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Il Libro dei Misteri
Pier Giorgio Longo
Il terrorista dell'Haganah
che leggeva Sant'Agostino
IL FURORE DEI LIBRI
In Questo Numero
2012
∏
numero 7
rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri»
- amici della biblioteca anno iii - dicembre 2012 - quadrimestrale
Sandro Disertori
Tridentini scriptores prohibiti [VI]
Antonio Rosmini
Giuseppe Maria Gottardi
Epistolari d'artista [III]
Diego Cescotti
Parole per strada 2012
∑
Renzo Galli - Linda Salmaso - Stefano Tonietto
numero 7
coversazioni bibliofile – biblioteca mon amour – rinvenimenti
musicobibliofilia – lo scaffale – libri di confine – libro chiama libro
e [tra libro e gioco] – il furore del rock – marginalia
libri che parlano di sé – galeotto fu il libro – parlando di libri
andar per biblioteche – notizie dal furore – l'ultima pagina
il furore dei libri - editore
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sono da ascrivere solamente ai loro autori
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Il Furore dei Libri
rivista quadrimestrale
dell’ Associazione culturale
di promozione sociale
“Il Furore dei Libri”
n. 7
dicembre 2012
e a tutte le persone
citate in questa pagina
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Diego Cescotti
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Sandro Disertori
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Guido Falqui Massidda
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Francesca Garello
Giuseppe Maria Gottardi
Alberto Lembo
Pier Giorgio Longo
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Sommario
Articoli
Rubriche
2
editoriale
4
Il Libro dei Misteri e
la Nova Jerusalem
Pier Giorgio Longo
16
Il terrorista dell’Haganah
che leggeva S.Agostino
Sandro Disertori
22
Tridentini scriptores
prohibiti VI
Antonio Rosmini
Giuseppe Maria Gottardi
38
Epistolari d’autore [III]
Maurice Ravel
Béla Bartók
Diego Cescotti
46
Parole per strada 2012
Renzo Galli – Linda Salmaso – Stefano Tonietto
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
84
libri di confine
Un’americana a Venezia
Peter Disertori
55
Conversazioni
bibliofile
Francesco Filelfo, filologo
Giuseppe Maria Gottardi
58
biblioteca mon amour
Tre incunaboli petrarcheschi
Fabio Casna
68
Rinvenimenti
I sonetti di Beatrice
Portinari
Stefano Tonietto
72
musicobibliofilia
Il teatro come corruzione
Federica Fortunato
76
lo scaffale
Pessoa, simbolo dell’Ignoto
Italo Bonassi
88
libro chiama libro
Scrivere per non
dimenticare [II]
David Cerri
93
E
Dalle pedine alle pagine
Francesca Garello
97
110
galeotto fu il libro
Mi piaceva tanto...
Guido Falqui Massidda
111
parlando di libri...
Il Partenone
Anna Maria Ercilli
113
andar per biblioteche
il furore del rock La biblioteca della Camera
Alberto Lembo
De Andrè e i Vangeli Apocrifi
La
biblioteca
di Bardolino
Livio Bauer
104
marginalia
I Vangeli Apocrifi
Floriano Simoncelli - Silvio Sega
107
libri che parlano di sé
In attesa di giudizio
Renzo Galli
Wuthering Heights
Luigi Brasili
Catia Simone
117
notizie dal furore
Eventi del Furore
Per la prima volta con la RdF
Pensare per Essere
119
l’ ultima pagina
Carlos Fuentes
Carlo Andreatta
1
Editoriale
N
umero 7.
Iniziamo con una Mirabilandia del 1500.
Absit iniuria verbis, per carità: nessuna intenzione
blasfema e nemmeno ironia a buon mercato, solo un tentativo di
riportare all’esperienza d’oggi quello che provava allora e per molti secoli a seguire, il visitatore della Nova Jerusalem.
Lo stupore, l’appagamento del fantastico interiore, la sensazione
di poter dominare un intero mondo con uno sguardo, con in più
la soddisfazione di aver adempiuto un desiderio, quasi un obbligo morale: “almeno una volta nella vita!”, oggi, forse, lo si può
provare solo nell’esperienza di ambienti totalizzanti quali possono esser definiti i grandi parchi moderni. Luoghi nei quali si può
vivere (compreso il mangiare e il dormire) immersi totalmente
nell’atmosfera artificiosa ma estremamente coinvolgente di un
mondo diverso ma altrettanto reale da quello cui siamo abituati.
Ebbene, anche oggi chi si addentra nei loca mystica del Sacro
Monte di Varallo, se appena si lascia afferrare dal mistero che
aleggia tra quelle costruzioni da villaggio in miniatura, e si accosta curioso ai vari “punti di vista”, gli oculi accortamente ricavati
nelle grate di legno che consentono/costringono ad adottare l’inquadratura voluta dal regista di quel meraviglioso spectaculum
fidei, scoprirà di trovarsi, da testimone oculare, in alcune delle
vicende che hanno fatto la cultura spirituale della nostra civiltà.
Spiare il sonno di Giuseppe, inorridire tra gli innocenti straziati
in una strage così simile a certi odierni reportage di guerra, curiosare tra i piatti e le portate dell’Ultima Cena, intrufolarsi tra il
popolo eccitato sotto il balcone di Pilato, se ancora oggi riescono
a dare allo smaliziato visitatore brividi di emozione e di coinvol-
2
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
gimento, immaginiamo cosa potevano procurare a pellegrini del
tutto ignari di televisione o cinema 3D, abituati al più alla bidimensionalità di qualche pala d’altare o alla rustica finzione di
qualche sacra rappresentazione di paese.
Dire che tutto questo mondo nacque da un libro forse è eccessivo, ma che il Libro dei Misteri di cui ci parla Pier Giorgio Longo
abbia avuto un ruolo fondamentale nella nascita delle Novæ
Jerusalem è fuori discussione. Varallo, un bijoux di cittadina, vi
aspetta per un’esperienza culturale/spirituale che non vi lascerà
indifferenti, andateci!
Questo numero, come è tradizione, ospita i dieci racconti selezionati dalla Giuria ufficiale per la Mostra di Parole per strada 2012 preceduti da due commenti da non perdere per capire il
senso e le potenzialità formative di questa iniziativa che non vuole promuovere autori ma offrire sempre più occasioni per leggere.
Due nuove rubriche tra le nostre pagine: Marginalia affidata alla
cura dei Giovani Furiosi per completare/approfondire quegli aspetti che la trattazione del tema principale non consentirebbe senza
che andasse perduto il filo del discorso o si allungasse troppo; e
Rinvenimenti che nell’ etimo nasconde sia il ritrovare che il reinventare in un imprevedibile tentativo di archeologia letteraria.
Come tante altre cose, sicuramente più necessarie, anche la
Rivista del Furore soffre la crisi economica: potete aiutarci a superarla rinnovando l’iscrizione (magari con una quota “sostenitrice”), o con una donazione, e procurando nuovi soci.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
3
Il Libro dei Misteri
e la Nova Jerusalem
di Pier Giorgio Longo
4
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
I
Il Libro dei misteri fu un progetto ambizioso, che creava ordine e linearità nei percorsi segnati sostanzialmente dalla vicenda evangelica dei fatti e
della storia della salvezza cristiana; non più Jerusalem dunque e i suoi loca sancta, ma
una Nova Jerusalem con la vitam, gesta, facta summosque
labores Christi.
sacri monti sono
stati accostati alle
città ideali, alla
Nuova Gerusalemme terrestre e celeste, ai giardini
e ai paradisi, agli eremi e
agli eden: un linguaggio
in parte nuovo, ricchissimo di fecondi esiti non
solo sul piano della cultura, ma anche della fede e
della ricerca spirituale da
parte dell' uomo d' oggi.
Varallo è al centro di
questa geografia dell' anima e del nostro cuore.
Due testi ne caratterizzano le origini. I Sermones
de articulis fidei, manoscritti di Bernardino Caimi del
1488, attualmente conservati presso la Biblioteca civica
di Como (Sermones de articulis fidei, post 1488 Ms. 1, 3,
17), studiati da Celestino Piana1, e il Libro dei misteri,
opera di Galeazzo Alessi, manoscritto proveniente dalla famiglia D' Adda, il cui archivio confluì nell' archivio
comunale di Varallo e, ora, in deposito presso la locale
preziosissima Biblioteca civica2.
1 - C. Piana, Il beato Bernardino Caimi da Milano. Un epigono della predicazione bernardiniana nell' ultimo Quattrocento, in «Archivum franciscanum historicum» LXIV, 1971, pp. 303-336. Sulla bibliografia del sacro
monte si rimanda a I sacri monti. Bibliografia italiana, specie alle voci
Debiaggi, De Filippis, Gentile, Longo, Stefani Perrone.
Utile anche la guida più nuova: E. De Filippis, Guida del Sacro Monte di
Varallo, Borgosesia 2009, con molti dati derivati dai recenti, pregevoli
restauri.
2 - Si veda la riproduzione anastatica con studio: G. Alessi, Libro dei misteri. Progetto di pianificazione urbanistica, architettonica e figurativa del
sacro monte di Varallo in Valsesia (1565-1569), a cura di S. Stefani Perrone,
Forni, Salka Bolognese, 1974, 2 voll.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
I Sermoni sono una fonte indiretta del progetto
originario di Bernardino
Caimi, che voleva soprattutto, se non esclusivamente, fare del super parietem varallese la riproduzione dei luoghi della
passione, della morte, del
sepolcro con i misteri
successivi, specie le varie
apparizioni di Cristo alla
Maddalena, alla Vergine,
ai discepoli sul monte Galilea (dei Viri Galilei), fino
all' Ascensione al cielo,
quali si pensava fossero in
Gerusalemme avanti la
distruzione del '70 e la ricostruzione e invenzione dei
luoghi santi della città, fatta da Costantino e da Elena.
