Psicologia del lavoro: “Riconoscimento di una identità professionale
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Psicologia del lavoro: “Riconoscimento di una identità professionale
Gli Ordini al servizio degli psicologi di Federica Modena Me lo diceva ridendo l’altra sera – bevendo il secondo spritz – una mia amica e collega: «Non so a te ma a me, quando facevo l’Università, nessuno aveva avvisato che poi diventava tutto così complicato; credevo che fare la psicologa fosse che io incontravo i pazienti, li ascoltavo, capivo dove stava il loro problema e li aiutavo a superarlo. Sapevo che era un lavoro difficile ma pensavo che, conoscendo la materia, avendo empatia, intuizione ed esperienza ce l’avrei fatta.». «Come Mary Poppins – le dico scherzando io – con un poco di zucchero la pillola va giù» «No, aspetta,- riprende lei – i pazienti non sono il problema, quando esistono. Con loro so come comportarmi. Quello che mi fa impazzire sono tutte le altre cose cui bisogna star dietro e che non so mai se ho fatto bene…l’Iva, l’Irpef, la privacy, il pos, l’Enpap…va bene che c’è il commercialista, ma non capisco niente di quel che mi dice…d’altronde se mi sentissi portata per queste cose, avrei fatto economia e commercio, mica psicologia..:» Al terzo spritz la mia amica è passata a quello che probabilmente è il peso maggiore che si sente addosso. «E poi alcune volte penso: quando ho guarito i pazienti che ho adesso, se nessun altro viene da me? Dove li vado a pescare i pazienti? Si è laureata in psicologia il mese scorso anche mia cugina, fra poco avrò la concorrenza anche in famiglia…» Certo, i più scafati fra i lettori di questo articolo penseranno che la colpa del malessere della mia amica in fondo sia solo sua, della sua ingenuità e del suo scarso senso imprenditoriale. Le sue ansie – come si legge anche in molti commenti agli articoli sul sito di AP – sono però condivise da molti appartenenti alla nostra categoria professionale. Per quanto riguarda la ricerca di nuove opportunità di lavoro, anche coloro che – a differenza della mia amica – si impegnano nella redazione di progetti e di iniziative, spesso sono costretti a confrontarsi con una realtà che tende a ignorarli, una realtà forse oramai troppo invischiata nelle proprie paure per avere la forza di provare a combatterle. Molti psicologi si sentono soli con i propri problemi e le proprie incertezze davanti a grandi sfide, quelle poste dal mercato e dalla società. La libertà nell’esercizio della propria professione è un bene inestimabile e nessun libero professionista vorrebbe mai rinunciarci. Oggi, però, la frammentazione della nostra categoria si sta rivelando una sorta di debolezza collettiva; le sfide del mercato difficilmente si vincono da soli. Di fronte a un disagio così diffuso e a dati imbarazzanti per l’intera categoria, come quelli sul reddito medio degli psicologi pubblicati dal Sole 24 Ore, è l’Ordine stesso a dover intervenire e svolgere, molto più che in passato, quel ruolo centrale nella nostra vita professionale che, andando oltre ai compiti previsti dalla legge in capo all’Ordine, aiuti concretamente gli iscritti ad affrontare le tante problematiche con cui si confrontano quotidianamente e, soprattutto, intraprenda quella battaglia culturale per la maggiore diffusione della psicologia nella nostra società, una campagna di sensibilizzazione che non andrebbe solo a favore degli iscritti ma recherebbe beneficio all’intero contesto sociale. Gli Ordini devono diventare veri centri di servizi in grado di migliorare la nostra vita professionale. Si tratta peraltro della visione che AP da sempre sostiene e che, nelle regioni in cui è in maggioranza al Consiglio dell’Ordine, è riuscita a portare avanti. Per avere un’idea dettagliata delle reali ed effettive potenzialità che un Ordine potrebbe avere e dei servizi che potrebbe dare – dalla biblioteca dei test alle consulenze in materia fiscale o di marketing, dalle convenzioni per ridurre i costi professionali al sostegno nella stesura di progetti di raccolta fondi – invito tutti a leggere attentamente il programma di Ap e sopratutto a non dimenticarsi di esprimere il proprio voto per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine. Questa volta c’è davvero tanto da fare e le opportunità di migliorare le cose sono tante che non si può lasciare ad altri il potere di decidere chi ci dovrà rappresentare! Cosa me ne faccio biblioteca dei test? della L’idea di una biblioteca dei test nasce da lontano. Già nel 2009, prima delle elezioni che lo avrebbero individuato come presidente Mauro Grimoldi visitava quella dell’Università di Padova insieme a Federico Zanon coltivando un sogno… in fondo ostacolato solo dalla mancanza di un’iniziativa nella nostra regione. E chi più dell’Ordine deve mettersi al servizio di un’esigenza regionale, di una carenza così evidente nella psicologia lombarda? Eccoci, quindi. L’Ordine, per la sua valenza rappresentativa, costituisce uno spazio naturale di apertura verso istanze ed esigenze culturali e professionali comuni. AltraPsicologia, attraverso la presidenza OPL ha anzitutto verificato la possibilità di costruire un rapporto di collaborazione con le case editrici, Giunti OS in primis, e poi, stabilita la realizzabilità dell’iniziativa ha affidato il compito della realizzazione a giovani e volenterosi consiglieri, non necessariamente di AP. Alcuni di essi rivendicano oggi, in tempi di elezioni, la paternità della biblioteca, che sarebbe come dire che la Torre Eiffel si deve agli operai che l’hanno costruita. E’ una visione, certo. All’interno di questo scenario, a settembre 2013 è nata la prima Biblioteca del Testing Psicologico in Lombardia! Un’innovazione concreta nata da un ideale forte, che ha riqualificato il rapporto tra professionisti e Ordine: ora gli psicologi possono accedere ad ambiti e linguaggi – quelli dei test –in un ambiente rinnovato e accogliente, dove poter incontrare altri colleghi e creare occasioni di scambio. Attualmente, sono presenti 150 test tra versioni cartacee e online consultabili liberamente (tavole, materiali di somministrazione, batterie, manuali ed esempi di report finali). E poi… un ampio tavolo di consultazione, due postazioni informatiche per visionare le versioni full text di riviste e articoli scientifici, accesso completo alle banche dati dell’APA, seminari di approfondimento di esperti testisti o degli stessi autori …. AltraPsicologia, soddisfatta per questo primo buon risultato, ha intenzione di rilanciare! L’idea è di creare un vero e proprio polo d’attrazione: una biblioteca specialistica e specializzata, in un luogo “altro” dall’Ordine, con la partecipazione del Comune e la collaborazione con le Università, ma anche con altre istituzioni interessate ad aderire attivamente all’iniziativa. Vogliamo portare fuori, dare autonomia alla biblioteca come luogo interistituzionale. La cultura psicologica potrà così introdursi ulteriormente nel tessuto cittadino e rendersi disponibile anche agli studenti. Trovi che sia giusto che l’Ordine offra servizi anche mettendosi in rete con altre istituzioni, come l’Università? Hai proposte in quest’ambito che vorresti che l’Ordine realizzasse? Opl è a casa tua Nel corso del quadriennio 2010/2013 l’Ordine ha dato avvio a una serie di iniziative che mai state considerate. Per la prima volta diverse attività nelle province, attraverso territoriali. targato AltraPsicologia in precedenza non erano si sono messe in campo le figure dei referenti Certo è stato solo l’inizio e vi è ancora moltissimo da sviluppare, ma il primo grande passo è stato fatto. Le principali iniziative che verranno promosse nel prossimo quadriennio– qualora il gruppo di AP verrà riconfermato alla governance di OPL anche grazie al TUO voto -, saranno relative alle aree della promozione della professione e dell’intreccio di relazioni istituzionali in modo che gli Psicologi possano penetrare nel tessuto sociale in forma ancora più incisiva, riuscendo pertanto a mettere in piedi iniziative e accordi importanti in favore sia categoria che del cittadino. Un esempio di progetti già in campo per mano di Opl è la psicologia sostenibile (link http://www.opl.it/showPage.php?template=news&id=773) attivo da diversi mesi a Milano e in fase di start up a Varese (link http://www.opl.it/showPage.php?template=news&id=921). Il nostro proposito è quello di stringere partnership con istituzioni del resto delle province e diffonderlo ulteriormente Non solo. Grazie al nostro Ufficio Stampa verranno ulteriormente sviluppati contatti e sinergie con media e stampa locali, col fine di diffondere iniziative di promozione e sviluppare conoscenza in merito ai differenti ambiti della psicologia. Anche questa operazione avrà effetti sia diretti sulla categoria, sia indiretti attraverso il coinvolgimento della cittadinanza. Lavorando in stretta sinergia con i nostri referenti in loco, il proposito è infatti quello di organizzare iniziative a cadenza mensile/bimestrale mirate ad incontrare i cittadini: il fine ultimo è quello di promuovere le attività dei colleghi del territorio. In altre occasioni,come già nello scorso quadriennio, verranno ulteriormente sviluppati incontri tra Ordine e colleghi: saranno occasioni di sviluppo e crescita della professione nella trattazione di temi quali formazione deontologica, formazione fiscale e strumenti di self marketing per lo Psicologo. Come già proposto e fortemente voluto da Altra Psicologia, una parte delle occasioni di incontro tra Ordine e colleghi si svilupperà online, in modo che anche chi sia impossibilitato a intervenire o