Psicologia del lavoro: “Riconoscimento di una identità professionale

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Psicologia del lavoro: “Riconoscimento di una identità professionale
Gli Ordini al servizio degli
psicologi
di Federica Modena
Me lo diceva ridendo l’altra sera – bevendo il secondo spritz
– una mia amica e collega: «Non so a te ma a me, quando
facevo l’Università, nessuno aveva avvisato che poi diventava
tutto così complicato; credevo che fare la psicologa fosse che
io incontravo i pazienti, li ascoltavo, capivo dove stava il
loro problema e li aiutavo a superarlo. Sapevo che era un
lavoro difficile ma pensavo che, conoscendo la materia, avendo
empatia, intuizione ed esperienza ce l’avrei fatta.». «Come
Mary Poppins – le dico scherzando io – con un poco di zucchero
la pillola va giù» «No, aspetta,- riprende lei – i pazienti
non sono il problema, quando esistono. Con loro so come
comportarmi. Quello che mi fa impazzire sono tutte le altre
cose cui bisogna star dietro e che non so mai se ho fatto
bene…l’Iva, l’Irpef, la privacy, il pos, l’Enpap…va bene che
c’è il commercialista, ma non capisco niente di quel che mi
dice…d’altronde se mi sentissi portata per queste cose, avrei
fatto economia e commercio, mica psicologia..:»
Al terzo spritz la mia amica è passata a quello che
probabilmente è il peso maggiore che si sente addosso. «E poi
alcune volte penso: quando ho guarito i pazienti che ho
adesso, se nessun altro viene da me? Dove li vado a pescare i
pazienti? Si è laureata in psicologia il mese scorso anche mia
cugina, fra poco avrò la concorrenza anche in famiglia…»
Certo, i più scafati fra i lettori di questo articolo
penseranno che la colpa del malessere della mia amica in fondo
sia solo sua, della sua ingenuità e del suo scarso senso
imprenditoriale.
Le sue ansie – come si legge anche in molti commenti agli
articoli sul sito di AP – sono però condivise da molti
appartenenti alla nostra categoria professionale. Per quanto
riguarda la ricerca di nuove opportunità di lavoro, anche
coloro che – a differenza della mia amica – si impegnano nella
redazione di progetti e di iniziative, spesso sono costretti a
confrontarsi con una realtà che tende a ignorarli, una realtà
forse oramai troppo invischiata nelle proprie paure per avere
la forza di provare a combatterle.
Molti psicologi si sentono soli con i propri problemi e le
proprie incertezze davanti a grandi sfide, quelle poste dal
mercato e dalla società. La libertà nell’esercizio della
propria professione è un bene inestimabile e nessun libero
professionista vorrebbe mai rinunciarci. Oggi, però, la
frammentazione della nostra categoria si sta rivelando una
sorta di debolezza collettiva; le sfide del mercato
difficilmente si vincono da soli. Di fronte a un disagio così
diffuso e a dati imbarazzanti per l’intera categoria, come
quelli sul reddito medio degli psicologi pubblicati dal Sole
24 Ore, è l’Ordine stesso a dover intervenire e svolgere,
molto più che in passato, quel ruolo centrale nella nostra
vita professionale che, andando oltre ai compiti previsti
dalla legge in capo all’Ordine, aiuti concretamente gli
iscritti ad affrontare le tante problematiche con cui si
confrontano quotidianamente e, soprattutto, intraprenda quella
battaglia culturale per la maggiore diffusione della
psicologia nella nostra società, una campagna di
sensibilizzazione che non andrebbe solo a favore degli
iscritti ma recherebbe beneficio all’intero contesto sociale.
Gli Ordini devono diventare veri centri di servizi in grado di
migliorare la nostra vita professionale. Si tratta peraltro
della visione che AP da sempre sostiene e che, nelle regioni
in cui è in maggioranza al Consiglio dell’Ordine, è riuscita a
portare avanti. Per avere un’idea dettagliata delle reali ed
effettive potenzialità che un Ordine potrebbe avere e dei
servizi che potrebbe dare – dalla biblioteca dei test alle
consulenze in materia fiscale o di marketing, dalle
convenzioni per ridurre i costi professionali al sostegno
nella stesura di progetti di raccolta fondi – invito tutti a
leggere attentamente il programma di Ap e sopratutto a non
dimenticarsi di esprimere il proprio voto per il rinnovo del
Consiglio dell’Ordine. Questa volta c’è davvero tanto da fare
e le opportunità di migliorare le cose sono tante che non si
può lasciare ad altri il potere di decidere chi ci dovrà
rappresentare!
Cosa me ne faccio
biblioteca dei test?
della
L’idea di una biblioteca dei test nasce da lontano. Già nel 2009,
prima delle elezioni che lo avrebbero individuato come presidente
Mauro Grimoldi visitava quella dell’Università di Padova insieme a
Federico Zanon coltivando un sogno… in fondo ostacolato solo dalla
mancanza di un’iniziativa nella nostra regione. E chi più dell’Ordine
deve mettersi al servizio di un’esigenza regionale, di una carenza
così evidente nella psicologia lombarda? Eccoci, quindi.
L’Ordine, per la sua valenza rappresentativa, costituisce uno spazio
naturale di apertura verso istanze ed esigenze culturali e
professionali comuni. AltraPsicologia, attraverso la presidenza OPL ha
anzitutto verificato la possibilità di costruire un rapporto di
collaborazione con le case editrici, Giunti OS in primis, e poi,
stabilita la realizzabilità dell’iniziativa ha affidato il compito
della realizzazione a giovani e volenterosi consiglieri, non
necessariamente di AP. Alcuni di essi rivendicano oggi, in tempi di
elezioni, la paternità della biblioteca, che sarebbe come dire che la
Torre Eiffel si deve agli operai che l’hanno costruita. E’ una
visione, certo.
All’interno di questo scenario, a settembre 2013 è nata la prima
Biblioteca del Testing Psicologico in Lombardia!
Un’innovazione concreta nata da un ideale forte, che ha riqualificato
il rapporto tra professionisti e Ordine: ora gli psicologi possono
accedere ad ambiti e linguaggi – quelli dei test –in un ambiente
rinnovato e accogliente, dove poter incontrare altri colleghi e creare
occasioni di scambio.
Attualmente, sono presenti 150 test tra versioni cartacee e online
consultabili liberamente (tavole, materiali di somministrazione,
batterie, manuali ed esempi di report finali). E poi… un ampio tavolo
di consultazione, due postazioni informatiche per visionare le
versioni full text di riviste e articoli scientifici, accesso completo
alle banche dati dell’APA, seminari di approfondimento di esperti
testisti o degli stessi autori ….
AltraPsicologia, soddisfatta per questo primo buon risultato, ha
intenzione di rilanciare!
L’idea è di creare un vero e proprio polo d’attrazione: una biblioteca
specialistica e specializzata, in un luogo “altro” dall’Ordine, con la
partecipazione del Comune e la collaborazione con le Università, ma
anche con altre istituzioni interessate ad aderire attivamente
all’iniziativa. Vogliamo portare fuori, dare autonomia alla biblioteca
come luogo interistituzionale.
La cultura psicologica potrà così introdursi ulteriormente nel tessuto
cittadino e rendersi disponibile anche agli studenti. Trovi che sia
giusto che l’Ordine offra servizi anche mettendosi in rete con altre
istituzioni, come l’Università? Hai proposte in quest’ambito che
vorresti che l’Ordine realizzasse?
Opl è a casa tua
Nel corso del quadriennio 2010/2013 l’Ordine
ha dato avvio a una serie di iniziative che
mai state considerate. Per la prima volta
diverse attività nelle province, attraverso
territoriali.
targato AltraPsicologia
in precedenza non erano
si sono messe in campo
le figure dei referenti
Certo è stato solo l’inizio e vi è ancora moltissimo da sviluppare, ma
il primo grande passo è stato fatto.
Le principali iniziative che verranno promosse nel prossimo
quadriennio– qualora il gruppo di AP verrà riconfermato alla
governance di OPL anche grazie al TUO voto -, saranno relative alle
aree della promozione della professione e dell’intreccio di relazioni
istituzionali in modo che gli Psicologi possano penetrare nel tessuto
sociale in forma ancora più incisiva, riuscendo pertanto a mettere in
piedi iniziative e accordi importanti in favore sia categoria che del
cittadino.
Un esempio di progetti già in campo per mano di Opl è la psicologia
sostenibile (link http://www.opl.it/showPage.php?template=news&id=773)
attivo da diversi mesi a Milano e in fase di start up a Varese (link
http://www.opl.it/showPage.php?template=news&id=921).
Il
nostro
proposito è quello di stringere partnership con istituzioni del resto
delle province e diffonderlo ulteriormente
Non solo. Grazie al nostro Ufficio Stampa verranno ulteriormente
sviluppati contatti e sinergie con media e stampa locali, col fine di
diffondere iniziative di promozione e sviluppare conoscenza in merito
ai differenti ambiti della psicologia.
Anche questa operazione avrà effetti sia diretti sulla categoria, sia
indiretti attraverso il coinvolgimento della cittadinanza.
Lavorando in stretta sinergia con i nostri referenti in loco, il
proposito è infatti quello di organizzare iniziative a cadenza
mensile/bimestrale mirate ad incontrare i cittadini: il fine ultimo è
quello di promuovere le attività dei colleghi del territorio.
In altre occasioni,come già nello scorso quadriennio, verranno
ulteriormente sviluppati incontri tra Ordine e colleghi: saranno
occasioni di sviluppo e crescita della professione nella trattazione
di temi quali formazione deontologica, formazione fiscale e strumenti
di self marketing per lo Psicologo.
