gdiS 4 • 2012 - Ordine Regionale dei Geologi Di Sicilia

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gdiS 4 • 2012 - Ordine Regionale dei Geologi Di Sicilia
Geologi di Sicilia
Spedizione in abbonamento postale 70% - Filiale Palermo
/ ISSN 2038-2863
Bollettino dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia
Anno XX
Ottobre-Dicembre 2012
4
Geologi di Sicilia - Bollettino dell’Ordine dei Geologi di Sicilia
Anno XX - n. 4
Ottobre-Dicembre 2012
Direttore editoriale
Pietro Todaro
Direttore responsabile
Antonio Gallitto
Redazione
Pietro Todaro, Carlo Cassaniti,
Emanuele Doria, Antonio Gallitto.
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Comitato dei Garanti
Rosa Silvia Cannavò, Carlo Cassaniti,
Francesco Criscenti, Saro Di Raimondo,
Emanuele Doria, Antonio Gallitto,
Corrado Ingallina, Giovanni Noto,
Salvatore Palillo, Antonella Parrinello,
Vincenzo Pinizzotto, Biagio Privitera,
Pietro Todaro, Roberto Torre,
Fabio Tortorici.
Referenti Scientifici ed Esperti
Valerio Agnesi, Eros Aiello,
Aurelio Aureli, Giovanni Bruno,
Fabio Cafiso, Mario Cosentino,
Pietro Cosentino, Sebastiano Imposa,
Fabio Lentini, Vincenzo Liguori,
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Giovanni Randazzo, Attilio Sulli,
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Direzione, Redazione,
Amministrazione e Pubblicità
Ordine Regionale dei Geologi
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SOMMARIO
2
Editoriale / Cari Colleghi
di Fabio Tortorici
3-4
Lettera aperta / Le ragioni di un passo indietro
di Emanuele Doria
Comunicazioni dal Consiglio dell’O.R.G.S.
5-19
Interventi a salvaguardia dei centri abitati:
il caso della frana di San Fratello (ME)
Fabio Cafiso
20
L’intervista / A colloquio con l’On. Vincenzo Vinciullo
Vicepresidente della Commissione Bilancio dell’ARS
a cura di Antonio Gallitto
21-35
Indagini integrate per la mitigazione
del rischio in un’area di Falesia
della Sicilia Meridionale (Sciacca - Agrigento)
di Emanuele Siragusa & Antonio Cimino
36-40
Convegno / Il geologo di zona
e la proposta per la difesa del suolo
di Biagio Privitera
Le responsabilità penali
dei liberi professionisti e degli amministratori
dott.ssa Rosanna Casabona
Ci scusiamo con i colleghi e lettori per il ritardo con cui va in stampa questo numero di
Geologi di Sicilia rispetto alla sua naturale uscita di fine dicembre 2012. L'inconveniente va imputato al mancato invio da parte degli autori di articoli da pubblicare, prenotati
da tempo e non più pervenuti in redazione.
Editore
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La copertina:
Pozzi strutturali-drenanti
in fase di esecuzione,
su affioramento di argille
scagliose (Cretaceo).
Frana di San Fratello,
Messina.
(Foto di Fabio Cafiso)
L’EDITORIALE
di Fabio Tortorici
CARI COLLEGHI
Dopo le dimissioni dell’amico Emanuele Doria,
tocca a me guidare l’Ordine Regionale dei Geologi di
Sicilia e portarlo alla sua naturale scadenza. Ricoprire l’onorevole carica di presidente è un ruolo impegnativo, soprattutto in un periodo di profonda crisi per
l’economia del nostro paese e conseguentemente anche
per le libere professioni. Alle mie immediate e spontanee perplessità, dopo le innumerevoli attestazioni di
fiducia pervenutemi, è subentrata una grande voglia
di fare, supportata dalla certezza di avere alle spalle
un Consiglio coeso con cui potrò lavorare in totale
armonia e sintonia. La mia nomina per acclamazione
è stata il frutto di una libera scelta democraticamente abbracciata dal Consiglio, unico organismo legittimato a dare disposizioni, investendomi nel segno della
stabilità e della serenità.
Ora la parola d’ordine è affermare il ruolo da protagonista che spetta al geologo per una corretta e sostenibile gestione del territorio e di ciò che vi si realizza sopra, argomenti questi di cui a ragione siamo tra
i più profondi conoscitori.
Ai traguardi raggiunti fino ad oggi dai geologi di
Sicilia, si devono aggiungere nuovi obiettivi finalizzati a dare spazio alla categoria, attraverso la messa
in sicurezza del nostro vulnerabile territorio ed attraverso uno sfruttamento ecosostenibile dello stesso. Più
volte si è provato a puntare sul “fascicolo del fabbricato” senza alcun risultato, quando sono migliaia gli
edifici a rischio sismico od idrogeologico e non si tratta solo di strutture private, ma anche di strutture pubbliche (scuole, caserme, uffici, ecc.). In proposito, va
convinto il legislatore che andrebbero programmati
incentivi per la popolazione ed investimenti che producano risparmio di vite umane e lavoro, piuttosto che
inefficaci interventi post-evento, molto più costosi e
troppo spesso di scarsa efficacia.
Le soluzioni per la salvaguardia del territorio si
possono trovare anche in tempi di crisi, senza pesare
eccessivamente sulle tasche dei cittadini, ottimizzando innanzitutto le risorse a disposizione; pensiamo alle
ingenti somme spese per pagare le penali per il ponte
di Messina, che sarebbero bastate a ristrutturare e mettere in sicurezza gli edifici di oltre 20.000 famiglie.
Già dal prossimo editoriale che pubblicheremo
sulla nostra rivista, posso assicurare che buona parte
della discussione sarà incentrata sull’avvio di un
costruttivo percorso di dialogo con il Governo regionale, in altre parole aprendo un confronto con il Legis2
latore che con una serie di norme ad hoc può incentivare la nostra professione. In proposito, l’articolo 12
dello Statuto della Regione Siciliana è molto chiaro,
recitando: “…. I progetti di legge sono elaborati dalle
Commissioni dell’Assemblea regionale con la partecipazione delle rappresentanze degli interessi professionali e degli organi tecnici regionali ….”.
Altro aspetto sul quale è necessario un profondo
impegno, è la qualità delle prestazioni professionali,
passando attraverso la difesa dei principi dettati dall’etica e dalla deontologia; oggi il mercato libero ha
abbattuto regole e limiti, con la conseguenza che si
assiste ad una concorrenza in cui prevale la logica del
profitto immediato, trascurando la qualità della prestazione, mentre invece è necessario riaffermare i sani
principi etici ed il valore della professione. La crisi
nel mondo della professione ha incrementato comportamenti equivoci e riprovevoli di taluni, che si pagano inevitabilmente con uno svilimento dell’immagine
del geologo. L’augurio è che trionfi l’onestà nei rapporti interpersonali e tra colleghi, tutelando allo stesso modo la collettività. È necessario depurare il mercato da chi con comportamenti stolti e negligenti fa
il male della geologia, mettendo in cattiva luce agli
occhi dell’opinione pubblica l’intera categoria, alimentando l’idea che i maggiori mali della povera Italia
siano riconducibili alle libere professioni.
L’ultimo argomento che ritengo di dovere affrontare riguarda gli attacchi di basso profilo che da qualche
anno a questa parte si registrano contro l’istituzione
“Ordine”; mi riferisco alle cavillose discussioni alimentate da taluni iscritti, ai ricorsi pretestuosi che siamo
stati costretti a impugnare, ai messaggi minatori e alle
molestie ricevute. Tutto ciò non ha fatto, nè fa paura
ad alcuno, l’unico effetto che hanno sortito è stato un
dispendio di energie ed un esponenziale aumento di
spese legali da sostenere, da parte dell’Ordine. Questi
atteggiamenti, che poco si addicono ai professionisti,
possono solo trovare la totale opposizione del Consiglio, ritenendoli privi di pregio e di grande pregiudizio
per l’intera categoria e andranno duramente perseguiti.
Concludo il mio editoriale con la consapevolezza
di essere stato troppo ambizioso nei progetti, ma se
si vuole cambiare marcia, guai se non lo fossi e male
se non avessi la collaborazione e la passione di tutti
voi per il nostro tormentato e bellissimo mestiere.
Fabio Tortorici
Presidente dell’O.R.G.S.
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LETTERA APERTA
di Emanuele Doria
LE RAGIONI
DI UN PASSO INDIETRO
Al Consiglio dell’Ordine Regionale
dei Geologi di Sicilia
SEDE
A tutti gli Iscritti all’Ordine Regionale dei Geologi
LORO SEDI
Al Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
SEDE
Agli Ordini Regionali dei Geologi
LORO SEDI
Al Presidente dell’EPAP
SEDE
OGGETTO: Dimissioni dalla carica di Presidente
dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia.
Le ragioni di un passo indietro.
Care Colleghe e Cari Colleghi,
apprendete in questi giorni delle mie dimissioni
dalla carica di Presidente dell’Ordine, da me rassegnate in modo irrevocabile già nella seduta del 10
gennaio ultimo scorso, e sicuramente molti di Voi si
staranno chiedendo le motivazioni di una simile scelta, anche in considerazione del fatto che mancano
ormai pochi mesi alle elezioni per il rinnovo del Consiglio e la tempistica poteva risultare poco opportuna.
Ho ritenuto pertanto necessario scrivere questa breve
nota per spiegare le ragioni di un passo indietro, meditato e travagliato, ma necessario infine per il prosieguo del lavoro del Consiglio e mio personale.
Quando nel dicembre del 2010 il Consiglio dell’Ordine mi ha chiamato a ricoprire il posto lasciato
dal Presidente Graziano, ero perfettamente consape-
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vole di raccogliere una pesante eredità soprattutto in
termini di immagine ed efficienza dell’Ordine Regionale, di rapporti con i colleghi, la politica, le altre professioni etc.; risultava quindi fondamentale assicurare
la coerenza e la continuità nell’azione dell’Ordine ed
il completamento di quegli obiettivi del programma
elettorale con il quale avevamo raccolto l’indiscusso
sostegno dei geologi siciliani.
È quindi cominciato un periodo di grandissimo
impegno su tantissimi fronti, che ha visto me ed il
Consiglio Regionale profondere energie che hanno
prodotto i risultati che, ritengo, sono adesso sotto gli
occhi di tutti. I geologi siciliani ed i loro rappresentanti istituzionali sono oggi partecipi nella stragrande
maggioranza dei tavoli di concertazione e vengono
interpellati su tanti aspetti legati al territorio ed all’ambiente. È oramai consolidato anche a livello nazionale il modello di collaborazione con la Protezione Civile nato sotto la Presidenza Graziano; pur in un contesto
politico regionale molto difficile, l’azione dell’Ordine
ha prodotto atti normativi quali la legge 25/2012 sui
geositi, il disciplinare d’incarico specifico per i geologi nel regolamento regionale sui lavori pubblici, la
Circolare 57027/2012 sugli strumenti urbanistici; i rapporti di collaborazione con tutte le Università siciliane hanno prodotto eventi formativi di qualità e sono
stati realizzati percorsi formativi per gli studenti al
fine di facilitare l’approccio all’Esame di Stato; oltre
alle numerose attività di APC svolte su tutto il territorio regionale, la pubblicazione di una rivista di riconosciuta qualità tecnico-scientifica e grandi passi avanti nella informatizzazione delle attività dell’Ordine. Si
potrebbe continuare con l’elenco delle cose fatte e portate avanti, ma preferisco fermarmi ricordando che i
grandi risultati ottenuti sono soprattutto frutto del lavoro di un gruppo fortemente motivato a svolgere al
meglio delle proprie possibilità il lavoro assegnato.
Tutto questo ha richiesto indubbiamente un notevole impegno personale, il ruolo del Presidente richiede sempre e comunque una attenzione ed una presenza che non conosce mai soste e che mi ha visto
sacrificare spesso sia il mio lavoro da professionista
che il tempo dedicato alla famiglia. Il bilancio complessivo della mia attività alla fine dell’anno appena
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trascorso, sicuramente positivo per quanto concerne il
lavoro svolto come Presidente dell’Ordine, con il raggiungimento di tanti obiettivi prefissati e di altri intervenuti durante il cammino, vede tuttavia anche la
necessità di riattenzionare la mia sfera personale, ciò
mi ha quindi spinto a rientrare discretamente, così
come ne ero uscito, nel ruolo di Consigliere, nel quale
continuerò comunque a dare il mio contributo, passando, con la condivisione del Consiglio, il testimone a Fabio Tortorici che, sono certo, saprà ben portare avanti le attività dell’Ordine fino alla conclusione
del mandato.
Al termine di questa esaltante esperienza voglio
ringraziare in primo luogo i Consiglieri, che mi hanno
affiancato anche con momenti di vivace confronto,
l’infaticabile Segreteria, vera colonna portante dell’Ordine, i preziosi consigli, l’amicizia ed il sostegno del
Presidente Nazionale G.V. Graziano e dei Presidenti
degli OO.RR. Italiani ed infine, ma soprattutto, tutte
le colleghe ed i colleghi siciliani con cui in questi
anni, sicuramente non facili per la nostra professione,
ho avuto il piacere di confrontarmi e condividere esperienze ed idee.
A tutti un sincero Grazie!
Emanuele Doria
Palermo, 26 gennaio 2013
Comunicazioni dal Consiglio dell’O.R.G.S.
Egregi colleghi, con grande rammarico vi portiamo a conoscenza che la seduta di consiglio del giorno 13/02/13 dopo pochi minuti dal suo inizio, è stata
interrotta per l’improvvisa irruzione da parte di tre
facinorosi colleghi nella sala in cui si svolgeva l’attività istituzionale. I protagonisti del blitz, con motivazioni pretestuose ed atteggiamenti arroganti, hanno
impedito il regolare svolgimento dei lavori del nostro
organo collegiale.
Tali insolenti comportamenti hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine che hanno identificato i tre incursori, i quali solo dopo parecchio tempo
sono stati allontanati; tale increscioso episodio, non
ha permesso al Consiglio di trattare i punti all’ordine
del giorno, tra cui l’assegnazione e la vidimazione di
parcelle, la formulazione di pareri, la risposta ai numerosi quesiti pervenuti, la concessione di patrocini, l’organizzazione di eventi formativi ed altro ancora.
Ovviamente, l’impossibilità di avere svolto la
nostra ordinaria funzione, potrebbe essere di nocumento per gli iscritti, motivo per cui riteniamo doveroso
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scusarci con voi per eventuali disagi che in ogni modo
cercheremo di limitare.
Dopo tale gravissimo episodio, solo ultimo di una
serie di sterili attacchi con la vana pretesa di intimidire il Consiglio, esprimiamo energicamente indignazione e biasimo per il comportamento scriteriato di
pochi a danno di tanti; è altrettanto indiscutibile il
nostro obbligo di salvaguardare la categoria da chi
lede l’operato di tutti i colleghi che abitualmente usano
linguaggi e modi destinati a promuove i valori a cui
si ispirano le regole che stanno alla base della convivenza civile, dei valori etici e delle regole morali.
RinnovandoVi nuovamente le scuse per vostri
eventuali disagi o danni morali e materiali non dipendenti dalla nostra volontà, l’occasione ci è gradita per
porgere cordiali saluti.
Il Consiglio dell’O.R.G.S.
Ns. rif. 381/13
Palermo, 18 febbraio 2013
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INTERVENTI A SALVAGUARDIA DEI CENTRI ABITATI:
IL CASO DELLA FRANA DI SAN FRATELLO (ME)
Ing. Fabio Cafiso - PRO-GEO., Palermo
Fig. 1 - Vista generale di San Fratello.
