Gli sgabelli rovesciati

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Gli sgabelli rovesciati
Gli sgabelli rovesciati
Piccolo saggio di decifrazione intorno alla musica
Guy Briole
“Bisognerebbe che una volta parlassimo – non so se ne avrò mai il tempo – della musica, in
margine”[1]. Attardiamoci dunque in questo margine, là dove la scrittura musicale può fare
bordo al silenzio, di ciò che, del reale, fa buco.
Jacques-Alain Miller, nella Conferenza di presentazione del tema del Congresso di Rio, si
chiede “se la musica, la pittura, le Belle Arti hanno avuto il loro Joyce”[2]. Miller sostiene
che, nel registro della musica, sia forse Schoenberg con la musica atonale, ad aver occupato
questo posto. Joyce, prosegue, ha saputo fare del suo sintomo “lo sgabello della sua
arte”[3], un oggetto d'arte elevato, per il tramite di questo sgabello, “alla dignità della
Cosa”[4].
Per la musica, lo sgabello fa parte degli usi: il direttore d'orchestra ci sale per coordinare
il tutti degli strumenti nell'Uno dell'opera, bisogna essere all'unisono. Il dispositivo, spesso
più sofisticato, si completa con uno sgabello-bis con leggio e bacchetta. Si dà a vedere per
convocare all'ascolto.
Di sgabello in S.Ca.Bello
Lo sgabello è una trovata di Lacan per indicare ciò su cui poggia il parlessere; il piedistallo
mediante il quale si può elevare, sublimare. Ciascuno ha dovuto costruirsi il proprio
sgabello, quello che lo ha elevato nel posto da cui sarebbe visibile agli altri. Spesso è
qualcosa che tiene come può, mediante un bricolage sempre provvisorio.
In Joyce il sintomo, Lacan inventa una scrittura singolare per designare questo
sgabello: S.Ca.bello! Lo definisce così:”L'S.Ca.bello è condizionato dal fatto che l'uomo vive
dell'essere (= che svuota l'essere) nella misura in cui ha – il suo corpo: ce l'ha del resto solo
a partire da lì. Ne discende la mia espressione del parlessere che si sostituirà all'ICS di
Freud (si legga: inconscio) [...]”[5].
Hervé Castanet, nel suo libro che ha per titolo questa invenzione
lacaniana, S.Ca.bello, “convoca” dei creatori. “Alcuni creano delle parole, altri delle
immagini, altri ancora delle finzioni utopiche. L'immagine fa vedere – essa mostra in
particolare; la parola designa – è portatrice d'universale. Il concetto vuole pensare il
mondo altrimenti – fa rottura”[6]. Egli prosegue indicando che è a partire dallo sguardo,
da questo buco, che l'artista si trova spinto a mostrare questo non-tutto visibile. Anche allo
scrittore mancano le parole per dire tutto, esse possono, malgrado la loro disposizione più
o meno stilizzata, soltanto fare traccia, bordura del buco. Di fronte “a questo incontro con
il reale, chiamato qui S.Ca.bello, ogni artista snoda e riannoda l'immagine o la parola o il
concetto per farne trattamento”[7]. Là dove si trattava di un trattamento del reale
mediante la sublimazione, con il sinthomo è una modalità di annodamento che permette di
fare con l'incurabile del reale.
La precisazione che Castanet apporta indica bene questa traiettoria nella scrittura di
Lacan, dallo sgabello allo S.Ca.bello:”La parola S.Ca.bello è reimpiegata qui nel nostro
saggio, con la sua sorprendente tipografia, per denudare questo reale con il quale l'artista
si confronta e che le sublimazioni possibili velano: al centro del Bello (del vero, del buono,
del perfetto, del sublime...) sempre questo S.Ca. Enigmatico, fuori senso”[8].
Dall'orgia alla stretta del reale
Quando si tratta del rapporto scopico con il quadro, con la foto, con la scultura, o con la
lettera per la scrittura, ci si interroga molto naturalmente ma dove è dunque il reale? E per
la musica, cosa dire? Non è la voce – quella della sensorialità; non è neppure l'intonazione
né l'armonia – via del sentimento. Facciamo la differenza tra intendere – ciò che blandisce
o irrita i sensi – e ascoltare che attiene alla lettura. Relativamente al reale, la musica può
essere considerata come la scrittura di una catena sonora: scrittura musicale intorno a
questo buco, a questo vuoto centrale che è il silenzio.
Sottolineiamo che, in alcuni paesi, la musica non si scrive a partire dalle note “do re mi fa
sol la si” come in Francia, in Italia o in Spagna ma, ed è il caso della Germania o
dell'Inghilterra, con le sette prime lettere dell'alfabeto A B C D E F G.