Accanto alla Redenzione del Cristo si colloca la memoria della corredenzione di Maria, con i misteri a lei dedicati, dalla Madonna dello Spasmo all' Assunzione in
cielo nella cosiddetta chiesa vecchia, da subito santuario dei miracoli, fino al suo sepolcro nella valle di Giosafat, come il Sepulchrum del Cristo, sotto il Calvario,
quale centro di ogni attrazione pellegrina a Gerusalemme e nelle imitazioni occidentali.3
Certo il progetto di Caimi è orientato dalla devozione alla passione di Cristo propria degli Osservanti, dalla fortuna indiscussa sul finire del Medioevo del viaggio in Terrasanta nonostante i pericoli delle incursioni
3 - Una recentissima lettura della Jerusalem varallese dal Caimi alla Nova
Jerusalem del Libro dei misteri è in P. G. Longo, Domine ivimus. Progetti e
sviluppi del Sacro Monte di Varallo dal 1491 al 1566, di prossima
pubblicazione.
5
pier giorgio longo
piratesche e turche, dal fenomeno delle eulogie4 e delle
imitazioni dei pellegrinaggi e dei luoghi di Palestina in
Occidente. Il pellegrino che ritorna vuole riandare, pur
se solo in una realtà fatta da lui riprodurre nelle sue zone d' origine, ai misteri visti in Oriente, anche per favorire, come a Varallo, chi non poteva fare il lungo, difficile, costoso e pericoloso viaggio d' oltremare.
La guida a stampa del
15145, acquistata a Roma
dal figlio di Cristoforo
Colombo, Ferdinando, e
conservata ora alla Biblioteca Colombina, è una
ricchissima illustrazione,
non solo dei primi sviluppi del progetto del Caimi,
da parte soprattutto del
successore fra Francesco
da Marignano che rimane
in gran parte fedele alla
Gerusalemme della passione di Cristo e della
compassione di Maria,
ma è un validissimo testimone di come si conduca
l' itinerario tra le cappelle o
misteri, la visione, la contemplazione e meditazione di essi, i frutti spirituali
che ne derivavano all' anima del pellegrino.
Pochissimi documenti
abbiamo sul sacro monte fino al 1530 circa, quando, dal
1491, vi lavorarono i De Donati, Gaudenzio Ferrari,
scultori e pittori, con il Santo Sepolcro, il duplice Cal-
vario di Gaudenzio6, il Sepolcro della Madonna, la Madonna dello spasmo, la salita al Calvario7, la pietra
dell' Unzione, l' ultima cena, Cristo appare alla Maddalena, agli apostoli sul monte Galilea, l' Ascensione, Cristo risorto appare alla Vergine, S. Giovanni dice messa
alla Madonna, la fontana con il Cristo risorto che dispensa l' acqua salvifica dalle sue piaghe8, etc. Nel 1518 il
parroco di Parone protestava perché presso il sacro monte avvenivano
molti oltraggi9. Non sappiamo bene se ne fossero
autori i semplici visitatori
o non già i valligiani ribelli contro la vicinia di
Varallo, che miravano a
colpire un simbolo ormai
potente della città, rompevano gli alberi, strappavano rami, rubavano i
frutti, distruggevano le
fontane e le condutture
dell' acqua, le pietre, gli affreschi, le statue e le immagini: qualcuno direbbe
che si trattava di una violenza antropologica per
avere una piccola porzione del sacro; altri vi vedono la ribellione politica
dei valligiani non vicini,
ma forenses, di Varallo.
Mi pare che i dati riportati indicano a pieno titolo co-
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Nel 1518 il parroco di Parone
protestava perché presso il
sacro monte avvenivano
molti oltraggi [...] distruggevano le fontane e le condutture dell' acqua, le pietre, gli
affreschi, le statue e le immagini: qualcuno direbbe che si
trattava di una violenza antropologica per avere una
piccola porzione del sacro...
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4 - M. Coccopalmerio, Il ritorno del pellegrino. Eulogie di Terra Santa,
Genova, Maretti 1820, 2001.
5 - Si veda in S. Stefani Perrone (a cura di), Questi sono li misteri che sono sopra el monte di Varalle (in una guida poetica del 1514), Società d' incoraggiamento allo studio del disegno - Società di conservazione, Varallo,
Borgosesia 1987. La cinquecentina originale si trova alla Biblioteca colombina di Siviglia.
6
6 - E. De Filippis, La crocifissione secondo Gaudenzio. Nuove proposte sulla «Crocifissione del Sacro Monte di Varallo», in «Prospettiva», 2008, n.129,
pp. 41-56.
7 - E. Villata, Gaudenzio Ferrari e la Spogliazione delle vesti al Sacro
Monte di Varallo, in «Arte lombarda» L, 2005, n. (145), pp. 76-92.
8 - G. Gentile, Il Sepolcro di Cristo risorto e la Fonte della Grazia nell' iconografia dei Sacri Monti, in Il corpo glorioso. Il riscatto dell' uomo nelle teologie e nelle rappresentazioni della resurrezione, a cura di C. Bernardi, C.
Bino, M. Gragnolati, Pisa, Giardini, 2006, pp. 95-116.
9 - P.G. Longo, Fonti documentarie sui francescani a Varallo Sesia tra XV e
XVI secolo, in «Quaderno di studio n. 5-Sacro Monte di Varallo Sesia
1987», Novara 1987, p. 89.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
me il sacro monte fosse già dalle origini una sorta di
giardino, quasi un eden primitivo, dove gli alberi fruttuosi, come nei Giardini spirituali (tipico quello attribuito a Nicolao de Ausmo) simboleggiano, secondo la
tradizione medioevale e nello stesso San Francesco
(Vita seconda di Tommaso da Celano, CLXV, 219), i
frutti della virtù, della preghiera, della grazia per la nostra salvezza e il nostro ritorno nell' Eden perduto e riconquistato.
Siamo alle origini di quel complesso fenomeno del
simbolismo sacromontano tra storia, immagini, uomini e paesaggi, ancora in gran parte da studiare.10
La famiglia patrizia più in vista di Varallo, gli Scarognini, fu protagonista nel sostenere economicamente il
progetto del Caimi, di fra Francesco da Marignano e
l' attività artistica di Gaudenzio Ferrari. Esauritasi con
Dorotea Scarognini, continuarono i D' Adda con Giacomo D' Adda suo marito. Questi promosse il Libro dei
misteri attribuito a Galeazzo Alessi, una pianificazione
generale di tutto il monte, secondo criteri diversi dalle
origini; non più la Gerusalemme dei loca dalla passione all' assunzione e ascensione con i sepolcri di Cristo e
della Vergine, più Nazareth e Betlemme, ma la storia
della salvezza cristiana dalle origini del mondo, o meglio, dal peccato originale, all' assunzione della Vergine
in cielo11. Nei primi decenni erano sorte delle controversie tra fabbriceria, comunità di Varallo e frati per
l' amministrazione e la riscossione delle elemosine. Le
liti durarono per secoli e non sono ancora finite, anche
dopo il forzato, volontario allontanamento dei frati nel
luglio del 1765. Esse ebbero riflessi sulla conduzione
delle immagini, fino a quando con le visite pastorali dei
vescovi della controriforma, a partire dal vescovo Cesare Speciano (1585), e soprattutto con Carlo Bascapè
(1593-94) e i successori, non entrò un' autorità, definiti10 - G. Oneto, Il monte sacro. Note sugli aspetti simbolici dei sacri monti, in
La città rituale. La città e lo stato di Milano nell' età dei Borromeo, Angeli,
Milano 1982, pp. 189-215; P.G. Longo, Il monte e l' itinerario del Sacro, cit.
11 - P.G. Longo, Fonti documentarie, cit., pp. 66-85; P.G. Longo, Memorie
di Gerusalemme e sacri monti, cit., pp. 104-105; P.G. Longo - P. Mazzone,
Imago fidei. Il sacro monte di Varallo tra XV e XVII secolo, Imago Veritatis,
Borgosesia 2008, pp.134-138.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
vamente riconosciuta dalla bolla di Sisto V del 1587, a
regolamentare, se possibile, le controversie e a controllare le immagini.
I
l Libro dei misteri fu un progetto ambizioso, che
creava ordine e linearità nei percorsi segnati sostanzialmente dalla vicenda evangelica dei fatti e
della storia della salvezza cristiana; non più Jerusalem
dunque e i suoi loca sancta, ma una Nova Jerusalem con
la vitam, gesta, facta summosque labores Christi. La perdita, ormai, del senso topomimetico originario, lo sviluppo di loca non di stretta tradizione evangelica, le controversie tra frati fedeli al primitivo impianto francescano e fabbricieri attenti ad un progetto di pubblicità anche politica della città, portarono al Libro dei misteri, che
risultò improponibile nel complesso, ma che venne citato per alcune sue proposte. A sostegno di esso uscivano
dal 1566 le guide al sacro monte dello stampatore novarese Francesco Sesalli12, intente a presentare il fenomeno
come una sorta di luogo di delizie, di giardino ameno e
verde, dove acqua, terra, cielo e aria si raccoglievano in
un mondo originario e creaturale bellissimo, in una sorta di paradisiaca arcadia, motivo di splendore per una
valle e una città, esse stesse di grande attrazione.
