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CAPITOLO I
La strada continuava a salire lungo le colline coperte da
una vegetazione bruna e rada, fiancheggiata di quando in
quando da alcuni pini rattrappiti che cercavano di sopravvivere in quel suolo roccioso e arido. Nel cielo blu correvano
nuvole bianche, grigie e nere. Mary Lester ebbe la sensazione di poterle toccare da un momento all’altro con un
dito. Poi la strada si andò restringendo, divenendo un sentiero sempre più ripido, ma si poteva salire ancora. Dovette
passare, ingranata la prima, davanti a un cartello che indicava che mancavano solo poche centinaia di metri al Menez
Hom, il punto più alto del dorso del massiccio armoricano.
Finalmente la piccola Austin nera arrivò in un parcheggio che, nonostante fosse ancora prima mattina, era quasi
tutto completo. Per fortuna la vettura era piccola, e Mary
riuscí facilmente a inserirla tra due enormi camper con targa
tedesca.
Il parcheggio era delimitato da pali d’abete piantati in
terra, oltre questa simbolica barriera si estendeva un vasto
terrapieno coperto di ciottoli bianchi, tra cui cresceva con
fatica qualche ciuffo di gramigna.
Pur non trovandosi oltre la modesta altezza di 330 metri,
ebbe improvvisamente la sensazione di essere sospesa tra
cielo e terra. Il panorama era incredibilmente bello. Alla sua
sinistra, seminascosto da un cocuzzolo brullo, si intravedeva il porto di Douarnenez rannicchiato nel fondo della sua
baia. Dritto davanti a lei, velato dalla foschia della bella
giornata, il Cap de la Chèvre, poi una lunga lingua di terra
che borghi e contrade punteggiavano come macchioline
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bianche. Qua il giallo acido di un campo di colza rischiarato dal sole, più in là il rossiccio della sabbia di una cava a
cielo aperto, e altri spazi di un verde vivace, insolente, un
verde di primavera.
e in fondo, guardando a Nord, un enorme agglomerato:
Brest. La sua celebre rada scintillava sotto il sole, e una
lunga, grigia nave da guerra usciva lentamente dal porto.
In cielo si libravano dei piccoli aquiloni telecomandati,
e dei giovani, stretti nelle loro tute, con il casco in testa,
salivano e scendevano attaccati alle funi dei loro paracadute ascensionali, lunghe banane di tessuto multicolore che,
seguendo il vento, li portavano su in cielo come aquile.
I bambini che erano venuti lí con i genitori sembravano
più interessati alle evoluzioni di questi apparecchi e degli
sportivi che li guidavano, che a volte gli sfioravano la testa
coi talloni, che dalla bellezza del panorama.
Da uno dei camper stava uscendo una musica barbara,
completamente fuori luogo in quel posto. Mary imprecò
contro questi sfacciati che non sapevano accontentarsi di
sentir cantare il vento.
Passarono degli escursionisti con il sacco in spalla che,
indignati anche loro da questo inquinamento sonoro, fecero
al riguardo una riflessione poco lusinghiera in tedesco.
Allora si vide la tendina del finestrino del camper che si
alzava, e una grande bocca spalancata che vi appariva.
L’abitante della casa mobile non rispose a quelle recriminazioni, ma, al contrario, scomparve un istante, il tempo
di alzare il volume. Poi torno ad appoggiarsi al finestrino
ostentando sulla sua faccia da imbecille il sorriso allegro ed
estasiato di chi ha appena fatto un bello scherzo.
Gli escursionisti, due coppie sui sessant’anni, guardarono Mary desolate, con un’aria di impotenza. Sembravano
mortificati dal comportamento del loro compatriota.
ripresero la loro marcia, zaino in spalla, per uno stretto sentiero che si perdeva nella brughiera.
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Mary uscí dalla macchina. Il grosso coglione, tutto fiero,
guardava le due coppie tedesche allontanarsi appoggiato
alla sua finestra, con il sorriso beato dello stupido affascinato dalla sua stupidità.