Nella memoria si descrivono la frana che ha interessato San Fratello (ME) nel febbraio 2010, uno dei dissesti
R I A S S U N T O più estesi e più complessi verificatisi in Sicilia nell’ultimo secolo, e la relativa modellazione geologica e geotecni-
ca. Si illustrano, quindi, le opere previste a salvaguardia del nucleo urbano e il sistema di monitoraggio per il controllo della loro efficacia,
parte integrante degli interventi di stabilizzazione, secondo i dettami del “metodo osservazione” proposto da Terzaghi (1943) e da Peck (1967).
PAROLE CHIAVE: frana, palo secante, drenaggio, pozzo, calcestruzzo alveolare.
The paper presents the case history of San Fratello, a small town on the Nebrodi Mountains in Sicily rich in his-
A B S T R A C T tory and with very peculiar environmental and cultural characteristics. Both slopes of the narrow ridge where
San Fratello is seated had been affected in 1754, 1922, 1986 and 2010 by very large landslides which caused the failure of a lot of buildings
and historical monuments in the town. The paper illustrates the analyses carried out in the 2010 landslide and the design of stabilization
works and monitoring system still in progress.
KEYWORD: landslide, secant pile, drainage, caisson, alveolar concrete.
1 - CENNI STORICI
San Fratello è un piccolo centro dei Nebrodi, ubicato a circa 700 m s.l.m., risalente alla colonizzazione greca in Sicilia, quando il suo nome era Apollonia. Distrutta dagli Arabi, fu ricostruita tra i secoli XI
e XIII dalle truppe mercenarie di origini francesi che,
al comando del normanno Conte Ruggero, conquistarono la Sicilia. Per la loro origine, gli abitanti di San
Fratello parlano un dialetto gallo-italico e sono stati
sempre considerati stranieri dai Siciliani, addirittura
accomunati ai Francesi.
Il paese si sviluppa su una cresta (fig. 1) che fa da
spartiacque tra i bacini dei torrenti Furiano, ad ovest,
ed Inganno, ad est (fig. 2): in entrambi i versanti in
passato si sono sviluppate frane molto estese, citate nei
documenti storici dell’epoca. In particolare, il versante orientale fu interessato nel 1754 da un dissesto di
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vaste proporzioni (fig. 2), menzionato dal Fazello, che
probabilmente distrusse il forte normanno di San Filadelfio, la costruzione più antica del paese. Ben più
gravi per l’abitato furono, tuttavia, i danni provocati
dalla frana che interessò il versante occidentale nel
1922 (fig. 2), dopo che i primi dissesti si erano manifestati nel 1905: infatti, come descrive il Crinò, la frana
danneggiò irrimediabilmente parte del centro storico
di San Fratello, tra cui il duomo. Gli abitanti rimasti
senza casa furono delocalizzati nell’abitato di Acquedolci, a tale scopo costruito a valle dal governo dell’epoca, ma molti tornarono a San Fratello dopo la
seconda guerra mondiale. Un dissesto più recente, del
1986, ha interessato un ulteriore tratto del versante
occidentale del paese (fig. 2): i danni al patrimonio
edilizio sono stati modesti, ma questa frana, insieme
al dissesto del 1922, ha indirizzato lo sviluppo urbanistico di San Fratello verso il versante orientale.
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Fig. 2 - Ortofoto con ubicazione delle frane storiche.
Fig. 3 - Planimetria con la frana del 14 febbraio 2010.
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Nell’inverno 2009÷2010 il comprensorio dei
Nebrodi è stato investito da piogge eccezionali per
intensità e durata, i cui effetti sulla stabilità dei versanti sono stati devastanti: Giampilieri, Scaletta Zanclea, Caronia, Ucria, Sfaranda sono alcuni degli abitati interessati da dissesti che, in alcuni casi, hanno
provocato vittime. Il 14 febbraio 2010, dopo alcuni
segnali premonitori verificatisi nei due giorni precedenti, la cittadina di San Fratello fu devastata da una
frana di ampie dimensioni, che interessò un’area di
oltre 100 ha, dei quali ben 10 ha all’interno del centro urbano, caratterizzata da una zona di testa di lunghezza di poco inferiore ad 1 km e da uno sviluppo
longitudinale di circa 1,5 km (fig. 3). La frana danneggiò 300 edifici distribuiti in tre distinti quartieri
del paese (figg. 4, 5, 6 e 7), denominati Stazzone,
Riana e San Benedetto, di cui poco meno di 200 gravemente, provocando l’evacuazione di circa un
migliaio di residenti, a fronte di una popolazione complessiva di circa quattromila anime. L’acquedotto, la
fognatura e il sistema viario interno alla zona in frana
furono distrutti (figg. 8 e 9).
Dal confronto tra le figg. 2 e 3 è evidente che il
dissesto si configura come una riattivazione della frana
storica del 1754 ed i danni al patrimonio edilizio sono
stati particolarmente rilevanti perché esso ha interessato la zona di espansione del paese, per quanto sopra
precisato a proposito delle frane verificatesi nel versante opposto nel XX secolo.
Il meccanismo della frana è molto complesso, ma
certamente di tipo “regressivo”: dalle notizie acquisite dai residenti, sembra che il fenomeno abbia avuto
inizio a valle, in corrispondenza della zona indicata
con la sigla A in fig. 10, dove si verificarono lesioni
nel terreno il 12 febbraio; il giorno dopo la frana interessò la zona B1, ove si manifestarono larghe e profonde fessure nel terreno, e in rapida successione la
B2. Infine, giorno 14, il fenomeno franoso raggiunse
il centro urbano (zone C, D, E), danneggiando seriamente la Chiesa di San Nicolò, le scuole elementari,
centinaia di edifici e gran parte delle infrastrutture ricadenti nel parte orientale di San Fratello. Alcuni mesi
dopo comparvero le prime lesioni anche nei fabbricati e nelle strade ricadenti nella zona F (fig. 10), in cui
il movimento si è attivato presumibilmente a seguito
dello scivolamento della sottostante zona C.
Fig. 4 - Edifici distrutti nel rione San Benedetto.
Fig. 5 - Particolare degli edifici di cui alla Fig. 4.
2 - LA FRANA DEL 14 FEBBRAIO 2010
Fig. 6 - Edificio distrutto
nel rione Stazzone.
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Fig. 7 - Edificio gravemente danneggiato nel rione Stazzone.
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Fig. 8 - Danni alla viabilità nel rione Stazzone.
3 - MODELLI GEOLOGICO E GEOTECNICO
3.1 Generalità
Per la definizione dei modelli geologico e geotecnico della frana è stata eseguita una campagna di rilievi e di indagini in sito ed in laboratorio.
Con i rilievi aerofotogrammetrici è stata perimetrata l’area in frana evidenziata nelle figg. 3 e 10.
Inoltre è stato effettuato il censimento degli edifici
dissetati con la valutazione del grado di danno; nella
fig. 11 si riporta la mappatura relativa al quartiere
Stazzone.
Le indagini comprendono:
• sondaggi meccanici verticali a carotaggio continuo;
• indagini geofisiche (tomografia sismica ed elettrica, sismica in foro, in array e passiva a stazione singola);
• monitoraggio piezometrico, in corrispondenza di
strumenti collocati in prossimità delle verticali
esplorate con i fori di sondaggio e dei pozzi
esistenti nel paese di San Fratello;
• monitoraggio inclinometrico in tubi installati in
fori di sondaggio;
• ispezione con sonda televisiva di pozzi ubicati
nell’area in frana e nella fascia rurale a valle
del paese;
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Fig. 9 - Danni alla fognatura nel rione Stazzone.
• sondaggi a distruzione di nucleo con Data Logger per l’acquisizione dei parametri di perforazione;
• analisi e prove di laboratorio su campioni
estratti lungo i fori di sondaggio.
3.2 Geologia
Nell’area di San Fratello interessata dal dissesto
sono presenti terreni appartenenti a tre formazioni geologiche riconducibili alle Unità di Catena, in contatto tettonico:
– Flysch di Monte Soro (Complesso Sicilide –
Cretaceo), in facies prevalentemente quarzarenito-argillosa (MS);
– Argille Scagliose Superiori (Complesso Sicilide – Cretaceo), costituite di argille marnose scagliettate con livelli decimetrici di calcari e calcari marnosi (AS);
– Flysch di Frazzanò (Complesso Calabride –
Eocene Superiore), comprendente un’alternanza arenaceo-argillosa con intercalazioni di livelli conglomeratici a clasti filladici, arenacei e
gneissici (FF).
Tutti i terreni appartenenti alle Unità sopra descritte si presentano tettonizzati (intensamente fratturati i
termini litoidi, fittamente scagliettati i termini argillosi). L’assetto strutturale è dominato da ricoprimenti
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Fig. 10 - Confronto tra le
frane del 1754 e del 2010
ed evoluzione cronologica
di quest’ultima.
tettonici multipli (stile compressivo), dislocati da
faglie dirette a prevalente andamento NW-SE (stile
distensivo).
Le due formazioni flyschiodi affiorano ai margini
dell’area raggiunta dal dissesto ove, pertanto, la Formazione di Base è costituita quasi esclusivamente dalle
Argille Scagliose (AS) che, nella fascia superiore, si
presentano talora alterate (ASa).
Sui terreni AS sopra descritti giace una coltre
superficiale costituita, nella parte superiore, di materiale di riporto (TR), in quella inferiore di argille e
argille limose rimaneggiate, contenenti elementi eterometrici di natura arenacea e/o calcisiltitica (Ap). In
generale lo spessore complessivo dei terreni della coltre superficiale non supera 10 m (figg. 12 e 13).
volto direttamente l’abitato, indicati con le sigle C, D,
E nella figura 10.
La frana che ha danneggiato il quartiere San
Benedetto (zona C – fig. 10) è di tipo rotazionale
e la superficie di rottura si è sviluppata, in parte,
al contatto tra i terreni di copertura Ap e quelli di
base alterati ASa, in parte, all’interno di questi ultimi, con un profondità massima di circa 11,50 m.
Di particolare interesse, ai fini dell’individuazione
della superficie di scorrimento, è la variazione di
wn con la profondità rilevata in corrispondenza dei
sondaggi eseguiti (fig. 12): alle medesime profondità in cui gli inclinometri evidenziano la rottura
(fig. 13), il contenuto naturale d’acqua assume un
massimo relativo.
3.3 Pressioni interstiziali
Con i sondaggi, i piezometri e i dati acquisiti con
il censimento e il monitoraggio dei pozzi esistenti è
stato accertato che nella primavera 2010, e quindi un
paio di mesi dopo l’evento franoso, il livello acquifero era ancora prossimo al piano campagna. Tenuto conto delle piogge eccezionali che hanno preceduto l’evento, è realistico ammettere che all’atto della
frana il regime delle pressioni interstiziali fosse caratterizzato dalla completa saturazione del terreno a partire dal p.c.
3.4 Caratteristiche cinematiche della frana
La frana in argomento è assai complessa, in quanto si riconoscono movimenti diversi (figg. 3, 10), che
certamente interferiscono gli uni con gli altri (Varnes
1978). Tenuto conto dell’obiettivo primario dello studio in relazione ai tempi ristrettissimi di intervento,
sul quale si riferisce nel seguito, sono stati indagati
più in dettaglio i movimenti franosi che hanno coin-
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Fig. 11 - Mappatura degli edifici danneggiati nel rione Stazzone.
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Fig. 12 - Stratigrafia nel rione San Benedetto ed andamento di wn con la profondità.
Fig. 13 - Stratigrafia nel rione San Benedetto e letture inclinometriche.
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Fig. 14 - Risultati della back-analisis nel rione Stazzone.
Nel caso del movimento che ha coinvolto il quartiere Stazzone (zona E – fig. 10) la frana appare di
tipo roto-traslativo e la superficie di rottura, per lo più
di tipo piano con andamento subparallelo al piano
campagna, si sviluppa alla profondità di circa 10 m
al contatto tra le argille della coltre superficiale e
quelle marnose con tessitura a scaglie della Formazione di Base (fig. 14).
Nel dissesto del quartiere Riana (zona D – fig. 10),
la ricostruzione stratigrafica è del tutto analoga a quella delle zone limitrofe, ma non viene individuata con
chiarezza una superficie di scorrimento né mediante
le letture inclinometriche, né mediante l’esame della
variazione di wn con la profondità. Neanche le riprese video effettuate in alcuni pozzi, danneggiati dall’evento franoso e ubicati nella zona in argomento,
hanno fornito indicazioni significative. Dall’esame del
quadro fessurativo del terreno e degli edifici e della
morfologia del sito e mediante la back-analysis, come
esposto nel seguito, è stata effettuata un’attendibile
ricostruzione del dissesto e si è stimato uno spessore
massimo della frana pari a circa 14 m.
3.5 Caratteristiche meccaniche dei terreni:
prove di laboratorio e back-analysis
Per la caratterizzazione geotecnica dei terreni Ap,
ASa ed AS sono state effettuate, in primo luogo, prove
di laboratorio. I risultati relativi alle argille a scaglie
della Formazione di Base sono stati posti a confronto con quelli riportati nella letteratura.
La coltre superficiale Ap sembra derivare dall’alterazione e dal rimaneggiamento dei terreni della For-
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mazione di Base, probabilmente a seguito della frana
del 1754; essa è costituita da materiale eterogeneo, in
cui prevalgono le argille, con contenuto naturale d’acqua in genere compreso tra il 16% e il 25%.
Con le prove di taglio diretto si è ottenuto (fig. 15):
– condizioni di picco:
cp’ = 0÷50 kN/m2
ϕp’ = 18°÷21°
– condizioni residue:
cr’ = 0÷20 kN/m2
ϕr’ = 9°÷18°
L’elevata dispersione dei dati sperimentali è dovuta all’eterogeneità del deposito; si osserva, comunque,
Fig. 15 - Risultati delle prove di taglio diretto drenato sulle argille
rimaneggiate superficiali.
11
Fig. 16 - Resistenza al taglio delle argille con tessitura a scaglie.
che il valore minimo di ϕp’ coincide con il massimo
del valore residuo ϕr’.
Per quanto attiene ai terreni della Formazione di
Base, la sperimentazione è stata limitata ai livelli pelitici. Sulla scorta dei risultati delle prove eseguite, non
sono state individuate significative differenze tra i terreni ASa ed AS. Si tratta di sabbia con limo ghiaiosa e argillosa con wn = 9%÷15%.
Dalle prove di taglio diretto si hanno valori dei parametri di resistenza al taglio di picco prossimi a quelli ottenuti da Bilotta e Umiltà (1979), pari a (fig. 16):
cp’ = 20÷30 kN/m2
ϕp’ = 20°÷27°
I valori residui sono:
cr’ = 0 kN/m2
ϕr’ = 16÷23°
Le analisi a posteriori delle singole frane, sviluppate con il metodo dell’equilibrio limite e, in particolare, con il criterio di Spencer (1967), sono state utilizzate per ricavare informazioni sui valori dei
parametri della resistenza al taglio mobilitati al
momento della rottura e per integrare le informazioni acquisite con le indagini.
Per le due frane dei quartieri San Benedetto e Stazzone (fig. 14), per le quali erano state individuate con
sufficiente approssimazione le superfici di scivolamento, mediante le analisi a ritroso, effettuate considerando il livello piezometrico alla quota del piano campagna, nelle condizioni di equilibrio limite si è ottenuto:
c’ = 0
ϕ’ = 20°
12
Tali parametri sono in perfetto accordo con i risultati delle prove di laboratorio e, in particolare, con
buona approssimazione coincidono con i parametri di
picco della coltre superficiale e con quelli residui dei
terreni della Formazione di Base. Ad essi si è fatto
riferimento nei calcoli eseguiti per il dimensionamento degli interventi di stabilizzazione.
Per la frana del quartiere Riana l’analisi è stata
condotta tenendo conto delle posizioni della testa e
del piede, con falda a piano campagna e con i valori dei parametri innanzi indicati. La condizione di equilibrio limite è stata ottenuta con una superficie di scorrimento che si sviluppa al contatto tra i terreni Ap di
copertura ed AS di base, con una profondità massima
di m 14.
