particolare di Giardia spp., e quindi rappresenta una buona scelta come tecnica di esame di routine
nella pratica professionale. Per la ricerca abituale dei parassiti si può impiegare anche la centrifugazione in zucchero, che può essere superiore a molte altre tecniche per la
dimostrazione delle oocisti di Toxoplasma gondii e Cryptosporidium parvum. Quelle di Giardia vengono distorte
da questa metodica, ma restano comunque facilmente identificabili. L’esame del sedimento fecale permette di riscontrare la maggior parte delle cisti e delle uova, ma contiene
anche detriti. Questa tecnica è superiore a quelle per flottazione per la dimostrazione delle uova dei distomi.
Esami colturali. Nella clinica dei piccoli animali è occasionalmente indicata la coprocoltura per Salmonella
spp., Campylobacter spp. e Clostridium perfringens. Per
ottenere risultati ottimali, si devono inviare immediatamente al laboratorio circa due-tre grammi di feci fresche;
tuttavia, Salmonella e Campylobacter sono di solito vitali
per 3-7 giorni nei campioni fecali refrigerati. Il laboratorio
dovrebbe essere informato della sospetta presenza di microrganismi patogeni, in modo da poter utilizzare terreni di
coltura appropriati.
Tecniche immunologiche. Sono disponibili tecniche
per la ricerca nelle feci degli antigeni di Parvovirus, Cryptosporidium parvum e Giardia spp. Il test per la ricerca degli antigeni di Parvovirus nel cane sembra in grado di individuare anche quelli del gatto. Attualmente, sono disponibili test ELISA per la ricerca delle feci nei piccoli animali
di C. parvum e Giardia spp., caratterizzati da sensibilità e
specificità minime. Quando vengono impiegate, queste
metodiche forniscono risultati che devono essere interpretati alla luce degli esiti degli esami coprologici. L’immunofluorescenza per l’identificazione delle oocisti di C. parvum è stata validata per l’impiego nelle feci nel gatto; questo test è attualmente disponibile presso gli ospedali umani. Nel siero dei felini è possibile effettuare la misurazione
dei livelli degli anticorpi anti-D. immitis, ma la positività
del test non dimostra un’infestazione in atto o una malattia
indotta da questo parassita. FeLV può essere causa di
linfoma o induce una sindrome simil-panleucopenica. FIV
è stato associato al linfoma e può causare enterite. Il riscontro degli anticorpi anti-FIV o degli antigeni di FeLV
nel siero dimostra l’avvenuta esposizione, ma non che la
malattia clinica è dovuta al virus. L’unico modo per documentare che i segni gastroenterici sono dovuti a FeLV o
FIV è quello di escludere altre cause note.
Microscopia elettronica. La microscopia elettronica
può essere utilizzata per rilevare le particelle virali nelle
feci dei gatti con segni gastroenterici di malattia. Si devono
inviare al laboratorio circa 1-3 g di feci senza fissativo, utilizzando un corriere che assicuri una consegna in giornata,
oppure confezioni refrigerate.
Endoscopia o laparotomia esplorativa. Ollulanus e
Physaloptera eliminano raramente le uova nelle feci, per
cui vengono frequentemente diagnosticati solo mediante
endoscopia. La diagnosi delle affezioni infiammatorie diffuse può essere formulata attraverso l’esame di campioni
tissutali prelevati endoscopicamente o chirurgicamente. Le
biopsie ottenute per endoscopia sono piccole. Se possibile,
l’autore generalmente ne preleva almeno 8-10 da stomaco,
duodeno, colon ed ileo. Anche se è presente una lesione, le
biopsie ottenute endoscopicamente possono essere falsamente negative, perché devono essere a tutto spessore.
Quelle gastriche devono essere poste in provette con un
terreno di coltura a becco di clarino contenente urea per
valutare l’ureasi che si trova nella parete cellulare di Helicobacter spp. L’associazione con l’infiammazione, l’esclusione di altre cause di flogosi, la presenza di batteri gastrici
spiraliformi e la positività del test dell’ureasi possono servire per formulare un sospetto diagnostico di elicobatteriosi gastrica. L’esecuzione di aspirati duodenali per le colture
batteriche quantitative o la valutazione dei trofozoiti di
Giardia nel gatto non comporta alcun vantaggio; in questa
specie animale il normale conteggio batterico varia entro
limiti molto ampi e Giardia si trova nel tratto distale del
NOTE
229
NOTE
piccolo intestino. La presenza di un’enterite regionale dovuta a peritonite infettiva felina può essere confermata dalla dimostrazione dell’agente eziologico nei tessuti dopo
colorazione immunoistochimica.
OPZIONI TERAPEUTICHE
Esistono molteplici farmaci utilizzati per il trattamento
delle infezioni/infestazioni del tratto gastroenterico. Nella
Tabella 1 sono riassunti i dosaggi e le indicazioni di alcuni
di quelli più comuni.
Pyrantel pamoato, fenbendazolo e febantel risultano di
solito efficaci per il trattamento degli elminti che causano
affezioni del tratto gastroenterico; Physaloptera può rispondere meglio al pyrantel. I cestodi vengono di solito
eliminati dal praziquantel; il fenbendazolo è efficace per
Taenia spp. Dal momento che Echinococcus multilocularis può rappresentare una zoonosi significativa, è necessario trattare frequentemente i gatti che cacciano nelle aree
endemiche.
Alcuni ceppi di Giardia, Cryptosporidium, Entamoeba
e Pentatrichomonas sono agenti di zoonosi; il rischio di
trasmissione all’uomo di Entamoeba da parte del gatto è
minimo, perché è improbabile la formazione di cisti. Entamoeba, Giardia e Pentatrichomonas rispondono generalmente al metronidazolo (Tabella 1). Questa è la dose massima di farmaco da utilizzare. Il fenbendazolo ha probabilmente il principio attivo più efficace e sicuro contro Giardia attualmente disponibile nel gatto. L’albendazolo ha
maggiori probabilità di causare effetti collaterali ematologici. È stato immesso sul mercato un vaccino anti-Giardia
spp. destinato all’impiego nel gatto. Quando viene somministrato per due volte, questo prodotto riduce il numero di
cisti eliminate ed attenua la malattia clinica conseguente
all’infestazione sperimentale. Sfortunatamente, si tratta di
un vaccino con adiuvante e destinato all’iniezione sottocutanea, che potrebbe in futuro risultare associato a fibrosarcomi. Dal momento che la malattia di solito non è potenzialmente letale e la risposta alla terapia è almeno del 90%,
l’impiego di routine nei gatti di proprietà sembra essere
non necessario. Resta da dimostrare definitivamente se la
vaccinazione sia efficace come terapia.
La somministrazione in sequenza di clindamicina seguita da tilosina ha bloccato l’eliminazione delle oocisti ed
230
Tabella 1
Farmaci utilizzati nel trattamento delle malattie infettive
del tratto gastroenterico del gatto
Farmaco
Dosaggio comune
Principali
microrganismi
Albendazolo
25 mg/kg, ogni 12 ore,
per 2-5 giorni, PO
60-100 mg/die dose totale,
per 7 giorni
22 mg/kg/die, per 5 giorni,
PO
Elminti, Giardia
Amprolium
Amossicillina
Ampicillina
22 mg/kg, ogni 8 ore,
per 3-7 giorni, IV
Azitromicina
7-15 mg/kg, ogni 12 ore,
per 5-7 giorni, PO
Cefazolina
22 mg/kg, ogni 8 ore,
per 3-7 giorni, IV
Cefalessina
10-30 mg/kg, ogni 8-12 ore,
per 3-6 settimane, PO
Claritromicina 5-10 mg/kg, ogni 12 ore,
per 7 giorni, PO
Clindamicina 12,5 mg/kg, ogni 12 ore,
per 28 giorni, PO, IM
Doxiciclina
5-10 mg/kg, ogni 12-24 ore,
per 4 settimane, PO
Eritromicina
15-25 mg/kg, ogni 12 ore,
per 7-10 giorni, PO
Enrofloxacin
5-15 mg/kg, ogni 8-12 ore,
per 3-7 giorni, IV, IM
Fabantel/
<6 mesi, 15 mg/kg (F) +
praziquantel
1,5 mg/kg (P), al giorno
per 3 giorni
<6 mesi, 10 mg/kg (F) +
1,0 mg/kg (P), al giorno
per 3 giorni
Fenbendazolo 50 mg/kg, ogni 24 ore,
per 3-7 giorni, PO
NOTE
Cystoisospora spp.
C. perfringens,
proliferazione
batterica,
Salmonella
Sepsi anaerobica
C. parvum, T.
gondii
Gram positivi e
sepsi anaerobica
Colangioepatite
batterica
T. gondii,
Helicobacter spp.
T. gondii
T. gondii,
E. histolytica
C. jejuni
Sepsi da
Gram-negativi
Elminti, cestodi
Elminti, cestodi
Elminti, Giardia,
Taenia spp.
segue →
231
NOTE
Tabella 1 - seguito
Furazolidone
4 mg/kg, ogni 12 ore,
per 7 giorni, PO
8-20 mg/kg, ogni 24 ore,
per 7 giorni, PO
Itraconazolo
5-10 mg/kg, ogni 12 ore,
per settimane, PO
Metronidazolo 10-25 mg/kg, ogni 12 ore,
per 8 giorni, PO
Giardia
Cystoisospora spp.
Histoplasma
capsulatum
Giardia, E.
histolytica, P.
hominis,
proliferazione
batterica, C.
perfringens
Neomicina
10-15 mg/kg, ogni 6-24 ore, Encefalopatia
per <14 giorni, PO
epatica
Paromomicina 125-165 mg/kg,
C. parvum,
ogni 12 ore, per 5 giorni,
Giardia,
PO
Pentotrichomonas,
E. histolytica,
Salmonella
Praziquantel
< 1,8 kg, 6,3 mg/kg,
Cestodi
una volta, PO
> 1,8 kg, 5,0 mg/kg,
Cestodi
una volta, PO
Pyrantel
>10-20 mg/kg,
Elminti
ogni 21 giorni, PO
Cystoisospora spp.
Sulfadimetossina 50-60 mg/kg, al giorno,
per 5-20 giorni, PO
Trimethoprim/ 15 mg/kg, ogni 12 ore,
Cystoisospora spp.,
sulfamidici
per 5 giorni, PO
T. gondii
Tilosina
10-40 mg/kg, ogni 8-12 ore, Proliferazione
per 21 giorni, PO
batterica,
C. perfringens,
c. parvum
ha risolto la diarrea in un gatto con criptosporidiosi clinica
cronica. La tilosina ha apparentemente avuto successo nel
bloccare l’eliminazione delle oocisti in molti altri gatti con
diarrea. Sfortunatamente, la tilosina è molto amara e di solito deve essere somministrata al gatto in capsule; l’autore
attualmente la utilizza in questa specie animale somministrandola due volte al giorno. La paromomicina è efficace
232
per il trattamento della criptosporidiosi nel gatto ed anche
come farmaco alternativo anti-Giardia. Tuttavia, questo
aminoglicoside da somministrare per os può attraversare la
parete intestinale lesa e indurre un’insufficienza renale. La
durata del periodo di eliminazione delle oocisti di Toxoplasma gondii può essere abbreviata dalla somministrazione
di clindamicina. Isospora spp. generalmente risponde alla
sulfadimetossina o ad altri sulfamidici.
Clostridium perfringens e la proliferazione batterica generalmente rispondono al trattamento con tilosina, metronidazolo, ampicillina, amossicillina o tetracicline. Il farmaco d’elezione per la campilobatteriosi è l’eritromicina; in
alternativa si può utilizzare il cloramfenicolo. La salmonellosi va trattata soltanto per via paraenterale, a causa della
rapida resistenza che insorge in seguito alla somministrazione degli antibiotici per os. Gli agenti adatti per il trattamento della salmonellosi sono rappresentati da cloramfenicolo, trimethoprim/sulfamidici e amossicillina; sono efficaci anche i chinoloni. Le infezioni da Helicobacter spp.
nel cane vengono solitamente trattate con l’associazione di
metronidazolo e tetraciclina o amossicillina e metronidazolo. La claritromicina rappresenta una scelta logica nel
gatto, dal momento che gli animali di questa specie sono
spesso difficili da trattare con farmaci multipli. Si deve anche utilizzare un antiacido come la famotidina.
I gatti con apparente batteriemia da batteri enterici vanno trattati con antibiotici paraenterali caratterizzati da uno
spettro di azione attivo nei confronti dei microrganismi
anaerobi e Gram-negativi. L’associazione dell’enrofloxacin con una penicillina o una cefalosporina di prima generazione risulta generalmente efficace. Anche le cefalosporine di seconda generazione o l’imipenem rappresentano
una scelta appropriata.
I gatti che presentano infezioni epatiche e segni di batteriemia devono essere trattati con antibiotici ad azione
battericida nei confronti dei microrganismi Gram-positivi,
Gram-negativi ed anaerobi, come precedentemente discusso. Le infezioni epatiche non settiche generalmente rispondono ad amossicillina, cefalosporine di prima generazione
o cloramfenicolo. La riduzione numerica della flora enterica mediante somministrazione per os di penicillina, metronidazolo o neomicina può diminuire i segni clinici dell’encefalopatia epatica.
Il virus della panleucopenia, quello della leucemia felina, quello dell’immunodeficienza felina ed il coronavirus
NOTE
233
NOTE
234
sono gli agenti virali più comuni delle affezioni del tratto
gastroenterico del gatto. Queste malattie vengono trattate
con una terapia di supporto. È necessario assicurarsi di
mantenere l’idratazione, correggere l’ipoglicemia e conservare nella norma i livelli di potassio. Il ricorso ai cateteri
giugulari risulta superiore all’impiego delle vene degli arti,
dal momento che consente di effettuare il prelievo dei
campioni di sangue e di misurare la pressione venosa centrale. La somministrazione di plasma o siero (1 ml/kg) ottenuto da un gatto donatore di sangue iperimmune può essere utile per il trasferimento passivo dell’immunità. Sono
comunemente indicati gli antibiotici efficaci nei confronti
dei batteri Gram-negativi e degli anaerobi. Sono disponibili dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da parvovirus, coronavirus e virus della leucemia felina.
Histoplasma capsulatum è il più comune agente eziologico di infezione micotica del tratto gastroenterico del gatto negli Stati Uniti. Può essere efficace il trattamento con
itraconazolo.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Analisi delle più recenti linee guida
per i protocolli vaccinali nel gatto
A discussion over the most recent guidelines
for feline vaccination protocols
Sabato, 29 settembre 2001, ore 11.30
235
NOTE
236
Il modo migliore di prevenire le malattie infettive è
quello di evitare l’esposizione agli agenti eziologici. Quando ciò è impossibile, i vaccini possono ridurre le probabilità di sviluppo dell’infezione.
Protocolli vaccinali per il gatto. I gatti sani devono essere vaccinati di routine per via sottocutanea o intramuscolare contro la panleucopenia, la rinotracheite ed i calicivirus (FVRCP); si possono anche impiegare prodotti intranasali. L’autore generalmente ricorre a questi ultimi nei gattili, nei rifugi e nelle situazioni caratterizzate da epizoozie.
Dal momento che i prodotti intranasali determinano in alcuni gatti la comparsa di lievi segni clinici di malattia,
l’autore utilizza principalmente i vaccini iniettabili nella
propria struttura veterinaria per animali da compagnia. La
maggior parte dei sarcomi da vaccinazione dei tessuti molli è stata associata a prodotti immunizzanti contro l’infezione da virus della leucemia felina e contro la rabbia che
contenevano degli adiuvanti. Tuttavia, casi di sarcomi da
vaccinazione dei tessuti molli sono stati dimostrati anche
in seguito alla somministrazione di vaccini anti-FVRCP
spenti ed a virus vivo modificato. Quindi, per questi ultimi
la somministrazione per via intranasale può essere più sicura di quella iniettabile.
I prodotti a virus vivo modificato non devono essere
somministrati ad animali clinicamente malati, debilitati o
gravidi, ma devono essere preferiti a quelli spenti nei gatti
sani, dal momento che le risposte immunitarie cellulomediate risultano superiori. I gattini presentati alla visita ad un’età
inferiore a 12 settimane devono essere trattati con un vaccino anti-FVRCP vivo, modificato o inattivato con richiami
ogni 3-4 settimane fino a 12 settimane di vita. Quelli presentati dopo il raggiungimento di questa età vanno trattati con
due inoculazioni di vaccino anti-FVRCP spento a distanza
di 3-4 settimane oppure con una dose di anti-FVRCP vivo
modificato. Nel gatto, le vaccinazioni con prodotti vivi modificati non vanno utilizzate più del necessario.
Il vaccino antirabbico va somministrato per via sottocutanea o intramuscolare nell’arto posteriore destro all’età di
12 o 16 settimane, a seconda delle norme locali. È disponibile un nuovo vaccino antirabbico che utilizza come vettore il canarypox ed è caratterizzato da un’irritazione tissutale minima e, quindi, ha scarse probabilità di essere associato a sarcomi dei tessuti molli.
All’età di un anno, si effettua il richiamo dei vaccini anti-FVRCP ed antirabbico. Dopo un anno di vita, è necessa-
rio valutare il rischio di infezione da herpesvirus 1, calicivirus e panleucopenia. Nei gatti a basso rischio, i vaccini
anti-FVRCP possono essere somministrati ogni tre anni. Il
vaccino antirabbico a vettore canaypox è approvato soltanto per intervalli di somministrazione di un anno. Se si utilizzano prodotti antirabbici per i quali sia nota una durata
dell’immunità di tre anni, è necessario attenersi a questo
intervallo di somministrazione; Una vaccinazione più frequente non è necessaria ai fini dell’immunità e non fa che
aumentare il rischio di reazioni vaccinali.
I vaccini facoltativi attualmente utilizzabili nel gatto sono quelli per la prevenzione di Chlamydophyla, virus della
leucemia felina, virus della peritonite infettiva felina, Bordetella bronchiseptica, Giardia e tigna.
L’infezione da Chlamydophyla nel gatto determina generalmente solo una lieve congiuntivite, per cui la reale necessità della vaccinazione è controversa. L’uso di questo
vaccino va riservato ai gatti con un elevato rischio di esposizione ad altri felini ed a quelli che vivono nei gattili in
cui la malattia è presente in forma endemica. La durata
dell’immunità indotta dai vaccini anti-Chlamydophyla può
essere breve, per cui i gatti ad alto rischio devono essere
immunizzati prima della potenziale esposizione.
Molti gatti presentano anticorpi anti-Bordetella bronchiseptica e sono state pubblicate sporadiche segnalazioni
di gravi malattie delle basse vie respiratorie dovute a Bordetellosi nei gattini giovani. Tuttavia, dal momento che
l’importanza del problema nei gatti da compagnia non è
stata definita, la vaccinazione anti-Bordetella va presa in
considerazione principalmente nei gatti ad elevato rischio
di esposizione. Nell’arco di un periodo di 7 anni, presso il
Diagnostic Laboratory della Colorado State University, B.
bronchiseptica è stata isolata in 0 casi su 109 (0%) di colture delle vie aeree profonde ed in 4 casi su 81 (4,9%) di
colture nasali allestite con materiale prelevato da gatti di
proprietà con malattia clinicamente manifesta. Dal momento che l’affezione non sembra essere potenzialmente
letale nel gatto adulto ed è poco comune nei soggetti da
compagnia e risponde ad una gran varietà di antibiotici,
l’impiego di routine di questo vaccino nei gatti di proprietà
sembra essere non necessario.
Attualmente sono disponibili diversi vaccini per la profilassi dell’infezione da virus della leucemia felina. Date le
difficoltà di valutazione degli studi di efficacia, non è chiaro quale di essi sia quello ottimale. Questi vaccini sono po-
NOTE
237
NOTE
238
tenzialmente indicati nei gatti che vengono lasciati uscire
di casa o che risultano esposti in altro modo a conspecifici
dei quali si ignora lo status immunitario relativo a FeLV. I
vaccini sono probabilmente utili soprattutto nei gattini,
perché man mano che il gatto invecchia si sviluppa una resistenza acquisita all’infezione da FeLV che limita l’utilità
della vaccinazione. I gatti vaccinati devono essere inizialmente trattati con due inoculazioni. I prodotti con adiuvante vanno somministrati per via sottocutanea o intramuscolare nel tratto distale dell’arto posteriore sinistro, a causa
del rischio di sviluppo di sarcomi dei tessuti molli. La durata dell’immunità è sconosciuta, per cui attualmente si
suggeriscono richiami annuali. Il vaccino non è efficace
nei gatti con viremia persistente, nei quali quindi non è indicato. Tuttavia, la sua somministrazione a soggetti viremici o con infezione latente non ha determinato un aumento
del rischio di reazioni vaccinali. Prima della vaccinazione
si deve effettuare il FeLV test, perché è necessario conoscere lo status sierologico nei confronti dei retrovirus di
tutti i gatti, in modo da poter mantenere condizioni di allevamento appropriate.
Attualmente è disponibile un vaccino intranasale anticoronavirus in grado di proteggere alcuni gatti dallo sviluppo dell’infezione da virus della peritonite infettiva felina. Il vaccino sembra essere relativamente sicuro. Nei gatti
da compagnia, la sieroprevalenza dell’infezione da coronavirus è approssimativamente del 20-70%, ma l’incidenza
della malattia da infezione da virus della peritonite infettiva felina è solo di 1 su 5000 nuclei familiari in cui vive un
solo gatto. Dato che l’incidenza della malattia è bassa, i
gatti vengono comunemente esposti ai coronavirus prima
che venga effettuato il trattamento immunizzante, l’immunità è breve e l’efficacia è inferiore al 100%, la vaccinazione anticoronavirus viene attualmente considerata facoltativa nei felini da compagnia. Il vaccino è indicato nei soggetti sieronegativi che devono essere introdotti in un nucleo familiare o un gattile in cui è nota la presenza dell’infezione da FIP. L’efficacia di questo vaccino non è stata dimostrata nei gatti con positività sierologica per i coronavirus. Per molti soggetti, l’esposizione ai coronavirus si è verificata entro le 16 settimane di età e, quindi, nei casi in cui
viene utilizzato, il vaccino può essere più efficace fra l’8° e
la 12° settimana di vita.
È stato immesso in commercio per l’impiego nel gatto
anche un vaccino anti-Giardia spp. Quando viene sommi-
nistrato per due volte, riduce il numero di cisti eliminate e
diminuisce la malattia clinicamente manifesta in seguito ad
infezione sperimentale con un ceppo eterologo. Anche se
la compagnia produttrice non ha segnalato il riscontro di
effetti collaterali significativi negli studi preliminari, il
vaccino è caratterizzato da un adiuvante e viene somministrato per via sottocutanea, per cui potrebbe in ultima analisi risultare associato a fibrosarcomi. Dal momento che la
malattia non è di solito potenzialmente letale e che la risposta alla terapia è almeno del 90%, l’impiego di routine
nei gatti di proprietà sembra essere non necessario. Il vaccino può essere utile a scopo terapeutico nei gatti con infestazione ricorrente o persistente.
Nel gatto, è disponibile un vaccino inattivato contro la
tigna. Questo prodotto è indicato per il trattamento della
malattia in alcune situazioni, ma non a scopo profilattico.
Dal momento che è caratterizzato dalla presenza di un adiuvante, in alcuni casi si osserva la formazione di granulomi.
NOTE
239
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Michael Lappin
DVM, PhD, Dipl ACVIM
Department of Clinical Sciences
College of Veterinary Medicine
and Biomedical Sciences
Colorado State University
Fort Collins, USA
Malattie infettive rare e/o emergenti
nel gatto
Emerging/rare infectious diseases in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 12.15
241
NOTE
ERLICHIOSI FELINA
I gatti con infezione sperimentale da E. risticii sviluppano morule negli elementi mononucleati e, occasionalmente, mostrano segni clinici di malattia quali febbre, depressione, linfoadenopatia, anoressia e diarrea. I soggetti
sperimentalmente infettati con E. equi hanno sviluppato
morule nei neutrofili e negli eosinofili, ma non negli elementi mononucleati.
A partire da gatti esposti naturalmente all’infezione, è
stato possibile amplificare il DNA di Ehrlichia canis ed un
DNA geneticamente identico a quello di Erlichia granulocitaria del cavallo, del cane e dell’uomo in Svezia. Morule
Erlichia-simili sono state riscontrate negli elementi mononucleari o nei neutrofili di gatti esposti naturalmente all’infezione negli Stati Uniti, in Kenia, in Brasile, in Francia, in
Svezia ed in Thainlandia. Inoltre, è stata formulata la diagnosi clinica sulla base dell’associazione di positività sierologiche per E. canis o E. risticii, riscontri clinici o di laboratorio compatibili con l’infezione da erlichie, esclusione di altre cause e risposte ad un farmaco anti-rickettsie.
Attualmente, nella letteratura mondiale sono stati pubblicati più di 50 casi sospetti o dimostrati di erlichiosi felina.
Si ignora come i gatti esposti naturalmente all’infezione e
clinicamente malati descritti nella letteratura abbiano contratto l’infezione. Nel 30% circa dei casi è stata segnalata
un’esposizione agli artropodi. La patogenesi della malattia
associata all’erlichiosi nei felini è sconosciuta.