viva distante dal capoluogo di provincia possa comunque usufruire direttamente delle attività proposte. Cosa ne pensi? Lascia il tuo commento a questa iniziativa. Lo psicologo come figura obbligatoria nelle strutture riabilitative: anche in Emilia Romagna? di Daniela Rossetti L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute: “un bene essenziale per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è aspetto fondamentale della qualità della vita” e definisce come paradigma di riferimento per il raggiungimento di questo obiettivo il Modello BioPsicoSociale inteso come processo di integrazione di tutti i fattori determinanti, e tra loro interdipendenti, della salute: biologici (genetici e biologici), sociali (famiglia, comunità, cultura,…) e psicologici (dimensione mentale, emozionale, spirituale, …). Questo ultimo fattore non sempre appare preso in giusta considerazione nella realtà italiana dove la presa in carico psicologica viene spesso posta in secondo piano nelle strutture ospedaliere, come evidenzia il dato che su un totale di 5.638 psicologi nel SSN solo 942 lavorano in ospedale e in pochi lavorano a tempo pieno nei presidi ospedalieri. Ma in questo quadro generale emerge anche un’eccezione: in Lombardia la Giunta, con la deliberazione 1185 ha inserito nelle regole di sistema 2014 tra le norme di accreditamento per le strutture riabilitative la figura dello psicologo come obbligatoria. Questo può significare la possibilità di stabilizzazione del personale operativo e/o di impiego per i Liberi Professionisti presso le strutture di riabilitazione (senza ricorrere a questa figura “sotto mentite spoglie”, ad es. ingaggiandola con contratto come educatore, assistente di qualche tipo, ecc…come accade in diverse realtà), ma soprattutto un riconoscimento fondamentale della “parità” di importanza della componente psicologica nella determinazione dello stato di salute. In particolare, tra i requisiti organizzativi per area Degenza – “Riabilitazione intensiva ad alta complessità” e “Riabilitazione intensiva” è richiesta la presenza di uno psicologo o un neuropsicologo per almeno 15 ore/settimana ogni 20 posti letto, mentre per area Degenza – “Riabilitazione estensiva” è richiesta la presenza di uno psicologo o un neuropsicologo per almeno 10 ore/settimana ogni 20 posti letto. L’Ordine degli Psicologi Lombardia, a maggioranza Altra Psicologia, ha avviato un contatto e una collaborazione con la Giunta che ha permesso di arrivare a questo risultato. Il primo passo è stato la richiesta di audizione da parte del Presidente dell’Ordine in Commissione Sanità del Consiglio Regionale; la collaborazione è poi proseguita fino all’approvazione della Delibera che recepisce sostanzialmente le indicazioni del documento inviato dall’Ordine alla Presidenza della commissione Sanità. Anche nella nostra Regione esistono diverse realtà deputate alla riabilitazione. I centri di riabilitazione e ancora di più i centri per le patologie ad esito invalidante (es. le Unità Spinali che accolgono pazienti con mielolesione o i centri che si occupano di persone con esiti di Gravi Cerebrolesioni Acquisite o persone con Sclerosi Multipla) rappresentano una realtà piuttosto particolare dal punto di vista degli aspetti psicologici coinvolti. Un evento lesivo, così come l’emergenza di una patologia degenerativa, rappresenta una frattura nel senso di continuità dell’esistenza di una persona e determina la necessità di un processo di adattamento lungo e doloroso, soprattutto perché spesso gli esiti non consentono una completa resitutio ad integrum. Inoltre una delle caratteristiche che differenziano una struttura riabilitativa dagli altri contesti ospedalieri è il tempo prolungato di degenza, con l’attivazione di dinamiche relazionali talvolta complesse sia per le persone ricoverate, sia per gli operatori. Lo psicologo in un contesto di questo tipo, quindi, non ha solo l’importante funzione di supportare le persone degenti e le persone affettivamente significative che vi gravitano intorno, ma ha anche quella fondamentale di sostenere gli operatori stessi, di mediare il rapporto tra operatori e pazienti, oltre che tra operatori e famigliari, per prevenire o contenere il rischio di burn out o stress da lavoro correlato. Questo, dunque, il quadro delle necessità e dei bisogni. Ci si chiede come la nostra Regione faccia fronte a questa problematica. Allo stato attuale si sa per certo che siamo molto lontani dalle 15 ore/settimana ogni 20 posti letto, anzi, sembra che l’orientamento sia di diminuire le risorse, il che fa pensare che si sottovaluti l’importanza della figura professionale dello psicologo e del neuropsicologo anche in centri “di eccellenza”. Anche nella Regione Emilia Romagna sembra condiviso l’obiettivo di “umanizzare” e di “personalizzare” le cure e di mettere “la persona al centro”, ma sappiamo bene che questo approccio non può prescindere dall’attenzione alla componente psicologica delle persone, quindi dalla necessità di figure professionali come quella dello psicologo all’interno delle strutture ospedaliere che primariamente si occupano della cura delle persone. In Lombardia, dove è presente nell’Ordine Altra Psicologia, si è potuto fattivamente raggiungere questo obiettivo…intendiamo impegnarci anche in Emilia Romagna. Psicologia del lavoro: “Riconoscimento di una identità professionale” di Michele Piattella La psicologia del lavoro e della organizzazioni è una disciplina molto ampia dalle molteplici applicazioni e a volte rischia di uscirne una professionalità dai contorni poco definiti. E’ dunque importante cercare di fare il punto della situazione sulle competenze distintive che ne definiscono la sua identità professionale, sugli stereotipi che caratterizzano questa professione e sulle possibili sovrapposizioni multidisciplinari nelle aree di confine con altre figure professionali. Pensiamo ad esempio alla selezione del personale, valutazioni stress lavoro correlato, mappatura delle competenze, bilanci di competenze, valutazioni delle prestazioni e del potenziale, benessere organizzativo etc. Partendo da un discorso della identità professionale, occorre senz’altro dare valore e comunicare il contributo distintivo che la psicologia del lavoro e delle organizzazioni possono mettere a disposizione della comunità, delle imprese, degli enti pubblici etc. Occorre anche attuare delle politiche di tipo “difensivo” e avviarci verso un possibile riconoscimento della figura dello psicologo del lavoro che potrebbe evitare come detto sopra sovrapposizioni tra figure professionali differenti che operano nel medesimo ambito, a tale proposito << il codice deontologico degli psicologi al capo I, art. 19, identifica le prerogative professionali nell’ambito della selezione e valutazione del personale>>. Ben consapevoli che oggi si opera in una sempre più diffusa logica multidisciplinare con l’integrazione di competenze plurime, Altra Psicologia punta all’identità, alla definizione della figura dello psicologo per favorirne lo sviluppo nello scenario economico italiano e nel suo programma individua nella costituzione della <<carta di identità dello Psicologo del lavoro/Clinico e degli altri ambiti presenti e riconosciuti in Italia e/o in Europa>> un utile strumento di definizione e diffusione della professione di Psicologo. Ma non è solo una questione di identità professionale; lo psicologo del lavoro deve potersi distinguere anche per il suo contributo specifico e di eccellenza, deve essere allo stesso tempo un ricercatore e un professionista, lo psicologo del lavoro deve essere in grado di dimostrare competenze migliori degli altri “professionisti di confine”, il che significa operare professionalmente con metodi e tecniche di intervento fondati su evidenze empiriche, teoriche, scientificamente valide e attendibili e verificabili dalla comunità scientifico–professionale e non su improbe improvvisazioni prive di fondamenti teorici e scientifici. Anche qui, Altra Psicologia intende supportare i colleghi psicologi con una “Proposta di collaborazione alle Facoltà e ai Dipartimenti di Psicologia della Regione al fine anche di valutare un eventuale ampliamento dell’offerta formativa per gli psicologi all’interno degli indirizzi specialistici già presenti ” e con un “Monitoraggio permanente di bandi, concorsi e opportunità di finanziamento per gli psicologi e attivazione servizio di consulenza e accompagnamento alla stesura di progetti per la raccolta fondi”; molti sono infatti i fondi europei che aspettano silenti l’occasione di essere impiegati in progetti. Allo psicologo del lavoro (e allo psicologo in generale) si richiede quindi di vedersi in una prospettiva più ampia, di progettare e di collaborare attivamente con le università, di osare e di uscire da una logica dell’orticello di casa e di pensare in modo diverso la sua professione. L’Osservatorio sulla professione attivato presso il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi evidenzia che la psicologia genera una pluralità di professioni e di contesti professionali eterogeneo e in forte dinamismo storico, la ricerca svolta da Gfk Eurisko per l’Ordine Nazionale degli Psicologi nel 2009 fotografa la nostra categoria come una rappresentazione di pratiche professionali pluralistiche frammentate e incerte. In conclusione, possiamo dire che le iniziative proposte da Altra Psicologia con la “carta di identità dello psicologo” possono considerarsi in linea con quanto emerso dallo studio del 2009, studio che evidenzia come gli psicologi non sembrino avere una struttura di riferimento della professione