Il nuovo accordo di Basilea: una simulazione dell`impatto del

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Il nuovo accordo di Basilea: una simulazione dell`impatto del
SAGGIO PUBBLICATO SU COOPERAZIONE DI CREDITO N. 181
Il nuovo accordo di Basilea: una simulazione dell’impatto del calcolo del
coefficiente di capitale sulle Banche di Credito Cooperativo
JUAN SERGIO LOPEZ
Funzione Studi e Ricerche Federcasse – [email protected]
Introduzione
L’introduzione di una regolamentazione sui requisiti di capitale, uniforme a livello internazionale, è
relativamente recente. E’ infatti con l’Accordo di Basilea del 1988 (Basilea I) che i maggiori attori
in campo finanziario1 si sono spinti a definire un insieme organico di regole condivise con la finalità
di migliorare la stabilità del sistema in un contesto di crescente globalizzazione. L’evoluzione dei
mercati finanziari internazionali negli anni settanta e ottanta aveva infatti indotto il timore che, in
assenza di un adeguato quadro regolamentare, i singoli paesi avrebbero potuto rendere più elastiche
le regole sui requisiti di capitale al fine di favorire la competitività delle banche nazionali2.
L’accordo raggiunto nel 1988 era limitato al solo rischio di credito e richiedeva alle banche attive a
livello internazionale di detenere un capitale minimo dell’otto per cento in relazione alle attività di
rischio ponderate. Le poste fuori bilancio, come lettere di credito, impegni e strumenti derivati
venivano convertite nell’equivalente creditizio3 e poi ponderate secondo il peso appropriato.
Negli anni l’Accordo ha subito modifiche e revisioni. La più rilevante è quella del 1996 che
richiedeva alle banche di accantonare capitale anche a fronte dei rischi di mercato. Questa revisione
ha introdotto aspetti metodologici innovativi consentendo l’utilizzo di modelli interni di valutazione
dei rischi di mercato (modelli VAR).
Fin dalla sua approvazione Basilea 1 ha suscitato, oltre a consensi e a una crescente accettazione,
anche perplessità e critiche. Uno degli elementi maggiormente controversi è la scarsa sensibilità del
coefficiente di capitale al rischio effettivo; prestiti ad imprese molto diverse sotto il profilo del
rischio subiscono infatti la stessa ponderazione. Questo fatto oltre a non garantire una
corrispondenza tra capitale e rischio, può incentivare comportamenti di arbitraggio tra capitale
economico e capitale regolamentare. Questo arbitraggio si spiega con la necessità delle banche di
contenere il più possibile il costo del funding. Come forma di finanziamento il capitale è più costoso
del debito per cui l’eccesso di capitale regolamentare, rispetto a quello ritenuto necessario, viene
assimilato ad una forma di imposta. Le banche sono così incentivate a trovare metodi per offrire
servizi minimizzando questa tipologia di tassazione4. Un classico esempio, riportato spesso in
letteratura, si riferisce alla possibilità di migliorare la redditività del capitale sostituendo impieghi a
basso rischio con impieghi ad alto rischio (cherry picking): il rischio aumenta, la redditività cresce
ma il capitale regolamentare assorbito rimane invariato facendo salire il ROE.
Un ulteriore argomento di critica riguarda la crescente inefficacia di Basilea 1. Lo sviluppo
dell’innovazione finanziaria ha consentito alle banche di aggirare ed eludere le norme di Basilea 1
ad esempio con le cartolarizzazioni ed in generale con strumenti di ingegneria finanziaria che
1
Inizialmente l’accordo fu tra le banche centrali dei 10 maggiori paesi (G-10) e fu successivamente adottato su larga
scala (più di 100 paesi).
2
Secondo alcuni studiosi l’obiettivo principale del primo accordo di Basilea fu quello di frenare la forte espansione
delle banche giapponesi il cui livello di capitalizzazione era molto contenuto.