La maggior parte dei gatti per i quali è stata indicata l’età
aveva più di due anni di vita; di norma, i soggetti colpiti erano rappresentati da felini domestici a pelo corto ed erano interessati sia i maschi che le femmine. Le anomalie anamnestiche e cliniche più comunemente osservate erano rappresentate da anoressia, febbre, inappetenza, letargia, perdita di
peso, iperestesia o dolore articolare, pallore delle mucose,
splenomegalia, dispnea e linfoadenomegalia. Solo raramente
sono state descritte malattie concomitanti, che però comprendevano l’infezione da H. felis ed il linfosarcoma.
L’anemia è un’anomalia di laboratorio di comune riscontro e solitamente è di tipo non rigenerativo. In alcuni
gatti sono stati segnalate leucopenia e leucocitosi, caratterizzata da neutrofilia, linfocitosi, monocitosi e trombocitopenia intermittente. L’iperglobulinemia è stata descritta in
11 gatti; nel soggetto in cui è stata effettuata, l’elettroforesi
delle proteine ha documentato una gammopatia policlona-
242
le. Tuttavia, è stata formulata una correlazione epidemiologica fra la presenza di anticorpi anti-Erlichia spp. nel siero
e la gammopatia monoclonale.
Alcuni gatti con sospetta erlichiosi clinica presentano
anticorpi anti-E. canis ed E. risticii ed alcuni mostrano anticorpi soltanto anti-E. risticii o soltanto anti-E. canis. Con
il metodo western blot è stato possibile confermare alcuni
risultati positivi per E. risticii. I test sierologici danno esito
positivo sia nei gatti sani che in quelli clinicamente malati,
per cui la diagnosi di erlichiosi clinica non va basata unicamente su questo tipo di esami. Il sospetto diagnostico di
erlichiosi felina clinicamente manifesta può essere formulato alla luce della contemporanea presenza di test sierologici positivi, segni clinici di malattia compatibili con infezione da Erlichia, esclusione di altre cause del quadro clinico riscontrato e risposta ai farmaci anti-rickettsie. Erlichia spp. è stato isolato in coltura da alcuni gatti sottoposti
a colture degli elementi monocitari. Per la conferma
dell’infezione si possono impiegare anche la reazione a catena della polimerasi e la determinazione della sequenza
dei geni.
Nella maggior parte dei gatti è stato descritto un miglioramento clinico in seguito a terapia con tetraciclina,
doxiciclina o imidocarb dipropionato. Tuttavia, per alcuni
gatti la risposta positiva al trattamento è stata una dei criteri per la formulazione della diagnosi di erlichiosi.
Attualmente, non sono noti rischi diretti per la salute
pubblica associati all’infezione da Erlichia spp. nel gatto.
Tuttavia, dal momento che alcune specie di Erlichia danno
origine a infezioni crociate, è possibile che i felini rappresentino un serbatoio per le specie che infettano l’uomo. Il
ceppo granulocitario dimostrato nel gatto era geneticamente identico a quello che colpisce i pazienti umani. Quindi,
sembra prudente suggerire il controllo degli artropodi nel
gatto.
NOTE
HAEMOBARTONELLA FELIS
Haemobartonella felis è un parassita epicellulare,
Gram-negativo, degli eritrociti dei felini. Il microrganismo
era classificato nella famiglia Anaplasmataceae, ma recentemente è stato dimostrato che è più strettamente correlato
ai micoplasmi. Haemobartonella felis è specie-specifica e
non può sopravvivere all’esterno dell’ospite. Sino ad oggi,
243
NOTE
244
tutti i tentativi di coltura del microrganismo sono falliti.
Tuttavia, sulla base della caratterizzazione morfologica e
genetica, si può affermare che esistono almeno due varianti. Quella piccola è stata indicata come ceppo California
(Hfsm) mentre quella grande è indicata come ceppo Ohio
(Hflg). Sono stati identificati casi di coinfezione in gatti
esposti naturalmente ai microrganismi, ma al momento attuale mancano informazioni relative alla coinfezione in
gatti sottoposti all’inoculazione sperimentale.
Haemobartonella felis è stata trasmessa sperimentalmente mediante inoculazione endovenosa, intraperitoneale
ed orale di sangue. Sembra probabile che gli artropodi
ematofagi come le pulci e le zecche possano trasmettere la
malattia. Le gatte clinicamente malate possono infettare i
gattini; non è stato stabilito se la trasmissione avvenga in
utero, durante il parto o nel corso dell’allattamento. È stata
ipotizzata anche la trasmissione attraverso il morso. La distruzione degli eritrociti è dovuta primariamente ad eventi
immunomediati; il danneggiamento diretto dei globuli rossi indotto dal microrganismo è minimo. La fissazione del
microrganismo agli eritrociti conduce comunemente allo
sviluppo di anticorpi specifici per il microrganismo e per
gli antigeni eritrocitari. Il test di Coombs risulta frequentemente positivo. La maggior parte degli eritrociti infetti viene rimossa dal sistema reticoloendoteliale del fegato, dei
polmoni, della milza e del midollo osseo. A livello della
milza, il microrganismo viene strappato dalla superficie di
alcuni eritrociti infetti, la cui vita risulta così abbreviata. In
almeno due studi su gatti con infezione sperimentale, il
ceppo Hflg è risultato apparentemente più patogeno di
quello Hfsm; tutti i gatti sottoposti ad inoculazione di Hflg
hanno sviluppato una malattia clinicamente manifesta,
mentre quelli trattati con Hfsm hanno mostrato un’infezione subclinica.
Nei gatti esposti naturalmente all’infezione, la malattia
clinicamente manifesta si è avuta nei soggetti immunocompetenti o immunosoppressi. I segni clinici della malattia dipendono dal grado dell’anemia, dallo stadio dell’infezione e dallo status immunitario dei gatti infettati. I segni
clinici e le anomalie riscontrate in associazione con l’anemia sono estremamente comuni e comprendono pallore
delle mucose, depressione, inappetenza debolezza e, occasionalmente, ittero e splenomegalia. In alcuni gatti con infezione acuta si riscontra febbre, che può essere intermittente nei soggetti con infezione cronica. Possono essere
presenti segni di malattie coesistenti. Nei gatti con infezione cronica è comune la perdita di peso. Questi animali possono presentare un’infezione subclinica solo per mostrare
delle recidive della malattia clinicamente manifesta in seguito a periodi di stress. In gatti sottoposti ad inoculazione
sperimentale con il ceppo Hflg, sono stati riscontrati segni
clinici significativi compatibili con lo sviluppo dell’anemia, che si rendevano maggiormente evidenti a distanza di
circa tre settimane dall’inoculazione.
L’anemia associata all’emobartonellosi è generalmente
macrocitica normocromica, ma può essere macrocitica ipocromica in caso di coinfezioni che conducono ad un’infiammazione cronica. Nell’emobartonellosi, l’anemia cronica non rigenerativa è inusuale. In alcuni gatti con infezione da H. felis sono state segnalate neutrofilia e monocitosi. La diagnosi si basa sulla dimostrazione del microrganismo sulla superficie degli eritrociti mediante esame di un
sottile striscio ematico o con la reazione a catena della polimerasi (PCR). Il numero dei microrganismi presenti è caratterizzato da fluttuazioni, per cui l’esame degli strisci
ematici può risultare falsamente negativo in una percentuale di casi che può arrivare al 50%. Il microrganismo può
essere difficile da riscontrare citologicamente, in particolare nella fase cronica. Quindi, la PCR rappresenta il test
d’elezione per la sua sensibilità. Sono disponibili dei primer che rilevano un segmento del gene 16S dell’rRNA comune ad entrambe le sequenze dei ceppi di H. felis.
Dal momento che l’emobartonellosi e l’anemia emolitica autoimmune primaria sono difficili da differenziare, i
gatti con grave anemia emolitica rigenerativa vanno trattati
con glucocorticoidi ed antibiotici. In passato, si suggeriva
comunemente la somministrazione di ossitetraciclina alla
dose di 22 mg/kg PO ogni 8 ore. Tuttavia, è probabilmente
preferibile la doxiciclina, che è caratterizzata nel gatto da
minori effetti collaterali rispetto alle altre tetracicline. Va
somministrata alla dose di 5-10 mg/kg PO ogni 12-24 ore
per 14-21 giorni. Se risulta evidente un’autoagglutinazione, di solito si prescrive il prednisolone alla dose di 1
mg/kg PO ogni 12 ore per i primi 7 giorni o fino a che non
risulta più evidente l’autoagglutinazione. Le tetracicline
utilizzate sino ad oggi sembrano ridurre la parassitemia ed
i segni clinici della malattia, ma probabilmente non assicurano l’eliminazione del microrganismo dal corpo dell’animale. I gatti sperimentalmente infetti trattati con doxiciclina hanno mostrato una risposta clinica (Foley JE et al.,
NOTE
245
NOTE
1998), ma il microrganismo poteva ancora essere individuato mediante PCR quando gli animali erano trattati con
metilprednisolone acetato (Berent LM et al., 1998). Nei
gatti intolleranti alle tetracicline, si devono prendere in
considerazione i chinoloni. L’efficacia di questi ultimi è
per la maggior parte sconosciuta. Tuttavia, l’enrofloxacin
somministrato alla dose di 5 mg/kg PO ogni 24 ore o di 10
mg/kg PO ogni 24 ore risulta tollerato dai gatti e può essere efficace per il controllo dei segni clinici sulla base delle
limitate esperienze cliniche disponibili. Nei casi in cui risultano clinicamente indicate, si devono utilizzare le trasfusioni di sangue.
La prognosi è generalmente buona per i gatti immunocompetenti. Si deve ottenere il controllo dei potenziali artropodi vettori. I gatti devono essere tenuti in casa, per evitare il contatto con i vettori ed i combattimenti con i conspecifici. I felini utilizzati come donatori di sangue all’interno delle strutture veterinarie devono essere sottoposti a
screening per identificare l’infezione da H. felis mediante
reazione a catena della polimerasi.
Bibliografia disponibile a richiesta.
246
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Antonio Mollo
Med Vet
Facoltà di Veterinaria
Univesità di Padova
Controllo del ciclo estrale della gatta
Control of the oestrus cycle in the queen
Domenica, 30 settembre 2001, ore 14.30
247
NOTE
La specie felina è, tra quelle da compagnia, quella di
cui più frequentemente il veterinario si occupa di controllare la riproduzione. Questo sia in virtù della grande diffusione del gatto come animale da compagnia, sia per il
comportamento sessuale particolarmente “molesto” che induce anche i proprietari più riluttanti ad optare per il controllo della riproduzione.
Inoltre, anche se in misura ancora ridotta, l’allevamento
e la selezione hanno portato alla creazione di soggetti particolarmente pregiati, per i quali può essere economicamente vantaggioso applicare tecniche di controllo della riproduzione allo scopo di ottenere più cucciolate e nei tempi desiderati.
Con il termine “controllo” comprendiamo quindi l’insieme degli interventi che possiamo mettere in atto per influenzare il normale ritmo riproduttivo della specie felina.
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche possiamo
intervenire sulla ciclicità della gatta in diversi modi.
Induzione, sincronizzazione e soppressione del ciclo
estrale, anticipo o ritardo dell’ovulazione, prolungamento
o abbreviazione della fase luteinica. In questa nota riassumeremo brevemente le conoscenze sul ciclo riproduttivo
felino ed esamineremo le più comuni tecniche, non chirurgiche, di controllo della riproduzione.
IL CICLO ESTRALE
La pubertà nella gatta viene in genere raggiunta tra i
4 ed i 12 mesi, a patto che il fotoperiodo sia crescente e
che il soggetto abbia raggiunto uno sviluppo corporeo
adeguato.Ci sono importanti differenze di razza, ad
esempio le razze orientali sono più precoci mentre quelle
nordiche ed a pelo lungo sono più tardive. La ciclicità è
di tipo poliestrale stagionale, normalmente dall’inizio
dell’inverno alla fine dell’estate nei soggetti che vivono
all’aperto, mentre in quelli che vivono in casa si può
avere una perdita della stagionalità ed il manifestarsi di
attività sessuale per tutto l’anno. La razza rappresenta
una variabile importante anche in questo caso, infatti, a
fronte delle razze a pelo lungo che possono manifestare
il ciclo anche solo una o due volte l’anno, con un estro
della durata di pochi giorni, nelle razze orientali l’estro
può durare dieci o più giorni con un intervallo interestrale di una sola settimana.
248
Il ciclo della gatta può essere suddiviso in:
• proestro, estro, diestro, anestro
oppure in:
• proestro, estro, postestro,
a seconda che sia avvenuta o meno l’ovulazione.
Il proestro ha una durata molto breve, a volte poche ore e
quindi non è facilmente rilevabile; gli stessi comportamenti
che lo segnalano (vocalizzazioni, strofinarsi contro oggetti, insolita socievolezza) crescono di intensità con l’approssimarsi
dell’estro. Durante l’estro si ha l’accettazione del maschio,
con la tipica posizione accucciata sugli arti anteriori, gli arti
posteriori dietro di sé, la coda deviata e la caratteristica lordosi. L’ovulazione in questa specie è indotta dal coito: attraverso
uno stimolo recepito a livello vaginale l’ipotalamo rilascia
GnRH che a sua volta stimola il rilascio di LH da parte
dell’ipofisi. Questo processo può essere influenzato da diverse
variabili, ad esempio il numero di accoppiamenti si è dimostrato importante: per fornire uno stimolo adeguato sono necessarie monte ripetute che avvengano in un ridotto periodo di
tempo. Anche il giorno dell’estro ha mostrato una rilevanza,
gli estrogeni sono ritenuti importanti nel “preparare” il rilascio
di LH ed i soggetti nelle primissime fasi dell’estro potrebbero
non essere sufficientemente preparati. Ci sono inoltre delle variazioni soggettive nella sensibilità ed il rilievo di ovulazioni
spontanee non è evenienza rara. L’ovulazione, normalmente,
avviene 24 - 36 ore dopo l’accoppiamento, sono necessari 4
giorni per la discesa nell’ovidutto e l’impianto avviene 2 settimane dopo l’accoppiamento. Quando al termine dell’estro
l’ovulazione non è avvenuta si parla di postestro o di interestro. Nei soggetti che hanno ovulato si ha uno sviluppo dei
corpi lutei e l’instaurarsi di un normale diestro la cui lunghezza può andare dai 35-40 giorni nei soggetti non gravidi ai 6065 giorni nei soggetti in gravidanza. In seguito alla luteolisi la
ciclicità riprende in 7- 10 giorni, anche se l’allattamento può
ritardare la ripresa della ciclicità sino a due o tre settimane dopo lo svezzamento. I fattori coinvolti nel controllo della durata
del corpo luteo non sono del tutto chiariti, anche il ruolo delle
prostaglandine è ancora da chiarire nel dettaglio.
NOTE
SOPPRESSIONE O POSPOSIZIONE
DELL’ESTRO
I farmaci impiegati a questo scopo sono i progestinici, i
quali possiedono un’azione inibitoria sull’asse ipotalamo 249
NOTE
250
ipofisi - ovaio che causa un blocco della produzione e/o
del rilascio del GnRH. Queste molecole inoltre hanno un
azione stimolante sull’epitelio uterino, sulle ghiandole endometriali, e sulla ghiandola mammaria.
Sono stati studiati gli effetti di diverse molecole impiegate a scopo sperimentale e/o clinico, attualmente i farmaci disponibili in Italia per l’impiego nel gatto sono a base
di:
– Medrossiprogesterone acetato.
– Megestrolo acetato.
– Proligestone.
Altre molecole disponibili in commercio in altri paesi
europei sono:
– Clormadinone acetato.
– Delmadinone acetato.
– Noretisterone acetato
ed alcune di queste sono presenti sul mercato italiano in
preparazioni ad uso umano.
La probabilità che si manifestino effetti collaterali indesiderati impiegando queste molecole è in relazione con la
durata del trattamento, per cui trattamenti prolungati
espongono a rischio più elevato. Malgrado ciò non è da
escludere il manifestarsi di effetti collaterali anche con
trattamenti brevi, anche per una notevole variabilità individuale nella reazione ai progestinici.
Gli effetti collaterali riferiti nel gatto, in seguito a somministrazione prolungata e/o di dosi elevate sono:
– Aumento dell’incidenza delle patologie uterine, particolarmente iperplasia endometriale cistica, piometra e mucometra, specialmente se l’utero è stato precedentemente sensibilizzato da estrogeni (endogeni o esogeni).
– Aumento dell’incidenza delle patologie mammarie.
– Diabete mellito dovuto a resistenza all’insulina presumibilmente causata aumento di ormone della crescita.
– Insufficienza surrenale causata da Cushing secondario
per alto livello di glucocorticoidi.
– Aumento dell’appetito e del peso corporeo.
– Lesioni cutanee e decolorazioni nel sito di inoculo.
Le indicazioni per l’impiego dei progestinici nel gatto
sono le seguenti:
– soggetti che abbiano raggiunto la pubertà molto precocemente e non siano considerati sufficientemente maturi
per essere accoppiati.
– Pianificazione e temporizzazione delle cucciolate durante l’anno.
– Sospensione dell’attività sessuale in soggetti particolarmente provati dopo lo svezzamento.
Può quindi essere opportuno riassumere alcune considerazioni cliniche da tenere presenti nella scelta dei pazienti da trattare con progestinici:
– non usare prodotti deposito prima della pubertà, questi
possono comportare lo sviluppo di un’ipertrofia mammaria di lunga durata che può arrivare a mettere in pericolo la vita dell’animale.
– Non trattare soggetti in gravidanza poiché questo può
comportare difetti ai nascituri oppure ritardare il parto sino a causare morte fetale in utero per distacco placentare.
– Non trattare durante il diestro. Stabilire sempre il momento del ciclo mediante anamnesi accurata e citologia
vaginale e possibilmente anche la progesteronemia, tenere presente la possibilità di ovulazioni spontanee.
– Non trattare pazienti diabetici.
– Non impiegare farmaci ad uso umano sempre che non
sia indispensabile.
– Non impiegare medrossiprogesterone acetato in animali
destinati alla riproduzione.
– Sarebbe preferibile mantenere la durata del trattamento al di
sotto dei 12 mesi, specialmente in animali anziani o destinati alla riproduzione. Nel caso in cui si renda necessario un
trattamento prolungato è consigliabile dividerlo in due parti
interponendo alcune settimane senza trattamento e valutare
periodicamente la situazione uterina e quella endocrina.
– L’impiego in soggetti con calore prolungato dovrebbe
essere attentamente ponderato, infatti, questi animali potrebbero avere un residuo di ovaio, una singola cisti follicolare, un ovaio policistico, oppure presentare un tumore delle cellule della granulosa. Anche se la somministrazione di progestinici in un soggetto con una singola cisti follicolare può essere utile, la stessa terapia può
essere dannosa in caso di un ovaio policistico o di un tumore delle cellule della granulosa.
NOTE
INDUZIONE DELL’ESTRO
I motivi per cui può essere richiesta una induzione
dell’estro sono fondamentalmente:
– ritardata insorgenza della pubertà;
– anestro prolungato;
– motivi manageriali.
251
NOTE
252
La grande variabilità sia tra le razze sia tra gli individui
deve essere tenuta in debito conto prima di diagnosticare
un ritardo nell’insorgenza della pubertà, in quanto non è
del tutto eccezionale che gatte di alta genealogia di razze a
pelo lungo raggiungano la pubertà a 18 - 24 mesi.
L’anestro prolungato nelle gatte di razza è spesso dovuto ad eccesso di consanguineità o a problemi di gestione,
mentre nelle gatte d’appartamento può essere legato a problemi di individuazione dell’estro. Comunque è sempre
importante poter escludere che la gatta abbia subito trattamenti con progestinici.
I trattamenti proposti per l’induzione dell’estro sono diversi:
– PMSG
– PMSG + hCG
– FSH + hCG
– Inibitori della prolattina (?)
– GnRH (?)
Alcuni di questi sono stati già impiegati in campo pratico, altri sono ancora in fase sperimentale, comunque per
tutti appare evidente come la variabilità individuale influenzi largamente i risultati produttivi. L’impiego di prodotti a base di PMSG può dar luogo a sovrastimolazione
ovarica, specialmente nei soggetti giovani.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Antonio Mollo
Med Vet
Facoltà di Veterinaria
Univesità di Padova
Iperplasia mammaria nel gatto
Mammar hyperplasia in the cat
Domenica, 30 settembre 2001, ore 15.15
253
NOTE
Condizione patologica del tessuto mammario felino,
conosciuta anche con denominazioni diverse:
–
–
–
–
–
Fibroadenomatosi mammaria (Bledinger 1994)
Ipertrofia mammaria fibroghiandolare (Hinton 1977)
Ipertrofia mammaria benigna (Mandel 1975)
Ipertrofia mammaria (Ghisleni 2001)
Iperplasia mammaria fibroadenomatosa (Wehrend 2001)
La diagnosi si basa sui segni clinici caratteristici, il diffuso rigonfiamento con consistenza dura di tutte o quasi tutte le mammelle in assenza di secrezione lattea. Le lesioni
cutanee sono assenti, almeno nella fase iniziale, mentre in
seguito può comparire necrosi della cute. A volte il primo
sintomo che viene notato dai proprietari, specie nelle razze
a pelo lungo, è la deambulazione difficoltosa. Le diagnosi
differenziali da prendere in considerazione sono sicuramente i tumori della mammella e la mastite. La conferma della
diagnosi si ottiene con una valutazione istopatologica di un
campione ottenuto mediante ago aspirato o, meglio, mediante biopsia (Wehrend 2001), queste indagini nella pratica clinica non sono strettamente indispensabili, e spesso
vengono omesse, anche perché la mammella iperplasica
presenta delle difficoltà di cicatrizzazione. Istologicamente
all’aumento di dimensioni della mammella corrisponde una
proliferazione dell’epitelio dei dotti e delle cellule mioepiteliali perighiandolari, un marcato edema ed un aumento di
volume del tessuto connettivo che circonda le ghiandole.
L’eziopatogenesi di questa patologia non è ancora chiarita, il riscontro di alti livelli ematici di progesterone deporrebbe per una sovrapproduzione di questo ormone
(Hayden 1981) che ha un effetto di stimolo sulla crescita
dell’epitelio mammario, a livello del quale si potrebbe verificare un aumento dei recettori per il progesterone. A
supporto di queste ipotesi sta il fatto che la patologia in
questione sia stata riscontrata in soggetti di entrambi i sessi
trattati in modo cronico con progestinici. Ancora non spiegato è il fatto che, a prescindere dalla scelta terapeutica,
non siano segnalate recidive.
Il totale dei casi disponibili in letteratura è di poche decine, e ad un esame retrospettivo la patologia non sembra
comportarsi in modo ripetibile:
– l’età dei soggetti colpiti varia da 11 settimane a 13 anni;
– sono colpiti sia le femmine che, anche se più raramente,
i maschi,
254
– sono colpiti sia soggetti interi che gonadectomizzati,
– sono state messe in atto terapie molto diverse tra loro:
terapia sintomatica, ovariectomia, mastectomia, somministrazione di antiprogestinici, che, laddove disponibili,
possono rappresentare una risposta adeguata quando la
patologia colpisca dei riproduttori di cui si voglia salvaguardare il potenziale riproduttivo.
– anche dal punto di vista prognostico non vi sono certezze, sono infatti riferiti casi in cui si è avuta remissione
spontanea dei sintomi in 4-6 settimane, ma anche casi
di soggetti che sono stati soppressi perché refrattari alle
terapie.
Segue disamina di casi clinici.
NOTE
Bibliografia
Mandel M. (1975) Veterinary Medicine / Small Animal Clinician; 70, 846 - 847
Hinton M. and Gaskell J. (1977) Veterinary Record; 100, 277 - 280
Hayden D. W. et al. (1981) American Journal of Veterinary Research; 42, 1699 -1703
Bledinger K. et al. (1994) Kleintierpraxis; 39, 495 - 499
Wehrend A. et al (2001) Veterinary Record; 148, 346 - 347
Ghisleni G., Caniatti M. (2001) Summa, 5, 71 - 72
255
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Giorgio Romanelli
Med Vet, Dipl ECVS
Libero professionista
Milano
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in chirurgia e ortopedia
When (and how) the cat is different from the dog
in soft tissue surgery and orthopaedics
Domenica, 30 settembre 2001, ore 8.45
257
RELAZIONE NON PERVENUTA
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Giorgio Romanelli
Med Vet, Dipl ECVS
Libero professionista
Milano
Quando (e come) il gatto è diverso
dal cane in oncologia
When (and how) the cat is different
from the dog in oncology
Domenica, 30 settembre 2001, ore 9.30
259
RELAZIONE NON PERVENUTA
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Roberto Santilli
Med Vet, Dipl ECVIM-CA
Libero professionista
Clinica Veterinaria Malpensa
Varese
Principi di radiologia toracica nel gatto
Principles of thoracic radiology in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 15.15
261
NOTE
Nonostante l’avvento di tecniche sofisticate quali la
TAC, l’ecografia, la risonanza magnetica e la scintigrafia,
l’esame radiografico rimane il metodo standard per la diagnosi delle principali malattie cardiache e polmonari.
