Matematica intuizionistica

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Matematica intuizionistica
Matematica intuizionistica
Matematica intuizionista elementare
Un insieme (specie per gli intuizionisti) X è non vuoto se ¬¬∃x(x ∈ X);
è abitato se ∃x(x ∈ X).
Si dice che un insieme è finito se è in corrispondenza biunivoca con un
segmento iniziale di N.
Un sottoinsieme Y ⊆ X è separabile (detachable) se ∀x ∈ X(x ∈ Y ∨ x ∈
/
Y ).
Una relazione binaria # su un insieme X è una relazione di separatezza
(apartness) se per ogni x, y, z ∈ X:
(i) ¬x#y ↔ x = y
(ii) x#y → y#x
(iii) x#y → x#z ∨ z#y
Indecidibilità dell’uguaglianza tra numeri reali. Sia A(n) una proprietà
dei numeri naturali tale che A(n) sia decidibile, ∀n(A(n) ∨ ¬A(n)), ma non
si sappia nulla su ∀nA(n).
Definiamo un reale xA per mezzo della successione
−n
2
se ∀k ≤ nA(k),
A
xn =
2−k se ¬A(k) ∧ k ≤ n ∧ ∀h < kA(h).
A
−m
Si tratta di una succssione di Cauchy perché ∀n ≥ m(| xA
);
n − xm |< 2
inoltre
xA = 0 ↔ ∀nA(n).
−n
Da destra a sinistra è ovvio. Viceversa, se xA = 0 allora xA
per ogni
n+1 < 2
n.
Allora xA 0 ∨ xA 6= 0 equivale a ∀nA(n) ∨ ¬∀nA(n). 2
Alcune conseguenze:
1. Non si può definire x−1 per ogni x 6= 0.
2. Una funzione come
f (x) = 1 se x 6= 0
f (x) = 0 se x = 0
classicamente ovunque definita, non lo è costruttivamente.
3. L’insieme X = {0, xA }, dove A è come sopra, è in corrispondenza
biunivoca con {0, 1}, è finitamente enumerato. Ma non possiamo dire
che è finito perché dovremmo decidere sa ha uno o due elementi.
Relazione d’ordine tra numeri reali. Si definisce tra le successioni di
Cauchy una relazione <, che si trasporta in modo naturale ai numeri reali,
ponendo
{rn } < {sn } se e solo se ∃n∀m(sn+m > rn+m ).
Abbiamo già visto esempi di numeri α per cui non si può dimostrare la
tricotomia.
Un’altra relazione è
{rn }#{sn } se e solo se ∃k∃n∀m(| sn+m − rn+m |> 2−k ),
che è una relazione di separatezza, e per cui inoltre
x#y → (x + z)#(y + z); z#0 ∧ x#y → (xz)#(yz).
La relazione ¬x = y non è una relazione di separatezza nei numeri reali dove
invece lo è la relazione # definita sopra, equivalente a
x#y ↔ ∃r ∈ Q(| x − y |> r > 0)
o a | x − y |> 0.
Si verifica facilmente che x#y ↔ x < y ∨ x > y.
x−1 è definita se x#0.
Teorema
(i) x#y → (x#z ∨ y#z)
(ii) x = y ↔ ¬(x#y). 2
Se x#y non solo sappiamo che x non è uguale a y, ma anche possiamo
dire quanto distanti sono.
2
x 6= y → x#y è anche detto (è equivalente al) principio di Markov.
x ≤ y è definita da ¬(y < x).
x ≤ y non è equivalente a x < y ∨ x = y. Se x < y ∨ x = y, allora x ≤ y;
ma se x ≤ y non si può affermare x < y ∨ x = y; come esempio, di nuovo α
di sopra, per cui 0 ≤ α, ma non si può affermare α = 0 ∨ 0 < α.
Scrivendo x 6< y per ¬x < y si ha:
Teorema.
(i) x#y → x < y ∨ x > y
(ii) x < y → x#y
(iii) x 6< y ∧ y 6< x → x = y
(iv) x < y → x < z ∨ z < y
(v) x < y ∧ y < z → x < z
(vi) x 6< y ∧ y > z → x > z
(vii) x > y ∧ y 6< z → x < z
(viii) x 6> y ∧ y 6> z → x 6> z.