Con i D' Adda iniziarono i primi libri di raccolta di riflessioni e di meditazioni sulle varie cappelle13, che ebbero successiva fortuna sotto il controllo dei vescovi14. L' ar-
12 - Si tratta di composizioni in versi che descrivono il sacro monte e le sue
cappelle con gli episodi raffigurati come un complesso di attrazione anche
naturale e paesaggistica, non privo di diporto. Le guide sono del 1566, 1570,
1578, 1581, 1585, 1586, 1587, 1587, 1589; poi vengono stampate dai Revelli
a Varallo: 1591 [ma 1589], 1590, 1591, 1592, 1596, 1599, 1602, 1606, 1607,
1610, 1616. Una guida fu stampata dai fratelli Isidoro e Lepido Facii, Novara
e Teramo d' Abruzzo, 1589. Per le sue caratteristiche rimando a: P.G. Longo,
Memorie di Gerusalemme e sacri monti, cit., pp. 102-104.
13 - G.A. D' Adda, Meditationi sopra i misterii del Sacro Monte di Varallo di
Valle di Sesia. Nuovamente riviste, et aggiuntevi alcune altre meditazioni del
sig. Francesco suo fratello, s. e., Milano 1605 (I ed. 1602).
14 - G. G. Ferrari, Brevi consideration sopra i misteri del Sacro Monte di
Varallo composte per ordine di mons. Reverendisso don Carlo Bascapè, vescovo di Novara da Gio. Giacomo Ferrari sacerdote canonico e teologo della
Collegiata di San Giuliano di Gozano, Pietro Revelli, Varallo 1611, 1613,
1640, 1642, 1644, Novara, F. B. Algeri, 1664. Fra Nanni Tommaso da
Sogliano, Dialogo sopra i misteri del Sacro Monte di Varallo. Ove con facilità imparerai a contemplare le attioni principali che operò Christo in vita,
Varallo, Marco Revelli, 1633.
7
pier giorgio longo
te di Gaudenzio Ferrari era ormai consacrata, mentre nel
sec. XVII ci sarà quella di Tanzio15 da Varallo, di Giovanni d' Enrico16, del Bussola17, e di altri artisti fino alla metà
del Settecento circa, quando il fenomeno creativo dei misteri e delle cappelle si andava esaurendo18. Non ultima, la
costruzione dell' oratorio del S. Sepolcro, nei primi anni
del Settecento, riproponeva, pur in contesti devozionali
diversi ed ancora da parte francescana, la centralità della
pietà e spiritualità della
passione sul sacro monte,
che verrà dimostrata dagli
stessi usi religiosi di processioni e dell' Entierro19,
celebrato una sola volta
perché subito represso per
le gravi liti che aveva destato, in quanto si offrì come
un' occasione per i soliti
dissidi tra comunità, fabbriceria, vicinanza, ordinari diocesani, anche dopo che i francescani osservanti,
dal 1603 passati a riformati, non ci saranno più.
Il Libro dei misteri, ripreso nella sua introduzione dalle
guide dei Sesalli, concedeva non poco al gusto del manierismo, dell' invenzione, dell' eloquente e dello strano,
del meraviglioso e del verisimile che si fa vivente. Ancora, il gioco del paradisiaco, dell' immaginario da incanto
e da richiamo arcadico o esotico non mancava nella se-
conda metà del XVI secolo a Varallo, come nella cappella di Adamo ed Eva, in quella delle tentazioni di Cristo,
del battesimo o del secondo sogno di San Giuseppe20.
Ma tutto rientrò nella devozione, secondo le indicazioni di nuovo e antico testamento, nella più perfetta verisimiglianza con il realismo scritturistico degli episodi
della vita e passione di Cristo, sul modello anche delle
immagini che andavano corredando i libri di meditazione di tradizione gesuitica o
francescana. Si vedano, ad
esempio, le opere dei gesuiti Gerolamo Nadal e Bartolomeo Ricci21. Nelle guide e, soprattutto, nei testi
di meditazione, le incisioni, in essi presenti a partire
da quelle del Coriolano in
avanti, illustrarono, con
una certa fedeltà di riproduzione, i misteri che il riguardante vedeva e contemplava, tanto da poter rifare
nella sua casa il pellegrinaggio, o compierlo spiritualmente, non potendo andare al sacro monte.
Le grate di separazione tra interno ed esterno delle cappelle volute dai vescovi (l' Alessi aveva progettato delle vetrate entro cui collocare i misteri) costituiscono punti di
osservazione guidata per condurre la meditazione o
l' esercizio spirituale non sulla distrazione dell' insieme,
sempre più esuberante nel complesso della statuaria e degli affreschi dei d' Enrico o di Morazzone, etc., ma per
puncta di un vero e proprio esercizio spirituale di tipo
ignaziano.
∏
Il Libro dei misteri, [...] concedeva non poco al gusto del
manierismo, dell' invenzione,
dell' eloquente e dello strano...
∑
15 - Fondamentale: M. Bona Castellotti, Tanzio da Varallo. Realismo,
fervore e contemplazione in un pittore del Seicento. Catalogo della mostra
(Milano, 13 aprile-16 luglio 2000), Milano, Motta, 2002.
16 - S. Stefani Perrone, Giovanni d' Enrico urbanista e architetto al sacro
monte di Varallo in Valsesia, in P. Marani (a cura di), Fra Rinascimento, manierismo e realtà. Scritti di storia dell' arte in memoria di Anna Maria Brizio,
Firenze, Giunti, 1984, pp.129-141.
17 - Un' artista del Seicento tra Piemonte e Lombardia. L' opera dello scultore Dionigi Bussola nei Sacri Monti. Atti del Convegno (Domodossola, 5 giugno 2004), Ente di gestione della riserva naturale speciale del sacro monte
calvario di Domodossola, Domodossola 2006.
18 - E. De Filippis, Epigoni della scultura lignea al Sacro Monte di Varallo,
in M. Dell' Omo-F. Mattioli Carcano (a cura di), La scultura lignea fra
sei e settecento nelle valli alpine e prealpine tra Piemonte e Lombardia, Atti
del convegno (Miasino, 18-19 aprile 2008), Miasino, Associazione storicoculturale Cusius, 2008, pp.153-172.
19 - P. G. Longo, L' Entierro (Regale pompa funebre di Cristo) al Sacro
Monte di Varallo (1776), in «Bollettino del Sacro Monte di Varallo», 1,
2012, pp. 5-10; 2, 2012, pp. 5-7.
8
20 - A. Morandotti, Milano profana nell' età dei Borromeo, Milano,
Electa, 2005, pp. 99-190.
21 - G. Nadal, Evangelicae historiae imagines ex ordine evangeliorum quae toto
anno in Missae sacrificio recitantur, Anversa 1593; G. Nadal, Adnotationes et
Meditationes in Evangelia quae in sacrosanctae missae sacrificio toto anno leguntur, cum evangeliorum concordantia historiae integritati sufficienti, Antuerpiae,
Martinus Nutius, 1594-1595; G. Nadal, Evangelicae historiae immagines ex ordine evangeliorum qui toto anno in Missae sacrificio recitantur, in ordinem temporis Vitae Christi digestae auctore Hieronymo Natali societatis jesu theologo,
Antuerpiae 1593, in Meditationis sopra li evangelii che tutto l' anno si leggono nella messa et principali mnistreri della vita et passione di Nostro Signore, composte
dal p. Agostino Vivaldi.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
I sacri monti Unesco patrimonio dell' umanità
È tempo di sacri monti. Quelli più noti stanno tra
Piemonte e Lombardia, quasi tutti sorti attorno ad un
più antico santuario della Vergine, tranne Varallo, il
primo, che nasce nel 1491 con la riproduzione dell' interno della grotta del Santo Sepolcro, per volontà di
Bernardino Caimi (+1499), francescano osservante,
custode in Terrasanta e noto predicatore, seguace di
Bernardino da Siena1. Qualche anno dopo sorgeva,
sempre ad opera di un francescano, la Gerusalemme
di S. Vivaldo a Montaione, con l' imitazione dei principali luoghi di Terrasanta, specie i gerosolimitani.
Sacro Monte significa un santuario con cappelle dei
“misteri” attorno (vita di Cristo, storia della Redenzione, vita di Maria, misteri del Rosario, strada dolorosa e
via crucis, vite di santi), disposti in vario modo2. Nel
1589 iniziavano, anche per l' intervento del duca Vespasiano Gonzaga, le cappelle della vita e delle gioie/ dolori della Madonna a Crea, nel ducato del Monferrato, in
dichiarata connessione con la vita di Cristo di Varallo.
Quivi vi era l' antica tradizione delle veglie notturne,
anche per la presenza tollerata di zingari, nella prima
metà del sec. XVI. A Orta, dal 1583 si avvia un convento francescano e, subito dopo, cappuccino di S. Nicolao con le cappelle della vita di S. Francesco.
