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Capitolo 8
Le ortesi per le patologie del rachide dorsale
Capitolo 8
Le ortesi per le patologie del
rachide dorsale
S Negrini, M Monticone, C Paroli, C Trevisan
Le ortesi sono dispositivi finalizzati al recupero di una funzione
corporea in quanto aumentano e migliorano la funzionalità e le
possibilità biomeccaniche di parti del corpo presenti, ma deficitarie. L’ortesi non sostituisce una parte anatomica mancante (in questo caso si parlerebbe di protesi), ma si applica al corpo per correggerne il difetto meccanico. In particolare, le ortesi vertebrali
dorsali rappresentano i dispositivi tecnici (esoscheletro – imbracatura – busto gessato – corsetto) che si applicano alla persona per
sostenere, mettere a riposo o correggere questo segmento rachideo.
I molteplici corsetti a disposizione possono essere ricondotti a 3
grandi categorie: i corsetti rigidi, quelli semirigidi e quelli “dinamici”. Nel corso del Capitolo distingueremo quindi le ortesi rigide
correttive per l’età evolutiva, le ortesi rigide per l’adulto e
l’anziano e le ortesi semirigide e dinamiche: ne verranno discussi
principi di funzionamento, caratteristiche costruttive, indicazioni,
modalità d’uso e limiti. Occorre comunque sottolineare che non ci
sono evidenze scientifiche di efficacia, ed ancor più di indicazione
specifica per i singoli corsetti; ne consegue che in questo Capitolo
riporteremo delle indicazioni derivanti dalla pratica clinica comune. Infine, non tratteremo dei corsetti non amovibili gessati o in vetroresina, in quanto di più elevata competenza specialistica; peraltro essi trovano applicazione sempre più raramente e solo nei casi
più gravi.
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Capitolo 8
Le ortesi per le patologie del rachide dorsale
Ortesi rigide correttive per l’età evolutiva
Principi di funzionamento
Secondo le classiche teorie, le ortesi correttive per l’età evolutiva
funzionano per il principio della spinta passiva trasmessa tramite i
tessuti molli e le coste alla colonna vertebrale. Per essere efficace la
spinta, ci deve essere (questo non è banale: un corsetto che non
spinge semplicemente non funziona) e deve sempre essere accompagnata da due contro-spinte adeguatamente posizionate.
Un approccio all’ortesi più dinamico, moderno ed in definitiva
riabilitativo prevede però che il corsetto funzioni anche grazie alle
spinte che il paziente stesso vi applica secondo tre modalità:
il movimento spontaneo (attività sportiva ed educazione fisica
scolastica incluse): questo non solo non è controindicato, ma deve essere il più possibile favorito; infatti, le forze sviluppate durante il movimento, contrastate dalle spinte dell’ortesi, generano
spinte correttive notevolissime, oltre ovviamente a dare un vantaggio psicologico al paziente che continua a fare tutto quanto
faceva anche prima di iniziare il trattamento;
la postura corretta, che il paziente deve assolutamente adottare
in corsetto evitando di "lasciarsi andare" contro le spinte (pena
un risultato marcatamente inferiore), ma cercando continuamente
di staccarsi, di allontanarsi dagli appoggi claveari anteriori, sfruttando le spinte del corsetto per riuscire ad ottenere un fulcro del
movimento sull'apice rigido della deformità ed ottenere così una
correzione reale molto più efficace di quanto si possa ottenere, in
questi casi "da corsetto", con la sola chinesiterapia;
la cinesiterapia specifica.