3
L’equivalente creditizio viene definito come la somma dell’esposizione potenziale dello strumento, che riflette il
rischio di default futuro della controparte, e l’esposizione corrente che riflette il costo di rimpiazzo del contratto se la
controparte dovesse fallire oggi.
4
Cfr. Basel Commettee on Banking Supervision 1999
1
trasformano poste di bilancio in poste fuori bilancio ma che non modificano necessariamente il
profilo di rischio.
Infine un elemento di debolezza dell’Accordo ora in vigore è stato individuato nella mancanza di un
adeguato riconoscimento delle moderne metodologie e tecniche di valutazione, gestione e
mitigazione del rischio. Paradossalmente una banca potrebbe essere riluttante ad investire in questo
campo stante l’assenza di benefici dal lato del coefficiente di capitale.
Basilea 1 ha comunque raggiunto alcuni degli obiettivi prefissati come la convergenza
internazionale degli standard di capitale nonché la diffusione e il miglioramento degli stessi
standard. Di pari passo è andata crescendo la consapevolezza dei problemi insiti nell’Accordo
inducendo le autorità di vigilanza a ridefinire l’Accordo del 1988 al fine di
a) rafforzare il legame tra capitale e rischi sottostanti;
b) riconoscere gli sviluppi nella misurazione e gestione dei rischi bancari
Nel 1999 il Comitato di Basilea ha pubblicato il primo documento consultativo per la revisione
dell’accordo del 1988 nel quale veniva delineato l’approccio basato sui tre pilastri: il primo riguarda
le nuove regole sul calcolo del coefficiente di capitale; il secondo l’attività di monitoraggio e
supervisione delle autorità di vigilanza ed il terzo la trasparenza e la disciplina del mercato.
Basilea II - I tre pilastri dell’accordo
Conviene, molto brevemente, richiamare il significato dei tre pilastri del nuovo accordo di Basilea.
Il primo è relativo ai requisiti patrimoniali minimi: è rimasta invariata sia la definizione di
patrimonio di vigilanza sia il requisito minimo del coefficiente di solvibilità (8% delle attività
ponderate per il rischio) a fronte del rischio di credito, di mercato e operativo (quest’ultimo viene
esplicitamente inserito per la prima volta); viene invece modificata radicalmente la metodologia di
valutazione del rischio offrendo la scelta di due differenti approcci. Il più semplice, definito
approccio standardizzato, ricalca la metodologia di Basilea 1 ma consente di utilizzare i rating
esterni per permettere una valutazione più articolata del rischio e quindi una maggiore varietà di
ponderazioni; il più complesso, basato sullo sviluppo di rating interni, consente l’utilizzo del
patrimonio informativo non pubblico della banca5 al fine di determinare una più efficace
corrispondenza tra capitale e rischio.
Il secondo pilastro si riferisce all’attività di supervisione sull’adeguatezza del capitale delle banche.
Tale attività deve essere volta non solo ad assicurare che le banche abbiano un adeguato livello di
capitale per sostenere la loro attività ma anche a incoraggiare le banche a sviluppare ed usare
efficaci tecniche di valutazione, monitoraggio e gestione dei rischi.
L’ultimo pilastro si occupa di definire degli standard di informazione e trasparenza al fine di
facilitare l’operare della disciplina di mercato. Le informazioni sono relative ai rischi assunti dalla
banca nel suo operare nonché alle metodologie di misurazione e gestione degli stessi rischi.
Sintetizzando in maniera estrema, la novità nella filosofia del nuovo accordo sui requisiti di capitale
è quella di incentivare le capacità degli operatori bancari (e degli organi di supervisione) di
riconoscere, misurare e gestire le diverse tipologie di rischio connesse con l’attività bancaria.
Naturalmente anche la proposta di revisione di Basilea 1 ha provocato un intenso dibattito che ha
prodotto successive revisioni (al momento si è giunti alla terza revisione con il Third Consultative
Paper di aprile 2003). Il dibattito ha toccato aspetti rilevanti come la possibile prociclicità del
sistema basato sui rating interni, la definizione dei parametri di ponderazione, il ruolo delle autorità
di vigilanza nazionali, ecc. Non essendo questa la sede per una rassegna complessiva conviene
riportare brevemente solo alcune tematiche inerenti alle piccole banche.