sufficientemente condivisa e abbastanza semplice da poter essere comunicata chiaramente all’esterno; punto sul quale Altrapsicologia propone una serie di: campagne ed azioni di marketing territoriale finalizzate a sostenere la figura dello psicologo nella società; campagne di sensibilizzazione in contesti con potenziali committenti (ad es.: scuole, aziende, case di cura, tribunali, enti locali, ecc.), etc. Abbiamo sin qui parlato di integrazione, riconoscimento della professionalità, di progettazione, di comunicazione e marketing della professione di psicologo e sono tanti gli argomenti che si potrebbero affrontare. Per concludere questo breve intervento vorremmo ritornare sulla questione dello stress lavoro correlato e sul benessere organizzativo. E’ ormai storia quanto accaduto nel IX convegno europeo sulla psicologia della salute tenutosi a Roma nel 2010; l’argomento maggiormente presente al convegno fu lo stress lavoro correlato. Alla sessione intitolata “The management of psychosocial risk in Italy”, si è venuta a creare una situazione paradossale, cioè l’assoluta mancanza di una competenza psicologia (cioè di uno psicologo) al tavolo. In questa sessione hanno partecipato come relatori medici del lavoro, responsabili della Cisl nazionale per la sicurezza, avvocati responsabili sicurezza e salute sul lavoro, Confindustria, ma zero psicologi. Da allora si sono susseguite in tutta Italia numerose iniziative volte a formare i professionisti e sensibilizzare le varie associazioni di categoria (Confindustria, Sindacati, Enti Pubblici). Nella nostra Regione si sono susseguite alcune iniziative ad opera dell’Ordine aventi l’obiettivo di evidenziare le competenze distintive dello psicologo come esperto valutatore dello stress lavoro correlato. Ma noi di Altra Psicologia pensiamo si possa fare ancora di più e, a tale proposito il programma prevede una partecipazione attiva, proattiva e costruttiva in tavole rotonde/seminari/convegni/tavoli tecnici con le istituzioni e le categorie professionali interessate su tematiche attinenti la professione nei suoi principali settori (lavoro, clinico, scolastico, ecc.), individuando e differenziando bene gli ambiti di competenza delle diverse figure che vi operano. Questi tavoli tecnici sono un punto di arrivo e di partenza dove l’Ordine sarebbe presente come parte attiva e competente in materia a rappresentare la categoria degli psicologi; pensiamo anche alla direttiva 24 marzo 2004 “Direttiva del Ministero della Funzione Pubblica sulle misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni”, direttiva che parla di Amministrazioni Pubbliche che abbiano la capacità di realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico, di creare un clima organizzativo che stimoli la creatività, l’ergonomia, sicurezza, motivazione, che produca soddisfazione e non ultimo si preoccupi delle condizioni emotive e della qualità dell’ambiente di lavoro. Sebbene il Ministero nella sua direttiva faccia riferimento a finalità specifiche, mai identifica una figura professionale legittimata a perseguire tali scopi, tantomeno lo psicologo del lavoro. E’ quindi una prerogativa di Altra Psicologia costruire un ponte con le Pubbliche Amministrazioni che consenta di aprire un dialogo costruttivo e permetta di vedere lo psicologo del lavoro come un professionista esperto in grado di fornire un servizio di qualità all’individuo, al gruppo e all’organizzazione e di abbattere ed esorcizzare i timori che spesso si annidano nelle persone in presenza dello psicologo. Concludo introducendo un’importante impegno che Altra Psicologia si vuole prendere con tutti i colleghi, impegno che vuole dare un maggior peso specifico alla nostra professione: <<valutare una possibile forma di riconoscimento dello Psicologo come formatore esperto e certificato sui temi della salute e sicurezza sul lavoro>>. Lo psicologo clinico nel privato: l’associazionismo come possibile soluzione ad una difficoltà nel fare rete di Maurizio Cottone La grave situazione economica in cui versa il nostro paese colpisce in misura, forse maggiore, la nostra categoria rispetto alle altre. Sappiamo bene come vi sia un dato culturale che vede il rivolgersi allo psicologo come inseribile nelle categorie del “superfluo”; se proprio necessario si va dallo psichiatra. Già prima della crisi economica degli ultimi anni, la nostra categoria veniva vista con sospetto e solo in casi estremi si faceva ricorso allo psicologo clinico, rivolgendosi a cenacoli privilegiati gestiti da “sacerdoti”, solitamente rappresentanti locali di Istituti di specializzazione, che smistavano i pazienti ai vari adepti. Quindi oltre al dato sociale che coinvolge tutto il paese vi è, da sempre, un dato culturale specifico (un sintomo) legato alla nostra professione che ha sviluppato un sistema di lavoro privato definibile di tipo “clientelare”. Chi scrive è uno psicologo clinico, psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico, che ha vissuto dal di dentro “la casta”. Sei anni fa, grazie alla competenza e visibilità che mi ero costruito nel tempo, decisi di fondare una Associazione di Promozione Sociale. Uscii dalla gabbia dorata che mi ero costruito da solo. Questo preambolo serve a mostrare ai giovani colleghi come anche io, psicoanalista di professione, ho vissuto sulla mia pelle la fatica e il timore della “soggettivazione”. In questi ultimi anni, da presidente di una APS, incontrando parecchi giovani psicologi, mi sono sempre più chiesto come mai la nostra categoria sia così frammentata, individualista, passiva. La crisi economica invece che aumentare il desiderio di fare gruppo per protestare il proprio dissenso, per utilizzare spazi formativi di volontariato al fine di promuoversi e promuovere la categoria, aumenta il fenomeno di dipendenza, scoramento e anomia. Evidentemente ci troviamo di fronte ad un paradosso: lo psicologo clinico che spende molti anni e soldi per formarsi, al fine di aiutare la soggettivazione dei pazienti, si trova in una difficoltà “strutturale” a soggettivarsi come professionista emancipato e autonomo. Appaiono convergere i dati sopra sinteticamente di elencare: esposti che cercherò -un dato umano: la clinica ci insegna come sia difficile per ogni essere umano passare dalla ambivalente dipendenza nei confronti delle figure genitoriali idealizzate dell’infanzia ad uno stato psicologico maturo, autodeterminato e di spontaneo confronto con l’altro. -un dato sociale: la crisi attuale incide pesantemente sullo scoramento dei giovani professionisti di tutte le categorie professionali. -un dato culturale: la psicologia clinica continua ad essere considerata la cenerentola delle professioni mediche. Forse è per questo che varie categorie “new age” dell’ultima ora si arrogano il diritto di fare consulenze psicologiche. -un sintomo: la psicologia clinica nasce con Freud, un medico ebreo considerato eretico, che fondò una corporazione costituita da membri da lui stesso analizzati. E’ comprensibile il desiderio inconscio di mantenere in uno stato di dipendenza affettiva i propri allievi costruendo un gruppo chiuso e difeso. Una casta. Arnaldo Novelletto, psicoanalista di fama internazionale e fondatore della scuola ARPAd in cui mi sono formato così ha affrontato la questione “soggettivazione” dal punto di vista psico-sociale, in uno dei suoi ultimi scritti (“L’Adolescente”, Astrolabio, 2009): “Oggi non si può nemmeno parlare di stato adulto, perché il funzionamento psichico adulto non è più riconducibile a un’età, a una situazione o a una funzione, ma varia da caso a caso e da un ambiente all’altro. La paura odierna di affrontare il passaggio trasformativo dell’Io, da un assetto più controllato e nevrotico a uno più liberale e creativo, con il rischio di sentirsi alla deriva verso la frammentazione e disorganizzazione del Sé è la stessa ormai che vivono sia i giovani che gli adulti. Questa affinità di funzionamento tra giovane e adulto ci consente di comprendere meglio anche l’impatto difensivo intergenerazionale, che può verificarsi tra genitori e figli, in modo tale da produrre una postadolescenza prolungata e un ingresso stentato dei figli nello stato adulto. Certi giovani, giunti al limite cronologico dell’adolescente tradizionalmente ritenuto normale, non riescono a superare la paura di frammentazione del Sé se non con difese di passività e di rinvio”. Un disagio questo che attualmente investe anche la nostra categoria e che è importante cogliere, poiché vi sono giovani colleghi che lentamente perdono la speranza di trovare aiuto nel “fare rete”, e segretamente abdicano nei confronti della propria soggettivazione personale e professionale, sommersi da un crescente senso di impotenza e disfatta. Sul territorio riminese, l’associazione di volontariato a cui appartengo, offre l’opportunità a tutti gli psicologi e ad altre figure professionali di condividere le proprie aspirazioni, idee e progetti. Sono presenti multi professionalità che si confrontano e si compenetrano per essere sinergiche e propositive nella comunità locale. Le aree di intervento sono molteplici. Il primo ambito di intervento è prettamente clinico. L’Associazione, grazie alla collaborazione con l’Assessorato ai servizi Educativi del Comune, ha realizzato un progetto rivolto agli adolescenti e ai giovani adulti in difficoltà. Attraverso questo progetto è stato possibile offrire gratuitamente uno “spazio di parola e ascolto” per prevenire e/o affrontare il disagio psichico dei giovani riminesi. Il progetto si articola in diverse attività finalizzate ad entrare in contatto con gli adolescenti e i loro