Mary si avvicinò, tirò fuori il suo distintivo della polizia
e glielo sbatté sotto il naso. L’amante della musica indietreggiò per vedere meglio. In tutto il mondo, più o meno, la
parola polizia si scrive nello stesso modo. Mary, che non
sapeva una parola della lingua di Goethe, lo invitò con la
mano a girare un bottone. Non ebbe bisogno di farlo due
volte.
– Ja, ja, ja, farfugliò il grosso babbeo ritirandosi all’interno della sua casa a ruote. Tornò il silenzio. Poi chiuse
precipitosamente il finestrino, come se fosse venuto a visitarlo il diavolo in persona.
Sorpresi dal silenzio che si era fatto, gli escursionisti dal
sentiero si voltarono e Mary fece loro un segno d’intesa con
la mano. Poi s’incamminò a piedi fuori dal parcheggio per
raggiungere il punto culminante del monte, dove si trovava
una tavola d’orientamento.
C’erano circa duecento metri da lí, una rampa ripida,
quasi una scalata, ma arrivando alla tavola di granito che
coronava il vertice del Menez Hom si otteneva la ricompensa: una fantastica vista su tutta la punta di Finisterre.
Là in fondo l’Aulne, fiume litoraneo, paradiso dei salmoni all’inizio o alla fine (a seconda del posto da cui lo si
guarda) del canale che va da Nantes a Brest, scorreva tranquillamente attraverso campi e boschi verso la rada e il
mare. Delle nuvole cacciate dalla carezza viva e fresca di un
soffio di primavera facevano correre alternativamente l’ombra e la luce sui boschi e sui campi.
Mary restò lí, seduta sulla brughiera, ad ammirare il paesaggio e le evoluzioni dei paracadutisti che salivano, scendevano, si raggiungevano per scambiare qualche parola, si
alzavano improvvisamente in alto per riscendere qualche
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istante più tardi in scivolate vertiginose, e tornavano a
posarsi precisamente nel punto da cui si erano alzati, con
una sorprendente agilità. Dopo una buona mezz’ora riprese
la strada per Camaret.
C’era una rotonda con un’aiuola a cui Mary girò intorno, poi dei cartelli segnaletici con due nomi: Camaret e
Kameled. Come all’ingresso di tutti i centri abitati della
zona, ormai al nome francese si aggiungeva quello brètone
della località.
All’inizio di una larga strada in discesa Mary notò il
mare tra le case, e rallentò per ammirare meglio lo spettacolo, finché non sentí il clacson di un automobilista impaziente. Allora accese i lampeggianti e si fermò sulla banchina della strada, una specie di terrapieno ricoperto di erbacce, e lasciò passare quell’esagitato che, superandola, le fece
un gesto scortese col braccio.
Alzò le spalle. Che bisogno aveva la gente di diventare
sgarbata e sgradevole, nel momento in cui appoggiava le
natiche dentro una macchina? Avrebbe fatto meglio a guardare il mare quel tipo, piuttosto che correre come un disperato col naso attaccato al contachilometri.
Perché era lí, il mare. una vasta distesa di un blu profondo, bordata da scogliere bianche, rossicce, ocra, verdi,
con molte sfumature dei diversi colori, in diverse gradazioni che generazioni di pittori avevano cercato di riprodurre
con risultati più o meno felici.
Nel cielo di un blu leggero, spinte da una brezza impercettibile, delle nuvolette sfilavano lentamente come pecorelle.
In mezzo a quella baia sporgeva una specie di penisola,
e all’estremità di quell’istmo faceva da sentinella una torre
quadrangolare, fieramente piantata sui suoi piedi di roccia,
con muraglie massicce che, rivestite di uno strato di rosso,
andavano ad allargarsi verso il cielo.
Quel fortino (perché senza dubbio si trattava di un ele-
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mento difensivo concepito da un ingegnere militare) era
forato da strette feritoie, e sormontato da una puntuta copertura di ardesia.
Da quell’architettura promanavano delle folate di Medio
evo, di assalti di guerrieri con l’arco e la partigiana. La torre
rossa era lí, come una sfida, in mezzo alla baia. una sfida
agli invasori venuti dalla costa dirimpetto, certamente, perché tra il regno d’Inghilterra e quello di Francia all’epoca
regnava una solida inimicizia, ma sfida anche ai nemici dall’interno, che non riconoscevano la sovranità del re.