L’accordo di Basilea e le piccole banche
Inizialmente il progetto di revisione di Basilea 1, proprio perché definito sulle caratteristiche delle
grandi banche ad operatività internazionale, sembrava trascurare i possibili effetti sfavorevoli sulle
piccole banche, in particolare nel calcolo del coefficiente di capitale. Per quanto concerne
5
A sua volta la metodologia dei rating interni consente la scelta tra il metodo semplificato e il metodo avanzato.
2
l’Approccio Standard, la possibilità di articolare il peso del rischio di una impresa affidata sulla
base di un rating esterno è praticamente usufruibile solo da banche la cui clientela è, almeno in
parte, costituita di grandi imprese. Anche se attualmente le imprese dotate di rating sono poche, in
prospettiva l’incentivo offerto dalle nuove regole dovrebbe condurre ad una maggiore convenienza
per le imprese di medie e grandi dimensione (e di buona qualità posto che per avere un peso
inferiore al 100% è necessario ottenere un rating non inferiore a A-) a dotarsi di un rating esterno.
L’approccio alternativo, basato sullo sviluppo di un sistema di rating interni (IRB), è perseguibile
solo da banche di grandi dimensioni a causa delle intrinseche complessità tecniche e organizzative.
La piccola banca, a cui è implicitamente indirizzato l’Approccio Standard, rimane quindi legata ad
una ponderazione che non diversifica secondo la qualità del prenditore e soprattutto non consente di
utilizzare, ai fini del calcolo del coefficiente di capitale, il patrimonio informativo “informale”
accumulato sulla clientela di piccole e micro imprese.
Parallelamente e in maniera complementare si è creato il timore di una penalizzazione delle piccole
e medie imprese. Questa tipologia di imprese viene definita nella letteratura economica come
“opaca” dal punto di vista informativo nel senso che generalmente produce un tipo di informazione
poco strutturata e poco adatta ad essere inserita in sistemi formali, matematico-statistici, per la
valutazione del rischio di credito. Si è quindi generato il timore che la nuova regolamentazione
potesse indurre le banche dotate di un sistema IRB ad aumentare il costo del credito per le piccole
imprese non tanto perché più rischiose ma in quanto la strumentazione utilizzata non è del tutto
adeguata alla specificità delle piccole imprese.
Un ulteriore elemento di dibattito ha riguardato i potenziali effetti macroeconomici dovuti alla
compresenza di sistemi differenti come quello standard e quello IRB: le grandi banche, dotate di
sistemi IRB, saranno soggette ad un requisito di capitale sensibile al rischio della clientela affidata
mentre le piccole banche, che utilizzano il metodo standard, avranno un coefficiente di capitale
indipendente dalla rischiosità della clientela. A parità di rischio del prenditore l’assorbimento di
capitale regolamentare può essere differente per le due tipologie di banche.6 Questo comporta da un
lato una distorsione della concorrenza e dall’altro il rischio di una migrazione di clientela ad elevata
rischiosità verso banche utilizzatrici del metodo standard con possibili riflessi sulla stessa stabilità
sistemica.
Infine il nuovo Accordo di Basilea sembrava non tener conto di elementi importanti relativi alle
piccole banche come:
- Esternalità positive dei sistemi organizzativi a network propri di gran parte delle piccole banche
indipendenti (sistemi di garanzia etc.);
- Funzione economica anticiclica dell’attività creditizio-finanziaria delle piccole banche
indipendenti;
- Correlazione inversa tra rischio sistematico (il rischio legato alle condizioni economiche generali)
e dimensione delle imprese. A parità di altri parametri un portafoglio di piccole imprese è meno
sensibile al ciclo economico rispetto ad un portafoglio di grandi imprese7.