famigliari, attraverso la realizzazione di conferenze, incontri tematici e cineforum. Il secondo ambito è forense: è stato messo a punto un corso di psicologia forense minorile rivolto ai soci, oltre che agli psicologi, medici, avvocati e assistenti sociali. L’iniziativa ha come particolare obiettivo quello di far integrare le nostre competenze con quelle degli avvocati, per far conoscere ed integrare i due ambiti, in quanto riteniamo debbano concentrarsi su obiettivi comuni. Vi è una terza area rivolta ai migranti in cui sono impegnati psicologi, antropologi e mediatori culturali. Infine vi è il proseguimento di un importante progetto di ricerca, che ha come finalità principale verificare l’efficacia di uno sportello di ascolto rivolto ai giovani che si rivolgono al Pronto Soccorso per incidenti stradali, allo scopo di prevenire le recidive di incidenti, come emerge dalla letteratura in materia. Come la mia associazione ve ne sono tantissime altre, sui vari territori italiani, che funzionano ottimamente nel “fare rete” e permettono ai giovani colleghi di conoscersi e farsi conoscere attraverso il servizio di volontariato. Questa visione di rete e collaborazione fra diverse figure professionali è ciò che vorrei portare anche nel mio impegno in Altra Psicologia, da sempre orientata al “fare rete” e comunità fra i colleghi. Un’idea che, se gestita all’interno di un Ordine, potrebbe aiutare a ridurre il senso di isolamento ed impotenza dei colleghi nel loro lavoro quotidiano. Psicologo e servizi pubblici: le criticità e l’impegno di Altra Psicologia di Mauro Favaloro Incontro una collega che lavora in un’altra città e mi dice: “lo sai che da noi le logopediste non fanno più interventi riabilitativi, ma è stato chiesto loro di fare solo diagnosi?” “Come mai?” “Troppe richieste e troppo poche logopediste ” “E i bambini chi li tratta ?” “Mah, andranno nel privato” Forse le logopediste private potranno fregarsi le mani -pensoma chi ha responsabilità pubbliche non può ignorare le conseguenze di queste scelte. Solo una parte di questi bambini, infatti, verranno riabilitati nel privato, ma un’altra parte si fermerà: sono i figli di quelle famiglie che, in tempi di crisi, non possono permettersi di curarli nel sistema privato, perché non ne possono sostenere l’onerosità. Anche gli psicologi che operano nei servizi pubblici si trovano nel bel mezzo di questa crisi che li tocca personalmente e professionalmente. Se la crisi non tocca direttamente loro stessi o i loro nuclei familiari, certamente c’è qualcuno nella loro cerchia parentale o amicale che ne soffre pienamente le conseguenze. Professionalmente, la crisi colpisce la loro condizione di lavoro su più piani: · la maggiore precarietà delle figure che operano nei servizi sociosanitari comporta discontinuità nel rapporto con l’utenza; · l’avvicendamento degli operatori fa perdere la memoria storica degli interventi svolti e incrementa la sfiducia di chi si rivolge ai servizi; · viene minata profondamente la possibilità di un lavoro interprofessionale L’aumentare del disagio economico concorre ad incrementare il disagio psicologico, quando non la vera e propria patologia psichica, cresce la pressione sui servizi, si incrementano i carichi di lavoro per gli psicologi. Si insiste sugli psicologi, come sulle altre figure professionali, perché vedano più persone possibili, perché svolgano interventi brevi, per lasciare spazio alle nuove emergenze che si susseguono. Nelle aziende sanitarie locali sembra prevalere una logica per cui ciò che conta è quanti utenti vedi, non quante situazioni riesci a risolvere o ad alleviare. E’ una situazione che non ha gli stessi effetti sulle diverse professioni. Uno psichiatra chiamato a vedere con tempi contingentati i suoi pazienti può privilegiare interventi prevalentemente farmacologici o ritagliarsi la dimensione della diagnosi, delegando ad altre figure la cura. Uno psicologo come può esercitare adeguatamente la propria professione se non gli viene dato il tempo di realizzare quel processo così ben descritto ne “Il piccolo principe” di avvicinarsi ad una persona, rispettarne i tempi, acquisirne la fiducia e poi accompagnarla nel percorso finché non ha riacquistato la capacità di riprendere il proprio cammino? La progressiva medicalizzazione dei servizi rivolti alle persone in disagio produce effetti collusivi sull’utenza: un sistema che privilegia il ricorso al farmaco produce utenti che richiedono di stare rapidamente meglio senza assumersi particolari responsabilità nell’affrontare le cause della propria sofferenza e nel determinare il superamento dei propri problemi. In sostanza, si producono utenti dipendenti dal farmaco. Se il farmaco non produrrà gli effetti richiesti, non si metterà in discussione la forma di aiuto necessario, ma si cambierà il farmaco. Non è possibile pensare che una persona che si rivolga al servizio pubblico perché veramente in difficoltà, una volta accertato il suo bisogno di sostegno psicologico, si debba sentire dire che non è possibile fruire di interventi adeguati: “cara signora, suo figlio ha un mutismo selettivo, la saluto, avanti il prossimo” In questo quadro il lavoro in équipe e il tempo investito in formazione possono essere visti, anche dagli psicologi stessi, come un lusso, od addirittura come una perdita di tempo. Se si accetta che la presenza degli psicologi nei servizi continui ad essere insufficiente (e che quindi siano stracarichi di situazioni) e che svolgano il proprio lavoro in condizioni che non permettono loro di usare la propria competenza professionale, accetteremo anche che il suo intervento sarà sempre meno efficace e spezzeremo una lancia a favore di coloro che dicono che gli psicologi nei servizi non servono (e che ogni volta che uno psicologo va in pensione propongono di trasformare il suo posto in un posto per medici). Lo psicologo del servizio pubblico nella quotidianità si trova di fronte a una pluralità di dilemmi. Ad esempio: se avverte che una persona ha bisogno di una psicoterapia che lui non può garantire, non può neanche prendere l’iniziativa di fare un invio presso un privato da lui conosciuto, di cui si fida e con cui ha la possibilità di mantenere dei rapporti per sapere come viene seguito il paziente. Non è etico e l’istituzione può sospettare che ci sia un accordo di tipo economico tra l’inviante e il privato. Ma anche non dare indicazioni può essere considerato non etico, perché si espone la persona in difficoltà al rischio di rivolgersi a professionisti non sufficientemente qualificati o molto lontani dall’idea di collaborare con i servizi pubblici. In sostanza, in questo passaggio si rinuncia a mettere a disposizione la propria conoscenza ed esperienza. Ma bisogna anche dire che gli psicologi hanno una grande capacità di resilienza, non si limitano a subire ma trovano risposte adeguate alle situazioni e riescono, in alcune realtà, a modificare le situazioni stesse, ad esempio, elaborando progetti che permettono l’accesso a fondi che sostengono esperienze di qualità, che talvolta raggiungono l’eccellenza, convincendo i loro Dirigenti a sperimentare risposte nuove. Gli psicologi, in particolare, hanno sempre più imparato a sollecitare nelle persone in difficoltà l’individuazione e l’utilizzo delle proprie risorse personali nell’affrontare le proprie difficoltà, ad aiutare le persone ad andare oltre il contesto del sostegno psicologico, quantitativamente impoverito e a guardarsi intorno per vedere se, nella cerchia parentale od amicale, ci siano risorse positive da coinvolgere e schierare al proprio fianco, a non rimanere da soli con il proprio disagio, ma cercare di fruire di quelle forme collettive (come ad esempio i gruppi di mutuo aiuto) che il pubblico stesso e più diffusamente il privato promuovono. Non rimanere da soli ad affrontare il disagio della propria condizione, ma guardarsi intorno, individuare ed utilizzare al massimo le risorse esistenti dentro e fuori di sé , pensare a se stessi non solo come persone che vivono un disagio, ma come persone con potenzialità ancora inespresse, portatrici di una esperienza che può essere utile ad altri in un mutuo scambio per imparare dalle esperienze e trovare insieme soluzioni, idee innovative, sperimentando ed offrendo solidarietà e vicinanza perché anche questo aiuta ad affrontare il quotidiano. Insomma: prendere in mano la propria condizione di disagio e affrontarla insieme agli altri che vivono gli stessi problemi. Tutte queste sono parole d’ordine adatte alla fase che stiamo attraversando…già, ma lo psicologo riesce a fare questo per sé stesso? L’avvicinarsi delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell’Ordine degli psicologi è un’occasione per riflettere sulla propria condizione e sulle azioni possibili per trasformarla. Una pausa nella quotidianità, uno spazio per il pensiero, un momento di cura verso sé stessi e di ricanalizzazione di energie che, almeno ogni quattro anni, è doveroso concedersi. I temi che seguono sono solo alcuni di quelli che costituiscono la piattaforma elettorale di Altra Psicologia che adesso viene sottoposta a verifiche ed integrazioni in una serie di incontri che verranno organizzati in tutta la regione. Vorremmo capire assieme agli psicologi che lavorano nei servizi pubblici e a tutti gli altri, se e quanto l’insieme delle azioni previste dai candidati di Altra Psicologia sono adeguate per trasformare l‘Ordine in quel centro di servizi, in quella “casa delle opportunità” che può essere l’ambito di tutela, di sostegno e di sviluppo della professione e perché nessun psicologo possa sentirsi solo