A Varese, l' antico santuario di S. Maria del Monte,
all' inizio del XVII secolo, avrà una via d' accesso più
maestosa e meno difficoltosa della precedente, dove
frequenti erano le rissa tra confinanti e pellegrini. Si
svilupperanno le cappelle dei misteri del Rosario. Ad
Arona si andò progettando un sacro monte con cappelle di vita, virtù e miracoli di S. Carlo Borromeo, dopo la sua canonizzazione del 1610, poste attorno alla
chiesa principale, che custodiva una copia della camera dove nacque il santo cardinale Borromeo, ma si fece
ben poco, oltre alla chiesa. A Domodossola a partire
dal 1656 iniziava il Monte Calvario con strada regia
della salita di Cristo al monte e delle sue varie pose durante il tragitto, in seguito sempre più definitasi in Via
crucis3. Ad Ossuccio si fecero i misteri del rosario in
salita ad un santuario della Vergine. Altri sono a Brissago, a Orselina e a Ghiffa con episodi di richiamo alla
SS. Trinità e Via crucis. I sacri monti sono in gran parte sorti nella Controriforma su più antichi santuari, a
confine, si scrive, ma impropriamente, del mondo protestante, una sorta di limes della cattolicità romana.
Ad Oropa, centro di antica e grande devozione alla
statua della Madonna nera, dove convergevano gli interessi politici e religiosi della città di Biella e del capitolo di quella cattedrale, santuario poi passato sotto
l' alta protezione e il dominio dei Savoia, la tradizione
dei soggiorni (novene) presso il centro sacro fu favorita dalla costruzione e dalla pratica della visita alle cappelle con i misteri della vita della Madonna, lungo il
monte Oretto. A Belmonte, attorno ad un antico santuario mariano, sorsero le cappelle del rosario in salita
ad esso e la via crucis nelle colline attorno al tempio di
origini arduiniche. Sono questi i nove Sacri Monti riconosciuti dall' Unesco patrimonio dell' Umanità4.
Ma è anche da ricordare il santuario di Graglia per il
quale vi era il grandioso progetto della Terrasanta del
Piemonte, da parte del parroco locale don Nicolao Velotti. Esso doveva riprodurre in una complessa e simbolica geografia montana 100 cappelle con storie bibliche e del nuovo testamento, secondo denominazioni a
1 - P.G. Longo, Bernardino Caimi francescano osservante: tra “eremitorio” e “città”, in «Novarien», 2000, n.29, pp. 9-25.
2 - F. Cardini-G. Vannini, "San Vivaldo in Valdelsa: problemi storiografici e interpretazioni simboliche di una Gerusalemme cinquecentesca in Toscana", in Due casi paralleli: la Kalwaria Zebzydowska in
Polonia e la “Gerusalemme” di S. Vivaldo in Toscana, Firenze, Società
storica della Valdelsa, 1983, pp. 21-72.
3 - S. Minissale-A. Feltre (a cura di), Calvario. Sacro Monte di
Domodossola, Allemandi, Torino, 2009.
4 - Per le origini e sviluppi di questi Sacri Monti si rimanda all’indagine
complessiva: P.G. Longo, "I Sacri Monti tra “disciplinamento” e “difesa”
controriformistica", in A. Tilatti (a cura di), Santuari di confine: una
tipologia? Atti del Convegno di studi (Gorizia-Nova Gorica, 7-8 settembre 2004), Laguna, Mariano del Friuli (Gorizia), 2008, pp. 65-132.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
9
pier giorgio longo
volte ricavate direttamente dai testi sacri5. A Laino
Borgo in Calabria vi è un'interessante riproduzione
quasi in miniatura dei luoghi principali di Gerusalemme presso il santuario della Madonna dello spasimo,
riproduzione risalente alla metà del secolo XVI, dovuta al pellegrino in Terrasanta Domenico Longo, all' interno del Pollino6. Il fenomeno di Varallo e del suo Sepolcro è contemporaneo a quello dell' Heilige Grab di
Görlitz, ma la diffusione del culto del Sepolcro in occidente è di lunga data e di una complessa varietà d' aspetti dall' Italia, al Trentino-Alto Adige, all' Europa.
Oggi i sacri monti sono in gran parte rilanciati dalle
amministrazioni che li sovrintendono, e il passaggio di
alcuni all' Unesco impone di mantenersi entro livelli di
qualità importanti. Da luoghi esclusivamente di devozione popolare e da centri della catechesi ecclesiastica
5 - P.G. Longo, Memorie di Gerusalemme e Sacri Monti in età barocca,
Vincenzo Favi, devoti “misteri” e “magnanime imprese” nella sua
Relatione del viaggio in Terrasanta dedicata a Carlo Emanuele I di Savoia
(1615-1616), Atlas, Centro dei Sacri Monti, Calvari e Complessi devozionali europei, Ponzano Monferrato, Alessandria, 2010, pp. 115-136.
6 - A. Barbero-G. Roma (a cura di), Di ritorno dal pellegrinaggio a
Gerusalemme. Riproposizione degli avvenimenti e dei luoghi di
Terrasanta nell' immaginario religioso fra XV e XVI secolo. Atti della giornata di studio (Università della Calabria, 12-13 maggio 2005), coordinamento editoriale e redazionale di Paolo Pellizzari, Atlas, Centro di documentazione dei Sacri Monti, Calvari e Complessi devozionali europei, L' artistica, Savigliano (Cuneo), 2010.
A
nche se oggi le pagine di Testori, del 1965,
sul Sacro Monte possono ancora offrire una
suggestione allo sguardo del visitatore,
nell' attualità vale citare le pagine di chi ha indugiato con
lo sguardo sulle cappelle:
«Le stagioni ricominciano al centro della fontana dove
si beve acqua fresca non pensando ai sensi alti della teologia della salvezza. L' andare è stato faticoso, su e giù per
colli o lungo strade unite, ma in salita e solenni, soli o assieme, come per le donne vecchie di Valsesia in ginocchio, sulla scala santa a dire litanie, “O cara Madonnina
di Varallo, prega per i nostri parenti, amici e conoscenti”:
così nel vuoto assoluto della basilica si sentiva invocare
10
diocesana e non solo, specie in età di secolarizzazione
e di scristianizzazione, sono diventati anche mete di
turismo religioso, di visite storico-artistiche, di aggregazione e promozione di fenomeni culturali di vario tipo. Non mancano gli aspetti più propriamente economici, anche perché i complessi richiedono molte entrate per il loro mantenimento e restauro. La costituzione
delle Riserve regionali, specie in Piemonte, è stato un
intervento di primaria importanza nel loro rilancio,
conservazione, rinnovamento. Varie, dunque, sono le
priorità da rispettare in questi sacri luoghi di lunghissima tradizione:
–– la tutela storico artistica, paesaggistica, strutturale;
–– la promozione degli studi non solo in campo artistico, ma anche storico-antropologico, lungo una
direzione di sano comparativismo religioso;
–– la promozione della devozione attraverso un' aggiornata, e sempre più corrispondente ai bisogni
del mondo moderno, ricerca di significati delle immagini e della loro comunicazione con il riguardante, che vada al di là di una mera fruizione catechistica, ma implichi, con la conoscenza degli
strumenti del passato, un'aggiornata teoria delle
immagini e della visione.
dal fondo dello scurolo l'antica statua lignea a manichino
della Vergine dormiente che ha le scarpette ricamate d' oro.
Una prece, forse l' ultima cosa che viene da pensare per
questa terra di Sacri Monti che ti lascia nell' anima la pura allegria d' aver guardato. Tutti si firmano sul quaderno
posto all' ingresso dello scurolo di Varallo: “Adele è venuta
a trovarti, cara mamma, ricordala . Grazie!”: e la memoria è già il pegno di un' attesa. Un segreto rimane al di là
della sua impensata pretesa: “Ti prego di apparirmi in sogno per dirmi quello che tu sai”.
A volte basta un nome e cognome per fare una vicenda
intera:“Cara Madonnina del Sacro Monte, oh Madonnina proteggi la Clara Pastorelli che a 92 anni”.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
Le domande sono ingenue e complicate insieme, soprattutto familiari, come sempre, alla Madonna. Consegnano agli albori del cuore il senso di una presenza che
non sa andare fuori i confini di un dirsi immediato e
confidenziale, immediato dell' anima alle traversie di
sempre. Qui il sacro è soprattutto il nostro affanno di
giorno in giorno. Poi la richiesta unica, assurda e meravigliosa: “Aiutami ad affrontare la vita” quasi che il vivere fosse un gioco difficile, aspro e sorridente insieme, con
le sue malizie, i suoi sottintesi e i suoi aperti e dichiarati
conflitti con la spina dell' indifferenza, dell' egoismo, della
disattenzione. Quasi la vita fosse un rintracciarsi qui, intatti e interi, fatti sguardi e voci e silenzi e collocare nel
cuore riposto di un'immagine, nel palpito breve di
un' emozione o di un sogno, di un ricordo o di una visione, il senso dell' essere venuti fin quassù, dell' esserci dispersi e ritrovati, del vedersi o del rappresentarsi, come in
un sortilegio di parole: la bellezza adombrata del nostro
stare quotidianamente sulla terra».1
Rileggiamo Testori che scrive:
«Lui il calmo, dolce, concreto Gaudenzio avverte, senza nessuna vanagloria, d' essere al punto in cui tutta una
tradizione antica e non mai espressa appieno si fa forma
vivente, immagine matura, e per l' appunto teatro in plastica e colori, sì che nella vicenda d' una vita s' esprime,
come in uno spettacolo, la tenerezza d' ogni nascita e il
dolore di ogni morte».