Il dibattito che si è acceso su queste tematiche nonché l’azione di sensibilizzazione delle autorità
nelle sedi competenti da parte di associazioni di piccole imprese e gruppi bancari ha prodotto una
revisione che ha reso più “neutrale” l’applicazione del nuovo accordo, in particolare nella
considerazione delle piccole imprese8.
Anche se il dibattito si è concentrato principalmente sulla revisione delle procedure per il calcolo
del coefficiente di capitale contenute nel primo pilastro, è dal secondo pilastro che verranno le
novità forse più rilevanti per le piccole banche. Il documento di Basilea 2 afferma chiaramente che
un adeguato livello di capitale non sostituisce una gestione attiva di tutti gli aspetti inerenti i fattori
di rischio, e in particolare del rischio di credito. Così anche le banche minori si troveranno nella
6
Cfr. Rime 2001, Carosio 2002, Sironi e Zazzara 2002.
Lopez 2002, Dullmann 2003.
8
Di Salvo 2002.
7
3
condizione di dover sviluppare dei sistemi avanzati di controllo dei rischi, anche se opteranno per
l’Approccio Standard per il calcolo del coefficiente di capitale. In questa prospettiva il sistema del
Credito cooperativo sta mettendo a punto una metodologia di analisi a carattere quali-quantitativo
per la produzione finale di un punteggio (“score”) su aree di indagine predefinite (ad es. bilanci
delle imprese, schede andamentali dei rapporti, Centrali dei rischi, analisi dei settori di
appartenenza) al fine di ottenere una valutazione delle controparti affidate. Il giudizio complessivo
finale, definito “rating di controparte”, rappresenta una valutazione del merito creditizio di ciascun
cliente affidato, da non confondersi con la determinazione di tipo matematico dei “tassi attesi di
default o insolvenza”, propria invece dei Sistemi IRB definiti dal Comitato di Basilea. Il sistema di
classificazione così strutturato, può rappresentare una base comune di strumentazione per il
controllo dei rischi di credito delle BCC e un valido supporto per il miglioramento della valutazione
del merito creditizio in sintonia con le caratteristiche gestionali del Credito Cooperativo.
La simulazione dell’impatto per le BCC
Un passo rilevante del processo di consultazione si è realizzato con lo studio di impatto promosso
dal Comitato di Basilea nell’ottobre del 2002 (il Quantitative Impact Study-3). La finalità di questa
simulazione era di verificare, prima della pubblicazione dell’ultimo documento consultativo (CP3),
l’impatto della nuova regolamentazione sui requisiti di capitale delle banche. Lo studio ha
coinvolto circa 350 banche in 43 paesi (12 banche in Italia). Posta la rilevante differenza
dimensionale e operativa tra le banche incluse nel campione e le BCC, Federcasse ha ritenuto
opportuno sviluppare una simulazione che consentisse un primo momento di verifica dell’impatto di
Basilea II sul coefficiente di capitale.
Federcasse ha quindi istituito un gruppo di lavoro, con le Federazioni Locali e i centri servizi
informatici, per definire la metodologia e raccogliere le basi dati necessarie.
Metodologia
I passi rilevanti nella definizione della simulazione si possono così sintetizzare:
- Assunzione dell’approccio standardizzato sia per il rischio di credito che per il rischio
operativo;
- Individuazione delle differenze più rilevanti tra la regolamentazione attuale e quella prevista
da Basilea 2 in relazione alla ponderazione delle attività a rischio;
- Utilizzo della sezione della matrice PUMA relativa al calcolo del coefficiente di capitale
(sezione 9.2), applicando le nuove ponderazioni previste da Basilea 2.
Analizzando il contenuto della nuova regolamentazione proposta dal Comitato di Basilea, e alla
luce della struttura dell’attivo delle BCC, il gruppo di lavoro ha concordato che l’impatto della
nuova regolamentazione si concentra in tre aree:
1. i crediti su immobili; nella regolamentazione attuale la ponderazione è pari al 50%. Nella
nuova regolamentazione si introduce una diversificazione: la ponderazione sugli immobili
ad uso residenziale scende al 35% mentre quella sugli immobili ad uso commerciale sale al
100% (a meno di apposite valutazioni che possano consentire un peso del 50%).