I dati acquisiti con le indagini e con le analisi a
ritroso hanno consentito, quindi, di operare una soddisfacente ricostruzione dei quadri geologico e geotecnico dei singoli movimenti in cui si scompone la
frana del 2010 e di individuare con buona approssimazione i parametri caratteristici dei terreni, da utilizzare per la valutazione degli effetti degli interventi di stabilizzazione.
3.6 Cause della frana
Il regime di pressioni interstiziali particolarmente
sfavorevole (terreno saturo a partire dal p.c.) è stato,
con buona probabilità, la causa scatenante dell’evento franoso. Tra le cause predisponenti si citano:
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– le scadenti proprietà meccaniche dei terreni
della coltre superficiale, quasi certamente interessati dalla frana storica che si è sviluppata
nella medesima area (1754);
– il quadro geologico geostrutturale, caratterizzato da contatti tettonici tra le singole formazioni geologiche, che determinano un’importante
azione di disturbo dei terreni nell’intorno dei
contatti medesimi;
– le caratteristiche idrogeologiche dei terreni, che
consentono lo sviluppo di una falda acquifera
superficiale che alimenta i numerosi pozzi presenti nel centro abitato, e che tendono a saturarsi in tempi brevi fino a piano campagna a
seguito di precipitazioni atmosferiche intense
anche se non eccezionali.
4 - INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE
La scelta degli interventi è stata effettuata secondo
il criterio fondamentale di bloccare la regressione verso
monte della frana, salvaguardando la parte del centro
abitato ancora non interessata dal dissesto ma anche
quella, all’estremità orientale dell’abitato, danneggiata, anche pesantemente, dall’evento del 14 febbraio
2012. L’obiettivo, infatti, è quello di garantire la
sopravvivenza di San Fratello, con il suo patrimonio
storico, architettonico e culturale. In quest’ottica, un
potente alleato è stata la popolazione, fermamente decisa a non abbandonare il luogo natio e desiderosa di
rientrare negli edifici danneggiati che è possibile recuperare. Peraltro, accurate analisi costi/benefici rendono impraticabile la stabilizzazione dell’intero versante
in frana; di conseguenza la scelta è ricaduta su interventi che, seppure hanno effetti positivi per l’intero
pendio interessato dal dissesto, garantiscono la stabilizzazione del tratto in cui ricade il centro urbano, discriminando le sorti del paese da quelle del pendio a
valle. Tali interventi comprendono sia manufatti da realizzare immediatamente a valle della periferia orientale di San Fratello, interessata dal dissesto, che opere
all’interno del centro abitato. La messa in sicurezza
del paese verrà garantita dal complesso di tali interventi anche se, per la diversa ubicazione nel pendio,
essi assolvono a funzioni specifiche; in particolare:
– le opere ubicate a valle sono più impegnative
e “massive”, in quanto necessarie per discriminare il comportamento del tratto di pendio a
monte con il paese, da stabilizzare, e la parte
restante, che degrada a valle allontanandosi
dalla zona urbanizzata;
– gli interventi all’interno del centro abitato sono
più “snelli”, anche per minimizzare il “disturbo” agli edifici esistenti, e assolvono anche al
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compito di ridurre le attuali condizioni di rischio
di crollo di edifici danneggiati che è possibile
recuperare.
In particolare, le opere di stabilizzazione del quartiere Stazzone, analoghe a quelle previste per gli altri
rioni, sono indicate nella figura 17. Gli interventi ai
margini della zona urbanizzata comprendono:
• trincee drenanti profonde 12 m, realizzate in pali
secanti F600 mm di calcestruzzo alveolare, posti
ad interasse di 45 cm (figg. 17 e 18);
• pozzi strutturali e drenanti, ubicati subito a valle
delle trincee, del diametro esterno di 12 m e profondità pari a 24,40 m posti ad interasse di 22
m, realizzati all’interno di paratie di pali di diametro 800 mm e lunghezza 28 m (figg. 17 e 18);
• tubi drenanti microfessurati della lunghezza di
4 m posti a varie quote, di collegamento idraulico tra le trincee e i pozzi drenanti (fig. 18);
• paratie ad arco di collegamento dei pozzi strutturali e drenanti, costituite da pali identici a
quelli dei pozzi medesimi (fig. 18);
• tubazioni di captazione e smaltimento delle acque
raccolte nelle trincee e nei pozzi drenanti;
• pozzi intermedi tra quelli strutturali e drenanti
e le condotte di captazione e scarico (fig. 17).
I pozzi, con le paratie ad arco di collegamento,
hanno funzione di sostegno; le trincee drenanti intercettano la falda e la scaricano all’interno dei pozzi, ai
quali sono idraulicamente collegati mediante i tubi
microfessurati (fig. 18); il collegamento idraulico tra
i pozzi resistenti e quelli di valle consente, infine, lo
smaltimento in alveo delle acque di drenaggio. La scelta di una tecnologia innovativa per i drenaggi, quali
i pali secanti in calcestruzzo alveolare (fig. 18), ossia
con calcestruzzo permeabile (costituito di cemento e
pietrisco con dimensione caratteristica non inferiore
ad 1 cm), consente di realizzare dreni profondi senza
effettuare scavi, che avrebbero potuto compromettere
ulteriormente la stabilità del tratto di pendio a monte
con gli edifici.
Gli interventi all’interno del centro abitato sono
costituiti di paratie comprendenti due file di pali di
diametro 600 mm e lunghezza 21 m circa, collegati
in testa da un cordolo in c.a., recanti all’interno una
trincea drenante di calcestruzzo alveolare di 5 m di
profondità (fig. 19). Le paratie hanno il duplice di
scopo di proteggere lo scavo per la realizzazione del
dreno e di rinforzo del terreno, contribuendo a migliorare le condizioni di stabilità del pendio nel suo complesso e delle cortine edilizie ubicate immediatamente a monte.
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Fig. 17 - Interventi di stabilizzazione nel rione Stazzone.
Fig. 18 - Trincea drenante in pali
secanti e pozzo strutturale.
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Fig. 19 - Paratia di pali con
trincea drenante.
5 - MONITORAGGIO
Nell’ottica dell’approccio osservazionale (Terzaghi,
1943; Peck, 1967) alla soluzione dei problemi complessi di ingegneria geotecnica, l’intervento di consolidamento è completato da un sistema di monitoraggio dell’efficacia delle opere di stabilizzazione e degli
effetti sugli edifici in fase esecutiva (entità delle vibrazioni provocate dalle trivelle) e a lungo termine (eventuali cedimenti indotti dai drenaggi). Tale monitoraggio si articola con misure:
• ad accelerometri posizionati nei fabbricati più
vicini alle palificazioni.
• a piezometri a tubo aperto, collocati subito dopo
l’evento del 14 febbraio e nelle successive campagne di indagini, e a membrana, da porre in
opera a breve;
• ai pozzi privati, distribuiti nell’intero paese;
• ad inclinometri inseriti in diverse verticali esplorate con i fori di sondaggio.
Inoltre, dal marzo 2010 e, quindi, un mese dopo
l’evento franoso, è stato installato sulla sella opposta
a quella in cui insiste San Fratello un sistema interferometrico (radar da terra) per il controllo degli spostamenti superficiali del tratto di pendio interessato
dal dissesto, con particolare riguardo alla parte comprendente il centro urbano. Oltre le misure generali
relative all’intera area in frana, vengono effettuate in
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tempo reale misure di dettaglio relative a dieci punti
di controllo, ubicati nella zona del centro abitato interessata dal dissesto del 14 febbraio 2010. Infine, nel
mese di febbraio 2012 è stato inaugurato il sistema di
localizzazione GPS di capisaldi installati in punti chiave dell’area in frana, in zone non interessate dal dissesto e in corrispondenza degli edifici ricadenti a
ridosso dei drenaggi.
6 - STATO DELL’ARTE
E PRIMI RISULTATI
Nella fig. 20 è riportato lo stato dell’arte attuale;
in particolare, sono indicate con colorazione differente le opere:
– già completate (in rosso), alle quali si riferiscono le foto delle figg. 21, …, 26;
– in corso (in blu);
– finanziate ma ancora da realizzare (in giallo);
– non coperte da finanziamento (in verde).
Evidentemente è prematuro trarre conclusioni sull’efficacia delle opere di stabilizzazione, sia perché
sono stati completati appena il 40÷50% circa degli
interventi progettati, sia perché il periodo di osservazione è assolutamente insufficiente, sia, infine, perché
il sistema di controllo mediante GPS è stato attivato
soltanto a partire dal febbraio 2013 e non sono stati
ancora installati i piezometri a membrana, certamen15
Fig. 20 - Complesso degli interventi previsti.
Fig. 21 - Pozzi strutturali in fase di esecuzione.
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Fig. 22 - Coronella di pali per la realizzazione del pozzo strutturale.
Fig. 23 - Rivestimento definitivo delle pareti del pozzo strutturale
mediante spritz-beton fibrorinforzato.
Fig. 24 - Pozzi strutturali e paratie ad arco nel rione Stazzone.
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Fig. 25 - Travi guida per la realizzazione della trincea drenante in
pali secanti.
Fig. 26 - Sezione di una trincea drenante in pali secanti in calcestruzzo alveolare.
te più “pronti” rispetto a quelli a tubo aperto per il
controllo delle pressioni interstiziali in terreni di bassa
permeabilità.
Cionondimeno, i primi risultati del monitoraggio
degli spostamenti di superficie, effettuato con il sistema interferometrico, sembrano confortanti. Infatti, dai
grafici spostamenti/tempo dei dieci punti “campione”,
uno dei quali è riportato in fig. 27, risulta una brusca
riduzione della velocità degli spostamenti a partire dall’autunno del 2011, ossia dalla data in cui le prime
opere di consolidamento hanno cominciato ad essere
funzionali. Di contro, le misure nei pozzi privati e in
corrispondenza della strumentazione in opera non
segnalano ancora i valori “attesi” dei livelli piezometrici, almeno in corrispondenza del rione Stazzone.
Tuttavia il monitoraggio mediante i piezometri a membrana consentirà di valutare i reali effetti dei drenaggi nella riduzione delle pressioni interstiziali.
ti, i terreni interessati dal dissesto appartengono a tre
distinte Formazioni Complesse (Jappelli R. & altri,
1977) in contatto tettonico, ciascuna costituita di alternanze caotiche di livelli argillitici molto tettonizzati e
livelli a consistenza lapidea, sui quali insiste una coltre rimaneggiata da una precedente frana storica
(1754). Inoltre, nell’intero paese, benché ubicato sulla
cresta dello spartiacque dei bacini dei Torrenti Furiano ed Inganno, è presente una falda idrica con livello piezometrico prossimo al piano campagna, a cui
attingono numerosi pozzi privati. Infine, il movimento franoso nel suo complesso è articolato in movimenti distinti, certamente interdipendenti, ma con specifiche caratteristiche cinematiche e geometriche, con
particolare riferimento alla profondità della superficie
di scorrimento, diversa in corrispondenza di ciascuno
di essi.
Seppure in un contesto di somma urgenza, dettato dalla necessità di arrestare il fenomeno franoso che
aveva danneggiato circa un terzo dell’abitato e minacciava la parte restante, le modellazioni geologica e
geotecnica sono state affrontate individuando ed ottimizzando tecnologie affidabili e veloci di acquisizione dati. Nella scelta degli interventi si è fatto riferimento a tecnologie tradizionali, quali i pozzi
strutturali e le paratie drenanti, ma anche a tecnologie innovative, quali trincee drenanti profonde 12 m
realizzate con pali secanti di calcestruzzo alveolare,
7 - CONCLUSIONI
La frana che il 14 febbraio 2010 ha gravemente
danneggiato l’abitato di San Fratello rappresenta uno
dei più complessi dissesti verificatisi in Sicilia nell’ultimo secolo per la sua estensione, per gli effetti
prodotti in termini di danno al patrimonio edilizio e
alle infrastrutture e per le specifiche caratteristiche
geologiche, geomorfologiche e idrogeologiche. Infat18
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Fig. 27 - Diagramma
spostamenti-tempo di
un punto “campione”
monitorato con il sistema interferometrico.
opportunamente collegate, mediante dreni suborizzontali di modesta lunghezza, ai pozzi strutturali. Infine,
è stato predisposto un piano di monitoraggio finalizzato a verificare l’efficacia degli interventi di stabilizzazione, in termini di riduzione degli spostamenti
del pendio in frana e del controllo delle pressioni
interstiziali nel terreno, ma anche degli effetti dei drenaggi sugli edifici. Per quanto gli interventi previsti
siano finalizzati alla messa in sicurezza dell’abitato,
è evidente che essi determineranno effetti benefici
anche sulla stabilità della parte di pendio che ricade
a valle degli stessi.
Una buona parte degli interventi di stabilizzazione, avviati nel dicembre 2010, è stata recentemente
ultimata, mentre la parte restante è in corso o sta per
essere appaltata. I risultati del monitoraggio via via
acquisiti, che attualmente sembrano essere confortanti in quanto evidenziano una brusca riduzione degli
spostamenti, almeno ove sono stati realizzati gli interventi, forniranno una valutazione delle scelte effettuate, suggerendo eventuali modifiche od integrazioni in
corso d’opera, nell’ottica di una progettazione che si
conclude dopo l’ultimazione dei lavori e un periodo
significativo di osservazione.
Va, infine, osservato che il caso in argomento rappresenta un importante esempio di attività interdisciplinare; infatti, la definizione del quadro geologico e,
in particolare, l’individuazione dello spessore della
frana, che non supera 10÷14 m, e dei livelli freatici,
prossimi al piano campagna, ha consentito di ricostruire un modello geotecnico dal quale è emersa la
possibilità dell’intervento di stabilizzazione descritto.
Uno spessore più elevato della frana avrebbe reso
impossibile l’intervento, uno spessore inferiore avrebbe, probabilmente indirizzato verso una diversa impostazione progettuale.
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8 - RINGRAZIAMENTI
L’autore ringrazia il Dipartimento di Protezione
Civile della Regione Sicilia per il contributo alla stesura della presente memoria e, in particolare, il dottor geologo Giuseppe Basile e l’arch. Marinella Panebianco per lo studio e la modellazione di carattere
geologico.
Bibliografia
AGI, Associazione Geotecnica Italiana (1979). Some Italian experiences on the mechanical characterization of structurally
complex formations . Proc. IV Int. Congr. Soc. Rock Mech.,
Motreux, vol. 1, 827-846.
Airò Farulla C., 2001. Analisi di stabilità dei pendii. I metodi dell’equilibrio limite. Hevelius Edizioni, Benevento
Bilotta E. & Umiltà G., 1979. Proprietà fisico-meccaniche di argille a scaglie; esperienze su campioni indisturbati. Rapporto
interno
Cafiso F., Basile G., Lo Monaco P., (2011). La frana di San Fratello (ME): studio, monitoraggio ed interventi di stabilizzazione. XXIV Convegno Nazionale di Geotecnica, Napoli, vol.
II, 641-648.
Cafiso F. (2011). New technologies employed in studying, monitoring and stabilizing the San Fratello landslide (Sicily, Italy).
The Second World Landslide Forum, Rome.
Crinò S. (1922). La frana di San Fratello. Rivista Geografica Italiana, vol. XXIX, 63-66.
Jappelli R., Liguori V., Umiltà G., Valore C. (1977). A survey of
geotechnical properties of a stiff highly fissured clay. Proc.
Int. Symp. “The Geotechnics of Structurally complex formations”, Capri, vol. II, 91-106.
