relazione intermedia federica

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relazione intermedia federica
Borsa di studio sul tema: “studio della
popolazione di corallo rosso (Corallium rubrum)
nel coralligeno profondo Dell’Area Marina
Protetta “Isola di Bergeggi” e in aree limitrofe”
Relazione Intermedia
Dott.ssa Federica Ciamberlano
INDICE:
CAPITOLO I: INTRODUZIONE
CAPITOLO II: STATO DELL’ARTE
2.1: L’AREA DI STUDIO
2.2: IL CORALLIGENO
2.3: CORALLIUM RUBRUM
o 2.3.1: SISTEMATICA
o 2.3.2: DISTRIBUZIONE
o 2.3.3: MORFOLOGIA
o 2.3.4: SISTEMA NERVOSO
o 2.3.5: ALIMENTAZIONE
o 2.3.6: RIPRODUZIONE
2.4: LA PESCA DEL CORALLO ROSSO
2.5: LO SFRUTTAMENTO DELLA RISORSA NEI SECOLI
CAPITOLO III: MATERIALI E METODI
3.1: DATI STORICI
3.2: DATI ATTUALI
3.3: L’IMMERSIONE
CAPITOLO IV: BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO I:
INTRODUZIONE
Il bacino del Mediterraneo, culla di civiltà, dalla notte dei tempi è il luogo più
antropizzato del pianeta.
La gestione integrata della fascia costiera è cosa molto recente, in particolare in Italia,
dove in risposta a un generale degrado della costa sono state istituite le prime Aree
Marine Protette (AMP), così definite nell’art. 25 della legge 979/1982 (sulle
disposizioni per la difesa del mare):
“Le Aree Marine Protette (AMP) sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque,
dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le
caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche, con particolare riguardo
alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica,
culturale, educativa ed economica che rivestono.”
L’AMP “Isola di Bergeggi” viene istituita nel 2007 ed il Comune di Bergeggi è stato
individuato dal Ministero dell'Ambiente come Ente Gestore.
I Siti di Interesse Comunitario (SIC) della Rete Natura 2000 sono regolamentati
dall’Allegato A della Direttiva Habitat dell’Unione Europea (Direttiva 92/43 CEE).
Il Coralligeno (biocenosi del Coralligeno: C secondo Pèrés e Picard, 1964) è tra le
principali comunità bentoniche mediterranee, a differenza della biocenosi della
prateria di Posidonia oceanica e delle Grotte sommerse e semisommerse (biocenosi
comprese nell’Allegato A della Direttiva Habitat) non è protetto ma costituisce altresì
un popolamento ricco di biodiversità, che rappresenta un anello fondamentale nella
costruzione degli habitat (biocustruzione).
Corallium rubrum costituisce una facies (biocenosi delle Grotte semi oscure: GSO)
molto importante che concorre alla costituzione della biocenosi del Coralligeno ma, a
differenza di quest’ultimo, è una specie protetta da diverse convenzioni:
•
Annesso III ASPIM: Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo
•
Convenzione di BERNA Ap.2: allegato 2 “Convenzione sulla conservazione
della vita selvatica dell'ambiente naturale in Europa”, adottata a Berna il 19
settembre 1979
•
Habitat all. 5: Allegato 5 alla Direttiva 43/92/CEE "Habitat" denominato Specie
animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui
sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione. Aggiornato con
la Direttiva 97/62/CE del Consiglio del 27 ottobre 1997.
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Le ragioni della protezione della specie si riscontrano nell’eccessivo prelievo a
scopi commerciali cui il corallo rosso è stato sottoposto, prelievo che ha ridotto la
taglia media dei popolamenti più superficiali (fino a circa 50 metri di profondità) ed ha
impoverito numerosi banchi profondi in tutto il Mar Mediterraneo.
A causa di ciò la pesca del corallo rosso è regolamentata in Algeria, Croazia, Spagna,
Grecia, Francia, Malta, Marocco ed Italia; è previsto, inoltre, l’inserimento del genere
nelle liste della Convenzione sul Commercio Internazionale delle specie minacciate di
flora e fauna (CITES) (Cerrano, 2009).
Il corallo rosso è stato, nel corso dei secoli, una specie di grande importanza
economica in tutto il Mediterraneo e quindi anche in Liguria, il prelievo è stato
effettuato con svariate metodologie, a partire dalle semplici reti da pesca, passando
per attrezzi specifici come la croce di S. Andrea o l’ingegno e terminando con
l’impegno di raccolta da parte di operatori subacquei muniti di piccozza e coppo.
Importanti testimonianze dell’utilizzo del corallo rosso da parte dell’uomo sono
presenti in tutta la Liguria, la più famosa è la Chiesa di Cervo, costruita a cavallo tra il
XVII e il XVIII secolo. L'edificio è conosciuto anche con la locale denominazione “dei
Corallini”, perché eretta anche grazie ai proventi della pesca del corallo, ed è
considerato uno dei maggiori monumenti in stile barocco della riviera ligure di
ponente.
La storia di molte importanti famiglie genovesi si intreccia indissolubilmente con il
mare, la navigazione ed il commercio del corallo rosso, infatti a partire dal XV secolo
le famiglie de i Lomellini, gli Spinola, i Doria, si spinsero lungo le coste africane del
Mar Mediterraneo, in Sicilia ed in Sardegna alla ricerca di questa preziosa risorsa.
All’esaurirsi di molteplici banchi su queste coste corrispondeva una sfrenata ricerca di
altre località dove poter pescare il corallo in modo indiretto; ma è solo a partire dagli
anni ‘50 del secolo scorso che si iniziano a sfruttare, con le nuove tecniche subacquee
e l’autorespiratore ad aria (ARA), le popolazioni di Corallium rubrum della Liguria,
soprattutto quelle presenti lungo il promontorio di Portofino.
Pochi anni dopo si scoprì, grazie all’indicazione dei pescatori artigianali che con
l’aragostara operavano sui popolamenti a Coralligeno dei canyon del ponente ligure,
l’esistenza di alcune piccole popolazioni sulla parete de “I Maledetti” a Bergeggi ed
anch’esse iniziarono a venire sfruttate, tanto che si ha memoria storica del fatto che
alcuni pescatori professionali di corallo siano giunti dalla Regione Sardegna fino a
Bergeggi per valutarne le possibilità di sfruttamento (anni ‘70).
Tutti gli strumenti di conservazione vigenti negli ultimi anni, quali l’AMP Isola di
Bergeggi ed il SIC denominato Fondali Noli – Bergeggi, non includono nel proprio
territorio questo importante habitat, probabilmente per la carenza di informazioni sulla
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zona da parte degli scientifici; il confine meridionale dell’AMP addirittura dista
solo 50 m dalle suddette pareti.
Lo scopo principale di questo studio è quello di caratterizzare la parete de I Maledetti,
in modo che il Comune di Bergeggi, in qualità di Ente gestore dell’AMP e del SIC
marino, possa modificare i perimetri di queste aree protette, includendo anche questo
Coralligeno profondo.
Pertanto, al fine di conseguire lo scopo prefisso, si dovranno caratterizzare le
comunità presenti sulla secca de “I Maledetti” ed iniziare a valutare la struttura di
popolazione delle colonie di Corallium rubrum mediante l’analisi dei parametri
morfometrici più significativi come l’analisi di altezza delle colonie, peso, diametro alla
base, numero di apici e l’analisi della densità delle colonie.
Un altro scopo consiste nel verificare se nel corso degli anni e dopo lo sfruttamento
avvenuto fino agli anni ‘70, la popolazione mantenga o meno una struttura “naturale”.
A tale scopo è importante confrontare il popolamento attuale (in termini di analisi di
altezza delle colonie, peso, diametro alla base, numero di apici e l’analisi della densità
delle colonie) con i dati riscontrabili in colonie raccolte negli anni ‘70; colonie che
rappresentano le taglie massime riscontrabili all’epoca in Liguria.