2. il portafoglio retail; sulla base delle informazioni fornite nell’ultimo documento di
consultazione (CP3) tutte le esposizioni verso individui e piccole imprese9 possono usufruire
di una ponderazione del 75% invece che del 100% a condizione che l’esposizione non superi
un milione di Euro. Si delega alle autorità nazionali di vigilanza l’eventuale inserimento di
una ulteriore norma restrittiva (principio di granularità) cioè che il valore dell’esposizione
9
La definizione di piccola-media impresa include le imprese con fatturato inferiore ai 50 milioni di euro.
4
non sia superiore allo 0,2% del portafoglio retail stesso (le sofferenze e gli sconfini non
contribuiscono al calcolo del portafoglio retail)10.
3. crediti con ritardi di pagamento superiori ai 90 giorni. La nuova regolamentazione impone la
definizione di default su tutti i crediti e sconfinamenti con ritardo di pagamento superiore a
90 giorni anche se prevede, solo per l’Italia, un periodo transitorio di 5 anni in cui si può
mantenere il limite di 180 giorni.
Lo studio di impatto si è svolto in due fasi: nella prima si è stimata la dimensione del portafoglio
retail in quanto tale definizione non viene prevista nella regolamentazione attuale; successivamente
si è stimato l’impatto complessivo sul coefficiente di capitale.
La stima è stata condotta su un campione di 190 banche, diffuse su tutto il territorio nazionale, che
rappresentano quasi il 45% degli impieghi e dell’attivo delle BCC.
Il calcolo del portafoglio retail e dei requisiti prudenziali per i rischi di credito
Al fine di comprendere l’impatto delle nuove regole è opportuno mostrare la composizione del
coefficiente minimo di capitale. Tale coefficiente è formato dal rapporto tra patrimonio di vigilanza
(il cui calcolo non ha subito alcuna modifica) e attività di rischio ponderate. Queste ultime sono
determinate dai requisiti prudenziali di vigilanza che si suddividono in tre categorie: rischi di
credito, rischi di mercato, altri requisiti prudenziali. Il peso di queste tre categorie è molto
diseguale: considerando, ad esempio, le BCC come una sola banca si evince che l’84,1% dei
requisiti prudenziali è relativo ai rischi di credito, il 7,5% ai rischi di mercato e il restante 4,9% ad
altri requisiti. E’ evidente quindi come il cambiamento della ponderazione dei rischi di credito
influisca in maniera determinante sul coefficiente di vigilanza. A loro volta i rischi di credito sono
determinati dalle attività di rischio per cassa la cui composizione è riportata nella tabella 111. Anche
in questo caso il peso delle singole voci è molto disomogeneo: sono infatti i crediti nei confronti del
settore privato che determinano più dell’80% del valore ponderato delle attività di rischio per cassa
e sono queste le esposizioni per le quali sono stati introdotti i maggiori cambiamenti rispetto alla
normativa attuale.
Tab. 1 - Composizione delle attività di rischio per cassa - 31 dicembre 2002
Valore contabile Valore ponderato
Sett. pubblico e banche multilaterali
9,6%
0,3%
Crediti nei confronti di banche
9,3%
2,5%
Crediti nei confronti del settore privato
immobili Residenziali
10,2%
6,8%
immobili non residenziali
1,8%
2,0%
altri crediti
63,1%
83,6%
Attività materiali
2,0%
2,6%
Partecipazioni
1,1%
1,4%
Altro
2,8%
0,8%
Totale
100,0%
100,0%
NB. Elaborazione su dati di 465 BCC
In conclusione, quindi, il processo di stima è stato svolto come segue:
- stima della quota degli “altri crediti” che ricade nella definizione di portafoglio retail; tale
quota viene ponderata al 75% mentre la rimanente parte al 100%; si sono analizzati ambedue i
casi previsti dalla nuova normativa, il portafoglio retail con e senza il principio di
“granularità” (la stima del portafoglio retail è riportata nell’allegato A);
10
Nel precedente documento tecnico (QIS3) redatto come riferimento per la simulazione d’impatto il principio di
granularità non era facoltativo ma obbligatorio.