Popescu M.E. 1994. A suggested method for reporting landslide
causes. Bull. IAEG, 50, pp. 71-74
Spencer E., 1967. A method of analysis of the stability of embankments assuming parallel inter-slice forces. Geotechnique, 17
(1), pp. 11-26
Varnes D.J., 1978. Slope movement. Types and processes. “Landslides. Analysis and Control”, Special Report, 176, T.R.B.,
National Academy of Sciences
WP/WLI (1993).Multilingual landslide glossary. Bi-Tech Publishers, Richmond, British Columbia, Canada, 59.
19
L’INTERVISTA
a cura di Antonio Gallitto
A colloquio con l’On. VINCENZO VINCIULLO
Vicepresidente della Commissione Bilancio dell’ARS
D: Ogni stagione invernale con le sue piogge,
mette in ginocchio molte città dell’Isola. Che
priorità ha oggi il rischio idrogeologico nell’agenda politica siciliana?
R: Nella nostra Isola sono cambiate le durate e le intensità delle piogge. Il governo regionale ha proposto degli
interventi nel corso degli anni e non poteva certo rimanere inerte proprio quest’anno. L’argomento del rischio
idrogeologico è stato trattato più volte in commissione Bilancio dell’Assemblea siciliana e siamo riusciti a
trovare due capitoli per finanziare alcuni interventi. Il
primo importante finanziamento è di 70 mln di euro e
riguarda l’assessorato regionale Territorio e Ambiente,
circa alcuni interventi prioritari previsti nei PAI – Piano
di Assetto Idrogeologico –. Un altro cospicuo finanziamento ha interessato la Protezione civile regionale,
alla quale sono andati 41.594.851 di euro per le emergenze. In quest’ultimo caso si vuole evitare quanto successo a Messina qualche anno addietro, nel senso della
mancanza di un coordinamento unitario nella gestione
delle emergenze.
D: Molti chilometri di coste isolane sono interessate da impianti industriali. A che punto
sono attualmente giunti i progetti di bonifica
ambientale?
R: La bonifica ambientale è ferma ed è una vergogna
nazionale. Quando ero vicesindaco andai a firmare personalmente l’accordo con l’allora ministro Matteoli. Ad
oggi, e sono passati 8 anni, non è stato speso un centesimo per la bonifica ambientale e la situazione è
molto difficile. I vari SIN – Siti di Interesse Nazionale – non hanno risolto i problemi e sono diventati un
cappio al collo per l’economia. Il nuovo governo deve
fare partire i progetti di bonifica e assegnare i terreni
bonificati a piccole e medie imprese che vorranno realizzare delle strutture.
D: La geotermia conta risorse per 500 Mtep
(milioni tonnellate equivalenti petrolio), pari
a 2,5 volte i consumi annui nazionali di elettricità, che corrispondono a 185 Mtep, eppure di questa fonte rinnovabile ne usiamo
appena il 3%, coprendo solo il 7% dei consumi annuali. Cosa e quanto si è fatto finora a livello normativo, perché si sviluppi concretamente l’utilizzo della geotermia in Italia
e in Sicilia?
20
L’On. Vincenzo
Vinciullo
R: Purtroppo non è un settore nel quale la Regione
Siciliana si è impegnata in modo particolare. Non fa
parte dell’attuale impegno economico messo in bilancio. Occorre qualcuno che se ne occupi all’interno dell’assessorato Territorio e Ambiente.
D: I recenti terremoti avvenuti da nord a sud
nel nostro territorio nazionale hanno nuovamente acceso i riflettori, se ancora ce ne fosse
bisogno, sull’elevato rischio sismico che interessa tutta l’Italia. L’ambiente e il paesaggio
possono essere profondamente riscritti dopo
un evento sismico. Quali azioni dovrebbe
intraprendere o non ha ancora intrapreso
secondo lei la classe politica, per mitigare il
rischio sismico nel nostro paese?
R: Il rischio sismico non può essere mitigato dalla
politica. Ciò che bisogna fare è sapere gestire l’evento. Sono indispensabili i Piani di protezione civile e
a tale proposito ci tengo a ricordare ciò che accadde nel 2004 a Siracusa, il primo comune capoluogo
di provincia a livello nazionale ad avere un Piano di
protezione civile. Un altro evento nel quale la Protezione civile ha avuto un ruolo molto importante è stato
il terremoto dell’Aquila del 2009. Gli sfollati dell’Aquila hanno usufruito dei pasti preparati dalla cucina
da campo mobile, inviata appositamente dalla nostra
Protezione civile comunale. Un documento imprescindibile è poi il fascicolo del fabbricato, spunto indispensabile per avere tutte le informazioni utili ai fini
della risposta sismica del terreno di fondazione e dell’edificio che vi insiste sopra.
Antonio Gallitto
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INDAGINI INTEGRATE PER LA MITIGAZIONE
DEL RISCHIO IN UN’AREA DI FALESIA DELLA SICILIA
MERIDIONALE (SCIACCA - AGRIGENTO)
Emanuele Siragusa° & Antonio Cimino*
L’area descritta nel presente lavoro – la falesia del Cammordino con la digitazione di Coda di Volpe – ricade
R I A S S U N T O in un’importante regione geostrutturale, il reservoir di Sciacca, ricco di copiose scaturigini di acque calde che
alimentano importanti sorgenti termali; sorgenti che costituiscono una risorsa economica essenziale per l’intero settore, incrementando
l’industria turistica in un’area d’incomparabile bellezza paesaggistica.
Nondimeno, la sua fascia costiera è sottoposta ad un rischio ambientale integrato, principalmente causato dalla notevole espansione antropica, civile e turistica. Lungo il litorale, infatti, la vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi calcarei ed arenacei raggiunge in genere valori elevati; così come è diffuso anche il pericolo d’inquinamento nel territorio nel suo insieme.
Invero, l’area in studio mostra ulteriori elementi di rischio rispetto a quanto accertato, in conseguenza della mutevole erodibilità delle
rocce ivi presenti. Proprio perché, nei fatti, la relativa successione rocciosa è periodicamente soggetta al crollo di grossi blocchi, che causano nel tempo variazioni geomorfologiche non indifferenti. Ed è per l’appunto la continua caduta di materiali, con la conseguente riduzione del corpo della scogliera, che impone un più attento monitoraggio della costa da realizzare con una serie di idonei e specifici interventi. Così, le tradizionali indagini geologiche e morfologiche sono state integrate con misure geotecniche e geofisiche, sia in situ sia in
laboratorio, con il proposito di fornire le necessarie informazioni per l’attivazione di adeguate strategie di salvaguardia e di recupero.
Sono state, perciò, impiegate avanzate tecniche di indagine, quali down-hole ed ispezioni in foro mediante micro-telecamere, i cui risultati sono presentati sotto forma di grafici e di diagrammi: gli stessi, oltre a confermare le ipotesi di lavoro di base, testimoniano anche la
validità degli strumenti costituiti dalla geotecnica e dalla geofisica e la loro opportunità di impiego proprio per le analisi di rischio ambientale presentato dalla falesia di Cammordino.
PAROLE CHIAVE: falesia, Sicilia, rischio ambientale, misure geotecniche, down-hole.
coastal sector of Southern Sicily is subjected to an integrated environmental
E X T E N D E D A B S T R A C T The
risk, mainly due to the considerable anthropic extension for civil and touristic reasons. As an example, contamination vulnerability of limestones and arenaceous aquifers generally reaches high values, and contamination
danger increases in the territory. An example is given by the Sciacca littoral region, where the Cammordino sea cliff area - with its Coda
di Volpe digitation - is framed in a magnificent landscape of touristic relevance. Its ideal position expresses, together with the relevant
spa located just over the coast line, a primary economical source for the whole territory.
The studied area is geologically featured by a main outcropped lithological unit, represented by alternate sequences of calcarenites and
sandy marls with different softness, but generally scarcely cemented. Here, the generally mediocre permeability notably increases with
fracture and faulting, favouring weathering and erosion and intensifying the collapse risk. It exhibits notable risk elements for the relative softness of almost all the steep sea cliffs. This causes unstable conditions, depending on variable weakness and erodibility of rock,
causing dangerous collapses of rock materials, successively redistributed by sea actions along the coast. Obviously, here the cliff can not
be left to retreat/erode continuously: as a matter of fact, the continuous loss of materials imposes a careful monitoring of the coast by
suitable surveys. Thus, classical geological and morphological studies have been integrated with geotechnical and geophysical measures, in
situ as well as in laboratory, giving the necessary information for the suggestion of safeguard interventions. Advanced methodologies have
been here applied, including down-holes and deep camera inspections in wells. The obtained outcomes are presented in form of graphics and diagrams, well testifying the carried out explorations and suggesting the opportunity to adopt an adequate prevention policy
against the landfill risk in this fragile sea cliff of the Island.
First of all, proposals of recovery and protection of the sea cliff range are the forced removal of all the unstable lapideous elements
with successive cleaning of rock and elimination of the shrub vegetation, the roots of which can considerably increase the rock weathering. Further interventions can be the consolidation of the sea cliff fronts (along with their structural stability restoring), by simple
or reinforced systems of metallic networks or vegetal fibre ropes; the embracement of large rock volumes by metallic ropes anchored
to the walls, with stitching and support of rock components and, therefore, with riveting, nailing and tie beams in the parts with major
unsteadiness. Further recommendations are given by the support of the most jutting or protruding walls with brick up by loose stone
foundations and the obstruction of fissures in the sea cliff walls by spritz- beton white concrete (Shot Concrete), electro-soldered networks and pit stones; the execution of fortification and defensive works, close-fitting the cliff and all around it, by natural masses, concrete tetrapodes or other kinds of prefabricated blocks.
These suggested interventions, to be realized close to the sea cliff, are specifically directed to two main objectives: firstly, to contrast
the collapse hazard of noticeable parts of the walls continuously subjected to (and menaced by) the continuous development of the
notches; secondarily, to drastically prevent from the retreat of the coastal belt, so obtaining expansion and steadiness of the shore-line.
Finally, Authors recall the importance of these surveys and monitoring schemes in other Sicily areas with comparable coastal cliff formations and eroding phenomena. Notable examples are given by the Scala dei Turchi and Eraclea Minoa littoral zones in Southern Sicily
too, where sea cliffs largely occur. Littoral outcrops are here represented by soft white marly-limestones (trubi), located just few tenth
of km far from the Cammordino - Coda di Volpe zone. Also in these sectors, the aggressive action of sea waves is causing serious risks
in a well acknowledged splendid landscape of these marvellous corners of the Island.
KEY WORDS: sea cliff, Sicily, environmental risk, geotechnical measures, down-hole.
(°) Geologo professionista, Consiglio di Indirizzo Generale dell’EPAP (Ente di Previdenza e Assistenza Pluricategoriale),
Via Bonifacio, 21, 92016 Ribera (AG) - Tel. 0925.61347 - 333.5764527 - E-mail: [email protected].
(*) Dipartimento di Fisica, Università di Palermo, Viale delle Scienze, Edificio n. 18, 90128 Palermo - Tel. 091.23899103 - 339.2025569
Fax 091.23860815 - E-mail: [email protected].
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INQUADRAMENTO GENERALE
L’ambiente costiero rappresenta in Sicilia una risorsa notevole, anche se continuamente minacciato da
fattori antropici e naturali. In particolare, l’area costiera di Cammordino – Coda di Volpe, geologicamente
appartenente alla catena dei Monti Sicani, è sottoposta pure ad incessanti modificazioni, causate da processi di natura sia climatica, sia morfodinamica. Nell’esempio considerato nella nota, questo importante
settore dell’Isola non risente soltanto delle interazioni tra gli ambienti marino e continentale; subisce anche
gli effetti dei fenomeni di subsidenza e dei movimenti a carattere regionale strettamente connessi con i fattori geologici (DUPERRET et alii, 2005). Di norma,
perciò, i processi naturali sono largamente preponderanti; nondimeno gli interventi antropici possono profondamente influenzare la morfologia costiera giocando un importante ruolo sulla stabilità del complesso
roccioso, specialmente in quelle aree con particolari
condizioni di accentuata pendenza. Ne consegue, allora, che le opere dell’uomo possono indirettamente condizionare non solo l’evoluzione costiera ma, soprattutto, l’entroterra e gli stessi bacini idrografici.
In genere, può comunque affermarsi che l’intervento antropico abbia prodotto, negli ultimi anni, un
aumento del quadro generale di rischio ambientale
integrato, come ampiamente riportato in letteratura
(BIRD, 1994; CALISTA et alii, 2008; GRIGGS, 1994;
HEINZ CENTER, 2000; SALLENGER et alii, 2002).
Da ciò deriva l’esigenza di indagare attentamente
le aree litorali e quelle ad essa limitrofe, con il fine
precipuo di intraprendere ed imporre severe misure di
protezione dirette alla loro stabilizzazione. Cosa, del
resto, d’obbligo in presenza dell’elevata urbanizzazione delle fasce prossime all’area di scogliera e del Cammordino, laddove un importante centro termale, sorgente economica di primaria importanza, è situato
proprio sopra il litorale, sulla digitazione di Coda di
Volpe, che di per sé costituisce un promontorio di
incomparabile bellezza e di grande rilevanza turistica.
Evidentemente, in tali condizioni la scogliera non può
essere lasciata retrocedere ed avanzare naturalmente,
con il crollo di nuovi materiali rocciosi e la loro ridistribuzione lungo la costa (DUPERRET et alii, 2002).
Ora, nello specifico, la presente nota si occupa
dello studio geologico e tecnico della fascia costiera
pertinente alla falesia che sovrasta il su accennato
complesso termale. L’attenzione è giustificata dalla
necessità di pianificare interventi di recupero e di consolidamento geostatico, allo scopo di contrastarne la
distruzione. Tali condizioni sono già incombenti lungo
il litorale che si allunga verso Est, dal porto di Sciacca fino alla vallata Cava di Lauro, complessivamente
per un migliaio di metri (Fig. 1).
22
Fig. 1. Inquadramento geografico dell’area costiera Cammordino Coda di Volpe (Sciacca, Sicilia). L’area in studio è cerchiata in rosso.
La nota riassume i risultati di un lavoro professionale condotto per conto della municipalità di questo
centro siciliano (Sciacca). Lo studio si è avvalso di
accurate indagini geologiche superficiali e profonde,
successivamente dettagliate. Gli obiettivi erano costituiti dall’accurata conoscenza delle caratteristiche geostrutturali e geotecniche dei litotipi riguardo alla loro
alterazione e degradabilità, sì da proporre un definitivo progetto esecutivo di interventi di recupero dell’intera area di falesia.
INQUADRAMENTO MORFOLOGICO
L’area investigata è localizzata a Sud del centro storico di Sciacca, limitata dal porto peschereccio ad
Ovest e dalla vallata della Cava di Lauro ad Est (vedasi ancora la Fig. 1). Il territorio appare strutturalmente segmentato, seguendo le giaciture della catena montuosa dei Sicani, a cui geologicamente appartiene.
L’intera area è coperta da un terrazzo morfologico,
debolmente inclinato verso il mare e troncato nella sua
parte terminale da una parete subverticale, visibilmente erosa dalle azioni congiunte del mare e del clima.
Il fonte roccioso appare essere chiaramente delimitato da ripide pareti (Foto 1 e 2), talvolta precariamente sostenute. Conseguentemente, la sua configurazione strutturale e morfologica è a rischio
(SUNAMURA, 1992), cosa, del resto, testimoniata, nello
stretto litorale, dai numerosi blocchi di roccia crolla4 • 2012
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Foto 1. La spiaggia, alquanto ristretta, al di sotto della falesia nel
settore orientale dell’area studiata.
Foto 2. Le ripide pareti del Cammordino, con presenza di massi
crollati.
ti e, successivamente, rimaneggiati dal mare. Appare
verosimile, perciò, prevedere che sulla falesia si accresca la propensione alla pericolosità per l’attuale alterazione e disarticolazione delle masse litiche, in dipendenza anche della presenza di discontinuità
sfavorevolmente orientate rispetto al fronte roccioso.