Inoltre un ulteriore scopo dello studio è il confronto tra la struttura di popolazione
massima odierna e degli anni ‘70 a Bergeggi con dati relativi a colonie raccolte negli
anni ‘60 lungo il promontorio di Portofino dove, storicamente, si è maggiormente
concentrato il prelievo a scopo commerciale in Liguria.
I dati così ottenuti saranno di notevole importanza per valutare lo stato di una
popolazione di cui fino ad oggi non si possiede alcun dato scientifico.
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CAPITOLO II: STATO DELL’ARTE
2.1: L’AREA DI STUDIO
Il tratto di mare compreso tra Porto Vado (frazione di Vado Ligure) e Noli è
caratterizzato da situazioni morfologiche e condizioni ambientali molto differenti tra
loro.
La parte più a ponente è caratterizzata da forti correnti dovute a pendenze elevate del
fondale con la presenza di fosse molto vicine alla parte emersa (Capo Noli è il
Promontorio con le batimetriche più vicine della Liguria), qui i venti dominanti invernali
(tramontana e greco) scendendo dalla valle di Savona e girano lungo costa in
direzione ponente generando correnti fortissime; ciò preclude, per lunghi periodi,
l’espletamento delle varie attività a mare, prime fra tutte la pesca professionale e le
immersioni.
2.2: IL CORALLIGENO
Il Coralligeno viene definito nell’ambito della Convenzione di Barcellona come un
“complesso di biocenosi ricche in biodiversità che formano un paesaggio di organismi
animali e vegetali sciafili e perennanti con un concrezionamento più o meno
importante fatto di alghe calcaree”.
Il termine Coralligeno deriva dal francese “coralligène”, coniato nel 1883 da Marion il
quale, studiando le concrezioni calcaree del Golfo di Marsiglia, trovò pezzi di corallo
rosso e chiamò impropriamente tale formazione “Coralligeno” cioè “generatore di
corallo”. Egli descrisse così i fondali duri caratterizzati dall’abbondanza di alghe
coralline, principalmente Mesophyllum, Pseudolithophyllum, Lithophyllum e dalla
presenza di corallo rosso (Corallium rubrum).
Dalla fine del 1800 ad oggi sono stati fatti numerosi studi, volti ad approfondire le
conoscenze di questa biocenosi, ora sappiamo che il corallo rosso appartiene ad un
habitat differente, caratterizzato da ambienti semioscuri spesso frammisti a
Coralligeno.
Il Coralligeno è un substrato duro di origine biologica. Si forma principalmente per
l’accumulo di alghe calcaree incrostanti (corallinacee) in zone scarsamente illuminate
e in acque relativamente calme ed è una formazione endemica del Mediterraneo; non
deve essere considerato come una biocenosi singola, poiché manca una specie
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caratterizzante esclusiva che possa quindi prevalere in modo preponderante sulle
altre specie, ma è una formazione complessa, marcata da una biocostruzione con
prevalenza di alghe calcaree e che si sviluppa tra i 20 ed i 120 metri di profondità
coinvolgendo sia il piano infralitorale sia quello circalitorale.
I limiti del Coralligeno non si esauriscono, quindi, su un solo piano; vi è una
predilezione per il circalitorale, ma le formazioni coralligene possono essere rinvenute
anche nell’infralitorale, ovviamente in siti dove le condizioni di luce, temperatura e
circolazione di materia in sospensione siano adeguate. I fattori ambientali influiscono
con un ampia variabilità su questa biocenosi: tra i diversi fattori, la luce sembra essere
quello che maggiormente condiziona la distribuzione degli organismi bentonici. Le
macroalghe, inoltre, principali biocostruttori del Coralligeno, pur non sopportando alti
livelli d’irradianza, necessitano di luce per crescere. La profondità minima per lo
sviluppo del Coralligeno è molto variabile e dipende dalla quantità di luce che riesce a
penetrare nella colonna d’acqua. Se la torbidità dell’acqua è tale da limitare
notevolmente la penetrazione della luce, il Coralligeno si può sviluppare anche a
modeste profondità. Il passaggio da piano infralitorale a piano circalitorale è infatti
caratterizzato da una progressiva diminuzione dell’intensità luminosa e non è situato a
una profondità definita.
Formalmente questa transizione si verifica in corrispondenza del limite inferiore della
presenza di Posidonia oceanica o, in assenza di questa specie, alla profondità oltre la
quale scompaiono le alghe fotofile strettamente legate alla presenza di luce.
Il
proliferare
del
Coralligeno
è
dovuto
essenzialmente
al fenomeno
della
biocostruzione ad opera di alcuni organismi, questo fenomeno, altamente dinamico, è
il risultato dell’equilibrio tra l’azione degli organismi biocostruttori e quella dei
demolitori su una scala temporale successivamente ampia e compatibile con con la
durata della vita dei biocostruttori.
La biocostruzione si basa fondamentalmente su due strategie vitali:
•
il gregarismo, cioè gli individui si insediano gli uni accanto agli altri come nel
caso di serpulidi e vermetidi;
•
la colonialità, che dipende dalla riproduzione asessuata come nel caso dei
coralli.
Nel Coralligeno si possono distinguere quattro categorie di invertebrati:
biocostruttori del Coralligeno: (alghe calcaree, briozoi, serpulidi, antozoi e
poriferi). Essi rappresentano il 24% delle specie totali.
criptofauna in grado di colonizzare le piccole fessure e le cavità della struttura
(molluschi, crostacei e policheti). Essi rappresentano il 7% delle specie totali.
epifauna ed endofauna. Rappresentano il 67% delle specie totali.
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specie erosive (Lithophaga lithophaga, poriferi del genere Cliona).
Rappresentano l’1% delle specie totali.
In conclusione il Coralligeno è una formazione estremamente importante poiché ospita
molteplici microhabitat, sui quali i fattori ambientali (quali ad esempio luce,
idrodinamismo e sedimentazione) sono in grado di agire in modo talmente diverso e
marcato da determinare differenze notevoli nella composizione di popolamenti siti
anche a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro.
Questa eccezionale eterogeneità ambientale consente a diversi popolamenti di
coesistere in ambiti molto ridotti, promuove e facilita quindi l’incremento di biodiversità.
La complessità della struttura del Coralligeno permette, quindi, lo sviluppo di una
comunità estremamente eterogenea dominata dai “suspension feeders”.
2.3: CORALLIUM RUBRUM
2.3.1: SISTEMATICA
Il corallo rosso, Corallium rubrum (L., 1758), appartiene al phylum Cnidaria, classe
Anthozoa, sottoclasse Ottocorallia, ordine Gorgoniacea.
Il termine “corallo” ha un’etimologia piuttosto discussa: per molti, infatti, deriva dal
greco koraillon, cioè scheletro duro, per altri invece sempre dal greco kura-halos, cioè
forma umana ed altri ancora fanno derivare il termine dall'ebraico goral, nome usato
per le pietre utilizzate per gli oracoli in Palestina, Asia Minore e Mediterraneo tra le
quali ruolo preponderante era svolto appunto dai coralli.
Il termine Antozoi significa letteralmente "fiori-animali" (dal greco "anthos" fiore e
"zoon" animale).
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Figura 6: fotografia di colonie di Coralluim rubrum (Foto di S. Canese).
http://it.wikipedia.org/wiki/Corallium_rubrum - cite_note-2#cite_note-2
2.3.2: DISTRIBUZIONE
Il corallo rosso (Liverino, 1984) è una specie endemica del Mediterraneo e delle vicine
coste atlantiche; il suo areale di distribuzione va dalla Grecia e dalla Tunisia fino allo
Stretto di Gibilterra, Corsica, Sardegna, Sicilia e Baleari incluse, ma è diffuso anche
nell’Atlantico orientale in Portogallo, Canarie, Marocco e Isole di Capo Verde, di solito
fino a 200 metri di profondità, in luoghi poco illuminati (falesie, anfratti, grotte) con
scarso ricoprimento.