2
Tra le proprietà dell’ordine che non valgono costruttivamente si ha
(i) x > y ∨ x = y ∨ x < y
(ii) x ≤ y ∨ y ≤ x
(iii) se x ≤ y assurdo, allora x > y
Un controesempio debole a x ≤ y ∨ y ≤ x. Si usa di nuovo π e successioni
di 1 e di 2 che eventualmente compaiano nella sua rappresentazione decimale.
Per i = 1, 2 sia ni il minimo n, se esiste, tale che l’(n + j)-esimo posto
dell’espansione di π è i per 0 ≤ j ≤ 9.
Poniamo

se n1 6≤ n ∧ n2 6≤ n
 0
−n1
2
se n1 ≤ n ∧ n2 6≤ n1
xn =

−2−n2 se n2 ≤ n ∧ n1 6≤ n2
Con n1 6≤ n intendiamo “o n1 è definito e n1 6≤ n o n1 è indefinito”. Per
ogni n si può trovare il valore di xn calcolando n + 9 posti nell’espansione di
π. Se non ci sono sequenze consecutive di dieci 1 o dieci 2, allora xn è 0. Se
c’è una successione di dieci 1 non preceduta da una successione di dieci 2,
allora xn = 2−n1 , e analogamente nell’altro caso.
Al passo n conosciamo il numero reale x con accuratezza di 2n , quindi
è una successione di Cauchy. Inoltre è maggiore di 0 se e solo se esiste
3
una successione di dieci 1 non preceduta da una successione di dieci 2, ed è
minore di 0 se e solo se esiste una successione di dieci 2 non preceduta da
una successione di dieci 1. Per definizione di ≤, x ≤ 0 ∨ x ≥ 0 se e solo se
¬(x > 0) ∨ ¬(x < 0). Per provare la prima, dovremmo dimostrare che non
esiste una successione di dieci 1 non preceduta da una successione di dieci 2
consecutivi, nell’espansione di π, cosa che non sappiamo fare, e analogamente
per l’altro termine della disgiunzione. 2
Al posto di (i) si usa spesso
se x < y allora ∀z(x < z ∨ z < y),
costruttivamente accettabile.
Definizione, per numeri reali x e y:
[x, y] = {z : ¬(z > x ∧ z > y) ∧ ¬(z < x ∧ z < y)}.
Cosı̀ è sempre abitato e non importa di sapere se x 6> y o x 6< y.
x 6> y → [x, y] = {z : y 6< z 6< x}.
Assiomi di scelta. Secondo Bishop l’assioma di scelta è valido, a motivo
del carattere costruttivo degli enti su cui si lavora. Concordano con lui quelli
che accettano
Assioma di scelta numerabile Se S è un sottoinsieme di N × B e per ciascun
n esiste y in B tale che hn, yi ∈ S, allora esiste una funzione f da N in B
tale che hx, f (x)i ∈ S per ogni n.
Gli intuizionisti lo accettano per A = NN o A = 2N . Ma in generale
non vale: Goodman e Myhill hanno mostrato che quello generale, dove al
posto di N c’è un insieme qualunque A, implica il terzo escluso P ∨ ¬P . Sia
A = {s, t}, dove s = t se e solo se P ; sia B = {0, 1}; sia S = {hs, 0i, ht, 1i}.
Se f : A → B è una funzione di scelta per S, allora o
(i) f (s) = 1 o f (t) = 0, di modo che s = t, quindi vale P , oppure
(ii) f (s) = 0 e f (t) = 1, di modo che s non può essere uguale a t, e
quindi non vale P . 2
Un altro assioma più forte di quello numerabile, che è accettato, è
Assioma delle scelte dipendenti Se S ⊆ A × A e per ogni a ∈ A esiste b ∈ A
tale che ha, bi ∈ S, allora se a ∈ A esiste una successione {an } tale che a0 = a
e per ogni n han , an+1 i ∈ S.
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Razionali e irrazionali . Si può dire che un numero reale è irrazionale se
non è razionale, cioè
¬∃m∃n(n 6= 0 ∧ x = m/n).
La definizione è equivalente a ∀m∀n(n 6= 0 → x 6= m/n).
Tuttavia non è dimostrabile che ogni x o è razionale o è irrazionale (si
consideri π troncato al primo posto in cui incomincia una successione di dieci
1). In particolare non è dimostrabile per un irrazionale x che ∀q ∈ Q(x#q).
Dovrebbe dimostrarsi ∀q ∈ Q∃k(| x − q |≥ k −1 , con una funzione esplicita.