nel proprio disagio professionale. Ecco i punti: Per contrastare la progressiva precarizzazione e riduzione della presenza degli psicologi nei servizi pubblici e il deterioramento della loro condizione di lavoro, l’Ordine intende partecipare attivamente alla definizione delle politiche sociosanitarie della Regione e sostenendo i colleghi del SSN chiamati a prendere parte ai tavoli regionali per la sanità e il sociale. Insieme si potrà operare per valorizzare la presenza e il ruolo degli psicologi nei servizi pubblici La valorizzazione si realizzerà anche attraverso la promozione della figura dello psicologo come formatore a partire dal rapporto con l’Università cui va chiesto che l’esperienza degli psicologi che lavorano nei servizi territoriali entri nelle aule universitarie per contribuire a formare psicologi che conoscano le realtà dei servizi e le migliori pratiche professionali Gli psicologi che operano nel pubblico, ma non solo, sono esposti a semplificazioni, banalizzazioni e talvolta a vere e proprie mistificazioni ed accuse, specialmente quando ci si trova di fronte a brutti episodi di cronaca dove le persone coinvolte risultano seguite da uno psicologo. L’impegno di Altra Psicologia è perché l’Ordine eserciti un contatto costante con le redazioni giornalistiche, per promuovere una corretta rappresentazione della nostra professione e per esercitare un azione di contrasto e correttiva in occasione di specifici episodi in cui l’attività dello psicologo viene rappresentata in forma travisata. A tale scopo Altra Psicologia si propone di attivare un gruppo di lavoro integrato (consiglieri e colleghi esperti) che presidierà questi aspetti tutelando l’immagine dei professionisti Altra Psicologia si impegna ad implementare i rapporti con altri Ordini professionali al fine di condividere obiettivi, esperienze di formazione, campagne o azioni su temi di interesse comune, nonché promuovere e qualificare le occasioni di collaborazione interprofessionale nel rispetto delle reciproche competenze e specificità Altra Psicologia intende attivare o ampliare la gamma dei servizi che l’Ordine offre agli iscritti: le consulenze volte a sostenere la pratica professionale in tutti i suoi aspetti deontologici e di tutela della propria specificità ed autonomia professionale; la biblioteca dei test il servizio di consulenza e accompagnamento alla stesura di progetti per la raccolta fondi; un sistema di formazione gratuita qualificata per gli iscritti, perché l’obbligo formativo sia un’occasione per innalzare il livello qualitativo e l’immagine sociale della categoria; la disponibilità della sede per incontri fra iscritti, anche per la presentazioni ai colleghi di proprie pubblicazioni o progetti e creazione di una piattaforma virtuale da rendere disponibile ai colleghi per incontri e presentazioni online; la promozione e implementazione (sulla base dell’interesse espresso dai colleghi) di gruppi di lavoro tematici su diverse aree della psicologia: clinica, forense, neuropsicologica, del lavoro, scolastica, ecc.; l e Convenzioni mirate a ridurre utilità i costi per servizi di per i colleghi; la rigorosa sorveglianza sull’applicazione del Deontologico; Codice l’Osservatorio Permanente su Gare e Concorsi per promuovere presso i diversi soggetti le corrette indicazioni sulla attribuzione di incarichi che prevedano attività proprie dello psicologo e intercetti quei bandi e concorsi quelli aperti a categorie senza requisiti o preclusi agli psicologi contro norme che prevedono, invece, la loro possibilità di partecipazione. Con Altra Psicologia l’Ordine deve diventare, più di quanto sia stato finora, la “casa delle opportunità” per tutti gli psicologi. Una casa trasparente: i bilanci, i verbali e le delibere adottate dall’Ordine saranno resi pubblici e le sedute aperte alla partecipazione, come uditori, degli iscritti. Una casa accessibile attraverso la disponibilità di una piattaforma online e la presenza settimanale in sede garantita di un Consigliere per ascoltare colleghi e loro richieste/proposte. Una casa dove ci si senta “ a casa propria” e che possa essere abituale luogo di incontro per gli iscritti e con le loro forme associative. Una casa interattiva, strumento di comunicazione e promozione della professione in tutti i siti professionali e “social”, nei confronti dei cittadini, delle istituzioni e degli stessi iscritti. Ciò attraverso quelle infrastrutture digitali (forum, archivio documenti, piattaforme di discussione, ecc.) capaci di facilitare e rendere strutturale la collaborazione tra colleghi, lo scambio di buone prassi e strumenti di lavoro, in un’ottica di reciproca positiva collaborazione che faccia sentire ogni psicologo pienamente parte della comunità professionale. Questa la nostra visione, queste le nostre proposte. Aspettiamo adesso il vostro contributo soprattutto nei momenti di incontro di cui vi informeremo tempestivamente, ma anche attraverso le e-mail che vorrete inviarci ed il contatto diretto con i candidati. Cari colleghi “raise your voices” “ e non solo quelle questo è il momento per farlo che http://www.youtube.com/watch?v=CyHMVQipDLI L'importanza di fare rete di Maria Antonietta Bongiorni Il tema della solitudine professionale, del senso di isolamento e della mancanza di occasioni di confronto tra colleghi è un tema che ricorre in diverse categorie professionali e anche noi psicologi non ne siamo immuni. Ma allora cosa ci impedisce di uscire dalla solitudine e fare rete? ATTO PRIMO: CONSCIO Il dott. Psycho entra nel suo studio e legge le e-mail. “Bene! Il collega mi invita ad un gruppo di intervisione con altri colleghi, meno male! Avrei proprio bisogno di una mano, con la sig.ra Rossi non cavo un ragno da un buco… e poi, sono mesi che non parlo con qualcuno del mio lavoro, mi sento solo. Inoltre, non mi intendo di psicologia infantile e la Rossi mi ha chiesto un parere per la figlia, chissà…. magari mi faccio dare una mano” ATTO SECONDO: INCONSCIO “Aspetta un attimo, il collega non lo conosco bene, forse è meglio se porto il caso del sig. Bianchi che sto risolvendo così brillantemente, non vorrei fare la figura dell’incompetente, mi sento solo… dopotutto il mio lavoro è fatto così, meglio lavorar per conto proprio che dover riferire a qualcuno, e poi… è vero che non mi intendo di psicologia infantile, ma dopotutto sono perfettamente in grado di aiutare la figlia della sig.ra Rossi, mica ci vorrà uno così esperto!!!” “Ohhh peccato! Proprio quella sera ho improrogabile… sarà per un’altra volta!” un impegno Ho voluto usare questo sketch per rappresentare una realtà che credo appartenga profondamente alla nostra categoria professionale: le due anime dello psicologo che da una parte si lamenta della scarsità di condivisione coi colleghi, della mancanza di occasioni di scambio, della solitudine professionale, e dall’altro vive spesso una dimensione narcisistica e autoreferenziale che lo porta a vivere il mestiere in solitudine. Il senso di questa mia riflessione non è quello di fare il genitore critico sottolineando o denunciando una scarsa volontà dello psicologo di fare rete, perché ritengo che la maggior parte degli psicologi ne riconoscano il valore: è nella relazione che si cresce! Lo professiamo, lo insegniamo, lo coltiviamo. Non penso a noi psicologi come a degli ipocriti a tal punto, ma allora come mai è ancora così difficile fare rete? Io credo che spesso affrontiamo il nostro lavoro con le paure dei bambini perché sentiamo la nostra professione e la nostra professionalità non ancora sufficientemente riconosciute, valutate e difese dalle istituzioni e dalla società. Come nei bambini le paure di cui sto parlando sono paure semplici. La paura di fare brutta figura, la paura che qualcuno sia più bravo di noi e ci porti via il lavoro, la paura che non ce ne sia abbastanza per tutti. Quando un bambino non si sente sufficientemente protetto si rifugia nel narcisismo e nell’esaltazione di sé e quindi si allontana dal confronto. Come psicologi sappiamo che per crescere è importante affrontare le paure all’interno della relazione e quindi anche noi non possiamo lasciarci dominare dalle stesse e pensare di crescere ed evolverci professionalmente eliminando il rapporto con i colleghi. Inoltre è attraverso il legame che si crea un senso di appartenenza, che è a sua volta motore dello scambio e del mutuo aiuto in una visione circolare e dinamica. Come la stessa storia ci insegna, un forte senso di appartenenza dà forza e coraggio all’individuo che più facilmente è portato ad agire non solo per sé ma per il bene comune. La realtà è che se procediamo insieme, se facciamo rete non ci verrà tolto qualcosa, non ci impoveriremo, ma al contrario si creeranno nuove opportunità, anche di lavoro. Stare nel gruppo ad esempio permette di conoscere prima e meglio le informazioni che riguardano la professione. Questa visione di gruppo e di confronto è un caposaldo di AltraPsicologia, un’associazione di psicologi da sempre presente sia con informazioni su ciò che accade nel panorama professionale, sia con attività ed iniziative (un esempio recente lo speeddate professionale) che hanno proprio l’obiettivo di informare, promuovere, tutelare e sostenere gli psicologi nella loro professione. Lo psicologo perché? in ospedale: di Daniela Rossetti L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. Nella realtà italiana la presa in carico psicologica, a cui compete la componente “mentale” della salute, viene spesso posta in secondo piano nelle strutture ospedaliere come emerge dall’articolo scritto da Paolo Bozzaro “La Psicologia Ospedaliera” che