11
La composizione delle attività di rischio per cassa del campione di banche utilizzato per la simulazione è
praticamente identica a quella dell’insieme delle BCC (tav. A1 in allegato statistico).
5
- ponderazione degli immobili residenziali al 35% (invece che al 50%)
- ponderazione degli immobili non residenziali al 100% (invece che al 50%)
Un primo effetto immediatamente tangibile della nuova ponderazione delle singole voci è
sintetizzato dalla ponderazione media del totale delle attività di rischio per cassa12 (tab.2) che
scende di circa 15 punti percentuali
Tab. 2 - Ponderazione media delle attività di rischio per cassa
Basilea 1
75,0%
Basilea 2
60,7%
Basilea 2 con granularità
64,4%
In termini di fabbisogno di capitale (che si calcola applicando l’8% al totale delle attività di rischio
ponderate) tale modifica comporta un risparmio di circa il 18%, se non si applica il principio di
granularità (tab. 3), ed un risparmio medio per banca di circa due milioni di euro.
Tab. 3 - Stima del fabbisogno di capitale generato dalle attività di rischio per cassa
Fabbisogno di capitale (mgl. di Euro)
Basilea 1
2.196.335
Basilea 2 senza granularità
1.800.698
Basilea 2 con granularità
1.903.263
Differenza senza granularità
-395.637
Differenza con granularità
-293.072
Incidenza % Basilea 2 senza gr./Basilea1
82,0%
Incidenza % Basilea 2 con gr./Basilea1
86,7%
Risparmio medio per banca con granularità
-2.082
Risparmio medio per banca senza granularità
-1.542
Elaborazioni su dati del campione di 190 banche
Il contributo più rilevante a questo risparmio è dato dalla voce altri crediti (tab.4), ed è ascrivibile
alla nuova ponderazione definita per il portafoglio retail. Gli immobili residenziali contribuiscono
per il 10% circa mentre l’aumento di ponderazione previsto per gli immobili commerciali ha un
effetto negativo molto limitato.
Tab. 4 - Contributo % al risparmio di capitale
Immobili residenziali
Immobili non residenziali
Altri crediti
10,6%
-2,6%
92,1%
La stima del coefficiente di vigilanza
Definito l’impatto della nuova ponderazione sulle attività di rischio per cassa diviene agevole
calcolare il coefficiente di vigilanza complessivo per le banche del campione. Ai requisiti
patrimoniali per il rischio di credito, così come stimati, vanno aggiunti i requisiti patrimoniali per i
rischi di mercato e gli altri requisiti (il cui calcolo è rimasto invariato) nonché i requisiti relativi ai
rischi operativi, non presenti nella regolamentazione attuale. Nella simulazione si è calcolato tale
requisito con la metodologia più semplificata che prevede di aggiungere tra i requisiti prudenziali il
15% del margine di intermediazione calcolato come media di tre anni.
Sulla base della simulazione così effettuata la tabella 5 mostra i valori delle componenti del
coefficiente di vigilanza nei tre differenti scenari previsti (Basilea 1, Basilea 2 con e senza
granularità).
12
La ponderazione media del totale delle attività di rischio per cassa è il risultato della media di voci a ponderazione
differente in relazione al diverso grado di rischio (dallo 0% al 200%). Le voci principali sono quelle riportate in tabella
1.