E a proposito del gruppo di Betlemme:
«È qui che la "specie" della tradizione novarese trova il
suo genio e il suo culmine; rivelandosi e nello stesso tempo sprofondandosi. E le profondità sono quelle dei legami d' amore e di sangue: quella degli affetti e del cuore…
In tale ambiente le persone vengono a trovarsi in perfetta
e naturale parità con chi le guarda. Stavo per scrivere
con chi le tocca; con chi le chiama e vi conversa. Questo
è talmente vero che il punto di vista corrisponde alla porta da cui sono entrati i visitatori e alla finestra cui il pastore s' affaccia, la sera, per dar un occhio alle bestie, che
1 - L' anima felice. Parole e immagini del vissuto quotidiano nel Cammino di
Santiago e nei Sacri Monti, a cura di A. Barbero e F. Singul, Atlas, Centro di
documentazione dei sacri monti, calvari e complessi devozionali europei,
Cheri 2007, p. 18.
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abbiano la loro acqua e il loro fieno».2
Forse vien meno in Testori lo stupore del mistero, ma
l' umanità c' è tutta, tutta genuinamente ctonia, delle profondità più radicate del genio e della gente della valle.
Ora la lettura si potrebbe spostare. Salire al sacro
monte è salire a Gerusalemme, visio pacis, e crearsi il
proprio giardino come in un' immaginazione del Molo,
dove, a proposito di S. Caterina del Sasso invita a rappresentarsi una nuvola, che chieda al devoto di:
«coltivare la terra del giardino del tuo cuore, e con il
ferro delle mortificazioni tagliarai i rami, e mondarai le
piante delle tue opere, et pensieri, le quali perché sono
mescolate con varie negligenze, et imperfezioni, hanno
di bisogno di essere scalvate, e levato il cattivo, e così ti
convien perseverare fino a tanto, che a tempo opportuno
Iddio pioverà una rugiada celeste, ch' innaffierà tutto il
giardino del tuo cuore, dal quale per buono esempio ne
raccoglierà il prossimo tuo, frutti dei quali pascendosi
egli, per non esser difettosi, come i primi, si convertiranno in nutrimento buono e sodo, il quale così facilmente
non si perderà».3
Al Sacro Monte degli alberi, dei fiori, dei frutti, delle
pietre, delle acque, dell' anarchia politica e pellegrina
dei primi decenni del Cinquecento, si sostituisce il
giardino del proprio cuore della controriforma, dove
ordinatamente coltivare le piante e i frutti delle virtù e
dei buoni esempi.
A
nche a Gerusalemme, secondo quanto attestano un anonimo pellegrino nel XV secolo e altri, vi erano, passando il ponte sul Cedron, «zardini assai degni con molte fructe e vite»4. Il
2 - G. Testori, Il gran teatro montano. Saggi su Gaudenzio Ferrari,
Feltrinelli editore, Milano 1965, p. 66.
3 - G. Molo, Viaggio spirituale a diversi luoghi Sacri per visitarli, con diverse Meditationi sopra la vita e morte del Signore e della gloriosa sua madre.
Opera utile a qualunque stato di persone ancorchè corporalmente non vi
puotessero andare et molto profittevole per incamminarsi alla perfetta imitazione di Christo e della B.V.M. del M. R. Sign. Guglielmo Molo Pavese dottor
di Sacra Theologia, In Pavia, Per Giacomo Ardizzoni, e Gio. Battista Rossi,
1613, pp. 106-108.
4 - Lo itinerario de andare in Hyerusalem (1469). Loca sancta visitanda in
partibus Jerusalem. Ms. G 10 - Biblioteca del seminario vescovile di Casale
Monferrato, a cura di Pier Giorgio Longo, Atlas, Centro di documentazione dei sacri monti, calvari e complessi devozionali europei, Ponzano
11
pier giorgio longo
percorso delle cerche dei pellegrini nella città di Sion
era, soprattutto, un grande armamentario di reazioni
emotive, di pianti, di grida, di suppliche:
«O anima peccatrice qua te prepara a lacrime gitare,
ben saray dura se qua non creparay. Spezete core, che più
non posso portare qua il meo Redemptore, in modo di latro et saxino o grande malfactore ligato, con dispecta
compagnia, avante a il scelerato superbo, homo maligno
fo presentato, il delicato volto li fo spudezato, li resplendenti ogij li sono inbindati, delle soe preziose veste ello
foy spoliato, battiture molte ello sostenete, despresiato
asay, nel capo percoso, da lo apostolo Pietro tre volte renegato: O tu che legi, qua si fa dimora, e quello che con
la bocha dice, ne la mente pensa, che al tuo creatore
compassione averay e senza merito no pasaray»5.
Ed esplode la commozione dei pellegrini anche davanti alla violenta loro cacciata dal Sepolcro da parte dei
Saraceni:
«Alde, alde, oldi, odi cridi, pianti lamenti, suspiri.
Quale matre accompagnato allo sepulcro lo unico fiolo o
qualle spossa lo dilecto suo spoxo, inebriata di dolore da
lo sepulchro non se po' partire, cossì li divoti pelegrini, da
angonia infuriati e impaziti, il capo smaniando nel buco
dil santo confanone ficando, chi nel Sancto Sepulcro intrando, chi li sancti altri misterii abrazando, baxando e
con lacrime lavando, di dolori acecati no sapevemo la
porta dilo sancto di li sancti trovare. O Nicodemo, o
Joxefo, o Johanne, Martha, o Madalena, o voy altre Marie che con l' anxiata matre il pretioxo thesauro sopra
tutti li thesauri ne lo sepulcro acompagnasti, como da
qua levare ve podiste chi lo core no vi crepasse?»6.
Qualche eco la si potrebbe trovare nel Testori per
quella rappresentazione figurata di personaggi, attori
ed emozioni nella comunicazione sempre più ortodossamente diretta tra immagini e pellegrino. Ed infine:
«In questo or legeva qualche libro devoto al chiaro delle
lampade, che via ardono, di giorno o di notte, or meditando qualche massima cristiana particolarmente l' amore
Monferrato, 2007, p. 162.
5 - Ibidem, pp. 164-165.
6 - Ibidem, p. 198.
12
praticato da Cristo verso del genere umano, col suo nascere etc. Dopo cena e la comune recreazione, nel tenere premura al presente promemoria, e poi nel Divano a passare
qualche ora in particolare col Reverendo Curato come
avevamo fatto con quelli di Nazareth e Gerusalemme, discorrendo di cose scientifiche, dei santuari ed abitanti, non
che dei loro costumi. Come con persone più pratiche in
quelle parti, di tale cose, e qualche volta di giorno ci trattenevamo col maestro di scuola, per nome Giacomo Salome, uno dei più buoni e dotti di Betlemme».7
Chi scrive è un agente farmacista e droghiere, Antonio
Rota, che, dopo aver lavorato a Berbenno in Valtellina, lascia la famiglia e va a Milano in cerca di lavoro. Qui trova
don Luigi Guidi di Lugano, molto facoltoso, che aveva bisogno di una persona al suo servizio, per accompagnarlo
nel pellegrinaggio in Terrasanta, con debita remunerazione giornaliera. Partì da Milano verso Livorno, il 27 aprile
1835. Antonio Rota, durante il viaggio di ritorno, subì la
schiavitù. I due giunsero, infine, a Como negli ultimi mesi del 1836, dopo «il longo, penoso e spaventevole viaggio in
un con la più barbara mia schiavitù».
Il manoscritto, conservato alla Biblioteca Ambrosiana,
è molto interessante e verrà pubblicato per le curiosità e
le vicende diverse che narra. Testimonia il perdurare della tradizione dei diari di viaggio in Terrasanta, ormai, e
già dal XVII secolo, ricchi non solo di emozioni spirituali, ma di curiosità, di osservazioni concrete e scientifiche,
di incontri e scontri fra popoli, usi e costumi diversi.
Ai Sacri Monti, in specie a Varallo, dopo l' Antico Regime gli occhi si faranno divisi: chi guarderà all' arte,
chi sentirà la pietà, entrambe non ancora coniugate in
una ricerca storico-religiosa e artistica aggiornata, che
superi l' approccio devozionale o laico dei secoli passati. Tocca a noi il farlo per mantenere intatto un patrimonio del passato, un' eredità culturale e un progetto di
fede e di speranza per il futuro.❧
Pier Giorgio Longo
7 - A. Rota, Viaggio in Terra Santa, ms. n. n., in Biblioteca AmbrosianaMilano, B 125 suss.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
Due aggiunte alla bibliografia sacromontana
Due testi sono interessanti anche perché ancora
ignoti alla bibliografia sacromontana.