La presenza di una popolazione di Corallium rubrum è influenzata da molte variabili
ambientali:
Luminosità: il corallo rosso è una specie sciafila e la luce sembra essere uno
dei principali fattori che limitano la distribuzione delle colonie adulte, per questo
motivo i popolamenti maggiori si possono trovare all’interno di grotte sia
profonde sia superficiali o di rientranze della roccia oppure su pareti rocciose
poste a profondità rilevanti.
Temperatura: si suppone che il corallo rosso colonizzi ambienti al di sotto del
termoclino estivo.
Pendenza ed esposizione del substrato: fattori che influiscono su altri quali
idrodinamismo, luce, materiale in sospensione.
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Idrodinamismo: questa variabile non solo garantisce l’apporto di
nutrimento, ossigeno, dispersione dei gameti, allontanamento dei cataboliti, ma
determina anche la forma della colonia stessa.
Figura 7: distribuzione di Corallium rubrum in Mediterraneo.
2.3.3: MORFOLOGIA
CNIDARIA
Gli Cnidaria sono tra gli organismi più semplici degli Eumetazoi: mancano infatti di veri
e propri organi, di differenziazione cefalica e di un sistema nervoso vero e proprio.
Presentano simmetria raggiata ed il loro corpo ha forma di un sacco ed è formato dalla
cavità gastrovascolare, chiamata celenteron, rivestita di endoderma che si apre a
formare una bocca tentacolata che permette le comunicazioni con l’esterno: quindi
l’ingresso di cibo e l’espulsione di materiale non digerito
Le funzioni del gastroderma sono di tipo vascolare (l'acqua che lo riempie giunge
abbastanza vicino a tutti i tessuti del corpo, fornendo cibo ed ossigeno e rimuovendo
anidride carbonica e sostanze di rifiuto) e digestivo (vi si riversano succhi digestivi
prodotti dalle cellule che lo rivestono ).
La parete del corpo è formata da tre strati: l’endoderma che è lo strato più interno, la
mesoglea che è uno strato intermedio gelatinoso e l’ectoderma ovvero lo strato più
esterno.
In quest’ultimo sono presenti alcune cellule differenziate in cellule muscolari e cellule
nervose, le prime sono in grado di contrarsi e garantire il movimento e il tono del
corpo, le seconde sono invece in grado di trasmettere stimoli.
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Gli Cnidari presentano due forme strutturali principali: una sessile polipoide ed
una natante medusoide a seconda della Classe di appartenenza può essere presente
solo una forma o entrambe.
Figura 8: morfologia di polipo e medusa degli Cnidari
ANTHOZOA
La Classe Anthozoa è rappresentata solamente dalla forma polipoide che può essere
solitaria, come i cerianti, oppure coloniale, come nel caso dei coralli e quindi anche di
Corallium rubrum.
In generale il corpo del polipo è allargato alla superficie superiore a formare un disco
orale circondato da una o più corone di tentacoli cavi, mentre la terminazione aborale
aderisce al substrato. La cavità digerente si presenta settata longitudinalmente da
mesenteri ovvero pareti verticali, che dalla parete corporea convergono a raggiera
verso l’asse centrale.
Si possono evidenziare due sottoclassi distinte dalla diversa struttura dei tentacoli del
polipo: la sottoclasse Hexacorallia, di cui fanno parte i “coralli di reef”, tra i quali
ricordiamo i madreporari, comprende antozoi con mesenteri e tentacoli per lo più in
numero di 6 o multiplo di 6; i tentacoli si presentano lisci, raramente ramificati e le
gonadi,situate nello spessore dei mesenteri, sono piatte.
Nella sottoclasse Octocorallia, invece, i tentacoli sono 8 e pinnati, la cavità vascolare è
divisa da altrettanti mesenteri completi e le gonadi pendono nella cavità
gastrovascolare. Gli Octocorallia comprendono per lo più specie coloniali i cui polipi
sono collegati da una massa di tessuto detta “cenenchima”.
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Il cenenchima consiste in una spessa massa gelatinosa di mesoglea che forma
una rete complessa, più o meno anastomizzata e perforata da tubi gastrodermici che
comunicano con la cavità gastrovascolare dei polipi. Tutta la colonia possiede un
sistema gastrovascolare collettivo.
La superficie dell’intera colonia è rivestita da uno strato di ectoderma, chiamato
sarcosoma, che la avvolge come un guanto e si congiunge con l’ectoderma dei polipi,
lasciando fuori dal cenosarco, solo la porzione orale del polipo.
Gli amebociti del cenenchima secernono spicole calcaree o materiale corneo che
vanno a formare lo scheletro. Negli ottocoralli lo scheletro, diversamente dalle
madrepore, è interno e serve a sostenere la colonia.
GORGONIACEA
Nell’ordine dei Gorgoniacea lo scheletro delle colonie è composto da sostanza
organica: la gorgonina. Nel caso del Corallium rubrum lo scheletro è totalmente
formato da carbonato di calcio cristallizzato sotto forma di calcite ed organizzato in
spicole. Lo scheletro è attraversato da caratteristici solchi longitudinali percorsi dai tubi
gastrodermici, molto simili ad un sistema circolatorio, attraverso i quali non solo si
alimentano tutte le parti dello scheletro, ma vengono anche passate le informazioni a
tutta la colonia.
Se i canali gastrodermici sono la principale via di comunicazione della colonia, il polipo
ne è l’unità strutturale: visto nel suo insieme, si presenta sotto forma di un delicato
fiore bianco, trasparente, con i suoi otto petali che ondeggiano nella corrente (dal che
si comprende come e perché la sua natura animale sia restata così a lungo ignorata).
Sono i polipi a fornire il nutrimento per la colonia, catturando con i lunghi tentacoli le
piccole particelle di plancton che fluttuano nell’acqua, nonché ingoiando le sostanze
che sono disciolte nell’acqua.
Attraverso un’opera di secrezione interna, queste sostanze passano in circolo nei
canali interni e fanno crescere lo scheletro assiale. Non di rado, tagliando un ramo, è
possibile notare i cerchi concentrici di crescita.
Il Corallium rubrum appartiene a quest’ordine.
CORALLIUM RUBRUM
Il corallo rosso è un antozoo coloniale endemico del Mediterraneo (Stiller, 1984). E’
una specie longeva e dall’alto valore economico che ha portato questa risorsa ad
essere sfruttata già in tempi antichi (Neolitico) ma con “la corsa all’oro rosso” degli
anni ‘60 e ‘70 questa importante risorsa è stata sovrasfruttata al punto da essere,
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oggi, considerata una specie a rischio di estinzione anche a causa della sua
crescita estremamente lenta (Garrabou & Harmelin, 2002).
La morfologia del corallo rosso cambia in base alle caratteristiche ambientali e
geografiche in cui una colonia si trova a vivere.
Il corallo rosso è una specie con ampio areale di distribuzione verticale, infatti si
estende da un minimo di 20 m fino ad oltre 300 m; per questo motivo la specie è stata
suddivisa in: popolamenti costieri, che vivono a profondità comprese tra 20 e 50 m, e
popolamenti profondi, presenti generalmente tra i 60 e i 250 m, tale definizione è
basata proprio sulle differenti caratteristiche ravvisate in popolazioni insediatesi a
differenti profondità.
Le popolazioni costiere sono caratterizzate da colonie piccole e giovani probabilmente
a causa del sovrasfruttamento a cui il corallo rosso è stato sottoposto, è prevalente la
forma incrostante e la densità delle colonie è piuttosto elevata.
Le popolazioni profonde, invece, presentano dimensioni maggiori soprattutto per
quanto riguarda il diametro della colonia, sono distribuite con minori densità di
popolazione e sono meno affette dalla predazione di spugne perforanti; presentano
forma arborescente su un solo piano se la colonia si trova su pareti verticali e nelle
grotte, e forme arborescenti sviluppate su più piani all’interno delle grotte stesse.