Se ∀q ∈ Q∃k(| x − q |≥ k −1 , x si chiama irrazionale forte.
Funzioni . Per ogni funzione da R in R vale ∀x∃y(f (x) = y). Data una
successione di Cauchy per x, una successione per y può essere determinata
in modo effettivo solo precisando un numero finito di termini a partire da un
numero finito di termini di {xn }. Ma questo vuol dire che la funzione f è
continua.
Le più ovvie funzioni classicamente discontinue, come per esempio
0 se x < 0
f (x) =
1 se x ≥ 0
non sono un controesempio perché non sono dimostrabilmente totali, non
potendosi dimostrare x < 0 ∨ x ≥ 0.
Il teorema del valor medio non è intuizionisticamente dimostrabile, ma lo
è una versione apparentemente più debole ma che svolge tutti i ruoli del teorema classico; lo si dimostra intuizionisticamente per le funzioni strettamente
crescenti, cioè per cui x < y → F (x) < F (y).
Teorema Se f : [a, b] → R è strettamente crescente e f (a) ≤ 0 ≤ f (b), esiste
c ∈ [a, b] tale che f (c) = 0.
5
Successioni di libere scelte1
Nella matematica intuizionistica ogni infinito è potenziale, non esiste un
inifnito completo.
In quella classica l’infinito potenziale appare nella forma del limite,
f (x) → ∞ per x → 0,
e quello attuale nell’affermazione che la cardinalità dell’insieme dei numeri
naturali è ℵ0 .
L’affermazione relativa al limite ha la stessa apparente struttura di f (x) →
0 per x → 0, ma se si espande la definizione di limite, dalla prima scompare
∞ mentre nell’ultima 0 rimane.
Nella matematica intuizionistica non si vuole negare una distinzione tra
questi due concetti, né è esclusa l’introduzione di simboli per quantità che
non sono in rapporto finito con i numeri interi; la tesi che non esiste alcun
infinito completo significa che cogliere una struttura infinita significa cogliere
un processo che la genera, che riferirsi a una tale struttura significa riferirsi
al processo che la genera, e che affermare che è infiita significa riconoscere
che il processo non è destinato a fermarsi.
Quando un processo termina, possiamo legittimamente distinguere tra
il processo stesso e il risultato completo; possiamo anche considerare la
struttura generata senza conoscere il processo che l’ha generata.
Nel caso di una struttura infinita, tutto quello che possiamo fare, a ogni
dato istante, è riconoscere qualche segmento iniziale della struttura prodotta
dal processo di generazione. L’unica comprensione che possiamo avere della
struttura infinita è attraverso il suo processo di generazione.
Tale modo di vedere si accorda con l’idea comune che l’infinito è qualcosa
che non ha fine; è l’unico modo in cui possiamo farci un’idea dell’infinito.
Nella matematica classica, le strutture infinite sono trattate come se potessero essere completate e contemplate nella loro totalità, l’intero prodotto del
processo di generazione.
La differenza si manifesta nella trattazione dei quantificatori su domini
infiniti.
Ammesso che un predicato applicato a ciascun elemento di un dominio
infinito abbia un valore definito di verità, il matematico classico ritiene che
anche la sua chiusura universale abbia un valore determinato di verità (il
1
Si veda M. Dummett, Elements of Intuitionism, Oxford, 1977.
6
prodotto). Il valore di verità di un enunciato quantificato è il risultato di un
processo che consiste nel passare in rassegna tutti i suoi casi particolari; la
garanzia della terminazione sta nel fatto che per ogni elemento il predicato
ha un valore ben determinato.
Per l’intuizionista, questa posizione, che si può chiamare platonista, deriva dal trasferire al caso infinito una circostanza sussistente solo nel caso finito. Ma nel fare questo trasferimento, il platonista distrugge l’essenza stessa
dell’infinito, che è quella di qualcosa che è sempre in crescita, in quanto il
processo non termina mai.
Il platonismo in questo senso si fonda su una contraddizione, quella di
considerare un processo infinito come se fosse finito.
Per l’intuizionista, nulla, né valori di verità di enunciati né alcuna altra
entità matematica può essere presentata come il risultato finale di un processo
infinito, perché un processo infinito non ha un risultato finale.