Dall' Ospedale San Matteo di Pavia, il 15 agosto
1613, p. Guglielmo Molo indirizzava al vescovo di
Pavia, Giovanni Battista Biglia, la lettera dedicatoria del suo Viaggio spirituale a diversi luoghi Sacri
per visitarli, con diverse Meditationi sopra la vita e
morte del Signore e della gloriosa sua madre. Opera
utile a qualunque stato di persone ancorchè corporalmente non vi puotessero andare et molto profittevole per incamminarsi alla perfetta imitazione di
Christo e della B.V.M. del M. R. Sign. Guglielmo Molo Pavese dottor di Sacra Theologia, In Pavia, Per
Giacomo Ardizzoni, e Gio. Battista Rossi, 1613. Ad
istanza di Ottavio Bordone Libraro.1
1 - Guglielmo Molo, sacerdote pavese, direttore d' anime, predicatore
di esercizi spirituali e autore di opere di meditazione e di pietà dal vivo stile barocco, ricco di immagini e di metafore, visse all' epoca del
vescovo Giovanni Battista Biglia, il cui ingresso in diocesi avvenne nel
1608. Fondò l' associazione degli oblati diocesani di sacerdoti di S.
Maria Assunta, di cui scrisse le regole. Pubblicò: Viaggi di Christo co' suoi essercitii spirituali. Vtilissimo à chiunque desidera far camino
nella strada... Di Guglielmo Molo dott. di sacr. theol. de chierici secolari della Congregatione di S. Maria Assonta; Il palazzo della
contemplazione, appresso Pietro Bartoli, Pavia 1607; Modo di visitare con profitto spirituale le chiese, e le SS. reliquie che sono nella
città e borghi di Pavia, varie edizioni; La presa et morte dell' amor
proprio. Rappresentazione del signor Guglielmo Molo, Pavia 1620; G.
Molo, Costitutioni delle monache della prima Regola di s. Chiara
del monastero del ss. Sacramento e della Natività della B.ma Vergine
in Pavia, aggiustate e ridotte a nuova forma il 18 giugno 1648;
Congresso delle virtù potentiali della giustitia, nel quale la religione riporta il principato sopra delle altre: descritto dal M. Reuer. Sig.
Guglielmo Molo Pauese, Dottore di Sacra Theologia. Nuouamente
dato in luce per Gio. Battista Rossi Sacerdote Pauese. Opera utile, e
curiosa ad ogni stato di persone, tanto secolari, come ecclesiastici...
In Milano: nella corte Reg. e Ducale, per M. Tullio Malatesta, 1611;
La presa, et morte dell' amor proprio. Opera utile ad ogni stato di
persone, nella quale si scorge quanto con il suo disordine ei sia dannoso alle menti poco accorte, & suegliate. Del molto R. Sig.
Guglielmo Molo, di Sac. Theol... Nuouamente posto in luce dal reu.
Antonio Zuccarelli Sacerdote Tortonese, In Tortona, per Pietro
Giouanni Calenzano, 1616; Modo diuoto per visitare con profitto spirituale le chiese, e le SS. reliquie che sono nella città, e borghi di Pauia.
Et per visitare le reliquie di ciascun santo in particolare, in ogni città, e
luogo. Di P. Guglielmo Molo dott. di s. theol. dei Chier. secolari di S.
Maria Assonta, e di S. Siro di Pauia. Con le tauole delle chiese, delle san-
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Il volume è rarissimo; l' unico esemplare da me conosciuto, mutilo delle pagine relative al Sacro Monte
di Crea, si trova alla Biblioteca Civica Canna di Casale
Monferrato2. L' opera è divisa in tappe espresse in miglia con corrispondenti meditazioni, visita ai santuari
o alle chiese dei luoghi, di cui diremo, orazioni e una
«immaginazione» finale, dove il pellegrino in spirito o
di fatto ha la visione di Cristo, della Vergine, dei santi
e di figure simboliche, sente voci che parlano con lui
per dargli degli insegnamenti morali. Le tappe sono le
seguenti. Pavia, Certosa, Binasco, Casino, Milano (dove si visita S. Maria presso S. Celso, il santo chiodo e il
Duomo); Rho, alla miracolosa Madonna locale, Saronno alla Madonna dei miracoli; a Varese, con il
Duomo e la Madonna del Monte, dove si visita il santuario e si fa memoria della beata Caterina da Pallanza. Si passa a S. Caterina del Sasso con il beato Alberto
Besozzi; a Intra, al santuario della Madonna di Campagna. Poi si va da Orta a Varallo, attraverso la Colma
di Arola, con visita dei rispettivi sacri monti.
Da Varallo a Romagnano, a Gattinara, a Vercelli,
dove si pregherà nel Duomo, all' Ospedale, nelle
chiese dedicate alla Madonna. Da Vercelli si passa a
Trino, visitando la chiesa, ora scomparsa, dedicata
a S. Anna con cinque cappelle fatte in modo simile
te reliquie, & de gli essercitij spirituali, In Pauia: Per Gio. Battista Rossi,
con licenza de' superiori, 1619. Scrisse anche un Viaggio spirituale alla Santa Casa di Loreto, forse edito nel 1618, ma dovrebbe essere precedente al Viaggio spirituale a diversi luoghi sacri, del 1613. Molo progetta un Viaggio spirituale alla Santa Città di Gerusalemme, non composto, dove intendeva descrivere, come dichiara, la casa di Maria, di
Giuseppe e del bimbo in Egitto con la fontana miracolosa e i frutti del
balsamo, mentre a pag. 104 dice che la chiesa di S. Caterina al Sasso
Ballaro, sul lago Maggiore, è simile alla S. Caterina sul Sinai. Tali luoghi palestinesi con il giardino, le fontane e il balsamo sono citati da
molti pellegrini di Terrasanta, tra cui Vincenzo Favi (1615/16).
Manoscritto di Guglielmo Molo alla Biblioteca universitaria di PaviaManoscritti Ticinesi Segnatura 447, pagine 321: si tratta di La presa e
morte di Cristo. Rappresentazione spirituale.
Aveva anche pensato ad un Viaggio spirituale in Terra Santa, di cui
non si hanno dati.
2 - Ringrazio Giorgio Massola per avermi fornito copia del volume.
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pier giorgio longo
a Varallo. Da Trino a Crea, ad Asti, nel Duomo, ad
Alba, dove si visiterà il Duomo e le chiese della Madonna. Da Alba, per Barro, a Novello per pregare in
Duomo; da Novello a Mondovì, alla chiesa della
Madonna del Pilone. Da Mondovì a Fossano per
visitare nei pressi il santuario della Madonna di
Cussanio, di molta devozione. Da Fossano, per Ginolla e Savigliano, a Racconigi, a Carmagnola per
Cavalermaggiore, a Torino per Moncalieri.
A Torino si visiterà la Sindone; quivi si immaginerà che due angeli spiegheranno tutto intero il sacro lenzuolo davanti agli occhi del pellegrino. Lui
l' adorerà e lo contemplerà. Alla fine gli angeli piegheranno la reliquia e gliela doneranno «per conservarla nella casa della tua memoria»3. Da Torino
si passa a Chivasso, per Settimo e Brandizzo, con
visita alla chiesa e immaginazioni varie. Da Chivasso a Palazzuolo per Crescentino, sempre alla chiesa, con un immaginario molto importante di dialoghi e di inviti tra il Cristo addolorato e l' anima4.
Nell'ultima parte del viaggio le «visioni» sono sempre relative al rapporto tra il Cristo della passione e
l' anima che compie il viaggio spirituale. Da Palazzuolo a Casale, per Trino e Morano, con orazioni
nella chiesa Cattedrale. A Lomello, passando per
Frassineto e Breme, con la visita alla Chiesa Maggiore di S. Maria di Lomello. A Dorno, alla Chiesa
della Madonna degli Angioli dei padri riformati,
fabbricata, come si dice, da S. Bernardino. Alla Madonna della Bozzola in Garlasco, il santuario della
Lomellina risalente al XV secolo, e a Pavia, per
Groppello. All' ingresso della città, sulla porta del
ponte, si canterà la Lode alla santissima e sempre
immacolata Vergine Maria, di seguito riportata nel
volume, avviandosi verso la Madonna fuori della
porta di S. Giustina, che fece il primo miracolo il 25
marzo 1609; ora per la devozione e il concorso dei fe3 - G. Molo, Viaggio spirituale a diversi luoghi sacri, cit., p. 274.
4 - Ibidem, pp. 287-288.
14
deli si sta costruendo una sontuosa chiesa. Seguono
delle "affettuose salutazioni" e richieste alle sacratissime membra di Maria Vergine: piedi, ginocchia, ventre, mani e braccia, mammelle, bocca, nari, orecchie,
occhi, capo, cuore, anima, con l' offerta di specifiche
azioni ad ogni parte del corpo di Maria.5 Si tratta di
uno dei vari sistemi di ars memorandi e di compositio
loci, forniti per l' orazione mentale e per la più proficua preghiera.
Un altro testo, del tutto ignorato dalla bibliografia
dei sacri monti, è l' opera di critica d' arte: Le finezze
de' pennelli italiani ammirate e studiate da Girupeno,
sotto la scorta di Raffaello d' Urbino… opera di Luigi
Scaramuccia perugino pittore, In Pavia 1674. Non interessa la discussione della particolare visione dell' arte del pittore, legato al classicismo romano di Bellori
e dei Carracci, di Maratta e di altri. Il maestro Raffaello, ricomparso sulla terra, guida l' allievo Girupeno
ad una visita che si avvia alle bellezze e alle arti della
città di Roma tra antichità e artisti moderni. I due,
poi, si dirigono a Bologna, fermandosi a Siena e a Firenze. Più giorni stanno a Bologna, ammirando soprattutto le opere del Carracci. Passano a lungo a visitare l' arte napoletana; quindi per Roma raggiungono Venezia, fermandosi a Loreto e nelle Marche. A
Venezia, oltre al palazzo e alla chiesa di s. Marco, vedono nuove e stupende pitture.