L’esame radiografico del torace permette, infatti, oltre lo
studio dei campi polmonari, del mediastino e dello spazio
pleurico, la valutazione dello stato congestizio del piccolo
circolo e le principali anomalie dei grossi vasi.
TECNICA RADIOGRAFICA
Una buona tecnica radiografica è essenziale al fine di
evitare artefatti che potrebbero mimare condizioni patologiche quali cardiomegalia, aumento densità polmonare e
masse. Il corretto posizionamento è vitale per ottenere
immagini di qualità, così come l’esposizione che deve essere effettuata a fine inspirazione usando un tempo di
1/60 di secondo o più veloce, che riduce gli effetti dei
movimenti del torace e permette di ottenere ottimi dettagli radiografici. Nell’impostare i tempi d’esposizione è
conveniente usare alto kilovoltaggio e un basso numero
di mAs, la griglia è raramente necessaria, perché la maggior parte dei gatti ha uno spessore toracico minore di 10
cm. Il raggio viene centrato sull’area cardiaca e si eseguono una proiezione latero-laterale ed una ventrodorsale
o dorsoventrale. La posizione dorsoventrale è solitamente
preferita alla ventrodorsale eccetto in presenza di versamento pleurico. Le due proiezioni differiscono leggermente tra di loro: il mediastino caudale e il lobo polmonare accessorio sono meglio visualizzabili in posizione
ventrodorsale; la silhouette cardiaca ha una forma ed una
posizione più ripetibile in dorsoventrale come pure le arterie lobari caudali.
INTERPRETAZIONE
Un radiogramma del torace deve essere esaminato in
modo sistematico al fine di evitare delle sopravalutazioni
o delle sottovalutazioni dei dettagli. Se effettuate con
una buona tecnica i radiogrammi toracici sono molto
sensibili e specifici per patologie dei campi polmonari,
esiste però la possibilità dell’errore d’interpretazione o
soggettivo. Tale essere si aggira intorno al 10 - 20% se si
262
confrontano diversi lettori o lo stesso lettore. Al fine di
ridurre l’errore soggettivo un approccio sistematico nella
lettura è consigliabile. Per prima cosa occorre valutare la
qualità del radiogramma, il posizionamento, le strutture
extratoraciche, tutti gli organi toracici ed in particolar
modo quelli sospetti in base ai rilievi anamnestici e di laboratorio. Esiste un metodo concentrico che parte
dall’esame della colonna vertebrale toracica in senso
cranio-caudale, recesso costo-diaframmatico, diaframma, sternebre in senso caudo-craniale, regione mediastinica craniale, angolo tracheo-rachideo, silhouette cardiaca, dapprima il margine caudale, poi il craniale, i vasi lobari craniali, la vena cava caudale, la regione ilare, infine
i campi polmonari.
NOTE
RADIOLOGIA DEI CAMPI POLMONARI
La maggior parte delle patologie polmonari induce un
aumento della radiopacità dei campi polmonari che può essere divisa in quattro differenti aspetti a seconda della
componente polmonare interessata: a) alveolare, b) interstiziale, c) bronchiale e d) vascolare.
a) Alveolare
Questo quadro è creato quando l’aria presente negli alveoli è sostituita da infiltrati cellulari o fluidi. Anche la
perdita dell’aria alveolare senza sostituzione con cellule o
fluidi può creare un quadro alveolare come nel caso
dell’atelectasia polmonare. Il quadro alveolare appare dal
punto di vista radiografico, come una radiodensità focale o
lobare attraversata solitamente da broncogrammi aerei, più
nel cane che nel gatto. I broncogrammi aerei rappresentano
i bronchi lobari con le relative diramazioni pieni d’aria che
attraversano i campi alveolari infiltrati. Gli alveologrammi
aerei rappresentano aree di alveoli colmi di liquido intervallate ad aree ancora aerate, radiograficamente si evidenziano grappoli radiopachi misti a grappoli radiotrasparenti.
La presenza del quadro alveolare nasconde tutti gli altri
quadri in caso di forme miste e tende a risolversi rapidamente, vista la gravità della condizione clinica. I quadri alveolari sono solitamente presenti in caso di broncopolmonite, polmonite, edema polmonare alveolare, contusioni
polmonari, atelettasie, neoplasie primitive (carcinoma
broncoalveolare, linfoma).
263
NOTE
b) Interstiziale
Il tessuto interstiziale è l’apparato di sostegno delle
strutture polmonari e costituisce la radiodensità diffusa dei
campi polmonari. Esso è costituito dalla parete alveolare
con capillari, parete bronchiale, dei dotti alveolari e dei
bronchioli, dai vasi e dai linfatici. La classica apparizione
radiografica delle patologie interstiziali include la forma lineare e nodulare.
La forma lineare è caratterizzata da un aumento diffuso
della radiopacità polmonare con un offuscamento delle
strutture vascolari e bronchiali. Alcuni artefatti possono
mimare il pattern interstiziale lineare quali radiogrammi
sottoesposti e a fine espirazione o in animali obesi. Questo
quadro interstiziale lineare può essere presente anche in
animali anziani per un aumento del tessuto fibroso, nelle
polmoniti virali, nelle fasi iniziali dell’edema polmonare e
nelle contusioni polmonari.
Il quadro interstiziale nodulare è caratterizzato dalla
presenza di noduli radiopachi di vario diametro causali da
neoplasie primarie o metastatiche, granulomi funginei, batterici o parassitari e ascessi.
c) Bronchiale
In condizioni normali le pareti bronchiali non sono visibili fatta eccezione dei bronchi principali nelle regioni
ilari. In caso d’infiltrato parietale infiammatorio o da edema, le pareti risultano visibili come linee parallele o cerchi di vario diametro a seconda dell’angolo di attraversamento del raggio. In caso di forme ostruttive il diaframma
assume un aspetto convesso con un aumento della radiotrasparenza e del volume polmonare. Nelle broncopatie
croniche possono apparire le bronchiectasie cilindriche,
sacculari, o cistiche che consistono in terminazioni bronchiali anomale dilatate in modo irreversibile e spesso con
muco endoluminale. Le forme cilindriche, sebbene rare
nella specie felina, sono le uniche presenti e sono rappresentate da bronchi dilatati con lo stesso diametro che non
si riduce distalmente e continua con un’area di consolidamento o atelettasia polmonare. Le forme sacculari derivano dalla confluenza di più diramazioni bronchiolari terminali dilatate e circondate da tessuto infiammatorio e/o fibroso. Le forme cilindriche coinvolgono i bronchi più larghi e con pareti sottili, mentre le forme sacculari quelli intermedi. Le forme sacculari possono in casi avanzati evolvere nelle formazioni cistiche.
264
d) Vascolare
I vasi lobari craniali e caudali sono ben visualizzabili
nel gatto e rappresentano insieme alle strutture interstiziali
il sottofondo radiopaco dei campi polmonari. Lo studio
delle strutture vascolari consente di effettuare ottime valutazioni emodinamiche (vedi radiologia cardiaca).
NOTE
La patologie polmonari del gatto possono essere suddite in infiammatorie (polmoniti, micosi), parassitarie, neoplastiche e bronchiali.
Le broncopolmoniti sono un’evenienza rara nel gatto e
sono spesso il risultato d’agenti inalanti. Dal punto di vista
radiografico appaiono come aree d’infiltrato alveolare focali irregolari o con consolidamento lobare, spesso esiste
in associazione un infiltrato peribronchiale. Quanto alla distribuzione i siti più classici sono le regioni cranio-ventrali,
il lobo medio, il lobo accessorio e i lobi caudoventrali in
caso d’aspirazione, mentre le forme ematogene hanno solitamente una distribuzione più diffusa con aree focali irregolari. Le infezioni virali possono causare nel gatto polmoniti interstiziali che assumono la forma lineare in particolar
modo nei campi cranioventrali.
Le polmoniti micotiche risultano dall’inalazione di
Criptococco N., Aspergillus F. e Histoplasma C. radiografichamente appaiono con un quadro interstiziale nodulare
miliare in alcuni casi con calcificazioni distrofiche, aree di
consolidamento alveolare e infiltrato peribronchiale, spesso è presente linfoadenomegalia tracheobronchiale e mediastinica. La peritonite infettiva felina nella forma secca
può coinvolgere anche il distretto polmonare con lesioni
piogranulomatosa che appaiono come radiodensità interstiziali nodulari a margini e dimensioni irregolari spesso poste intorno ai bronchi principali. Nei gatti immunodepressi
anche il Toxoplasma G. può colpire il polmone con diverse
apparizioni radiografiche: lesioni interstiziali nodulari con
margini irregolari centrate intorno ai bronchi. Queste aree
possono unirsi a formare aree d’infiltrato lobare; quadro
interstiziale lineare diffuso causato da necrosi e ispessimento dei setti alveolari.
La parassitosi polmonare più comune è quella da Aelurostrongylus abstrusus che induce alterazioni radiografiche rappresentate da ispessimenti delle parete bronchiali e
bronchiolari e infiltrati alveolari irregolari o con aree di
consolidamento. In fase risolutiva possono rimanere quadri interstiziali nodulari peribronchiali. Le alterazioni al265
NOTE
266
veolari indotte dal parassita possono indurre una grave
ipertensione polmonare che causa una dilatazione e tortuosità dei vasi arteriosi polmonari con una riduzione nel
diametro dei vasi venosi. Queste alterazioni possono essere presenti anche in corso di filariasi cardiopolmonare. In
quest’ultimo caso è presente un’iperinsufflazione polmonare nel 77% dei casi, un quadro misto di tipo bronco-interstiziale con modica cardiomegalia valutata nel diametro
craniocaudale. Le arterie lobari caudali e particolarmente
la caudale sinistra risultano distese ma raramente tortuose,
l’arteria polmonare principale non risulta prominente come succede, invece, spesso nel cane. Nella proiezione
ventrodorsale il diametro delle arterie lobari caudali maggiore di 5 e 4 mm a livello del settimo e nono spazio intercostale è suggestivo di filariasi cardiopolmonare, allo stesso modo il rapporto del diametro dell’arteria lobare caudale sinistra a livello del nono spazio intercostale e della
nona costa maggiore di 1,6, risulta sospetto di filariasi
cardiopolmonare.
Le neoplasie primarie polmonari nel gatto sono alquanto rare visto la presenza di dispnea solo nel 61,6% dei casi
e l’alta incidenza di sintomi aspecifici quali dimagramento
e letargia. Il tumore primitivo più comune è il carcinoma
broncoalveolare. I segni radiografici sospetti per neoplasia
primaria polmonare includono nel 67% dei casi la presenza di un’unica massa circoscritta con marcato consolidamento lobare, grave infiltrato peribronchiale, quadro interstiziale reticolare con riempimento alveolare. I lobi polmonari caudali risultano quelli più colpiti. Le lesioni metastatiche polmonari sono rappresentate principalmente da lesioni nodulari interstiziali ben circoscritte, da quadri interstiziali reticolari e nodulari e in rari casi con infiltrati alveolari. Nel gatto le lesioni metastatiche derivano principalmente da tumori epiteliali che si diffondono per via linfatica, sono rappresentate nel 68% dei casi da noduli polmonari maldefiniti, quadri alveolari, versamenti pleurici o
da un’associazione di tutti questi segni.
Il complesso delle patologie bronchiali del gatto include le bronchiti acute e croniche, l’asma e l’enfisema. La
classica apparizione delle patologie bronchiali del gatto include un quadro bronchiale che risulta dall’ispessimento
delle parete bronchiali. Altri segni radiografici includono
l’iperinsufflazione polmonare con spostamento del diaframma caudalmente alla T13 nella proiezione latero-laterale, con campi polmonari iperlucenti. Nelle condizioni
croniche può essere evidente l’atelettasia del lobo medio
destro con spostamento del mediastino a destra e raramente le bronchiectasie cilindriche prossimali.
NOTE
RADIOLOGIA DEL MEDIASTINO
L’esame della regione mediastinica include la valutazione dello spazio tra i due foglietti della pleura mediastinica che comprendono il cuore, i grossi vasi, la trachea,
l’esofago, il timo, i linfonodi, il dotto toracico e i fasci nervosi. Nelle patologie respiratorie del gatto le masse mediastiniche rappresentano una grossa percentuale. Tali masse
possono essere situate: 1) nella regione cranioventrale o
precardiaca (timo, linfonodi); 2) nella regione craniodorsale dalla vena cava craniale alla colonna vertebrale dove sono presenti i linfonodi, la trachea e l’esofago; 3) nella regione perilare alla radice dei polmoni e alla base del cuore;
4) nella regione dorsocaudale dalla vena cava caudale alla
colonna vertebrale; 5) nella regione ventrocaudale o postcardiaca (recesso mediastinico). La presenza delle masse
mediastiniche, in special modo quelle della posizione 1, è
spesso mascherata dalla concomitante presenza di versamento pleurico, ma è comunque caratterizzata da un sollevamento della trachea nel suo tratto intratoracico craniale
con marcata riduzione dell’angolo tracheo-rachideo.
Solitamente il mediastino nella proiezione dorsoventrale o ventrodorsale è posto in posizione centrale e mantiene
i campi polmonari perfettamente simmetrici, in condizioni
patologiche che includono pneumotorace, collassi polmonari, ernie diaframmatiche etc. si può avere uno spostamento del mediastino dalla sua posizione centrale.
RADIOLOGIA CARDIO-VASCOLARE
L’esame della silhouette cardiaca inizia dalla proiezione
latero-laterale destra con la localizzazione dell’apice cardiaco posto cranialmente al diaframma e dorsalmente allo
sterno e che divide la parte craniale (cuore destro), dalla
caudale (cuore sinistro). Lungo il bordo craniale del cuore
destro non è possibile scorgere la suddivisione tra atrio e
ventricolo destro, mentre il punto d’intersezione tra la vena
cava caudale e il profilo posteriore del cuore sinistro, segna
il confine tra atrio e ventricolo sinistro. Nella proiezione
267
NOTE
268
dorsoventrale l’apice cardiaco e solitamente situato lungo
l’asse mediano o deviato leggermente a sinistra. La porzione a sinistra dall’asse cardiaco longitudinale è il cuore sinistro, quella a destra il cuore destro. Spesso si usa l’analogia dell’asse cardiaca con il quadrante dell’orologio e così
ad ore una si trova l’arteria polmonare principale, ad ore
tre l’orecchietta sinistra e fino ad ore sei (apice) il ventricolo sinistro, fino ad ore nove il ventricolo destro e fino ad
ore undici l’atrio destro. Solitamente l’arteria polmonare
principale e l’orecchietta sinistra sono visibili se dilatati.
L’arco aortico siede sull’asse mediano.
La localizzazione dell’apice e particolarmente importante per avere una rapida idea sugli ingrandimenti camerali. Un ingrandimento ventricolare destro isolato induce
un sollevamento dell’apice dallo sterno in latero-laterale
con aumento della convessità del margine caudale o sinistro, mentre in dorsoventrale ruota l’apice verso sinistra.
Al contrario un ingrandimento dell’atrio sinistro induce
una rotazione oraria dell’apice verso destra. Alcune volte
risulta difficile verificare la presenza di una cardiomegalia
di media entità, di conseguenza diversi modi di misurare la
silhouette cardiaca sono stati messi a punto ed in particolare quello più riproducibile è il “Vertebral Heart System”
dove la somma del diametro longitudinale dalla carena
all’apice e del trasversale dall’intersezione della vena cava
caudale con il bordo caudale al margine più craniale presi
in latero-laterale destra, non deve superare la lunghezza di
7,5 - 8 vertebre toraciche partendo dal margine craniale
della quarta. L’asse cardiaco trasversale in dorsoventrale
non deve superare 3,4 - 4 vertebre toraciche. Nei gatti obesi aumentando i mAs e riducendo il kilovoltaggio è possibile visualizzare la reale silhouette cardiaca all’interno del
sacco pericardio ed ottenere misurazioni reali. Spesso con
il metodo V.H.S. la dimensione maggiore in asse corto in
ventro-dorsale risulta pari a 3,9 vertebre probabilmente per
l’inclusione di grasso pericardico nel computo. Nell’esaminare la silhouette cardiaca occorre inoltre tener conto
delle variazioni indotte dall’età. 40% dei gatti con età maggiore di 10 anni hanno l’asse cardiaco longitudinale in latero-laterale più orizzontale e parallelo allo sterno, mentre
il 28% presenta l’arco aortico con aspetto ridondante.
L’apparizione radiografica dell’ingrandimento atrioventricolare destro include: aumento convessità margine craniale in LL e destro in VD o DV, aumento diametro longitudinale in LL con sollevamento della trachea, sollevamen-
to apice cardiaco dallo sterno con maggior convessità margine caudale in LL, rotazione antioraria dell’apice cardiaco
verso sinistra in VD o DV. Le più comuni cause d’ingrandimento atrioventricolare destro includono difetti congeniti
quali displasia della tricuspide, stenosi polmonare, dotto
arterioso pervio ipertensivo o difetto setto interventricolare
con shunt destro-sinistro, cardiomiopatie prevalentemente
destre (DAVD), o difetti acquisiti come l’ipertensione polmonare e il cuore polmonare.
L’ingrandimento ventricolare sinistro e spesso associato
ad ingrandimento atriale sinistro o biatriale, aumento convessità margine caudale in LL e del margine sinistro in VD
o DV, aumento diametro longitudinale con sollevamento
della trachea e riduzione angolo tracheo-rachideo in LL, rotazione apice lungo l’asse mediano o a destra in DV o VD.
La dilatazione atriale sinistra in LL induce un sollevamento
dell’inserzione della vena cava caudale, in caso di ventricolo sinistro non dilatato (cardiomiopatia ipertrofica) l’atrio
sporge caudalmente facendo assumere al cuore un aspetto a
fagiolo, riduzione angolo tracheo-rachideo e spostamento
dorsale bronco principale sinistro ed aumento della radiopacità della parte dorsale dell’ombra cardiaca. Nella proiezione DV ad ore tre risulta evidente la prominenza
dell’orecchietta sinistra, l’asse cardiaco ruota in senso orario lungo la linea mediana o verso destra con il classico
aspetto del cuore a “valentina”. Le cause d’ingrandimento
ventricolare sinistro o atriale sinistro includono i difetti
congeniti quali la displasia della mitrale, il dotto arterioso
pervio, la stenosi aortica, il difetto del setto interventricolare e i difetti acquisiti ed in particolar modo le cardiomiopatie ipertrofica, restrittiva e dilatativa. Le prominenze dell’arteria polmonare principale e dell’arco aortico non sono evidenti nel gatto come nel cane, fatta eccezione del PDA dove
risultano evidenti le tre prominenze dell’arco aortico,
dell’arteria polmonare e dell’orecchietta sinistra.
Le patologie pericardiche croniche inducono una marcata cardiomegalia con aspetto rotondeggiante e perdita dei
dettagli quali apice ecc, i margini risultano lineari e ben
definiti, spesso è presente distensione della vena cava caudale e ipoperfusione polmonare.
L’esame delle strutture vascolari polmonari (arterie e
vene) consente di ottenere informazioni utili circa le condizioni emodinamiche del paziente. Nelle proiezione LL è
possibile esaminare i vasi lobari craniali che scorrono paralleli all’albero bronchiale, l’arteria dorsalmente e la vena
NOTE
269
NOTE
270
ventralmente. Le vene sono più spesse delle arterie e più
radiodense, solitamente l’arteria non deve essere maggiore
a 1,2 volte e minore a 0,26 volte il diametro della quarta
costa prossimale. In proiezione DV è possibile seguire il
decorso dei vasi lobari craniali, le arterie lateralmente al
bronco e le vene medialmente allo stesso.
Esistono quattro principali quadri vascolari radiografici:
1) iperperfusione polmonare; 2) ipoperfusione polmonare;
3) distensione arterie lobari; 4) distensione vene lobari.
L’ipervascolarità polmonare è causata da un aumento
del volume circolante nel piccolo circolo da due a più volte
il normale. Esso è causato da shunt sinistro-destri centrali
o periferici, stati iperdinamici in corso di anemia, ipertiroidismo e sovraccarico volumetrico iatrogeno. In caso di aumento del volume circolante si apre la maggior parte dei
capillari polmonari producendo un tipo quadro ad interessamento interstiziale. I quadri da iperperfusione polmonare
sono spesso accompagnati da ingrandimenti atrioventricolari sinistri con vasi lobari prominenti e distesi per l’aumento della pressione e del volume endoluminale.
L’ipovascolarità o ipoperfusione può essere presente in
caso di iperinsufflazione polmonare o enfisema, patologie
cardiache con shunt destro-sinistro e bassa portata cardiaca. Dal punto di vista radiografico si presenta con vasi lobari sottili e radiolucentezza dell’interstizio. In alcuni casi
l’ipovascolarità può essere lobare ed essere causata da
tromboembolismi.
La presenza di arterie polmonari lobari tortuose e distese prossimalmente che si assottigliano distalmente è segno
d’ipertensione polmonare causata da tromboembolismi,
broncopatie croniche ostruttive o sindromi di Eisenmenger.
Nel gatto raramente sono accompagnate da prominenza
dell’arteria polmonare principale mentre spesso è presente
riduzione del diametro venoso, indice di bassa portata.
La dilatazione delle vene lobari è indice di ipertensione
venosa per elevazione cronica della pressione atriale sinistra. Solitamente il punto di massima distensione è la regione ilare perché qui le vene hanno il diametro e la tensione parietale massima.
In caso d’insufficienza cardiaca sinistra è possibile studiare con radiogrammi del torace la presenza di edema
polmonare, inizialmente interstiziale poi alveolare. Quando la pressione capillare supera la capacità del sistema linfatico drenante il liquido inizia ad interessare lo spazio interstiziale e peribronchiale. Il quadro interstiziale interessa
solitamente la regione perilare e ventrale, i bronchi presentano le classiche cuffiature con margini irregolari per la diversità di accumulo della trasudato. Spesso nel gatto con
cardiomiopatie l’edema è iperacuto ed alveolare con aspetto asimmetrico e periferico, flocculato e che interessa le regioni ventrali e destre. Il quadro alveolare può presentare o
i broncogrammi aerei o ancor di più gli alveologrammi aerei rappresentati da aree radiopache a grappolo circondate
da aree radiotrasparenti.
Le patologie della pleura includono aumento della radiopacità causata da effusione, masse o fibrosi e riduzioni
dell’opacità causate da accumulo d’aria nel cavo pleurico
(pneumotorace). L’effusione pleurica per la classica anatomia vascolare drenante del gatto è solitamente presente
nelle insufficienza biventricolari.
Nella proiezione LL piccole quantità di liquido pleurico
causano un arrotondamento dell’angolo costo-frenico con
presenza di una banda radiopaca tra campi polmonari e colonna vertebrale, evidenziazione delle scissure pleuriche a
livello delle divisioni lobari e riduzione della visualizzazione dell’ombra cardiaca. Nella proiezione VD, preferita
alla DV in caso di versamento pleurico, è possibile evidenziare in modo completo tutte le scissure pleuriche interlobari. Quando la quantità di liquido aumenta i lobi polmonari si ritraggono e i loro margini diventano tondeggianti,
le scissure pleuriche si distendono, il cuore, il diagramma
ed il mediastino non sono più evidenti. Spesso in proiezione LL il liquido pleurico solleva la trachea mimando una
cardiomegalia, in questo caso solo la misura del dimensione toracica laterale può differenziare un versamento pleurico cardiogeno da uno non cardiogeno.
NOTE
Bibliografia disponibile su richiesta.
271
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Roberto Santilli
Med Vet, Dipl ECVIM-CA
Libero professionista
Clinica Veterinaria Malpensa
Varese
Aggiornamenti nella diagnosi
e nel trattamento dell’ipertiroidismo
Update on diagnosis and treatment
of hyperthyroidism
Domenica, 30 settembre 2001, ore 12.15
273
NOTE
274
L’ipertiroidismo è una sindrome legata ad un’eccessiva
produzione e secrezione di ormoni tiroidei, generalmente
dovuta alla presenza di un’iperplasia adenomatosa o adenomi tiroidei, che coinvolge un lobo tiroideo nel 30% dei
casi, o entrambi nel restante 70%. In meno del 2% dei soggetti colpiti la neoplasia è a carattere carcinomatoso.
L’età di insorgenza dell’ipertiroidismo felino varia tra i
4 e i 22 anni con una media di 13 ani, non esiste una predisposizione di sesso o di razza, anche se quella Siamese è
spesso rappresentata.
I sintomi clinici hanno un’evoluzione lenta ed insidiosa,
perciò spesso la diagnosi è effettuata in uno stadio avanzato della malattia. Il gatto con ipertiroidismo viene presentato alla visita clinica principalmente per dimagramento,
vomito e diarrea. Da un’anamnesi più accurata, altri sintomi classici quali polifagia, aumento attività fisica notturna,
polidipsia e poliuria possono essere svelati. Sintomi evidenziabili con minor frequenza includono: dispnea, convulsioni, fratture spontanee, letargia, depressione ed anoressia, questi ultimi facenti parte insieme alla ventroflessione del collo e alla debolezza muscolare del cosiddetto
ipertiroidismo apatico, causato dalla concomitante carenza
di tiamina e potassio.