Per questo motivo un enunciato quantificato universalmente non può essere pensato come vero per accidente, perché accade che per tutti gli elementi
del dominio è vero, ma solo se c’è una dimostrazione del suo essere vero, dimostrazione che deve dipendere dalla nostra comprensione del processo che
genera il dominio.
Controbiezione del platonista: è vero che noi possiamo avere l’idea di
infinito solo attraverso un processo che è impossibile che termini, ma non è
obbligatorio pensare che ogni totalità infinita sia generata da un simile processo. Per esempio è intelligibile, anche se falso, dire che ci sono infinite stelle
nel cielo; l’infinità si riferisce alla incompletabilità del processo di contarle,
ma non è questo il modo in cui vengono in esistenza. La totalità può esserci data attraverso un concetto che in sé non determina la grandezza della
totalità, e quindi non è assurdo pensare a totalità infinite già formate.
Per l’intuizionista l’obiezione è accettabile in riferimento alla realtà empirica, ma non per le totalità matematiche, i cui elementi sono costruzioni
mentali. Quand’anche non lo fossero, la loro comprensione è un atto di pensiero. Se non sono considerate prodotte dal pensiero, tuttavia o proprio per
questo devono essere viste come la possibilità permanente di certe operazioni
mentali. Per parlare di un numero come 1010 non è necessario aver contato
fino a quel numero, ma nel parlarne si presuppone la possibilità che qualcuno lo faccia, indipendentemente dal fatto che qualcuno poi lo faccia davvero.
Anche se una totalità come quella dei numeri naturali è concepita come totalità di oggetti realmente esistenti, tutta deve esserci presentata in termini
di un processo mentale incompletabile. Quindi ogni operazione sulla totalità
7
deve essere spiegata in termini di una possibile operazione sulle costruzioni
mentali generate dal processo. Anche se ci fossero infinite stelle, sarebbe
concepibile che si potesse inventare uno strumento che dà una certa risposta solo nel caso che esista una stessa con una determinata proprietà. Nel
caso dell’infinità dei numeri, concepire un tale strumento per determinare il
valore di verità di un enunciato quantificato è un’assurdità: noi possiamo
introdurre un’operazione sulla totalità solo in termini o di un’operazione sul
processo stesso, o di un’operazione su un opportuno segmento iniziale della
successione, o una combinazione dei due.
Il platonista direbbe: siccome le nostre capacità sono limitate, noi dobbiamo dapprima ottenere l’idea di infinito facendo riferimento a tipi di processi
che noi siamo in linea di principio incapaci di completare; ma una volta formato il concetto di struttura infinita, noi facciamo un passo ulteriore, quello
ci concepire la possibilità che un tale processo sia completato (per esempio da
un essere con capacità inconfrontabili con le nostre). Cosı̀ ci formiamo l’idea
di una struttura completa che risulterebbe dal completamento di un processo
adeguato. L’impossibilità di completare un processo è di poco conto, non è
logica, ma si riferisce solo a capacità contingenti degli esseri umani.
Intuizionista sostiene che alle espressioni del nostro linguaggio matematico deve essere dato un senso in riferimento a operazioni che noi possiamo in
linea di principio eseguire. Il finitista dice . . . che possiamo di fatto eseguire. Il platonista dice . . . operazioni che noi non possiamo neanche in linea di
principio eseguire, ma che potrebbero esserlo da parte di esseri le cui capacità
trascendessero le nostre.
Il dominio dei naturali è un dominio infinito di enti finiti; nel caso dell’analisi gli enti stessi sono infiniti.
Una successione infinita è introdotta inizialmente come successione generata da una regola effettiva. Per avere la totalità dei reali, occorre qualcosa
di più.
Occorre tagliare il legame tra la successione infinita e l’idea che debba
essere dato un mezzo per cogliere la successione come un tutto. Se si cerca
solo di generalizzare l’idea di regola, per esempio ponendo condizioni espresse
che descrivono in modo non ambiguo quale dovrebbe essere l’n-esimo termine
(lo determinerebbero da un punto di vista platonista), e se si insiste sulla loro
precisazione per esempio come condizioni espresse in un preciso linguaggio,
si ottiene solo qualcosa di numerabile e ben diverso dal continuo classico. Si
deve parlare di successioni arbitrarie.
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Se si vuole arrivare a un continuo che sia analogo a quello classico, bisogna
considerare successioni arbitrarie: successioni generate non in base a una
regola o altre prescrizioni matematiche, ma da un processo che comporta
ripetute scelte arbitrarie di un termine dopo l’altro.