evidenzia che su un totale di 5.638 psicologi nel SSN solo 942 lavorano in ospedale e in pochi lavorano a tempo pieno nei presidi ospedalieri. Ma il dolore che spesso accompagna la condizione di malattia non è solo la sensazione di sofferenza fisica, ma anche la sensazione di sofferenza morale, è afflizione d’animo; dispiacere e affanno. Non sempre può essere curato dai farmaci, ad esempio quando si parla di dolore neuropatico o psicologico. Questi esempi di dolore si ritrovano molto spesso all’interno degli ospedali eppure non altrettanto spesso si può notare un intervento attivo e continuativo oltre che globale di presa in carico da parte degli psicologi nonostante molti studi mostrino come la farmacoterapia unita ad una terapia psicologica aumenti la possibilità di compliance. Lo psicologo ospedaliero non ha solo l’importante funzione di supportare le persone che hanno necessità di rimanere, per periodi più o meno lunghi, all’interno della struttura ospedaliera; ma ha anche quella fondamentale di sostenere gli operatori stessi, di mediare il rapporto tra operatori e pazienti oltre che tra operatori e famigliari, fondamentale in situazioni di emergenza come ad esempio all’interno di un Pronto Soccorso. Ciò che facilita nelle relazioni di aiuto è la costruzione di un ambiente che faccia le funzioni di “holding”, come diceva Winnicott, cioè di uno spazio fisico e psichico che abbia la capacità di contenimento dell’espressione dei vissuti e delle angosce delle persone. Sappiamo che luoghi come gli ospedali sono strutture dove il contagio della sofferenza è evidente, quindi l’intervento dello psicologo è fondamentale anche a livello di consulenza diretta all’operatore. Le finalità dell’intervento psicologico con gli operatori sono rivolte a individuare elementi che producono disagio e a definire strategie congrue per relazionarsi con famigliari e pazienti; inoltre, lo psicologo in ospedale facilita l’individuazione di eventuali problematiche ricorrenti, che possano meritare la progettazione di azioni aziendali di carattere preventivo o di contenimento rispetto al rischio di burn out o stress da lavoro correlato. Lo psicologo che lavora in un ospedale si pone come obiettivo quello di migliorare la qualità globale del processo di cura, assistenza e riabilitazione, lavorando sulle rappresentazione e sulle risonanze emotive sviluppate da malati, operatori e famigliari. L’ospedale può “contenere” e “amplificare” (“La Psicologia Ospedaliera” Paolo Bozzaro) tali risonanze ed è indispensabile una figura che sia in grado di riconoscere gli aspetti psicologici che potrebbero oltre che rallentare il processo di guarigione anche interferire nel lavoro medico. Alcune indagini mostrano come lo stress psicologico aumenti del 40% il tempo di guarigione delle ferite chirurgiche (Marucha et al 1998; Bosch et al. 2007; Gouin et al. 2007); altre evidenziano la possibilità di ridurre i costi sanitari che certe malattie comportano e di conseguenza produrre risparmi per le persone e per il Sistema Sanitario (l’indagine svolta da Melek e Norris nel 2008 sui dati di 9 milioni di cittadini USA mostra come “la presenza di un problema psicologico aumenti i costi, a seconda dei casi, tra il 33% e il 169%”). Se consideriamo gli importanti interventi che lo psicologo può svolgere all’interno dell’ospedale non si può pensare che le conoscenze e le abilità necessarie si acquisiscano solo nella pratica, ma sarebbe necessario prevedere un’adeguata formazione da parte dell’Ordine, oltre che dalle Università. Rispetto a questo AltraPsicologia, nel suo intento di promuovere un miglioramento delle condizioni degli Psicologi iscritti all’Ordine e della Psicologia in generale, si propone di pianificare iniziative volte alla promozione della professione anche e specialmente in queste aree che, proprio perché solitamente meno considerate e spesso osteggiate dalle altre professionalità sanitarie, richiedono di essere maggiormente salvaguardate. Negli ultimi anni si parla molto di “umanizzazione” e di “personalizzazione” delle cure e di mettere “la persona al centro”; questo approccio non può prescindere dall’attenzione alla componente psicologica delle persone, quindi dalla necessità di figure professionali come quella dello psicologo all’interno delle strutture ospedaliere che primariamente si occupano della cura delle persone. La Psicologia Scolastica in Italia: lo stato delle cose. di Ruben Lazzerini AP si era occupata di dare segnalazione della situazione della Psicologia scolastica in Italia già all’indomani dei primi disegni di legge ormai datati inizio anni 2000 dove si ricordava che dal 1997 erano stati presentati ben sette disegni di legge che prevedevano l’istituzione dei servizi di psicologia scolastica (indicati con i numeri 1829, 2888, 2967, 3345, 3620, 3866-A). L’articolo ricordava che l’ultimo riferimento legislativo era un disegno di legge (998) che unificava tutti i precedenti tentativi di normare la disciplina ed era approdato alla nuova legislatura (la XIV) in attesa di approvazione. Dopodiché della legge si erano perse le tracce. In questi ultimi anni si è ritrovato un nuovo riferimento con la proposta di legge d’iniziativa del deputato Carlucci presentata il 18 Febbraio 2011 alla camera dei Deputati ( XVI legislatura) con il numero 4105 avente come Titolo “Istituzione sperimentale del servizio di psicologia scolastica”. Cosa c’è di nuovo? Leggendo la proposta di legge sembra che nulla sia cambiato rispetto alle precedenti disposizioni di legge: già il titolo ribadisce che non si tratta di predisporre una legge di istituzione di un servizio ormai ritenuto essenziale (non tenendo conto di quanto ormai sia acclarata l’importanza di sostenere la presenza della psicologia nell’Istituzione scolastica, confermata dai risultati positivi di molte esperienze attuate nell’ultimo decennio) ma di sottoporlo ancora ad una fase sperimentale. Nell’introduzione si ribadisce l’importanza di promuovere le attività per il benessere psicologico del bambino: “l’ascolto psicologico costituisce una importante valvola di sfogo, talvolta proprio l’unica in grado di conservare al bambino quella possibilità di sviluppo libero e costruttivo che anche la Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, resa esecutiva dalla legge n. 176 del 1991, afferma essergli sempre e comunque dovuta”. Da notare come viene banalizzato il nostro intervento professionale (“una importante valvola di sfogo”). E poco più avanti si fa autocritica affermando “Così tutti i princìpi di civiltà, che hanno indotto i Paesi civili a devolvere alla scuola in media uno su quattro dei loro psicologi, vengono incredibilmente calpestati nel nostro Paese, a causa dell’errata applicazione di una legge che doveva razionalizzare la distribuzione delle risorse professionali più verso la prevenzione che verso la cura e proprio in uno dei settori dove la differenza di costi tra prevenzione e cura è più macroscopica”, e arrivando alle conclusioni “La scuola deve poter offrire ai minori questo servizio, prima che essi ne dimostrino il bisogno conclamato; lo deve poter offrire a porte aperte, senza la precostituzione dell’armamentario delle diagnosi, delle prescrizioni, degli invii e delle cure, ormai inefficaci perché tardivi. E precisamente questa mera possibilità, senza alcun obbligo attuativo, si riapre con la presente proposta di legge.” Più avanti si da spiegazione sul perché il percorso della precedente legge non fu sostenuto completamente: il finanziamento era così esiguo da non meritare di considerare l’esperimento significativo e così come d’incanto invece di predisporre nuovi finanziamenti per dar corso alla legge ci si dimentica dei buoni propositi legislativi di quei parlamentari illuminati che l’avevano votata. L’articolo primo della presente proposta rinnova alle regioni il compito di istituire il servizio sperimentale di Psicologia scolastica durante il triennio successivo all’approvazione della stessa. Le finalità saranno quelle di “supporto all’attività delle singole istituzioni scolastiche e delle famiglie”, e “di contribuire al miglioramento della vita scolastica sostenendo lo sviluppo armonico dell’alunno e operando per la prevenzione del disagio sociale e relazionale.” L’art. secondo sottolinea le modalità organizzative del servizio prevedendo il ricorso a strutture specializzate o a singoli professionisti iscritti all’Ordine professionale (non specificando il nostro ma dandolo per scontato visto che gli interventi psicologici le possiamo fare solo noi!) attraverso convenzioni stipulate nel rispetto della legge vigente per fronteggiare anche con criteri di continuità le esigenze rilevate. Si stabilisce l’ammontare del nuovo finanziamento per il triennio 2011-2013 in totale poco più di quattro milioni di euro distribuiti tra tutte le province italiane. L’art. tre entra in merito ai compiti o alle attività svolte dal servizio di Psicologia scolastica e vale la pena riportarlo integralmente: “a) attività alunni e ai individuale. alunni sono genitori; di consulenza e di sostegno ai docenti, loro genitori sia in forma collegiale Gli interventi di consulenza individuale effettuati di norma con il consenso agli che agli dei b) partecipazione alla progettazione e alla valutazione di iniziative, sperimentazioni e ricerche che riguardano l’organizzazione del servizio scolastico nel suo complesso o nei suoi settori organici; c) promozione di attività di formazione per gli operatori scolastici; d) attività di orientamento e di collegamento per e con i genitori finalizzata alla promozione e al coordinamento