Secoli più tardi, altri invasori venuti dalla Germania avevano eretto anche loro le proprie difese, appollaiate sulle
scogliere come nidi d’aquila, molto meno visibili della torre
quadrata alla fine del suo istmo.
Guardando alla sua sinistra, verso la città, Mary notò una
chiesa bassa e lunga con un piccolo campanile dalla guglia
amputata. Questa casa di Dio, troppo piccola per meritare il
nome di chiesa e troppo grande per essere solo una semplice cappella, non era stata costruita con quel granito grigio
che era servito alla costruzione di altri edifici religiosi che
aveva incrociato lungo la strada, ma con una pietra di un
sorprendente giallo, splendente sotto il sole. Perché vedendo quella cappella pensò al ronzino che il visconte
d’Artagnan aveva rifilato a suo figlio, quando questi dalla
Guascogna era andato a cercare fortuna a Parigi? eccetto il
mare, dove il cielo grigio annuncia l’acquazzone, non ci si
deve fidare dei colori delle cose. L’impetuoso guascone
lungo tutta la strada aveva saputo far rispettare la sua cavalcatura, e questa chiesa, per quanto fosse vestita in modo
sconveniente, non aveva per ciò un’aria meno fiera.
In quello stretto Sillon che avanzava tra il mare e il
molo, il porto di Camaret. Al tempo delle navi a vela i battelli venivano qui a ormeggiare in attesa del flusso che
avrebbe permesso loro di superare l’imboccatura per entrare nella rada di Brest. era anche l’ultimo porto a cui rivol-
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gevano il saluto coloro che si apprestavano ad affrontare le
onde e gli scogli del Mar d’Iroise e poi dell’Atlantico.
Mary riaccese il motore e iniziò la discesa che conduceva al porto.
Il molo era largo, fiancheggiato da bistrot come in tutti i
porti del mondo, da locali che si chiamavano «café de la
Marine», «les embruns», «le Neptune», e offrivano al passante i loro spazi all’aperto arredati con confortevoli sedie
da giardino, degli espositori di cartoline e dei tavolini, dove
occuparsi della propria corrispondenza guardando l’animazione del porto.
Le facciate delle case avevano un aspetto fresco, come
se fossero state ridipinte il giorno prima. I colori luccicavano sotto i raggi del sole, chi aveva scelto queste tinte aveva
dato prova di audacia. L’edificio che ospitava il «café de la
Marine» aveva una facciata ocra, del colore delle vele dei
vecchi velieri, con bianche finestre e una tenda marinara. La
facciata della crêperie “les embruns” era color crema, con
tende bianche e marroni, il ristorante «la Voilerie» mostrava una facciata quasi rosa, mentre la pizzeria «Del Mare»
era di un blu cielo, con delle imposte di un blu più intenso.
C’erano, ancora, «le Captain», blu e ocra su fondo di un
intenso giallo giunchiglia, con sedie all’aperto blu marino e
bianche, l’«Ar Men», giallo chiaro e bordeaux, «le
Neptune», ocra chiaro, e il suo piccolo vicino Barrestaurant, dalla facciata in blu di Prussia.
Queste diverse tinte si sposavano gradevolmente, e contribuivano a dare un’aria festosa a un molo dove i battelli da
pesca non attraccavano quasi più.
Mary passò lentamente davanti ai tre hotel allineati in
fondo al porto. Alla sua destra il Sillon, la strada che portava alla cappella e all’affascinante torre dai muri rossastri. Ci
si avviò, e passando vide che la porta della cappella era
aperta; fermò la macchina ed entrò in quell’edificio i cui
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connotati insoliti l’avevano intrigata.
I blocchi di pietra gialla di cui era fatto avevano un
aspetto curioso. L’erosione ne aveva portato via le parti più
tenere, e le vene della pietra apparivano in rilievo come
risaltano le venature di quei legni di relitti che si raccolgono sulle spiagge dopo le tempeste, quando l’azione congiunta della sabbia e del mare ne ha eroso il tenero alburno
lasciando solo le parti legnose, dure come osso.