Da Venezia passano a Padova e in altri luoghi;
quindi arrivano a Mantova, a Marmirola e alla Favorita. Scendono a Cremona e vanno a Brescia. Da lì
puntano su Bergamo e Milano, dove vedono le pitture e le bellezze, nonché i monumenti, della città. Si
inoltrano nel territorio novarese. All' avvicinarsi
dell' autunno decidono di andare, attraverso il porto
di Oleggio, a Varallo. Prendono il naviglio, vanno a
5 - Una buona analisi dei pellegrinaggi e viaggi spirituali del Molo
confrontati sul territorio anche d' età medioevale è in G. Massola, La
devozione del pellegrinare lungo le rive del Po tra Medioevo e
Controriforma, 14 settembre 1998, in Religiosità popolare medioevale, Vie di pellegrinaggio medioevali: http://giorgiomassola.wordpress.
com; inoltre in De strata francigena, 2003, XI, 2.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il libro dei misteri e lA nova jerusalem
Turbigo, Oleggio, Romagnano, Borgosesia e sono a
Varallo, soprattutto alla ricerca di Gaudenzio Ferrari,
molto famoso. Tutte le cappelle sono «attissime a intenerire ogni qualsivoglia più indurato cuore immerso
nelle colpe»6.
Particolare impressione destano nei due viaggiatori gli affreschi del Tanzio, a loro sconosciuto: «…
che se questo soggetto fosse con quel suo buon talento
naturale uscito fuori a farsi conoscere, etiamdio in
una Roma, vi è più, e di gran lunga, vi sarebbe risuonata la fama».7 Rassomigliano il genio del Tanzio a
quello di Paolo da Verona, «non mancandovi il
buon disegno, l' espressione, la vivacità e la giustezza
nelle teste, la facilità nel colorire, ed ' l tutto condito
con amoroso finimento». Visitata la cappella della
Crocifissione «così colma di quantità di oggetti (già
che la rappresentazione di così gran mistero lo richiede) e di tali bizzarrie, d' Habiti, d' armi e di cavalli e
sbiraglia adornata», ammirano, poi, la chiesa maggiore con il Paradiso del Bussola. Ridiscesi a Varallo, giudicarono «felicissimi» la visita e quel giorno.
Partiti all' alba seguente, per il passo della Colma
giunsero a visitare il sacro monte d' Orta. Le cappelle di
S. Francesco, scrive lo Scaramuccia, «non riescono di
tanta compunzione alla guisa dell' altre poco prima vedute». Ma «si riconoscono nientedimeno, poco inferiori, ma
di viepiù maggior vaghezza, sì per l' Architettura come per
il sito più scoperto, e vario agl' occhi di ciascheduno, che vi
perviene; onde a ragione potevano chiamarsi contentissimi, mentre che in un istesso tempo potean concedere giocondo pascolo alle anime e ai corpi»8. Ad Orta i due sono
colpiti soprattutto dagli affreschi del Morazzone.
Dopo aver visitato le Isole Borromee, da Arona e
Angera vanno a Varese, al Duomo e al Sacro Monte, ammirando le quindici cappelle del Rosario «le
6 - Le finezze de' pennelli italiani ammirate e studiate da Girupeno, sotto la scorta di Raffello d' Urbino… opera di Luigi Scaramuccia perugino
pittore, In Pavia 1674, p. 145.
7 - Ibidem, p. 145.
8 - Ibidem, pp. 146-147.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
quali di pittura non meno che di vivacissime statue,
alla guisa delle già vedute nei giorni in avanti a Varallo e a Orta, sono benissimo compite. Quando ne
ritrovarono alcune, anzi quasi tutte, che (oltre la ricchissima architettura, con la quale senza principio di
risparmio sono erette) restano dipinte da bravissimi
e valenti soggetti, eziandio viventi…».9 Quindi da
Induno, Saronno, fino alla Certosa di Garignano si
giunge a Milano e si parte per Genova. Dopo si va a
Torino per la visita delle residenze reali. Per Vercelli e Novara, dove si ammira la basilica di san Gaudenzio, si è a Milano e nei dintorni; quindi si giunge a Piacenza, a Parma, poi a Modena per vedere
quanto di bello e di utile ci sia in quei luoghi e trarre insegnamento per la loro professione. Il Genio e
Giunipero fanno gli ultimi viaggi a Faenza, Forlì,
Cesena, Rimini, Pesaro, Fano e Sinigaglia, stabilendosi definitivamente a Roma, essendo quella la sede ufficiale dell' allievo Girupeno. Seguono avvertimenti e raccomandazioni concrete per l' esercizio
dell' arte della pittura.
Il Genio, che alla fine scompare, ha voluto quel
viaggio, ancora in modo insolito quale itinerario
geografico dell' arte, per far ammirare all' allievo tutte le bellezze d' Italia, divise per territori, non distintamente per scuole, essendo comunque sottolineato sempre il rapporto tra gli antichi e i moderni
imitatori. Il viaggio potrebbe trovare un vago precedente in Federico Zuccari10. Se nella visita dei sacri monti ciò che interessa è l' arte, non manca l' atteggiamento della devozione, dovuto in gran parte
alla bellezza dei complessi (l' idea del bello in Scaramuccia e Bellori), dei luoghi, delle architetture (forse un po' meno per gli edifici a Varallo) e alla resa
immaginativa ed emotiva delle immagini. Insomma le ragioni di sempre.
9 - Ibidem, p. 149.
10 - F. Zuccari, Il passaggio per l' Italia, a cura di A. Ruffino, con lectio geografica di A. Papotti e un saggio di F. Varallo, La Finestra editrice, Lavis, 2007; I ed. Bologna Bartolomeo Cocchi, 1608.
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Il terrorista dell’Haganah
che leggeva Sant’Agostino
di Sandro Disertori
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il terrorista dell’Haganah che leggeva Sant’Agostino
A
ltro soggetto molto Nel precedente scritto avevo cercato, rac- più di Verga e dei suoi Malavoi n t e r e s s a n t e , contando qualche aneddoto su alcune mie glia.
anch’ esso incontra- esperienze africane, di illustrare e spiegare
A pensarci, questo non è poi
to per la prima volta in uno de- quale fosse il modo di vivere, ma soprat- tanto strano considerato che
gli incontri serali, era Tonton tutto l’atmosfera ed il tipo di cultura delle Verga, nelle scuole umanistiche
(zietto) Jules. I nostri mutui ambasciate in Africa, con le quali ero co- francesi, è materia di studio e che
rapporti si faranno subito e con stretto a rimanere in continuo stretto con- a Parigi è raro che non ci siano
tutta naturalezza molto serrati, tatto, per le necessità del mio lavoro. Ri- sulle scene dei suoi teatri, una o
sia frequentando con lui i risto- prendere questa manciata di ricordi, oltre due opere del Pirandello.
ranti, sia al Golf di 9 buche rea- che divertire mi ha quasi commosso, sia
Tonton Jules mi recitava a melizzato alle falde del Mont Fébé perché carica di autentiche nostalgie, sia moria con grande enfasi intere
di Yaoundé, sia soprattutto in- perché mi ha riportato alla memoria l’in- poesie del Mallarmé e, a chi lo
crociandoci in casa di amici o di contro con alcuni personaggi invero molto volesse ascoltare fino in fondo,
conoscenti. Come ho già detto sorprendenti. Alcuni di essi erano decisa- la Ballade des Pendus ed interi
si trattava di un franco-canade- mente singolari. Attraverso la loro storia brani poetici del celebre Testase insabbiatosi in Camerun, personale, mi hanno fatto capire e cono- ment di François Villon, seconnon ne ho mai conosciuto i mo- scere cose che nemmeno immaginavo esi- do lui, con ragione, il più grantivi, come direttore del frequen- stessero. Perché essi, senza eccezione, ave- de poeta francese di sempre.
tatissimo Golf Club della città. vano la chiave adatta per aprire le molte Tentava di farlo anche con qualEra amato da tutti per la gene- porte, spesso favolose, dell’universo africa- che endecasillabo della Divina
rosità, per il suo raffinato sense no, sempre affascinante da godere, ma Commedia o con i sonetti di
of humor e per la sua pulizia estremamente difficile da decifrare fino Foscolo ma l’ accento franco-camorale. Alla sua morte, che avnadese, sia pure dolce ed aulico,
in fondo.
verrà negli anni ’80, pressoché
gli impediva di dare il meglio di
l’ intera popolazione della capitale, non importava il sé per l’ inevitabile accentuazione, di cui non si sapeva
colore della pelle o la lingua materna, fu partecipe liberare, dell’ ultima sillaba di ogni parola.
commossa alle sue esequie. Fra l’ altro devo dire che
Anche nella musica e nelle arti figurative la sua culuna tale massa di gente presente in una cerimonia l’ ho tura era invidiabile, però sempre evidenziata con delivista solo una volta in una piazza di Parigi nel ‘ 67, per cata ritrosia. Quando invece in certe serate lui, perfetto
un vivace raduno di scioperanti inveleniti (dimentico agnostico, ci raccontava storie di incantesimi tratte dal
di proposito, vigliaccamente, quella di Piazza Venezia). woo-doo africano, dove le scimmie diventavano uomiIl suo punto debole era la dipendenza dall’ alcool, pe- ni e gli elefanti si trasformavano in tigri, neppure le sue
raltro portata con signorile dignità e senza creare pro- successive affascinanti canzoni che accompagnava col
blemi al proprio lavoro ed agli amici. Potrebbe anche proprio banjo riuscivano a farci tornare tranquilli alle
essere stata questa la responsabile del suo insabbia- nostre abitazioni. Anzi spesso, in piena notte ci svegliamento in Africa e dell’ uscita dalla sua vita, per lui risul- vamo di soprassalto per qualche semplice rumore protata quasi nefasta, della famiglia.
veniente dalla vicina boscaglia, la brousse. Ho amato
Molto colto, conosceva in profondità, oltre a quella tanto Tonton Jules e mi mancherà sempre. Non so bene
inglese e a quella francese, la cultura italiana. Era un cosa lui mi abbia saputo insegnare, ma di certo lo ha
patito di Pirandello più che di tutti gli altri scrittori e fatto ed è stato qualcosa di importante, in effetti indefidrammaturghi, francesi compresi, e lo era ancora di nibile ma soprattutto impagabile.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
17
sandro disertori
I
l terzo ed ultimo personaggio degno di essere
ricordato è l’ Ambasciatore israeliano in Camerun, di cui ho già fatto cenno e del quale vorrò
ricordare solo il nome di battesimo: Shlomo.
