1 1. Attuale stato delle ricerche 2. Regressioni nell`adulto e nel

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1 1. Attuale stato delle ricerche 2. Regressioni nell`adulto e nel
1. Attuale stato delle ricerche
2. Regressioni nell’adulto e nel bambino
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Recenti ricerche di psicologia infantile hanno dimostrato come i primi
stadi dell’evoluzione extrauterina siano contrassegnati da meccanismi di difesa
caratteristici e diversi da quelli correlativi agli stadi più avanzati.
Tra i meccanismi di difesa descritti dalla fisiologia e quelli illustrati dalla
psicologia, tra la lotta per l’esistenza condotta con mezzi biologici (durante il
periodo intrauterino) e psicologici oltre che somatici (nella vita extrauterina)
esiste attualmente una lacuna, una zona ignota.
Non si conosce in forma precisa, attraverso quali modalità si verifichi il
passaggio dai meccanismi difensivi biologici a quelli psicologici. L’esame
comparativo dei dati dello sviluppo somatico e psicologico può, a mio parere,
concorrere ad evitare gli errori di valutazione purtroppo frequenti nelle ricerche
unilateralmente orientate nell’uno o nell’altro senso.
1. Attuale stato delle ricerche
Fries e Woolf definiscono come “tipo di attività congenita, il quantitativo di
attività riscontrato nel neonato in risposta a determinati stimoli.
I neonati vengono raggruppati in cinque tipi che, in realtà, costituiscono
un continuum: entro i limiti della normalità vi sono i quieti, i moderatamente
attivi e gli attivi, al di là dei confini fisiologici esistono due gruppi patologici, gli
ipo e iperattivi. Questi tipi estremi sembrano paragonabili a quegli individui che
hanno gravemente sofferto nella vita intrauterina, secondo Greenacre (1951)”.
Fries e Woolf si chiedono se queste primitive reazioni costituiscono i
precursori biologici dei successivi meccanismi di difesa dell’Io.
Gli autori citano punti di vista di Freud (1937), di Anna Freud (1937) e di
Hartmann (1950-1952) che rendono l’ipotesi accettabile.
I modelli biologici dei meccanismi psichici di difesa vengono chiamati
proto-difese.
Fries e Woolf si soffermano poco sugli stimoli che provocano o che
possono influire sulle reazioni difensive, cioè sugli eventuali gradi di asfissia,
sull’entità del trauma della nascita, sul problema dell’angoscia iniziale.
Freud tra le sue varie formulazioni dei meccanismi psicogenetici
dell’angoscia, enuncia “il processo della nascita cioè la prima situazione di
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pericolo” come il prototipo della reazione di angoscia; anche egli illustra “la
linea di sviluppo che unisce questa prima situazione di pericolo condizionante
l’angoscia, con quelle successive”. Esse avrebbero tutte qualche cosa in
comune, in quanto tutte, in un certo senso, significherebbero una separazione
dalla madre, dapprima solo in senso biologico, poi nel senso di una perdita di
oggetto, e più tardi nel senso di una perdita mediata, per vie indirette.
La scoperta di questa importante connessione è un merito inoppugnabile
della costruzione di Rank. Il trauma della nascita colpisce i singoli individui con
varia intensità, con la forza del trauma varia la veemenza della reazione
angosciosa e, secondo Rank, deve dipendere da questa quantità iniziale dello
sviluppo d’angoscia se l’individuo possa mai ottenerne il controllo, se diventerà
un nevrotico o una persona normale.
Alla teoria di Rank Freud muove varie obiezioni e tra esse si possono
ricordare le seguenti.
“L’accentuazione della forza variabile del trauma della nascita non lascia
alcun margine per la giustificata esigenza biologica della costituzione
ereditaria... Non vi sono ricerche intorno al problema se una nascita difficile e
protratta coincida in modo inoppugnabile con lo sviluppo di una nevrosi, o se
bambini nati in questo modo mostrino anche soltanto i fenomeni dell’angoscia
precoce più a lungo e con più forza di altri”.