Secondo le cinque auree regole del Dott. Sibilla (ed una postilla,
la sesta regola), un corsetto funziona se:
1. viene ben prescritto: la prescrizione deve essere dettagliata,
precisando ogni particolare costruttivo in rapporto alle necessità
del singolo paziente; indicare solo il tipo di ortesi, senza precisare che cosa il medico curante, vero responsabile del trattamento,
intende ottenere e con quali mezzi tecnici, delega al tecnico or-
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topedico un ruolo che non gli spetta e soprattutto la responsabilità terapeutica;
2. viene ben confezionato: il corsetto deve essere costruito sul calco in gesso del tronco del paziente da parte di un tecnico ortopedico esperto, di ottima manualità e con grande capacità di collaborazione con il medico: questo significa non essere un supino
esecutore, né un anarchico inventore, quanto piuttosto un intelligente e critico applicatore di metodologie costruttive in grado di
interagire con il medico ai fini della buona riuscita dell’ortesi;
3. viene ben collaudato: la prescrizione deve essere verificata,
perché tra la progettazione dell’ortesi e la sua realizzazione sul
tronco del paziente possono verificarsi delle variazioni, delle anomalie che implicano la necessità di una riprogettazione e di
adattamenti essenziali per la buona riuscita dell’ortesi ed in definitiva del trattamento; inoltre, il responsabile del trattamento deve poter dare i necessari consigli d’uso al paziente, individuare le
spie che possono deporre per una possibile riduzione della compliance, definire eventuali indicazioni ulteriori per il rieducatore;
il collaudo non è quindi un atto formale, tutt’altro;
4. viene ben portato: il paziente è un attore essenziale, che subisce
una terapia da lui non richiesta (non ha sintomi), non voluta e, se
non spiegata, spesso nemmeno ben compresa; è essenziale che
tutta l’équipe terapeutica sappia interagire con il paziente e la sua
famiglia ai fini di ottenere una adeguata compliance; i minuti
“persi” dal medico per parlare con il ragazzo e con la famiglia,
dal tecnico ortopedico per garantire una maggiore vestibilità e
tollerabilità dell’ortesi, dal rieducatore per verificarne l’uso e
cercare di risolvere i piccoli problemi quotidiani del paziente,
sono un investimento essenziale ai fini della riuscita del trattamento;
5. è accompagnato da una adeguata cinesiterapia;
6. il paziente è stato accolto in una équipe terapeutica completa:
come sempre in riabilitazione (ma non solo) è infatti il lavoro in
équipe che consente quelle interazioni tra professionisti che si
fanno garanti di una buona riuscita del trattamento; dell’équipe
fanno parte il medico (sia esso fisiatra od ortopedico), il tecnico
ortopedico, il fisioterapista e/o il laureato in scienze motorie.
Le ortesi che secondo noi devono essere utilizzate in età evolutiva devono comunque rispettare alcuni principi di fondo:
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la massima vestibilità e la minima visibilità: sono veri e propri
“body” rigidi su misura più aderenti possibili al corpo del paziente; questo consente di ottenere un essenziale aumento della
compliance;
chiusura laterale: è utilizzata nel caso in cui trattiamo delle patologie sagittali (diviene chiusura anteriore in caso di scoliosi);
tale scelta è giustificata per almeno quattro motivi: la chiusura
costituisce un “locus minoris resistentiae” che non può essere
laddove il corsetto deve applicare le spinte correttive e quindi essere più rigido; la chiusura provoca un certo “gioco” in senso
verticale che, nel caso fosse collocata nei punti di spinta, potrebbe variarne la collocazione e dare molto fastidio se il paziente si
muove tanto, come noi gli chiediamo di fare; il paziente può gestirsi il corsetto da solo, come è essenziale in un’ottica di maggiore compliance che passa attraverso una sua responsabilizzazione; la chiusura consente al paziente una auto-regolazione secondo necessità (per esempio dopo pranzo), fermo restando che
di norma deve essere più stretta possibile;
il minor vincolo possibile all’uso degli arti: consente una vita di
relazione e sportivo-ricreativa più ampia possibile;
massima adattabilità in ognuno dei particolari costruttivi: consente di personalizzare il corsetto secondo le necessità di ogni
singolo paziente.
Riassumendo, quindi, il corsetto deve agire da stimolo meccanico con un duplice effetto: da una parte deve esercitare un’azione periferica di spinta sulla deformità, dall’altra deve avere un effetto
centrale facilitando il sistema di controllo posturale e fornendo informazioni ai centri superiori. L’azione terapeutica avviene mediante forze correttive agenti sulla deformità che si devono distribuire sulla maggior superficie possibile.
Indicazioni generali
Nel trattamento delle deformità sul piano sagittale, escluse le situazioni di m. di Scheuermann conclamato, non è necessaria una
grossa aggressività sin dall’esordio della patologia, anche se il
“timing” di inizio del trattamento ortesico è determinante ai fini
dell’ottenimento del risultato finale. Se da un lato infatti si possono
aspettare i primi segni della rigidità, tipica del rachide che sta divenendo adulto, prima di arrendersi all’inefficacia di un trattamento
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cinesiterapico comunque meno invasivo e quindi da preferirsi, è determinante non aspettare una esagerata rigidità (compatibilmente
ovviamente con l’entità della curva) che comprometterebbe
l’ottenimento di una adeguata correzione: la soglia di Risser 3 rimane generalmente indicativa, ma va verificata caso per caso. Il
trattamento ortesico deve essere sempre condotto sino alla massima
correzione ottenibile (ovviamente tarata in base ad ogni singola situazione e senza raggiungere l’ipercorrezione) e, se non ci sono segni gravi di m. di Scheuermann, non sempre necessita di essere protratto sino alla fine della crescita: una volta ottenuta la correzione si
può infatti procedere anche abbastanza precocemente e rapidamente
allo svezzamento dal corsetto.