Anche la scrittura musicale ha le sue trame, le sue trecce, i suoi nodi, le sue intersezioni, le
sue impasse, i suoi vuoti, le sue ripetizioni... La struttura, nella forma sonata, ha dominato
la composizione musicale per due secoli, globalmente da Joseph Haydn fino a Arnold
Schoenberg. L'interpretazione, sia quella dei musicisti quanto quella di chi ascolta, viene
adeguata a questa musica: eco per l'uditore, a partire dalla creazione di un Altro, di qualche
cosa che risuona in lui di cui non sa niente. Niente di specifico alla musica ma a ciò che fa
incontro con una creazione: un quadro, un testo, una pièce di teatro, ecc...
L'incontro con un'opera musicale può avere diverse incidenze per un soggetto,
sublimazione di un impossibile dell'amore, così come godimento del corpo o misticismo
trasceso. In cui, uno per uno, si stabilisce un legame singolare con la creazione e con la sua
interpretazione, respingendo all'infinito la sequela dei commenti. Questa musica è quella
dei sembianti, sapientemente disposti secondo lo stile riconoscibile di ogni compositore e
secondo le sue scelte, il suo adeguamento a uno stile. Si definisce questa scelta il gusto
musicale, chiamato così per difetto di non saper definire l'indicibile dell'intimità di un
ricorso al godimento e alla supplenza al non rapporto.
Lacan, nel Seminario Ancora, evocando la pittura barocca, mentre rientrava da un viaggio
in Italia – da questa “orgia di chiese”[9]- parla dello “scrosciare di rappresentazioni di
martìri”[10], di una esaltazione dei corpi, di un godimento sublimatorio. Su questo punto
non è un azzardo avvicinare la pittura con la musica classica – certamente il barocco -,
ma non-tutta. Per esempio, con Schoenberg che rimette in causa la struttura della forma
sonata, la composizione si disfa sempre di più degli effetti soggettivi che saranno limitati
dalla scrittura atonale.
La musica allora non è più da interpretare ma da decifrare.
Lo S.Ca.bello rovesciato di Schoenberg
Nella ricerca di nuovi linguaggi musicali il passaggio può farsi da una scrittura cosiddetta
“intuitiva” - che lascia l'interpretazione aperta alla contingenza, a una composizione
musicale dettata dal caso, a partire da qualche indicazione generale del compositore – a
una scrittura del minimo dettaglio che non lascia nessuna possibilità all'interprete di
introdurre un qualche spazio di soggettività.
Andare contro la musica seriale, molto stretta in quanto a composizione e interpretazione,
suppone l'introduzione di variabili aleatorie che lasciano alla casualità dell'incontro tra
l'interprete e l'opera d'arte una parte della creazione; è il caso di John Cage e del suo
concetto di non intenzionalità assoluta[11], Ianis Xenakis, invece, per approssimarsi a un
aleatorio assoluto si orienta verso la scrittura matematica e la programmazione mediante
computer.
Pierre Boulez insorge contro questa “ossessione del caso”, stigmatizza queste “forme
elementari di transmutazione del caso”, ma, soprattutto, ritiene che queste maniere di
scrivere la musica denunciano una debolezza del compositore[12]. Non è la musica che si
disfa ma la creatività che è in difetto.
L'obiettivo è trovare una scrittura che non privilegi né le durate, né l'intensità, né i timbri
per andare sempre più lontano nel grado di astrazione. Desoggettivare la musica per un
altro incontro della lingua musicale con l'ascolto. Rumore, grido, sega, è dall'unità dei pezzi
staccati che questa musica viene recepita e parlata.
Si attribuisce a Arnold Schoenberg l'invenzione della musica atonale, della musica
dodecafonica: a lui, l'iconoclasta le cui opere all'inizio furono fischiate con clamore; a lui
che rifiutò fermamente tutte le proposte di composizione per il cinema hollywoodiano.
Nato a Vienna nel 1874, in una famiglia ebrea convertita al protestantesimo, fuggì
l'avanzata del nazismo lasciando Berlino che aveva appena promulgato le leggi contro gli
ebrei. Rimette in questione ciò che, fin lì, era stata la sua posizione nei confronti delle sue
origini. Segnato dalla violenza dell'odio che gli viene rinviato, considera di dover sostenere
il “suo posto di ebreo” davanti a tutti. Nel 1933 raggiunge la Francia dove resterà giusto il
tempo di riconvertirsi all'ebraismo alla sinagoga della rue Copernic. Raggiunge dunque gli
Stati Uniti dove si stabilisce definitivamente. Da quel momento si sente molto impegnato
dal suo essere ebreo e penserà a un piano di salvataggio degli ebrei d'Europa che fallirà. La
sua opera sarà molto influenzata dai suoi riferimenti all'Antico Testamento come in La
Scala di Giacobbe [1917] – sgabello verso il Dio di Abramo! - o la sua opera Mosè e
Aronne [1930-32] su cui torneremo. Nel 1947, all'età di 73 anni, scriverà in dodici giorni un
omaggio vibrante alle vittime ebree della Germania nazista, Un sopravvissuto di
Varsavia [A survivor from Warsaw,opus 46]. Un'opera della durata di 7'29'', straziante;
un'opera dodecafonica agghiacciante: al di là delle parole, il reale freddo e implacabile è
nelle note, in queste parole che urlano l'inumano, precipitano come blocchi di reale che
schiacciano. È un omaggio musicale monumentale dopo questo squasso disumano, questa
lacerazione, questo strappo della Storia degli uomini[13].