Come già proposto e fortemente voluto da Altra Psicologia, una parte
delle occasioni di incontro tra Ordine e colleghi si svilupperà
online, in modo che anche chi sia impossibilitato a intervenire o viva
distante dal capoluogo di provincia possa comunque usufruire
direttamente delle attività proposte.
Cosa ne pensi?
Lascia il tuo commento a questa iniziativa.
Lo psicologo come figura
obbligatoria nelle strutture
riabilitative:
anche
in
Emilia Romagna?
di Daniela Rossetti
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute:
“un bene essenziale per lo sviluppo sociale, economico e
personale ed è aspetto fondamentale della qualità della vita”
e definisce come paradigma di riferimento per il
raggiungimento di questo obiettivo il Modello BioPsicoSociale
inteso come processo di integrazione di tutti i fattori
determinanti, e tra loro interdipendenti, della salute:
biologici (genetici e biologici), sociali (famiglia, comunità,
cultura,…) e psicologici (dimensione mentale, emozionale,
spirituale, …). Questo ultimo fattore non sempre appare preso
in giusta considerazione nella realtà italiana dove la presa
in carico psicologica viene spesso posta in secondo piano
nelle strutture ospedaliere, come evidenzia il dato che su un
totale di 5.638 psicologi nel SSN solo 942 lavorano in
ospedale e in pochi lavorano a tempo pieno nei presidi
ospedalieri.
Ma in questo quadro generale emerge anche un’eccezione: in
Lombardia la Giunta, con la deliberazione 1185 ha inserito
nelle regole di sistema 2014 tra le norme di accreditamento
per le strutture riabilitative la figura dello psicologo come
obbligatoria. Questo può significare la possibilità di
stabilizzazione del personale operativo e/o di impiego per i
Liberi Professionisti presso le strutture di riabilitazione
(senza ricorrere a questa figura “sotto mentite spoglie”, ad
es. ingaggiandola con contratto come educatore, assistente di
qualche tipo, ecc…come accade in diverse realtà), ma
soprattutto un riconoscimento fondamentale della “parità” di
importanza della componente psicologica nella determinazione
dello stato di salute. In particolare, tra i requisiti
organizzativi per area Degenza – “Riabilitazione intensiva ad
alta complessità” e “Riabilitazione intensiva” è richiesta la
presenza di uno psicologo o un neuropsicologo per almeno 15
ore/settimana ogni 20 posti letto, mentre per area Degenza –
“Riabilitazione estensiva”
è richiesta la presenza di uno
psicologo o un neuropsicologo per almeno 10 ore/settimana ogni
20 posti letto. L’Ordine degli Psicologi Lombardia, a
maggioranza Altra Psicologia, ha avviato un contatto e una
collaborazione con la Giunta che ha permesso di arrivare a
questo risultato. Il primo passo è stato la richiesta di
audizione da parte del Presidente dell’Ordine in Commissione
Sanità del Consiglio Regionale; la collaborazione è poi
proseguita fino all’approvazione della Delibera che recepisce
sostanzialmente le indicazioni del documento inviato
dall’Ordine alla Presidenza della commissione Sanità.
Anche nella nostra Regione esistono diverse realtà deputate
alla riabilitazione.
I centri di riabilitazione e ancora di più i centri per le
patologie ad esito invalidante (es. le Unità Spinali che
accolgono pazienti con mielolesione o i centri che si occupano
di persone con esiti di Gravi Cerebrolesioni Acquisite o
persone con Sclerosi Multipla) rappresentano una realtà
piuttosto particolare dal punto di vista degli aspetti
psicologici coinvolti.
Un evento lesivo, così come
l’emergenza di una patologia degenerativa, rappresenta una
frattura nel senso di continuità dell’esistenza di una persona
e determina la necessità di un processo di adattamento lungo e
doloroso, soprattutto perché spesso gli esiti non consentono
una completa resitutio ad integrum.
Inoltre una delle caratteristiche che differenziano una
struttura riabilitativa dagli altri contesti ospedalieri è il
tempo prolungato di degenza, con l’attivazione di dinamiche
relazionali talvolta complesse sia per le persone ricoverate,
sia per gli operatori. Lo psicologo in un contesto di questo
tipo, quindi, non ha solo l’importante funzione di supportare
le persone degenti e le persone affettivamente significative
che vi gravitano intorno, ma ha anche quella fondamentale di
sostenere gli operatori stessi, di mediare il rapporto tra
operatori e pazienti, oltre che tra operatori e famigliari,
per prevenire o contenere il rischio di burn out o stress da
lavoro correlato.
Questo, dunque, il quadro delle necessità e dei bisogni. Ci si
chiede come la nostra Regione faccia fronte a questa
problematica. Allo stato attuale si sa per certo che siamo
molto lontani dalle 15 ore/settimana ogni 20 posti letto,
anzi, sembra che l’orientamento sia di diminuire le risorse,
il che fa pensare che si sottovaluti l’importanza della figura
professionale dello psicologo e del neuropsicologo anche in
centri “di eccellenza”.
Anche nella Regione Emilia Romagna sembra condiviso
l’obiettivo di “umanizzare” e di “personalizzare” le cure e di
mettere “la persona al centro”, ma sappiamo bene che questo
approccio non può prescindere dall’attenzione alla componente
psicologica delle persone, quindi dalla necessità di figure
professionali come quella dello psicologo all’interno delle
strutture ospedaliere che primariamente si occupano della cura
delle persone.
In Lombardia, dove è presente nell’Ordine Altra Psicologia, si
è potuto fattivamente raggiungere questo obiettivo…intendiamo
impegnarci anche in Emilia Romagna.
Psicologia
del
lavoro:
“Riconoscimento
di
una
identità professionale”
di Michele Piattella
La psicologia del lavoro e della organizzazioni è una
disciplina molto ampia dalle molteplici applicazioni e a volte
rischia di uscirne una professionalità dai contorni poco
definiti. E’ dunque importante cercare di fare il punto della
situazione sulle competenze distintive che ne definiscono la
sua identità professionale, sugli stereotipi che
caratterizzano questa professione e sulle possibili
sovrapposizioni multidisciplinari nelle aree di confine con
altre figure professionali. Pensiamo ad esempio alla selezione
del personale, valutazioni stress lavoro correlato, mappatura
delle competenze, bilanci di competenze, valutazioni delle
prestazioni e del potenziale, benessere organizzativo etc.
Partendo da un discorso della identità professionale, occorre
senz’altro dare valore e comunicare il contributo distintivo
che la psicologia del lavoro e delle organizzazioni possono
mettere a disposizione della comunità, delle imprese, degli
enti pubblici etc. Occorre anche attuare delle politiche di
tipo “difensivo” e avviarci verso un possibile riconoscimento
della figura dello psicologo del lavoro che potrebbe evitare
come detto sopra sovrapposizioni tra figure professionali
differenti che operano nel medesimo ambito, a tale proposito
<< il codice deontologico degli psicologi al capo I, art. 19,
identifica le prerogative professionali nell’ambito della
selezione e valutazione del personale>>. Ben consapevoli che
oggi si opera in una sempre più diffusa logica
multidisciplinare con l’integrazione di competenze plurime,
Altra Psicologia punta all’identità, alla definizione della
figura
dello psicologo per favorirne lo sviluppo nello
scenario economico italiano e nel suo programma individua
nella costituzione della <<carta di identità dello Psicologo
del lavoro/Clinico e degli altri ambiti presenti e
riconosciuti in Italia e/o in Europa>> un utile strumento di
definizione e diffusione della professione di Psicologo. Ma
non è solo una questione di identità professionale; lo
psicologo del lavoro deve potersi distinguere anche per il suo
contributo specifico e di eccellenza, deve essere allo stesso
tempo un ricercatore e un professionista, lo psicologo del
lavoro deve essere in grado di dimostrare competenze migliori
degli altri “professionisti di confine”, il che significa
operare professionalmente con metodi e tecniche di intervento
fondati su evidenze empiriche, teoriche, scientificamente
valide e attendibili e
verificabili dalla comunità
scientifico–professionale e non su improbe improvvisazioni
prive di fondamenti teorici e scientifici. Anche qui, Altra
Psicologia intende supportare i colleghi psicologi con una
“Proposta di collaborazione alle Facoltà e ai Dipartimenti di
Psicologia della Regione al fine anche di valutare un
eventuale ampliamento dell’offerta formativa per gli psicologi
all’interno degli indirizzi specialistici già presenti ” e con
un “Monitoraggio permanente di bandi, concorsi e opportunità
di finanziamento per gli psicologi e attivazione servizio di
consulenza e accompagnamento alla stesura di progetti per la
raccolta fondi”; molti sono infatti i fondi europei che
aspettano silenti l’occasione di essere impiegati in progetti.
Allo psicologo del lavoro (e allo psicologo in generale) si
richiede quindi di vedersi in una prospettiva più ampia, di
progettare e di collaborare attivamente con le università, di
osare e di uscire da una logica dell’orticello di casa e di
pensare in modo diverso la sua professione. L’Osservatorio
sulla professione attivato presso il Consiglio Nazionale
dell’Ordine degli Psicologi evidenzia che la psicologia genera
una pluralità di professioni e di contesti professionali
eterogeneo e in forte dinamismo storico, la ricerca svolta da
Gfk Eurisko per l’Ordine Nazionale degli Psicologi nel 2009
fotografa la nostra categoria come una rappresentazione di
pratiche professionali pluralistiche frammentate e incerte. In
conclusione, possiamo dire che le iniziative proposte da Altra
Psicologia con la “carta di identità dello psicologo” possono
considerarsi in linea con quanto emerso dallo studio del 2009,
studio che evidenzia come gli psicologi non sembrino avere una
struttura di riferimento della professione sufficientemente
condivisa e abbastanza semplice da poter essere comunicata
chiaramente all’esterno; punto sul quale Altrapsicologia
propone una serie di: campagne ed azioni di marketing
territoriale finalizzate a sostenere la figura dello psicologo
nella società; campagne di sensibilizzazione in contesti con
potenziali committenti (ad es.: scuole, aziende, case di
cura,
tribunali,
enti locali, ecc.), etc.