Da un cartello all’entrata apprese che la cappella era
consacrata a Notre-Dame de rocamadour, e che la filiazione con il celebre santuario di Quercy era accertata dal XII
secolo.
Si avvicinò all’altare, dove una statua della Vergine era
illuminata da decine di lumini. Sotto i suoi passi scricchiolava il pavimento screpolato a losanghe bianche e nere. era
completamente sola nella navata. Su un pilastro una stretta
scala a chiocciola portava a un pulpito. Chi l’aveva costruito vi aveva apposto la sua firma e la data di costruzione:
KerAuDreN, 1914-1915.
Su alcuni pilastri c’erano dei curiosi ex voto: boe di salvataggio con un paio di remi. La volta era in legno dipinto
di blu, e imitava la forma della carena di un battello rovesciato. Sotto la volta erano attaccati altri ex voto: modellini
di golette per la pesca in Islanda.
Mary li guardò ammirata con il naso in su, poi andò
verso il coro, mise cinque franchi in una cassetta incastonata nella parete e accese un cero al fuoco di una candela che
si stava spegnendo. Lo tenne un momento in mano, guardando la cera che colava e si rapprendeva in lacrime bianche lungo la colonna. Le ricordò la sua infanzia, la prima
comunione, e tornò a subire il fascino che esercita su tutti i
bambini quel materiale che diventa liquido al fuoco per
solidificarsi rapidamente subito dopo. Poi attaccò il cero a
uno stelo di ferro in mezzo al bosco di lumini che avevano
lasciato lí i visitatori della giornata.
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Stava voltandosi per andarsene quando una sagoma uscí
da dietro un pilastro. Mary ebbe una scossa per la sorpresa,
poi si riprese. era solo un vecchio prete che prima non
aveva visto, e probabilmente stava pregando, immobile e
silenzioso.
– Le ho fatto paura? – le domandò.
La sua voce era nello stesso tempo dolce e forte, e nei
suoi occhi blu si leggeva la bontà.
Mary gli sorrise scuotendo la testa:
– No, ma credevo di essere sola.
Il prete guardò la candela che Mary aveva appena collocato davanti alla statua della Vergine e disse: «Grazie». e
poiché Mary non diceva niente, perché non sapeva molto
bene cosa dire, il prete aggiunse:
– Sta diventando raro vedere dei giovani nelle chiese.
– eh, signor rettore – rispose Mary – come vede non
bisogna disperare.
– Lei è del posto. – disse il prete.
Non era una domanda. Mary acconsentí:
– Di Quimper. Ma cosa ve l’ha fatto immaginare?
Sorrise malizioso:
– Lei mi ha chiamato “signor rettore”. un parigino
avrebbe detto “signor curato”.
Giusta deduzione, pensò Mary. In effetti in Bretagna si
usa chiamare “signor rettore” il parroco di una chiesa di
campagna o sul mare.
Poi il venerabile sacerdote guardò il suo orologio e brontolò:
– Le sei e dieci! Ma cosa starà combinando quello, santa
pazienza…
– Sta aspettando qualcuno? – domandò Mary.
– Sí, Loulou Lannurien…
Mary non sapeva chi potesse essere questo Loulou
Lannurien che il rettore aspettava con tanta impazienza. e
lui spiegò, senza essere interrogato:
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– È un vecchio carpentiere di marina. È lui che ha fatto
l’ex voto della Belle-Etoile11 Sta per Venere, in italiano
definita come Stella mattutina.
**Cfr. La cité des Dogues.
… doveva venire a portarlo alle cinque. Dobbiamo
appenderlo domenica.
Indicò le travi dove erano appese le golette:
– Sarà un modellino in più, e stavolta un modellino della
regione.
Mary alzò di nuovo la testa a guardarli:
– Perché queste non sono navi della regione?
– Certo che no, disse il rettore, sono golette islandesi.
– Si tratta per caso delle navi che uscivano a pescare il
merluzzo a Terranova?
– Precisamente! – rispose il prete, soddisfatto di vedere
che non aveva a che fare con un’ignorante. – Sono battelli
di Saint-Malo.