In generale i polipi sono provvisti di otto tentacoli, in media misurano 1-1,5 cm e sono
bianchi e diafani.
Le spicole sono cruciformi e di dimensioni variabili, solitamente di colore rosso anche
se l’intensità può variare in base alla profondità in cui cresce e si sviluppa la colonia;
rarissimi sono i fenomeni di albinismo.
L’asse scheletrico centrale si forma per calcificazione e conseguente fusione delle
spicole stesse (Grillo et al, 1993) .
2.3.4: SISTEMA NERVOSO
Il sistema nervoso è molto semplice, costituito da una rete di cellule nervose per una
trasmissione elementare degli impulsi soprattutto verso i polipi che in questo modo
riescono a sincronizzare il normale ritmo di apertura/chiusura e a coordinare la
ritrazione degli stessi in caso di minaccia da parte di un predatore.
2.3.5: ALIMENTAZIONE
Corallium rubrum è definito un “suspension feeder” ovvero un animale la cui
alimentazione è basata sulla cattura per filtrazione di piccoli organismi unicellulari
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planctonici e che ha sviluppato particolari meccanismi che permettono di
trattenere particelle di cibo anche quando esse sono molto diluite.
Figura 9: particolare dei polipi di Corallium rubrum (Foto di S. Bava)
La cattura avviene ad opera della corona di tentacoli che circonda la bocca ed è
facilitata dalla presenza di una sorta di muco che riveste ogni tentacolo; non appena i
tentacoli entrano in contatto con una “potenziale preda” la imprigionano mediante un
meccanismo di contrazione che permette al tentacolo di avvolgersi a spirale intorno
alla preda; quindi si ritrae nella bocca dove viene sottoposta ad analisi tattile a seguito
della quale la particella se ritenuta “edibile” viene ingerita altrimenti viene espulsa.
Poiché l’intera colonia ha il sistema gastrovascolare in comune il nutrimento catturato
da ogni singolo individuo concorre al mantenimento dell’intera comunità, quindi questo
tipo di struttura assicura a ogni polipo il nutrimento anche nel caso in cui uno di essi
sia impossibilitato a nutrirsi direttamente.
Per quanto riguarda i prodotti di scarto della digestione, questi vengono raccolti ed
espulsi attraverso la bocca poiché non è presente l’apertura anale.
La respirazione avviene per scambi diretti di ossigeno ed anidride carbonica con
l’ambiente circostante.
I “suspension feeders” sono organismi ecologicamente molto importanti e la loro
presenza dipende essenzialmente dall’intensità delle correnti e dalla disponibilità di
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cibo, per questa ragione il corallo rosso predilige acque prive di sedimenti in
sospensione e con correnti intense.
I “suspension feeders” possono distinguersi in:
filtratori attivi, in grado di utilizzare l’energia per indurre una corrente d’acqua
vicino alle strutture specializzate nell’alimentazione, questi organismi sono più
specializzati e sono in grado di filtrare anche le particelle più piccole
filtratori passivi che si limitano ad orientare tali strutture a favore di corrente per
potersi alimentare senza troppo dispendio energetico, tali organismi attirano
con più facilità le particelle di grandi dimensioni che danno quindi un maggior
apporto energetico.
Molti e cruciali sono i rapporti dei filtratori con l’ecosistema marino: essi con la loro
strategia alimentare contribuiscono agli scambi di materia tra il dominio planctonico e
quello bentonico; i “suspension feeders”, inoltre, si pongono come barriera tra
substrato e colonna d’acqua rallentando il flusso delle correnti ed aumentando il
tempo di residenza delle particelle nella colonna d’acqua. In ultimo questi organismi
rappresentano un habitat per la fauna vagile, cioè natante, presente nell’associazione
del Coralligeno incrementando così la biomassa e la biodiversità dell’ecosistema.
In quest’ottica Corallium rubrum assume un altro importante “valore aggiunto”: non
solo è una specie di altissimo valore commerciale e quindi importante sotto il profilo
economico, ma è anche una specie chiave all’interno dell’ecosistema marino, assume
quindi un ruolo ecologico fondamentale.
2.3.6: RIPRODUZIONE
Molto si conosce circa la riproduzione degli Antozoi, ma poche sono le conoscenze su
quella del Corallium rubrum, di cui si hanno solamente alcuni dati storici.
La riproduzione del corallo rosso è di tipo sessuale (Vighi, 1970) i sessi sono separati
sia a livello di polipi sia a livello di colonie quindi si parla di specie gonocorica
(Santangelo et al, 2007), con l’ausilio di un microscopio è facile distinguere i polipi
maschili da quelli femminili poiché le gonadi maschili sono di color bianco latte,
allungate e con forma irregolare mentre gli oociti femminili sono di color giallo chiaro e
tondeggianti.
La stagione riproduttiva va da giugno a settembre secondo un ciclo stagionale di
maturazione delle gonadi diverso per i due sessi: gli oociti vengono portati a
maturazione in due anni ed in ogni stagione riproduttiva si ha la coesistenza di due
popolazioni di oociti, una completamente mature ed una più piccola in fase di
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maturazione; le gonadi maschili invece maturano in un solo anno (lo sviluppo
comincia in inverno e termina in estate).
Entrambe le gonadi maturano all’interno della colonia più precisamente nei tessuti dei
setto mesenterico, a maturazione ultimata si staccano e migrano nella cavità
gastrovascolare dove avviene la fecondazione.
Il periodo embrionale ha durata di 20-30 giorni al termine dei quali il futuro individuo,
che prende il nome di planula, si sposta sull’apice di un polipo e dopo poche ore viene
liberato attraverso l’apertura boccale.
La larva così formata è natante e lecitotrofica, è di colore bianco e a forma di clava.
Non possedendo tessuti specializzati ed incapace di nutrirsi, la planula ha tempi brevi
di resistenza nella colonna d’acqua (pochi giorni) per questo motivo deve trovare un
substrato adatto dove fissarsi in poco tempo e non può allontanarsi molto dalla
colonia-genitrice.
Dopo essersi fissata al substrato la larva inizia la metamorfosi che, trascorso circa un
mese, la rende simile al polipo adulto.
Le spicole iniziano a comparire già dopo circa 15 giorni.
La colonia si accresce, a questo punto, per via asessuata.
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Figura 10: ciclo riproduttivo di Corallium rubrum
Figura 10: ciclo riproduttivo di Corallum rubrum
Figura 10: ciclo riproduttivo di Corallium rubrum
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2.4: LA PESCA DEL CORALLO ROSSO
La pesca del corallo rosso (Corallium rubrum) è stata fin dal principio un’attività tanto
affascinante quanto pericolosa e faticosa. A causa delle grandi profondità alle quali si
trovano le colonie d’interesse commerciale, infatti, il prelievo risulta essere
dispendioso e particolarmente difficile; in assenza delle odierne tecniche di pesca
subacquee, il prelievo doveva, infatti, effettuarsi dalla superficie tramite tentativi
casuali e strumentazioni approssimative.
Prima della massima espansione araba non esistevano attrezzi specifici per la pesca
del corallo rosso, si utilizzavano piccole sacche morbide la cui imboccatura era ferrata,
queste venivano calate a mano e, una volta raggiunto il fondo, venivano manovrate
manualmente dalla barca: i pescatori li trascinavano lungo il fondo spezzando così i
rami del corallo che finivano nel sacco. I limiti di tale attrezzo sono piuttosto evidenti:
innanzitutto potevano essere utilizzati solamente in zone non troppo profonde, le
dimensioni erano modestissime così come la forza che poteva essere applicata
sull’attrezzo; è intuibile quindi come la quantità di corallo pescato fosse irrisoria.