Abbiamo sin qui parlato di integrazione, riconoscimento della
professionalità, di progettazione, di comunicazione e
marketing della professione di psicologo e sono tanti gli
argomenti che si potrebbero affrontare. Per concludere questo
breve intervento vorremmo ritornare sulla questione dello
stress lavoro correlato e sul benessere organizzativo. E’
ormai storia quanto accaduto nel IX convegno europeo sulla
psicologia della salute tenutosi a Roma nel 2010; l’argomento
maggiormente presente al convegno fu lo stress lavoro
correlato. Alla sessione intitolata “The management of
psychosocial risk in Italy”, si è venuta a creare una
situazione paradossale, cioè l’assoluta mancanza di una
competenza psicologia (cioè di uno psicologo) al tavolo. In
questa sessione hanno partecipato come relatori medici del
lavoro, responsabili della Cisl nazionale per la sicurezza,
avvocati responsabili sicurezza e salute sul lavoro,
Confindustria, ma zero psicologi. Da allora si sono susseguite
in tutta Italia numerose iniziative volte a formare i
professionisti e sensibilizzare le varie associazioni di
categoria (Confindustria, Sindacati, Enti Pubblici). Nella
nostra Regione si sono susseguite alcune iniziative ad opera
dell’Ordine aventi l’obiettivo di evidenziare le competenze
distintive dello psicologo come esperto valutatore dello
stress lavoro correlato. Ma noi di Altra Psicologia pensiamo
si possa fare ancora di più e, a tale proposito il programma
prevede una partecipazione attiva, proattiva e costruttiva in
tavole rotonde/seminari/convegni/tavoli tecnici con le
istituzioni e le categorie professionali interessate su
tematiche attinenti la professione nei suoi principali settori
(lavoro, clinico, scolastico, ecc.), individuando e
differenziando bene gli ambiti di competenza delle diverse
figure che vi operano. Questi tavoli tecnici sono un punto di
arrivo e di partenza dove l’Ordine sarebbe presente come parte
attiva e competente in materia a rappresentare la categoria
degli psicologi; pensiamo anche alla direttiva 24 marzo 2004
“Direttiva del Ministero della Funzione Pubblica sulle misure
finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle
Pubbliche Amministrazioni”, direttiva che parla di
Amministrazioni Pubbliche che abbiano la capacità di
realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico, di
creare un clima organizzativo che stimoli la creatività,
l’ergonomia, sicurezza, motivazione, che produca soddisfazione
e non ultimo si preoccupi delle condizioni emotive e della
qualità dell’ambiente di lavoro. Sebbene il Ministero nella
sua direttiva faccia riferimento a finalità specifiche, mai
identifica una figura professionale legittimata a perseguire
tali scopi, tantomeno lo psicologo del lavoro. E’ quindi una
prerogativa di Altra Psicologia costruire un ponte con le
Pubbliche Amministrazioni che consenta di aprire un dialogo
costruttivo e permetta di vedere lo psicologo del lavoro come
un professionista esperto in grado di fornire un servizio di
qualità all’individuo, al gruppo e all’organizzazione e di
abbattere ed esorcizzare i timori che spesso si annidano nelle
persone in presenza dello psicologo.
Concludo introducendo un’importante impegno che Altra
Psicologia si vuole prendere con tutti i colleghi, impegno che
vuole dare un maggior peso specifico alla nostra professione:
<<valutare una possibile forma di riconoscimento dello
Psicologo come formatore esperto e certificato sui temi della
salute e sicurezza sul lavoro>>.
Lo psicologo clinico nel
privato:
l’associazionismo
come possibile soluzione ad
una difficoltà nel fare rete
di Maurizio Cottone
La grave situazione economica in cui versa il nostro paese
colpisce in misura, forse maggiore, la nostra categoria
rispetto alle altre.
Sappiamo bene come vi sia un dato culturale che vede il
rivolgersi allo psicologo come inseribile nelle categorie del
“superfluo”; se proprio necessario si va dallo psichiatra. Già
prima della crisi economica degli ultimi anni, la nostra
categoria veniva vista con sospetto e solo in casi estremi si
faceva ricorso allo psicologo clinico, rivolgendosi a cenacoli
privilegiati
gestiti
da
“sacerdoti”,
solitamente
rappresentanti locali di Istituti di specializzazione, che
smistavano i pazienti ai vari adepti. Quindi oltre al dato
sociale che coinvolge tutto il paese vi è, da sempre, un dato
culturale specifico (un sintomo) legato alla nostra
professione che ha sviluppato un sistema di lavoro privato
definibile di tipo “clientelare”.
Chi scrive è uno psicologo clinico, psicoterapeuta ad
orientamento psicoanalitico, che ha vissuto dal di dentro “la
casta”. Sei anni fa, grazie alla competenza e visibilità che
mi ero costruito nel tempo, decisi di fondare una Associazione
di Promozione Sociale. Uscii dalla gabbia dorata che mi ero
costruito da solo.
Questo preambolo serve a mostrare ai giovani colleghi come
anche io, psicoanalista di professione, ho vissuto sulla mia
pelle la fatica e il timore della “soggettivazione”.
In questi ultimi anni, da presidente di una APS, incontrando
parecchi giovani psicologi, mi sono sempre più chiesto come
mai la nostra categoria sia così frammentata, individualista,
passiva. La crisi economica invece che aumentare il desiderio
di fare gruppo per protestare il proprio dissenso, per
utilizzare spazi formativi di volontariato al fine di
promuoversi e promuovere la categoria, aumenta il fenomeno di
dipendenza, scoramento e anomia. Evidentemente ci troviamo di
fronte ad un paradosso: lo psicologo clinico che spende molti
anni e soldi per formarsi, al fine di aiutare la
soggettivazione dei pazienti, si trova in una difficoltà
“strutturale” a soggettivarsi come professionista emancipato e
autonomo.
Appaiono convergere i dati sopra
sinteticamente di elencare:
esposti
che
cercherò
-un dato umano: la clinica ci insegna come sia difficile per
ogni essere umano passare dalla ambivalente dipendenza nei
confronti delle figure genitoriali idealizzate dell’infanzia
ad uno stato psicologico maturo, autodeterminato e di
spontaneo confronto con l’altro.
-un dato sociale: la crisi attuale incide pesantemente sullo
scoramento dei giovani professionisti di tutte le categorie
professionali.
-un dato culturale: la psicologia clinica continua ad essere
considerata la cenerentola delle professioni mediche. Forse è
per questo che varie categorie “new age” dell’ultima ora si
arrogano il diritto di fare consulenze psicologiche.
-un sintomo: la psicologia clinica nasce con Freud, un medico
ebreo considerato eretico, che fondò una corporazione
costituita da membri da lui stesso analizzati. E’
comprensibile il desiderio inconscio di mantenere in uno stato
di dipendenza affettiva i propri allievi costruendo un gruppo
chiuso e difeso. Una casta.
Arnaldo Novelletto, psicoanalista di fama internazionale e
fondatore della scuola ARPAd in cui mi sono formato così ha
affrontato la questione “soggettivazione” dal punto di vista
psico-sociale,
in
uno
dei
suoi
ultimi
scritti
(“L’Adolescente”, Astrolabio, 2009): “Oggi non si può nemmeno
parlare di stato adulto, perché il funzionamento psichico
adulto non è più riconducibile a un’età, a una situazione o a
una funzione, ma varia da caso a caso e da un ambiente
all’altro. La paura odierna di affrontare il passaggio
trasformativo dell’Io, da un assetto più controllato e
nevrotico a uno più liberale e creativo, con il rischio di
sentirsi alla deriva verso la frammentazione e
disorganizzazione del Sé è la stessa ormai che vivono sia i
giovani che gli adulti. Questa affinità di funzionamento tra
giovane e adulto ci consente di comprendere meglio anche
l’impatto difensivo intergenerazionale, che può verificarsi
tra genitori e figli, in modo tale da produrre una postadolescenza prolungata e un ingresso stentato dei figli nello
stato adulto. Certi giovani, giunti al limite cronologico
dell’adolescente tradizionalmente ritenuto normale, non
riescono a superare la paura di frammentazione del Sé se non
con difese di passività e di rinvio”.
Un disagio questo che attualmente investe anche la nostra
categoria e che è importante cogliere, poiché vi sono giovani
colleghi che lentamente perdono la speranza di trovare aiuto
nel “fare rete”, e segretamente abdicano nei confronti della
propria soggettivazione personale e professionale, sommersi da
un crescente senso di impotenza e disfatta. Sul territorio
riminese, l’associazione di volontariato a cui appartengo,
offre l’opportunità a tutti gli psicologi e ad altre figure
professionali di condividere le proprie aspirazioni, idee e
progetti. Sono presenti multi professionalità che si
confrontano e si compenetrano per essere sinergiche e
propositive nella comunità locale. Le aree di intervento sono
molteplici. Il primo ambito di intervento è prettamente
clinico. L’Associazione, grazie alla collaborazione con
l’Assessorato ai servizi Educativi del Comune, ha realizzato
un progetto rivolto agli adolescenti e ai giovani adulti in
difficoltà. Attraverso questo progetto è stato possibile
offrire gratuitamente uno “spazio di parola e ascolto” per
prevenire e/o affrontare il disagio psichico dei giovani
riminesi. Il progetto si articola in diverse attività
finalizzate ad entrare in contatto con gli adolescenti e i
loro famigliari, attraverso la realizzazione di conferenze,
incontri tematici e cineforum. Il secondo ambito è forense: è
stato messo a punto un corso di psicologia forense minorile
rivolto ai soci, oltre che agli psicologi, medici, avvocati e
assistenti sociali. L’iniziativa ha come particolare obiettivo
quello di far integrare le nostre competenze con quelle degli
avvocati, per far conoscere ed integrare i due ambiti, in
quanto riteniamo debbano concentrarsi su obiettivi comuni. Vi
è una terza area rivolta ai migranti in cui sono impegnati
psicologi, antropologi e mediatori culturali. Infine vi è il
proseguimento di un importante progetto di ricerca, che ha
come finalità principale verificare l’efficacia di uno
sportello di ascolto rivolto ai giovani che si rivolgono al
Pronto Soccorso per incidenti stradali, allo scopo di
prevenire le recidive di incidenti, come emerge dalla
letteratura in materia. Come la mia associazione ve ne sono
tantissime altre, sui vari territori italiani, che funzionano
ottimamente nel “fare rete” e permettono ai giovani colleghi
di conoscersi e farsi conoscere attraverso il servizio di
volontariato. Questa visione di rete e collaborazione fra
diverse figure professionali è ciò che vorrei portare anche
nel mio impegno in Altra Psicologia, da sempre orientata al
“fare rete” e comunità fra i colleghi. Un’idea che, se gestita
all’interno di un Ordine, potrebbe aiutare a ridurre il senso
di isolamento ed impotenza dei colleghi nel loro lavoro
quotidiano.