Questo è tipico dell’intuizionismo e rifiutato in genere dagli altri costruttivismi.
Intuizionisti accettano oltre alle successioni prodotte da regole anche successioni nella cui generazione intervengono libere scelte. Qualche restrizione
ci può essere; una restrizione parziale può essere fissata all’inizio, oppure
a ogni stadio della generazione della successione una ulteriore restrizione
parziale o totale può essere imposta sulla successiva scelta dei termini.
Con le successioni arbitrarie non si ricade nella matematica classica perché
comunque una successione non è mai considerata qualcosa i cui termini
possono essere tutti passati in rassegna.
Nella quantificazione su tali entità, il loro carattere incompleto viene fuori
nel modo in cui sono interpretate le affermazioni su di esse. Le successioni
infinite, sia date da una regola sia no, sono oggetti intensionali; essendo
date da un processo di generazione, non sono mai caratterizzate in modo
univoco dai loro termini (conosciuti). Anche un’affermazione estensionale
su di esse, cioè un’affermazione che se vera di una lo è anche si ogni altra
estensionalmente equivalente alla prima, può essere riconosciuta vera solo
sulla base di un ammontare finito di informazioni che può essere raccolto in
un determinato istante. Nel caso delle successioni legiformi, si tratterà della
regola effettiva per generare i termini, nel caso delle successioni di libere scelte
consisterà di un segmento iniziale finito, eventualmente con le restrizioni che
siano state imposte sulla prosecuzione del segmento al momento o prima che
l’ultimo termine sia generato.
Siano a, b, . . . successioni legiformi di numeri naturali; siano α, β, . . . successioni di scelta; sia = l’uguaglianza estensionale: a = b ↔ ∀n(a(n) = b(n)),
α = β ↔ ∀n(α(n) = β(n)).
Exta A(a) significa che A esprime una proprietà estensionale: ∀a, b(a =
b → (A(a) ↔ A(b))), e analogamente per A(α).
Per A estensionale, ∃αA(α) significa che possiamo effettivamente trovare
un segmento iniziale hn0 , . . . , nk−1 i e un insieme di restrizioni sulla prosecuzione del segmento tale che per ogni successione di scelta α che rispetta
quelle restrizioni e per cui α(i) = ni vale, per i < k, A(α) vale.
Per A(α) estensionale, ∀αA(α) significa che per ogni α è possibile determinare la verità di A(α) da un ammontare finito di informazioni su α disponibile
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a qualche stadio, cioè da un segmento iniziale hα(0), . . . , α(k − 1)i insieme
a qualunque restrizione sullo sviluppo successivo di α sia stata fissata prima
dello stadio k.
Consideriamo ∀α∃nB(α, n): ci deve essere una procedura effettiva uniforme per trovare, per ogni α, un n tale che B(α, n); ma la procedura per
trovare n deve lavorare su qualche segmento finito di α (senza tenere conto
delle future restrizioni che eventualmente saranno imposte in seguito). Quindi dobbiamo avere una regola effettiva grazie alla quale possiamo decidere,
per ogni successione finita, se è sufficiente o no a determinare un n tale che
B(α, n) valga per ogni α che coincide con il segmento iniziale; e che poi ci
permetta di trovare un tale n se la successione finita è sufficientemente lunga;
e inoltre ogni successione di scelta deve avere un segmento iniziale da cui la
regola in grado di computare un tale n.
Il teorema del ventaglio
Una restrizione che mettiamo ora in generale sulle successioni α è che la
successione sia un elemento di uno spiegamento.
α(n) è abbreviazione per hα(0), . . . , α(n − 1)i.
~u, ~v , . . . sono variabili per successioni finite di numeri naturali, e un−1 è
l’n-esimo termine di ~u.
La lunghezza di una successione finita di numeri è lh(~u) = k se e solo se
~u = hu0 , . . . , uk−1 i.
La concatenazione ~u ∗ ~v = hu0 , . . . , uk−1 , v0 , . . . , vl−1 i. ~u_ m = ~u ∗ hmi.