delle attività di orientamento scolastico e professionale, alla promozione di studi sui fenomeni di abbandono e di insuccesso scolastici, nonché alla promozione di un clima collaborativo all’interno della scuola e tra la scuola e la famiglia.” Oltre alla tipica attività di consulenza psicologica rivolta a tutti gli attori del sistema scolastico (docenti, alunni e genitori) si estende la nostra presenza anche all’organizzazione scolastica (la scuola nel suo complesso, consulenza alla direzione scolastica per migliorare il funzionamento del sistema nel suo insieme), alla formazione degli operatori, all’orientamento scolastico, alla prevenzione della dispersione scolastica e del disagio giovanile, migliorando il rapporto collaborativo tra scuola e famiglia. Leggendo tra le righe possiamo dire che viene riconosciuto alla Psicologo la competenza sui processi di apprendimento, sulla prevenzione delle discriminazioni culturali, attraverso percorsi di integrazione della multiculturalità, di inserimento di bambini con difficoltà, mediante percorsi di educazione socio-affettiva per il miglioramento degli stili comunicativi e relazionali tra gli alunni. Alla luce di quest’ultima dichiarazione di volontà del legislatore di sostenere tutte queste iniziative noi non possiamo che vedere finalmente legittimate le nostre idee e il nostro spazio professionale e anche se ancora una volta si parla di sperimentazione e di un tetto finanziario disponibile (dividendo i 4 milioni per tutte le provincie italiane, 107, si può prevedere circa 40 mila euro per provincia… per ogni comune d’Italia qualche spicciolo insignificante) che non lascia contenti quei colleghi che negli anni hanno acquisito competenze specifiche e che si vedono negati spazi professionali solo perché non ci sono finanziamenti statali. Ma questo è ancora tutta una fase sperimentale che come poi afferma l’art. 4 dai risultati emersi da questa ricerca si trarranno delle conclusioni per avviare dei conseguenti provvedimenti. Perciò il cammino è ancora lungo e Altra Psicologia continuerà a chiedere nei luoghi competenti di riconoscere alla professione competenze consolidate e specializzate nel lavoro psicologico con i minori, in questo caso all’interno della scuola, potendo avere garanzia della continuità degli interventi come condizione necessaria per ottenere risultati positivi. Cronaca di una psicologa del lavoro…disoccupata! di Federica Modena Quando mi capita di dire a qualcuno che mi occupo di psicologia del lavoro se tutto va bene mi dicono:” Cioè ??????”..con gli occhi sgranati, se va male mi dicono: “ Ma se il lavoro non c’è!!! Ma cosa fai??????”. Il bello è che chi me lo chiede non è solo il falegname del paese in cui vivo, ma anche manager e imprenditori, titolari di piccole medie imprese che rappresentano la maggioranza della nostra realtà produttiva. All’insegna del “primum vivere deinde psicanalizzare”..!!!!!! Mai come in questi anni la figura dello psicologo del lavoro appare un investimento assurdo privo di significato, visto che il lavoro vero concreto manca…..ma cosa può fare uno psicologo del lavoro? In realtà è vero l’esatto opposto e proverò a dimostrarvelo. Voi direte ma come ??? Come???? Innanzi tutto proviamo a far capire chi è e cosa fa lo psicologo del lavoro. Lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni si occupa del rapporto fra individuo e organizzazione, si tratta di una serie di funzioni connesse all’acquisizione (reclutamento e lezione) alla gestione ( valutazione, incentivazione, mobilità interna) e allo sviluppo delle risorse umane; alla comunicazione interna; al marketing; alla ricerca organizzativa; alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; all’ergonomia degli ambienti; all’outplacement all’analisi e alla trasformazione della cultura organizzativa. Inoltre svolge attività di career counseling, ossia di consulenza individuale per la carriera, sia per le persone in cerca di occupazione, che per quelle già occupate che intendono modificare la loro collocazione professionale. È un professionista che esprime una competenza psicologica clinica-organizzativa orientata all’attivazione di dinamiche relazionali al contempo efficaci e soddisfacenti (per il singolo e i gruppi). Provo a chiarire concretamente….lo psicologo del lavoro è una figura che mai come oggi risulta fondamentale per ciò che viene definita dai mass media, la grande sfida dell’Italia: riprendere competitività! Come? Promuovendo la qualità del lavoro, che passa attraverso le persone che operano nei contesti produttivi; solo investendo sull’uomo si può recuperare competitività, perché se il lavoratore sta male (mobbing, stress…malesseri, frustrazione…) la stessa azienda ne soffre in termini di perdita di efficienza e produttività, poiché questo si concretizza nel lavorare male, nell’assenteismo, nelle situazioni di malessere fisico che in realtà di fisico hanno poco….nel nascondersi o farsi seppellire dalle procedure…. dal “qui si dice e quindi”….e quindi non si risolve nulla, se non aumentare le spese della sanità pubblica per assenze giustificate….o ingiustificate…. Lo Stato intanto da parte sua tampona e mette pezze facendo uscire normative sullo stress lavoro correlato che comprendono la valutazione soggettiva del suddetto (finalmente io lavoratore posso riportare il mio vissuto!), ma che alla fine si trasformano in un’ulteriore burocrazia e in moduli di carta da compilare. Valutazioni svolte da ingegneri, medici del lavoro e tecnici della qualità, geometri, che portano ad interventi di correzione che di soggettivo hanno poco e di (benessere) lavorativo meno.. Perché alla fine: “lo stress c’è l’ho io mica te”……e qui Vasco ci insegna molto! Caro collega chi scrive è una psicologa come te che rispettosamente ti chiede di spendere un po’ del tuo tempo per leggere il programma di Altra Psicologia, dove incredibile, incredibile la parola psicologo del lavoro non solo compare, ma prende posizione ed entra nel sociale attraverso la carta di identità dello psicologo. Lo psicologo esce dallo stereotipo del clinico freudiano arroccato nel suo studio con divanetto di pelle umana, ed evolve in una figura affidabile moderna in grado di rispondere alle attuali esigenze del sociale, fra cui in primis quella del lavoro. La psicologia ha la necessità di affermare il proprio ruolo e la propria rilevanza sociale, noi di AP intendiamo aprire una prospettiva di dialogo con la comunità culturale, scientifica e politica entrando nel dibattito in corso, facendo risaltare il valore delle nostre competenze, della nostra professionalità declinandola negli ampi ambiti che la contemporaneità propone, in primis il lavoro. Il cappello dello psicologo ovvero Ordine ed ENPAP, tutela e previdenza. di Ambra Cavina Ho una vecchia e cara amica, psicologa e psicoterapeuta esperta, con incarichi di responsabilità. Abbiamo frequentato insieme l’Università, cariche di entusiasmo per la disciplina e per una professione nel cui valore sociale credevamo profondamente. Allora, pensavamo che la Società avrebbe sempre più riconosciuto questo valore e di seguito, le nostre fatiche formative e lavorative sarebbero state in qualche forma ricompensate. Al nostro ultimo incontro, confrontandoci, ci siamo accorte che entrambe potevamo ancora credere nel valore della nostra professione, ma lei non poteva più credere che ci sarebbe stato prima o poi un riconoscimento sociale della stessa. Ha esclamato: “Se tornassi indietro, mai più! Troppa fatica, troppa frustrazione, troppa precarietà, poca tutela e nessun riconoscimento, neanche la pensione…solo le tasse, l’Ordine e l’ENPAP!”. Non entro nel merito della nostra precarietà lavorativa e delle inevitabili frustrazioni professionali, deve aver avuto una settimana pesante!…è una libera professionista da sempre, quindi conosce molto bene una realtà lavorativa fatta di precarietà, flessibilità, dinamismo, ricerca, promozione, passione, formazione costante e spesso tanta solitudine. Sento l’obbligo di entrare nel merito della tutela della professione e in particolare della previdenza, quindi Ordine ed ENPAP, sento l’obbligo di recuperare il senso di queste due istituzioni. Lo devo a lei e al suo impegno professionale, lo devo ai nostri sogni, perché esistono i sogni dei più giovani con le loro difficoltà occupazionali ed esistono i sogni dei meno giovani con le loro gratificazioni mancate e/o aspettative frustrate e una strada ancora tutta in salita. Parto dalla previdenza, poiché riconosco una valenza meritocratica e di riconoscimento sociale alla pensione, come a dire a un proprio contributo alla società corrisponde una ricompensa della stessa, il proprio lavoro è socialmente riconosciuto. Dimentico la psicologia e parto dal “mal comune, mezzo gaudio”: dopo le riforme previdenziali Dini (1995) e Fornero (2011) la situazione previdenziale è diventata più dura per tutti, c’è stato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e l’innalzamento dell’età pensionabile. È stata introdotta la previdenza complementare e progressivamente è diventata prassi comune tutelarsi, aprendo un proprio fondo pensionistico e/o assicurativo. Naturalmente ottengo un suo ironico: “Dovrei essere sollevata dal fatto che progressivamente si vada al ribasso per tutti? Che sia più difficile per tutti?”