– O di Cancale – rispose lei ricordandosi della sua recente indagine nella città dei corsari e della sua visita alla piccola casa sulla scogliera, sopra al porto di La Houle**. – Ma
mi dica, signor rettore, come si spiega il fatto che queste
golette siano finite qui?
– Probabilmente dei marinai di Camaret che si erano
imbarcati per una campagna di pesca in Islanda e che si
sono trovati in grande pericolo. Allora hanno invocato
Notre-Dame de rocamadour, e per ringraziarla di avergli
salvato la vita al loro ritorno a terra sono venuti a offrire
questi ex voto alla Vergine.
Guardò Mary e le domandò:
– Conosceva il senso di questi ex voto?
– Sí – disse lei – ma penso che sarebbe bene se in ogni
parrocchia venissero classificati, e se si potesse sapere chi li
ha offerti e in quali circostanze. Il mio bisnonno era marinaio, e anche mio padre lo è.
– Spero – disse il rettore – che non abbiano mai avuto
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occasione di offrire ringraziamenti in circostanze simili.
– Non credo. Io a quel tempo ero molto piccola, ma mi
ricordo che il mio bisnonno raccontava volentieri che all’inizio di ogni battuta di pesca «tad-coz» Nonno, in brètone.
si recava a Juch, vicino Locronan, con il suo equipaggio, e depositava una presa di tabacco sotto il piede di una
statua che rappresentava il diavolo, per assicurarsi una
pesca abbondante.
Il rettore si mise a ridere.
– e otteneva dei risultati, almeno?
– Non lo so – rispose Mary – ma era un’usanza a cui non
avrebbe mai rinunciato per tutto l’oro del mondo. Secondo
mia nonna, d’altronde, si facevano numerose soste nei
bistrot sulla via del ritorno, e, quando tornavano a casa,
c’era sempre vento nelle vele, anche una volta a terra, l’equipaggio “bordeggiava”.
Il rettore rise più forte:
– Con il diavolo, signorina, non può arrivare nulla di
buono. Io non la voglio cacciare, ma bisognerà che chiuda
la chiesa. Quel benedetto Loulou deve essere andato a esibire il suo ex voto nei bistrot sul molo, e avrà dimenticato
che ore sono. Beh, peggio per lui, si può rimandare a domani.
– Non sapevo – disse Mary – che questa pratica degli ex
voto fosse ancora viva. Credevo che fosse scomparsa con la
motorizzazione delle navi.
– Certo, è meno frequente di una volta – rispose il prete
– ma come vede esiste ancora.
– e chi ha rischiato di perdere la vita stavolta?
– Nessuno – rispose il prete – è il battello che ha rischiato di andare perso. un bel battello tutto nuovo… e per ben
tre volte!
– e a bordo non c’era nessuno?
– No – disse il prete, e aggiunse guardando Mary. – È
una lunga storia…
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Guardò nuovamente l’orologio:
– Adesso non ho tempo di raccontargliela, ma magari, se
domani o un altro giorno sarà di nuovo da queste parti, lo
farò con piacere.
Quando uscirono il sole stava tramontando, all’altro
capo del porto i fari già si riflettevano nell’acqua. Il molo
era deserto. Mary avvertí un brivido di freddo.
– Volevo andare a visitare la torre quadrata – disse – ma
penso che a quest’ora sia troppo tardi.
– Potrà andarci domani – disse il prete.
– Già, domani…
– Deve tornare a Quimper?
– Avrei dovuto, ma dopotutto non c’è nessuno che mi
aspetta. Mi sa dire, signor rettore, se c’è un hotel aperto da
queste parti?
– Certo. Guardi, vada al Vauban, e dica pure che la
mando io. È laggiù, in fondo al porto. Chieda di rené, vedrà
che si troverà bene.
Il curato si diresse verso una renault 4 bianca parcheggiata proprio davanti all’Austin nera di Mary. Si mise al
volante e, prima di richiudere lo sportello, disse con la sua
voce sonora:
– Allora, forse a domani, mademoiselle…
e Mary, accorgendosi di non avergli detto il proprio
nome, rispose:
– Lester, Mary Lester.
– Buonasera, mademoiselle Lester.
Immobile vicino all’Austin, Mary guardò l’utilitaria
bianca allontanarsi nel tramonto.
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