La palpazione della regione del collo risulta di fondamentale importanza per la diagnosi di ipertiroidismo, visto
che il 90% dei gatti colpiti presenta noduli tiroidei palpabili e soltanto il 10% può avere noduli ectopici secernenti in
sede mediastinica. L’aumento della concentrazione degli
ormoni tiroidei causa alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare caratterizzate principalmente da un’iperdinamismo ad alta portata cardiaca che induce disturbi cardiaci
nel 50% dei gatti colpiti e che comprendono dispnea, tachipnea, tachicardia sinusale, polso femorale ipercinetico,
itto aumentato, soffi sistolico di intensità variabili 2-3/6 e
ritmi di galoppo.
L’ematologia e la biochimica clinica in corso di ipertiroidismo felino rivelano alterazioni caratteristiche che sono il frutto di effetti diretti degli ormoni tiroidei sui diversi
organi. L’esame emocromocitometrico spesso presenta eritrocitosi con leucocitosi neutrofilica, linfopenia ed eosinopenia. Le alterazioni dei parametri biochimici di più frequente riscontro risultano l’innalzamento dell’Alt, Ast,
Alp, della glicemia, del fosforo e nel 30% dei casi
dell’urea e della creatinina. Il ritrovamento di gatti ipertiroidei azotemici rende indaginosa la diagnosi differenziale
tra ipertiroidismo isolato o con insufficienza renale cronica
concomitante, visto che il bilancio azotato negativo in corso di ipertiroidismo può elevare la BUN mentre la creatinina può risultare normale anche in caso di insufficienza renale subclinica dato che lo stato di tireotossicosi comporta
un aumento del flusso plasmatico renale e della filtrazione
glomerulare.
NOTE
PIANO DIAGNOSTICO
Una percentuale variabile tra il 90 ed il 100% dei gatti
colpiti presenta alti livelli di T4 totale basale (> 65
nmol/L) ad un primo prelievo eseguito in maniera casuale
o ripetuto a distanza di 15 giorni. Gatti con ipertiroidismo
occulto perché iniziale o mascherato da patologie concomitanti possono presentare un T4 totale basale nei range
non diagnostici (25 - 65 nmol/L); solitamente nessun gatto
ipertiroideo ha un T4 totale basale nei normali range (19 25 nmol/L). Il T3 serico è spesso elevato ma la sua sensibilità si aggira intorno al 75%, perciò non viene solitamente
utilizzato come test di “screening” sulla presenza di ipertiroidismo.
L’ipertiroidismo occulto può essere svelato attraverso la
titolazione della frazione libera del T4 (fT4) determinata
con la metodica dell’equilibrio dialitico o della chemilluminescenza. Studi recenti hanno dimostrato che il T4 totale basale è solitamente più basso nei gatti con ipertiroidismo complicato da malattie concomitanti e che la sua riduzione è correlata con la mortalità. Il fT4 risulta diagnostico
nel 96% di ipertirodismo occulto, per la rimanente parte di
falsi negativi e per una minima parte di falsi positivi presente anche con il calcolo del fT4, bisogna ricorrere ad altri test quali la stimolazione con TRH, il test di soppressione con T3 o la scintigrafia tiroidea con Pertecnetato.
Il test di stimolazione con TRH risulta essere molto
specifico, richiede un giorno per l’esecuzione e la titolazione del T4 o meglio del TSH prima e 4 ore dopo la somministrazione di 0,1 mg/kg di TRH sintetico. Aumenti del
T4 post-stimolazione minori del 50% sono diagnostici di
ipertiroidismo. Spesso la somministrazione di TRH può indurre effetti collaterali quali salivazione, vomito, tachipnea
e defecazione che perdurano per 4-5 ore. L’utilizzo di questo test in gatti ipertiroidei e/o con gravi patologie non tiroidee ha riportato l’11% di falsi negativi ed il 43% di falsi
275
NOTE
positivi. Tali risultati hanno indicato lo scarso valore predittivo del test.
Il test di soppressione con T3 consiste nella somministrazione di T3 esogeno per 7 volte ogni 8 ore per os, il
giorno prima dell’inizio del test e quattro ore dopo la settima dose vengono titolati il T3 ed il T4 totali basali. Nei
soggetti normali o con patologie non tiroidee il T4 risulterà
inferiore a 19 nmol/l., nei soggetti con ipertiroidismo il T4
risulterà lievemente ridotto o aumentato ma comunque superiore a 25 nmol/l, valori tra 19 e 25 nmol/l vengono considerati non diagnostici. L’incremento del T3 viene valutato per controllare la corretta somministrazione del farmaco
da parte del proprietario.
La scintigrafia tiroidea risulta la metodica più sensibile
nella classificazione del gozzo nodulare tossico e nella diagnosi di ipertiroidismo occulto. Con essa è possibile rilevare la presenza di gozzo bilaterale (70%), monolaterale
(30%) e focolai ectopici mediastinici (3-5%). L’utilizzo del
99m
Tc quale isotopo radioattivo consente di effettuare rapidi
esami con minimo rischio per l’operatore e per il paziente.
Vengono somministrate dosi pari a 1,5 - 2 mCi per animale
e dopo 20 minuti può essere eseguito il controllo con la
gamma camera. Il 99mTc viene captato dal tessuto tiroideo
attivo, dalla ghiandole salivari e dalla mucosa gastrica.
Un’idea sull’attività ghiandolare tiroidea può essere ottenuta attraverso la comparazione del numero di pixel di
ogni lobo tiroideo con la ghiandola salivare ipsilaterale.
Una volta effettuata la diagnosi di ipertirodismo occorre
valutare il paziente per la presenza di cardiomiopatia tireotossica reversibile, ipertensione arteriosa, insufficienza renale sublinica. Solo un accurata diagnosi permette di effettuare un trattamento ottimale.
Apparato cardiovascolare
Gli ormoni tiroidei agiscono direttamente sul miocardio
causando un aumento della sintesi proteica mitocondriale,
dell’attività dell’ATPase sodio-potassio, del metabolismo
basale, causano alterazioni strutturali della miosina, hanno
inoltre un sinergismo con il sistema nervoso autonomo. Il
risultato finale è un aumento della massa miocardia, del
volume circolante, della frequenza cardiaca, della contrattilità, della gittata, con riduzione delle resistenze periferiche e lo sviluppo di ipertensione arteriosa. L’ipertensione
276
arteriosa può essere aggravata dalla concomitante presenza
di insufficienza renale. Ne consegue che se il soggetto
ipertiroideo in fase iniziale migliora la performance miocardia, la cronicizzazione dello stato patologico ne provoca
invece un grave deterioramento per la contemporanea comparsa di disfunzione sistolica e diastolica causate dall’ipertrofia ventricolare, insufficienza valvolare, disfunzione dei
muscoli papillari, tachicardia sinusale, necrosi e fibrosi
miocardia. Il risultato finale è un alterato bilancio dell’ossigeno che induce nel 10-15% dei soggetti con ipertiroidismo non trattato un’insufficienza congestizie a bassa portata irreversibile.
La stadiazione dell’apparato cardiovascolare viene effettuata attraverso esami complementari quali l’elettrocardiogramma, la radiologia toracica, l’ecocardiografia Doppler e la misurazione della pressione arteriosa sistolica attraverso la flussimetria Doppler.
Nella nostra casistica le alterazioni elettrocardiografiche di più comune riscontro sono risultate: tachicardia sinusale (25%), aumento voltaggio onda R in DII maggiore
di 0,9 mV (16,6%), prolungamento durata QRS (25%),
aritmie quali bradicardia sinusale, ritmo caotico sopraventricolare, battiti ectopico ventricolari (33,3%). Il 25% dei
gatti ha presentato disturbi della conduzione quali blocco
del fascicolo anteriore o della branca destra.
I radiogrammi del torace hanno mostrato cardiomegalia
nel 60% dei casi, versamento pleurico nel 53% dei casi e
edema polmonare nel 13,3%.
L’ecocardiografia è sicuramente il mezzo diagnostico
più preciso per valutare la reversibilità dei danni miocarditi. Nel nostro laboratorio di ecocardiografia suddividiamo la cardiomiopatia tireotossica in 3 classi: 1) Normali;
2) Ipertrofici e/o ipercinetici, dove l’ipertrofia consiste in
un aumento dello spessore in telediastole del setto interventricolare o della parete posteriore del ventricolo sinistro (> di 5 mm) e un aumento della massa miocardia
ventricolare sinistra (> 11 g). L’ipercinesia viene definita
da un aumento della frazione di accorciamento (> 60%) e
da una riduzione del diametro telesistolico (< 7 mm); 3)
Insufficienza cardiaca congestizia: a) ad alta portata; b) a
bassa portata, a seconda della frazione di accorciamento
(> o < del 25%), rapporto atrio sinistro/aorta, diametro e
volume telediastolico e telesistolico ventricolare sinistro
ed EPSS. Tutte le classi di cardiomiopatia tireotossica
presentano danni reversibili in 8 - 10 mesi fatta eccezione
NOTE
277
NOTE
della classe 3b che non regredisce rendendo la prognosi
di ipertiroidismo infausta.
Circa il 53,63% dei soggetti ipertiroideo è iperteso per lo
stato di iperdinamismo ad alta portata e l’eventuale presenza
di insufficienza renale cronica concomitante. I valori sistolici medi risultano pari a 229,47 +/- 32,70 mmHg. Anche
l’ipertensione arteriosa è reversibile dopo la correzione dello
stato ipertiroideo in un periodo compreso tra 2-3 mesi.
Insufficienza renale cronica sublinica
Come suddetto lo stato di iperdinamismo ad alta portata
cardiaca induce un aumento del flusso plasmatico renale e
del tasso di filtrazione glomerulare con riduzione della
creatininemia serica anche in soggetti con insufficienza renale cronica sublinica. La BUN spesso può risultare elevata per il catabolismo proteico con bilancio azotato negativo
e per la polifagia. In questi casi il trattamento dello stato di
ipertirodismo induce una riduzione brusca del tasso di filtrazione glomerulare con un marcato aumento dell’azotemia e della creatininemia e l’evidenziazione dello stato di
insufficienza renale. Occorre, quindi, prima di trattare in
modo definitivo (chirurgia o 131I) un gatto ipertiroideo, stabilire l’eventuale presenza di insufficienza renale subclinica, attraverso il calcolo del tasso di filtrazione glomerulare
o la prova di trattamento con Metimazolo..
Gatti ipertiroidei con tassi di filtrazione glomerulare
prima del trattamento inferiori a 2,25 ml/kg/minuto sono
considerati a rischio di sviluppo di insufficienza renale post-trattamento. Allo stesso modo gatti ipertiroidei con peso
specifico urinario pre-trattamento minore di 1030 hanno lo
stesso tipo di rischio. In questi casi la somministrazione di
Metimazolo a dosi crescenti con il contemporaneo controllo di creatinina, fosforo e peso specifico urinario permette
di stabilire la possibilità di mantenere uno stato eutiroideo
senza sviluppo di insufficienza renale. Solitamente una
creatininemia inferiore a 3,5 mg/dl può essere considerata
come punto massimo di salita per evitare la comparsa di
segni di uremia e si può calcolare la massima dose di metimazolo somministrabile.
Solitamente il 15-20% dei gatti trattati mostra un aumento della BUN e della creatinina 4-6 settimane dopo la
correzione dello stato di tireotossicosi, ma di questi solo il
7% si scompensa con creatinina superiore a 4 mg/dl.
278
PIANO TERAPEUTICO
NOTE
Noi consigliamo la terapia chirurgica in gatti con ipertiroidismo monolaterale in assenza d’insufficienza renale sublinica, con ipertensione arteriosa controllata e classe di cardiomiopatia tireotossica da 1 a 3a con appropriata terapia.
Lo stato ipertensivo viene solitamente corretto con la
somministrazione di Atenololo 6, 25 mg/gatto sid o bid e
nei casi refrattari con Amlodipina Besilato 0,625 mg/gatto
sid. I gatti con cardiomiopatia tireotossica 2 vengono trattati con Atenololo 6,25 mg/gatto sid o bid, quelli in classe
3a con Atenololo 6, 25 mg/gatto sid o bid, Furosemide 1-4
mg/kg sid-bid, ACE-Inibitore. 10 mesi dopo la correzione
dello stato tireotossico i farmaci cardiovascolari vengono
sospesi.
I gatti con danni miocardici irreversibili in classe 3b
vengono trattati con digossina 1/4 cpr 0,125 ogni 2 di, furosemide 1-4 mg/kg sid-bid e ACE-inibitori.
Per i soggetti con ipertiroidismo bilaterale e/o ectopico mediastinico in assenza d’insufficienza renale sublinica, con ipertensione arteriosa controllata e classe di cardiomiopatia tireotossica da 1 a 3a con appropriata terapia
consigliamo un piano d’azione farmacologico o la terapia
con 131I.
In Italia al momento il trattamento con iodio131 non può
essere ancora utilizzato vista l’assenza di centri autorizzati
a smaltire scorie radioattive e a prendersi cura dei gatti
trattati per un periodo variabile tra i 10 giorni e le 3 settimane, tempo necessario al decadimento delle radiazioni
beta. Una singola dose variabile tra i 2 e i 6 mCi SC è sufficiente a distruggere il tessuto tiroideo funzionante ed
iperplastico, risparmiando quello atrofico, che riprende a
funzionare in un secondo momento ripristinando lo stato
eutiroideo. Soltanto nel 2-4% dei casi occorre ripetere il
trattamento per recidiva. In caso di pre-trattamento con
metimazolo occorre un periodo di sospensione di 1-2 settimane prima di effettuare la terapia con 131I perché ne impedisce l’organificazione.
Il Metimazolo è il farmaco di prima scelta nel trattamento dell’ipertirodismo del gatto. Esso si concentra attivamente nella ghiandola tiroidea blocca la sintesi degli ormoni tiroidei attraverso l’inibizione dell’enzima tiroideo
per ossidasi (TPO). Ne consegue un blocco dell’ossidazione dello iodio e la sua coniugazione con le iodotironine per
formare T3 e T4. Il metimazolo non inibisce la captazione
279
NOTE
280
tiroidea dello iodio e la secrezione degli ormoni tiroidei
preformati, ne consegue che lo stato di eutiroidismo viene
ottenuto in circa 2-4 settimane. Lo schema consigliato per
minimizzare gli effetti collaterali quali vomito, diarrea ed
escoriazioni facciali in particolare nelle prima 4-8 settimane di trattamento, consta nella somministrazione di una dose di 2,5 mg bid per due settimane con un aumento di 2,5
mg ogni 2 settimane fino al controllo dei sintomi e una riduzione del T4 totale basale. La dose di mantenimento varia da 10 e 15 mg al di sempre divisa in due dosi giornaliere. La variazioni di dosaggio devono essere anche aggiustate a seconda della funzionalità renale. Il metimazolo per
via orale risulta efficace nel 98% dei casi di ipertiroidismo
felino e anche se ben tollerato il 15 - 20% dei gatti può
mostrare segni d’intolleranza che induce alla sospensione
del trattamento. Recentemente negli USA è stata formulata
una preparazione di metimazolo in gel transdermico con
l’aggiunta di lecitina, palmitato isopropilico e acido pluronico con una concentrazione di 5 mg/0,1 ml. L’uso di Metimazolo topico ha dato risultati incoraggianti con un buon
controllo dello stato di ipertiroidismo ed una riduzione degli effetti collaterali.
Il Carbimazolo è un profarmaco del Metimazolo disponibile in Canada e nel Regno Unito. Alcuni lavori riportano una maggior tolleranza del Carbimazolo rispetto
al metimazolo visto che una dose effettiva di 5 mg del
primo induce una concentrazione plasmatica di metimazolo pari al 50% rispetto ad una somministrazione di pari
dosi di Metimazolo.
Come terapie alternative per l’ipertiroidismo felino esiste la possibilità di somministrare contrasti iodati utilizzati
per la colecistografia (Ipodate - Oragrafin). L’ipodate inibisce la conversione del T4 nella forma attiva T3 attraverso
l’inibizione dell’enzima 5’-deiodinasi periferico, blocca
inoltre il legame nucleare del T3 a livello periferico riducendo notevolmente l’ipertrofia cardiaca, dal suo metabolismo risulta un rilascio di iodio libero che riduce l’organificazione dello iodio a livello tiroideo e la formazione di T3
e T4. Solitamente l’ipodate viene utilizzato a breve termine
per preparare i gatti al trattamento chirurgico o con 131I, terapie a lungo termine non sono state ancora sottoposte a
studio. La dose si aggira su 15 mg/kg o 50 mg per gatto
ogni 12 ore con controllo della sintomatologia in 2 - 4 settimane anche se il T4 totale basale non rientra nei range di
normalità, mentre il T3 crolla rapidamente. I rari effetti
collaterali dei contrasti iodati includono: reazioni da ipersensibilità, ipersalivazione, rigonfiamento palpebre, emicranie, tosse, linfoadenomegalia, disturbi gastroenterici.
L’utilizzo di ipodate permette inoltre di ridurre la dose di
Metimazolo (2,5 - 5 mg die) in gatti sensibili a quest’ultimo. In caso di successivo trattamento con 131Iodio occorre
sospendere il contrasto iodato per almeno 2-4 settimane
perché può interferire con la captazione dello iodio radioattivo. Anche l’acido iopanoico, anch’esso un agente
iodato da contrastografia, può essere utilizzato per il trattamento dell’ipertiroidismo e studi in umana suggeriscono di
utilizzare la stessa dose dell’ipodate.
I beta-bloccanti B1 selettivi come l’atenololo possono
essere dati per controllare la tachicardia, l’ipertensione e
l’agitazione. L’atenololo con corregge comunque il T4 e
la perdita di peso nel tempo. Il propranololo in umana viene anche utilizzato perché blocca la conversione del T4 in
T3, questa azione deve essere confermata nel gatto ed
inoltre l’azione sui recettori B2 può indurre nel gatto
broncospasmo, per questo motivo viene preferito l’utilizzo
dell’atenololo.
Da ultimo è stato riportato un trattamento definitivo in
quattro gatti con ipertiroidismo attraverso l’alcolizzazione
percutanea ecoguidata con etanolo del gozzo nodulare tossico. L’inoculazione è stata condotta dopo anestesia con
propofol. I gatti sono risultati eutiroidei in due giorni e tale
stato è rimasto invariato per i successivi 6 mesi.
NOTE
Bibliografia disponibile su richiesta.
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Fabia Scarampella
Med Vet, Dipl ECVD
Libero professionista
Milano
Approccio al prurito e all’alopecia
nel gatto
Approach to pruritus and alopecia in the cat
Domenica, 30 settembre 2001, ore 14.30
283
NOTE
PRURITO
Nel gatto le principali cause di prurito sono le ectoparassitosi e le allergie, e meno frequentemente le cause infettive (batteriche, fungine o virali), i tumori
(linfoma epiteliotropo) o le malattie immunomediate
(penfigo foliaceo).
La manifestazione più classica del prurito, il grattamento, nel gatto coinvolge per lo più la testa e il collo,
con formazione di croste brune e occasionali ulcerazioni.
Più raramente il gatto si mordicchia come il cane. Altre
manifestazioni di prurito, meno ovvie agli occhi del proprietario, sono l’alopecia simmetrica bilaterale, la dermatite miliare e la placca eosinofilica. L’ alopecia simmetrica
è localizzata più frequentemente sull’addome, sui fianchi
e sul dorso, e più raramente sulle zampe anteriori o
nell’area perineale. In questi animali il pelo appare spezzato alla base, e a volte la sua presenza è percepibile solo
al tatto o guardando la cute alopecica in controluce o con
una lente di ingrandimento. All’esame tricoscopico questo
pelo ha le punte spezzate e le radici in fase di crescita attiva. La dermatite miliare è caratterizzata da piccole crosticine, grandi appunto quanto un grano di miglio, distribuite
prevalentemente sul tronco, e identificabili al tatto più che
con l’osservazione. Le placche eosinofiliche sono lesioni
erose o ulcerate in superficie, localizzate prevalentemente
sull’addome e nell’area inguinale, ben delimitate, coperte
da un leggero strato di essudato che, se secondariamente
infetto può essere anche maleodorante. All’esame citologico per apposizione di una placca si osservano numerosi
granulociti eosinofili, oltre a molti neutrofili e batteri contaminanti e complicanti.
L’età di insorgenza e la localizzazione delle lesioni pruriginose possono aiutare nella diagnosi. I gattini sono più
predisposti alle malattie parassitarie e fungine, specialmente se provengono da ambienti affollati e frequentati da altri
animali (allevamenti, negozi, gattili, colonie). In età giovane adulta si manifestano le allergie, mentre i gatti più anziani sono predisposti alle neoplasie.
Alcune malattie manifestano una localizzazione preferenziale del prurito. Fra queste le parassitosi: la rogna
notoedrica predilige la testa (specialmente i margini auricolari) e i genitali, la rogna otodettica inizia dalle orecchie e può diffondersi all’area della testa e del collo dietro di esse, l’allergia alimentare spesso dà prurito alla te-
284
sta e al collo. Per contro l’allergia al morso della pulce
predilige la parte posteriore del corpo, quali l’addome e
la zona dorso lombare, tuttavia può localizzarsi anche
sul collo. Infine infestazioni parassitarie quali la cheyletiellosi e la demodicosi si osservano in genere localizzate sul tronco.
Infine anche l’intensità del prurito è indicativa ai fini
della diagnosi. Un prurito molto forte, che si manifesta con
escoriazioni e croste brune (sangue secco) causate da grattamento, spesso è associato a rogna notedrica, otodettica e
ad alcuni casi di allergia alimentare. Una lesione molto
grave causata dal grattamento “furioso” è rappresentata da
un’ulcera cutanea a tutto spessore che permette anche la
visualizzazione dei piani muscolari sottostanti localizzata
sul collo, sul mento, sulle guance o più raramente nelle
aree intorno ai padiglioni auricolari. Fra i fattori che la
provocano ci sono probabilmente cause allergiche (spesso
allergia alimentare), infezione batterica e possibilmente
una neuropatia periferica.
Un prurito più moderato, manifestato per lo più con
leccamento eccessivo, che porta alla formazione di placche
eosinofiliche e aree di alopecia, è associato in genere alle
allergie e ad alcune parassitosi, quali la cheyletiellosi e la
demodicosi.
L’iter diagnostico da seguire per diagnosticare correttamente la causa del prurito prevede:
a) L’esecuzione di raschiati superficiali e profondi, pettinatura del pelo, esame delle scaglie, scotch test ed esame citologico a fresco del cerume auricolare per valutare la presenza di ectoparassiti.
Si mettono facilmente in evidenza gli acari della rogna
notoedrica (raschiati da lesioni crostose sulla testa),
della rogna otodettica (esame del cerume auricolare), i
pidocchi (pettinatura del mantello), la rogna demodettica (raschiati superficiali e profondi) e la Trombicula
spp. (raschiato dalla tasca di Henry). Altri parassiti,
quali la Cheyletiella spp. e le pulci, pur presenti, possono passare inosservati e non possono essere esclusi se
non dopo una “terapia diagnostica” a base di ivermectina e controllo delle pulci.
b) L’esame con la lampada di Wood e l’esame tricoscopico consente di valutare la presenza di dermatofiti. In caso di negatività dei risultati si consiglia comunque di
eseguire un prelievo di peli e scaglie per una coltura
fungina.
NOTE
285
NOTE
286
c) Se sono presenti lesioni essudative (placche, escoriazioni, ulcere), si consiglia di eseguire un esame citologico
per apposizione dell’essudato. La presenza di batteri
all’interno dei granulociti neutrofili indica una
(sovra)infezione batterica, la presenza di numerosi eosinofili (in maggioranza rispetto alle altre cellule infiammatorie) è suggestiva di un processo di natura allergica
o parassitaria, mentre la presenza di lieviti denota una
infezione complicante da Malassezia.
Alcune volte l’esame citologico ci suggerisce una malattia poco frequente, quale il penfigo foliaceo (cellule
acantolitiche e neutrofili intatti) o il linfoma epiteliotropo (popolazione uniforme di cellule linfatiche). In
questi casi, e in ogni caso dubbio, si consiglia di eseguire numerosi prelievi bioptici per ottenere la diagnosi definitiva.
d) La dieta ad eliminazione si rende necessaria qualora il
prurito persista, avendo escluso malattie specifiche
(penfigo, neoplasie), le parassitosi, le infezioni e l’allergia al morso della pulce. Questa deve essere mantenuta
con rigidità per almeno 8 settimane, preferibilmente
preparata in casa, e contenere ingredienti sconosciuti
all’animale. Per evitare che al gatto venga a noia il solito sapore, si potranno variare le fonti di proteine tra una
gamma di carni “inusuali”, quali il cavallo, lo struzzo,
la quaglia, la faraona, il capretto, l’agnello e la lepre. In
casi estremi, se il gatto rifiuta i cibi preparati in casa, si
può ricorrere a cibi commerciali ipoallergenici i cui ingredienti l’animale non abbia mai mangiato prima (attenzione al pesce e al riso!). Idealmente il gatto non dovrebbe avere accesso ad altre fonti di cibo, né dalle ciotole degli altri animali di casa (si possono mettere tutti a
dieta per sicurezza) né all’esterno (bisognerebbe vietare
al gatto di uscire). Se il gatto migliora, ma non guarisce, dopo 8 settimane si può proporre di proseguire per
altre 2-6 settimane, e osservare se si ottiene o meno la
risoluzione completa.
e) Se la dieta non sortisce l’effetto desiderato, è probabile
che il gatto soffra di una dermatite atopica e si possono
indagare gli allergeni responsabili con il test di intradermoreazione. Se il test evidenzia ipersensibilità precise si può iniziare una iposensibilizzazione. Se invece
il risultato è dubbio o negativo è consigliabile eseguire
biopsie cutanee per la diagnosi di eventuali malattie
più rare.
f) La terapia sintomatica rimane l’ultima risorsa in caso
anche l’esame istologico non sia diagnostico di alcuna
malattia specifica o suggerisca un quadro compatibile
con malattie allergiche.