Uno spiegamento è un albero in cui ogni ramo è infinito, e si può effettivamente costruire un sottoalbero costituito da segmenti iniziali di un numero
finito di rami. I rami si identificano con successioni di scelta, e ogni nodo
con una successione finita di numeri, il segmento iniziale comune a tutte le
successioni i rami corrispondenti alle quali passano per il nodo.2
Ogni nodo ~u determina un insieme (specie) l’insieme di quelle successioni
che hanno ~u come segmento iniziale, Scriviamo
α ∈ ~u ↔ ∃n(~u = α(n)).
2
Gli intuizionisti non usano il termine “albero”, è usato qui solo per la familiarità della
terminologia. Uno spiegamento (nudo, si veda oltre per la precisazione) è in effetti una
specie di successioni finite di numeri, o forse meglio ancora la specie di tutte le successioni
finite dei numeri; le restrizioni saranno introdotte in un secondo momento, si veda oltre.
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Poniamo ~v ~u ↔ ∃w(~
~ v = ~u ∗ w).
~ Attenzione alla direzione!
Si possono identificare le restrizioni sulle successioni di scelta che vogliamo
rappresentare per mezzo di una funzione costruttiva di successioni finite.
Questa funzione, applicata a una qualunque successione finita, determina se
essa è ammissibile nello spiegamento, cioè se è il possibile segmento iniziale
di una successione di scelta che soddisfa le restrizioni.
Questa funzione s è la legge dello spiegamento:
0 se ~u è ammissibile
s(~u) =
1 altrimenti
Inoltre chiediamo che in ogni spiegamento la successione vuota sia ammissibile, che ogni successione ammissibile abbia almeno una estensione ammissibile, che ogni restrizione di una successione ammissibile sia ammissibile:
spr(s) ↔ s(hi) = 0 ∧
∀~u(s(~u) = 0 → ∃k(s(~u_ k) = 0) ∧
∀~u∀~v (~u ~v ∧ s(~u) = 0 → s(~v ) = 0) ∧
∀~u(s(~u) = 0 ∨ s(~u) = 1).
Una successione di scelta α è un elemento di uno spiegamento con legge
s se ∀n(s(α(n)) = 0).
Esempi Lo spiegamento universale è quello per cui ∀~u(s(~u) = 0).
Per ogni n, lo spiegamento pieno n-ario è quello dato da s tale che
∀~u((s(~u) = 0 ↔ ∀i<lh(~u) ui < n) ∧ (s(~u) = 1 ↔ ∃i<lh(~u) ui ≥ n)).
Gli spiegamenti considerati finora si chiamano anche nudi. Ma a ogni
spiegamento con legge s si può affiancare una legge effettiva di correlazione
c che associa elementi di una specie A alle successioni ammissibili di s. Se
α ∈ s la corrispondente successione di scelta di elementi di A è
c(α) = hc(α(0)), . . .i.
hs, ci è uno spiegamento vestito.
Un teorema classico, il contrapositivo del lemma di König, è il teorema
che afferma che in un albero finitario in cui ogni ramo termina esiste un
confine superiore alla lunghezza dei rami.
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Classicamente ci sono due versioni, che si ottengono per contrapposizione;
la seconda afferma che in un albero finitario, se non esiste un confine superiore
alla lunghezza dei rami (o in modo equivalente se esistono infiniti nodi) allora
esiste un ramo infinito.
Per la versione intuizionistica consideriamo la prima formulazione.
Un ventaglio è uno spiegamento finitario, il corrispondente intuizionistico
dell’albero finitario:
f an(s) ↔ ∀~u(s(~u) = 0 → ∃k∀mm>k s(~u_ m) = 1).
Invece di definire gli spiegamenti in modo che abbiano anche rami finiti,
si introduce il concetto di sbarramento.
Una specie R di successioni finite sbarra un nodo ~u in uno spiegamento s
se e solo se
∀α ∈ s(α ∈ ~u → ∃n(α(n) ∈ R)).
Il teorema sopra enunciato si può allora esprimere nella forma:
f an(s) ∧ ∀α ∈ s∃n(a(n) ∈ R) → ∃m∀α ∈ s∃n ≤ m(a(n) ∈ R),
o in modo equivalente
f an(s) ∧ R sbarra hi in s → ∃m∀α ∈ s∃n ≤ m(a(n) ∈ R).
Tuttavia la possibilità di trovare un confine alla lunghezza dei rami dipende dalla possibiità di riconoscere in modo effettivo quando un ramo termina,
o nel nostro caso è sbarrato, quindi occorre assumere che R sia decidibile. In
definitiva
Teorema generale del ventaglio
f an(s)∧∀α ∈ s∃n(a(n) ∈ R)∧∀~u(~u ∈ R∨~u ∈
/ R) → ∃m∀α ∈ s∃n ≤ m(a(n) ∈ R).