Psicologo e servizi pubblici:
le criticità e l’impegno di
Altra Psicologia
di Mauro Favaloro
Incontro una collega che lavora in un’altra città e mi dice:
“lo sai che da noi le logopediste non fanno più interventi
riabilitativi, ma è stato chiesto loro di fare solo diagnosi?”
“Come mai?”
“Troppe richieste e troppo poche logopediste ”
“E i bambini chi li tratta ?”
“Mah, andranno nel privato”
Forse le logopediste private potranno fregarsi le mani -pensoma chi ha responsabilità pubbliche non può ignorare le
conseguenze di queste scelte.
Solo una parte di questi bambini, infatti, verranno
riabilitati nel privato, ma un’altra parte si fermerà: sono i
figli di quelle famiglie che, in tempi di crisi, non possono
permettersi di curarli nel sistema privato, perché non ne
possono sostenere l’onerosità.
Anche gli psicologi che operano nei servizi pubblici si
trovano nel bel mezzo di questa crisi che li tocca
personalmente e professionalmente. Se la crisi non tocca
direttamente loro stessi o i loro nuclei familiari, certamente
c’è qualcuno nella loro cerchia parentale o amicale che ne
soffre pienamente le conseguenze.
Professionalmente, la crisi colpisce la loro condizione di
lavoro su più piani:
·
la maggiore precarietà delle figure che operano nei
servizi sociosanitari comporta discontinuità nel rapporto con
l’utenza;
·
l’avvicendamento degli operatori fa perdere la memoria
storica degli interventi svolti e incrementa la sfiducia di
chi si rivolge ai
servizi;
·
viene minata profondamente la possibilità di un
lavoro interprofessionale
L’aumentare del disagio economico concorre ad incrementare il
disagio psicologico, quando non la vera e propria patologia
psichica, cresce la pressione sui servizi, si incrementano i
carichi di lavoro
per gli psicologi. Si insiste sugli
psicologi, come sulle altre figure professionali,
perché
vedano più persone possibili, perché svolgano interventi
brevi, per lasciare spazio alle nuove emergenze che si
susseguono. Nelle aziende sanitarie locali sembra prevalere
una logica per cui ciò che conta è quanti utenti vedi, non
quante situazioni riesci a risolvere
o ad alleviare.
E’ una situazione che non ha gli stessi effetti sulle diverse
professioni. Uno psichiatra chiamato a vedere con tempi
contingentati i suoi pazienti può privilegiare interventi
prevalentemente farmacologici o ritagliarsi la dimensione
della diagnosi,
delegando ad altre figure la cura. Uno
psicologo come può esercitare adeguatamente la propria
professione se non gli viene dato il tempo di realizzare quel
processo così ben descritto ne “Il
piccolo principe” di
avvicinarsi ad una persona, rispettarne i tempi, acquisirne la
fiducia e poi accompagnarla nel percorso finché non ha
riacquistato la capacità di riprendere il proprio cammino?
La progressiva medicalizzazione dei servizi rivolti alle
persone in disagio produce effetti collusivi sull’utenza: un
sistema che privilegia il ricorso al farmaco produce utenti
che richiedono di stare rapidamente meglio senza assumersi
particolari responsabilità nell’affrontare le cause della
propria sofferenza e nel determinare
il superamento dei
propri problemi. In sostanza, si producono utenti dipendenti
dal farmaco. Se il farmaco non produrrà gli effetti richiesti,
non si metterà in discussione la forma di aiuto necessario, ma
si cambierà il farmaco.
Non è possibile pensare che una persona che si rivolga al
servizio pubblico perché veramente in difficoltà, una volta
accertato il suo bisogno di sostegno psicologico, si debba
sentire dire che non è possibile fruire di interventi
adeguati: “cara signora, suo figlio ha un mutismo selettivo,
la saluto, avanti il prossimo”
In questo quadro il lavoro in équipe e il tempo investito in
formazione possono
essere visti, anche dagli psicologi
stessi, come un lusso, od addirittura come una perdita di
tempo.
Se si accetta che la presenza degli psicologi nei servizi
continui ad essere insufficiente (e che quindi siano
stracarichi di situazioni) e che svolgano il proprio lavoro in
condizioni che non permettono loro di usare la propria
competenza professionale, accetteremo
anche che il suo
intervento sarà sempre meno efficace e spezzeremo una lancia a
favore di coloro che dicono che gli psicologi nei servizi non
servono (e che ogni volta che uno psicologo va in pensione
propongono di
trasformare il suo posto in un posto per
medici).
Lo psicologo del servizio pubblico nella quotidianità si trova
di fronte a una pluralità di dilemmi. Ad esempio: se avverte
che una persona ha bisogno di una psicoterapia che lui non può
garantire, non può neanche prendere l’iniziativa di fare un
invio presso un privato da lui conosciuto, di cui si fida e
con cui ha la possibilità di mantenere dei rapporti per sapere
come viene seguito il paziente.
Non è etico e l’istituzione può sospettare che ci sia un
accordo di tipo economico tra l’inviante e il privato. Ma
anche non dare indicazioni può essere considerato non etico,
perché si espone la persona in difficoltà al rischio di
rivolgersi a professionisti non sufficientemente qualificati o
molto lontani dall’idea di collaborare con i servizi pubblici.
In sostanza, in questo passaggio si rinuncia a mettere a
disposizione la propria conoscenza ed esperienza.
Ma bisogna anche dire che gli psicologi hanno una grande
capacità di resilienza, non si limitano a subire ma trovano
risposte adeguate alle situazioni e riescono, in alcune
realtà, a modificare le situazioni stesse, ad esempio,
elaborando progetti che permettono l’accesso a fondi che
sostengono esperienze di qualità, che talvolta raggiungono
l’eccellenza, convincendo i loro Dirigenti a sperimentare
risposte nuove.
Gli psicologi, in particolare, hanno sempre più imparato a
sollecitare nelle persone in difficoltà l’individuazione e
l’utilizzo delle proprie risorse personali nell’affrontare le
proprie difficoltà, ad aiutare le persone ad andare oltre il
contesto del sostegno psicologico, quantitativamente
impoverito e a guardarsi intorno per vedere se, nella cerchia
parentale od amicale, ci siano risorse positive da coinvolgere
e schierare al proprio fianco, a non rimanere da soli con il
proprio disagio, ma cercare di fruire di quelle forme
collettive (come ad esempio i gruppi di mutuo aiuto) che il
pubblico stesso e più diffusamente il privato promuovono.
Non rimanere da soli ad affrontare il disagio della propria
condizione, ma guardarsi intorno, individuare ed utilizzare
al
massimo le risorse esistenti dentro e fuori di sé ,
pensare a se stessi non solo come persone
che vivono un
disagio, ma come persone con potenzialità ancora inespresse,
portatrici di una esperienza che può essere utile ad altri in
un mutuo scambio per imparare dalle esperienze
e trovare
insieme soluzioni, idee innovative, sperimentando ed offrendo
solidarietà
e vicinanza perché anche questo aiuta ad
affrontare il quotidiano. Insomma: prendere in mano la propria
condizione di disagio e affrontarla insieme agli altri che
vivono gli stessi problemi. Tutte queste sono parole d’ordine
adatte alla fase che stiamo attraversando…già, ma lo psicologo
riesce a fare questo per sé stesso?
L’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del consiglio
dell’Ordine degli psicologi è un’occasione per riflettere
sulla propria condizione e sulle azioni possibili per
trasformarla. Una pausa nella quotidianità, uno spazio per il
pensiero, un momento di cura verso sé stessi e di
ricanalizzazione di energie che, almeno ogni quattro anni, è
doveroso concedersi.