Nel caso delle deformità sul piano sagittale lo scopo terapeutico
del corsetto è correttivo: se il paziente manifesta una adeguata compliance la correzione è completa nell’ipercifosi, molto buona nel
morbo di Scheuermann dorsale (non tanto sulla deformità dei singoli metameri interessati dal processo osteocondrosico – che pure parzialmente possono recuperare – quanto sull’assetto laterale del rachide) e da buona a discreta in caso di cifosi del passaggio dorsolombare.
Le Linee Guida sottolineano le seguenti raccomandazioni riguardo all’utilizzo del corsetto:
Si raccomanda il trattamento ortesico nella terapia conservativa
dell’ipercifosi (E1).
Si raccomanda il trattamento con corsetto per ipercifosi al di
sopra dei 55° Cobb, buona ma incompleta correggibilità della
curva e residuo periodo di crescita (E2).
Si raccomanda che il corsetto venga indossato, riducendo progressivamente le ore, sino al termine dell’accrescimento osseo
vertebrale (E2).
Si raccomanda che il corsetto venga disegnato per la specifica
curva da trattare (E1).
Si raccomanda l'utilizzo del corsetto meno invasivo in rapporto
alla situazione clinica per ridurre l'impatto psicologico dell'ortesi e garantire una maggiore compliance del paziente (E1).
Si raccomanda che lo specialista indichi con precisione al paziente le ore di utilizzo, coerentemente con il tipo di corsetto prescritto (E1).
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Principi di costruzione ed indicazioni per le singole ortesi
Sulla base dei principi enunciati nell’introduzione, elenchiamo i
due corsetti da noi utilizzati in caso di deformità sul piano sagittale.
Oltre a queste ortesi, ne sono state negli anni utilizzate e proposte
dalle singole scuole altre, tra le quali ricordiamo il Milwaukee, il
Lionese per dorso curvo, il busto Agostini antigravitario. In generale riteniamo che ortesi che non spingano direttamente sull’apice della cifosi provocano spesso raddrizzamenti esagerati in punti non desiderati del rachide senza essere in grado di correggere localmente
le zone rigide. Peraltro non condividiamo le spinte sternali, spesso
utilizzate, che non sono in grado di retroporre le spalle ed avere una
efficace azione di spinta posteriore; invece la contrarietà rispetto alle spinte acromiali deriva dalla scarsa tollerabilità e dal fatto che limitano esageratamente (ed inutilmente) la mobilità delle spalle.
Il corsetto tipo Maguelone
E’ una ortesi bivalva, con punti di spinta posteriori dorsale e sacrale collegati tra loro da tre barre in metallo (Figura 1); il corsetto
si raccorda anteriormente con un pancino con funzione di spinta addominale in ipolordosi; al pancino sono collegate due spinte claveari rigide in metallo. In casi particolare può essere aggiunto un collarino in cuoio per controllare l’antepulsione del capo.
E’ stato studiato basandosi sui principi correttivi della cifosi enunciati da Perdriolle, ed è stato presentato da Sibilla, Frassi, Massimini al V Congresso del GIS del 1982. E’ stato inizialmente utilizzato nei casi meno gravi, ma poi ha preso sempre più piede grazie
ad una buona affidabilità terapeutica ed alla alta tollerabilità da parFigura 1. Corsetto tipo Maguelone.
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te del paziente.
L’uso del corsetto Maguelone trova indicazione nei casi di ipercifosi dorsale pura, mentre per la sua costruzione non controlla bene
le curve dorsali basse e/o associate scoliosi importanti.