Con la conquista araba le cose cambiarono: essi, infatti, elaborarono un attrezzo
decisamente più efficace: l’ingegno (Ortiz et al., 1986).
L’ingegno era un attrezzo da traino formato da una pesante barra di metallo a cui
erano collegate catene con fissati in serie pezzi di rete in cui il corallo
occasionalmente restava impigliato ed enormi pietre che fungevano da zavorra.
Questo attrezzo lavorava anche a profondità elevate (fino a 40 m) con un forte impatto
distruttivo in quanto svolgeva un’aratura vera e propria del fondale.
Un’ulteriore evoluzione dell’ingegno è stata la Croce di S. Andrea, attrezzo formato da
due travi pesantissime giuntate a croce opportunamente zavorrate (sui fondali marini
liguri sono state trovate pesanti pietre rettangolari con scanalature per ospitare le
corde che le fissavano all’attrezzo) e fissate ad una lunga cima che serviva per
rendere più agili le manovre dalla barca; dalle braccia della croce pendevano stralci di
reti e rampini per sradicare il corallo e trattenerlo.
18
Figura 11: croce di S. Andrea e barra Italiana
Così il Balzano (1988), importante storico del settore, descrive l’ingegno:
“…dicevasi questo dà provenzali engins, e dai nostri ingegno ed era certo di non
poca utilità, perocchè la forza delle reti fatte di spago, accostandosi allo scoglio,
era tanta da abbrancare in mezzo a loro il corallo e trarselo dopo averlo rotto e
sbarbato; e le ali medesime della croce erano per sé stesse bastevoli, per
picciolo avviamento che le si dava, ad intromettersi nel seno degli scogli, spesso
anche traversandosi ne’ piani come ordinariamente doveva avvenire […] è certa
cosa che i nostri nazionali essi primi accoppiassero la rete alla croce, che certo
da’ pescatori Torresi di molto è stata più guernita e raffazzonata da tirar sopra
perfino pezzi grandi di scogli divellendoli a forza dai massi marini dove sono
incastrati […] Ecco ora per qual modo i nostri vigorosi ed indomabili Torresi
hanno composto l’ingegno. Due grosse spranghe di legno assai forte, siccome
quello di faggio o quercia, pongono prima a croce. Tuttavia la lunghezza di esse
spranghe è circa cinque piedi parigini, ovvero sei palmi e mezzo napoletani;
verso il centro la loro spessezza quadrata è circa tre dodicesimi del piede […]
poco più del palmo. Nel mezzo di essa croce è una mazzera di pietra dal peso di
circa rotoli ventiquattro e più, che serve per far discendere nel profondo
l’ingegno.
Agli
estremi
le
braccia
della
croce
vanno
gradatamente
assottigliandosi, avendo ognuno un incavo circolare alla cima per modo di
formare quattro capocchie. In questi incavi sono legate funi non più lunghe di
mezzo piede con alla cima due reti pendenti, e questa parte dell’ingegno vien
detta coscione […] Ad ognuno poi dei descritti coscioni o braccia della croce
sopraddetta è altro incavo circolare come quello delle capocchie […] evvì legata
una rete e con essa una fune di circa diciotto piedi o poco più, che sono tre
canne napoletane; presso alla qual fune alla distanza di ogni tre piedi e mezzo
[…] è legata alla rete, per modo che delle cinque reti, ch presso alla fune si
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allogano, trovarsi l’ultima alla cima pendente come fiocco […] Una somigliante
fune così armata, è appiccata pure nel centro della croce.
Per tal modo la croce di legno vien fornita di otto reti alla estremità, e di trenta
altre pensili alla metà delle braccia e del centro […] Da tale descrizione
agevolmente
può
intendersi
come
questo
così
fatto
ingegno
riesca
acconciassimo nel venir sotto a travagliare d’ogni parte i più riposti siti dello
scoglio […] i marinai nel viaggio, recando con esso lo spago, lavorano così fatte
reti ed assettano l’ingegno. Il quale, calcolando secondo la descrizione finora
fattane, pesa ad un bel circa un cantao e mezzo”.
Il peso fuori dall’acqua dell’ingegno corrispondeva a circa un quintale e mezzo, in
acqua eccedeva di poco i venti chili, peso della zavorra, era quindi di per sé
maneggevole, la fatica dei marinai era quella di dover vincere le resistenze delle rocce
ogni qualvolta l’ingegno si impigliava.
La pesca veniva effettuata come segue: l’ingegno veniva calato, la barca, a favore di
vento, iniziava a muoversi. Vi erano marinai addetti alla navigazione e marinai addetti
alla pesca che dovevano controllare che l’attrezzo non si impigliasse. L’ingegno
doveva essere manovrato con maestria e da persone che conoscessero l’andamento
del fondale per far aderire l’ingegno alle pareti rocciose ed ottimizzare così la pesca.
Ogni discesa dell’ingegno veniva denominata cala, abbreviazione di calata.
Per poter ammortizzare le spese le calate da fare in una giornata di pesca dovevano
essere almeno quindici per almeno altrettante ore di lavoro.
Le coralline erano imbarcazioni simili a quelle utilizzate per altri tipi di pesca, lunghe
una decina di metri e generalmente avevano un attrezzo di pesca a poppa ed uno a
prua.
I corallari si muovevano lungo le coste fintanto che le reti non erano riempite a
sufficienza. Queste manovre provocavano, oltre che la semidistruzione delle colonie di
corallo, anche la lacerazione delle reti. Per questo motivo sulle barche non
mancavano mai grandi quantità di filo per operarne la riparazione.
Le coralline operavano in flottiglie ravvicinate e su settori circoscritti.
Vale ancora la pena ricordare che a Portofino nel XII secolo grazie ai proventi
derivanti dalla pesca del corallo venne eretto un piccolo tempio presso la cappella di
S. Giorgio, a testimonianza della forte devozione delle genti locali.
20
Figura 12: salpata della Croce di S.Andrea
Oggi l'uso dell'ingegno non è più consentito: ne fa espresso divieto il regolamento UE
n.1626/94 che all'articolo 2, comma 2, recita testualmente: “È vietato l'impiego per la
raccolta dei coralli di croci di S. Andrea e di altri analoghi attrezzi trainati”.
La pesca al corallo rosso, dopo il divieto dell’uso dell’ingegno è stata condotta da
pescatori subacquei che effettuavano anche immersioni pericolose, a grande
profondità pur di potersi aggiudicare l’ “oro rosso del mediterraneo”.
Oggi la pesca del corallo rosso viene effettuata, in Mediterraneo, da subacquei
professionisti e si svolge, in gran parte, in Sardegna, sopratutto nelle Bocche di
Bonifacio e lungo le coste algerine e tunisine.
I corallari, muniti di bombole caricate con miscele respiratorie opportunamente dosate
di elio, azoto ed ossigeno, per diminuire il pericolo dell’embolia gassosa, possono
raggiungere anche i 120 metri di profondità.
Questo tipo di pesca è molto pericoloso in quanto le alte profondità favoriscono
l’insorgere dell’embolia, una patologia legata alla respirazione di gas compressi ed
oggi tutti i corallari hanno, sulla loro barca, camere iperbariche, dove, in sicurezza,
svolgono una parte della necessaria decompressione, alla fine della loro immersione.
Di norma, il subacqueo rimane sul fondo circa quindici minuti, durante i quali raccoglie
i rami di corallo con una semplice piccozza, mettendoli in un apposito cesto, detto
coppo.
21
Figura 13: operatore subacqueo con il coppo pieno di rami di corallo rosso
Al momento di abbandonare il fondo, per risparmiare energia, il sub si lascia
trascinare verso la superficie da un secchio, in cui immette aria e poi, agganciatosi ad
un cavo calato dalla barca appoggio, si ferma per effettuare una prima tappa di
decompressione, dopo aver inviato sulla barca il prezioso bottino raccolto. Esigui
contatti con la superficie li mantiene grazie ad una lavagnetta su cui può scrivere e,
talvolta, viene alleviato dal freddo patito a causa della profondità e per aver respirato
elio, grazie ad una manichetta d’acqua calda. Una volta in superficie, liberatosi
dell’attrezzatura, entra nella camera iperbarica per finire la sua decompressione.