Situazione che viene peggiorata dallo scarso drenaggio delle acque di ruscellamento al di sopra della falesia, dovuto all’invasiva antropizzazione ed alla carenza di una rete artificiale sussidiaria degli scarichi delle
acque chiare e luride.
Infine, nel settore orientale dell’area, specificatamente nella vallata Cava di Volpe, le deboli pendenze degli affioramenti marnoso-argillosi alimentano
forme di degradazione (soil creeps), con lenti e circoscritti fenomeni di soliflusso. Deve essere altresì sottolineato che, nel terrazzo geologico nel suo complesso, le acque superficiali e sotterranee seguono un trend
di scorrimento secondo una ben definita direzione NS, in conformità con le discontinuità rappresentate dai
condotti di ruscellamento e d’infiltrazione dell’intero
assetto idrogeologico del territorio.
lo Lias Inf. - Oligocene Inf. Essa è principalmente
rappresentata da rocce calcaree pertinenti ad ambienti deposizionali molto differenti che, dal basso verso
l’alto, si esprimono con calcari stromatolitici, algali,
a crinoidi, Rosso Ammonitico ed a calpionelle, seguiti da calcilutiti a lepidocicline e dai depositi calcareomarnosi della Scaglia. Nella parte superiore, la sequenza viene chiusa da calcareniti e da marne fossilifere
grigie (Fig. 2).
INQUADRAMENTO GEOLOGICO
La geologia del comprensorio si riferisce a quella
della catena dei Monti Sicani, che rappresenta il margine occidentale del sistema Appenninico-Maghrebide
(CATALANO et alii, 2002). Qui, le unità sud-vergenti
sono sovrapposte e, successivamente, mascherate dai
depositi post-orogeni miocenici e pliocenici. Il settore
più orientale della successione è costituito dalla locale Unità Saccense, caratterizzata da sequenze calcaree
profonde fino a 2.500-3000 m ed estesamente affioranti in prossimità del rilievo di Monte San Calogero.
L’intera successione geologica manifestata nell’area circostante sicana, chiamata Unità Stratigrafica
Strutturale (U.S.S.) Saccense, si estende nell’interval-
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Fig. 2. Schema geomorfologico dell’area Coda di Volpe-Cammordino.
23
In una successiva fase geologica, all’Unità Saccense prima citata si sovrappone in discordanza un Complesso Post - Orogeno, cui corrispondono litotipi quali
marne bianche a globigerine (Trubi, Pliocene Sup.) e,
con particolare riguardo all’area in esame (vedasi
ancora lo schema geomorfologico in Fig. 2):
• argille azzure marnoso-sabbiose (Pliocene
Medio - Sup.);
• calcareniti fossilifere bianco-giallastre con
marne sabbiose (Pleistocene Inf., Calabriano);
• depositi sabbioso-ghiaiosi terrazzati e calcareniti (Pleistocene Sup., Siciliano);
• detrito e sedimenti colluviali (Recente).
Tra le varie formazioni, una particolare attenzione
è assegnata ai sedimenti detritici, la cui descrizione
spiega bene le condizioni di rischio della falesia del
Cammordino. Il detrito è originato dalla disgregazione meccanica e dall’alterazione dei sovrastanti affioramenti calcarenitici, proprio lungo la parete costiera.
Il loro spessore è variabile, e sono caoticamente diffusi sul litorale sotto forma di grossi blocchi lapidei
(BUDETTA et alii, 2000).
Essi sono piuttosto estesi, con un ampio assortimento dimensionale che va dagli elementi siltoso-sabbiosi fino ai blocchi eterometrici di almeno 50-60 cm
(Foto 3a e 3b).
Foto 3a. Settore occidentale della digitazione di Coda di Volpe con
grossi blocchi eterometrici crollati dalla parete laterale (a destra
nella foto) a causa del moto ondoso.
Gli affioramenti arenacei e marnoso-sabbiosi di
Contrada Coda di Volpe mostrano una scarsa permeabilità primaria per la fine granulometria e per il non
elevato grado di cementazione. Malgrado ciò, nei non
limitati casi di diffusa fatturazione le acque s’infiltrano con l’aumento della pressione interstiziale, giocando così un fondamentale ruolo nei processi di disgregazione della roccia. La permeabilità è qui elevata,
contribuendo ad alimentare l’acquifero di base.
Foto 3b. L’azione demolitrice delle onde produce lo scalzamento alla base della parete che crollando accumula detriti e grossi volumi di roccia. Sullo sfondo, s’intravedono alcune costruzioni posizionate quasi al bordo della falesia.
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ANALISI STRUTTURALE DEI TERRENI
DI CAMMORDINO - CODA DI VOLPE
SOGGETTI A FRANA PER CROLLO
Come già enunciato, l’area in studio è caratterizzata dalla costante sequenza di calcareniti e di marne
sabbiose che, nell’insieme, affiorano in strati e banchi massivi dello spessore di pochi metri. Questi bordano in modo evidente il terrazzo marino, raggiungendo complessivamente lo spessore di 40 m ed oltre.
La conformazione delle rocce costiere è stata modellata dalla geologia del Quaternario, congiuntamente
all’erosione selettiva esercitata dalle onde del mare
(SUNAMURA, 1977). Nel dettaglio, la successione litologica incorpora ritmicamente livelli rocciosi con compattezza variabile da lapidea a quella debole delle
marne sabbiose tenere o mediocremente aggregate.
Appaiono pertanto estremamente sensibili ai processi
fisico-chimici di alterazione e di disgregazione, anche
per effetto delle acque meteoriche che si abbattono
sulle pareti della falesia. Ne consegue, allora, la progressiva rottura della roccia e la creazione di sporgenze che franano verso il mare oppure – come nel caso
della digitazione di Coda di Volpe – sulla stretta piattaforma di abrasione marina. Siffatti sviluppi geomorfologici incrementano la pericolosità lungo il litorale,
perché i processi di rottura nella falesia possono attivare grandi volumi di roccia (TEIXEIRA, 2006; JON-
Foto 4. Grossi volumi di roccia dislocati per scalzamento al piede
a causa del moto ondoso sulla scogliera.
et alii, 2007). La falesia è in definitiva sottoposta a gravi condizioni d’instabilità, manifestata da incipienti frane relazionate con il denso reticolo di fratture e con lo scarso grado di cementazione dei blocchi
calcarenitici e marnoso-sabbiosi. Da ciò, è possibile
dividere l’intera area in due settori:
GENS
a) settori in cui i processi di profonda erosione
sono dominanti, con notevole retrocessione del
sistema roccioso e l’aumento del rischio di
Foto 5. Il settore orientale della digitazione di Coda di Volpe permanentemente sottoposta all’azione modificatrice del moto ondoso. Sulla
parete, ben visibili, la cavità ad arco acuto in stato di forte criticità ed una lineazione verticale che quasi separa la digitazione stessa dal
costone roccioso. La sua estremità appare palesemente troncata per effetto della continua aggressione del mare.
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Foto 6a. Settore occidentale della digitazione di Coda di Volpe.
Nella foto si nota il rilevante arretramento per scalzamento al piede
della falesia, con ben in evidenza il crollo della sua porzione terminale, ancora presente nel passato (foto 6b).
Foto 6b. Vecchia immagine del settore occidentale della digitazione di Coda di Volpe in cui vengono evidenziati predominanti effetti deposizionali. Dal sito web http://sciaccainmymind.blogspot.com.
frana. Questi processi evolutivi modellano notevolmente il fronte della falesia per la dislocazione gravitativa ed il crollo di grossi blocchi
lapidei, con un conseguente accumulo - lungo
lo stretto litorale - di elementi eterometrici e di
detriti (Foto 4, 5 e 6 a/b); nel dettaglio, la coppia di foto 6 a/b mostra, attraverso il confronto a differenti epoche (poche diecine di anni),
una erosione costiera alquanto diversa, confermando l’incremento dell’azione del mare (onde
e maree) degli ultimi anni;
• perforazioni geognostiche, con acquisizione di
campioni rappresentativi dei litotipi presenti;
• ispezioni mediante sonda televisiva in foro in
tutti e tre i sondaggi eseguiti, per un totale di
60 m esplorati;
• prove di assorbimento in foro;
• indagini geofisiche mediante profili sismici a
rifrazione e down-hole;
• prove di laboratorio sui campioni di roccia prelevati nel corso delle perforazioni geognostiche.
La Fig. 3 mostra i punti delle indagini e delle misure complessivamente eseguite e compendia i risultati
delle analisi geotecniche, dettagliati nel seguito della
nota.
b) settori ancora quiescenti, ma tuttavia con sintomi di disfacimento geomeccanico e chiara instabilità statica, che mostrano un precario equilibrio, perché potenzialmente soggetti a rischio
di criticità per possibili scivolamenti traslativi
e dislocazione di grossi blocchi rocciosi (BIRD,
1994, opera citata).
INDAGINI GEOGNOSTICHE
Le indagini geognostiche, dirette e indirette, hanno
avuto lo scopo generale di identificare i litotipi presenti in profondità e, conseguentemente, di dettagliare la sequenza dei terreni geologici ivi ricadenti.
Obiettivi importanti erano anche la conoscenza delle
proprietà meccaniche e fisiche delle rocce e le rilevazioni piezometriche per determinare l’eventuale presenza di una falda freatica. Gli Autori di questa nota
rammentano pure la diffusa applicazione delle indagini geofisiche nelle zone litorali, che ha portato all’individuazione di modelli geologici deposizionali in
morfologie di scogliera (ASPRION et alii, 2009).
In breve, la campagna geognostica e geofisica è
stata articolata in:
26
MATERIALI
E METODI RELATIVI
ALLE INDAGINI GEOGNOSTICHE
I sondaggi geognostici, ad andamento verticale,
sono stati spinti ad una profondità compresa tra i 15
e i 25 metri rispetto al piano di campagna con la tecnica della conservazione del nucleo per tutta la tratta
perforata.
Le perforazioni hanno consentito una precisa valutazione in loco dei terreni portati in superficie dai carotieri e reso possibile la misurazione dello spessore dei
diversi sedimenti reperiti, fino ad un massimo di 25
m di profondità. Le tre terebrazioni eseguite per un
totale di 60 metri lineari, denominate S1, S2, S3, sono
state opportunamente ubicate, come da Fig. 4.
Alla fine delle operazioni di perforazione, i sondaggi S1 ed S2 sono stati equipaggiati con un piezometro del tipo a tubo aperto, previa sistemazione di
una tubazione in PVC microfessurata da impiegare,
successivamente, per la misura della profondità di
un’eventuale falda acquifera, anche confinata. Inoltre,
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Fig. 3. Mappa geotecnica con indicazione delle sezioni sismiche, delle perforazioni e delle misure down-hole.
Fig. 4. Stratigrafie delle perforazioni S1,
S2 e S3 (m sotto il livello del suolo).
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nel sondaggio S2 è stata predisposta una tubazione,
sempre in PVC, ma con un tappo di fondo per l’esecuzione di una prova sismica di tipo down-hole. Le
misure geofisiche venivano completate con sette stendimenti di sismica a rifrazione.
Durante le terebrazioni sono stati prelevati 11 campioni rimaneggiati pertinenti ai vari litotipi incontrati, riconoscendo sequenze alternate di calcareniti e di
marne sabbiose. Alla fine, le perforazioni così equipaggiate non hanno evidenziato alcuna presenza d’acqua sotterranea, anche dopo ripetuti controlli.
STRATIGRAFIA DEI TERRENI PRESENTI
A CAMMORDINO - CODA DI VOLPE
Nel dettaglio, l’esame delle colonne stratigrafiche
– oltre a denunciare un vuoto di circa 1,5 m nel sondaggio n. 2, presumibilmente dovuto a fenomenologie di dilavamento nel riporto terroso – evidenzia, nei
tratti iniziali, la presenza di materiali detritici e di
riporto, dello spessore compreso tra i 2,5 ed i 6,5 m,
costituiti da ciottoli di differenti dimensioni, prevalentemente calcarei, in una matrice sabbiosa. Mentre, a
varie profondità, le perforazioni certificano la presenza di una sola successione, costituita da marme sabbiose biancastre e da calcareniti giallastre, che si susseguono sempre con sequenze ritmiche. Al loro
interno, gli elementi marnoso-sabbiosi appaiono teneri e, talvolta, discretamente massivi, con intrusi calcarenitici eterometrici. Le calcareniti organogene, litoidi ma con tratti disgregati e poco coesi, si presentano,
invece, discretamente fratturate e caratterizzate al loro
interno da vuoti; condizione, peraltro, confermata dall’ispezione video-endoscopica.
La classificazione secondo l’indice di qualità della
roccia RQD (DEERE, 1964) attribuisce loro punteggi
piuttosto bassi. Analisi dirette sulle carote estratte confermano che i livelli più alterati corrispondono a sabbie e sabbie marnose, testimoniando l’erosione selettiva nella falesia (Foto 7).
INDAGINI
SISMICHE
Allo scopo di meglio precisare le proprietà stratigrafiche dell’area, è stata condotta una campagna geofisica per mezzo di sismica a rifrazione e prove downhole; queste ultime eseguite in corrispondenza di
perforazioni preliminarmente selezionate. Le prospezioni hanno fornito dettagli essenziali sulle onde di
compressione e trasversali, in stretta dipendenza com’è noto - con le discontinuità del corpo roccioso.
Nel dettaglio, gli obiettivi erano incentrati sulla stima
della velocità longitudinale e sui parametri elastici
dello strato rifrattore, nonché sulla presenza e profondità del bedrock.
28
La sismica di superficie ha rilevato l’esistenza di
due sismo-strati caratterizzati da velocità crescenti con
la profondità e, proporzionalmente, con il miglioramento delle caratteristiche meccaniche del substrato.
I sette stendimenti sismici avevano una lunghezza
complessiva di 432 m, con una distanza tra i geofoni variabile tra 4 e 9 m.
In particolare, nelle prospezioni sismiche eseguite
lungo la Via Agatocle ed il Viale delle Terme (vedasi l’ubicazione nella già citata Fig. 3), chiamati Ts1,
Ts2, Ts3 e Ts7, il primo sismo-strato individuato –
con velocità delle onde P tra 380 e 819 m/s – è stato
attribuito a materiali detritici e di riporto, più o meno
cementati, costituenti il rilevato stradale. Materiali che
presentano uno spessore variabile e, comunque, compreso tra un paio di metri (Ts7) ed i 5-6 m (Ts1, Ts2
e Ts3); situazione concordante con i risultati delle
indagini dirette.
Il secondo sismo-strato, con una velocità delle
onde P da 1196 a circa 2000 m/s, è chiaramente riferito al substrato arenaceo-marnoso-sabbioso, relativamente più compatto. Infine, è stato interpretato, in
corrispondenza dello stendimento Ts2 e al di sotto
dei 12 m, anche un terzo sismo-strato con una velocità delle onde P che raggiunge 2500 m/s; esso è certamente da riferirsi alla stessa sequenza arenaceo-marnoso-sabbiosa già intercettata dalle perforazioni
geognostiche eseguite. In questo primo gruppo di
stendimenti sismici, le velocità medie Vp dei due
principali strati sono risultate dell’ordine di 629 e
1900 m/s rispettivamente. Le dromocrone e le sezioni sismiche interpretate per questi sondaggi sismici
sono riportate in Fig. 5.
I rimanenti stendimenti sismici Ts4, Ts5 e Ts6 sono
stati effettuati lungo la scarpata sottostante il Viale
delle Terme (Fig. 6). Il primo sismo-strato ha mostrato valori di Vp fra 394 e 652 m/s; esso è stato attri-
Foto 7. Erosione selettiva della scogliera dovuta all’alternanza di
strati con differente grado di cementazione.