Il corsetto tipo Lapadula modificato Sibilla
E’ un corsetto monovalva basso realizzato in polietilene, con
chiusura anteriore mediana, che avvolge il tronco dalla linea sottomammaria all’inguine e posteriormente da D5 sino ai glutei (Figura
2). Questo corsetto, nato originariamente per le scoliosi basse, ha
una grande versatilità d’uso e consente di controllare molto bene
tutte le situazioni in cui la cifosi non sia quella tipica dorsale con
apice in D8, in quanto può tutelare anche il piano frontale ed orizzontale, nonché seguire tutto l’andamento delle curve sagittali. Le
spinte, ottenute con cuscinetti di plastazote opportunamente posizionate sul tronco del paziente, vengono di volta in volta collocate
in modo simmetrico o asimmetrico, e sagomate e posizionate al livello metamerico richiesto dalle singole situazioni cliniche; analogo
discorso per le finestre di espansione, che vengono comunque aperte posteriormente nel corpo del corsetto. Al corsetto di Lapadula
modificato Sibilla vengono di norma applicate le spinte claveari usate anche per il Maguelone, anche se non sempre è necessario in
caso di cifosi dorso-lombare, soprattutto se questa si associa ad una
rettilineizzazione del rachide dorsale alto.
Figura 2. Corsetto tipo Lapadula modificato Sibilla.
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Ortesi rigide per l’adulto e l’anziano
Questa tipologia di ortesi (Figura 3) ha sicuramente un uso meno
frequente nell’adulto e nell’anziano rispetto a quanto avviene nel
bambino o rispetto a quanto succeda per i corsetti semi-rigidi e dinamici. Ne trattiamo quindi in modo sintetico.
Fanno parte di questa categoria i corsetti di iperestensione a 3
punti o crociato, a 5 punti con intelaiatura metallica, presa pelvica e
pressore dorsale. Questi sono i corsetti che garantiscono il maggior
sostegno alla colonna vertebrale e sono gli unici ad essere adatti al
trattamento delle fratture vertebrali fresche. In genere sono fatti di
alluminio e quindi più leggeri di quanto non immagini il paziente. A
dispetto della loro rigidità, sono discretamente tollerati poiché la loro struttura con la presa pelvica o pubica non determina compressioni all’addome o alla cassa toracica.
Nella maggior parte dei casi, l’anziano con dolore intenso per
una recente frattura vertebrale accetta di buon grado l’uso del corsetto, poiché ha un beneficio rapidamente riscontrabile con il suo
utilizzo. Quando il dolore dorsale non è così importante c’è maggior
resistenza da parte del paziente ad accettare un corsetto che assomiglia ad una gabbia rigida, ma spesso è sufficiente un breve periodo
di rodaggio per vincere le numerose perplessità.
Le indicazioni di utilizzo sono in primo luogo, come già detto, le
fratture vertebrali recenti, indipendentemente dalla loro entità e dal
grado di dolore che provocano, poiché questi corsetti sono gli unici
in grado di prevenire l’aggravamento dello schiacciamento vertebrale per l’efficacia del sostegno che forniscono. Per lo stesso motivo trovano applicazione in tutte quelle condizioni di dolore dorsale
severo di origine vertebrale perché garantiscono una buona immobilizzazione e un discreto scarico meccanico.
I limiti principali sono sempre legati alla loro rigidità: sono poco
tollerati negli anziani fragili, sono poco adattabili in caso di grave
cifosi e comunque determinano una ipotrofia muscolare che va
combattuta con una adeguata chinesiterapia in corsetto, quando possibile.
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Possono essere considerati corsetti rigidi anche i corsetti a crociera ed i corsetti tipo Taylor. Rispetto ai precedenti hanno due caratteristiche in comune: garantiscono un minor sostegno e hanno
una presa pelvica che fascia e comprime l’addome. Possono avere
un indicazione nel trattamento delle fratture in fase subacuta o subcronica o nei soggetti con rachialgia o cifosi moderata.
Figura 3. Esempi di ortesi rigide.
Ortesi semi-rigide ed ortesi elastiche (dinamiche)
I corsetti fanno parte dell’armamentario medico dagli albori della
medicina. I modelli a disposizione sono molteplici, per foggia e
struttura, e la loro diffusione è molto ampia. Non pochi pazienti a
cui sono stati prescritti si sono trovati così bene nell’indossarli da
persistere nel loro uso per decenni. Nonostante tutto ciò le evidenze
scientifiche per delineare specifiche indicazioni e modalità d’uso
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per ciascuno dei diversi modelli di corsetto sono sostanzialmente
assenti. Perciò, le informazioni che troverete in questa sezione non
poggiano su alcuna solida base scientifica ma si basano unicamente
su consuetudini più o meno consolidate nella pratica clinica comune.