I temi che seguono sono solo alcuni di quelli che
costituiscono la piattaforma elettorale di Altra Psicologia
che adesso viene sottoposta a verifiche ed integrazioni in una
serie di incontri che verranno organizzati in tutta la
regione. Vorremmo capire assieme agli psicologi che lavorano
nei servizi pubblici e a tutti gli altri, se e quanto
l’insieme delle azioni previste dai candidati di Altra
Psicologia sono adeguate per trasformare l‘Ordine in quel
centro di servizi, in quella “casa delle opportunità” che può
essere l’ambito di tutela, di sostegno e di sviluppo della
professione e perché nessun psicologo possa sentirsi solo nel
proprio disagio professionale. Ecco i punti:
Per contrastare la progressiva precarizzazione e riduzione
della presenza degli psicologi nei servizi pubblici e il
deterioramento della loro condizione di lavoro, l’Ordine
intende partecipare attivamente alla definizione delle
politiche sociosanitarie della Regione e sostenendo i colleghi
del SSN chiamati a prendere parte ai tavoli regionali per la
sanità e il sociale. Insieme si potrà operare per
valorizzare
la presenza e il ruolo degli psicologi nei
servizi pubblici
La valorizzazione si realizzerà anche attraverso la promozione
della figura dello psicologo come formatore a partire dal
rapporto con l’Università cui va chiesto che l’esperienza
degli psicologi che lavorano nei servizi territoriali entri
nelle aule universitarie per contribuire a formare psicologi
che conoscano le realtà dei servizi e le migliori pratiche
professionali
Gli psicologi che operano nel pubblico, ma non solo, sono
esposti a semplificazioni, banalizzazioni e talvolta a vere e
proprie mistificazioni ed accuse, specialmente quando ci si
trova di fronte a brutti episodi di cronaca dove le persone
coinvolte risultano seguite da uno psicologo. L’impegno di
Altra Psicologia è perché l’Ordine eserciti un contatto
costante con le redazioni giornalistiche, per promuovere una
corretta rappresentazione della nostra professione e per
esercitare un azione di contrasto e correttiva in occasione di
specifici episodi in cui l’attività dello psicologo viene
rappresentata
in forma travisata. A tale scopo Altra
Psicologia si propone di attivare un gruppo di lavoro
integrato (consiglieri e colleghi esperti) che presidierà
questi aspetti tutelando l’immagine dei professionisti
Altra Psicologia si impegna ad implementare i rapporti con
altri Ordini professionali al fine di condividere obiettivi,
esperienze di formazione, campagne o azioni su temi di
interesse comune, nonché promuovere e qualificare le occasioni
di collaborazione interprofessionale nel rispetto delle
reciproche competenze e specificità
Altra Psicologia intende attivare o ampliare la gamma dei
servizi che l’Ordine offre agli iscritti:
le consulenze volte a sostenere la pratica professionale in
tutti i suoi aspetti deontologici e di tutela della propria
specificità ed autonomia professionale;
la biblioteca dei test
il servizio di consulenza e accompagnamento alla stesura di
progetti per la raccolta fondi;
un sistema di formazione gratuita qualificata per gli
iscritti, perché l’obbligo formativo sia
un’occasione per
innalzare il livello qualitativo e l’immagine sociale della
categoria;
la disponibilità della sede per incontri fra iscritti, anche
per la presentazioni ai colleghi di proprie pubblicazioni o
progetti e creazione di una piattaforma virtuale da rendere
disponibile ai colleghi per incontri e presentazioni online;
la promozione e implementazione (sulla base dell’interesse
espresso dai colleghi) di gruppi di lavoro tematici su diverse
aree della psicologia: clinica, forense, neuropsicologica, del
lavoro, scolastica, ecc.;
l e Convenzioni mirate a ridurre
utilità
i costi per servizi di
per i colleghi;
la rigorosa sorveglianza sull’applicazione del
Deontologico;
Codice
l’Osservatorio Permanente su Gare e Concorsi per promuovere
presso i diversi soggetti le corrette indicazioni sulla
attribuzione di incarichi che prevedano attività proprie dello
psicologo e intercetti quei bandi e concorsi quelli aperti a
categorie senza requisiti o preclusi agli psicologi contro
norme che prevedono, invece, la loro possibilità di
partecipazione.
Con Altra Psicologia l’Ordine deve diventare, più di quanto
sia stato finora, la “casa delle opportunità” per tutti gli
psicologi. Una casa trasparente: i bilanci, i verbali e le
delibere adottate dall’Ordine saranno resi pubblici e le
sedute aperte alla partecipazione, come uditori, degli
iscritti. Una casa accessibile attraverso la disponibilità di
una piattaforma online e la presenza settimanale in sede
garantita di un Consigliere per ascoltare colleghi e loro
richieste/proposte.
Una casa dove ci si senta “ a casa
propria” e che possa essere abituale luogo di incontro per gli
iscritti e con le loro forme associative.
Una casa interattiva, strumento di comunicazione e promozione
della professione in tutti i siti professionali e “social”,
nei confronti dei cittadini,
delle istituzioni
e degli
stessi iscritti. Ciò attraverso quelle infrastrutture digitali
(forum, archivio documenti, piattaforme di discussione, ecc.)
capaci di facilitare e rendere strutturale la collaborazione
tra colleghi, lo scambio di buone prassi e strumenti di
lavoro, in un’ottica di reciproca positiva collaborazione che
faccia sentire ogni psicologo pienamente parte della comunità
professionale.
Questa la nostra visione, queste le nostre proposte.
Aspettiamo adesso il vostro contributo soprattutto nei momenti
di incontro di cui vi informeremo tempestivamente, ma anche
attraverso le e-mail che vorrete inviarci ed il contatto
diretto con i candidati.
Cari colleghi “raise your voices” “ e non solo quelle
questo è il momento per farlo
che
http://www.youtube.com/watch?v=CyHMVQipDLI
L'importanza di fare rete
di Maria Antonietta Bongiorni
Il tema della solitudine professionale, del senso di
isolamento e della mancanza di occasioni di confronto tra
colleghi è un tema che ricorre in diverse categorie
professionali e anche noi psicologi non ne siamo immuni. Ma
allora cosa ci impedisce di uscire dalla solitudine e fare
rete?
ATTO PRIMO: CONSCIO
Il dott. Psycho entra nel suo studio e legge le e-mail.
“Bene! Il collega mi invita ad un gruppo di intervisione con
altri colleghi, meno male! Avrei proprio bisogno di una mano,
con la sig.ra Rossi non cavo un ragno da un buco… e poi, sono
mesi che non parlo con qualcuno del mio lavoro, mi sento solo.
Inoltre, non mi intendo di psicologia infantile e la Rossi mi
ha chiesto un parere per la figlia, chissà…. magari mi faccio
dare una mano”
ATTO SECONDO: INCONSCIO
“Aspetta un attimo, il collega non lo conosco bene, forse è
meglio se porto il caso del sig. Bianchi che sto risolvendo
così brillantemente, non vorrei fare la figura
dell’incompetente, mi sento solo… dopotutto il mio lavoro è
fatto così, meglio lavorar per conto proprio che dover
riferire a qualcuno, e poi… è vero che non mi intendo di
psicologia infantile, ma dopotutto sono perfettamente in grado
di aiutare la figlia della sig.ra Rossi, mica ci vorrà uno
così esperto!!!”
“Ohhh peccato! Proprio quella sera ho
improrogabile… sarà per un’altra volta!”
un
impegno
Ho voluto usare questo sketch per rappresentare una realtà che
credo appartenga profondamente alla nostra categoria
professionale: le due anime dello psicologo che da una parte
si lamenta della scarsità di condivisione coi colleghi, della
mancanza di occasioni di scambio, della solitudine
professionale, e dall’altro vive spesso una dimensione
narcisistica e autoreferenziale che lo porta a vivere il
mestiere in solitudine.
Il senso di questa mia riflessione non è quello di fare il
genitore critico sottolineando o denunciando una scarsa
volontà dello psicologo di fare rete, perché ritengo che la
maggior parte degli psicologi ne riconoscano il valore: è
nella relazione che si cresce! Lo professiamo, lo insegniamo,
lo coltiviamo. Non penso a noi psicologi come a degli ipocriti
a tal punto, ma allora come mai è ancora così difficile fare
rete?
Io credo che spesso affrontiamo il nostro lavoro con le paure
dei bambini perché sentiamo la nostra professione e la nostra
professionalità non ancora sufficientemente riconosciute,
valutate e difese dalle istituzioni e dalla società.
Come nei bambini le paure di cui sto parlando sono paure
semplici. La paura di fare brutta figura, la paura che
qualcuno sia più bravo di noi e ci porti via il lavoro, la
paura che non ce ne sia abbastanza per tutti. Quando un
bambino non si sente sufficientemente protetto si rifugia nel
narcisismo e nell’esaltazione di sé e quindi si allontana dal
confronto.
Come psicologi sappiamo che per crescere è importante
affrontare le paure all’interno della relazione e quindi anche
noi non possiamo lasciarci dominare dalle stesse e pensare di
crescere ed evolverci professionalmente eliminando il rapporto
con i colleghi.
Inoltre è attraverso il legame che si crea un senso di
appartenenza, che è a sua volta motore dello scambio e del
mutuo aiuto in una visione circolare e dinamica.
Come la stessa storia ci insegna, un forte senso di
appartenenza dà forza e coraggio all’individuo che più
facilmente è portato ad agire non solo per sé ma per il bene
comune.
La realtà è che se procediamo insieme, se facciamo rete non ci
verrà tolto qualcosa, non ci impoveriremo, ma al contrario si
creeranno nuove opportunità, anche di lavoro. Stare nel gruppo
ad esempio permette di conoscere prima e meglio le
informazioni che riguardano la professione.
Questa visione di gruppo e di confronto è un caposaldo di
AltraPsicologia, un’associazione di psicologi da sempre
presente sia con informazioni su ciò che accade nel panorama
professionale, sia con attività ed iniziative (un esempio
recente lo speeddate professionale) che hanno proprio
l’obiettivo di informare, promuovere, tutelare e sostenere gli
psicologi nella loro professione.
Lo psicologo
perché?
in
ospedale:
di Daniela Rossetti
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute:
“uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e
non la semplice assenza dello stato di malattia o di
infermità”. Nella realtà italiana la presa in carico
psicologica, a cui compete la componente “mentale” della
salute, viene spesso posta in secondo piano nelle strutture
ospedaliere come emerge dall’articolo scritto da Paolo Bozzaro
“La Psicologia Ospedaliera” che evidenzia che su un totale di
5.638 psicologi nel SSN solo 942 lavorano in ospedale e in
pochi lavorano a tempo pieno nei presidi ospedalieri.