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Fig. 5. Dromocrone e modelli di sezioni sismiche relativi agli stendimenti Ts1, Ts2, Ts3 e Ts7.
buito a sedimenti superficiali poco coerenti, che comprenderebbero le coperture vegetali alterate e la citata alternanza arenaceo-marnoso-sabbiosa degradata. In
particolare, per i sondaggi Ts5 e Ts6 lo spessore medio
dei sedimenti superficiali (5 m) è risultato perfettamente compatibile con gli affioramenti piuttosto degradati ed allentati della digitazione di Coda di Volpe e
del suo versante occidentale (sondaggio Ts4, spessore 2 m). Il secondo strato ha evidenziato velocità delle
onde P comprese tra 1126 e 2231 m/s; velocità chiaramente riferibili al solito substrato arenaceo-marnoso-sabbioso.
Questi tre stendimenti hanno rilevato, nel loro complesso, velocità medie delle onde P con valori fra 370
e 1650 m/s e con spessori medi di 3,7 m per il primo
strato.
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La sismica down-hole (DH1), condotta nella trivellazione S2, ha individuato la velocità delle onde
secondarie identificando diversi intervalli di Vs con
notevoli caratteristiche di rigidità in aumento con la
profondità.
La prova down-hole, in definitiva, ha dato contezza della successione arenaceo-sabbiosa, con Vs uguale a 762 m/s nei livelli più profondi; successione ricoperta da detriti e materiali di riporto spessi 6 m e con
Vs uguale a 275 m/s.
Le tabelle e i diagrammi seguenti riportano i tempi
di viaggio ed i range di velocità delle onde sismiche
in funzione della profondità, per entrambe le onde Vp
e Vs (Fig. 7 e 8 rispettivamente). La Fig. 9, invece,
riporta le variazioni dei moduli di elasticità (Shear,
Young e Bulk) con la profondità.
29
Fig. 6. Dromocrone e modelli di sezioni sismiche relativi agli stendimenti Ts4, Ts5 e Ts6.
Fig. 7. Tempi d’arrivo delle onde sismiche P ed S in funzione della
profondità (down-hole DH1, perforazione S2).
Fig. 8. Range di velocità delle onde sismiche P (in blu) ed S (in
rosso) in funzione della profondità (down-hole DH1, perforazione S2).
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Fig. 9. Variazione dei moduli elastici in funzione della profondità.
In alto: coefficiente di Poisson. In basso: modulo di taglio (in blu),
modulo di Young (in rosso) e modulo di Bulk (in verde) (down-hole
DH1, perforazione S2).
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MISURE GEOTECNICHE IN SITU
ED IN LABORATORIO
PROVE DI ASSORBIMENTO IN SITU
Allo scopo di raccogliere informazioni quantitative
sulle proprietà di assorbimento dei materiali da iniettare per il consolidamento dei costoni pericolanti prospicienti il Viale delle Terme, sono state eseguite sette
prove di assorbimento Lafranc. I test, a carico variabile, hanno interessato i pozzi n. 1 (due prove), n. 2
(tre prove) e, quindi, il pozzo n. 3 (due prove), secondo le curve di assorbimento mostrate in Fig. 10.
Sono stati ottenuti, su un totale di sette prove, valori medi di abbassamento del livello idrico intorno a
0,0287 l/s: questi risultati saranno un utile riferimento per la scelta delle malte più adatte ad essere iniettate nella roccia in fase di definitivo rinsaldamento
del corpo roccioso.
PROVE GEOTECNICHE DI LABORATORIO
Gli 11 campioni rimaneggiati, rappresentativi dei
terreni della falesia Coda di Volpe, sono stati sottoposti ad accurate analisi di laboratorio, certificate
secondo il DPR n. 380 art. 59. La loro denominazione segue quella delle relative perforazioni, permettendo di identificarne agevolmente la provenienza. Le
loro proprietà volumetriche, fisiche e meccaniche sono
riportate nel seguito, distinguendo tra campioni lapidei e campioni terrosi:
a) Campioni lapidei
I campioni S1C2, S2C4, S3C3, raccolti a profondità rispettivamente di 8,20, 20,00 e 13,80 m, sono stati
sottoposti a test di compressione mono-assiale, secondo le norme UNI EN 1926, allo scopo di definirne le
caratteristiche meccaniche. I campioni S1C2, S2C2,
S2C4, S3C3 e S3C4, prelevati a profondità rispettivamente di 8,20, 6,70, 20,00 13,80 e 17,70 m, sono stati
sottoposti ad analisi di peso di volume (g) e porosità,
condotte rispettando le norme UNI EN 1936. È stata
inoltre condotta una prova diretta di resistenza al taglio
sul campione S1C2 mediante la cella triassiale di Hoek
(ISRM, International Society for Rock Mechanics), sì
da stimare l’angolo di attrito interno della roccia; nei
fatti, il valore di f ottenuto ha evidenziato il possibile distacco di blocchi lungo i giunti di stratificazione
oppure lungo le discontinuità aperte con inclinazione
oltre i 20° di pendenza. È stato valutato un peso di
volume di 1,94 t/m3 ed un valore di porosità media
aperta di 22,43%, confermando così gli elevati valori
di assorbimento lungo la sequenza stratigrafica.
Il parametro adimensionale JRC, Joint Roughness
Coefficient, che stima in pratica il livello di asperità
presenti nelle pareti dei giunti, è stato misurato con il
profilografo a pettine di Barton (Barton’s comb) (SHIGUI et alii, 2009).
I parametri geotecnici così determinati sono riassunti in Tab. 1.
Fig. 10. Test d’assorbimento nelle perforazioni S1 (curve A e B), S2 (curve C, D ed E) e S3 (curve F e G). Nei diagrammi viene mostrato
l’abbassamento del livello idrico (in metri) in funzione del tempo (in minuti).
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Tab. 1. Parametri geotecnici relativi ai campioni lapidei prelevati nelle perforazioni
eseguite nell’area Coda di Volpe - Cammordino (JRC, Joint Roughness Coefficient).
Campione
Coesione
(c)
(N/mm2)
Peso di
volume (gg)
(t/m3)
Pressione di
rottura
(Kg/cm2)
Angolo di
attrito
f)
interno (f
(gradi)
Porosità
(%)
JRC
S1C2
0,35
1,80
64,85
19,3°
24,88
18 - 20
S2C2
1,65
32,28
S2C4
2,05
171,20
21,61
S3C3
2,03
148,57
18,59
S3C4
2,16
b) Campioni marnoso-sabbiosi
I campioni terrosi delle formazioni implicate nel
progetto di consolidamento sono stati raccolti alla profondità di 6,50 m nel pozzo n. 3, con lo scopo di stimare le proprietà di taglio delle frazioni marnososabbiose. Tra quelli raccolti è stato selezionato un
campione (S3C1) privo di granuli grossolani, sul
quale è stata condotta una prova di taglio diretta in
condizioni consolidate-drenate (secondo le norme
14,78
ASTM D3080, cioè Standard Test Methods for Direct
Shear Test of Soils Under Consolidated Drained Conditions). Sul complesso di questi campioni non lapidei sono state stimate le caratteristiche volumetriche
iniziali e finali.
I valori ottenuti di resistenza al taglio (vedi Tab.
2) testimoniano una loro litologia prevalentemente
sabbiosa, caratterizzata da granuli di medie dimensioni. La frazione marnosa risulta limitata; pur nondimeno, la roccia si presenta ben coesa.
Tab. 2. Parametri geotecnici relativi ai campioni terrosi prelevati nelle perforazioni
eseguite nell’area Coda di Volpe - Cammordino (JRC, Joint Roughness Coefficient)
Campione
Coesione (c)
(t/m2)
Peso di volume
(gg) (t/m3)
Angolo di attrito
f) (gradi)
interno (f
S3C1
0,486
1,88
33°
CONDIZIONI DI FRATTURAZIONE
E ALTERAZIONE DELLE ROCCE
Nell’area in studio, la sola unità litica presente è
quella arenaceo-marnoso-sabbiosa, continuamente
citata nel testo. La sua durezza è mediocre, e l’entità
dei suoi affioramenti è strettamente e macroscopicamente controllata da granulometria, tessitura e grado
di cementazione, nonché, infine, dal grado di alterazione. Tutto ciò fornisce alla roccia una rilevante fragilità nei confronti degli agenti esogeni, come pure
dell’erosione marina. Alterazione ed erosione, queste,
che producono profonde modificazioni nell’ambiente
costiero nel suo complesso, cosa che avviene comunque, in genere, anche in presenza di rocce litoidi
32
(ANDRIANI & WALSH, 2007). Di conseguenza, la falesia del Cammordino mostra evidenti sequenze ritmiche, con chiare prominenze morfologiche (Foto 8).
Ulteriori elementi di rischio sono dati dall’infiltrazione
delle acque sotterranee nella roccia, fino ad includere,
per la notevole antropizzazione dell’intero territorio, le
stesse acque di scarico che hanno, notoriamente, un
elevato potenziale di alterazione.
Per finire, va aggiunto che la roccia è interessata
da un denso reticolo di fratturazioni a varia scala, per
lo più verticali o fortemente inclinate, dovute agli
stress geodinamici sia di taglio, sia tensivi (Foto 9).
Un secondo sistema di fratture è sovrapposto al primo,
con direzioni ortogonali e talvolta parallele al trend
regionale.
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Foto 10. Immagine della falesia ad Ovest della digitazione di Coda
di Volpe.
Foto 8. Sporgenze, incavature e scanalature nelle pareti della scogliera di Cammordino.
Foto 11. Immagine della falesia ad Est della digitazione di Coda
di Volpe
PROGETTI D’INTERVENTO
un solco di battente profondo fino a tre metri, con
recente crollo di grossi blocchi di roccia.
I fattori di rischio qui evidenziati impongono la
rapida individuazione di prospettive di recupero dell’area, sotto i punti di vista idrogeologico e morfologico. La prima azione consiste nell’individuare differenti settori omogenei con proprie caratteristiche di
criticità, allo scopo di scegliere gli interventi più idonei. Tra questi, gli Autori di questa nota citano il consolidamento dei settori immediatamente ad Ovest e ad
Est rispetto alla digitazione di Coda di Volpe, unitamente al rafforzamento dell’assetto strutturale delle
pareti della digitazione medesima (Foto 10 e 11). La
proposta è, in definitiva, di mitigare i processi di arretramento costiero ed i fenomeni di crollo (DAMGAARD
& PEET, 1999; COLANTONI et alii, 2004; MARQUES,
1998), tutti elementi di rischio certo per il sovrastante Viale delle Terme.
Ancora, un urgente intervento sarebbe quello di
spingere giù i blocchi in procinto di crollare (Foto
12), assieme all’accurata ispezione e pulizia dell’intera fascia costiera.
Un’efficiente azione di contrasto può anche essere esercitata da grossi blocchi litoidi, convenientemente dimensionati e posizionati sul litorale, sì da mitigare l’azione trasgressiva del mare, sistemando
definitivamente la linea di costa.
PER IL CONSOLIDAMENTO
DELLA FALESIA DI CAMMORDINO
-
CODA DI VOLPE
La continua azione erosiva nella falesia di Cammordino, esercitata sia dalle onde del mare, sia dagli
agenti esogeni, ha causato l’apertura e l’allargamento
dei vuoti e delle scanalature nei livelli marnoso-sabbiosi (BROSSARD & DUPERRET, 2004). In effetti, l’attacco alla digitazione di Coda di Volpe ha originato
Foto 9. Lastrone sporgente fratturato nel lato occidentale della scogliera di Cammordino, quasi sul punto di crollare.
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Foto 12. Blocchi prossimi al
punto di crollo, in evidente
equilibrio instabile.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le caratteristiche litologiche prevalenti nell’area
conferiscono alla roccia una permeabilità complessivamente mediocre, che viene incrementata dalla fratturazione e dalla fagliatura. I processi di alterazione
ed erosione vengono pertanto favoriti, aumentando i
rischi di crollo.
Le proposte di intervento non rinviabili possono
essere, così, riassunte:
• rimozione di tutti gli elementi lapidei instabili,
con successive pulitura della roccia ed eliminazione della vegetazione arbustacea, le cui radici possono accelerare l’alterazione della roccia;
• consolidamento dei fronti della falesia e recupero della stabilità strutturale con intelaiature di
reti metalliche semplici o rinforzate, o di fibre
vegetali attorcigliate;
• imbracamento dei grossi volumi di roccia
mediante funi metalliche ancorate alle pareti,
con cuciture e sostegni degli elementi rocciosi
e, quindi, con chiodature o tirantature dei tratti in condizioni di criticità;
• sottomurazione con opportuni vespai per il
sostegno delle pareti aggettanti e, comunque,
sporgenti;
• intasamento delle fessure presenti nella parete
della falesia con spritz-beton di cemento bianco, rete elettrosaldata e pietrame di cava;
• messa in opera di barriere di fortificazione e di
difesa aderenti con scogliere radenti tutt’intorno alla falesia lambita dal mare con massi naturali o tetrapodi in cemento, ovvero con altro
genere di blocchi prefabbricati.
Questi interventi sono specificatamente diretti a due
ben precisi obiettivi: il primo, a contrastare il crollo
di parti notevoli delle pareti continuamente minacciate dalla continua espansione dei solchi di battente; il
34
secondo, a prevenire drasticamente l’arretramento
della fascia costiera, sì da ottenere l’estensione e la
successiva stabilizzazione della costa.
In ultimo, gli Autori richiamano l’attenzione sull’importanza delle indagini e delle proposte come quelle descritte, le quali possono essere prese come utile
riferimento per altre aree litorali della Sicilia, pure
caratterizzate da falesie accompagnate da simili episodi di erosione marina. Nello specifico, chiari e notevoli esempi sono quelli offerti dalle rinomate località di Eraclea Minoa e della Scala dei Turchi laddove
insistono imponenti e ben note falesie. Anche qui, a
distanza di appena alcune decine di km dall’area saccense di Coda di Volpe, gli affioramenti nei litorali,
costituiti da calcari marnosi a globigerine (trubi) di
un bel colore bianco, si mostrano fragili e, purtroppo,
facilmente erodibili. Proprio perché, allo stato, l’azione erosiva del mare è così tanto aggressiva da minacciare seriamente non solo le coste, ma anche gli splendidi luoghi contermini. Località che, per le rarità
naturali, rappresentano dei veri geositi di incomparabile bellezza, per le quali è d’obbligo la salvaguardia
e la tutela sì da essere riconsegnate alle giovani generazioni, che hanno il diritto di godere di un patrimonio d’eccellenza che riveste grande interesse per le
sue peculiarità geologiche ed ambientali.
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SITI INTERNET CONSULTATI
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CONVEGNO: Conosciamo e proteggiamo il nostro territorio
IL GEOLOGO DI ZONA E LA PROPOSTA
PER LA DIFESA DEL SUOLO
Il 25 maggio 2012 a Messina, organizzato dall’Associazione Geologi Messina (A. Geo. Me.), si è tenuto il convegno dal tema “CONOSCIAMO
E PROTEGGIAMO IL NOSTRO TERRITORIO - IL GEOLOGO DI ZONA E LA PROPOSTA PER LA DIFESA DEL SUOLO”, con relazioni
svolte dal Geol. Alfredo Natoli, componente Consiglio Regionale Urbanistica; dalla Dott.ssa Rosanna CASABONA, Sostituto Procuratore
della Repubblica presso il tribunale di Patti e dal Geol. Gian Vito GRAZIANO, Presidente Consiglio Nazionale Geologi. L’autorevolezza dei relatori ed i temi trattati hanno prodotto notevole partecipazione ed interesse di pubblico.
Particolare attenzione ha suscitato la relazione della Dott.ssa R. CASABONA, dal titolo: Le responsabilità penali dei liberi professionisti
e degli amministratori che, dalla stessa, riceviamo e volentieri pubblichiamo quale contributo tecnico giuridico a quanti svolgono la libera
professione o amministrano il territorio. A Lei va il ringraziamento del Consiglio Regionale dei Geologi di Sicilia, dell’A. Geo. Me. e di quelli
che troveranno giovamento dalla lettura di questo documento.