NOTE
In alcune situazioni le lesioni sono suggestive di una
causa ben precisa, ad esempio piccole papule sulla punta
delle orecchie o sul dorso del naso, spesso associate
all’ipersensibilità al morso degli insetti.
ALOPECIA
L’alopecia può essere congenita o acquisita. La forma
congenita è una rara condizione descritta nelle razze Siamese, Birmano e Burmese, mentre è normale nei gatti nudi
o quasi, quali le razze Sphinx e Rex.
L’alopecia acquisita nel gatto può presentarsi in forma
simmetrica o asimmetrica.
L’alopecia asimmetrica, focale o multifocale, può essere auto-indotta (strappamento/leccamento da parte
dell’animale per prurito o per cause psicogene), causata da
una infezione o da infiammazione che colpisce il follicolo
(dermatofitosi, demodicosi, alopecia areata, raramente piodermite) oppure può essere la conseguenza della degenerazione e dell’atrofia della radice (iniezione di cortisone, cicatrice, reazione al punto di inoculo, alopecia paraneoplastica). Occasionalmente nei gatti Persiani una muta fisiologica può temporaneamente lasciare scoperte alcune aree,
apprezzabili macroscopicamente come chiazze di ipotricosi. L’alopecia simmetrica nel gatto è invece quasi sempre
esito di leccamento da parte dell’animale che, anche in
questo caso, può essere causato dal prurito oppure può essere la conseguenza di un disturbo psicologico. L’alopecia
da leccamento si differenzia dalle altre cause (molto più
rare) di alopecia simmetrica per il fatto che la cute appare
intatta (senza desquamazione, eritema o altre lesioni) e che
i peli circostanti sono difficili da estirpare, trattandosi di
peli assolutamente sani. Questo tipo di alopecia è localizzata prevalentemente su addome, dorso, parte mediale o laterale delle cosce o sulle zampe anteriori. Più raramente è
possibile osservare alopecia generalizzata a tutto il tronco.
La superficie cutanea può essere completamente priva di
pelo, oppure ricoperta da pochi ciuffi risparmiati dalla lingua del gatto. Occasionalmente si osservano lesioni simili
287
NOTE
288
alla placca eosinofilica (piccole erosioni rosate e tondeggianti), causate dall’azione abrasiva della lingua del gatto.
In caso di alopecia da leccamento si possono anche osservare vomito o feci contenenti il pelo ingerito durante l’eccessiva toelettatura. Nell’alopecia psicogena il leccamento
eccessivo può essere accompagnato da altri segni, quali
strappamento del pelo, stati di agitazione senza motivo,
sguardo fisso e pupille semidilatate.
Anche se molto raramente, l’alopecia simmetrica può
essere causata da un danno di natura infettiva o infestiva al
follicolo pilifero (demodicosi o dermatofitosi generalizzate) oppure da malattie di natura immunomediata o neoplastica che danneggiano il follicolo (alopecia areata, follicolite murale linfocitaria e linfoma epiteliotropo).
Vi sono inoltre rare malattie metaboliche (effluvio telogeno conseguente a forte stress fisico), ormonali (sindrome
di Cushing, più raramente il diabete mellito) o paraneoplastiche (tumore al pancreas), che causano la telogenizzazione dei follicoli e la perdita diffusa del pelo.
Al fine di determinare se l’area alopecica sia causata
dalla trazione dei peli da parte del gatto, dalla loro caduta
spontanea (follicolite) o dalla completa assenza o atrofia
dei follicoli piliferi (alopecia atrofica o cicatriziale) è importante eseguire un’accurata visita clinica ed eseguire una
serie di esami collaterali.
Nei casi di alopecia auto-indotta è possibile, osservando la cute attentamente con l’ausilio di una lente, notare i
fusti piliferi spezzati presenti negli osti follicolari mentre i
peli circostanti all’area alopecica resistono alla trazione e
appaiono sani. Con l’esame tricoscopico si osservano le
radici in fase di attiva crescita (fase anagena) e le punte
spezzate.
Nel caso di follicolite e di atrofia dei follicoli la cute
appare glabra, non si osservano monconi di fusti piliferi
emergere dagli osti, (ad eccezione della dermatofitosi in
cui è possibile apprezzare la presenza di peli spezzati) e i
peli circostanti le lesioni si estirpano con estrema facilità.
Con l’esame tricoscopico si possono occasionalmente osservare spore e ife in caso di dermatofitosi, o radici in fase
telogena con punte normali nei casi di atrofia della radice
(alopecia areata, somministrazione di cortisonici locali o
sistemici, sindrome di Cushing, alopecia paraneoplastica
associata a tumori pancreatici). In caso di follicolite di natura infettiva o parassitaria si possono anche osservare lesioni a carico della superficie cutanea, quali eritema e leg-
gera desquamazione, mentre se l’animale è affetto da iperadrenocorticismo (anche localmente in aree trattate coi
preparati steroidei) la cute appare focalmente molto sottile
e può lacerarsi facilmente in seguito ad una lieve trazione.
Nell’alopecia paraneoplastica infine, la cute appare tipicamente completamente glabra e lucida.
Nelle aree di alopecia cicatriziale in genere non si osserva alcun fusto pilifero emergere sulla superficie cutanea, la cute appare depigmentata, a volte più sottile, lucida,
dall’aspetto tipicamente cicatriziale. Inoltre, i peli circostanti la lesione, che sono sani, non si estirpano facilmente,
ma resistono alla trazione.
L’iter diagnostico da seguire per diagnosticare correttamente la causa di alopecia ci obbliga a:
a) Considerare innanzitutto se si tratta di una cicatrice. La
storia clinica (reazione granulomatosa ulcerativa al
punto di inoculo di una iniezione, ferita, trauma),
l’aspetto della cute, l’assenza di fusti piliferi al centro
della lesione e la resistenza alla trazione dei peli circostanti suggeriscono questa diagnosi. Considerare anche
che si possa trattare di una atrofia dei follicoli che si osserva occasionalmente al punto di inoculo di preparati
steroidei a deposito, in questi casi la cute sottostante è
sottile.
b) Osservare la cute: se è lucida e completamente glabra e
il proprietario riporta una storia di vomito, anoressia e
diarrea si tratta probabilmente di una alopecia paraneoplastica associata a tumore pancreatico. Si suggerisce
quindi di eseguire tutte le indagini necessarie per la valutazione del pancreas e del fegato.
c) Se la cute appare dello spessore e dell’aspetto normale,
si consiglia di eseguire raschiati cutanei profondi e superficiali per la ricerca di acari Demodex.
d) Eseguire un esame con la lampada di Wood per la ricerca della dermatofitosi sostenuta da M. canis.
e) Se i raschiati e l’esame con la lampada di Wood sono
negativi eseguire un esame tricoscopico dai peli presenti al centro e nell’immediata periferia della lesione.
NOTE
Nei casi in cui le radici appaiono in fase anagena, i fusti
sono sani e le punte appaiono spezzate probabilmente si
tratta di una lesione autoindotta.
Qualora invece si osservino ife all’interno dei fusti e
spore sulla loro superficie la diagnosi è di dermatofitosi
Se i peli si estirpano facilmente, le radici sono in fase
289
NOTE
telogena e le punte sono normali si potrebbe trattare di un
disturbo ormonale localizzato (iniezione di cortisonici a
deposito nel sottocute immediatamente sottostante la lesione, applicazione di prodotti contenenti cortisonici sulla cute affetta) o sistemico (sindrome di Cushing spontanea o
iatrogena). Occasionalmente un reperto simile si osserva
anche in corso di alopecia areata, in corso di mute disomogenee nei gatti di razza Persiana, e nella sindrome paraneoplastica associata a tumore pancreatico.
f) Se l’alopecia è autoindotta è importante determinare se
il gatto ha prurito (per parassiti o allergie) o soffre di un
disturbo psicologico. A meno che il proprietario non
descriva un motivo chiaro e sicuro di disturbo psicologico, in genere si inizia dalla ricerca delle cause parassitarie e allergiche del prurito seguendo l’iter diagnostico previsto in questi casi.
g) Nei casi dubbi si può tentare una differenziazione tra le
malattie allergiche e un disturbo psicogeno con la somministrazione per pochi giorni di dosi antiinfiammatorie
di prednisolone (0,5-1 mg/kg die). L’atteggiamento del
gatto con alopecia psicogena non dovrebbe cambiare
sensibilmente, mentre il gatto allergico dovrebbe smettere di leccarsi.
h) Se l’alopecia non è autoindotta e l’esame tricoscopico
non è diagnostico si suggerisce di prelevare dei peli per
l’esame micologico. In attesa degli esiti si può somministrare un ciclo di 2-3 settimane di antibiotico per la
diagnosi ex juvantibus di follicolite batterica, peraltro
abbastanza rara nella specie felina.
i) Se anche la coltura micotica risulta negativa e la terapia
antibiotica non apporta nessun miglioramento, si suggerisce di prelevare più biopsie (almeno una dal centro e
una dalla periferia) per l’esame istologico.
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Fabia Scarampella
Med Vet, Dipl ECVD
Libero professionista
Milano
Complesso del granuloma eosinofilico
(confusione eosinofilica felina)
Granulamatous eosinophilic complex
Domenica, 30 settembre 2001, ore 15.15
291
NOTE
COMPLESSO DEL GRANULOMA
EOSINOFILICO FELINO
E DERMATITE MILIARE
Il complesso del granuloma eosinofilico è classicamente definito come un gruppo di tre lesioni clinicamente differenti: la placca eosinofilica, il granuloma collagenolitico e l’ulcera indolente. Ultimamente è stata descritta una
dermatite eosinofilica, che da alcuni autori è stata aggiunta a questo gruppo. Queste lesioni sono state accorpate,
poiché possono presentarsi contemporaneamente, perché
associate ad eosinofilia tissutale e/o ematica, e perché
spesso associate ad allergia.
È importante ricordare però che nessuna di queste patologie rappresenta una vera diagnosi, ma solo un quadro clinico o un tipo di reazione ad una varietà di eziologie sottostanti, anche molto differenti fra loro.
Placca eosinofilica
La placca eosinofilica è una lesione ben circoscritta,
leggermente rilevata, dalla forma tonda o ovale, eritematosa, leggermente essudativa ed ulcerata, localizzata più frequentemente sull’addome e sull’aspetto mediale delle cosce. Meno frequentemente si può osservare sulla faccia, vicino alla bocca o in altre parti del corpo. Queste lesioni in
genere sono pruriginose e il gatto se le lecca costantemente. Sono colpiti i gatti di tutte le età e di tutte le razze.
L’ipotesi patogenetica più accreditata è che le placche
eosinofiliche si sviluppino in animali con forte prurito cutaneo a causa dell’eccessivo leccamento e dell’azione traumatica ripetuta da parte della lingua ruvida. Questa ipotesi
è supportata dal fatto che le placche raramente si osservano
in aree difficili da raggiungere dalla lingua del gatto, quali
ad esempio le palpebre e la congiuntiva. Le malattie sottostanti sono frequentemente di natura allergica, quali l’allergia al morso delle pulci, l’allergia alimentare o l’atopia. In
particolare, lesioni in sede perianale sarebbero associate ad
allergia alimentare. Infezioni batteriche secondarie aggravano il prurito e favoriscono la formazione delle placche.
Si può ottenere un campione citologico per apposizione
dalle lesioni o dopo leggero raschiamento superficiale delle stesse. La caratteristica principale è una abbondante presenza di eosinofili, che permettono la diagnosi già con
292
questo esame collaterale. Nei casi non ancora trattati con
antibiotici è facile osservare anche granulociti neutrofili
degenerati e/o contenenti batteri intracellulari (segno di infezione batterica) e/o numerosi microorganismi in sede extracellulare (segno di contaminazione).
NOTE
Granuloma collagenolitico
I granuloma collagenolitico (detto anche granuloma lineare o granuloma eosinofilico) è una placca allungata ben
circoscritta, rilevata, dura al tatto, di colore giallo-rosa, localizzata sulla faccia caudale della coscia, spesso bilaterale. Queste lesioni di solito sono asintomatiche e non alopeciche, ma possono anche ulcerare, e in questo caso si possono osservare al loro interno granuli bianchi costituiti da
collagene degenerato che, scatena una reazione da corpo
estraneo e viene espulso dall’organismo. Non si sa ancora
se la collagenolisi precede l’infiltrato di eosinofili e ne stimola l’afflusso, o se al contrario gli eosinofili precedono la
collagenolisi e la causano con i loro prodotti, come nella
placca eosinofilica.
I granulomi ulcerati possono infettarsi ed in tal caso divengono spesso pruriginosi. Più raramente il ganuloma si
manifesta come lesioni papulose/nodulari sul mento, alla
commessura delle labbra, sui padiglioni auricolari, ai margini dei cuscinetti plantari, negli spazi interdigitali, ai letti
ungueali e nel cavo orale.
Il granuloma collagenolitico è stato osservato in gatti di
tutte le razze, e particolarmente in animali giovani - adulti.
Come per gli altri componenti del complesso del granuloma
eosinofilico, anche il granuloma collagenolitico è stato associato ad allergia alimentare, allergia al morso delle pulci, e
ad atopia. Il granuloma a localizzazione orale fa eccezione,
poiché è più probabilmente di natura idiopatica. Il decorso
può essere variabile, con remissioni spontanee e recidive.
Il granuloma collagenolitico è stato associato a patologie allergiche (specialmente allergia alimentare e morso di
insetti), ma a volte è di natura idiopatica (soprattutto quello
orale) e può avere un andamento variabile, e scomparire e
riapparire senza una causa nota.
Oltre alle classiche cause di natura allergica, ultimamente sono stati proposti nuovi meccanismi patogenetici,
fra cui la puntura degli insetti (zanzare), fattori genetici
ereditari, e agenti infettivi batterici o virali.
293
NOTE
Campioni per esami citologici si possono prelevare per
apposizione nel caso che le lesioni siano ulcerate, e i reperti risultano molto simili a quelli della placca eosinofilica.
Prelievi per ago aspirato da lesioni intatte sono di più difficile esecuzione, data la piccola dimensione dei noduli, e
contengono in genere molti granulociti eosinofili, senza infezione batterica.
Ulcera indolente
L’ulcera indolente è una lesione ben circoscritta, ulcerata, con fondo necrotico e margini rilevati, localizzata mono- o bilateralmente sul labbro superiore. Il suo nome deriva dal fatto che normalmente non è dolorosa. La si osserva
in gatti di tutte le età e di tutte le razze, e può essere associata a placche eosinofiliche o a granulomi lineari. Anche
l’ulcera indolente è stata associata a allergie.
L’ulcera indolente è stata recentemente classificata in
due entità differenti:
a) La prima inizia come un gonfiore nodulare duro del
labbro che ulcera in un secondo tempo, con margini
proliferativi. Istologicamente questa lesione è identica
al granuloma collagenolitico ed è probabilmente un
granuloma vero e proprio che si è sviluppato sul labbro,
e non dovrebbe venire chiamato ulcera indolente.
b) La seconda forma inizia come un’erosione leggermente
essudativa e croste, sul labbro, specialmente in corrispondenza del canino che esitano secondariamente in notevole gonfiore e ulcerazione importante. Questa forma,
che si può definire ulcera indolente vera e propria, risponde molto bene agli antibiotici e a volte non risponde
ai glucocorticoidi. L’eziologia di questa forma potrebbe
essere primariamente traumatica, forse a causa del dente
canino e/o dell’azione traumatica della lingua del gatto,
con complicanza secondaria di infezioni batteriche e reazioni fibrotiche e proliferative (cheilite batterica).
Dermatite eosinofilica
La dermatite eosinofilica è una nuova entità, descritta
da Wilkinson e a Mason in due differenti casi, entrambi osservati in Australia, recentemente associata al complesso
del granuloma eosinofilico.
294
Nei gatti affetti si sono osservate eruzioni papulose,
erosioni, crostosità e depigmentazione della cute della
canna nasale, erosioni crostose e papulose dei padiglioni
auricolari, desquamazione, fissurazione ed edema dei cuscinetti plantari, e linfadenopatia periferica con leggera
ipertermia.
Queste lesioni sono state associate ad una ipersensibilità alla saliva delle zanzare, poiché si sviluppano dopo il
morso di tali insetti, si manifestano soprattutto d’estate e
migliorano notevolmente quando il gatto viene tenuto in
ambienti privi di zanzare.
NOTE
TERAPIA
Alcuni granulomi collagenolitici, specie se in animali
giovani (1 anno o meno di età) possono scomparire
spontaneamente.
Per i granulomi che non scompaiono spontaneamente
così come per la placca eosinofilica e per le altre dermatiti
eosinofiliche la terapia più indicata, ove possibile, è quella
eziologica, dopo l’identificazione della causa. Nei casi di
dermatiti eosinofiliche da morso di zanzare la migliore terapia consiste nell’evitare che il gatto venga punto dagli insetti, applicando repellenti o tenendo l’animale in casa nelle ore serali e notturne.
L’iter diagnostico suggerito per l’identificazione delle
cause di placca e granuloma comprende l’esclusione di infezioni (dermatofitosi, follicolite batterica, cheiletelliosi),
un controllo adeguato delle pulci, una dieta ipoallergenica
ed il test di intradermoreazione o ELISA.
L’iposensibilizzazione, nei casi in cui siano stati identificati gli allergeni responsabili, rappresenta una valida opzione terapeutica. Nei casi in cui non sia stata identificata
una causa precisa, si può utilizzare la terapia sintomatica
basata sull’impiego di antiistaminici e acidi grassi essenziali, oppure nei casi più ostinati di glucocorticoidi
(metilprednisolone acetato, 20 mg/gatto/sc ogni 10 giorni
per tre volte; prednisolone 1-2 mg/kg per os a giorni alterni). Si sconsiglia invece l’uso di megestrolo acetato, a causa dei suoi effetti collaterali di soppressione del midollo
osseo.
Il PLR 120 (Palmidrol INN), un farmaco che inibisce la
degranulazione dei mastociti, è stato impiegato nel trattamento di gatti con placca e granuloma eosinofilico. In più
295
NOTE
296
della metà (65%) dei soggetti trattati è stata osservata una
diminuzione del prurito, dell’eritema, dell’alopecia e
dell’estensione delle lesioni.
Per i casi di ulcera indolente del primo tipo, refrattari
alla terapia cortisonica, o che recidivano frequentemente,
si possono utilizzare la crioterapia, l’escissione chirurgica,
la radioterapia, la CO2-laserterapia, i sali d’oro e l’immunomodulazione. I casi di ulcera indolente del secondo tipo
vengono controllati bene con la terapia antibiotica.
Recentemente da alcuni autori è stata impiegata la ciclosporina (5mg/kg/die per os) con ottimi risultati su placca e granuloma. Risultati meno soddisfacenti sono stati invece ottenuti nel trattamento dell’ulcera indolente con questo farmaco.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Fabia Scarampella
Med Vet, Dipl ECVD
Libero professionista
Milano
Quando e come il gatto è diverso
dal cane in dermatologia
When (and how) the cat is different
from the dog in dermatology
Domenica, 30 settembre 2001, ore 16.00
297
NOTE
298
Alcuni fattori strutturali e funzionali differenziano la
reattività cutanea del gatto da quella del cane. In primo
luogo nella specie felina sono presenti, in condizioni normali, un maggior numero di mastociti cutanei, e questo ne
determina uno stato di maggiore di reattività fisiologica.
In secondo luogo, la risposta infiammatoria osservabile
nel gatto in corso delle più diverse malattie, è quasi sempre
dominata da un’imponente infiltrato eosinofilico.
Queste caratteristiche fanno sì che i quadri clinici osservabili in questa specie in corso delle malattie più diverse (allergiche, parassitarie, batteriche, fungine…) siano
spesso sovrapponibili e quindi, a differenza di ciò che avviene nel cane, poco suggestivi di per sé di una malattia
specifica.
Il segno clinico che più spesso osserviamo in corso di
dermatite felina è il prurito e il gatto lo manifesta leccandosi, grattandosi e, meno frequentemente mordicchiandosi.
Le conseguenze dirette del leccamento eccessivo nel gatto
sono l’ipotricosi e/o l’alopecia simmetriche che spesso
coinvolgono estese aree cutanee come l’addome, i fianchi
e la regione postero-mediale delle cosce. Nelle forme croniche o nei casi di prurito più intenso, sono osservabili lesioni erosivo-essudative (placche eosinofiliche) nelle sedi
di leccamento. Il grattamento nel gatto è apprezzabile quasi esclusivamente nei casi in cui il prurito è localizzato a
testa e collo e le lesioni provocate dagli artigli in queste sedi sono spesso molto gravi e difficili da gestire (escoriazioni, ulcere, croste).
Il grattamento nel cane è la manifestazione di prurito
diffuso più frequente, può interessare il tronco, oltre che la
testa e il collo e le lesioni prodotte sono di solito meno
gravi e più diffuse di quelle osservabili nella specie felina.
Il prurito localizzato si manifesta invece nel cane con il
leccamento e il mordicchiamento focalizzato in una sede
precisa come, ad esempio, gli spazi interdigitali o l’estremità diststale di un arto. L’ipotricosi e l’alopecia che ne
conseguono sono solitamente multifocali, interessano aree
meno estese e raramente sono simmetriche. In questa specie, nei casi cronici, sono osservabili noduli e placche lichenificate e iperpigmentate alle sedi del trauma.
Le allergie rappresentano la causa di prurito più frequente in entrambe le specie. Tuttavia, mentre nel cane esistono segni clinici e criteri precisi che ci permettono orientarci verso le malattie allergiche, questo non avviene nel
gatto.
Nel cane il prurito, l’eritema localizzati agli spazi interdigitali, ai padiglioni auricolari, sul muso, alla faccia flessoria del carpo ed estensoria del tarso e agli avambracci
sono suggestivi di atopia o di allergia alimentare. Prurito,
seborrea, papule, alopecia e presenza di aree focali di dematite acuta umida localizzate alla regione dorso-lombare,
sono suggestive invece di allergia al morso delle pulci o di
allergia alimentare.
I quadri clinici osservabili in corso di allergie nel gatto
comprendono, dermatite miliare, lesioni del complesso
del granuloma eosinofilico (placca eosinofilica, granuloma lineare, ulcera indolente e dermatite eosinofilica), alopecia autoindotta e dermatite facciale. Ad eccezione della
dermatite facciale, che sembra essere più frequentemente
associata ad allergia alimentare, nessuno di questi segni
clinici può considerarsi patognomonico di una di queste
malattie.
Nel cane nelle forme croniche è osservabile la presenza
di infezioni ricorrenti batteriche e da Malassezia secondarie, mentre queste sono complicanze riscontrabili più raramente nel gatto.
In entrambe le specie lesioni papulo-crostose pruriginose con localizzazioni tipiche sono il segno clinico di alcune
malattie parassitarie (rogna sarcoptica, rogna notoedrica,
trombiculiasi), tuttavia nel gatto lesioni del complesso del
granuloma eosinofilico e dermatite miliare sono comunemente osservabili in corso di cheiletelliosi ed infestazione
da pulci.
Nel cane la rogna demodettica si può manifestare in
forma localizzata o in forma generalizzata. La prima si
manifesta normalmente in animali giovani (al di sotto
dell’anno di età), è localizzata prevalentemente al muso o
alle zampe, e consiste di una o due chiazze alopeciche. Alcuni di questi animali guariscono spontaneamente (fino al
90% dei casi), mentre altri possono progredire alla forma
generalizzata. In quest’ultima si osservano numerose aree
di infestazione, a volte confluenti a coinvolgere la maggior
parte del corpo, comprese le zampe (pododemodicosi) e/o i
condotti uditivi esterni (otodemodicosi).
La demodicosi felina si manifesta solitamente con una
dermatite eritematoso-crostosa localizzata alle palpebre,
sulla cute perioculare, sulla testa e sul collo. Il prurito è di
intensità variabile e talvolta è presente otite ceruminosa. A
differenza del cane, l’età non sembra essere un fattore predisponente, mentre una predisposizione sembra essere pre-
NOTE
299
NOTE
300
sente nelle razze Burmese e Siamese. Nel gatto Persiano è
osservabile una forma clinica particolare caratterizzata da
seborrea oleosa facciale.