All’eziologia rankiana Freud riconosce il vantaggio di essere suscettibile di
riprova in base a materiale di esperienza; fintanto che non si è veramente
intrapresa una tale dimostrazione, sarebbe, però, impossibile giudicare il suo
valore”.
La Klein rileva che, nella determinazione dello sviluppo in senso normale o
patologico, ha valore non solo l’entità dell’angoscia iniziale, ma anche la forza
costituzionale dell’Io, cioè il grado di efficienza dei primi meccanismi di difesa.
Le analisi dei bambini hanno consentito non solo di distinguere l’ansietà
persecutoria e depressiva; ma anche di mettere in evidenza come i primi stadi
evolutivi siano contrassegnati da caratteristici meccanismi difensivi.
L’importanza della discriminazione delle forme persecutorie e depressive
può essere meglio valutata, studiando il tipo della prima esperienza
angosciosa.
Le contrazioni che espellono il feto, interrompendo il confortevole
soggiorno intrauterino, possono essere interpretate da chi le subisce come
azioni ostili, cioè come una persecuzione.
La Klein ritiene, pertanto, che la primitiva ansia abbia un aspetto
persecutorio.
Di fronte al forzato trasferimento in un ambiente diverso, il neonato si
difende attraverso movimenti diretti a provvedere alle funzioni della
respirazione e della termoregolazione.
I primi meccanismi di difesa contro l’ansietà avrebbero, pertanto, un
carattere prevalentemente motorio, senza escludere con tale denominazione
una probabile, limitata partecipazione psichica.
La presente ricerca si propone dimostrare come la ipotesi che i primi
meccanismi difensivi siano prevalentemente motori, riesca a rendere
comprensibili vari fenomeni della psicologia normale e patologica. Prima di
procedere oltre, è opportuno riferire più estesamente il punto di vista di Freud
sul trauma della nascita.
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Freud afferma che “durante l’atto della nascita si costituisce un
raggruppamento di sensazioni spiacevoli... che diviene il modello dell’effetto
esercitato da un pericolo vitale e si ripete negli stati ansiosi. L’enorme
accrescimento di stimoli prodotto dall’interruzione del ricambio del sangue fu a
suo tempo la causa dei fenomeni angosciosi: la prima angoscia fu dunque
indotta da un’intossicazione.
Il nome angoscia – angustiae – accentua il caratteristico restringimento
del respiro, che esistette a suo tempo quale conseguenza della situazione
reale, e che viene ora ripetuto quasi regolarmente nell’affetto”.
La psicoanalisi e la medicina psicosomatica non si limitano a descrivere le
varie forme di angoscia, ma ricercano anche i diversi meccanismi di difesa
usati dai singoli individui. Le difese che sono state finora illustrate posseggono
un carattere prevalentemente psicologico, benché siano collegate a varie
risposte somatiche. Alexander dichiara che “allo stato attuale delle nostre
conoscenze non ha alcun senso parlare genericamente dell’ansietà come causa
di sintomi somatici. L’ansietà pone in movimento un seguito di processi
psicologici, la cui natura è uno dei fattori che determineranno il tipo della
risposta fisiologica consecutiva. L’ansietà, primo anello di questa catena, non è
un fattore specifico: ciascun soggetto vi reagisce in modo caratteristico,
personale”.
Occorre ora precisare: a) l’esatto momento della nascita che può esser
considerato come modello delle successive situazioni di angoscia;
b) i vari meccanismi di difesa che vengono usati per dominare la prima
situazione di ansia.
a) Il processo evolutivo interpretabile come modello dell’angoscia. I
termini che Freud usa nelle “Lezioni introduttive” in riferimento a questo
processo evolutivo e che sono stati riportati in corsivo, alludono evidentemente
agli insuccessi che il neonato incontra nel suo tentativo di instaurare la
respirazione polmonare. Questi insuccessi comportano gravi conseguenze per
l’intero organismo e costituiscono i prototipi dei successivi fallimenti
psicologici;
L’analisi di questi ultimi ha condotto Freud e Rank a ricostruire la relativa
serie fino a giungere al loro precursore biologico che si realizza nel corso della
nascita. In quest’epoca devono esser valutati elementi non solo psicologici, ma
anche anatomici e fisiologici.