Principi di funzionamento
Gli effetti terapeutici del funzionamento di questo tipo di corsetti
sono riconducibili a precise ipotesi biomeccaniche.
Innanzitutto un’azione meccanica con la quale si punta ad ottenere una diminuzione del carico rachideo dorsale e lombare, una
diminuzione delle sollecitazioni da parte di movimenti vertebrali
incongrui, e possibilmente una correzione delle curve vertebrali lordotiche e cifotiche. Cingendo il basso addome e il tronco, si determina un aumento della pressione intra-addominale con conseguente
aumento della pressione idrostatica: poiché la cavità peritoneale
contiene liquidi non comprimibili, le forze componenti indotte, non
potendo fuggire verso il bacino, si riflettono verso l’alto provocando una diminuzione del carico sul rachide. Le forze componenti dirette posteriormente contribuiscono alla delordosi lombare. Occorre
prestare attenzione, in fase di indossamento, all’esatto posizionamento del corsetto per ottenerne il massimo effetto. Bisogna centrarlo posteriormente, accertandosi che, delle 4 stecche posteriori,
due siano a destra e due a sinistra della colonna vertebrale, posizionando la parte bassa anteriore in corrispondenza dell’osso pubico,
per contenere e comprimere l’addome fin dalla sua base. Esercitando una spinta sternale o agendo sui cingoli scapolari possiamo contrastare l’ipercifosi dorsale (dorso curvo), sostenendo parzialmente
il rachide grazie ai tre punti di pressione che andiamo a creare: pubico, lombare e toracico.
In aggiunta, l’efficacia del corsetto è legata anche all’azione di
controllo diretto ed indiretto sui movimenti del tronco, in quanto
evita fisicamente gli atteggiamenti scorretti e migliora le posture del
corpo attraverso un feedback tattile (funzione di promemoria), nonché per l’azione di calore e stimolazione sulla muscolatura paravertebrale.
Non dimentichiamo, inoltre, l’azione psicologica di sicurezza e
di tranquillità nei movimenti che nel soggetto dorsalgico può rivestire un ruolo determinante.
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In generale, comunque, i corsetti dorso-lombari, ben accettati dai
pazienti, hanno una scarsa funzione di sostegno e forniscono un certo beneficio al paziente per la sensazione di protezione che trasmettono, per l’azione di mantenimento di una certa temperatura corporea a livello muscolare e probabilmente perché aumentano le capacità propriocettive.
Caratteristiche costruttive
I corsetti semirigidi e i corsetti elastici (dinamici) si differenziano in base al materiale con cui sono costituiti e in base alle caratteristiche progettuali e costruttive, ideate per dare la giusta adattabilità al paziente e, per quel che è possibile, migliorarne la qualità della
vita.
Corsetti semirigidi
I corsetti semirigidi (Figura 4) sono confezionati in tessuto rigido
(stoffa), semplice o doppio, con o senza inserti in elastico e con
stecche posteriori paravertebrali variabili per numero e spessore.
Le stecche vengono adattate dal tecnico ortopedico alla misura di
ogni singolo paziente. Per facilitare il lavoro del tecnico ortopedico
e poterle adattare il più possibile alla morfologia e alle necessità di
praticità del paziente, esistono varie soluzioni nella parte anteriore e
nella chiusura del corsetto. La parte anteriore può essere piatta o
bombata e può disporre di una doppia allacciatura laterale (ganci e
stringa) ovvero di una chiusura centrale con ganci a scarpa o con
Figura 4. Ortesi semirigida.
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velcro. Il corsetto semirigido viene spesso indicato genericamente
come “busto in tela armata” dove il termine “armata” fa riferimento
alle stecche posteriori di cui dispone. Nei corsetti semirigidi vengono utilizzate stecche di larghezza 15 o 20 mm e spessore variabile
tra 0,80 e 1,50 mm. La sagomatura, ossia l’adattamento della stecca
al corpo del paziente, deve essere effettuata manualmente dal tecnico ortopedico, prima del confezionamento. Le stecche utilizzate
possono essere di diversa resistenza in base al materiale utilizzato,
dalla plastica all’alluminio. Nell’anziano spesso si usano spallacci
di retroposizione delle spalle.