Ma il dolore che spesso accompagna la condizione di malattia
non è solo la sensazione di sofferenza fisica, ma anche la
sensazione di sofferenza morale, è afflizione d’animo;
dispiacere e affanno. Non sempre può essere curato dai
farmaci, ad esempio quando si parla di dolore neuropatico o
psicologico. Questi esempi di dolore si ritrovano molto spesso
all’interno degli ospedali eppure non altrettanto spesso si
può notare un intervento attivo e continuativo oltre che
globale di presa in carico da parte degli psicologi nonostante
molti studi mostrino come la farmacoterapia unita ad una
terapia psicologica aumenti la possibilità di compliance.
Lo psicologo ospedaliero non ha solo l’importante funzione di
supportare le persone che hanno necessità di rimanere, per
periodi più o meno lunghi, all’interno della struttura
ospedaliera; ma ha anche quella fondamentale di sostenere gli
operatori stessi, di mediare il rapporto tra operatori e
pazienti oltre che tra operatori e famigliari, fondamentale in
situazioni di emergenza come ad esempio all’interno di un
Pronto Soccorso. Ciò che facilita nelle relazioni di aiuto è
la costruzione di un ambiente che faccia le funzioni di
“holding”, come diceva Winnicott, cioè di uno spazio fisico e
psichico che abbia la capacità di contenimento
dell’espressione dei vissuti e delle angosce delle persone.
Sappiamo che luoghi come gli ospedali sono strutture dove il
contagio della sofferenza è evidente, quindi l’intervento
dello psicologo è fondamentale anche a livello di consulenza
diretta all’operatore. Le finalità dell’intervento psicologico
con gli operatori sono rivolte a individuare elementi che
producono disagio e a definire strategie congrue per
relazionarsi con famigliari e pazienti; inoltre, lo psicologo
in ospedale facilita l’individuazione di eventuali
problematiche ricorrenti, che possano meritare la
progettazione di azioni aziendali di carattere preventivo o di
contenimento rispetto al rischio di burn out o stress da
lavoro correlato.
Lo psicologo che lavora in un ospedale si pone come obiettivo
quello di migliorare la qualità globale del processo di cura,
assistenza e riabilitazione, lavorando sulle rappresentazione
e sulle risonanze emotive sviluppate da malati, operatori e
famigliari. L’ospedale può “contenere” e “amplificare” (“La
Psicologia Ospedaliera” Paolo Bozzaro) tali risonanze ed è
indispensabile una figura che sia in grado di riconoscere gli
aspetti psicologici che potrebbero oltre che rallentare il
processo di guarigione anche interferire nel lavoro medico.
Alcune indagini mostrano come lo stress psicologico aumenti
del 40% il tempo di guarigione delle ferite chirurgiche
(Marucha et al 1998; Bosch et al. 2007; Gouin et al. 2007);
altre evidenziano la possibilità di ridurre i costi sanitari
che certe malattie comportano e di conseguenza produrre
risparmi per le persone e per il Sistema Sanitario (l’indagine
svolta da Melek e Norris nel 2008 sui dati di 9 milioni di
cittadini USA mostra come “la presenza di un problema
psicologico aumenti i costi, a seconda dei casi, tra il 33% e
il 169%”).
Se consideriamo gli importanti interventi che lo psicologo può
svolgere all’interno dell’ospedale non si può pensare che le
conoscenze e le abilità necessarie si acquisiscano solo nella
pratica, ma sarebbe necessario prevedere un’adeguata
formazione da parte dell’Ordine, oltre che dalle Università.
Rispetto a questo AltraPsicologia, nel suo intento di
promuovere un miglioramento delle condizioni degli Psicologi
iscritti all’Ordine e della Psicologia in generale, si propone
di pianificare iniziative volte alla promozione della
professione anche e specialmente in queste aree che, proprio
perché solitamente meno considerate e spesso osteggiate dalle
altre professionalità sanitarie, richiedono di essere
maggiormente salvaguardate.
Negli ultimi anni si parla molto di “umanizzazione” e di
“personalizzazione” delle cure e di mettere “la persona al
centro”; questo approccio non può prescindere dall’attenzione
alla componente psicologica delle persone, quindi dalla
necessità di figure professionali come quella dello psicologo
all’interno delle strutture ospedaliere che primariamente si
occupano della cura delle persone.
La Psicologia Scolastica in
Italia: lo stato delle cose.
di Ruben Lazzerini
AP si era occupata di dare segnalazione della situazione
della Psicologia scolastica in Italia già all’indomani dei
primi disegni di legge ormai datati inizio anni 2000 dove si
ricordava che dal 1997 erano stati presentati ben sette
disegni di legge che prevedevano l’istituzione dei servizi
di psicologia scolastica (indicati con i numeri 1829, 2888,
2967, 3345, 3620, 3866-A).
L’articolo ricordava che l’ultimo riferimento legislativo
era un disegno di legge (998) che unificava tutti i
precedenti tentativi di normare la disciplina ed era
approdato alla nuova legislatura (la XIV) in attesa di
approvazione. Dopodiché della legge si erano perse le
tracce. In questi ultimi anni si è ritrovato un nuovo
riferimento con la proposta di legge d’iniziativa del
deputato Carlucci presentata il 18 Febbraio 2011 alla camera
dei Deputati ( XVI legislatura) con il numero 4105 avente
come Titolo “Istituzione sperimentale del servizio di
psicologia scolastica”.
Cosa c’è di nuovo? Leggendo la proposta di legge sembra che
nulla sia cambiato rispetto alle precedenti disposizioni di
legge: già il titolo ribadisce che non si tratta di
predisporre una legge di istituzione di un servizio ormai
ritenuto essenziale (non tenendo conto di quanto ormai sia
acclarata l’importanza di sostenere la presenza della
psicologia nell’Istituzione scolastica, confermata dai
risultati positivi di molte esperienze attuate nell’ultimo
decennio) ma di sottoporlo ancora ad una fase sperimentale.
Nell’introduzione si ribadisce l’importanza di promuovere le
attività per il benessere psicologico del bambino:
“l’ascolto psicologico costituisce una importante valvola di
sfogo, talvolta proprio l’unica in grado di conservare al
bambino quella possibilità di sviluppo libero e costruttivo
che anche la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a
New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge n.
176 del 1991, afferma essergli sempre e comunque dovuta”. Da
notare come viene banalizzato il nostro intervento
professionale (“una importante valvola di sfogo”).
E poco più avanti si fa autocritica affermando “Così tutti i
princìpi di civiltà, che hanno indotto i Paesi civili a
devolvere alla scuola in media uno su quattro dei loro
psicologi, vengono incredibilmente calpestati nel nostro
Paese, a causa dell’errata applicazione di una legge che
doveva razionalizzare la distribuzione delle risorse
professionali più verso la prevenzione che verso la cura e
proprio in uno dei settori dove la differenza di costi tra
prevenzione e cura è più macroscopica”, e arrivando alle
conclusioni “La scuola deve poter offrire ai minori questo
servizio, prima che essi ne dimostrino il bisogno
conclamato; lo deve poter offrire a porte aperte, senza la
precostituzione dell’armamentario delle diagnosi, delle
prescrizioni, degli invii e delle cure, ormai inefficaci
perché tardivi.
E precisamente questa mera possibilità, senza alcun obbligo
attuativo, si riapre con la presente proposta di legge.”
Più avanti si da spiegazione sul perché il percorso della
precedente legge non fu sostenuto completamente: il
finanziamento era così esiguo da non meritare di considerare
l’esperimento significativo e così come d’incanto invece di
predisporre nuovi finanziamenti per dar corso alla legge ci
si dimentica dei buoni propositi legislativi di quei
parlamentari illuminati che l’avevano votata.
L’articolo primo della presente proposta rinnova alle
regioni il compito di istituire il servizio sperimentale di
Psicologia scolastica durante il triennio successivo
all’approvazione della stessa.
Le finalità saranno quelle di “supporto all’attività delle
singole istituzioni scolastiche e delle famiglie”, e “di
contribuire al miglioramento della vita scolastica
sostenendo lo sviluppo armonico dell’alunno e operando per
la prevenzione del disagio sociale e relazionale.”
L’art. secondo sottolinea le modalità organizzative del
servizio prevedendo il ricorso a strutture specializzate o a
singoli professionisti iscritti all’Ordine professionale
(non specificando il nostro ma dandolo per scontato visto
che gli interventi psicologici le possiamo fare solo noi!)
attraverso convenzioni stipulate nel rispetto della legge
vigente per fronteggiare anche con criteri di continuità le
esigenze rilevate.
Si stabilisce l’ammontare del nuovo finanziamento per il
triennio 2011-2013 in totale poco più di quattro milioni di
euro distribuiti tra tutte le province italiane.
L’art. tre entra in merito ai compiti o alle attività svolte
dal servizio di Psicologia scolastica e vale la pena
riportarlo integralmente:
“a) attività
alunni e ai
individuale.
alunni sono
genitori;
di consulenza e di sostegno ai docenti,
loro genitori sia in forma collegiale
Gli interventi di consulenza individuale
effettuati di norma con il consenso
agli
che
agli
dei
b) partecipazione alla progettazione e alla valutazione di
iniziative, sperimentazioni e ricerche che riguardano
l’organizzazione del servizio scolastico nel suo complesso o
nei suoi settori organici;
c) promozione di attività di formazione per gli operatori
scolastici;
d) attività di orientamento e di collegamento per e con i
genitori finalizzata alla promozione e al coordinamento
delle attività di orientamento scolastico e professionale,
alla promozione di studi sui fenomeni di abbandono e di
insuccesso scolastici, nonché alla promozione di un clima
collaborativo all’interno della scuola e tra la scuola e la
famiglia.”