Il grado di elasticità dei tessuti polmonari anteriormente alla prima
inspirazione non può, naturalmente, essere uguale a quello esistente in
seguito, quando l’apparato è stato più volte disteso. Pertanto la prima
dilatazione dei tessuti polmonari implica uno sforzo superiore a quello richiesto
dai successivi movimenti di inspirazione. Questo sforzo maggiore deve, inoltre,
essere affrontato da un organismo che non è ancora allenato a quella specifica
funzione.
Si comprendono così i motivi dei frequenti insuccessi durante i primi
tentativi di respirazione. Il periodo di primordiale impotenza funzionale si
verifica probabilmente anche nei neonati che presentano un inizio della
respirazione apparentemente tempestivo. La tempestività può esser valutata
solo in modo approssimativo. Non è infatti noto l’esatto momento in cui insorge
il bisogno della respirazione polmonare e l’intervallo tra questo e il momento in
cui i tentativi sono coronati da successo.
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Il detto intervallo induce probabilmente una reazione di allarme nell’intero
organismo e si può considerare come modello delle successive situazioni di
angoscia. Queste trovano, pertanto, il loro punto di partenza in contrazioni dei
muscoli respiratori che risultano inadeguate, insufficienti a raggiungere lo
scopo che esse si prefiggono.
b) La catena dei meccanismi difensivi. Se si identifica la prima angoscia
con l’iniziale impotenza funzionale respiratoria, il primo meccanismo di difesa
sarà costituito dal superamento dell’insufficienza e dall’effettuazione dell’atto
respiratorio.
Che il primo atto inspiratorio possa avere anche il significato di difesa
contro l’ansia, è confermato dal concetto di introiezione respiratoria, introdotto
da Fenichel. L’aria inspirata costituisce il primo oggetto “buono” che,
provvedendo alle funzioni del ricambio del sangue precedentemente esplicate
dall’organismo materno, rappresenta il primo sostituto della madre.
L’introiezione di un oggetto “buono”, protettore è descritta dalla Klein
come un meccanismo di difesa contro l’angoscia.
“Immissione ed emissione d’aria possono simbolizzare l’incorporazione e la
proiezione di quanto è stato incorporato”.
L’inspirazione rappresenta l’incorporazione di un elemento (ossigeno)
precedentemente fornito dall’organismo materno e, quindi, idoneo a costituire
un sostituto materno che il neonato cerca di introiettare in modo da essere
protetto.
La prima inspirazione è probabilmente collegata all’inizio dei processi di
introiezione e si può considerare come espressione dell’aspirazione al ritorno
verso le condizioni della vita intrauterina, verso la protezione materna. La
prima espirazione, data l’impreparazione dell’organismo, comporta uno sforzo
maggiore di quello richiesto dai successivi atti. Questo superiore sforzo implica,
probabilmente, una partecipazione psichica e si può interpretare come
espressione dell’aspirazione all’emancipazione dalla madre, a liberarsi cioè dal
sostituto materno precedentemente introiettato attraverso la prima
inspirazione2.
Questa, essendo collegata alla ricerca del primo sostituto materno (l’aria)
ad un ritorno verso condizioni relativamente simili a quelle endo-uterine,
presenta un carattere regressivo.
L’espirazione, invece, essendo connessa alla eliminazione del surrogato
materno (aria precedentemente inspirata), alla emancipazione dalla madre,
presenta un aspetto progressivo3.