6
Tabella 5 - Simulazione del nuovi requisiti prudenziali e del coefficiente di vigilanza
Categorie/valori
BASILEA 1
BASILEA 2 (CP3)
Senza granularità Con granularità
Patrimonio di vigilanza
Patrimonio di base
Patrimonio supplementare
Elementi da dedurre
Patrimonio di vigilanza
5.080.287
318.941
23.212
5.422.441
5.080.287
318.941
23.212
5.422.441
5.080.287
318.941
23.212
5.422.441
2.196.335
76.204
88.322
2.360.861
1.800.698
76.204
88.322
252.610
2.217.835
1.903.263
76.204
88.322
252.610
2.320.400
29.510.768
17,22%
18,37%
27.722.932
18,33%
19,56%
29.004.995
17,52%
18,69%
Requisiti prudenziali di vigilanza
Rischi di credito
Rischi di mercato
Altri requisiti prudenziali
Rischi operativi
Totale requisiti prudenziali
Attività di rischio e coefficienti di vigilanza
Attività di rischio ponderate
Patrimonio di base/attività di rischio ponderate
Patrimonio di vigilanza/attività di rischio ponderate
Il risultato più evidente è il forte peso dei requisiti prudenziali sui rischi operativi che, in sostanza,
assorbe gran parte del risparmio di capitale generato dalla nuova ponderazione sui rischi di credito.
Il dato riportato nella tavola è calcolato come media ponderata (cioè come se le banche del
campione fossero una sola banca). In questa accezione il coefficiente di vigilanza sui requisiti
patrimoniali migliora di poco più di un punto percentuale se il portafoglio retail viene calcolato
senza granularità e rimane quasi inalterato includendo il principio di granularità. E’ però rilevante
osservare cosa succede anche ai coefficienti delle singole banche. Nel caso della simulazione senza
granularità 180 banche vedono migliorare il coefficiente di capitale (tabella 6); la maggior parte
(102) di queste banche ottiene un miglioramento compreso tra l’1% il 2%. Applicando la
granularità solo 87 banche vedono migliorare il loro coefficiente mentre per altre 100 peggiora.
Tabella 6 - Variazione del coefficiente di vigilanza con Basilea 2
Simulazione
senza granularità con granularità
Numero di banche il cui coefficiente
aumenta
180
87
diminuisce
7
100
Totale
187
187
Numero di banche il cui coefficiente aumenta:
più del 2%
tra l'1% e il 2%
meno dell'1%
Totale
Numero di banche il cui coefficiente diminuisce:
più del 2%
tra l'1% e il 2%
meno dell'1%
Totale
35
102
43
180
1
8
78
87
2
2
3
7
19
13
68
100
La stima dell’impatto della nuova regolamentazione proposta dal comitato di Basilea effettuata su
un campione di 190 BCC ha evidenziato in sintesi i seguenti aspetti:
· la nuova ponderazione delle attività di rischio conduce ad un risparmio di capitale
mediamente consistente;
7
·
·
·
·
·
·
il maggiore contributo a questo risparmio viene dalla definizione (e ponderazione) del
portafoglio “retail”;
l’applicazione del principio di granularità al portafoglio retail comporta un minor risparmio
di capitale e penalizza soprattutto le piccole BCC;
l’istituzione dei requisiti patrimoniali per il rischio operativo calcolati con la metodologia
semplificata assorbe gran parte del risparmio di capitale generato dalla nuova ponderazione
delle attività di rischio per cassa;
l’impatto finale sul coefficiente di vigilanza è sicuramente positivo (con un aumento del
coefficiente di circa un punto percentuale) se il portafoglio retail viene calcolato senza
principio di granularità mentre è incerto (con un maggiore numero di casi di peggioramento
del coefficiente) se si tiene conto del principio di granularità;
questo risultato è in linea con i risultati delle simulazioni svolte dalle altre banche e
pubblicate recentemente dal Comitato di Basilea e dalla Commissione Europea; una sintesi
viene presentata nell’allegato B;
è necessario ricordare che la simulazione non ha potuto tener conto delle variazioni nei
requisiti di capitale indotte da un più efficace trattamento delle garanzie, dalla presenza di
imprese “rated” nel portafoglio delle BCC, da una più precisa valutazione dei mutui
residenziali, dall’applicazione di un metodo più avanzato per i rischi operativi e in generale
da tutte quelle variabili non esplicitamente considerate nella stima effettuata.