La forma generalizzata si riscontra raramente. I soggetti
colpiti soffrono solitamente di malattie sottostanti che inducono uno stato di immunodepressione quali diabete,
FIV, FeLV, carcinoma squamocellulare in situ.
Le infezioni batteriche (piodermiti), sostenute nella
maggior parte dei casi da S.intermedius, sono molto comuni nel cane e sono classificate in questa specie in base alla
profondità e gravità delle lesioni in di superficie, superficiali e profonde. Le infezioni batteriche di superficie e superficiali sono meno frequenti nel gatto. Tra le forme di
superficie è osservabile l’intertrigine delle pliche facciali
in alcune razze (Persiano, Esotico) mentre P.multocida e
streptococchi β emolitici sono gli agenti eziologici di una
dermatite pustolosa superficiale descritta nei gattini. Questi batteri, che fanno parte della normale flora batterica
orale nel gatto, vengono trasportati sulla cute dei cuccioli
dalla madre nel corso delle normali operazioni di pulizia.
Si ipotizza che il leccamento insistente ed eccessivo sia responsabile dell’infezione. Le follicoliti sono una forma di
piodermite superficiale molto comune nel cane, in particolare nelle razze a pelo corto. Nei soggetti colpiti sono osservabili aree di alopecia multifocale che conferiscono al
mantello il caratteristico aspetto “tarmato”. Nel gatto la
follicolite superficiale batterica è una condizione rara. Si
manifesta con presenza di papule crostose (dermatite miliare) sul tronco o con aree anulari alopeciche e crostose
sulla testa.
Tra le infezioni profonde la follicolite e foruncolosi del
mento (acne canina), è un problema infiammatorio cronico
che colpisce i soggetti a pelo corto (alani, boxer) in età
giovanile. L’infezione batterica è probabilmente un problema secondario a traumi locali. Le lesioni iniziali sono papule follicolari che si ingrandiscono progressivamente sino
a formare piccoli noduli che si ulcerano lasciando fuoriuscire un essudato emorragico-purulento. S.intermedius è il
batterio più frequentemente isolato da queste lesioni. Nel
gatto l’acne del mento è un difetto di cheratinizzazione che
si complica facilmente con foruncolosi. Pasteurella multocida e streptococchi β emolitici sono i batteri comunemente isolati dai focolai di infezione in questa specie.
Gli ascessi sottocutanei, sono infezioni rare nel cane ma
comuni nel gatto e rappresentano l’esito di ferite da morso
o da graffio. Le lesioni sono inizialmente dolenti, edematose e tumefatte, localizzate alla sede del trauma. Successivamente divengono fluttuanti e fistolizzate. Un abbondante
essudato emorragico-purulento viene drenato dai numerosi
tragitti fistolosi che si aprono sulla superficie cutanea.
Tra le malattie fungine, la dermatofitosi rappresenta
l’infezione più frequente nel gatto. Il 98% delle dermatofitosi feline sono causate da Microsporum canis, poiché questo fungo si è adattato molto bene a convivere col gatto,
che ne rappresenta il serbatoio principale. M.canis non è
però da considerarsi un normale abitante della flora cutanea felina, ed il suo isolamento indica la presenza di un’infezione attiva o individua un soggetto che funge da portatore asintomatico. Il quadro clinico in questa specie è
estremamente variabile, e spazia da una forma asintomatica a un’infezione devastante dei tessuti profondi, a seconda
dello stato immunitario dell’animale, che è un fattore determinante. L’aspetto della dermatofitosi felina può essere
tanto variabile, che essa può venire inclusa nella diagnosi
differenziale di quasi tutte le malattie cutanee.
Nel cane le micosi sono più rare e per lo più legate a fenomeni di immunosoppressione, cure carenti (cuccioli di
importazione provati dal viaggio) o presenza di un gatto
con dermatofitosi nella stessa casa. La maggior parte delle
micosi del cane è sostenuta da M. canis, tuttavia si possono
osservare infezioni da T. mentagrophytes (fungo prevalentemente geofilo) localizzate in zone corporee a contatto
con il terreno. Nel cane la dermatofitosi sostenuta da M.
canis in genere si presenta con quadri infiammatori più
marcati rispetto al gatto, e si può manifestare come un’alopecia a chiazze tonde o generalizzata, spesso associata ad
eritema, desquamazione e prurito. In alcuni casi si può sovrapporre una infezione batterica secondaria con formazione di foruncolosi, kerion e granulomi. Una dermatite seborroica con scaglie untuose può accompagnare le forme
generalizzate (specie nello Yorkshire terrier).
Tra le malattie autoimmuni il penfigo foliaceo è la forma più frequente di penfigo nel cane e nel gatto, e probabilmente la malattia cutanea autoimmune più comune in
queste specie.
Nel cane la maggior parte delle lesioni si sviluppa sulla
testa: sul dorso del naso, sul tartufo, nelle aree perioculari
e sulle pinne. Altre localizzazioni frequenti sono i cuscinetti plantari, con fissurazioni, ipercheratosi e raramente
pustole, e i genitali (scroto). A volte si osserva una forma
NOTE
301
NOTE
302
generalizzata in tutto il corpo o una forma localizzata
esclusivamente ai cuscinetti plantari.
Nel gatto si osservano spesso lesioni, oltre che sulla testa, anche attorno ai capezzoli e lesioni ai letti ungueali, in
cui si raccoglie materiale caseoso biancastro ricco di cellule acantolitiche. Più raramente si possono osservare onicomadesi, paronichia e lesioni ai cuscinetti plantari.
Tra le malattie ormonali l’ iperadrenocorticismo spontaneo è riscontrabile sia nei cani nei gatti.
Come nel cane i segni clinici più comuni dell’peradrenocorticismo nel gatto sono poliuria, polidipsia, polifagia,
debolezza muscolare, e aspetto a botte dell’addome. Nel
gatto questi segni sono spesso correlati (75-100% dei casi)
alla presenza di concomitante diabete mellito.
Il 50% dei gatti con iperadrenocorticismo spontaneo ha
alterazioni cutanee. In particolare alopecia multifocale, seborrea secca e presenza di infezioni secondarie (ascessi,
piodermiti, demodicosi). È caratteristico l’assottigliamento
e l’aumento di fragilità della cute, che si lacera con traumi
anche minimi. A differenza del cane, le forme di iperadrenocorticismo iatrogeno nel gatto sono molto rare ed i segni
clinici osservabili nei soggetti colpiti sono quasi del tutto
sovrapponibili a quelli osservabili in corso di malattia
spontanea. Un segno caratteristico di questa forma è l’accartocciamento mediale del margine distale dei padiglioni
auricolari, che non è osservabile nell’iperadrenocorticismo
spontaneo.
Il linfoma cutaneo è una malattia neoplastica riscontrabile in entrambe le specie ed è caratterizzato da una proliferazione neoplastica di linfociti T residenti nella pelle.
Nel gatto una buona parte di linfomi sono di origine virale
(FeLV). Lesioni a placca, singole o multiple, eritematose,
pruriginose o non pruriginose, e desquamative sono osservabili in entrambe le specie. Nel gatto spesso è presente
una singola placca ma possono comparirne altre mentre il
tumore progredisce. Queste lesioni sono molto pruriginose
e possono essere oggetto di autotraumatismo da parte
dell’animale.
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Andy Sparkes
BVet Med, PhD, Dipl ECVIM-CA, MRCVS
The Animal Health Trust
Newmarket, Regno Unito
Diagnosi e trattamento
dell’insufficienza renale cronica
nel gatto
Diagnosis and management of feline chronic
renal failure
Sabato, 29 settembre 2001, ore 17.15
303
NOTE
INTRODUZIONE
L’insufficienza renale cronica è una causa comune ed importante di morbilità e mortalità nel gatto. La sua caratteristica distintiva è il declino cronico della popolazione dei nefroni funzionanti sino ad un punto in cui la velocità di filtrazione glomerulare non è più adeguata per mantenere la normale
funzione escretoria. Ciò porta ad iperazotemia (aumento dei
livelli plasmatici di urea e/o creatinina) e ritenzione di altri
soluti plasmatici e prodotti catabolici proteici che normalmente vengono eliminati attraverso i reni. Infine, la disfunzione renale e la ritenzione di questi prodotti esitano in una
serie di segni clinici associati all’insufficienza renale cronica,
comunemente indicati col nome di “sindrome uremica”. Nei
primi stadi dell’insufficienza renale cronica, il declino del
numero dei nefroni viene compensato dall’aumento della velocità di filtrazione glomerulare dei singoli nefroni. Il calo
complessivo della velocità di filtrazione glomerulare non è
quindi proporzionale al numero dei nefroni funzionalmente
perduti, e questo è uno dei motivi per cui risulta difficile riconoscere precocemente la nefropatia. Anche se l’insufficienza
renale cronica si può osservare in gatti giovani, e riconosce
cause sia congenite che ereditarie, nella maggior parte dei casi la si incontra come malattia acquisita nei soggetti di media
età o anziani. Si ritiene che nei felini la malattia sia circa 2 o
3 volte più comune che nel cane. Inoltre, nel momento in cui
vengono portati all’attenzione del veterinario, i gatti sono
spesso colpiti da una malattia più avanzata di quella dei cani,
probabilmente a causa delle differenze nella presentazione
clinica della condizione nelle due specie animali (particolarmente per quanto riguarda polidipsia e poliuria - vedi oltre).
Nel momento in cui l’insufficienza renale si rende clinicamente evidente, si è generalmente verificata una perdita
del 70% almeno dei nefroni funzionanti. Nel presente lavoro vengono illustrati brevemente l’eziologia, i segni clinici
e la diagnosi dell’insufficienza renale cronica del gatto, per
poi delineare gli approcci attualmente utilizzati per la terapia medica di questa condizione.
EZIOLOGIA DELL’INSUFFICIENZA
RENALE CRONICA DEL GATTO
L’eziologia primaria dell’insufficienza renale cronica del
gatto è spesso oscura, sebbene sia stata documentata una va304
rietà di cause. L’esame istologico dei reni dei soggetti colpiti
mostra di solito come riscontro più comune una nefrite interstiziale cronica, ma la causa di questa alterazione resta
poco chiara. È stato ipotizzato che la pielonefrite o glomerulonefrite cronica possa spiegare almeno una parte di questi
casi di insufficienza renale cronica “in stadio terminale”.
NOTE
Potenziali eziologie dell’insufficienza
renale cronica del gatto
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Nefrite tubulointerstiziale cronica
Glomerulonefrite
Pielonefrite
Nefropatia policistica
– congenita
– acquisita
Amiloidosi
– familiare
– acquisita
Nefrotossine
– antibiotici
– glicol etilenico
Ipercalcemia
Idronefrosi
Linfoma renale
SEGNI CLINICI E DIAGNOSI
DELL’INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
DEL GATTO
Le manifestazioni cliniche dell’insufficienza renale cronica del gatto sono spesso aspecifiche, e i segni più comuni
sono la disidratazione, l’anoressia, la letargia e la perdita di
peso (vedi tabella, dati derivati da tre studi - Lulich et al.,
1992 CompContEdPractVet 14, 127; Krawiec et al. 1989
CurrVetTher X, p. 1170; DiBartola et al. 1987 JAVMA 190,
1196). La polidipsia e la poliuria (PU/PD) che vengono considerate come i principali segni clinici dell’insufficienza renale cronica del cane, nel gatto vengono segnalate molto
meno frequentemente, in parte, forse, a causa delle caratteristiche dello stile di vita dei felini (minore riconoscimento di
PU/PD), ma probabilmente soprattutto perché molti gatti
conservano una capacità di concentrazione dell’urina molto
più elevata anche in presenza dell’insufficienza renale croni305
NOTE
ca rispetto a quanto non avvenga nel cane. Inoltre, anche se
l’insufficienza renale cronica è tipicamente associata al riscontro alla palpazione di reni piccoli ed irregolari, in molti
gatti colpiti dalla malattia questi organi appaiono ingrossati,
riflettendo la presenza di condizioni primarie come la nefropatia policistica ed il linfoma renale, che portano alla nefromegalia. Altre manifestazioni comuni della sindrome uremica nel gatto sono rappresentate da vomito, (dovuto agli effetti centrali delle tossine uremiche, all’ipergastrinemia ed
all’ulcera gastrica uremica), pallore delle mucose (secondario ad anemia) e retinopatia ipertensiva (che comprende i distacchi retinici). È stato segnalato che l’ipertensione sistemica insorge in una percentuale di gatti con insufficienza renale cronica che può arrivare al 60-70%.
Segni clinici comuni in 337 casi di insufficienza
renale cronica nel gatto
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Disidratazione
Anoressia
Letargia/depressione
Perdita di peso
PU/PD
Vomito
Macrorene
Microrene
Pallore delle mucose
Ulcera orale
Diarrea
Distacco retinico
Inoltre
Ematuria/disuria
Mantello scadente
Alitosi
Osteodistrofia
Costipazione
67%
64%
52%
47%
32%
30%
25%
19%
7%
5%
4%
4%
La diagnosi dell’insufficienza renale cronica si basa solitamente sul riscontro di segni clinici e sulla dimostrazione dell’iperazotemia e delle alterazioni della concentrazione dell’urina. Poiché i gatti colpiti dalla malattia spesso
conservano una certa capacità di concentrazione, non si osserva necessariamente un’isostenuria. In uno studio, quest’ultima è stata riscontrata nel 57% dei felini con insufficienza renale cronica, ma un certo grado di iperstenuria
306
(PS > 1.015) era presente nel 42% dei casi. In un’altra indagine, nel 60% dei gatti colpiti dalla malattia il valore di
PS era > 1.012. Tuttavia, pochi gatti con insufficienza renale cronica avanzata possono concentrare l’urina sino a
valori superiori a 1.035 e la presenza di iperazotemia con
un PS urinario < 1.035-1.040 viene solitamente considerata un segno di insufficienza renale primaria.
Oltre all’iperazotemia, nei gatti con insufficienza renale
cronica si osserva comunemente un certo numero di altre
modificazioni dei parametri di laboratorio (vedi tabella,
dati da Lulich et al. 1992 CompContEdPractVet 14, 127;
DiBartola et al. 1987 JAVMA 190, 1196). Fra questi risultano importanti l’iperfosfatemia (dovuta alla riduzione della velocità di filtrazione glomerulare), l’acidosi (incapacità
dei reni insufficienti di effettuare l’escrezione del carico
acido normale), l’anemia ipoproliferativa (da riduzione
della vita media degli eritrociti, soppressione uremica
dell’eritropoiesi e carenza relativa o assoluta di eritropoietina). Alcune delle altre variazioni comunemente osservate
(quali leucocitosi, linfopenia, iperglicemia ed iperproteinemia) possono semplicemente riflettere gli effetti dello
stress e/o della disidratazione. Fatta eccezione per l’iperfosfatemia, nell’insufficienza renale cronica generalmente
non si riscontrano gravi disturbi elettrolitici sino a che la
malattia non ha raggiunto stadi molto avanzati. Tuttavia,
nei gatti colpiti un’importante eccezione a questa regola è
rappresentata dal potassio. Nell’insufficienza renale cronica felina si osserva comunemente l’ipokalemia, probabilmente dovuta ad una kaliuresi inappropriata, che costituisce un’importante complicazione in questa specie animale.
NOTE
Comuni risultati degli esami di laboratorio in 206 casi
di insufficienza renale cronica felina
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•
•
•
•
Aumento dei livelli di urea
Aumento dei livelli di creatinina
Ipercolesterolemia
Riduzione della TCO2
Iperfosfatemia
Altro:
– Iperamilasemia
– Linfopenia
– Iperproteinemia
– Iperglicemia
– Leucocitosi
99%
97%
73%
64%
23%
307
NOTE
VALUTAZIONE DELLA FUNZIONE RENALE
Anche se la misurazione della velocità di filtrazione
glomerulare è possibile, e rappresenta il test standard per
la valutazione della funzione renale, le metodiche attualmente disponibili sono complesse e/o costose e, quindi,
non vengono utilizzate di routine nella pratica professionale. Invece, si impiegano di solito come indici della funzione renale le misurazioni dei livelli sierici di urea e creatinina. Una volta eliminati i fattori non renali, la presenza di
un’iperazotemia implica una perdita funzionale del 75% o
più dei nefroni. L’interpretazione dei livelli di urea e creatinina va effettuata con un certa cautela, soprattutto quando
risultano ai limiti superiori della norma o di poco aumentati, dal momento che un deterioramento anche abbastanza
sostanziale della funzione renale esita soltanto in un incremento relativamente limitato di questi parametri. Al contrario, negli stadi avanzati della nefropatia, un peggioramento relativamente ridotto della funzione renale può causare un marcato incremento delle concentrazioni di
urea/creatinina. In generale, la creatininemia riflette la funzione renale in modo più accurato dell’azotemia.
TRATTAMENTO MEDICO
DELL’INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
Trattamento della causa primaria
È importante identificare e trattare le cause reversibili
dell’insufficienza renale cronica o dei fattori che contribuiscono alla sua insorgenza, anche se in molti casi questi
possono non essere presenti. Tuttavia, la ricerca di condizioni quali la pielonefrite, la glomerulonefrite e l’ostruzione del tratto urinario, o il danno renale iatrogeno conseguente alla somministrazione di antinfiammatori non steroidei o di antibiotici aminoglicosidici può consentire di
intervenire per arrestare la progressione del danno renale.
Mantenimento dell’equilibrio idrico
L’inadeguata assunzione di acqua nell’insufficienza
renale cronica è associata a disidratazione, ridotta perfusione renale ed ulteriore compromissione della funzione
308
dell’organo. Alcuni gatti vengono portati alla visita con
un’insufficienza renale cronica in scompenso acuto a causa di un’improvvisa deplezione volumetrica, mentre altri,
in particolare durante la progressione dell’insufficienza
renale cronica, possono subire una disidratazione cronica
o ricorrente ed un’ipoperfusione renale. I gatti con scompenso acuto necessitano di una fluidoterapia endovenosa,
seguita dalla rivalutazione dei livelli di azotemia dopo la
correzione della disidratazione, per consentire una valutazione accurata della funzione renale. Il mantenimento di
un’adeguata assunzione di liquidi è di primaria importanza nell’insufficienza renale cronica ed è necessario spiegare ai proprietari la natura della poliuria obbligata che
spesso si accompagna all’insufficienza renale e, quindi,
la conseguente necessità di avere sempre libero accesso
all’acqua. Un’ulteriore assunzione idrica si può ottenere
in molti modi (ad es., impiegando alimenti umidi piuttosto che secchi, o integrando la dieta con acqua o brodi),
ma nei gatti che non riescono a mantenere volontariamente un’adeguata assunzione di liquidi, molti proprietari possono acconsentire alla somministrazione di fluidi
sottocutanei direttamente a casa (ad es., fluidi costituiti
da due parti di destrosio al 5% ed una parte di soluzione
di Ringer lattato).
NOTE
Ritardare la progressione e trattare
le complicazioni dell’insufficienza renale cronica
a) Restrizione delle proteine della dieta
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Scarse
I vantaggi clinici della restrizione delle proteine nell’insufficienza renale cronica sono stati confermati da studi
condotti sia nel gatto che in altre specie animali. Si ritiene
che i prodotti del catabolismo proteico contribuiscano in
modo significativo alla comparsa dei segni clinici associati
alla sindrome uremica e, quindi, che la restrizione delle
proteine non essenziali nella dieta riduca i cataboliti azotati e contribuisca ad alleviare i segni clinici come il vomito,
l’anoressia, l’inappetenza, la perdita di peso, l’anemia e la
letargia. Una moderata restrizione proteica in presenza di
iperazotemia rappresenta quindi un’indicazione standard
309
NOTE
310
per i gatti con insufficienza renale cronica e di solito va attuata preferibilmente ricorrendo alle diete commerciali
ipoproteiche.
Il fatto che la restrizione delle proteine nella dieta abbia o meno un impatto diretto sulla progressione dell’insufficienza renale nel gatto è ancora un argomento molto
controverso. Come nei cani con riduzione del numero
dei nefroni, anche nel gatto la risposta dei nefroni superstiti è rappresentata da un aumento della velocità di filtrazione glomerulare dei singoli nefroni, ottenuta mediante iperfiltrazione glomerulare, ipertrofia glomerulare
ed ipertensione glomerulare ed associata ad un aumento
della proteinuria. In alcuni modelli sperimentali di insufficienza renale cronica (soprattutto nei ratti) queste variazioni adattative si sono dimostrate pericolose per i nefroni superstiti ed infine hanno causato la progressione
dell’insufficienza renale cronica o comunque vi hanno
contribuito. La restrizione delle proteine della dieta può
ridurre al minimo queste alterazioni nei modelli sperimentali e, quindi, ritardare la progressione dell’insufficienza renale cronica. Una recente analisi dei risultati di
diversi studi ha suggerito che la restrizione proteica possa rallentare la progressione dell’insufficienza renale
cronica nell’uomo, ma ciò non è stato dimostrato anche
nel cane e nel gatto.
Nei felini gli studi condotti sono stati limitati, ma, in
un modello sperimentale, la restrizione proteico-calorica
ha determinato una significativa riduzione della proteinuria e del danno morfologico glomerulare, anche se la
velocità di filtrazione glomerulare è rimasta stabile sia
nel gruppo alimentato con bassi livelli di proteine e calorie che in quello trattato con concentrazioni più elevate.
Benché questo studio abbia suggerito che la restrizione
delle proteine nella dieta può limitare il danno morfologico renale, l’effetto confondente dell’assunzione calorica variabile non è stato escluso ed al momento attuale
non esistono prove a sostegno del fatto che la restrizione
proteica ritardi la progressione dell’insufficienza renale
cronica nel gatto. Inoltre, il fatto che per molti gatti le
diete a basso tenore proteico possano risultare scarsamente appetibili ne può limitare il valore clinico, mentre
e è importante evitare che l’uso di una dieta con una restrizione proteica troppo elevata o non appetita dagli animali provochi l’insorgenza di una malnutrizione proteico-calorica.
b) Restrizione dei livelli di fosforo nella dieta
NOTE
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Moderate
La ritenzione del fosforo nell’insufficienza renale cronica è un fattore importante nello sviluppo dell’iperparatiroidismo secondario renale ed anche nella mineralizzazione dei tessuti molli. La restrizione dei livelli di fosforo nella dieta può quindi smorzare l’iperparatiroidismo secondario renale ed uno studio condotto su gatti con insufficienza
renale indotta è risultato in grado di prevenire le lesioni
istologiche renali (mineralizzazione, fibrosi ed infiammazione) riscontrate nei felini alimentati con una dieta non
sottoposta a restrizione. Tuttavia, in questo studio nessuno
dei due gruppi di gatti ha mostrato una disfunzione renale
progressiva.
Sulla base dei riscontri nei felini ed attraverso l’estrapolazione dei risultati degli studi effettuati nel cane ed in altre
specie animali, nell’insufficienza renale cronica si ritiene
consigliabile la restrizione dei livelli di fosforo nella dieta.
L’impiego di diete a basso tenore di proteine consente di ottenere una riduzione dell’assunzione di fosforo, che però
non è sempre sufficiente a prevenire l’iperfosfatemia che si
riscontra nell’insufficienza renale cronica. Se è presente
un’iperfosfatemia (livelli sierici di fosforo a digiuno > 2
mmol/l) nonostante la restrizione della dieta, è possibile
somministrare con i pasti i leganti del fosforo per os. Quelli
più comunemente utilizzati sono l’alluminio idrossido, l’alluminio carbonato o l’alluminio ossido, a dosi di 30-90
mg/kg/die, da regolare in funzione della risposta. Sono disponibili anche agenti a base di calcio (carbonato ed acetato), ma il loro impiego può indurre un’ipercalcemia.
c) Terapia con calcitriolo
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Scarse
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Scarse
La terapia con calcitriolo (1,5-3,5 ng/kg/die) è stata
suggerita per il trattamento dei gatti con insufficienza renale cronica sulla base del fatto che si tratta di un trattamento
efficace per l’iperparatiroidismo secondario renale e che
quest’ultimo può avere un ruolo importante nella patoge311
NOTE
nesi della sindrome uremica ed eventualmente nella progressione dell’insufficienza stessa. Tuttavia, anche se il
calcitriolo è stato oggetto di un impiego clinico molto esteso, mancano studi controllati che confermino l’utilità di
questa terapia. Benché sia caldamente raccomandata da alcuni clinici, per poter ritenere fortemente indicata questa
terapia saranno necessari ulteriori studi.
d) Controllo dell’ipokalemia
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Buone
L’ipokalemia, dovuta probabilmente ad una kaliuresi
inappropriata, è un riscontro comune nell’insufficienza renale cronica del gatto. Il segno clinico principale di una
grave ipokalemia è la polimiopatia, con debolezza muscolare generalizzata e ventroflessione del collo. Inoltre, sembra che la condizione possa influire negativamente sulla
funzione renale e contribuire all’insufficienza cronica.
L’integrazione con potassio dei gatti ipokalemici nell’insufficienza renale cronica esita spesso in un miglioramento
della funzione dell’organo e, inoltre, è stato dimostrato che
l’offerta di una dieta acidificante a ridotto contenuto di potassio ai gatti normali induce in realtà un danno renale.
