Il nome della Rosa

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Il nome della Rosa
06_giugno_2006_ok
14-06-2006
14:18
Pagina 289
Il nome della Rosa
Caterina Pennesi
Negli ultimi due lustri molte cose sono cambiate. Tali cambiamenti sono stati evidenziati dall’invasione devastante di una terminologia scandita da sigle come
il cinguettio del CCP1, CCp2 e Cip & Ciop, il
sibilo delle SOP, SSOP fino all’ultima novità
del Risk Assessment, Management.
Ma se da una parte l’uso eccessivo di vocaboli d’oltreoceano ci porta a dimenticare la
nostra lingua (riusciamo a pronunciare in
americano anche termini latini come Audit),
nei casi peggiori dimostriamo una notevole
ignoranza dell’etimologia delle parole.
È il caso di un verbale redatto da parte di un
organo di controllo (che non siamo noi, ma
che anzi controlla anche noi) in cui si contesta la documentazione riportata nella planimetria di uno Stabilimento.
In tale documentazione viene indicata l’esatta ubicazione dei locali e del loro uso:
ingresso, laboratorio, celle frigorifere e luogo di confezionamento dei prodotti definito come “cella confezionamento e vendita”.
Il fatto che tale cella sia a temperatura ambiente, è motivo appunto di contestazione.
Evidentemente chi scrive non sa che la parola cella deriva dal latino cellula, che significa piccola stanza e può essere intesa come dimora di un monaco, prigione, divisione interna ad un alveare e tante altre cose
che stanno a denotare uno spazio stretto e
chiuso e non necessariamente sottoposto a
regime frigorifero.
Cosa diversa, qui non c’entra l’ignoranza,
ma solo un’inspiegabile crudeltà, che sfiora
a volte il paradosso, è il linguaggio delle
note esplicative di Ministero e Regioni.
C’è da chiedersi quale sia l’intento di tali
forme di scrittura.
La nota sulla commercializzazione di carcasse ovicaprine con la frattaglia testa chiusa all’interno dell’involucro plastico, ad esempio, dichiara la non conformità di tale
pratica alla normativa, perchè l’involucro è
sede di raccolta di sangue e liquidi sierosi
compromettendo il giudizio sull’idoneità
delle carcasse così trattate.
Questo però dopo aver spiegato nel primo
capoverso della stessa nota come e dove
scuoiare le teste e applicare l’involucro plastico sotto il controllo veterinario.
Poi il ripensamento. E gli ulteriori chiarimenti, ove si conferma che lo scuoiamento va
eseguito nella zona sporca del macello e
che la protezione della carcassa o sue parti
è pratica fattibile a condizione che … etc.
etc. e che la procedura sia ben confezionata in una postilla del Manuale dell’autocontrollo.
E tutti felici e contenti.
La nota sulla richiesta di utilizzo di radici e
tuberi con spicole ossee per l’alimentazione degli animali d’allevamento è un rapido
botta e risposta fra Dipartimenti in cui si
conclude che i dati sulla valutazione del
rischio non ne consentono l’uso.
Quando uscì “Il nome della rosa “ si disse
che la trama del libro poteva essere letta ed
interpretata in più modi: come un romanzo,
un giallo o addirittura in chiave umoristica;
analogamente anche questa nota ha le stesse versioni di lettura.
Romanzo: una volta una spicola raminga si
conficcò in un tubero e ne rimase imprigionata per tutta la sua esistenza.
Chiese allora l’incauto villano al suo signore
cosa fare della sventurata e gli fu risposto
che questa sarebbe andata al rogo, perché
considerata pericolosa in quanto nulla di lei
si conosceva.
Ironica: si rinvia al testo integrale.
Giallo: una spietata spicola si conficcò in un
ignaro tubero dilaniandone la polpa.
Vittima e carnefice rimasero avvinti in una
morsa mortale. Ai loro occhi si presentava
uno scenario del rischio più pessimista...
Già, gli scenari del rischio.
Sono quelli che nella semantica moderna
dei Nuovi Regolamenti Comunitari hanno
assunto il ruolo di idioma, tanto che alcuni
cattedratici definiscono la valutazione del
rischio una “corrente di pensiero“ o, quel
che è peggio, una “ filosofia”.
Poveri filosofi greci che si preoccupavano
di stabilire quale fosse l’archè ovvero l’origine delle cose...
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