Operare con i sub permette una più accurata e selettiva raccolta dei rami di corallo,
anche in ambienti non raggiungibili con l’ingegno, come le grotte sottomarine, ed
inoltre il subacqueo professionista è in grado di rendersi facilmente conto se un’area è
o meno sovrasfruttata e quindi, di operare di conseguenza.
2.5: LO SFRUTTAMENTO DELLA RISORSA NEI SECOLI
Le testimonianze sulla conoscenza del corallo rosso da parte dell’uomo risalgono
addirittura agli albori della civiltà, infatti pare che l’uso di pezzetti di corallo nelle
sepolture o per riti scaramantici fosse largamente presente già nel IV millennio prima
della nascita di Cristo; del resto nella mitologia greca si possono ravvisare riferimenti
circa la conoscenza del corallo rosso, la cui origine veniva fatta risalire alle gocce di
sangue della Gorgone decapitata da Perseo cadute nella spuma del mare.
22
La storia del corallo rosso, inoltre, si intreccia indissolubilmente anche con la
storia dell’arte (Tescione, 1965).
In epoca romana Plinio il Vecchio tramandò con sorprendente esattezza le località di
pesca del corallo che al tempo dei romani pare fosse largamente diffusa.
Il corallo rosso assunse in quel periodo storico molteplici funzioni legate ad altrettante
credenze; gli venne attribuito un potere curativo e farmaceutico tanto da ritenere
questo animale una sorta di panacea a molti mali. Di conseguenza, la richiesta di
approvvigionamento aumentò di pari passo con l’esiguità dei banchi di pesca
conosciuti.
Con il dissolversi dell’Impero romano diminuirono anche le fonti relative alla pesca di
questa importante risorsa, che tuttavia non cessò mai completamente, sopravvivendo
lungo gli anni.
Per ritrovare significativi documenti bisogna aspettare il Medioevo (Piccinno, 2010);
basti pensare che intorno al 1500 il corallo rosso era il prodotto maggiormente
richiesto sul mercato asiatico ed il Mediterraneo era l’area di reperimento maggiore.
In questo periodo gli Arabi dominavano indiscussi il Mediterraneo e ne avevano il
monopolio. Tra il 1100 ed il 1300 solo poche regioni erano sfuggite al dominio
musulmano e la pesca del corallo era molto lucrosa soprattutto nei mari di Corsica e
Sardegna, lungo le coste della Toscana e nelle regioni di Sicilia, Calabria e Campania
ma anche in Provenza, nella penisola magrebina e a Cap de Creuz in Catalogna.
Quest’attività di prelievo coinvolgeva le maggiori comunità di pescatori dell’Ovest del
Mediterraneo: Genova, Pisa, la Sicilia, la Campania, la regione della Catalogna e della
Provenza. Nel Medioevo, inoltre, iniziarono a fiorire centri di raccolta e lavorazione del
corallo rosso a Barcellona, Marsiglia, Genova, Livorno, Trapani.
Il controllo della risorsa rimase di vitale importanza per tutto il Medioevo e creò
importanti contenziosi per lo sfruttamento esclusivo dei banchi più remunerativi di cui
ogni città cercava di ottenere il monopolio il più a lungo possibile.
I governi coinvolti in questa “caccia all’oro rosso” furono principalmente quello
spagnolo, quello francese e la Repubblica genovese.
Dal 1400 al 1700 i pescatori liguri assunsero un ruolo fondamentale per quanto
riguarda questo tipo di pesca estremamente settoriale: essi avevano il controllo di tutte
le fasi di pesca e lavorazione del corallo. I pescatori liguri venivano chiamati
“Corallatori” e dalla Liguria navigavano alla ricerca di corallo lungo le coste africane,
nel mare corso e sardo, fino a spingersi molto lontano dalla propria terra con un
grandissimo investimento sia monetario sia di risorse umane.
23
La ricerca dell’ “oro rosso” era altresì molto pericolosa, inizialmente le barche si
avventuravano in mare senza alcuna protezione o supporto per il mare aperto ed
incombeva la minaccia dei pirati.
Solo nella seconda metà del 1400 si iniziarono a progettare barche ed attrezzature da
adibirsi esclusivamente alla pesca del corallo rosso, d’altronde tutto questo era
ampiamente giustificato dall’ampio commercio della risorsa che veniva scambiata in
Siria, Egitto, Armenia, India con i prodotti più preziosi dell’epoca come spezie e tessuti
e ben presto l’areale di commercio si ampliò coinvolgendo il mercato dell’Europa
dell’Ovest.
I pescatori liguri furono tra i più abili pescatori di corallo e, dal Medioevo fino alle
ultime decadi del secolo scorso, concentrarono in tre aree il loro “intervento”:
lungo le coste africane;
in Sardegna;
in Corsica.
La procedura di sfruttamento di un banco era una vera e propria campagna con tanto
di colonizzazione europea del tratto di costa prospiciente i banchi da sfruttare.
Durante le campagne in Africa vennero create le prime compagnie come la
“Compagnie d’Afrique”, la “Compagnie Royale d’Afrique” e l’ “East India Company”
che operavano previo rilascio di concessioni da parte del proprio governo.
COSTE AFRICANE
La presenza di barche della Repubblica di Genova in quest’area geografica risale
proprio al 1400 quando molte ricche famiglie di Genova come i Lomellini, gli Spinola, i
Doria ottennero i diritti esclusivi di sfruttamento del corallo rosso lungo 400 km di costa
africana. Queste famiglie concentrarono i loro sforzi di pesca nell’area corrispondente
all’odierna città di La Calle in Algeria.
Nascono in questo contesto le prime campagne di pesca vere e proprie e le prime
organizzazioni e società d’impresa chiamate “carati” basate su investimenti privati il
cui ammontare dipendeva dalle previsioni di riuscita della “battuta di pesca” ed
amministrate da veri e propri agenti nominati dai governanti che avevano inoltre il
compito di stilare relazioni giornaliere sull’andamento della campagna di pesca. Gli
agenti erano l’anello di congiunzione tra le famiglie che finanziavano la campagna, i
pescatori pagati per effettuarla ed il governo della città a nome della quale le
campagne erano organizzate. Il passaggio da prelievo occasionale e con scarse
tecnologie a vero e proprio sfruttamento commerciale era così compiuto.
Lo sfruttamento dei banchi di La Calle si rivelò estremamente produttivo per la
Repubblica di Genova, il corallo rosso pescato in quest’area veniva esportato in Egitto
24
e Siria ma verso al fine del 1400 sorsero i primi problemi tra la Repubblica
genovese ed il governo di La Calle, problemi che portarono intorno al 1520 alla fine
dei diritti di sfruttamento.
Qualche anno dopo, intorno al 1540, la famiglia Lomellini scoprì alcuni banchi che si
rivelarono ancor più importanti di quello di La Calle: i banchi nelle acque dell’isola di
Tabarca, una piccola isola a largo della Tunisia.
Essendo zona d’influenza spagnola, Carlo V concesse ai Lomellini il pieno utilizzo dei
banchi. Essi fondarono una colonia da dove guidarono le campagne di prelievo intorno
all’isola per oltre due secoli durante i quali acquistarono grande prestigio presso i
popoli berberi con i quali commerciavano.
Nel XVIII secolo però i banchi presso l’isola vennero ad esaurirsi e nel 1741 l’isola di
Tabarca finalmente tornò nelle mani del Governo di Tunisi e lo sfruttamento europeo
ebbe fine.
