La dipendenza affettiva - Casa di psicologia e terapia
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La dipendenza affettiva - Casa di psicologia e terapia
La dipendenza affettiva Dott.ssa Nadia Zuccarello www.casadipsicologiaeterapia.it Possiamo definire la dipendenza affettiva come un quadro di sofferenza nell’area delle relazioni caratterizzato dal vivere il rapporto d’amore come condizione stessa della propria esistenza. Chi ne soffre vede nell’altro la fonte di ogni benessere e pur di mantenere e non rischiare di perdere l’oggetto amato, è disposto a sacrificare qualsiasi bisogno o desiderio personale fino al punto di annullare il proprio sé. La psicoterapeuta americana Robin Norwood descrive nel famoso manuale, “Donne che amano troppo” la dipendenza affettiva in questo modo: ” Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo… quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando leggiamo un saggio divulgativo di psicanalisi e sottolineamo tutti i passaggi che potrebbero aiutare lui, stiamo amando troppo. Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.” La dipendenza affettiva è una forma di attaccamento che non tollera il distacco soprattutto nei confronti di un partner non rassicurante, infatti succede spesso che persone dipendenti si rivolgano a partner poco disponibili o sfuggenti ed evitanti . E’ sufficiente che l’altro si allontani per scatenare sofferenza, frustrazione, dolore e richiesta immediata di compensazione. Per contro l’attaccamento sano rende possibile l’esplorazione del mondo per sé e per l’altro, rispetta la giusta distanza, tollera la separatezza invece di ricercare la fusione. Tollera la frustrazione e le differenze presenti nella coppia. La dipendenza non è in sé un fatto patologico, anzi costituisce il terreno dal quale ogni nuova vita inizia. Stiamo parlando di un percorso faticoso ma inevitabile che ogni essere umano deve affrontare nel viaggio dalla dipendenza all’autonomia. Questo viaggio non ha l’obbiettivo di annullare la dipendenza ma di costruire una sana percezione della propria capacità di tollerarla come componente imprescindibile di una sana relazione d’amore. Tollerare il fatto di essere individui separati e autonomi pur avendo attraversato il paradiso della fusione, questo significa la capacità di reggere il confronto con l’incertezza, la paura, esercitando l’arte di potersi anche abbandonare all’altro, sapendo di poter tornare a se stessi e ritrovarsi. La dipendenza del bambino dai genitori è un fatto biologico, l’esistenza intrauterina dell’essere umano è più breve rispetto a quella della maggioranza degli animali, l’essere umano viene mandato nel mondo più incompleto. I pericoli che trova sono quindi maggiori e questo accresce ai suoi occhi, il valore e il significato di coloro che si occupano di lui e possono proteggerlo garantendogli la sopravvivenza. Il cucciolo di uomo nasce e rimane molto a lungo totalmente dipendente per la propria sopravvivenza dalla presenza e dall’accudimento di adulti, non può scegliere, per lungo tempo, di fare a meno delle cure che altri gli prestano. Il bambino è impotente nelle mani degli adulti, si affida ai genitori vive tutto intero uno stato di dipendenza, impara ad adattarsi alle condizioni poste da quella relazione perché se la perdesse, se perdesse quell’amore morirebbe. Le braccia che ci tengono, braccia umane imperfette a loro volta precedentemente tenute in altre braccia , possono proporre modalità più o meno sane. E’ bene chiarire che nessuno di noi ha vissuto relazioni infantili perfette, ognuno ha il proprio bagaglio di bisogni insoddisfatti, semmai sono la combinazione e la proporzione tra esperienze che hanno favorito crescita e sviluppo verso l’autonomia ed esperienze che hanno prodotto carenze a determinare la possibilità di costruire relazioni sane e appaganti. A seconda che prevalga l’esperienza costruttiva o quella del bisogno carenziale avremo la premessa per relazioni sane o disfunzionali. Se i bisogni fondamentali e dipendenti dall’ambiente esterno sono stati adeguatamente soddisfatti la persona porterà avanti il bisogno di accrescimento soddisfacendolo prevalentemente a partire da risorse interne, perseguendo l’obbiettivo dell’autonomia. Nel caso in cui siano presenti molti bisogni insoddisfatti o carenziali tenderà a rivolgersi prevalentemente verso l’esterno e questo lo porrà in una posizione di maggiore vulnerabilità ai sentimenti di abbandono, tradimento, esclusione, gelosia, inferiorità, competizione, astio, rabbia, in tutte quelle situazioni in cui l’esterno ( e può essere anche il partner) non risponde in modo adeguato al bisogno che in quel momento appare come fondamentale. Allora sarà più difficile tollerare le frustrazioni che provengono dal mondo e dalle relazioni e soprattutto tollerare che l’altro sia un essere separato che non sempre è in grado di capire e rispondere ad ogni bisogno. La dipendenza è una modalità