. Già, non sono stata una gran psicologa! Ricomincio…dalla Storia, la storia costruisce l’identità sociale, può restituirle il senso delle istituzioni e fare chiarezza su due enti, l’Ordine e l’ENPAP, che ci appartengono e che pur avendo origine, compiti e struttura molto diversi capita spesso vengano confusi e identificati come una tassa in più da pagare, un tributo per poter praticare la professione. Il nostro sistema pensionistico, oltre alle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti e autonomi, ha previsto forme obbligatorie di previdenza per i liberi professionisti. Le Casse di previdenza sono gli enti previdenziali di riferimento per i liberi professionisti iscritti agli Albi professionali, che sono obbligati ad iscriversi alla propria Cassa di riferimento e a versare regolarmente i contributi previdenziali richiesti dalla stessa. Come gli enti pubblici previdenziali, sono enti impositori in quanto obbligano i soggetti al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Le Casse di previdenza, pur essendo autonome, private (D.lg. 509/1994) e finanziate completamente dai propri iscritti, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di quello dell’Economia. È col D.lg. 103/1996 che viene assicurata la tutela previdenziale obbligatoria nei confronti dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione. Le Casse previdenziali nascono con lo scopo di assicurare la tutela previdenziale anche ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione. L’ENPAP è tra le casse previdenziali nate proprio col D.lg. 103/1996. L’ENPAP stessa si definisce come una fondazione di diritto privato che si occupa della previdenza obbligatoria e della tutela degli psicologi che esercitano la propria attività in forma di libera professione, erogando pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, nonché indennità di maternità. Dobbiamo dunque pensare a questo ente come a un diritto e non solo come un dovere, poiché, con tutti i suoi limiti e a dispetto dei recenti scandali, è nata per dare anche a noi, psicologi liberi professionisti, una tutela previdenziale e assistenziale. Lo psicologo libero professionista può avere come tutti l’aspettativa di “attaccare il cappello al chiodo”: deve arrivare ai suoi 65 anni di età, aver versato almeno 5 anni di contributi e moltiplicando il totale dei contributi versati per un determinato coefficiente, dato dall’età, sapere la propria pensione annuale. Dovrei parlare non solo dei contributi previdenziali, ma anche di quelli assistenziali come malattia/infortunio o maternità. Sulla malattia/infortunio mi limito a citare il diritto all’indennità di malattia, secondo le nuove regole che il sito dell’ENPAP riporta, per cui si può richiedere un indennizzo per i periodi di malattia/infortunio superiori ai 7 giorni. Dubito della qualità dell’informazione tra i liberi professionisti su quelli che sono i loro diritti, questa è una lacuna che andrebbe colmata, non ci si può lamentare di ciò che non si conosce e di seguito non lo si può migliorare. Ho ottenuto dalla mia amica un “cercherò di pensare alla nostra Cassa di previdenza come a una piccola INPS…” e io commento “…però una piccola INPS di cui puoi eleggere gli organi amministrativi…” nell’obbligatorietà del versamento contributivo, non va dimenticato il potere del nostro diritto di voto! L’ENPAP dà tutela e riconoscimento alla professione da un punto di vista previdenziale e assistenziale a livello nazionale ed è sì un ente previdenziale impositore, come l’INPS, ma pur nell’obbligatorietà del versamento contributivo, noi psicologi abbiamo un potere che non si può dimenticare, quello del nostro diritto di voto, noi eleggiamo direttamente gli organi amministrativi che si occupano dei nostri contributi previdenziali. Attraverso le elezioni, noi determiniamo due organi dell’ente previdenziale, il Consiglio di Indirizzo Generale e il Consiglio di Amministrazione. Una Cassa previdenziale è cosa molto diversa da un Ordine professionale. La Cassa previdenziale mi dà un’idea di quando e come potrò “attaccare il cappello al chiodo”, l’Ordine mi presenta le forme che può avere “il mio cappello” per essere “il cappello da psicologo”. L’Ordine è quell’ente pubblico autonomo che nasce per una doppia funzione di tutela verso la collettività: è garante per i cittadini della competenza e professionalità dei propri iscritti ed è garante per i suoi iscritti del riconoscimento professionale di fronte ai cittadini. Gli Ordini professionali portano in sé un valore corporativo e collettivo che non va dimenticato, a mio parere è ciò che dà senso alla loro esistenza. Sono enti la cui autonomia e autogovernabilità permette di garantire e ordinare giuridicamente la stessa collettività che li esprime. Le qualità di autonomia e autogovernabilità di cui gode un Ordine attribuiscono un’enorme importanza al voto dei più che eleggono quei pochi, da cui dipenderà la caratterizzazione dell’Ordine stesso, quindi della collettività dei professionisti di cui l’Ordine è espressione. Il fatto stesso che lo psicologo sia una professione regolamentata dal 1989 con la Legge 56, quindi preveda la costituzione di Albo, Ordini regionali e Consiglio nazionale degli stessi (CNOP), fa sì che abbia un riconoscimento sociale, gli venga attribuito un valore sociale, un potere e una competenza specifici. Viene riconosciuto che lo psicologo è un professionista della Salute dei cittadini e l’Ordine si fa garante della Salute degli stessi. Se l’Ordine promuove la professione nella società, entra nel dibattito sociale, difende le competenze e gli ambiti professionali, si offre come centro di servizi per i suoi iscritti, si attiva per dare informazione e ascolto agli stessi, crea rete tra di loro, allora l’Ordine tutela e realmente appartiene e caratterizza i suoi iscritti. Questa è l’idea che AP ha dell’Ordine e un Ordine siffatto è una struttura funzionale ai suoi iscritti e non l’ennesimo “peso” professionale. Gli Ordini regionali degli Psicologi così come il Consiglio Nazionale fanno vita a sé rispetto all’ENPAP e hanno ben poco in comune. Riferiscono a due ministeri diversi, quello del Lavoro e della Previdenza Sociale e dell’Economia per ENPAP e quello della Salute per gli Ordini Regionali degli Psicologi. Hanno una costituzione differente, ENPAP prevede quattro organi costituenti, gli Ordini Regionali prevedono solo un Consiglio con un numero variabile di membri, al massimo quindici, in base al numero degli iscritti che rappresentano. All’interno del Consiglio vengono eletti il Presidente, il Vicepresidente, il Segretario e il Tesoriere. L’insediamento del Consiglio è ratificato con decreto del Ministero della Giustizia. Gli eletti di ENPAP e degli Ordini hanno in comune solo il tempo del mandato e quindi ogni quattro anni torniamo ad eleggere i membri del Consiglio dell’Ordine e ogni quattro anni torniamo a votare per due degli organi di ENPAP. A collegare i due enti esiste solo all’interno dello Statuto dell’ENPAP una clausola che fa riferimento al CNOP, non più di due consiglieri del consiglio di amministrazione di ENPAP possono far parte del CNOP, non esiste, però, incompatibilità di incarichi per i consiglieri tra Ordini regionali ed ENPAP. La netta separazione tra Ordine ed ENPAP assicura un funzionamento ben differenziato e non promiscuo o confusivo di due strutture nate e cresciute per scopi differenti, con il solo obiettivo comune di dare garanzie alla stessa categoria professionale, garanzie previdenziali e assistenziali in un caso e professionali/giuridiche in un altro. Questa funzionale separazione non esclude che si potrebbe creare una maggior collaborazione tra i due enti. Spesso quello che manca agli iscritti all’Ordine è l’informazione su che cos’è, come funziona e che possibilità offre l’ENPAP, c’è un vuoto di comunicazione che andrebbe colmato. I giovani e i meno giovani non sempre sanno cosa possono chiedere all’ENPAP, AP si fa da sempre promotore di informazione tra i colleghi e anche su questo tema pensa si possa fare qualcosa di importante. Sarebbe sufficiente che l’Ordine istituisse qualche giornata di informazione e formazione ai propri iscritti sul sistema previdenziale e assistenziale, su quali sono i loro diritti e i loro doveri di contribuenti. La formazione continua per gli iscritti in modalità online e offline è una delle proposte del programma elettorale di AP e la formazione può riguardare anche aspetti della pratica professionale come quelli previdenziali. Questi momenti formativi sarebbero occasioni importanti anche per raccogliere gli umori, le idee, le proposte degli iscritti rispetto alla loro situazione previdenziale e assistenziale, l’Ordine potrebbe farsi carico di questo bagaglio di opinioni degli iscritti per poi farne restituzione all’ENPAP. Si potrebbe creare un piccolo vademecum previdenziale sul sito dell’Ordine e un collegamento diretto col sito di ENPAP così da tener costantemente aggiornati gli iscritti. Si potrebbe creare un front office per le questioni previdenziali e assistenziali, lo si potrebbe creare anche solo sul sito dell’Ordine, non che l’Ordine si sostituisca ad ENPAP, ma che offra una prima semplice consulenza. Fare dell’Ordine un luogo di servizi per i suoi iscritti è uno dei cinque punti del programma elettorale di AP e per me è quello che da maggior accoglienza alle esigenze dei liberi professionisti. Servizi, consulenze, informazione e formazione sono ciò di cui non abbiamo mai abbastanza. Per il momento sono stata io ad aver colmato la lacuna informativa ed aver accolto il pensiero e lo scoraggiamento della mia amica. Penso che andrà a votare per l’Ordine, non so se lo farà per me, perché mi vuole bene, non so se lo farà perché gli è piaciuta l’immagine di un Ordine dinamico e utile ai suoi iscritti. Io spero lo faccia per se stessa, per i nostri sogni e per quel “cappello” che sempre portiamo con molta dignità.