Diario di un Viaggio..Speciale

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Diario di un Viaggio..Speciale
I bambini bielorussi, d’estate in Puglia, d’inverno negli Internat. A marzo, le famiglie che li ospitano nei progetti di
accoglienza, sono andati a trovarli in Bielorussia.
Con noi, c’erano Paolo Leovino, Presidente dell’Associazione Accoglienza Senza Confini Terlizzi e organizzatore del
viaggio, e tante altre famiglie che operano l'accoglienza dei bambini bielorussi.
Per la nostra famiglia il primo impatto risaliva appena a tre mesi fa: il 16 dicembre 180 ragazzini e alcuni loro
accompagnatori (maestri e interpreti) erano giunti con un volo charter all'aeroporto di Bari Palese, a bordo di un B2-885
della Belavia, uguale a quello che da Roma poi avrebbe portato noi a Minsk. In quel periodo ne stavano arrivando oltre
trentamila in tutta Italia, da lì e dall'Ucraina, per trascorrere, ospiti di una famiglia, le feste natalizie. Altrettanti
giungeranno a metà giugno.
Tredici di quei centottanta bambini e bambine erano stati accompagnati a Terlizzi.
Io e mia moglie - con le altre famiglie - li andammo ad accogliere. In quell’occasione fui costretto a cercare notizie sulla
semi-sconosciuta (per me) Bielorussia: «Confina a nord-ovest con la Lituania e la Lettonia, a est con la Russia, a sud
con l'Ucraina e ad ovest con la Polonia. Già repubblica federata nell'ambito dell'Urss, è conosciuta anche come Russia
Bianca. La capitale è Minsk. Il territorio è in prevalenza pianeggiante; ha una popolazione di 10.500.000 abitanti». A
Vitebsk, una delle città maggiori, nacque il grande pittore Marc Chagall. E Chagall era probabilmente l'unico bielorusso di
cui avevo sentito parlare, prima di conoscere Hanna e la sua storia.
Una storia comune a quella di tanti altri bambini, suoi connazionali. Lo scoppio della centrale di Chernobyl nel 1986, in
Ucraina, portò le radiazioni nucleari soprattutto sulla Bielorussia, sebbene - ironia della sorte - non ospiti neppure una
centrale atomica. Le particelle radioattive hanno inquinato irrimediabilmente un quinto del territorio nazionale, dichiarato
inabitabile. Molti bielorussi si sono ammalati. E i bimbi sono i più vulnerabili. Come se non bastasse, la Bielorussia ,
divenuta indipendente dopo il crollo dell'Urss, è precipitata in una gravissima crisi economica, che ha creato, tra l'altro, il
dramma sociale dell'alcolismo. Così nel Paese ci sono molti Internat, in altre parole orfanotrofi, dove sono ospitati
soprattutto «orfani» di persone vive. Alcuni bambini sono, invece, ospitati da famiglie locali che ne hanno la tutela. Sono
oltre trentamila i genitori privati della patria potestà. Solo a Minsk gli orfanotrofi sono dieci, con trecento o quattrocento
bambini per istituto. Occorre disintossicarli da cibi, aria, acqua contaminati.
Ricerche scientifiche hanno dimostrato che il soggiorno anche se per brevi periodi in zone salubri, riducono di molto
l'intossicazione radioattiva.
Così da alcuni anni migliaia di bambini bielorussi - per lo più provenienti dagli Internat, ma anche da famiglie - possono
trovare l'affetto dei «papà» e delle «mamme» che, anche se solo per qualche settimana o qualche mese, si prendono
cura di loro.
Fatto sta che dal 16 dicembre fino al 14 gennaio scorso, la piccola Hanna aveva riempito la nostra vita, con i suoi 8 anni,
le sue rare parole, il suo sorriso leggero, la sua voglia di imparare, il suo desiderio di affetto. Dopo ci sono state tante
telefonate con lei e gli altri bambini conosciuti a Terlizzi e dintorni, tutti ospiti delle famiglie del circondario e non soltanto.