Corsetti dinamici per l’adulto
I corsetti dinamici sono confezionati in tessuto elastico e sono in
grado di adattarsi alla anatomia del paziente (Figura 5). Nei corsetti
dinamici, le stecche hanno larghezza 15 o 20 mm e spessore variabile tra 0,40 e 0,60 mm e si auto-modellano al corpo del paziente
senza richiedere una sagomatura manuale. Per venire incontro alle
esigenze di ogni singolo paziente, è preferibile che le stecche posteriori siano sfilabili, per consentire al tecnico ortopedico una più agevole sostituzione con stecche di lunghezza e/o spessore differenti,
adattando l’ortesi alla statura e alla necessità del paziente nel rispetto della prescrizione medica. La corsetteria dinamica è nata da oltre
un decennio e rappresenta l’evoluzione nella storia delle ortesi vertebrali. Due sono state le motivazioni della sua affermazione: da
una parte la ricerca scientifica riabilitativa non è più propensa ad
accettare l’immobilizzazione prolungata del paziente, preferendo un
intervento ortesico complementare alla riabilitazione funzionale e
Figura 5. Ortesi dinamica.
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che in sintesi privilegi il movimento corretto in alternativa alla limitazione del movimento; dall’altra l’aver posto al centro
dell’attenzione il paziente con le sue giuste richieste di ortesi adattabili e confortevoli. L’ortesi può così divenire strumento rieducativo complementare alla riabilitazione, in armonia con le necessità
cliniche del paziente. I tessuti elastici utilizzabili pur potendo essere
delle più disparate tipologie devono rispondere a caratteristiche ben
precise: consentire un allungamento ottimale e una durata molto elevata; consentire una alta permeabilità all’acqua e all’aria permettendo una completa areazione; avere un ritiro al lavaggio molto basso. Il corsetto va sempre indossato sopra la maglia intima anche per
motivi igienici. L’ortesi può avere, in taluni modelli, delle fasce o
tiranti elastici orizzontali od incrociati anteriormente e posteriormente che facilitano l’indossamento e soprattutto garantiscono una
funzione elastica di sostegno maggiore. Tali fasce sono, inoltre, sovrapponibili per consentire di ottenere una altezza anteriore variabile ed assecondare l’anatomia del paziente (anche obeso) e differentemente tensionabili, per rispettare eventuali comorbilità, quali cardiopatie, pneumopatie, gastropatie, ernie e prolassi. Il vantaggio è
notevole in quanto il paziente, indossando il corsetto, lo adatta alla
sua anatomia e durante l’utilizzo può modificarne, in base alle esigenze del momento, l’altezza anteriore aumentando o diminuendo
la sovrapposizione delle fasce anteriori. In alcuni modelli sono poi
previsti rinforzi posteriori rimovibili, di diversa foggia e concezione.
Per l’anziano, alcuni corsetti semirigidi sono stati forniti di spallacci e tiranti elasticizzati che avrebbero lo scopo di fasciare il paziente creando delle forze di trazione che si oppongono alle alterazioni posturali, come la cifosi dorsale con anteposizione delle spalle. Modelli più evoluti, come lo SpinoMed, si presentano invece
come una barra dorsale elastica di sostegno modellabile alla quale
sono collegati un appoggio anteriore addominale e i reggispalle. Il
corsetto è leggero, non impedisce l’espansione toracica ed addominale ed esercita la sua azione attraverso l’attivazione propriocettiva
dei muscoli estensori del rachide.
Principi di applicazione
È davvero molto difficile parlare di principi di applicazione clinica per le ortesi dorsali pensando a quanto presente in letteratura
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sull’argomento. In questo momento non c’è alcuna evidenza scientifica dell’efficacia dei supporti dorsali nella prevenzione e nel trattamento della dorsalgia. Le numerose prove cliniche riportano, infatti, risultati contraddittori. C’è bisogno di una maggiore ricerca
sugli effetti dell’ortesi prima che possano essere tratte conclusioni
definitive circa le condizioni lavorative e cliniche per le quali i supporti dorsali possano essere incontrovertibilmente accettati.
In aggiunta, la corretta prescrizione di una ortesi dorsale deve richiedere la conoscenza approfondita dei principi generali dei corsetti, della biomeccanica della colonna toracica, nonché la comprensione delle indicazioni/limitazioni offerte dalle ortesi stesse. È,
dunque, il medico prescrittore che deve prevedere la reale necessità
dell’ortesi per il paziente che ha di fronte, indicando lo specifico tipo di ortesi prescelta, intravedendone la reale utilità riabilitativa.