Oltre alla tipica attività di consulenza psicologica rivolta
a tutti gli attori del sistema scolastico (docenti, alunni e
genitori) si estende la nostra presenza anche
all’organizzazione scolastica (la scuola nel suo complesso,
consulenza alla direzione scolastica per migliorare il
funzionamento del sistema nel suo insieme), alla formazione
degli operatori, all’orientamento scolastico, alla
prevenzione della dispersione scolastica e del disagio
giovanile, migliorando il rapporto collaborativo tra scuola
e famiglia.
Leggendo tra le righe possiamo dire che viene riconosciuto
alla Psicologo la competenza sui processi di apprendimento,
sulla prevenzione delle discriminazioni culturali,
attraverso percorsi di integrazione della multiculturalità,
di inserimento di bambini con difficoltà, mediante percorsi
di educazione socio-affettiva per il miglioramento degli
stili comunicativi e relazionali tra gli alunni.
Alla luce di quest’ultima dichiarazione di volontà del
legislatore di sostenere tutte queste iniziative noi non
possiamo che vedere finalmente legittimate le nostre idee e
il nostro spazio professionale e anche se ancora una volta
si parla di sperimentazione e di un tetto finanziario
disponibile (dividendo i 4 milioni per tutte le provincie
italiane, 107, si può prevedere circa 40 mila euro per
provincia… per ogni comune d’Italia qualche spicciolo
insignificante) che non lascia contenti quei colleghi che
negli anni hanno acquisito competenze specifiche e che si
vedono negati spazi professionali solo perché non ci sono
finanziamenti statali.
Ma questo è ancora tutta una fase sperimentale che come poi
afferma l’art. 4 dai risultati emersi da questa ricerca si
trarranno delle conclusioni per avviare dei conseguenti
provvedimenti.
Perciò il cammino è ancora lungo e Altra Psicologia
continuerà a chiedere nei luoghi competenti di riconoscere
alla professione competenze consolidate e specializzate nel
lavoro psicologico con i minori, in questo caso all’interno
della scuola, potendo avere garanzia della continuità degli
interventi come condizione necessaria per ottenere risultati
positivi.
Cronaca di una psicologa del
lavoro…disoccupata!
di Federica Modena
Quando mi capita di dire a qualcuno che mi occupo di
psicologia del lavoro se tutto va bene mi dicono:” Cioè
??????”..con gli occhi sgranati, se va male mi dicono: “ Ma se
il lavoro non c’è!!! Ma cosa fai??????”.
Il bello è che chi me lo chiede non è solo il falegname del
paese in cui vivo, ma anche manager e imprenditori, titolari
di piccole medie imprese che rappresentano la maggioranza
della nostra realtà produttiva.
All’insegna del “primum vivere deinde psicanalizzare”..!!!!!!
Mai come in questi anni la figura dello psicologo del lavoro
appare un investimento assurdo privo di significato, visto che
il lavoro vero concreto manca…..ma cosa può fare uno psicologo
del lavoro?
In realtà è vero l’esatto opposto e proverò a dimostrarvelo.
Voi direte ma come ??? Come????
Innanzi tutto proviamo a far capire chi è e cosa fa lo
psicologo del lavoro.
Lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni si occupa del
rapporto fra individuo e organizzazione, si tratta di una
serie di funzioni connesse all’acquisizione (reclutamento e
lezione) alla gestione ( valutazione, incentivazione,
mobilità interna) e allo sviluppo delle risorse umane; alla
comunicazione interna; al marketing; alla ricerca
organizzativa; alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
all’ergonomia degli ambienti; all’outplacement all’analisi e
alla trasformazione della cultura organizzativa. Inoltre
svolge attività di career counseling, ossia di consulenza
individuale per la carriera, sia per le persone in cerca di
occupazione, che per quelle già occupate che intendono
modificare la loro collocazione professionale.
È un professionista che esprime una competenza psicologica
clinica-organizzativa orientata all’attivazione di dinamiche
relazionali al contempo efficaci e soddisfacenti (per il
singolo e i gruppi).
Provo a chiarire concretamente….lo psicologo del lavoro è una
figura che mai come oggi risulta fondamentale per ciò che
viene definita dai mass media, la grande sfida dell’Italia:
riprendere competitività!
Come? Promuovendo la qualità del lavoro, che passa attraverso
le persone che operano nei contesti produttivi; solo
investendo sull’uomo si può recuperare competitività, perché
se il lavoratore sta male (mobbing, stress…malesseri,
frustrazione…) la stessa azienda ne soffre in termini di
perdita di efficienza e produttività, poiché questo si
concretizza nel lavorare male, nell’assenteismo, nelle
situazioni di malessere fisico che in realtà di fisico hanno
poco….nel nascondersi o farsi seppellire dalle procedure…. dal
“qui si dice e quindi”….e quindi non si risolve nulla, se non
aumentare le spese della sanità pubblica per assenze
giustificate….o ingiustificate….
Lo Stato intanto da parte sua tampona e mette pezze facendo
uscire normative sullo stress lavoro correlato che comprendono
la valutazione soggettiva del suddetto (finalmente io
lavoratore posso riportare il mio vissuto!), ma che alla fine
si trasformano in un’ulteriore burocrazia e in moduli di carta
da compilare. Valutazioni svolte da ingegneri, medici del
lavoro e tecnici della qualità, geometri, che portano ad
interventi di correzione che di soggettivo hanno poco e di
(benessere) lavorativo meno..
Perché alla fine: “lo stress c’è l’ho io mica te”……e qui Vasco
ci insegna molto!
Caro collega chi scrive è una psicologa come te che
rispettosamente ti chiede di spendere un po’ del tuo tempo per
leggere il programma di Altra Psicologia, dove incredibile,
incredibile la parola psicologo del lavoro non solo compare,
ma prende posizione ed entra nel sociale attraverso la carta
di identità dello psicologo. Lo psicologo esce dallo
stereotipo del clinico freudiano arroccato nel suo studio con
divanetto di pelle umana, ed evolve in una figura affidabile
moderna in grado di rispondere alle attuali esigenze del
sociale, fra cui in primis quella del lavoro.
La psicologia ha la necessità di affermare il proprio ruolo e
la propria rilevanza sociale, noi di AP intendiamo aprire una
prospettiva di dialogo con la comunità culturale, scientifica
e politica entrando nel dibattito in corso, facendo risaltare
il valore delle nostre competenze, della nostra
professionalità declinandola negli ampi ambiti che la
contemporaneità propone, in primis il lavoro.
Il cappello dello psicologo
ovvero
Ordine
ed
ENPAP,
tutela e previdenza.
di Ambra Cavina
Ho una vecchia e cara amica, psicologa e psicoterapeuta
esperta, con incarichi di responsabilità. Abbiamo frequentato
insieme l’Università, cariche di entusiasmo per la disciplina
e per una professione nel cui valore sociale credevamo
profondamente. Allora, pensavamo che la Società avrebbe sempre
più riconosciuto questo valore e di seguito, le nostre fatiche
formative e lavorative sarebbero state in qualche forma
ricompensate.
Al nostro ultimo incontro, confrontandoci, ci siamo accorte
che entrambe potevamo ancora credere nel valore della nostra
professione, ma lei non poteva più credere che ci sarebbe
stato prima o poi un riconoscimento sociale della stessa.
Ha esclamato: “Se tornassi indietro, mai più! Troppa fatica,
troppa frustrazione, troppa precarietà, poca tutela e nessun
riconoscimento, neanche la pensione…solo le tasse, l’Ordine e
l’ENPAP!”.
Non entro nel merito della nostra precarietà lavorativa e
delle inevitabili frustrazioni professionali, deve aver avuto
una settimana pesante!…è una libera professionista da sempre,
quindi conosce molto bene una realtà lavorativa fatta di
precarietà, flessibilità, dinamismo, ricerca, promozione,
passione, formazione costante e spesso tanta solitudine.
Sento l’obbligo di entrare nel merito della tutela della
professione e in particolare della previdenza, quindi Ordine
ed ENPAP, sento l’obbligo di recuperare il senso di queste due
istituzioni. Lo devo a lei e al suo impegno professionale, lo
devo ai nostri sogni, perché esistono i sogni dei più giovani
con le loro difficoltà occupazionali ed esistono i sogni dei
meno giovani con le loro gratificazioni mancate e/o
aspettative frustrate e una strada ancora tutta in salita.
Parto dalla previdenza, poiché riconosco una valenza
meritocratica e di riconoscimento sociale alla pensione, come
a dire a un proprio contributo alla società corrisponde una
ricompensa della stessa, il proprio lavoro è socialmente
riconosciuto.
Dimentico la psicologia e parto dal “mal comune, mezzo
gaudio”: dopo le riforme previdenziali Dini (1995) e Fornero
(2011) la situazione previdenziale è diventata più dura per
tutti, c’è stato il passaggio dal sistema retributivo a quello
contributivo e l’innalzamento dell’età pensionabile. È stata
introdotta la previdenza complementare e progressivamente è
diventata prassi comune tutelarsi, aprendo un proprio fondo
pensionistico e/o assicurativo.
Naturalmente ottengo un suo ironico: “Dovrei essere sollevata
dal fatto che progressivamente si vada al ribasso per tutti?
Che sia più difficile per tutti?”. Già, non sono stata una
gran psicologa!
Ricomincio…dalla Storia, la storia costruisce l’identità
sociale, può restituirle il senso delle istituzioni e fare
chiarezza su due enti, l’Ordine e l’ENPAP, che ci appartengono
e che pur avendo origine, compiti e struttura molto diversi
capita spesso vengano confusi e identificati come una tassa in
più da pagare, un tributo per poter praticare la professione.