Come Joyce, Schoenberg non situa la sua opera in una temporalità, ma come qualcosa da
decifrare, da comprendere. Gli si attribuisce questa brusca sentenza “La mia musica non è
né moderna né antica. È suonata male”[14] così come questa profezia molto joyciana, “ho
fatto una scoperta [la musica dodecafonica] che assicurerà la preponderanza della musica
tedesca per cento anni...”[15].
Schoenberg muore nella solitudine della sua opera Mosè e Aronne che lascerà incompiuta,
lacerata tra il mutismo di Mosè, portatore del verbo severo di Dio, e l'eloquenza di Aronne,
l'iniziatore del Vitello d'oro. La perplessità nei confronti del messaggio di questa parte
dell'Antico testamento si risolve in una singolare scelta del trattamento musicale dei
principali protagonisti: un raffinato coro e alcuni tocchi di strumento a fiato per il Verbo
del Roveto ardente, una declamazione parlata per Mosè una voce di tenore per Aronne.
Schoenberg ha scritto i tre atti ma ha composto la musica soltanto dei primi due. Non è
potuto andare al di là di queste parole pronunciate da Mosè alla fine del secondo atto: Oh
parola, parola che mi manchi! [O Wort, du Wort, das mir fehlt][16]. Così lascia la
composizione di quest'opera sullo scacco che incontra nel convocare l'Inconoscibile. Il
riferimento non è religioso ma preso in un'introspezione che, a partire dal dubbio che la
abita, lo conduce verso una ricerca della verità. Su questo punto Lucien Rebatet avanza che
“Schoenberg, confinando il suo grave e profondo Mosè al di fuori della musica, dimora in
un'estetica del rifiuto”[17]. Avrebbe avuto bisogno di trovare un linguaggio musicale
paragonabile a nessun altro per liberarsi degli intralci da cui vedeva la musica limitata.
Quest'opera, che avrà attraversato venti anni della sua vita, resta incompiuta. Schoenberg
resta nell'impossibilità di scrivere la fine; non ci sono note.
Trasgressione, S.Ca.bello, musica e passe
Con Diego Masson[18] sono state esplorate due vie dell'evoluzione della scrittura
desoggettivata della musica. Una con Xenakis che compone a partire dalla matematica e
che spingerà talmente il processo che produrrà una legge detta variabile aleatoria
positiva;legge che determina una nota in durata e in altezza. Egli spinge questa scrittura
fino a un punto di indietreggiamento che sembra segnato da una solitudine assoluta e
decide di ritrovare il modo di rivolgersi a un pubblico scegliendo ciò che in tale scrittura
produce in esso degli effetti soggettivi. L'altra via è quella che persegue Boulez che scrive
una musica sempre più atonale, delle opere di un brio freddo fino a quando ritira egli
stesso dall'edizione, un'opera che scopre inaudibile. Dunque, contrariamente a ciò che
abbiamo detto di Schoenberg, né Xenakis né Boulez sono rimasti in questa solitudine
assoluta. Hanno cercato, di nuovo, di legarsi a un Altro, ad altri con un ascolto ancora
possibile. Nondimeno è vero anche, in una certa maniera, che Xenakis così come Boulez
hanno fatto del rigetto, dell'incomprensione della loro musica, il loro sgabello.
La musica è davvero una scrittura, cosa che Diego Masson ci ha dimostrato. Eppure noi
siamo poco preparati ad abbordare la scrittura atonale di Schoenberg, quella matematica
di Xenakis e quella seriale di Boulez [Struttura I per due piani-1952]. Un passo di più e
abbiamo la scrittura post seriale, quella dell'ultimo Boulez [Dérive II-2002]: scrittura di
frammenti di cui ciascuno dice “L'esistenza – il reale e la verità”. Boulez sarebbe andato
all'apice della razionalità e di questa logica di scrittura e poi avrebbe fatto, l'abbiamo visto,
un passo di lato verso una nuova alleanza con gli ascoltatori delle sue opere lasciando per il
compositore così come per il direttore d'orchestra, una “incertezza inerente a ogni
confronto soggettivo”. Per ogni opera “l'esistenza è messa in gioco”, è una “questione di
vita o di morte”[19]. Un reale “separato”, pezzi di reale messi insieme, giustapposti, senza
ordine, “senza maître”, fuga del senso, “boia di solitudine”, una voce per una parola, la
sorte di un'armonia in pezzi staccati...Bourreaux de solitude è il titolo che Boulez dà alla
seconda parte di una delle sue opere, Le Marteu sans maître.