disfunzionale di entrare in relazione. Lo sviluppo dalla dipendenza all’autonomia non è andato come doveva andare, Perché? Quando la dipendenza produce sofferenza possiamo dire che ha origine da relazioni primarie caratterizzate da un atteggiamento frustrante o iperprotettivo da parte delle figure parentali. Ti soffoco/Ti trascuro, siamo quindi nell’area della trascuratezza o all’opposto dell’iperprotezione. All’interno di questa dicotomia possiamo trovare condizioni familiari che in sostanza fanno fatica a riconoscere i bisogni del bambino ponendolo in una posizione di eccessiva responsabilizzazione ( vi salvo io) di insicurezza rispetto alla propria capacità di far fronte alle richieste dell’ambiente sviluppando paradossalmente un senso di onnipotenza che li spinge a farsi carico delle sofferenze altrui. Possiamo ad esempio immaginare, nell’area della trascuratezza: una bambina che vive con una madre che soffre di depressione e non riesce ad occuparsi di lei, in assenza o scarsità di altre figure con buone competenze relazionali, la bambina prenderà su di sé molta responsabilità, si occuperà di tutti, si sentirà amata e apprezzata perché è così brava, farà molta fatica e da grande penserà che è normale fare fatica per farsi amare. Imparerà che l’amore non è gratis e che non ci si può aspettare molto dagli altri se non a costo di grandi fatiche. Nell’area dell’iperprotezione potremmo trovare genitori molto ansiosi e spaventati al punto di ostacolare il bisogno di esplorazione e di autonomia ad esempio una mamma che a sua volta ha vissuto la trascuratezza potrebbe richiedere inconsciamente alla figlia di non lasciarla mai quindi di non crescere. La bambina vede attraverso gli occhi dei genitori un mondo pericoloso, sente che l’autonomia è una cosa rischiosa, se uscirà dal cerchio familiare perderà l’approvazione e l’amore e sarà sola. Impara che per essere amata deve mettere a tacere una parte di sé, la spinta all’autonomia, all’autorealizzazione, sarà soggetta a vivere sensi di colpa ogni qual volta si avvicinerà alle occasioni di espressione di sé. Come in altre forme di dipendenza le persone giungono in terapia quando la loro qualità di vita viene messa seriamente a rischio, può essere utile identificare i segni che caratterizzano questo stato di sofferenza e che possono essere presenti in modo più o meno intenso ma che solitamente tendono ad aggravarsi con il tempo, senza adeguato intervento. La bambina che abbiamo precedentemente descritto crescerà con un forte bisogno di accudire, di controllare, di essere indispensabile e potrà sentirsi attratta da uomini problematici. E’ come se avesse antenne che captano i bisogni e i tormenti più nascosti del partner, allora la sua missione diviene ”io ti salverò”, le sue convinzioni: “ Con il mio amore lo cambierò”, ” se lui mi ama cambierà”. Tenderà a negare e giustificare i comportamenti del partner, potrà vergognarsi di alcuni suoi comportamenti e cominciare a isolarsi dal contesto sociale mentre tenta ripetutamente di controllare la relazione. Potranno manifestarsi alti e bassi di umore spesso collegati all’andamento della relazione. Inizierà a dubitare delle proprie percezioni sentendosi confusa. Proverà rabbia, delusione e poi di nuovo speranza e illusione. Avrà rimorso per aver litigato con lui, gli sforzi per controllare il partner falliranno. Sarà ossessionata dal pensiero di lui con una forte ansia nello stare separata. La sua autostima diminuirà, si sentirà spesso sconfortata e impotente, potrà ricorrere al cibo in modo compulsivo oppure all’alcol o a sostanze che alleviano lo stato di tensione. Questa progressione ci mostra come possono andare le cose fino ad un momento di crisi forte che può condurre alla richiesta di aiuto. Quello descritto non è un schema fisso ma una specie di parabola che ci aiuta a capire come sia importante riconoscere i segni precocemente e aiutare le persone a diventare consapevoli di quello che stanno agendo. Il primo passo è riconoscere di avere un problema, esattamente come nelle altre forme di dipendenza, quando ciò accade significa che si è aperto uno spiraglio nel processo di negazione, mi capita sempre più spesso di vedere giovani donne che si accorgono che qualcosa non va nel loro modo di vivere le relazioni e arrivano già con una lettura e una motivazione a prendersi cura di se stesse attraverso un percorso terapeutico. In altre situazioni può capitare di vedere persone che hanno convissuto molto a lungo con questa sofferenza e arrivano quando accade qualcosa che irrompe in modo traumatico come una perdita o separazione. E’ importante che i tempi della consapevolezza possano accorciarsi per limitare i danni che a lungo termine si possono creare e rendere più accessibile il percorso di cambiamento. Possiamo riconoscere in noi alcuni tratti di personalità dipendente che rimangono circoscritti ad alcune situazioni e che riusciamo a gestire, oppure possiamo