Dopo che il primo e più grave problema è stato risolto dal neonato
(attraverso la difesa della respirazione), si presentano altre minacce. La
situazione di impotenza-angoscia viene, in seguito, determinata anche dalle
scarse difese verso altri pericoli che, dopo l’asfissia, minacciano il neonato.
La diversa temperatura esistente nell’ambiente extrauterino e le nuove
stimolazioni che provengono da quest’ultimo, rinnovano nel neonato una
situazione di impotenza-angoscia.
Gradualmente si sviluppano le difese dirette a superare la condizione di
impotenza e ad organizzare la termoregolazione. Durante questo tentativo il
neonato adopera prevalentemente l’arma della intensificazione e diffusione
delle contrazioni muscolari.
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Il comportamento del neonato dimostra che le intensificate contrazioni
muscolari non si limitano all’ambito respiratorio ma si estendono anche ad altre
zone, allo scopo di contribuire alla difesa contro il raffreddamento e alla
termoregolazione. Vari elementi inducono a ritenere tale generalizzazione
motoria come la continuazione e l’epilogo del processo di intensificazione delle
contrazioni muscolari che conduce alla realizzazione della respirazione
polmonare.
A proposito del primo atto inspiratorio si possono fare le seguenti ulteriori
considerazioni.
Le particolari condizioni dei tessuti polmonari (precedentemente indistesi),
la peculiare intensità degli stimoli (di origine ematica e cutanea) che
contribuiscono al determinismo del primo atto respiratorio, lasciano supporre
che questo non sia identico ai successivi, ma che, come si è già detto, richieda
l’interessamento di un maggior numero di gruppi muscolari. Probabilmente
quando si instaura la stimolazione normale del centro respiratorio, lo sforzo
muscolare può essere ridotto sia per la migliore coordinazione raggiunta tra i
vari movimenti, sia per la maggiore elasticità dell’apparato polmonare.
Se ciò è esatto, si può formulare l’ipotesi che il primo meccanismo di
difesa contro l’angoscia – che deriva da un’impotenza funzionale dovuta ad
un’insufficiente contrazione dei muscoli respiratori – sia costituito da una
tendenza alla intensificazione e diffusione delle contrazioni fino a che esse
riescono a raggiungere gli scopi prefissi. Questi si riferiscono alla protezione
dalla minaccia non solo di asfissia, ma anche di raffreddamento. Si verifica,
infatti, in tale epoca l’inizio della termoregolazione.
Cerchiamo di riepilogare, attraverso uno schema, quello che si è detto
intorno alle cause delle prime angosce e ai meccanismi adoperati per
superarle.
Insufficienza nella contrazione dei muscoli respiratori e nell’organizzazione della
termoregolazione
(impotenza-angoscia)
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primo movimento respiratorio
generalizzazione motoria
La menzionata identificazione della prima angoscia e l’ipotesi della
realizzazione del meccanismo difensivo, consistente in una intensificazione e
generalizzazione motoria, spiegano fenomeni non solo dell’evoluzione e
dell’adattamento all’ambiente extrauterino, ma anche della patologia.
2. Regressioni nell’adulto e nel bambino
“Hendrick psicoanalizzando i contenuti delle aure, trovò che prima
dell’attacco veniva mobilitata una tendenza a sviluppare angoscia: poi
l’incipiente attacco d’angoscia veniva bloccato, ed aveva luogo l’attacco
epilettico come sostituto dell’angoscia non provata”.
Se si accetta l’ipotesi che il primo meccanismo di difesa contro l’angoscia,
sia rappresentato da una generalizzazione delle contrazioni muscolari, le
osservazioni di Hendrick inducono ad ammettere che l’iniziale rapporto
angoscia −> diffusione motoria, venga riprodotto in modo patologicamente
amplificato negli epilettici.
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Fenichel sostiene che “vi è una transizione graduale tra l’epilessia genuina
e le isterie di conversione, nelle quali gli attacchi epilettiformi esprimono una
idea definita e mostrano tutte le caratteristiche dei sintomi istericomotorii
(epilessia isterica)”.