Il nostro sistema pensionistico, oltre alle forme di
previdenza dei lavoratori dipendenti e autonomi, ha previsto
forme obbligatorie di previdenza per i liberi professionisti.
Le Casse di previdenza sono gli enti previdenziali di
riferimento per i liberi professionisti iscritti agli Albi
professionali, che sono obbligati ad iscriversi alla propria
Cassa di riferimento e a versare regolarmente i contributi
previdenziali richiesti dalla stessa. Come gli enti pubblici
previdenziali, sono enti impositori in quanto obbligano i
soggetti al pagamento dei contributi previdenziali e
assistenziali. Le Casse di previdenza, pur essendo autonome,
private (D.lg. 509/1994) e finanziate completamente dai propri
iscritti, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e di quello dell’Economia. È
col D.lg. 103/1996 che viene assicurata la tutela
previdenziale obbligatoria nei confronti dei soggetti che
svolgono attività autonoma di libera professione.
Le Casse previdenziali nascono con lo scopo di assicurare la
tutela previdenziale anche ai soggetti che svolgono attività
autonoma di libera professione senza vincolo di
subordinazione. L’ENPAP è tra le casse previdenziali nate
proprio col D.lg. 103/1996. L’ENPAP stessa si definisce come
una fondazione di diritto privato che si occupa della
previdenza obbligatoria e della tutela degli psicologi che
esercitano la propria attività in forma di libera professione,
erogando pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti,
nonché indennità di maternità.
Dobbiamo dunque pensare a questo ente come a un diritto e non
solo come un dovere, poiché, con tutti i suoi limiti e a
dispetto dei recenti scandali, è nata per dare anche a noi,
psicologi liberi professionisti, una tutela previdenziale e
assistenziale. Lo psicologo libero professionista può avere
come tutti l’aspettativa di “attaccare il cappello al chiodo”:
deve arrivare ai suoi 65 anni di età, aver versato almeno 5
anni di contributi e moltiplicando il totale dei contributi
versati per un determinato coefficiente, dato dall’età, sapere
la propria pensione annuale.
Dovrei parlare non solo dei contributi previdenziali, ma anche
di quelli assistenziali come malattia/infortunio o maternità.
Sulla malattia/infortunio mi limito a citare il diritto
all’indennità di malattia, secondo le nuove regole che il sito
dell’ENPAP riporta, per cui si può richiedere un indennizzo
per i periodi di malattia/infortunio superiori ai 7 giorni.
Dubito della qualità dell’informazione tra i liberi
professionisti su quelli che sono i loro diritti, questa è una
lacuna che andrebbe colmata, non ci si può lamentare di ciò
che non si conosce e di seguito non lo si può migliorare.
Ho ottenuto dalla mia amica un “cercherò di pensare alla
nostra Cassa di previdenza come a una piccola INPS…” e io
commento “…però una piccola INPS di cui puoi eleggere gli
organi amministrativi…” nell’obbligatorietà del versamento
contributivo, non va dimenticato il potere del nostro diritto
di voto!
L’ENPAP dà tutela e riconoscimento alla professione da un
punto di vista previdenziale e assistenziale a livello
nazionale ed è sì un ente previdenziale impositore, come
l’INPS, ma pur nell’obbligatorietà del versamento
contributivo, noi psicologi abbiamo un potere che non si può
dimenticare, quello del nostro diritto di voto, noi eleggiamo
direttamente gli organi amministrativi che si occupano dei
nostri contributi previdenziali. Attraverso le elezioni, noi
determiniamo due organi dell’ente previdenziale, il Consiglio
di Indirizzo Generale e il Consiglio di Amministrazione.
Una Cassa previdenziale è cosa molto diversa da un Ordine
professionale. La Cassa previdenziale mi dà un’idea di quando
e come potrò “attaccare il cappello al chiodo”, l’Ordine mi
presenta le forme che può avere “il mio cappello” per essere
“il cappello da psicologo”.
L’Ordine è quell’ente pubblico autonomo che nasce per una
doppia funzione di tutela verso la collettività: è garante per
i cittadini della competenza e professionalità dei propri
iscritti ed è garante per i suoi iscritti del riconoscimento
professionale di fronte ai cittadini. Gli Ordini professionali
portano in sé un valore corporativo e collettivo che non va
dimenticato, a mio parere è ciò che dà senso alla loro
esistenza. Sono enti la cui autonomia e autogovernabilità
permette di garantire e ordinare giuridicamente la stessa
collettività che li esprime.
Le qualità di autonomia e autogovernabilità di cui gode un
Ordine attribuiscono un’enorme importanza al voto dei più che
eleggono quei pochi, da cui dipenderà la caratterizzazione
dell’Ordine stesso, quindi della collettività dei
professionisti di cui l’Ordine è espressione. Il fatto stesso
che lo psicologo sia una professione regolamentata dal 1989
con la Legge 56, quindi preveda la costituzione di Albo,
Ordini regionali e Consiglio nazionale degli stessi (CNOP), fa
sì che abbia un riconoscimento sociale, gli venga attribuito
un valore sociale, un potere e una competenza specifici. Viene
riconosciuto che lo psicologo è un professionista della Salute
dei cittadini e l’Ordine si fa garante della Salute degli
stessi.
Se l’Ordine promuove la professione nella società, entra nel
dibattito sociale, difende le competenze e gli ambiti
professionali, si offre come centro di servizi per i suoi
iscritti, si attiva per dare informazione e ascolto agli
stessi, crea rete tra di loro, allora l’Ordine tutela e
realmente appartiene e caratterizza i suoi iscritti. Questa è
l’idea che AP ha dell’Ordine e un Ordine siffatto è una
struttura funzionale ai suoi iscritti e non l’ennesimo “peso”
professionale.
Gli Ordini regionali degli Psicologi così come il Consiglio
Nazionale fanno vita a sé rispetto all’ENPAP e hanno ben poco
in comune.
Riferiscono a due ministeri diversi, quello del Lavoro e della
Previdenza Sociale e dell’Economia per ENPAP e quello della
Salute per gli Ordini Regionali degli Psicologi. Hanno una
costituzione differente, ENPAP prevede quattro organi
costituenti, gli Ordini Regionali prevedono solo un Consiglio
con un numero variabile di membri, al massimo quindici, in
base al numero degli iscritti che rappresentano. All’interno
del Consiglio vengono eletti il Presidente, il Vicepresidente,
il Segretario e il Tesoriere. L’insediamento del Consiglio è
ratificato con decreto del Ministero della Giustizia.
Gli eletti di ENPAP e degli Ordini hanno in comune solo il
tempo del mandato e quindi ogni quattro anni torniamo ad
eleggere i membri del Consiglio dell’Ordine e ogni quattro
anni torniamo a votare per due degli organi di ENPAP. A
collegare i due enti esiste solo all’interno dello Statuto
dell’ENPAP una clausola che fa riferimento al CNOP, non più di
due consiglieri del consiglio di amministrazione di ENPAP
possono far parte del CNOP, non esiste, però, incompatibilità
di incarichi per i consiglieri tra Ordini regionali ed ENPAP.
La netta separazione tra Ordine ed ENPAP assicura un
funzionamento ben differenziato e non promiscuo o confusivo di
due strutture nate e cresciute per scopi differenti, con il
solo obiettivo comune di dare garanzie alla stessa categoria
professionale, garanzie previdenziali e assistenziali in un
caso e professionali/giuridiche in un altro.
Questa funzionale separazione non esclude che si potrebbe
creare una maggior collaborazione tra i due enti. Spesso
quello che manca agli iscritti all’Ordine è l’informazione su
che cos’è, come funziona e che possibilità offre l’ENPAP, c’è
un vuoto di comunicazione che andrebbe colmato.
I giovani e i meno giovani non sempre sanno cosa possono
chiedere all’ENPAP, AP si fa da sempre promotore di
informazione tra i colleghi e anche su questo tema pensa si
possa fare qualcosa di importante.
Sarebbe sufficiente che l’Ordine istituisse qualche giornata
di informazione e formazione ai propri iscritti sul sistema
previdenziale e assistenziale, su quali sono i loro diritti e
i loro doveri di contribuenti. La formazione continua per gli
iscritti in modalità online e offline è una delle proposte del
programma elettorale di AP e la formazione può riguardare
anche aspetti della pratica professionale come quelli
previdenziali.
Questi momenti formativi sarebbero occasioni importanti anche
per raccogliere gli umori, le idee, le proposte degli iscritti
rispetto alla loro situazione previdenziale e assistenziale,
l’Ordine potrebbe farsi carico di questo bagaglio di opinioni
degli iscritti per poi farne restituzione all’ENPAP. Si
potrebbe creare un piccolo vademecum previdenziale sul sito
dell’Ordine e un collegamento diretto col sito di ENPAP così
da tener costantemente aggiornati gli iscritti. Si potrebbe
creare un front office per le questioni previdenziali e
assistenziali, lo si potrebbe creare anche solo sul sito
dell’Ordine, non che l’Ordine si sostituisca ad ENPAP, ma che
offra una prima semplice consulenza.
Fare dell’Ordine un luogo di servizi per i suoi iscritti è uno
dei cinque punti del programma elettorale di AP e per me è
quello che da maggior accoglienza alle esigenze dei liberi
professionisti. Servizi, consulenze, informazione e formazione
sono ciò di cui non abbiamo mai abbastanza.
Per il momento sono stata io ad aver colmato la lacuna
informativa ed aver accolto il pensiero e lo scoraggiamento
della mia amica. Penso che andrà a votare per l’Ordine, non so
se lo farà per me, perché mi vuole bene, non so se lo farà
perché gli è piaciuta l’immagine di un Ordine dinamico e utile
ai suoi iscritti. Io spero lo faccia per se stessa, per i
nostri sogni e per quel “cappello” che sempre portiamo con
molta dignità.