provare un grado di sofferenza che compromette seriamente la qualità della vita. Tra questi due estremi c’è una gamma di sfumature intermedie nelle quali ci si può collocare. A volte può essere sufficiente divenire consapevoli di alcuni meccanismi che si ripetono per poterli cambiare altre volte occorrerà un lavoro più lungo e approfondito. I PASSI PER USCIRNE Diciamo subito che non è facile uscirne perché si tratta di un modo di essere strutturato nel tempo. Il percorso non è lineare, possiamo immaginarlo come un andamento a spirale, dove ogni avanzamento può alternarsi a una retrocessione. A volte ci fermiamo a lungo o retrocediamo di molti passi per fare poi un balzo in avanti. Intraprendere un percorso di recupero della propria autonomia può essere faticoso, come per le altre forme di dipendenza possiamo individuare un terreno di vulnerabilità alla depressione: la ricerca di emozioni molto forti legate a relazioni tempestose e difficili, dove ogni cosa deve essere conquistata e bisogna sempre stare in guerra potrebbe essere un modo per mantenere alto il livello di stimolazione biochimica ( aumento dell’adrenalina) che riduce la percezione del disagio di tipo depressivo, come una sorta di automedicazione. Quando si cerca di interrompere la dipendenza, può accadere di entrare in contatto con sentimenti di vuoto e di ansia molto dolorosi. Robin Norwood scrive “Perché la guarigione sia possibile, lei deve trovare un sostegno che la aiuti a lasciarsi invadere da quei sentimenti dolorosi che cercava di ignorare”. E’ indispensabile non intraprendere da soli questo viaggio ma utilizzare strumenti che favoriscano e supportino il cambiamento. Possiamo così riassumere le fasi del processo di guarigione: 1. Rendersi conto di avere un problema 2. Cercare aiuto 3. Impegnarsi a seguire il programma terapeutico 4. 5. 6. 7. 8. 9. Sperimentare cambiamenti nel modo di agire, pensare, sentire Diventare più tolleranti nei confronti di sé stesse Riconoscere e apprezzare le proprie qualità Accettarsi nelle proprie contraddizioni Provare amore per se stesse Tollerare di essere conosciute per ciò che si è potendo così accedere al sentimento di intimità Come per le altre forme di dipendenza l’indicazione principale è quella di intraprendere un percorso di psicoterapia nel quale il terapeuta aiuta la persona, da un lato a scoprire le proprie capacità e risorse e dall’altro dovrà aiutarlo a distaccarsi dal comportamento additivo. Inizialmente è necessario che si instauri un legame di dipendenza reciproca, il paziente è esperto del proprio dolore, il terapeuta possiede i propri strumenti di lavoro. Per procedere nel processo di autonomizzazione hanno bisogno l’uno dell’altro. Si può paragonare il terapeuta ad un temporaneo porto di attracco al quale approdare e dal quale ripartire tante volte quante ne occorrono per scoprire di essere in grado di nuotare da soli. La Norwood sottolinea l’importanza di partecipare ad un gruppo incontrandosi con altre persone che condividono la stessa problematica. Il gruppo non è un luogo dove andare a sfogarsi e parlare di tutto quello che di sbagliato fanno i partner o gli uomini in generale. Il gruppo è un luogo dove è possibile trovare sostegno e conforto, perché la rinuncia a controllare, sorvegliare, proteggere, manipolare il partner è difficile, la Norwood dice che:” sarà come la sensazione di cadere da una rupe……….ci vogliono braccia che fanno da rete. Nel gruppo si coltivano risorse, si sperimenta un senso di appartenenza che per le persone cresciute in famiglie problematiche è fondamentale per il cambiamento. Bibliografia sull’argomento: Robin Norwood, Donne che amano troppo, Milano, Feltrinelli, 1989 Robin Norwood, Guarire coi perché, Milano, Feltrinelli, 1994 Francois-Xavier Poudat, La dipendenza amorosa, Roma, Alberto Castelvecchi Editore, 2006 Jole Baldaro Verde, Illusioni d’amore, Le motivazioni inconsce nella scelta del partner, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1992 Lia Inama, Liberarsi dal troppo amore, Trento, Edizioni Erickson, 2002 Lucia Etxebarria, Io non soffro per amore, Parma, Ugo Guanda Editore, 2007 Marcia Grad Powers, La principessa che credeva nelle favole, Piemme, 1998 G. Maiolo G. Franchini, Se l’amore ferisce, Trento, Edison Erickson, 2008 Annalisa Balestrieri, L’amore imperfetto, Psiconline, 2006 Maria Rita Parsi, Amori imperfetti, Mondadori, 2008 Patrizia Velotti, Legami che fanno soffrire, Il Mulino, 2012 Sandra Filippini, Relazioni perverse, Franco Angeli,2005 Alain Braconnier, Padri e figlie, Raffaello Cortina Editore, 2007 Filmografia: La Signora della porta accanto, Francois Truffaut, 1981 Adele H - Una storia d’amore, Francois Truffaut, 1975 La mia droga si chiama Julie, Francois Truffaut, 1969 Le onde del destino, Lars von Trier, 1996 Scene da un matrimonio, Ingmar Bergman, 1973 Primo amore, Matteo Garrone, 2004 Attrazione fatale, Adrian Lyne, 1987 Amore mio aiutami, Alberto Sordi, 1969