Bartemeier attrasse l’attenzione sul fatto che nelle persone nevrotiche e in
quelle normali hanno luogo certe scariche arcaiche esplosive che possono esser
considerate come prototipi normali di attacchi epilettici, per es. certi scatti
muscolari mentre ci si addormenta, il digrignare i denti e lo stringere le
mascelle durante il sonno, il mordersi la lingua involontariamente, il brivido e
certi disturbi momentanei dell’attenzione. Tutti questi fenomeni sono facilitati
dalla stanchezza o da qualche regressione dell’ Io e in situazioni di rabbia
latente.
Ai prototipi normali di attacchi epilettici, citati da Bartemeier si possono
aggiungere quelle convulsioni che si verificano con una certa frequenza anche
in bambini i quali, in seguito, non soffriranno di epilessia e si svilupperanno
normalmente.
La maggiore frequenza dei fenomeni convulsivi nei bambini, di fronte a
quella che si verifica negli adulti, può esser collegata alla diversa distanza che
separa tali gruppi dal primitivo modello dell’angoscia e dal primo meccanismo
difensivo, consistente in una generalizzazione motoria.
Prototipi normali di attacchi asmatici sono stati messi in evidenza nei
bambini, quando essi tentano di frenare il bisogno di piangere o cercano, dopo
un prolungato periodo di inutili tentativi, di interrompere il pianto. “La
caratteristica dispnea e la difficoltà di respiro che seguono somigliano molto ad
un attacco di asma”, ad una protesta contro l’ambiente, a qualcosa di analogo
ad uno sciopero della fame.
Un inconscio conflitto centrato sulla madre (o sui suoi sostituti) è stato
riconosciuto come il substrato psicologico dell’attacco di asma bronchiale
(Weiss, Alexander ed altri).
Se contro l’ansia suscitata da tale conflitto il paziente non riesce a
difendersi in modo efficiente, verrà riprodotta, attraverso la dispnea, in modo
patologicamente amplificato, la situazione che accompagnava la prima
angoscia, collegata alle difficoltà incontrate nei primi tentativi di respirare4.
Quanto si è finora esposto induce ad ammettere che nei fenomeni
dell’asma e dell’epilessia vengano riattivate con le situazioni di angoscia le
prime difese.
Si è già accennato come tali ripetizioni abbiano, almeno in parte, uno
scopo difensivo. Tenendo presente tale finalità, le manifestazioni asmatiche e
convulsive si possono considerare come inconsci, inadeguati tentativi dì autocura dell’angoscia5.
“Freud definì come essenza della nevrosi, la persistenza degli stati di
angoscia oltre il periodo cui erano adeguati”.
Analogamente le prime difese, precedentemente descritte, se vengono
utilizzate oltre il periodo in cui sono adeguate, diventano generalmente
patogene (dando luogo, ad attacchi convulsivi o asmatici). Si è già accennato
come le prime difese siano collegate ad una intensificazione e generalizzazione
delle contrazioni muscolari.
Il confronto tra l’individuo che è appena nato e quello che ha già raggiunto
un certo sviluppo, induce a ritenere che le successive difese siano connesse ad
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una crescente coordinazione e ad un progressivo controllo della motilità da
parte dei meccanismi dell’Io.
Durante lo sviluppo endouterino le difese dell’individuo sono esterne,
vengono prevalentemente affidate al trefoblasta, agli annessi fetali e alla
placenta.
In seguito alla nascita e al secondamento questo sistema difensivo
esteriore viene demolito e sostituito da un’organizzazione fondata, come si è
già accennato, sulla intensificazione e generalizzazione delle contrazioni
muscolari.
Tale difesa, essendo prevalentemente affidata al sistema motorio, risulta
situata più all’interno, occupa una posizione diversa da quella propria della
precedente linea difensiva, fondata, in modo predominante, su organi esterni
(come la placenta e gli annessi fetali).