Geol. Biagio Privitera - Consigliere Ordine Regionale Geologi di Sicilia
LE RESPONSABILITÀ PENALI DEI LIBERI
PROFESSIONISTI E DEGLI AMMINISTRATORI
dott.sa Rosanna Casabona1
PREMESSA
Oggetto di questo incontro è uno degli argomenti
più rilevanti per ogni essere umano, a prescindere dalla
sua origine, peculiarità, specializzazione e settore di
interesse: il territorio in cui vive ogni abitante del Pianeta, il luogo in cui si svolgono la sua vita ed i suoi
affetti. Per tale ragione, ritengo che non vi possa essere niente di più serio e di più utile che ragionare sul
modo migliore per proteggere al meglio questo bene
fondamentale non solo attraverso gli strumenti già conosciuti, ma anche con l’individuazione di nuove strade.
L’argomento che mi è stato affidato è quello relativo alla responsabilità penale dei liberi professionisti
(e, quindi, anche dei geologi) e degli amministratori
quando svolgano attività riguardanti il governo del territorio e gli interventi sul territorio. Si tratta certamente di un argomento molto difficile da trattare proprio
perché variegato, differenziato e suscettibile di molteplici interpretazioni ed applicazioni. Cercherò, quindi, di trattare gli aspetti a mio avviso più salienti, tenuto conto degli oggettivi limiti di spazio dell’intervento,
che non consentono di affrontare ed approfondire tutti
gli aspetti di una materia tanto complessa.
Prima di arrivare a trattare delle principali ipotesi
criminose che possono riguardare gli operatori del settore ritengo doveroso fare qualche richiamo alle norme
principali che regolano la materia ed ai concetti elaborati ed utilizzati dal legislatore italiano nei suoi plurimi interventi. È bene precisare che, per quanto la
materia sia da anni oggetto di interessamento da parte
delle istituzioni comunitarie e sovranazionali, si procederà principalmente alla disamina delle leggi ema1
Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Patti.
36
nate in ambito nazionale che, spesso, sono state il
risultato di una sollecitazione esterna, ma in qualche
caso possono ritenersi all’avanguardia rispetto alle
posizioni sovranazionali.
IL RISCHIO IDROGEOLOGICO IN ITALIA.
Siamo tutti testimoni della fragilità del nostro territorio, che si manifesta ormai con una frequenza a
dir poco preoccupante: sono diffusi i fenomeni come
le frane, le alluvioni, le valanghe che per la loro vastità ed importanza compromettono l’assetto del territorio ed inducono a parlare di dissesto idrogeologico.
In realtà, sotto il profilo geologico, tali fenomeni sono
evoluzioni naturali della superficie terrestre, ma questo percorso del tutto fisiologico della nostra terra
spesso provoca in noi, suoi abitanti, conseguenze nefaste, dovute ad un uso del territorio non sufficientemente adeguato alle caratteristiche dello stesso ed ai
suoi equilibri idrogeologici.
In buona sostanza, le cause dei dissesti possono
ricondursi, da un lato, al naturale movimento della
terra e, dall’altro, alle condizioni critiche della stessa
conseguenti alle modifiche degli equilibri idrogeologici dei corsi d’acqua senza che vi sia stato alcun intervento di mantenimento da parte dell’uomo.
Occorre prendere atto che l’uomo da un lato è l’artefice e la concausa dei fenomeni di dissesto e, dall’altro, è la sua principale vittima; egli, perciò, ha il
dovere di impegnarsi per la difesa dal rischio idrogeologico con azioni combinate di previsione, prevenzione e mitigazione del rischio; ciò significa che egli non
solo ha il dovere di individuare e, se possibile, prevenire i fattori di rischio, ma anche di intervenire in modo
adeguato quando tali fattori si siano manifestati.
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Su questa linea si pone la “Indagine conoscitiva
sulle politiche della tutela del territorio, la difesa del
suolo ed il contrasto agli incendi boschivi” deliberata il 23.9.2008 dalla Commissione Ambiente, territorio e protezione civile della Camera dei Deputati al
fine di conoscere gli elementi positivi delle politiche
per la difesa del suolo e le sue criticità, nella prospettiva di una crescente della programmazione e gestione del territorio da parte dei vari soggetti coinvolti.
In primo luogo, viene posta in rilievo la necessità
di rafforzare la programmazione triennale prevista
dalla legge 183/1989, ora inserita nel Testo Unico sull’ambiente, attraverso un’intesa tra Governo, Regioni
ed Autorità di bacino sulla base dei piani di assetto
idrogeologico (PAI).
Inoltre, si auspica di poter procedere in via prioritaria alla messa in sicurezza delle zone a rischio più
elevato con un unico provvedimento in grado di pianificare i vari interventi sul territorio, sia con la disponibilità di ampie risorse economiche sia con la concentrazione delle stesse in via prioritaria nelle zone a
rischio idrogeologico molto elevato.
Peraltro, la Commissione Ambiente evidenzia la
necessità di promuovere un programma straordinario
di prevenzione e manutenzione del territorio da parte
dei singoli Comuni attraverso la predisposizione di
“linee guida” da elaborare con il supporto tecnico del
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in caso di realizzazione di opere (grandi e piccole) soprattutto a
carattere viario o di regimentazione delle acque, indicazioni in grado di consentire la realizzazione di opere
a basso impatto sul territorio e di limitare le cause dei
fenomeni di dissesto idrogeologico.
Ancora, per quanto riguarda la prevenzione, la
sopraindicata Commissione suggerisce la prosecuzione di un Piano straordinario di telerilevamento (previsto dall’art. 27 legge n°179/2002) quale punto di
riferimento e di accesso per le cartografie e le informazioni ambientali di altre amministrazioni centrali e
periferiche.
Per quanto riguarda, poi, la riforma dei distretti
idrografici di cui al D.L.vo n° 152/2006, viene evidenziata la necessità di un dialogo fra Ministero dell’Ambiente, Regioni ed Autorità di bacino per la revisione dell’impianto normativo ed organizzativo, con
un’articolazione degli organi della pianificazione di
bacino più adeguata alla specifica realtà italiana.
Infine, si auspica che gli Enti preposti si orientino
verso una programmazione “leggera” che comprenda l’informazione della popolazione, lo sviluppo dei
sistemi di protezione civile ed interventi quali i vincoli d’uso del territorio e le delocalizzazioni che, pur
comportando una spesa minore, sono fondamentali per
la manutenzione e la conservazione del territorio.
Come si vedrà, le tematiche relative alla informazione ed all’apposizione di vincoli d’uso del territorio sono stati oggetto, anche in epoca recente, di analisi approfondita nell’ambito di procedimenti penali
per reati contestati a pubblici amministratori in relazione ad episodi di dissesto del territorio.
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LA LEGISLAZIONE NAZIONALE
La difesa del suolo ed il panorama legislativo
precedente alla legge quadro n° 183/1989
Le problematiche relative alla difesa del suolo in
Italia sono da sempre molto sentite, come dimostra la
ricorrente produzione normativa in materia.
Il Parlamento Italiano è intervenuto circa 20 anni
fa con una legge organica – la legge 18 maggio 1989,
n°183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) – con cui il legislatore ha
inteso disciplinare una pianificazione di lungo periodo delle complesse attività di prevenzione del rischio
idrogeologico e di manutenzione del territorio.
La riforma della normativa in materia di difesa
del suolo operata dalla legge 183/1989 si è innestata sul solco tracciato da precedenti interventi legislativi emanati dall’Unità d’Italia in poi, senza tuttavia abrogarle.
In particolare, prima di tale legge esisteva una
legislazione sulle acque non organica, dispersa in un
numero imponente di testi legislativi emanati per far
fronte ad esigenze del tutto diverse e connesse ai processi di riqualificazione e di sviluppo socio-economico funzionale al periodo in cui furono emanate (si
vedano, ad esempio, gli interventi in materia di opere
idrauliche e di bonifica, la disciplina degli usi delle
acque, l’integrazione delle concessioni per la derivazione delle acque, la sistemazione idrogeologica, le
opere per la navigazione interna).
Prima della legge n°183/1989 il concetto giuridico
di difesa del suolo è stato usualmente ricondotto a leggi
settoriali riguardanti la distinzione tra acque pubbliche
e private, le opere idrauliche, la bonifica, le sistemazioni montane, l’igiene del suolo e degli abitati.
A questo proposito, si vedano il R.D. 25 luglio
1904, n°523 (Testo Unico delle disposizioni di legge
intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie)
ed il relativo Regolamento attuativo contenuto nel
R.D. 9 dicembre 1937, n°2669 (Regolamento sulla
tutela delle opere idrauliche di prima e seconda categoria e delle opere di bonifica).
Le disposizioni del Testo Unico, tuttora vigenti con
qualche integrazione e modifica, hanno regolato e
regolano ancora oggi le diverse opere idrauliche e l’attività di polizia idraulica; disciplinano le opere idrauliche intorno alle acque pubbliche distinguendole in
cinque categorie; introducono vincoli di inedificabilità (artt. 57-52), norme sugli scoli artificiali (artt. 6367) e sull’attività di polizia idraulica (art. 23), prevedendo le attività vietate e quelle consentite nelle fasce
di rispetto per i corsi d’acqua pubblici, con particolare riferimento al divieto di realizzare opere nell’alveo
dei fiumi, dei torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali
di proprietà demaniale senza specifica autorizzazione
amministrativa.
Il regolamento attuativo contenuto nel R.D. 9
dicembre 1937, n° 2669 (Regolamento sulla tutela
delle opere idrauliche di prima e seconda categoria e
delle opere di bonifica) ha, altresì, disciplinato il servizio di vigilanza sui corsi d’acqua.
37
Le norme ora citate sono tuttora vigenti ed in più
occasioni sono state richiamate nell’ambito di interventi sopravvenuti anche in epoca recente (si pensi,
ad esempio, alla direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 27.2.2004).
Tali discipline sono caratterizzate da particolare
puntualità e rigore in materia di regimazione agraria,
tanto da non richiedere ulteriori interventi in materia
sino agli anni ottanta.
DALLA LEGGE QUADRO
AGLI INTERVENTI PIÙ RECENTI
La legge quadro n° 183/1989 aveva individuato il
“bacino idrografico” quale unità territoriale di riferimento per l’azione pianificatoria di settore, affidata
ad Autorità Pubbliche di bacino, dotate di una competenza gerarchicamente sovraordinata a tutte le altre
(almeno per quanto riguarda gli interventi di difesa
del suolo) e geograficamente estesa fino a coprire l’intero bacino idrografico.
Tutto il territorio nazionale è stato suddiviso in
bacini idrografici di rilievo nazionale, interregionale
e regionale, con la previsione che, in tali ambiti, tutte
le attività di pianificazione, programmazione, individuazione e definizione degli interventi per tutti i temi
inerenti alla difesa del territorio fossero effettuate dalle
“Autorità di bacino”.
La legge è stata giudicata addirittura anticipatrice rispetto alla normativa comunitaria e, segnatamente, della c.d. Direttiva Acque 2000/60/CE, ma, forse
proprio a causa dei suoi ambiziosi contenuti, ha
incontrato notevoli difficoltà di attuazione, come
dimostra la mancata redazione generalizzata dei piani
di bacino, se non in alcuni casi per stralci tematici
e settoriali.
In tale contesto deve essere collocato il cd. “decreto Sarno”, vale a dire il D.L. 11.6.1998, emanato subito dopo il grave episodio accaduto proprio nel territorio di quel comune nel precedente mese di maggio,
quando alcune colate di fango provocarono la morte
di oltre 130 persone.
Detta norma ha introdotto una serie di strumenti
intermedi rispetto al piano di bacino vero e proprio (i
piani di stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico), oltre a misure urgenti per la prevenzione del
rischio idrogeologico.
In sede di conversione del citato decreto nella legge
n° 267/1998, all’art. 1bis il legislatore demandava alle
Autorità di bacino per la stesura dei relativi piani di
bacino (cd. Piani straordinari) in deroga alla legge
n° 183/1989 al fine di rimuovere le situazione a più
alto rischio.
In particolare, detti piani dovevano individuare e
perimetrare le aree a rischio idrogeologico molto elevato per l’incolumità delle persone e la sicurezza
delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale, con adozione di misure di salvaguardia. Detti
piani furono adottati su tutto il territorio nazionale
per, poi, confluire nei piani stralcio per l’assetto idrogeologico.
38
Altro intervento di particolare importanza è quello relativo al cd. decreto Soverato, emanato subito
dopo il relativo evento avvenuto tra il 9 ed il 10
novembre 2000: trattasi del D.L. n°279/2000, convertito nella legge 11 dicembre 2000 n°365, che ha esteso l’applicabilità delle misure di salvaguardia imposte dai Piani straordinari fino all’approvazione dei PAI
(Piani per l’Assetto Idrogeologico), che tardavano ad
essere predisposti.
Con l’adozione del D.L.vo n° 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente) il legislatore ha proceduto ad un
generale riordino della materia relativa alla difesa del
suolo facendovi confluire tutta la precedente legge
n°183/1989 unitamente a numerose altre disposizioni.
Con tale intervento si è proceduto ad una revisione della normativa ambientale, sia in materia di difesa del suolo sia in materia di gestione delle risorse
idriche.
In particolare, la legge delega aveva indicato alcuni specifici principi e criteri direttivi volti a regolamentare i seguenti due settori: “quanto alla gestione
delle risorse idriche, dare piena attuazione alla gestione del ciclo integrato, promuovere il risparmio idrico favorendo l’introduzione e la diffusione delle
migliori tecnologie per l’uso ed il riutilizzo della risorsa; pianificare, programmare ed attuare interventi
diretti a garantire la tutela ed il risanamento dei corpi
idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione
degli stessi; quanto alla difesa del suolo, rimuovere
gli ostacoli alla piena operatività degli organi amministrativi e tecnici preposti alla tutela ed al risanamento del suolo e del sottosuolo, superando la sovrapposizione tra i diversi piani settoriali di rilievo
ambientale e coordinandoli con i piani urbanistici;
valorizzare gli organismi a composizione mista statale e regionale; adeguare la disciplina dell’attività di
risanamento idrogeologico del territorio e della messa
in sicurezza delle situazioni a rischio; prevedere meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone
agricole e dei boschi che investono per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel rispetto del piano
di bacino”.
Le disposizioni sulla difesa del suolo e sulla
gestione delle risorse idriche sono contenute nella
parte terza del codice (artt. 53-176) e consistono principalmente nella riorganizzazione dell’assetto amministrativo disegnato dalla legge n°183/1989 sui bacini idrografici.
In attuazione della direttiva 2000/60/CE (direttiva
quadro sulle acque), che ha introdotto i distretti idrogeografici, il Codice dell’Ambiente ha previsto la soppressione delle vecchie Autorità di bacino, l’istituzione di otto distretti in grado di coprire l’intero territorio
nazionale e l’introduzione dell’Autorità di bacino
distrettuale, sebbene, di fatto, detta soppressione non
sia avvenuta.
Compito principale di tali istituzioni è l’adozione
dei piani di bacino distrettuale e, nelle more, dei piani
stralcio di distretto idrogeologico (cd. PAI), con il
compito di individuare i piani a rischio idrogeologi4 • 2012
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co, di procedere alla perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e di determinare dette
misure (art. 67, comma I).
Tali ultimi strumenti sono stati ampiamente utilizzati in assenza dei piani distrettuali proprio per la duttilità degli stessi contrapposta alla complessità di questi ultimi, la cui attuazione è prevista nell’ambito di
una programmazione triennale (art. 69).