SARDEGNA
La pesca al corallo rosso in Sardegna è la più antica e risale a tempi molto remoti, ma
è dipesa rigidamente dai cambiamenti nelle politiche internazionali avvenuti nel corso
dei secoli.
I pescatori liguri iniziarono ad utilizzare questi banchi di pesca già nel XIV secolo,
periodo nel quale le famiglie Malaspina e Doria si insediarono rispettivamente a Bosa
ed Alghero.
Nel secolo successivo i genovesi persero progressivamente i diritti di pesca sui banchi
più remunerativi dell’area a causa della riconquista della Sardegna da parte della
corona di Spagna.
Dopo questa grave perdita i pescatori liguri si spinsero a cercare banchi in altre parti
del Mediterraneo: in Corsica ed lungo le coste arabe; non si rassegnarono mai ad
abbandonare del tutto i banchi sardi.
Dal 1450 in poi altre personalità genovesi si avvicendarono in territorio sardo per
sfruttarne i banchi di Corallium rubrum: Francesco Giustiniani, Eliano Spinola,
Giacomo Maruffo. Nel 1528, inoltre, la situazione si fece più favorevole grazie alla
riconciliazione tra la Repubblica di Genova e la Corona spagnola.
Nel 1599 furono altresì scoperti altri preziosi e ricchi banchi di corallo rosso a largo
delle isole di S. Pietro e di S. Antioco, banchi che cominciarono subito ad essere
sfruttati dai liguri che, a questo punto, avevano il predominio sull’intero areale sardo.
Poco più di un secolo dopo, però, tale supremazia venne minata dall’espansione dei
commerci delle compagnie di mercanti livornesi che divennero i più importanti
mercanti di corallo rosso e dalla forte competizione con i pescatori di corallo campani.
25
Nulla cambierà a questo punto per molti secoli.
Ad oggi i banchi sardi sono tra i più depauperati da questo prelievo durato secoli e
soprattutto dal sovra sfruttamento degli anni 60-70 del secolo scorso. La regione
Sardegna è stata quindi la prima regione italiana a dotarsi di una legislazione di tutela
della risorsa Corallium rubrum.
CORSICA
L’importanza dei banchi di corallo rosso corsi non sembra essere comparabile ai
banchi della Sardegna o del Maghreb.
I banchi della Corsica iniziarono a venire sfruttati significativamente dal genovesi
“solo” intorno al 1400 solo dopo che questi ultimi persero il loro predominio sui banchi
sardi, i pescatori di corallo, infatti, ricorsero alla pesca sui banchi della Corsica ogni
qualvolta non si potesse procedere (spesso per motivi politici) allo sfruttamento degli
altri banchi conosciuti a causa dell’esiguità della risorsa in tali zone, delle alte tasse
impostevi e dei bassi incentivi forniti dalla Repubblica di Genova lungo tale areale.
Nel XVI secolo la Corsica venne progressivamente abbandonata dai pescatori
genovesi che tornarono per un ultimo “blitz” nel secolo successivo, prima che la
Corsica venisse conquistata dalla Francia e lo sfruttamento cessasse definitivamente.
I secoli successivi vedono un concentrarsi delle attività legate alla pesca ed alla
lavorazione del corallo rosso nella zona campana di Napoli, a Torre del Greco, infatti,
nacquero la prima “fabbrica di corallo” ed il primo “laboratorio di incisione”.
LA PESCA NEL XIX SECOLO
Nell’800 con la nascita di tecniche e luoghi di lavorazione in Italia l’interesse per la
pesca del corallo crebbe a tal punto che divenne indispensabile istituire nuove leggi
per regolamentarla.
Nel 1856 era in vigore il “Codice Corallino” (che regolamentava la partenza, il ritorno,
la pesca e la vendita del corallo) che fu sostituito dal nuovo Regolamento per la Pesca
del Corallo.
In seguito le disposizioni relative alla pesca del corallo rosso furono comprese nella
legge generale sulla pesca del 1876 e nei successivi regolamenti del 1880 e del 1882.
Un’importante svolta per la pesca del corallo arrivò a partire dal 1875 quando furono
scoperti tre enormi “giacimenti” di corallo morto, staccatosi dalle pareti e depositatosi
sul fondo del mare a Sciacca, in Sicilia.
Tutti banchi di corallo conosciuti e in particolare i giacimenti di Sciacca furono
intensamente sfruttati fino all’inizio del ‘900 quando cominciarono a spargersi le prime
voci
allarmanti
sull’imminente
esaurimento
della
risorsa
commerciabile.
In
26
apprensione per l’imminente esaurimento di tale fonte di guadagno, i pescatori di
Torre del Greco ricorsero al governo affinché portasse avanti delle indagini sullo stato
dei banchi di corallo nel Mar Mediterraneo e creasse un inventario di essi.
Nel 1913 con la campagna del “Volta” fu accertata l’esatta posizione di un notevole
numero di banchi: vennero disegnate delle carte sulle quali erano riportate le
coordinate geografiche e la profondità dei siti, che si constatò arrivare fino a poco oltre
i 200 metri. Risale quindi ad allora la prima carta della distribuzione del corallo rosso
nei mari d’Italia e della Dalmazia. Con la medesima campagna fu possibile eseguire
anche numerose osservazioni scientifiche che portarono alla luce nuovi aspetti sia
sulla biologia del Corallium rubrum, sia sulle specie ad esso associate.
Nel 1912 fu anche varata la prima imbarcazione a motore per la pesca del corallo e da
quegli anni in avanti venne sempre più incoraggiato l’utilizzo delle “motocoralline” e di
imbarcazioni a maggiore tonnellaggio e con maggior resistenza al mare.
Il corallo pescato ed in seguito lavorato veniva commerciato, oltre che nei mercati
italiani, in Russia, Turchia, India, Asia Minore e Stati Uniti.
27
CAPITOLO III: MATERIALI E METODI
Le analisi, effettuate in questo lavoro, sulle colonie di Corallium rubrum hanno
permesso di valutare le taglie di interesse economico-commerciale delle colonie
presenti nelle acque liguri (Isola di Bergeggi e Portofino).
Scopo è constatare quale sia la situazione attuale in Liguria della risorsa, quale fosse
all’inizio e durante il suo sfruttamento e valutare la dimensione massima delle colonie
di Corallium rubrum in Liguria in vari periodi storico-temporali; per far ciò si è dovuto
sia analizzare dati storici sia ottenere informazioni sulle popolazioni attuali.
Per quanto riguarda la popolazione di Corallium rubrum di Portofino il materiale da
analizzare aveva una bibliografia estremamente varia, scrupolosa ed esaustiva
(Tortonese 1963, Marchetti 1965, Cattaneo-Vietti e Cicogna 1993, Vielmini 2006), ho
potuto visionare, inoltre, colonie pescate negli anni ‘50 da Duilio Marcante.
Il problema principale è stato trovare fonti riguardanti la popolazione di corallo rosso
presente sulla parete de “I Maledetti”. Non esiste, infatti, alcuna documentazione
scritta che testimoni la presenza di questa specie nelle acque bergeggine.
E’ stato necessario quindi ricercare ed intervistare gli storici pescatori bergeggini, i
subacquei, per poter reperire più informazioni possibili ed i Corallari liguri che hanno
messo con estrema gentilezza a mia disposizione non solo tutte le loro conoscenze
ma anche le loro collezioni private raccolte a cavallo degli anni ‘60 e ‘70 del secolo
scorso.
Dalle interviste è emerso come si fosse a conoscenza di alcune popolazioni della
specie di nostro interesse a largo dell’Isola di Bergeggi, poco fuori dall’odierna AMP,
popolazioni già sfruttate e di dimensioni rilevanti.
A seguito di ciò ci siamo avvalsi della collaborazione di un operatore subacqueo
professionista per ricercare eventuali popolazioni scampate al totale prelievo e
verificare le condizioni in cui si potessero trovare.