La polimiopatia ipokalemica è considerata la causa più
comune di debolezza muscolare generalizzata nel gatto e la
maggior parte di questi casi è correlata all’insufficienza renale cronica. Nei soggetti colpiti dalla condizione, si raccomanda quindi la valutazione di routine dei livelli sierici
del potassio, effettuando un’integrazione in caso di necessità. Le diete non acidificanti a basso tenore di proteine
contribuiscono a mantenere le concentrazioni sieriche del
potassio, ma se queste cadono al di sotto di 4 mmol/l si
raccomanda un’integrazione specifica con sali di questo
elemento. Il gluconato di potassio è preferibile al cloruro,
che risulta sgradito agli animali e può causare un’irritazione gastroenterica. Si possono somministrare dosi iniziali di
1-4 mmol di potassio due volte al giorno, a seconda della
gravità dell’ipokalemia; dosi di 1-2 mmol di potassio due
volte al giorno di solito mantengono la normokalemia (potassio sierico di 4-5 mmol/l).
Anche se l’integrazione per os con basse dosi di potassio è stata consigliata per tutti i gatti con insufficienza re312
nale cronica, una recente indagine non ha dimostrato alcun
vantaggio della somministrazione di gluconato di potassio
a gatti normokalemici con insufficienza renale cronica ad
insorgenza spontanea.
NOTE
e) Controllo dello status acido basico
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Scarse
Nell’insufficienza renale cronica si riscontra spesso
un’acidosi metabolica che può contribuire ad un certo numero delle caratteristiche importanti della malattia come
l’anoressia, il vomito, la nausea, la perdita di peso, la letargia, l’ipokalemia e la demineralizzazione della muscolatura scheletrica. Esistono quindi chiaramente dei potenziali vantaggi clinici per il trattamento dell’acidosi nell’insufficienza renale cronica e se le concentrazioni totali di
CO 2 (TCO 2) (o i livelli di bicarbonato) risultano < 15
mmol/l si deve prendere in considerazione la terapia mediante bicarbonato di sodio per os. Questo composto va
somministrato alla dose iniziale di 5-10 mg/kg due o tre
volte al giorno. I dosaggi devono essere regolati in funzione della risposta, al fine di mantenere i livelli di TCO2 fra
18 e 23 mmol/l.
Se il gatto viene alimentato con una dieta per l’acidificazione dell’urina, questa va interrotta e, idealmente, sostituita da una a basso tenore di proteine.
f) Controllo dell’ipertensione sistemica
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Scarse (?)
L’ipertensione sistemica è un riscontro comune nell’insufficienza renale cronica del gatto, anche se la sua reale
prevalenza è difficile da determinare. La misurazione della
pressione sistolica indiretta risulta facile nel gatto utilizzando il metodo ultrasonico Doppler; servendosi delle metodiche messe a punto per simulare la situazione in una clinica per pazienti non ricoverati abbiamo riscontrato un valore medio di pressione sistolica in gatti sani pari a 161
mm Hg, anche se in alcuni si arrivava a 200 mm Hg.
313
NOTE
Nell’uomo, esistono prove inequivocabili del fatto che
il controllo dell’ipertensione sistemica ritarda la progressione dell’insufficienza renale cronica. Nel cane e nel gatto
mancano analoghe dimostrazioni, ma ciononostante, dato
il nostro attuale stato di conoscenze, raccomandiamo di instaurare una terapia antipertensiva in tutti i gatti con pressione sistolica costantemente superiore a 200 mm Hg.
Inoltre, nei soggetti in cui questo parametro supera il limite di 180 mm Hg è necessario uno stretto monitoraggio e la
terapia va attuata anche in tutti i gatti con segni di retinopatia ipertensiva.
I farmaci più comunemente utilizzati per il trattamento
dell’ipertensione felina sono il calcio-bloccante amlodipina besilato alla dose per os di 0,625-1,25 mg/gatto/die, oppure l’ACE inibitore enalapril alla dose per os di 0,25-0,5
mg/kg una o due volte al giorno.
g) Trattamento dell’anemia ipoproliferativa
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Assenti
L’anemia progressiva si riscontra comunemente nell’insufficienza renale cronica e sembra contribuire ad una varietà di segni clinici quali letargia, inappetenza, debolezza
e perdita di peso. La terapia ormonale con steroidi androgeni o eritropoietina umana ricombinante (rHuEPO) costituisce il trattamento più ampiamente utilizzato per l’anemia da insufficienza renale cronica. Tuttavia, in alcuni gatti, all’anemia può contribuire la carenza di ferro, dovuta sia
ad un’inadeguata assunzione con la dieta che a perdite
ematiche gastroenteriche. In questi casi, per correggere lo
stato carenziale è possibile somministrare solfato ferroso
per os alla dose di 50-100 mg/die. In presenza di un sanguinamento gastroenterico, è necessario prestare alla condizione la dovuta attenzione e somministrare sucralfato e/o
antagonisti dei recettori H2 (vedi oltre).
Anche se l’uso di steroidi androgeni (ad es. nandrolone
decanoato alla dose di 1-1,5 mg/kg alla settimana per via
intramuscolare) è ampiamente diffuso, non esiste alcuna
prova sostanziale che ne giustifichi l’impiego nei gatti con
insufficienza renale cronica e l’esperienza clinica suggerisce che la risposta alla terapia, almeno in termini di miglioramento dell’anemia, è generalmente scarsa.
314
Il valore della rHuEPO è stato stabilito in diversi studi
ed il farmaco ha la capacità di far regredire in modo impressionante l’anemia e, quindi, esercita un impatto significativo sulle condizioni cliniche del gatto. Tuttavia, è necessario soppesare i possibili vantaggi del trattamento in
confronto ai rischi degli effetti indesiderati e del costo del
prodotto. Si somministrano tipicamente dosi di 100 U/kg
di rHuEPO (range 50-150 U/kg) per via sottocutanea tre
volte alla settimana, fino a che l’ematocrito non raggiunge
approssimativamente il 30%, per poi ridurre la posologia
alla dose tipica di mantenimento di 50-100 U/kg 1-3 volte
alla settimana. Le complicazioni della terapia con rHuEPO
comprendono la scarsa risposta dovuta all’esistenza di una
carenza di ferro (durante la terapia può essere più prudente
effettuare routinariamente un’integrazione con questo elemento), ipertensione, policitemia ed induzione di anticorpi
anti-rHuEPO. Quest’ultimo è potenzialmente l’effetto collaterale più importante e si ritiene che si verifichi nel 30%
circa dei gatti trattati, portando all’eliminazione della risposta eritropoietica ed imponendo la sospensione del trattamento. A causa della prevalenza relativamente elevata di
questa complicazione, la terapia con rHuEPO viene solitamente riservata ai gatti con anemia moderata o grave (ematocrito < 20%).
NOTE
h) Controllo della nausea e del vomito
Prove a sostegno dell’utilità clinica - Buone
Prove a sostegno del ruolo nella prevenzione della progressione dell’insufficienza renale cronica - Assenti
La nausea ed il vomito possono contribuire in modo significativo all’inappetenza ed alla perdita di peso associate
all’insufficienza renale cronica ed è necessario tentare di
trattare queste complicazioni. Per la gastrite uremica da
ipergastrinemia è possibile ricorrere alla somministrazione
di antagonisti dei recettori H2 (cimetidina, ranitidina), ma
utilizzando dosi ridotte a causa della diminuita escrezione
renale di questi farmaci. La ranitidina può essere somministrata per via endovenosa o per os alla dose di circa 2-4
mg/kg due volte al giorno. In presenza di un’ulcera gastrica può anche essere utile il sucralfato (250-500 mg/gatto
per os due o tre volte al giorno).
Inoltre, per bloccare la stimolazione della zona chemiorecettoriale scatenante da parte delle tossine uremiche pos315
NOTE
sono essere utili gli antiemetici ad azione centrale come la
metoclopramide (0,2-0,5 mg/kg per os, tre o quattro volte
al giorno).
IPERTENSIONE ED INSUFFICIENZA
RENALE CRONICA NEL GATTO
L’ipertensione viene oggi considerata sempre più spesso un problema dei felini, in particolare in associazione
con altre malattie come l’ipertiroidismo e l’insufficienza
renale cronica, sebbene occasionalmente si possa osservare
anche l’ipertensione primaria.
Riscontri clinici
Alla luce delle potenziali cause di ipertensione, i gatti
colpiti possono essere portati alla visita con segni clinici riferibili alla malattia sistemica quali poliuria, polidipsia,
inappetenza, polifagia e perdita di peso. Le manifestazioni
specifiche associate all’ipertensione sono rappresentate da
deficit visivi e cecità (da retinopatia ipertensiva), segni neurologici conseguenti ad accidenti cerebrovascolari, ipertrofia
del ventricolo sinistro e potenziale compromissione della
funzione renale. Il riconoscimento precoce dell’ipertensione
è importante per ridurre al minimo questi effetti.
Patogenesi dei segni oculari
La struttura del sistema vascolare più sensibile alla
pressione è il capillare. I meccanismi coinvolti nella risposta all’ipertensione sistemica sono quindi studiati per difendere le strutture capillari dall’aumento della pressione il
più a lungo possibile.
In risposta all’aumento della pressione intraluminale, le
arteriole vanno inizialmente incontro ad una costrizione
dovuta alla contrazione della muscolatura liscia delle loro
pareti, che esita nel mantenimento della normale perfusione tissutale. In presenza di una grave e prolungata contrazione arteriolare, i letti tissutali irrorati dalle arteriole colpite possono diventare ischemici. Inoltre, la contrazione
persistente può anche condurre a degenerazione e necrosi
della muscolatura liscia delle arteriole stesse. Dal momen316
to che il muscolo necrotico non è più in grado di mantenere la costrizione, le arteriole vanno incontro a rilassamento
e dilatazione. I vasi non protetti vengono così ora esposti
all’intera forza dell’incremento della pressione intraluminale. Ne deriva un danno endoteliale e si ha un’essudazione attraverso la parete vasale. Può seguire la fuoriuscita di
plasma e fibrinogeno nella parete basale, che porta
all’ispessimento della stessa e perfino all’occlusione del
lume. All’interno della parete, il fibrinogeno viene convertito in fibrina. Dove questa alterazione fibrinoide è accompagnata da necrosi, prende il nome di necrosi fibrinoide,
che costituisce la caratteristica distintiva dell’ipertensione
maligna. L’incompetenza arteriolare e la necrosi fibrinoide
possono portare ad ischemia, essudazione ed emorragie
della retina.
Alterazioni simili si possono avere a livello di coroide.
Dove risultano colpite le arteriole coroidee terminali si ha
un’ischemia secondaria del coriocapillare e dell’epitelio
pigmentato della retina. Un grave danno di quest’ultimo
porta ad un accumulo di fluidi a livello sottoretinico ed al
distacco della retina.
NOTE
Esame dell’occhio
È necessario sviluppare un metodo di routine per l’esame dell’occhio ed attenervisi per ridurre al minimo il rischio di non rilevare lesioni poco evidenti. L’esame iniziale va effettuato in una stanza ben illuminata. Si osservano
gli occhi valutandone la simmetria e la presenza di eventuali anomalie macroscopiche. Un metodo utile è quello di
esaminare tutte le strutture procedendo in senso anteroposteriore. Si valutano dapprima le palpebre, la terza palpebra, la congiuntiva, l’episclera, la sclera e la cornea. È importante non limitarsi solo a guardare attraverso la camera
anteriore, ma anche effettuare uno sforzo consapevole per
visualizzarne l’interno. Si devono ricercare anomalie di
contenuto e di profondità. Successivamente si prendono in
considerazione l’iride e la pupilla, e poi la lente. Si devono
rilevare le alterazioni macroscopiche della capsula anteriore di quest’ultima, come la presenza di depositi superficiali
o di aderenze all’iride.
L’esame prosegue in una stanza buia utilizzando una
lampada stilo. È essenziale oscurare il locale per eliminare
tutti i riflessi che potrebbero essere motivo di distrazione,
317
NOTE
permettendo di evidenziare tutte le anomalie con la luce
della lampada stilo. Dapprima si valuta il riflesso pupillare,
seguito da un esame più dettagliato delle strutture precedentemente citate, sempre con la lampada stilo. In questo
stadio si può esaminare facilmente l’angolo di drenaggio
del gatto semplicemente utilizzando la penna luminosa per
guardare attraverso la superficie dell’iride in direzione della giunzione sclerocorneale. Spesso, nel corso di questo
esame si evidenzia la presenza di emorragie intraoculari e
distacchi retinici. Nei casi in cui si ritiene necessario un ingrandimento, è possibile servirsi di un otoscopio privato
della testa portaconi.
La terza fase consiste nell’esame del fondo dell’occhio.
Si devono utilizzare l’oftalmoscopia indiretta e quella diretta per ricercare le eventuali anomalie.
Manifestazioni oculari dell’ipertensione sistemica
Anche se l’animale può essere portato alla visita per la
prima volta a causa di un’emorragia intraoculare o dell’improvvisa insorgenza di cecità, le lesioni iniziali sono di
gran lunga più sottili. I clinici scrupolosi devono quindi effettuare l’esame del fondo dell’occhio in tutti i gatti sottoposti routinariamente ai controlli prevaccinali e nell’ambito dell’esame clinico nei casi di malattia. Ciò vale in particolare nei soggetti di media età o anziani. Un accurato esame del fondo oculare richiede pochissimo tempo e consente di ottenere informazioni che possono essere estremamente importanti. I vantaggi derivanti dal fatto di riscontrare e trattare una retinopatia ipertensiva prima dell’insorgenza del distacco retinico sono notevoli, dal momento che
la prognosi per la visione in caso di distacco totale della
retina è generalmente sfavorevole. La soddisfazione di sapere di essere riusciti a prevenire una sicura cecità è estremamente gratificante di per sé, per non parlare della prevenzione delle complicazioni dell’ipertensione che potrebbero essere ancor più letali.
Alterazioni iniziali
La prima alterazione oftalmoscopica osservabile
nell’ipertensione sistemica è forse la retinopatia bollosa.
Gli animali esaminati in questa fase probabilmente ci ve318
dono ancora. La maggior parte del globo oculare può apparire normale, ma su tutta la superficie si osserva un numero variabile di piccole lezioni circolari “a ciambella”.
Tali lesioni risultano più chiaramente visibili nel fondo
tappetale, dove si presentano come cerchi grigi iporiflettenti. Rappresentano l’accumulo di fluidi all’interno o al di
sotto della retina, formando piccole aree focali di edema o
distacco retinico. È importante differenziare queste lesioni
da quelle che si osservano nella corioretinite infiammatoria. Questa alterazione può essere accompagnata da un aumento della tortuosità vasale, che rappresenta una necrosi
della muscolatura liscia ed una dilatazione localizzata, portando alla permeabilità della parete vasale ed alla fuoriuscita di plasma.
Nei casi in fase iniziale, l’emorragia retinica macroscopica può essere assente. Quando è presente, si osserva sotto forma di macchie di colore rosso o rosso scuro, più facilmente riconoscibili a livello del fondo tappetale. Anche
se è probabile che la visione sia interessata, solo i proprietari più attenti possono rilevare una cecità parziale. È solo
riconoscendo l’esigenza di effettuare l’esame del fondo
dell’occhio come procedura di routine nell’ambito di una
valutazione clinica che si possono scoprire queste lesioni.
NOTE
Alterazioni più gravi
Dal momento che è possibile che le fasi precedentemente citate non riescano a determinare la comparsa di segni clinici, la maggior parte dei proprietari ignora che
qualcosa non va. In genere, questi pazienti vengono quindi
portati alla visita dopo che si è verificato un evento di
maggiore gravità. Ciò di solito è rappresentato da un ifema
o da una cecità ad insorgenza improvvisa.
Anche se la camera anteriore può essere completamente
piena di sangue, l’ifema si osserva di solito sotto forma di
piccole emorragie. Quando possibile, è importante effettuare
l’esame bilaterale del fondo dell’occhio. Si possono osservare emorragie macroscopiche situate a varie profondità nella
retina e spesso è presente un distacco retinico associato. Nei
casi gravi si ha la cecità. Quando l’esame del fondo risulta
impedito in un occhio a causa dell’emorragia, quello dell’organo controlaterale spesso rivela la natura delle lesioni.
In altri casi, l’animale non presenta un’emorragia,
quanto piuttosto una cecità. In questi casi, si osserva spes319
NOTE
so un grave distacco retinico. Il gatto può essere portato alla visita soltanto quando quest’ultimo diventa bilaterale,
dal momento che le forme monolaterali possono passare
inosservate. Il modo più facile per rilevare un distacco retinico di questo tipo è semplicemente quello di utilizzare
una lampada stilo.
Sequele di precedenti emorragie o distacchi
Occasionalmente, i gatti possono essere portati alla visita con anomalie di vecchia data senza che sia mai stata
osservata la fase acuta della malattia. In questi casi, sono
possibili vari quadri.
Ci si può trovare di fronte ad un gatto colpito da evidenti anomalie della camera anteriore. Un riscontro comune può essere la presenza a questo livello di filamenti di
tessuto fibroso, che spesso decorrono dall’iride alla capsula anteriore della lente. Si tratta di residui di tessuto fibroso
rimasti dopo il riassorbimento di un coagulo ematico. In
altri casi, si verifica la distorsione del margini pupillare,
dovuta a sinechie posteriori fra iride e lente. In altre occasioni, una retina distaccata può fissarsi nuovamente, lasciando delle grinze visibili sulla propria superficie.
Diagnosi differenziale
È necessario tenere presenti le possibili diagnosi differenziale di ifema, emorragia retinica e distacco della retina.
Tali condizioni sono rappresentate da disordini della coagulazione, iperproteinemia con iperviscosità, discrasie
ematiche, malattie virali, batteriche, da rickettsie e da protozoi ed alcune neoplasie maligna.
Test diagnostici collaterali
Spesso è necessario servirsi di procedure diagnostiche
collaterali per arrivare ad una diagnosi definitiva. Si devono effettuare di routine gli esami ematologici e biochimici,
compresi i test di valutazione dell’ormone tiroideo nei casi
indicati. L’ecocardiografia può servire a valutare la presenza di cardiopatie concomitanti. Nei casi in cui l’esame del
fondo dell’occhio risulta impossibile, si deve ricorrere
320
all’ecografia oculare per rilevare o escludere la presenza di
distacchi o tumori.
La misurazione indiretta della pressione sanguigna costituisce una procedura di facile esecuzione nel gatto e va
attuata di routine nei casi in cui si sospetta un’ipertensione.
NOTE
Diagnosi
L’ipertensione deve essere considerata come una possibilità sospetta in tutti i gatti portati alla visita con insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, miocardiopatia ipertrofica, cecità ad insorgenza acuta o altri segni di retinopatia ipertensiva. Sia per la diagnosi che per la valutazione
dell’estensione dell’affezione oculare è anche essenziale
un dettagliato esame dell’occhio. In condizioni ideali, la
valutazione diagnostica deve comprendere la misurazione
della pressione sistolica. La tecnica Doppler si è dimostrata un metodo affidabile per la valutazione indiretta di questo parametro nei gatti non anestetizzati ed è stata ampiamente accettata come metodica clinica finalizzata a questo
scopo. In commercio si trovano molti apparecchi adatti
all’impiego in medicina veterinaria (ad es. Parks 811B www.parksmed.com; Vettex-Uni - www.vettex.com; e Cat
Doppler - www.thamesmedical.com). Noi collochiamo la
sonda Doppler al di sopra dell’arteria digitale comune, fra
il cuscinetto carpale e quello metacarpale (assicurandosi di
aver posto un’abbondante quantità di gel da ecografia per
ottenere un buon segnale). Subito al di sotto del gomito si
colloca un manicotto insufflabile (noi ne utilizziamo tipicamente uno largo 2,5 cm per la maggior parte dei gatti,
ma l’ampiezza deve corrispondere approssimativamente al
40% della circonferenza dell’arto), e lo gonfiamo sino ad
una pressione di circa 20 mm Hg al di sopra del punto in
cui si ottiene l’occlusione del flusso ematico arterioso. Il
manicotto viene poi lasciato lentamente sgonfiare attraverso la valvola dello sfigmomanometro, registrando il valore
della pressione sistolica nel punto in cui si rileva per la prima volta la ricomparsa del flusso arterioso. La procedura
va ripetuta cinque volte nell’arco di 2-3 minuti e la pressione sistolica costituisce la media di queste rilevazioni.
Alcuni gatti presentano una netta caduta (20-30 mm Hg)
della pressione sistolica dopo le prime 2-3 letture (un fenomeno dovuto allo stress) e, quando ciò si verifica, le prime
registrazioni vengono scattate.
321
NOTE
Abbiamo dimostrato che quando l’esame viene effettuato nei locali destinati agli animali ricoverati o in una sala da visita, utilizzando la tecnica Doppler si deve adottare
un limite superiore assoluto di 200 mm Hg. Nel gatto, i valori normali della pressione sistolica differiscono ampiamente (tipicamente 120-200 mm Hg) in parte a causa
dell’intrinseca variazione fra individui normali ed in parte
per un effetto variabile della stimolazione simpatica mediata dallo stress. Anche se consideriamo il valore di 200
mm Hg come limite superiore assoluto per la pressione sistolica normale, esiste anche una “zona grigia” in cui tali
valori devono essere considerati come borderline. Noi trattiamo come sospetti, e come potenzialmente ipertesi, tutti i
gatti con pressione sistolica compresa fra 180 e 200 mm
Hg. Questi animali necessitano di un’accurata valutazione
clinica per rilevare i segni di una malattia primaria e/o di
un’affezione indotta dall’ipertensione e, se si riscontrano
condizioni di questo tipo, si deve instaurare il relativo trattamento. Se questi gatti sembrano sani, è comunque prudente tenerli sotto stretto monitoraggio nel tempo.
Il trattamento del gatto iperteso
Per quanto possibile, si deve escludere la presenza di
potenziali affezioni primarie. Allo scopo, è necessario eseguire la determinazione dei livelli sierici di tiroxina, la misurazione di azotemia e creatininemia, l’analisi dell’urina e
la valutazione cardiaca nei casi indicati dall’esame clinico.
Un certo grado di ipertrofia del ventricolo sinistro costituisce un riscontro ecocardiografico comune nel paziente
iperteso come sequela di questa condizione. Si deve anche
avviare la terapia dell’ipertensione. Attualmente, esistono
diversi farmaci che si possono utilizzare a questo scopo,
come i diuretici (ad es., furosemide), i beta-bloccanti (ad
es. atenololo), gli ACE-inibitori (ad es. enalapril) ed i calcio-bloccanti (ad es. amlodipina).
Esiste un notevole grado di variazione individuale nella
risposta alla terapia, ma, nel gatto, la somministrazione della sola amlodipina è generalmente considerata il trattamento d’elezione dell’ipertensione sistemica. Le altre classi di
farmaci, quando vengono utilizzate da sole, sono frequentemente inefficaci in questa specie animale. L’ideale è monitorare strettamente la risposta alla terapia nelle prime due
settimane, attraverso la misurazione della pressione sistoli322
ca e la valutazione delle anomalie oculari. Nei casi trattati
con successo, la pressione sanguigna deve scendere fino a
rientrare nei limiti normali entro 1 o 2 settimane dall’inizio
della terapia (i valori ideali sono compresi fra 130 e 170
mm Hg). Si inizia con la somministrazione di 0,625
mg/gatto/die, aumentando sino a due volte al giorno se la
risposta risulta inadeguata. Occasionalmente, per ottenere i
risultati desiderati può essere necessaria una combinazione
di due o tre agenti. Nei pazienti con insufficienza renale, è
particolarmente importante effettuare il monitoraggio della
funzione di questi organi, dal momento che tutti gli agenti
precedentemente indicati sono in grado di ridurre la perfusione renale. Tuttavia, il deterioramento della funzione renale è poco comune nei gatti trattati con ACE-inibitori o
calcio-bloccanti, il cui impiego può avere specifici effetti
positivi in molti animali con insufficienza renale.
Una volta stabilizzata la pressione sanguigna, i pazienti
vanno valutati ogni 1-2 mesi. Anche la restrizione del sodio nella dieta può essere utile, sebbene sia improbabile
che risulti sufficiente come trattamento dell’ipertensione.
NOTE
Farmaci utili per il trattamento dell’ipertensione
Dieta iposodica (?)
• 0,1 - 0,4% (ridotta ritenzione idrica)
• Cambiamento graduale nell’arco di 2-4 settimane
• Diete commerciali, ma l’appetibilità è ridotta
• È improbabile un effetto imponente
• Può essere utile come terapia aggiuntiva
Diuretici
• Furosemide (1-2 mg/kg ogni 12-48 ore)
• Idroclorotiazide (2-4 mg/kg ogni 12 ore).
Non efficace come unico agente nel gatto
• Possono essere controindicati (ad es. insufficienza
renale cronica)
• ? Utili in caso di distacco retinico
β-bloccanti
• Propranololo (2,5-5 mg/gatto ogni 8-12 ore)
• Atenololo (6,25-12,5 mg/gatto ogni 24 ore).