A livello clinico, gli obiettivi da perseguire qualora ci si trovi a
prescrivere un’ortesi dorsale sono: controllare la posizione del segmento toracico della colonna mediante uso di forze esterne (prevalentemente semi-rigide ed elastiche), applicare forze correttive
(prevalentemente rigide e semi-rigide) a curvature anormali (dorso
curvo, ad esempio), favorire la stabilità vertebrale quando i tessuti
molli (complesso mio-legamentoso) non possono svolgere adeguatamente il loro ruolo stabilizzante, ridurre la sintomatologia algica
limitando il movimento rachideo.
Le ortesi dorsali limitano, comunque, solo parzialmente la colonna e non sono (fortunatamente) in grado di immobilizzarla completamente. Devono essere considerate solo quale strumento temporaneo e non definitivo per il paziente con dorsalgia comune, non
dimenticando che, contemporaneamente alla prescrizione ortesica,
deve essere intrapreso un piano di lavoro riabilitativo finalizzato alla graduale dismissione dell’ortesi adottata in fase acuta e subacuta.
Corsetti semirigidi dorsolombari per l’anziano
Sono indicati nelle condizioni di dolore dorsale di origine vertebrale di grado modesto e nelle cifosi di modesta entità. Il limite
principale è dovuto alla compressione che esercitano a livello addominale che è spesso scarsamente tollerata soprattutto nei soggetti
anziani con addome prominente da cifosi dorsale. Per questo motivo
molti pazienti finiscono per portarli allentati, confermando che la
loro funzione è principalmente di rassicurazione.
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Corsetti dinamici per l’anziano
Questi tipi di corsetti (Figura 6) hanno sostanzialmente le stesse
indicazione dei corsetti semirigidi e possono essere prescritti quando si desidera un’azione di stimolazione posturale. Per quanto riguarda invece lo SpinoMed, che è una ortesi peraltro ai limiti tra un
corsetto rigido ed un semirigido, pur essendo considerato dagli autori come “dinamico”, è uno dei pochi corsetti per i quali è disponibile una certa documentazione scientifica con studi che dimostrano
la sua capacità di ridurre il dolore, migliorare la mobilità vertebrale
e ridurre la cifosi. L’indicazione principale è il paziente con cifosi
dorsale e dolore cronico, quando si desidera una stimolazione propriocettiva che attivi il paziente. Il limite principale è che in alcuni
morfotipi (per esempio nei soggetti senza fianchi o con addome
globoso) l’adattabilità è parziale.
Conclusione
Il trattamento ortesico in età evolutiva ha una finalità precisa, richiede strumenti precisi e tempi altrettanto rigorosi per ottenere un
risultato che riduca le probabilità di problemi a fine crescita. Altrettanto si può dire per il trattamento ortesico con corsetti rigidi in età
adulta ed anziana, quando ci si rivolge alla frattura vertebrale. In
questi casi la carenza di letteratura scientifica, certamente non accettabile, viene superata dal consenso, sia sui mezzi (in generale,
non nello specifico della singola ortesi) che sugli obiettivi (ma non
Figura 6. Ortesi dinamica.
sui modi). Non altrettanto si può dire per quel che riguarda le ortesi
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semi-rigide e dinamiche, dove l’eclettismo regna sovrano, e la carenza di letteratura si fa sentire ancor di più. Probabilmente ciò è
dovuto ad una carenza non solo specifica rispetto alle ortesi, ma anche alla mancanza di conoscenze che purtroppo tuttora ci accompagna rispetto ai dolori dell’adulto; questo ci porta a fare di tutte le
erbe un fascio, accomunando sotto l’aspecifica diagnosi di “rachialgia” una serie di situazioni, alcune delle quali si potrebbero avvalere efficacemente di un trattamento ortesico, al contrario di altre. Oltre ad auspicare la necessaria opera di studio scientifico serio, è indispensabile comunque acquisire confidenza con gli strumenti ortesici disponibili, per sceglierli adeguatamente rispetto alle singole
necessità, e collocarli comunque nella giusta dimensione di ausilio,
ossia di aiuto ad un trattamento riabilitativo ben più ampio.
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Capitolo 8
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Monografia di Aggiornamento del GSS – anno 2003
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del Gruppo di Studio della Scoliosi e delle patologie vertebrali
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