Conclusioni
Il quadro che scaturisce dall’analisi del nuovo Accordo di Basilea, per quanto concerne le banche
locali, potrebbe apparire rassicurante. La simulazione del calcolo del coefficiente di capitale mostra
che in media, per le BCC, non si dovrebbe verificare un aumento del fabbisogno di capitale.
Contemporaneamente i principi inseriti nel secondo pilastro si riveleranno decisivi per incentivare
l’introduzione di più solidi presidi di controllo e in particolare per lo sviluppo di sistemi di
misurazione e gestione dei rischi di credito.
Tutto ciò non esaurisce però le problematiche aperte. Il nuovo accordo si inserisce infatti in un
contesto di mercato in cui la gestione del rischio è divenuta una variabile strategica per il
miglioramento della competitività e della redditività. In questo senso la nuova regolamentazione
non fa che riconoscere un percorso sul quale alcune grandi banche già si sono indirizzate: una
efficace valutazione del rischio di credito che consenta da un lato di preservare la stabilità della
banca e dall’altro di applicare prezzi concorrenziali ma remunerativi. In questo quadro, più che una
suddivisione del mercato (piccole imprese alle piccole banche e grandi imprese alle grandi banche)
è realistico attendersi un inasprimento delle condizioni concorrenziali su alcuni segmenti di
clientela imprese, in particolare le “buone” PMI. Come emerge anche dai risultati dello studio di
impatto promosso dal Comitato di Basilea è in questa categoria di clientela che si concentra il
risparmio di capitale regolamentare anche delle grandi banche; inoltre le PMI rappresentano il
segmento di imprese che in Italia continua a mantenere una elevata dipendenza dal finanziamento
bancario13 a fronte delle imprese maggiori che hanno sviluppato canali di finanziamento presso altri
intermediari e sul mercato dei capitali. E’ prevedibile che le grandi banche tenderanno da un lato ad
incrementare l’efficienza operativa ed i volumi per contenere i costi per unità di prodotto e
dall’altro ad allocare in maniera efficiente il capitale al fine di poter offrire prezzi concorrenziali. La
crescente capacità di valutazione del rischio ottenuta con le nuove metodologie consentirà anche
delle economie di diversificazione, posto che un sempre maggior numero di attività generatrici di
commissioni da servizi hanno alla base la gestione del rischio (proprio e di terzi). Rimane per le
BCC la necessità di capire con quale strategia inserirsi in questo contesto. E’ evidente che si debba
13
Cfr. CER 2002.
8
partire dai tradizionali punti di forza delle banche a forte vocazione locale. In primo luogo il
rapporto con la clientela e lo sviluppo del “relationship banking”. Il radicamento nel territorio e la
conoscenza del suo tessuto socio-economico sono e saranno anche in futuro uno degli elementi
chiave per il mantenimento della competitività delle banche locali. Come messo in evidenza anche
in letteratura l’aumento della concorrenza e l’adozione di moderne metodologie di gestione del
rischio non mettono necessariamente in crisi le forme tradizionali di relazione con la clientela ma al
contrario ne possono aumentare l’efficacia. D’altra parte anche le banche locali non possono più
prescindere dall’adozione di sistemi avanzati (anche quantitativi) di valutazione e gestione dei rischi
e in particolare dei rischi di credito proprio perché la concorrenza su alcuni segmenti di mercato
sarà sempre più serrata. La sfida per le BCC sarà quindi quella di integrare, in un modello originale,
la tradizionale capacità di valutazione del rischio basata sulla conoscenza del territorio con il
contributo offerto dalle tecniche “formalizzate” di valutazione e gestione del rischio (in particolare
le tecniche di scoring). Un ruolo fondamentale per la riuscita di questa operazione spetta
all’organizzazione a rete che, se opportunamente sfruttata, consente di usufruire di economie di
scala e di diversificazione nella conservazione dell’indispensabile localismo.
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