Finché noi, come altri «genitori», abbiamo sentito il bisogno di vedere da vicino dove viveva e come viveva.
Il giorno dopo l’arrivo a Minsk - grande città ben tenuta, con strade ad otto corsie e pochissime auto - ogni famiglia s’è
sparpagliata per il Paese, in compagnia di altrettanti interpreti. C’è chi ha trovato istituti, come quello che ospita Andrey a
Sennò, gestiti con efficienza; anche l’altro istituto della città, la «Casa del Fanciullo» destinata ai bimbi dai tre ai sette anni,
è accogliente. Alcune famiglie hanno invece incontrato istituti fatiscenti, senza acqua calda, con i letti sfondati e servizi
igienici consistenti in un buco nel pavimento o poco più.
Ci sono tante contraddizioni in questo Paese. Va riconosciuto che la Bielorussia non ha abbandonato, come accade in
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altre aree del pianeta, i propri figli più sfortunati per la strada. Però anche sul futuro degli istituti per orfani pesa una crisi
economica profonda. Un esempio? Un insegnante guadagna circa 240.000 rubli al mese, poco più di cento euro, un
decimo di una collega italiana; con un costo della vita sproporzionato, dato che un paio di scarpe decenti costa
comunque metà dello stipendio e per acquistare un frigorifero ne occorrono almeno 400 euro, cioè quattro stipendi.
«Invece ai tempi dell’Urss - ci dicono - uno stipendio era sufficiente per vivere». Risultato: gli Internat in cui la vita dei
bambini è decorosa vivono in equilibrio tra gli aiuti economici, che giungono da associazioni (vedi la nostra) e movimenti
dei paesi ricchi, e la buona volontà e l’entusiasmo di coloro che gestiscono ciascuno degli istituti, dove persino maestre ed
educatrici, possono essere sorprese mentre aggiustano tetti e dipingono le stanze dei bambini, per risparmiare sulla
mano d’opera. Se manca uno di questi supporti - sovvenzioni e buona volontà - per i bambini è una tragedia.
Lo si leggeva negli occhi pieni di lacrime dei «genitori» pugliesi di ritorno dagli Internat più fatiscenti, costretti,
ovviamente, a lasciare lì i loro bambini, almeno fino alla prossima estate.
Tuttavia è anche un Paese forte e vivo questa povera Bielorussia . Forte di un cuore generoso, d’altri tempi, che forse
anche noi abbiamo avuto. A volte bastano esempi semplici: saliti su un autobus affollato di Bobruisk, si può stare certi che
consegnando i soldi del biglietto ad una persona qualsiasi, questi passeranno di mano in mano fino a giungere all’autista;
e il biglietto tornerà indietro, sempre di mano in mano, entro pochi minuti. E nell’incredibile Luna Park della città, dove
circolano giostre che paiono uscite dai racconti dei nostri nonni, anziani signori accolgono come se fossero loro nipotini i
nostri piccoli ospiti, che non smettono mai di abbracciare e ringraziare. E ogni bambino dell’Internat divide tutto con gli
altri, spontaneamente: pure una caramella è spezzettata in briciole pur di non privarne qualcuno.
Viene spontaneo amarli tutti, questi bimbi. E loro senza dubbio ci danno più di quello che diamo a loro. Per noi sarà
impossibile dimenticare tutte le domande che ci hanno fatto senza parlare, solo guardandoci negli occhi. E sarà arduo, per
me, dimenticare Yuri, un bimbo di quattro o cinque anni ospite nella Casa del Fanciullo di Bobruisk. Appena mi aveva
visto entrare, aveva detto agli altri piccoli compagni, in russo:
«Eto moj papa», «Questo è il mio papà». Poi mi aveva preso per mano. Quando, assieme agli altri, Yuri ci ha salutati
attraverso i vetri delle finestre, sforzandosi di stare in punta di piedi per raggiungere il davanzale, è stato difficile non
piangere. Anzi, non è stato proprio possibile. Buona fortuna, Yuri. Te la meriti. Ve la meritate tutti.
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