Spesso, da solo non ha successo
α-bloccanti (vasodilatatori)
• Fenossibenzamina (0,5 mg/kg ogni 12 ore)
• Tachicardia riflessa, ipotensione e ritenzione di
sodio sono tutti effetti collaterali significativi
323
NOTE
• Non utile per il trattamento a lungo termine
dell’ipertensione
ACE-inibitori (vasodilatatori)
• Enalapril (0,25-0,5 mg/kg ogni 12-24 ore)
• Benazepril (0,5-1,0 mg/kg ogni 24 ore)
• ? Attenzione alla funzione renale
• Sembrano essere più efficaci nel cane che nel gatto
Calcio-bloccanti (vasodilatatori)
• Amlodipina besilato (0,625-1,25 mg/gatto ogni
24 ore)
• Farmaco d’elezione, e spesso efficace come
singolo agente nel gatto
• Possono essere associati ad ACE-inibitori,
β-bloccanti o diuretici in caso di necessità
• Probabilmente sicuro (?utile) nell’insufficienza
renale cronica
• Effetto massimo entro 7 giorni
324
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Frank Verstraete
DVM, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Dipl ECVS
VMTH, Dentistry & Oral Surgery Service
School of Veterinary Medicine
University of California, Davis, USA
Prime importanti considerazioni
per capire l’odontostomatologia felina
Important considerations in feline dentistry
Sabato, 29 settembre 2001, ore 8.45
325
NOTE
326
La principale causa di periodontite è la distruzione
dell’equilibrio fra i batteri presenti nella placca sottogengivale e nel tartaro e la risposta immunitaria dell’ospite a
livello della giunzione fra dente e gengiva. Sono state
identificate numerose condizioni sistemiche capaci di influenzare o avviare tale squilibrio. È quindi essenziale
che un gatto portato alla visita per essere sottoposto ad un
trattamento odontoiatrico venga valutato in sede preoperatoria per stimarne lo stato di salute generale, ben oltre
le esigenze dell’anestesia. Durante la raccolta dell’anamnesi ci si deve informare non solo sulla dieta, sulle abitudini di masticazione e sulle cure dentarie prestate a domicilio, ma anche raccogliere i dati relativi ai problemi medici passati e presenti, alla situazione ambientale ed al
benessere generale dell’animale. L’esame clinico deve
costituire una valutazione sistematica dell’intero soggetto. Generalmente, è indicata l’esecuzione di numerosi test
diagnostici aggiuntivi. I dati minimi da ottenere sono rappresentati dalla determinazione dell’ematocrito, delle
proteine totali e del peso specifico dell’urina. Negli animali anziani sono indicati l’emogramma, il profilo biochimico e l’analisi dell’urina. Sono anche molto importanti la determinazione della glicemia, della creatinina e
dell’azotemia. L’esecuzione dei test per la diagnosi delle
infezioni da FeLV e FIV costituisce un esame standard da
effettuare in tutti i gatti che presentano un’infiammazione
orale.
È indicata un’anestesia ben equilibrata, specificamente
pianificata per il singolo soggetto, da preferire all’uso di
un singolo protocollo da applicare in modo indiscriminato
a tutti i pazienti. Si raccomanda fortemente l’anestesia inalatoria per numerose ragioni, come ad esempio il fatto che
la durata delle procedure odontoiatriche è spesso imprevedibile. Nella maggior parte dei pazienti viene frequentemente indicato il monitoraggio della temperatura corporea,
dell’elettrocardiogramma, della respirazione e della saturazione arteriosa di ossigeno.
La batteriemia associata ai trattamenti periodontali di
routine si risolve dopo circa 20 minuti. La profilassi antibiotica dovrebbe essere necessaria soltanto nei pazienti anziani o debilitati, con cardiopatia preesistente, quando il
trattamento periodontale viene associato ad interventi chirurgici programmati, nei casi in cui si prevede l’esecuzione
di estrazioni chirurgiche imponenti ed in presenza di un’infezione palese e di una stomatite cronica. Per il trattamento
di quest’ultima è indicata la somministrazione di antibiotici a scopo terapeutico.
È buona pratica effettuare il lavaggio della cavità orale
con una soluzione antisettica adatta prima e durante il trattamento periodontale e la chirurgia orale. L’antisettico
d’elezione è la clorexidina gluconato; anche se generalmente viene indicata come sicura una soluzione allo 0,2%,
si può utilizzare una soluzione più diluita (0,05%) se la
mucosa orale deve restare in contatto con essa per tutta la
durata dell’intervento.
Le affezioni dentali di più comune riscontro nel gatto
sono associate a segni radiologici. L’esame radiografico
viene utilizzato per documentare e valutare l’estensione
della periodontite. Nel gatto, rivestono particolare interesse
le lesioni da riassorbimento odontoclastico. Queste possono essere esterne o interne e si presentano come aree radiotrasparenti che coinvolgono la superficie esterna della
radice e la cavità pulpare. Per diagnosticarle e determinarne l’estensione risulta molto utile la radiografia. L’ideale è
effettuare la ripresa di una panoramica completa della bocca quando il paziente viene presentato per la prima volta
per il trattamento odontoiatrico. I vantaggi derivanti
dall’impiego di routine di questa tecnica nel gatto sono
elevati.
Il piano terapeutico deve comprendere tutte le procedure necessarie a stabilire e mantenere la salute dentale. Nel
gatto è importante tenere presente che solo raramente è
possibile effettuare la spazzolatura dei denti e che i risultati descritti per il ripristino delle lesioni da riassorbimento odontoclastico sono scarsi. Il trattamento del dolore ed
il supporto nutrizionale risultano particolarmente importanti nei felini in cui si prevede l’esecuzione di interventi
dolorosi.
NOTE
327
43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
PERUGIA, 28-30 SETTEMBRE 2001
Frank Verstraete
DVM, Dipl AVDC, Dipl EVDC, Dipl ECVS
VMTH, Dentistry & Oral Surgery Service
School of Veterinary Medicine
University of California, Davis, USA
Stomatite cronica nel gatto
Chronic stomatitis in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 9.30
329
NOTE
330
Il termine di stomatite cronica è aspecifico e suggerisce
una singola presentazione clinica ed una singola causa. Si
preferisce definire le lesioni a seconda della loro localizzazione (gengivite, mucosite boccale, faucite, faringite, glossite, palatite), gravità (lieve, moderata, grave) e caratteristiche cliniche (eritematosa, edematosa, ulcerativa, proliferativa, suppurativa, fibrinosa, vescicolare, emorragica).
I gatti colpiti possono presentare alitosi, ptialismo, disfagia, tendenza a toccarsi la bocca con le zampe, scarsa
toelettatura e perdita di peso. Le lesioni possono essere localizzate (ad es., al margine gengivale, alle fauci o alla mucosa boccale) o generalizzate. I tessuti possono apparire
iperemici, edematosi, proliferativi o ulcerati. Indipendentemente dalla causa scatenante, l’esame istopatologico di
queste lesioni rivela spesso un’infiltrazione profonda di
linfociti, plasmacellule e monociti, che ha portato ad utilizzare il termine di stomatite linfoplasmocitaria. Frequentemente è anche presente uno strato superficiale di neutrofili.
Spesso, risulta difficile o impossibile identificare la
causa dell’infiammazione orale. I fattori contribuenti possono essere rappresentati dalle infezioni da calicivirus felino (FCV), herpesvirus felino (FHV), virus dell’immunodeficienza felina (FIV) e virus della leucemia felina (FeLV). I
gatti di razza pura possono presentare una predisposizione.
La periodontopatia e le lesioni da riassorbimento odontoclastico sono spesso presenti in concomitanza. Un’indagine diagnostica completa deve essere costituita da anamnesi
dettagliata, accurato esame fisico, valutazione dei denti,
emogramma, profilo biochimico, analisi dell’urina, test
sierologici per la diagnosi delle infezioni virali sistemiche
ed isolamento virale locale, radiografia orale e biopsia delle aree colpite. L’iperglobulinemia è una comune anomalia
biochimica identificata nei gatti colpiti dal complesso della
gengivite-stomatite cronica.
Il primo passo nel piano terapeutico è rappresentato dal
trattamento periodontale e dall’estrazione di tutti i denti
colpiti da gravi forme di periodontite o lesioni da riassorbimento odontoclastico. Le cure postoperatorie consistono in
un ciclo di antibiotici e risciacqui del cavo orale con clorexidina gluconato (0,05%). L’amossicillina/acido clavulanico possiede un eccellente spettro nei confronti dei patogeni orali. È disponibile in forma liquida per renderla meglio accetta al paziente. La clindamicina ha uno spettro più
ristretto, ma viene anch’essa utilizzata comunemente nella
pratica professionale per il trattamento delle affezioni ora-
li. Se la flogosi è grave, è indicata la terapia con corticosteroidi. Ogni 4-8 settimane si somministrano agenti iniettabili long-acting (metilprednisolone acetato), che possono
determinare un miglioramento significativo. Tuttavia, i
vantaggi possono essere transitori e si possono avere effetti
collaterali indesiderati. La somministrazione di corticosteroidi per os (prednisone, prednisolone) viene tollerata meno bene dai pazienti, ma può avere minori effetti collaterali
negativi.
Sfortunatamente, il trattamento conservativo spesso fallisce. Al momento attuale, la terapia chirurgica rappresenta
l’approccio terapeutico più costantemente efficace per questi casi. L’estrazione di tutti i denti premolari e molari ha
determinato un sostanziale miglioramento nell’80% dei
soggetti trattati in uno studio pubblicato recentemente. I
casi refrattari possono rispondere all’estrazione dei restanti
canini ed incisivi.
NOTE
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43° Congresso Internazionale SCIVAC - Progressi e Problemi in MEDICINA FELINA
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School of Veterinary Medicine
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Tecniche di estrazione
Extraction techniques
Sabato, 29 settembre 2001, ore 10.15
333
NOTE
334
Le indicazioni specifiche per l’estrazione dei denti nel
gatto sono rappresentate dalle lesioni da riassorbimento
odontoclastico e dalla gengivostomatite cronica che non risponde al trattamento conservativo. Prima dell’estrazione è
indicata la ripresa di radiografie per confermare la diagnosi, visualizzare la morfologia delle radici ed accertare la
presenza di riassorbimento radicolare. Una buona esposizione ed un’adeguata visibilità (determinate da un corretto
posizionamento) ed una valida illuminazione, associate alla disponibilità di mezzi di ingrandimento, irrigazione ed
aspirazione rendono le estrazioni più facili da eseguire.
Nel gatto, se si prevede l’esecuzione di estrazioni multiple
risultano particolarmente importanti il trattamento del dolore ed il supporto nutrizionale.
In un’estrazione semplice (o chiusa) il legamento periodontale viene scontinuato utilizzando leve dentali e l’estrazione può essere completata senza bisogno di sezionare il
dente, realizzare un lembo mucogengivale o rimuovere
l’osso alveolare. Queste ultime procedure rientrano
nell’estrazione chirurgica. È importante prevedere o riconoscere precocemente nel corso dell’intervento la necessità
di intervenire chirurgicamente. L’estrazione semplice viene
utilizzata per tutti i denti a radice singola, fatta eccezione
per i canini. Date le dimensioni molto ridotte delle radici,
come leve dentali si possono utilizzare quelle specifiche
per la punta delle radici.
Il dente canino è generalmente difficile da estrarre, a
causa della lunghezza della radice. Nella maggior parte dei
casi, è necessario realizzare un lembo mucogengivale boccale per riuscire ad eccedere all’osso e rimuovere una parte
dell’osso alveolare boccale (alveolotomia) utilizzando un
trapano dentistico. A questo punto si può inserire più
profondamente la leva da estrazione nello spazio periodontale. Dopo un’alveolotomia, si rimuovono i margini ossei
taglienti che impediscono la chiusura dei tessuti molli (alveoloplastica). L’alveolo vuoto viene quindi liberato da
tutti i detriti e si accostano e si suturano i margini mucogengivali.
I denti con due radici vengono solitamente tagliati in
due unità a radice unica. Una volta che la gengiva sia stata
separata dalla corona e scostata per un certo tratto, risulta
visibile la biforcazione della radice. Il dente viene facilmente sezionato servendosi di un trapano dentistico, iniziando dalla biforcazione. Dopo il taglio si può utilizzare
una leva dentale per il sollevamento orizzontale.
Il quarto premolare mascellare è un dente di grandi dimensioni, con due radici mesiali sottili ed una distale più
ampia e conica. Una parte dell’osso alveolare boccale può
essere rimosso dopo aver sollevato un lembo di mucosa.
Questo dente viene dapprima sezionato fra le due radici
boccali e poi nel tratto compreso fra la radice mesiobuccale e quella palatina. I tre frammenti possono poi essere rimossi separatamente.
Quando si estraggono tutti i denti di un’arcata, si realizza un lembo esteso. Le biforcazioni dei denti con più radici
vengono esposte asportando una parte della cresta ossea alveolare e questi denti vengono successivamente sezionati e
rimossi. Le prominenze ossee vengono smussate, gli alveoli lavati ed il lembo riposizionato e suturato senza esercitare tensioni. La gengiva del gatto è molto friabile, specialmente se è presente una gengivostomatite.
La frattura di una radice costituisce una complicazione
comune nel gatto, e la ritenzione del frammento apicale
può esitare in dolore persistente e complicazioni come
l’osteomielite. Tuttavia, lasciare indietro le punte fratturate
delle radici in via di riassorbimento, in assenza di patologie periodontali ed endodontiche, può essere accettabile
nel gatto. Si raccomanda l’esecuzione di radiografie postestrazione per confermare o escludere la presenza di punte
di radici rimaste in sede. Se indicato, questi frammenti
possono essere lussati o sollevati mediante apposite leve.
In caso di necessità, si può realizzare un lembo mucogengivale ed eseguire un’alveolotomia. La rimozione delle
piccole punte radicolari con il trapano può causare un considerevole trauma iatrogeno e non è consigliata.
NOTE
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Fistole oronasali e tecniche
ricostruttive del trauma maxillofacciale
Oronasal fistula and maxillofacial trauma repair
Sabato, 29 settembre 2001, ore 11.30
337
NOTE
338
I difetti acquisiti della linea mediana del palato nel gatto
o la schisi traumatica del palato duro sono causati da cadute
da grandi altezze e possono rappresentare una parte della
relativa sindrome (sindrome di caduta dall’alto). Questa lesione può essere trattata facilmente ed efficacemente accostando con una delicata pressione digitale le strutture ossee
dislocate e poi unendo i tessuti lacerati del palato molle con
una sutura semplice a punti staccati. Sono indicati il lavaggio e l’aspirazione della cavità nasale. Il vantaggio di questo trattamento iniziale supera il rischio intrinseco nel lasciare che questa lesione guarisca per seconda intenzione.
Occasionalmente, tale guarigione non avviene e si ha la formazione di una fistola oronasale persistente. Quest’ultima è
di gran lunga più difficile da trattare.
La fistola oronasale alveolare è una complicazione comune dell’estrazione forzata dei denti mascellari. Per ragioni terapeutiche è importante differenziare una fistola
oronasale fresca (senza continuità della mucosa) da una
guarita (in cui tale continuità si è già instaurata); generalmente, una fistola fresca può essere riparata con una chiusura su un solo piano, mentre quella guarita può avere bisogno di due piani di sutura.
La diastasi della sinfisi è molto comune nel gatto. L’osso mandibolare a questo livello è in pratica completamente
occupato dalle radici dei denti. I metodi invasivi di riparazione, pertanto, non sono indicati. La maggior parte delle
diastasi della sinfisi può essere trattata con una tecnica
molto semplice, ma efficace, con filo metallico. Per i casi
in cui si è verificata l’avulsione dei denti incisivi o canini
in seguito ad un incidente traumatico, sono state descritte
delle varianti della tecnica di cerchiaggio semplice.
Per il trattamento delle fratture del corpo e del ramo
della mandibola nel gatto è stata descritta un’ampia varietà
dei metodi, chirurgici e non chirurgici. Una tecnica molto
utile per il trattamento delle fratture mandibolari comminute nel gatto è il legame composito del dente canino. Con
questa tecnica, il dente viene lucidato con pomice, mordenzato con acido, allineato e coperto con il composito
dentale, lasciando la bocca aperta per circa 10 mm. Mentre
il composito si indurisce, si mantiene l’occlusione. Sei settimane dopo l’applicazione, il materiale può essere rimosso se si è verificata la guarigione. Questo metodo è in larga
misura non invasivo e consente di ottenere un buon ripristino dell’occlusione, ma ha il principale svantaggio di non
permettere un rapido ritorno alla funzione normale. Il pa-
ziente non può aprire la bocca per un periodo di tempo
considerevole ed è necessario adottare delle misure speciali per alimentarlo. Quando si utilizza questa metodica, il
vomito costituisce un pericolo particolare.
Le fratture dei processi condilari si osservano occasionalmente nel gatto. Tali fratture possono guarire attraverso
una mancata unione non dolente e funzionale. Tuttavia, è
probabile che quelle comminute esitino in un’anchilosi
dell’articolazione temporomandibolare; questa complicazione è caratterizzata da una progressiva incapacità di aprire la bocca. Se necessario, il processo condilare può essere
rimosso chirurgicamente mediante condilectomia.
Le fratture delle ossa facciali, del palato duro e dell’arcata dentaria mascellare di solito non sono caratterizzate
da una grave dislocazione e richiedono raramente una riparazione chirurgica. Nella maggior parte dei casi, risultano
adeguati il riallineamento digitale e, se indicata, la revisione chirurgica dei tessuti molli e la chiusura delle soluzioni
di continuo. Le fratture gravemente comminute e macroscopicamente instabili necessitano invece di un intervento
chirurgico.
NOTE
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Tumori orali e lesioni simili-tumorali
Oral tumors and tumor-like lesions
Sabato, 29 settembre 2001, ore 12.15
341
NOTE
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Le neoplasie maligne della bocca e della faringe rappresentano circa il 3% della totalità dei tumori del gatto. Si
riscontra una varietà di lesioni neoplastiche, comprendenti
sia tipi odontogeni che non odontogeni. Alcune masse e
tumefazioni non neoplastiche, come l’iperplasia gengivale
e certe condizioni infettive, possono essere confuse con i
tumori orali. Al contrario, questi ultimi si possono presentare sotto forma di lesioni ulcerate non tendenti alla guarigione invece che come tipiche masse prominenti. I tumori
orali spesso non vengono rilevati dal cliente sino a che non
raggiungono uno stadio di sviluppo discretamente avanzato. È quindi importante formulare una diagnosi accurata al
momento della prima presentazione. Inoltre, la scelta corretta di un particolare metodo di trattamento per ogni paziente si fonda sull’accurata valutazione della natura e
dell’estensione della condizione.
Per effettuare tale valutazione accurata è necessario
adottare un approccio sistematico, che si ottiene servendosi
del cosiddetto sistema TNM, in cui il clinico prende in esame in sequenza il tumore, i linfonodi regionali e le eventuali metastasi a distanza. La stadiazione clinica permette
di stimare in modo intelligente l’entità della malattia. La
valutazione deve essere completata dal prelievo di biopsie
volte a determinare la natura istopatologica della lesione.
Con poche eccezioni, i riscontri radiologici associati ai
tumori orali generalmente non sono specifici, ma è possibile abbinare certi quadri a differenti tipi tumorali. La presenza e le caratteristiche dei processi di osteolisi, mineralizzazione e/o neoformazione ossea, reazione dell’osso
corticale adiacente e coinvolgimento dentale possono essere indicativi di una lesione benigna o maligna (aggressiva).
Il carcinoma squamocellulare viene diagnosticato nel
69,5% dei tumori orali del gatto.1 Questa neoplasia nella
maggior parte dei casi origina dalla gengiva e si infiltra in
profondità. Un’altra localizzazione comune è la faccia ventrale della lingua. Sono frequenti il coinvolgimento dei
linfonodi regionali e le metastasi a distanza. Il fibrosarcoma ed il linfoma maligno sono meno comuni (6,3% e
3,4%).1 I tumori odontogeni sono generalmente considerati
rari in tutte le specie animali, compreso il gatto. In questa
specie, è tipico il tumore odontogeno induttivo felino, che
in origine era stato descritto nei gatti giovani come fibroameloblastoma induttivo. La localizzazione più comune è a
livello della parte rostrale della mascella. Il tumore può essere localmente invasivo, ma non sono state registrate me-
tastasi.
La scelta del trattamento dipende dallo stadio e dalla
natura istopatologica del tumore. Una volta effettuata la
valutazione del tipo e dello stadio della neoplasia orale
maligna, è necessario scegliere la modalità caratterizzata
dalle maggiori capacità dimostrate di determinare un successo clinico e che risulti applicabile. L’escissione chirurgica resta il metodo di trattamento più frequentemente indicato e più pratico. Se è impossibile o viene rifiutata dal
cliente, resta l’opzione della radioterapia per i tumori radiosensibili come il carcinoma squamocellulare. Tuttavia,
le apparecchiature necessarie non sono facilmente alla portata della maggior parte dei veterinari. Quando è già presente un imponente coinvolgimento osseo, è prevedibile
l’insorgenza di complicazioni. Sfortunatamente, con entrambe le modalità terapeutiche, i risultati ottenuti nel trattamento dei tumori maligni non odontogeni del gatto sono
stati deludenti.1
NOTE
Bibliografia
1.
Harvey CE, Emily PP. Oral neoplasms. In: Harvey CE, Emily PP, eds.
Small Animal Dentistry. St. Louis: Mosby - Year Book, 1993; 297 - 311.
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Tecniche radiografiche
ed interpretazione radiologica
della cavità orale nel gatto
Oral radiography and radiology in cats
Sabato, 29 settembre 2001, ore 14.30
345
NOTE
346
Nel gatto domestico, le affezioni dentali sono comuni.
Tuttavia, i clienti possono non rendersi conto del problema
sino a che la malattia non ha raggiunto uno stadio avanzato. L’ispezione del cavo orale nel corso delle visite di controllo annuali può rivelare la presenza dei segni di periodontopatia, lesioni da riassorbimento odontoclastico del
gatto o affezioni endodontiche. Per diagnosticare in modo
più accurato queste condizioni, formulare un piano terapeutico e valutare le possibilità di successo è essenziale
l’esame radiografico dei denti.
Anche se è possibile ottenere radiografie dentali con
pellicole extraorali ed apparecchiature radiografiche standard, l’impiego di pellicole intraorali e di unità radiografiche dentistiche assicura immagini di qualità superiore con
un’esposizione minima alle radiazioni. Invece, le tecniche
radiografiche convenzionali esitano spesso nella sovrapposizione delle strutture anatomiche e possono portare a
proiezioni insoddisfacenti dei singoli denti. Inoltre, nel
gatto esiste un’ulteriore difficoltà dovuta alla forma compatta del cranio, ed è spesso difficile ottenere proiezioni
soddisfacenti dei denti molari e premolari mascellari a causa della sovrapposizione dell’arcata zigomatica.
Le tecniche per ottenere radiografie dentali di valore
diagnostico sono state descritte in diversi articoli pubblicati su riviste di medicina veterinaria ed in testi di odontoiatria. Ciononostante, riuscire ad ottenere costantemente delle buone radiografie dei premolari mascellari del gatto risulta difficile. La tecnica extraorale quasi parallela costituisce un metodo ripetibile per avere immagini di elevata
qualità dei premolari e dei molari mascellari.
Lo scopo di una recente indagine condotta presso la UC
Davis è stato quello di determinare se sia possibile identificare le lesioni periapicali in associazione con quelle da
riassorbimento odontoclastico (FORLs) nel gatto. È stato
effettuato l’esame radiografico dei denti di 265 gatti. Le
radiografie sono state valutate per rilevare la presenza di
lesioni da riassorbimento odontoclastico e le aree radiotrasparenti periapicali. Nelle immagini, sono stati riscontrati
in totale 567 denti interessati da riassorbimento odontoclastico (con una media di 3,5 denti per gatto colpito). Lo stadio delle lesioni è stato stabilito in funzione dell’aspetto
radiografico. Le radiotrasparenze periapicali sono state individuate in 36 gatti su 265, e colpivano 53 denti; 25 di esse sono risultate associate a fratture dentali e 21 a gravi periodontopatie. Per 7 lesioni periapicali, tutte associate ai
canini mandibolari senza segni radiografici di fratture o lesioni da riassorbimento, non è stato possibile identificare
un’eziologia. Non sono state individuate radiotrasparenze
periapicali associate a lesioni da riassorbimento.
In un’altra indagine, sono stati studiati i quadri di perdita ossea osservati nelle radiografie dentali di 150 gatti portati alla visita per un trattamento odontoiatrico. Il quadro
più comunemente osservato di perdita ossea era rappresentato da una scomparsa lieve e generalizzata di osso orizzontale, che colpiva il 38,0% della popolazione esaminata.
È risultata anche comune la lieve o moderata perdita ossea
orizzontale generalizzata associata a grave perdita ossea
orizzontale focale, osservata nel 19,3% dei pazienti, così
come l’espansione dell’osso boccale, osservato nel 52,7%
dei gatti.
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Finito di stampare
nel mese di Settembre 2001
dalla Press Point srl
di Abbiategrasso (Milano)