Successivamente alla sua entrata in vigore, il legislatore ha apportato numerose modifiche ed integrazioni al Codice dell’Ambiente.
In particolare si evidenziano:
– la legge n° 228/2006, che ha prorogato i termini per l’adozione delle norme regolamentari;
– il D.L. n° 262/2006 sulle modalità di riscossione della tariffa idrica;
– il D.L.vo n° 284/2006, che ha soppresso le
Autorità di Vigilanza e ricostituito il Comitato
per la vigilanza delle risorse idriche;
– la legge n° 296/2006 in materia di rifiuti;
– il D.L. 28.12.2006 n° 300 (il cd. secondo correttivo), sulle disposizioni in materia di Valutazione dell’Impatto Ambientale (cd. VIA), Valutazione Ambientale Strategica (cd. VAS) ed
Autorizzazione Ambientale Integrata (cd. AIA);
– il D.L.vo n° 4/2008 (cd. terzo correttivo), nuovo
intervento nelle materie già disciplinate dal D.L.
n° 300/2006 ed in materia di scarichi;
– il D.L.vo n° 128/2010, che ha introdotto il titolo III-bis al Codice dell’Ambiente apportando
modifiche all’AIA; inoltre, ha previsto l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale, in sostituzione dell’Agenzia per la
protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici.
L’elenco certamente non esaustivo degli interventi legislativi dà conto della necessità avvertita dal legislatore di regolamentare un settore particolarmente
delicato per la presenza di evidenti criticità legate alla
natura del territorio ed al tentativo di contenere i fenomeni di dissesto idrogeologico.
I noti eventi di Giampilieri, Sarno e Soverato, le
alluvioni in Piemonte ed altri disastri ben noti non
solo ai tecnici mostrano come il territorio italiano sia
particolarmente a rischio; del resto, l’aumento di tali
drammatici fenomeni è spesso dovuto al non corretto
uso del suolo e consegue alla cattiva amministrazione del territorio, all’abbandono della terra, allo spopolamento dei piccoli centri, all’incuria legata alla perdita di contatto con il territorio.
Si pensi ai casi di abusivismo edilizio, alla costruzione di opere nell’alveo dei fiumi o su terreno franoso, alla dissennata pianificazione urbanistica, alla
carenza o all’errato dimensionamento delle opere di
ingegneria, agli illeciti comportamenti individuali, alla
generale fragilità del territorio italiano, all’inadeguatezza della normativa.
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In questi casi è ipotizzabile una responsabilità degli
amministratori che hanno autorizzato le costruzioni, a
volte in esecuzione di piani regolatori adottati senza
tenere conto delle caratteristiche del territorio.
Una soluzione per contenere i problemi sopra indicati sembra essere proprio l’adozione dei Piani di
gestione di bacino idrografico previsti dalla direttiva
2000/60/CE affidata alle Autorità di bacino dalla legge
n° 13/2009: si tratta del principale strumento attuativo della direttiva quadro, volta al raggiungimento del
buono stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei
entro il 2015 attraverso una corretta pianificazione e
gestione del territorio.
Infine, occorre procedere all’effettivo adempimento degli obblighi di cui alla direttiva 2007/60/CE
(direttiva sul rischio alluvionale, attuata con D.L.vo
n° 49/2010), che impone agli Stati dell’Unione Europea di ultimare la carta della pericolosità entro il
22.12.2013 per tutte le situazioni di possibili inondazioni (si vedano gli artt. 6 e 7 D.L.vo n° 49/2010).
LA RESPONSABILITÀ PENALE
DI AMMINISTRATORI E TECNICI
NEL GOVERNO DEL TERRITORIO
L’attività dell’uomo ha avuto un ruolo determinante tra i fattori di individuazione della pericolosità di
un’area rispetto ad eventi di dissesto idrogeologico:
l’incidenza umana modifica le dinamiche naturali
incrinando i delicati equilibri di un territorio ad alta
fragilità e, quindi, inducendo nuovi fattori di rischio
ovvero incrementando la pericolosità di fenomeni di
dissesto già presenti.
Per tale ragione, nell’ambito della più volte auspicata opera di prevenzione de fenomeni di dissesto idrogeologico, occorre recuperare il supporto tecnico della
pubblica amministrazione, a partire dal Consiglio
superiore dei lavori pubblici nella fase di progettazione e realizzazione, con l’ausilio di esperti del settore.
Quanto sopra riferito in ordine alla fragilità del territorio, alla necessità degli interventi ed al contenuto
degli stessi impone la seppur sommaria trattazione delle
eventuali ipotesi di reato riscontrabili in questo settore.
I reati in materia di ambiente sono nella maggior
parte dei casi contravvenzioni, figure sanzionate con
pene meno gravi di quelle previste per i delitti; per
tali ipotesi è richiesto l’elemento soggettivo della colpa
e non il dolo (si veda in materia di rifiuti, scarico
acque, edilizia…) e, pertanto, ai fini della sussistenza del reato è sufficiente la presenza di una condotta
negligente anche non volontaria.
Tuttavia, è astrattamente ipotizzabile a carico di
amministratori e professionisti anche la commissione
di delitti, vale a dire di quei reati più gravi per cui
è richiesto l’elemento soggettivo del dolo qualora non
sia espressamente prevista l’ipotesi colposa. In questi casi, le sanzioni previste sono senza dubbio più
pesanti e, nei casi più gravi, possono comportare
anche pene accessorie incidenti sullo svolgimento
della professione.
39
A questo proposito, si richiama una recente ed
importantissima decisione della Corte di Cassazione
intervenuta di recente sui fatti di Sarno2: in tale caso
la contestazione era a carico di un sindaco e di un
assessore imputati per omicidio colposo plurimo,
assolti in primo e secondo grado, nei cui confronti la
Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio
della sentenza di appello per il mancato rispetto di
alcuni principi elaborati dalla Giurisprudenza ai fini
di una corretta decisione e sostanzialmente relativi alla
errata valutazione dei profili di colpa.
Questa tipologia di reato potrebbe essere individuata anche a carico del professionista qualora lo stesso sia chiamato ad esprimere un parere su una certa
opera e lo faccia senza rispettare le norme di diligenza della propria professione; in tal caso, se la condotta negligente abbia avuto una efficacia causale nel
verificarsi dell’evento (ad esempio, un omicidio colposo, un disastro colposo), potrebbe essere riconosciuta la responsabilità o corresponsabilità dello stesso.
Altre ipotesi di reato ravvisabili a carico del professionista sono quelle relative alla falsa rappresentazione della realtà negli elaborati tecnici che dovessero essergli richiesti: si pensi, ad esempio, al caso
classico di un progetto presentato in sede di richiesta
di concessione edilizia contenente una raffigurazione
dei luoghi differente da quella effettiva; in tali casi è
possibile contestare al redattore del progetto il reato
di falso ex art. 481 c.p. e/o il reato di falso ideologico per induzione (art. 48-479 c.p.) qualora la concessione edilizia sia rilasciata proprio sulla scorta della
falsità indicata in atti3.
Ancora, a carico dei professionisti è ipotizzabile il
concorso nelle violazioni commesse dai privati committenti qualora, nello svolgimento del proprio incarico, pongano in essere condotte in grado di agevolare l’illecito del cliente (si pensi, sempre in materia
edilizia, al direttore dei lavori che contribuisce a
costruire l’opera abusiva4).
Nel caso di eventuale collaborazione con l’ente
pubblico, qualora il professionista sia incaricato di
predisporre un elaborato e lo faccia in modo negligente o, peggio, con una falsa rappresentazione della
realtà, attraverso tale condotta potrebbe, altresì, contribuire alla commissione di reati propri del pubblico ufficiale e, quindi, essere indicato come concorrente del predetto; a tale proposito, si evidenzia la
possibilità di reati di abuso d’ufficio a carico degli
amministratori5.
Infine, appare astrattamente ipotizzabile il reato di
cui all’art 328, comma I, c.p. (rifiuto di atti d’ufficio)
a carico degli amministratori qualora non intervengano in materia di sicurezza pubblica non emettendo, ad
esempio, ordinanze contingibili ed urgenti anche in
relazione a problemi di gestione del territorio.
Come si è visto da questa breve carrellata, le possibilità di coinvolgimento penale sono molteplici e, di
certo, direttamente proporzionali al maggiore impegno
profuso dal professionista e/o dall’amministratore nel
caso concreto. È chiaro che a maggiore responsabili40
tà corrisponde un maggiore rischio di commissione di
condotte non corrette e potenzialmente lesive: ad
esempio, qualora il legislatore (come sembra far intendere) volesse prevedere un ampliamento delle competenze e degli interventi propri del geologo in materia
di governo del territorio, aumenterebbe per la categoria il rischio di coinvolgimento qualora si verificassero fenomeni lesivi della incolumità fisica delle persone non adeguatamente previsti e valutati (si veda il
caso Sarno). Tuttavia, ritengo che “il gioco valga la
candela” perché la posta in gioco è molto elevata e
consiste nel raggiungimento del più alto livello possibile di sicurezza per il nostro fragile territorio e per
tutti coloro che lo abitano.
2 Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16761 del 11/03/2010: “In tema di omicidio colposo
plurimo, nel sistema delineato dalla l. 24 febbraio 1992 n. 225 (istituzione del servizio nazionale della protezione civile) al Sindaco, quale autorità locale di protezione civile e nell’ambito del territorio comunale, compete la gestione dell’emergenza provocata da eventi naturali o connessi con l’attività dell’uomo, di calamità
naturali o catastrofi; se questi eventi non possono essere fronteggiati con i mezzi a
disposizione del comune, questi è tenuto a chiedere l’intervento di altri mezzi e strutture al prefetto, che adotta i provvedimenti di competenza coordinandoli con quelli del sindaco le cui attribuzioni hanno natura concorrente (e non residuale) con
quelle del prefetto che ne ha la direzione. Ne consegue che in tale ultima evenienza, fino a quando il prefetto non abbia concretamente e di fatto assunto la direzione dei servizi di emergenza, il sindaco mantiene integri i suoi poteri e gli obblighi
di gestione dell’emergenza ed in particolare quelli di allertamento ed evacuazione
delle popolazioni che si trovino nelle zone a rischio, indipendentemente dall’esistenza di una situazione di urgenza. (Fattispecie in cui imponenti colate di fango, ad
opera di intensissime precipitazioni di pioggia, provocarono nel maggio 1998, 137
morti nella popolazione del comune di Sarno, investita dal disastro naturale)”.
3
Cass., sezione 5, sentenza n° 35615 del 14.5.2010: “Integra il reato di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 cod. pen.) la condotta del tecnico-professionista che, nell’espletamento
del servizio di pubblica necessità assegnatogli, indichi, in sede di dichiarazione di
inizio di attività (DIA), le opere da realizzare sulla base di una descrizione dello
stato presente dei luoghi, non corrispondente al vero. (Fattispecie in cui non era
stato asseverato, al fine di evitare l’obbligatoria riduzione in pristino, l’aumento di
altezza di un manufatto, frutto di un abuso edilizio che il prevenuto aveva realizzato, e veniva attestata, invece, l’esistenza di una parete precedentemente demolita, al
fine di ottenere l’ammissione del proprietario dell’immobile alla procedura semplificata e meno onerosa e di evitare, nel contempo, qualsivoglia controllo in ordine
all’effettività dello stato dei luoghi e delle modifiche da apportare all’immobile)”.
4
Cass., sezione 3, sentenza n° 27261 del 8.6.2010: “L’intervenuto rilascio del titolo abilitativo non esime da responsabilità penale per l’abuso edilizio il committente, il titolare del permesso di costruire ed il direttore dei lavori (art. 29, D.P.R. 6
giugno 2001, n. 380), nel caso in cui detto titolo sia stato rilasciato in contrasto
con la legge o con gli strumenti urbanistici”.
5
Cass., sezione 6, sentenza n° 21085 del 28.1.2004: “Integra il reato di abuso di
ufficio la condotta di quel sindaco il quale, a fronte della diffusa e sistematica realizzazione di opere in violazione degli strumenti urbanistici nel territorio comunale, intenzionalmente favorisca gli interessi dei relativi proprietari omettendo l’attivazione delle procedure mirate ad ingiungere e successivamente a eseguire le
demolizioni imposte dalla legge, nel contempo attivamente intralciando l’opera degli
uffici tecnici e di polizia urbanistica del comune, con l’adozione di provvedimenti
organizzativi mirati ad impedirne i doverosi adempimenti. Se è vero infatti che la
disciplina degli ordinamenti locali rimette alla dirigenza degli uffici comunali la
competenza per l’attivazione dei procedimenti di tutela urbanistica, residua per il
sindaco, oltreché il potere di attivare le specifiche procedure di garanzia nei casi
che lo richiedano, un più generale dovere di controllo e direttiva nei confronti degli
uffici tecnici ed amministrativi del comune, affinché sia assicurata la corretta osservanza delle procedure in materia”; Cass., sezione 6, sentenza n° 10009 del 22.1.2010:
“Integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del sindaco che ometta intenzionalmente di attivare le specifiche procedure di garanzia atte a porre rimedio alla
mancata esecuzione dolosa da parte dei funzionari comunali, competenti per legge
in materia di violazioni edilizie, di un’ordinanza di demolizione di un immobile”;
in senso contrario, Cass., sezione 3, sentenza n° 36571 del 21.6.2011: “Non è configurabile a carico del Sindaco alcuna responsabilità penale per non aver impedito lo svolgimento di attività abusive incidenti sull’assetto urbanistico e paesaggistico del territorio comunale, non sussistendo in capo al medesimo un generale dovere
di vigilanza sulle attività in questione. (In motivazione la Corte ha precisato che
l’esclusione della “culpa in vigilando” del Sindaco discende dall’art. 107, comma
terzo, lett. g) del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, che attribuisce tale vigilanza al
dirigente di settore)”.
4 • 2012
ottobre-dicembre
gdiS
CONSIGLIO NAZIONALE
DEI GEOLOGI
VIA VITTORIA COLONNA, 40 - 00193 ROMA
TEL. (06) 68807736 - 68807737 - FAX (06) 68807742
email: [email protected]
A tutti gli
Ordini Regionali dei Geologi
LORO SEDI
Roma, 5 dicembre 2012
Rif. P/CR.c/3773
CIRCOLARE N° 357
OGGETTO: Determinazione quote di iscrizione e diritti di segreteria per l’anno 2013 Bilancio di previsione 2013
Con delibera del 18 settembre 2012 il Consiglio Nazionale ha approvato le quote di
iscrizione ed i diritti di segreteria per l’anno 2013, confermando gli importi già determinati per
l’anno corrente e che di seguito si riportano:
–
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quote annuali dovute dai geologi iscritti all’Albo da oltre due anni: € 95,00
quote annuali dovute dai geologi iscritti all’Albo per il primo e secondo anno: € 50,00
quote annuali dovute dai geologi iscritti all’Elenco Speciale: € 46,00
quote annuali dovute dai geologi iunior iscritti all’Albo: € 75,00
quote annuali dovute dai geologi iunior iscritti all’Albo per il primo e secondo anno: € 48,00
quote annuali dovute dai geologi iunior iscritti all’Elenco Speciale: € 45,00
diritti di segreteria per il rilascio copie di documenti, compreso il costo di riproduzione: € 2,00
ogni 4 fogli o frazione.
Con l’occasione si ricorda che nel bilancio di previsione per il 2013 si dovranno prevedere le spese relative alle elezioni per il rinnovo dei Consigli Regionali che andranno a decadere
entro il 2013 ed anche, secondo quanto previsto dal D.P.R. 7 agosto 2012 n° 137, le spese per il
funzionamento dei Consigli di disciplina territoriali il cui Regolamento di applicazione sarà pubblicato entro la fine del corrente anno sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia.
IL PRESIDENTE
Gian Vito Graziano
S:\u_affarigenerali\MARIAROSA\Circolari\2012-357.doc