Ecco ciò che interpella e rinvia all'esperienza di cui può testimoniare l'Analista della Scuola
a proposito del momento in cui decide di fare la passe, tempo di solitudine, momento di
separazione dall'Altro del transfert. La desupposizione di sapere, rinvia a questo esseresolo che non è più quello del dubbio ma quello della trasgressione[20] del dispositivo,
quello di un passaggio all'atto: un passaggio a fare l'atto di entrare nella passe tramite il
rovesciamento dello sgabello del transfert.
Ritroviamo qui ciò che ha deciso del contenuto di questa sequenza musicale a cui ha
partecipato Diego Masson al congresso di Parigi.
Un Improvviso per un dialogo incerto e contingente tra un direttore d'orchestra e un AE
che aveva pensato che quella poteva essere una singolare modalità per un'ultima
testimonianza. Un dialogo tra la logica di una cura e quella di un passo avanti della
scrittura musicale verso un fuori-senso, un reale. Un dialogo dietro ai degli sgabelli
trasparenti, scelti come tali, per la circostanza. Lo sgabello trasparente, non è il senza
pudore del dire, né il godimento opaco della parola, è uno sgabello rovesciato di cui si fa
uso per cimentarsi col ben dire.
L'entusiasmo degli ascoltatori non fece solo parte di quello che potrebbe essere promosso
dallo sgabello alla soddisfazione di tutti. Ma è stato piuttosto uno degli effetti della stretta
delle contingenze della vita di ciascuno e di ciò che esse hanno avuto come conseguenze
sulla decifrazione dell'inconscio per l'uno, della scrittura musicale per l'altro; di ciò che
tutto questo ha potuto produrre come effetto di trasmissione. Una testimonianza, alla fine,
nella Scuola Una. Un tentativo di trasmettere il suo sapere e saperci fare con il reale e con
il ben dire il suo percorso analitico con l'originalità di questo sgabello musicale rovesciato,
con lo S.Ca.bello.
Traduzione di Maria Rita Conrado
Revisione di Francesco Paolo Alexandre Madonia
[1] Lacan J., Il seminario, libro XX, Ancora. Einaudi, Torino, 2011, p. 111.
[2] Miller J.-A., “L'inconscio e il corpo parlante. Presentazione del tema del X congresso dell'AMP a
Rio de Janeiro, testo e video su wapol.org/fr/Template.asp.
[3] Idem.
[4] Lacan J., Il seminario, libro VII, L'etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2008, p. 133.
[5] Lacan J., “Joyce il sintomo”, in Altri scritti,Einaudi, Torino, 2013, p. 558.
[6] Castanet H., S.K.Beau,Parigi, Les Essais. Editions de la différence, 2011, p. 9.
[7] Idem, p. 10.
[8] Idem, p. 8.
[9] Lacan J., Il seminario, libro XX, Ancora.op. cit., p. 108.
[10] Idem, p. 111.
[11] Chion M., “Musique contemporaine. L'évolution de la musique depuis 1945”.
Parigi, Encyclopaedia Universalis,tomo 15,2002, p. 754.
[12] Vuillermoz E., Histoire de la musique. Parigi, Fayard, 1973, Tascabile, p. 552.
[13] Masson D., “Impronptu. Les chemins du réel en musique”, intervento al IX Congresso
dell'AMP, Parigi 17 aprile 2014, inedito – disponibile per l'ascolto sul sito radiolacan.com e in video
sul sito congresamp2014.com.
[14] Rebatet L., Une histoire de la musique. Parigi, Robert Laffont, Bouquins, 1969, p. 728.
[15] Idem, p. 734.
[16] Kobbé G., Tout l'opéra,Parigi, Robert Laffont, Bouquins, 1976, p. 597.
[17] Rebatet L., Une histoire de la musique,op.cit. p. 739.
[18] Masson D., Impromptu. Les chemins du réel en musique”, op. cit.
[19] Nattiez J.-J., Musiques. Une encyclopedie pour le XXI siècle. Arles. Actes sud/Cité de la
musique. Fuori collezione. Marzo 2003.
[20] Miller J.-A., “Jacques Lacan: remarques sur son concept de passage à l'acte”. Mental, aprile
2006, n° 17, p. 17-28.