La successiva, progressiva affermazione dei meccanismi psichici difensivi
dell’Io, documenta la graduale interiorizzazione e differenziazione delle difese,
nel corso dello sviluppo extrauterino.
Bridges ed altri autori sostengono la mancanza di una differenziazione
nelle risposte del neonato.
La complessità dei meccanismi che, come si è visto, operano nel neonato
in seguito alla caduta della linea difensiva esterna (costituita dagli annessi
fetali), la loro disposizione nel tempo, la priorità delle difese istituite contro il
pericolo più grave (quello dell’asfissia), gli ulteriori rimedi disposti contro
minacce successive (come quella del raffreddamento) documentano l’esistenza
di una reattività specificamente organizzata e caratterizzata da una progressiva
differenziazione.
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Con quelle riserve che ci sembrano giustificate dalla difficoltà di attribuire un significato
psichico alle nevrosi organiche nelle quali non trova espressione un linguaggio inconscio
suscettibile di interpretazione analitica, pubblichiamo volentieri il lavoro dell’Autore per il suo
valore informativo e per il contributo che porta alla delucidazione di un problema di confine
comune a tutti gli indirizzi psicologici che fanno capo più o meno direttamente alla scoperta
dello psichismo inconscio (N. d. R.).
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Sembra verosimile supporre che non solo questa sia connessa all’inizio dei processi di
introiezione, ma che anche la prima espirazione sia collegata alla insorgenza della proiezione.
L’esecuzione dei successivi atti respiratori, riuscendo più agevole, comporta, probabilmente,
una partecipazione psichica progressivamente decrescente.
I centri inferiori (bulbari) gradualmente assumono la relativa regolazione.
In seguito, in casi patologici (negli attacchi di asma) e anche in condizioni normali (in momenti
di tensione emotiva, durante crisi di pianto, di singhiozzo, durante tentativi dì frenare il pianto,
etc.) l’apparato psichico partecipa nuovamente e notevolmente alla regolazione del respiro.
In un precedente lavoro si è descritto come, in seguito all’inizio dell’allattamento, le tendenze
psichiche regressive e progressive contribuiscano a determinare le varie fasi del ciclo
interindividuale nutrice-lattante. Questo ciclo, a differenza di quello polmonare, è collegato ad
una introiezione non più respiratoria, ma prevalentemente orale
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La tendenza a riattivare e ripetere la condizione della nascita è documentata dalla frequenza
di “fantasie intrauterine che si manifestano nel simbolismo dell’acqua, dell’ingresso in caverne
e in luoghi chiusi (French, Alexander ed altri)”.
L’illustrazione del substrato psicologico nell’asma e nell’epilessia non esclude l’intervento di
altri fattori nel determinismo di queste forme morbose. In alcuni casi possono prevalere gli
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stimoli emotivi, in altri i fattori allergici ed organici. Data la doppia serie dei fattori causali, la
medicina è costretta ad affrontare, nei singoli individui, problemi anche quantitativi, la
“determinazione del quanto nell’uno e nell’altro gruppo” concorra al determinismo della forma
morbosa.
E stato osservato che “dopo efficaci cure psicoanalitiche, i pazienti nei quali gli attacchi di asma
si riducevano alla stagione dei polline, divenivano, senza desensibilizzazione, refrattari
all’allergene specifico. La teoria della ‘sommazione di stimoli’ spiega le osservazioni degli
psichiatri e degli allergisti sull’efficacia delle rispettive tecniche. Nella maggior parte dei casi
basta allontanare una delle due cause coesistenti, l’allergica o l’emotiva, per liberare il malato
dai suoi accessi. Il fattore non curato sembra da solo insufficiente a provocare l’attacco”
(Alexander, op. cit.).
Le terapie di malattie mentali, fondate sullo shock, dimostrano come i fenomeni convulsivi
siano utilizzati non solo inconsciamente, ma anche in forma cosciente e volontaria, a scopo di
cura. Le limitazioni di tali terapie sintomatiche sono illustrate da Fenichel.
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