Discussione della dimostrazione del lemma di König.
Posto
Q(~u, m) ↔ ∀α ∈ s, α ∈ ~u∃n ≤ m(α(n) ∈ R),
e
A = {~u | ∃mQ(~u, m)}
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se
∀k(s(~u_ k) = 0 → ~u_ k ∈ A) ovvero ∀k(s(~u_ k) = 0 → ∃mQ(~u_ k, m))
esiste un q tale che ∀k > qs(~u_ k) = 1, perché s è un ventaglio.
Siccome ci sono solo un numero finito di k per cui s(~u_ k) = 0, o con
l’assioma di scelta, esiste una funzione costruttiva a tale che
∀k(s(~u_ k) = 0 → Q(~u_ k, a(k)),
e se max è il massimo di questi a(k) si ha Q(~u, max), quindi ~u ∈ A.
La specie A è cioè ereditaria verso il basso, nel senso che essa contiene ogni
successione finita ammissibile tutte le cui immediate estensioni appartengono
a A:
(1) s(~u) = 0 ∧ ∀k(s(~u_ k) = 0 → ~u_ k ∈ A) → ~u ∈ A.
Contrapponendo si ottiene
(2) s(~u) = 0 ∧ ~u ∈
/ A → ∃k(s(~u_ k) = 0 ∧ ~u_ k ∈
/ A);
allora partendo da hi ∈
/ A, che discende dall’ipotesi del lemma (nella seconda
versione, perché abbiamo contrapposto, quindi non esiste un confine superiore
alla lunghezza dei rami), si può definire il ramo infinito per induzione:
β(n) = min{k | s(β(n)_ k) = 0 ∧ β(n)_ k ∈
/ A}.
/ A e quindi ∀nβ(n) ∈
/ R. Si noti che R ⊆ A in
Per β in s si ha ∀nβ(n) ∈
quanto per ~u in R si può prendere la lunghezza di ~u per trovare estensioni in
R.
Di questa dimostrazione il passaggio inaccettabile è la contrapposizione di (1) in (2), non tanto per la contrapposizione, lecita, quanto per la
trasformazione surrettiziamente introdotta di un ¬∀x in ∃x¬.
L’enunciato stesso del lemma non appare intuizionisticamente valido anche solo sulla base dell’intepretazione BHK.
Esiste anche un controesempio dovuto a Kleene, con le funzioni ricorsive
generali.3
Ora invece di usare la contrapposizione illecita, quindi l’induzione e infine
di nuovo la contrapposizione per arrivare al teorema del ventaglio, si può
3
Si veda Dummett, cit.
13
provare a usare direttamente una induzione sull’albero usando (1) come passo
induttivo.
Induzione per sbarramento (bar induction, BI)
spr(s) ∧
(i)
∀~u(~u ∈ R ∨ ~u ∈
/ R) ∧
(ii)
(iii)
∀α ∈ s∃n(α(n) ∈ R) ∧
∀~u(~u ∈ R → ~u ∈ A) ∧
(iv)
_
_
∀~u(s(~u) = 0 → (∀k(s(~u k) = 0 → ~u k ∈ A) → ~u ∈ A)) (v)
→ hi ∈ A
Si noti che A è qualunque, purché soddisfi (iv) e (v); nel caso della
dimostrazione precedente A era definita in modo da soddisfare tali condizioni.
BI è argomento di accese e complicate discussioni in casa intuizionista.
Brouwer ne ha dato una dimostrazione, analizzata in Dummett, cit., e ritenuta insoddisfacente. Gli intuizionisti che studiano l’analisi tendono ad
assumerlo come assioma.
Altri principi necessari allo studio del continuo sono i cosiddetti principi di
continuità, su cui non ci soffermiamo: sono tentativi di esprimere il fatto che
certi funzionali, esistenti per l’assioma di scelta ma possibilmente dipendenti
da caratteri intensionali, sono in realtà calcolabili sempre in base a segmenti
finiti di informazioni.
Sono necessari per dimostrare il punto cruciale dell’analisi intuizionstica,
cioè il teorema che tutte le funzioni definite su un intervallo chiuso sono
uniformemente continue.
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