3.1: DATI STORICI
Per quanto riguarda le collezioni storiche si è ricorso a:
•
colonie messe gentilmente a disposizione da privati e pescate negli anni ‘60 e
‘70 sulla parete de “I Maledetti” a Bergeggi;
28
•
colonie pescate negli anni ‘50 a Portofino da Duilio Marcante provenienti dalla
collezione del Museo di Storia Naturale di Genova;
•
dati
storici
di
Marchetti
(1965),
Cattaneo-Vietti
e
Cicogna
(1993),
Vielmini(2007).
Figura 14: colonia di Corallium rubrum pescata su “I Maledetti” negli anni ’80 (collezione privata)
(Foto di F. Ciamberlano)
Figura 15: colonia di corallo rosso del 1964 conservata presso il Museo di Storia Naturale “G.
Doria” di Genova (Portofino, Duilio Marcante legit) (Foto di F. Ciamberlano)
Le colonie così identificate sono state pesate con una bilancia di precisione ed in
seguito si sono effettuate fotografie con una reflex digitale Nikon D90 per poter
analizzare i parametri biometrici (Garcia-Rodriguez e Massò, 1986) di altezza, numero
di apici, diametro alla base e diametro delle diramazioni mediante l’ausilio del
programma IMAGEJ.
29
Ci si è avvalsi inoltre del programma Windows Excel per razionalizzare i dati così
ottenuti.
Nel catalogare i dati si è tenuto conto dell’impossibilità di effettuare uno studio di
popolazione a causa della circoscrizione dei dati ottenuti; inoltre, le colonie storiche
pescate a Bergeggi negli anni ‘60-‘70 e a Portofino negli anni ‘50 prese in esame sono
esclusivamente colonie di interesse commerciale, infatti i corallari liguri così come
Marcante hanno presumibilmente prelevato gli individui più belli presenti mentre i dati
storici di Marchetti (1965), Cattaneo-Vietti e Cicogna (1993) ed Vielmini (2007) si
riferiscono a studi sull’intera struttura di popolazione.
3.2: DATI ATTUALI
Nell’ambito del presente studio sono stati campionati i cormi di corallo attraverso:
•
il prelievo diretto, nel 2010, di colonie provenienti da due popolazioni presenti
sulla parete de “I Maledetti”;
•
un campionamento fotografico effettuato da un subacqueo professionista con una
Video Camera Sony HC9 Full HD munita di scafandro Gates. Fari Hartenberger
2*100 W, su entrambe le popolazioni di Corallium rubrum. Per valutare la densità
di popolazione sono state effettuate fotografie utilizzando un quadrato standard
della dimensione di 20 ×20 cm.
Figura 16: colonia di Corallium rubrum pescata nel 2010 proveniente dalla seconda popolazione
presente sulla parete de “I Maledetti” (Foto di F. Ciamberlano)
30
Figura 17: fotografia della prima popolazione con quadrato standard della dimensione di 20 ×20
cm (Foto di M. Colman)
•
Visione di un filmato dell’intera parete eseguito da un subacqueo.
•
Attrezzatura subacquea utilizzata:
o
bibombola 16+16 l;
o
miscele di gas differenti (per miscela di fondo Trimix 15/55; S 80 per
miscela di fondo Trimix 15/55; S 80 per Ean 50% in decompressione;
S40 per Ossigeno in decompressione);
o
veicolo subacqueo Gavin Short Body con autonomia di 70 min.
Le popolazioni prese in esame in questo studio sono due:
•
Prima popolazione
•
Seconda popolazione
La prima popolazione è situata all’inizio della parete de “I Maledetti” nella zona
denominata Canapo ad una profondità tra i 65 ed i 68 m su un costone strapiombante
Le sue dimensioni sono di circa 2,5 m di lunghezza .
31
Figura 18: prima popolazione di corallo rosso presente su “I Maledetti” (Foto di M. Colman)
La parte superiore della parete alla quota di m 56 è praticamente deserta e composta
da detrito fangoso sabbioso, sono presenti alcuni piccoli scoglietti sparsi
completamente privi di vita.
A circa un metro dalla caduta compare lo strato roccioso che sul bordo estremo è
popolato da grandi gorgonie rosse (Paramuricea clavata) (Carpine e Grasshoff, 1976).
Le Gorgonie ricoprono tutto il bordo estremo della parete in tutta la sua lunghezza
circa 400 m e sono presenti in maniera molto folta soprattutto nei primi 10 m di
altezza, quindi da una profondità di -56 m fino ad una profondità di circa -66 m.
Appena scesi di pochi metri la folta presenza di Gorgonie si perde e sulla parete
rocciosa appaiono i primi esemplari di Corallium rubrum ad una temperatura di circa
16°C.
La seconda popolazione è situata a circa 40 m di distanza in direzione Levante dalla
prima popolazione, e ad una profondità che varia da 65 a 68 m.
Le colonie di corallo rosso si trovano nella parte superiore di un anfratto creata dal
congiungimento quasi a 90° di due pareti ad una pro fondità di 68 m, questo piccolo
tetto si estende per circa 6 m².
Il substrato sul quale sono insediati gli esemplari di corallo rosso è di tipo roccioso e la
temperatura media è di 15°C.
32
Figura 19: seconda popolazione di corallo rosso presente su “I Maledetti” (Foto di M.Colman)
La temperatura, che è stata misurata durante le ripetute immersioni evidenzia una
diversità di 1°C tra la zona della prima popolazion e, più calda e la seconda più fredda.
3.3: L’IMMERSIONE
L’immersione alla ricerca del corallo rosso de “I Maledetti” si sviluppa nel tratto di
Ponente della parete “I Maledetti”, nella zona denominata il Canapo per la presenza di
una cima/rete che pende dalla sommità e arriva fino al fondo.
Come già accennato in precedenza questa è la zona che forse risulta essere la più
visitata e la più apprezzata dai subacquei tecnici, sia per la bellezza, la varietà di vita
che si può ammirare e per il suggestivo colpo d’occhio della parete verticale che parte
da una quota di -55 m. per arrivare fino ai -85/-95 nella parte più fonda, sia per
appunto la presenza di corallo rosso in discreta quantità.
Lungo la parete in direzione levante, sono moltissimi i rami di “rosso” che incontriamo,
sparsi qua e là tra gorgonie rosse e spugne gialle, disposti a macchie di leopardo
senza un ordine preciso e soprattutto senza un’apparente logica.
Si procede quindi una cinquantina di metri sempre verso levante fino ad arrivare al
primo gradino, ad una profondità di circa -68 m. In questo punto la parete chiude e
riparte creando un vero e proprio angolo retto, qui ci si trova davanti ad una
popolazione di corallo di una sessantina di rami di grandi dimensioni.
E’ ancora sconosciuto il motivo per il quale lungo la parete si notino solo piccoli rametti
sparsi mentre in questo angolo nascosto si trovi questa bella popolazione.
In questo preciso punto la temperatura dell’acqua durante tutte le immersioni
effettuate durante la stagione estiva è stata compresa tra i 14° e i 16° max. Durante il
33
2010 è stato notato come la visibilità molto spesso non fosse delle migliori
(massimo 15 m), solo in due immersioni si è potuta apprezzare una visibilità di circa
25 m, in quest’ultimo caso la corrente era totalmente assente, mentre normalmente è
sempre una leggera corrente che da levante corre verso ponente.
In due casi la corrente spazzava da Nord verso Sud nella parte alta della parete (tra i
40 e i 50 m), sollevando una notevole sospensione e compromettendo quasi
totalmente la visibilità. Si comprende quindi il motivo del sedimento che incontriamo in
alcuni punti della parete.
Una piccola particolarità è che durante le immersioni effettuate durante le ore
precedenti il mezzogiorno i rami di corallo hanno i polipi chiusi mentre nel pomeriggio
solitamente la maggior parte dei rami presenta i polipi aperti.
34
CAPITOLO IV: BIBLIOGRAFIA
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