Egli mi ha aiutato a tracciare, senza rendersene conto, una prima bozza di come mi ero immaginato dovesse essere l’ autentico quadro umano e culturale del
nuovo Camerun, con le sue singolari caratteristiche
che, a mio avviso, in qualche misura erano quasi uguali in peso ed in sostanza a quelle delle altre nazioni del
Continente nero che avevano già liquidato, o lo stavano facendo, il dominio dell’ Occidente sulle loro terre.
L’ Ambasciata israeliana era chiassosamente guidata
da questo piccolo Sabra kibbutziano di ceppo e di radici askenazite. Shlomo era stato un colonnello della famigerata Haganah, quindi un verace terrorista dei
tempi eroici durante la sofferta nascita di Israele che al
momento, almeno in apparenza, era in pace con tutti e
quindi in sbandierato disarmo. Egli si dichiarava urbi
ed orbi come uno dei protagonisti del famoso massacro
terrorista di soldati e civili inglesi nell’ Hotel David di
Gerusalemme alla vigilia della nascita del nuovo Stato
di Israele. Estroverso all’ estremo, strana caratteristica
questa per un terrorista, era tuttavia considerato con
rispetto e simpatia da tutti. Era conosciuto come il peggior giocatore di golf dell’ Africa francofona, della qual
cosa si rammaricava molto ed in continuazione. Tale
debolezza spesso lo deprimeva quasi quanto la faccenda della propria statura, invero più che modesta. Egli
era perfino riuscito ad essere, chissà come, il padrino
dell’ ultimo nato dell’ ambasciatore dell’ Arabia Saudita.
Vantava dunque serie amicizie, anche fra i nemici dichiarati di Israele, per il quale peraltro era pronto a dare la vita. L’ unico suo vero difetto, se poi così si può
chiamare, era una passione sfrenata e mal celata per le
donne, specie per quelle degli altri, ma alleggerita per
sua sfortuna da un grande senso del ridicolo nel riconoscere in quel campo le proprie clamorose sconfitte,
parrebbe senza mai almeno un pareggio zero a zero, di
consolazione.
Sulle prime lo ritenevo il classico tipo del soldato con
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i paraocchi, una specie di marine di bassa statura. Ho
dovuto cambiare idea la sera che, invitato a cena con pochissimi ospiti a casa sua, fra i cumuli di libri che ingombravano lo studio, vidi far capolino, da uno di essi, Le
Confessioni di Sant’ Agostino, un caso ben singolare per
un ebreo ortodosso, assieme ai Sonetti di Shakespeare e
La Montagna incantata di Thomas Mann. Un giorno, a
sua espressa richiesta, lo portai in visita con l’ aereo della
compagnia al cantiere terminale del tronco di ferrovia in
quel momento in piena attività. La sua lunga coltissima
interpretazione con particolari sui, per lui esatti, luoghi
di origine dei Sumeri, fattami al rombo dei due motori
del Cessna, mi sconvolse alla lettera. Al ritorno poi, parlando di pittura, accennammo alla pittura ebraica. Gli
avevo detto come un po’ alla volta mi fossi innamorato
dell’ arte di Marc Chagall, un perfetto ebreo quanto perfetto russo. In particolare mi aveva più che convinto il famoso quadro dal titolo La passeggiata, ora in Francia,
con una ragazza svolazzante in orizzontale e trattenuta
con una mano dal proprio uomo. Non mi rispose subito.
Poco dopo però estrasse la penna, chiese un foglio di
carta al pilota e su di esso schizzò con mano ferma il
contenuto quasi esatto di quel quadro, in questo caso però più lungo che largo dell’ originale. La donna, pur sempre librata in aria, era stata collocata da lui in posizione
verticale con la testa in basso, fornendomene la ragione
con grande calore:
— Pure – disse – io amo molto Chagall e la Russia come lui la vedeva. Tuttavia era così che avrebbe dovuto
posizionare quella figura di donna sospesa in aria, trattenuta per mano dal proprio uomo per non volarsene
via. Non trova anche Lei che con la mia soluzione l’ insieme del dipinto sarebbe risultato molto più armonico
ed ancor più chagalliano?
Non so dove lui ci trovasse dell’ armonia, però pensai
che ci potesse forse essere del vero nella sua idea. In
ogni caso in quel viaggio, di matematico fu solo il fatto
che avevo trovato, volando sulla savana, una persona
che sulla pittura ne sapeva molto più di me. Non mi restò altro da fare che rispondergli, farfugliando qualche
parola senza senso.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il terrorista dell’Haganah che leggeva Sant’Agostino
A
vevo creduto che questi miei tre personaggi, fusi insieme, potessero rappresentare
abbastanza da vicino l’ anima e la cultura
che volteggiavano sul Camerun e sull’ Africa in quei
giorni. Ora so che non era affatto così.
La vera Africa, in realtà, a rappresentarla sul serio era
invece Lazare, il mio incredibile autista. Di etnia bamiléké, la più evoluta del paese, era il figlio povero di
un ex re. Parlava e scriveva in francese ed in inglese, non sapeva nulla di
Dante, di Emily Dickinson e del poema indiano
Bhagavadgita. Al suo posto sapeva scorgere invece
gli animali appostati ai
bordi della pista, guidando la Land Rover a sessanta miglia all’ ora, quando
io non ci riuscivo neanche stando immobile per
interi minuti e ben posizionato a stanarli con gli
occhi. Lazare vedeva tutto
ma sembrava non vedere
alcunché, sentiva tutto
ma se lo teneva per sé.
Parlava solo se interrogato e solo più tardi ci si accorgeva del valore delle
sue parole.
Rappresentava a pieno diritto l’ Africa verace anche
Samuel, il mio cuoco durante le mie lunghe permanenze in Camerun, soprattutto quando portavo con me
moglie e figli. Bugiardo, ubriacone, imbroglione e ladro rifinito era un personaggio irresistibile. Il suo sorriso infantile, quando fosse stato preso sul fatto per
qualche sua malefatta, riusciva a far ridere mia moglie
e me stesso, piuttosto che farci arrabbiare, anzi ci faceva sentire stranamente felici di esistere.
Avrà avuto circa 35 anni. Quando il Generale franceIL FURORE DEI LIBRI 2012/7
se Lattre de Tassigny partì dal Camerun a capo dei soldati della Francia libera e, attraversando in pochi mesi
il Sahel desertico per arrivare in Algeria per sbarcare
poi in Francia alla riconquista di Parigi, Samuel dovrebbe avere avuto sì e no otto o nove anni.
Il racconto, falso come una banconota da 7 dollari,
sulla sua partecipazione di soldato francese a quella
spedizione, nel suo francese un po’ cantilenante aveva
toni biblici. I particolari
sulla sua amicizia col Generale comandante, la sua
stretta di mano con De
Gaulle, le molte medaglie
ricevute e purtroppo rubategli poi dai banditi,
una molesta malattia contratta sul Ciad che lo bloccò e lo riportò a Douala, il
tutto esposto con sincero
candore ed in modo immaginifico, erano degne
del Cervantes. Ciò non gli
impediva poi di magnificarci nel modo ancora più
avvincente le ulteriori avventure vissute nel deserto algerino da lui e dalla
spedizione francese, dimenticandosi di averci
detto di essere stato rispedito a Douala. Altro che
Jules Verne o Emilio Salgari!
E cosa mai poteva importare se allora egli avesse avuto
solo nove anni, di fronte ad una tale esplosiva fantasia,
ben più verosimile e persuasiva della solita cruda verità.
Infine era vero Camerun anche il mio secondo autista Berthélémy, un bamiléké cattolico allora in attesa di
un nuovo figlio. Anche lui era un inguaribile contaballe. Gli avevo promesso un sostanzioso regalo se
avesse dato il mio nome di battesimo al nuovo nato, indipendentemente dal suo sesso.
19
sandro disertori
Come unica eccezione volevo però che mi portasse
copia del relativo certificato di nascita. Lo fece e si trattava di una bambina. Il suo sorprendente nome di battesimo sul certificato era però Disertori.
Berthélémy aveva confuso il mio prenome con quello della mia famiglia.
Aveva una sola moglie ed essendo cattolico la cosa
non poteva stupirmi, comunque mi congratulai di
questo. La mia delusione
fu profonda. Quasi offeso
per quello che ritenevo
fosse stato un complimento, mi rispose che
quella scelta era dovuta
solo ad uno stipendio
troppo basso, un guaio
che gli impediva purtroppo di portare a casa un altro paio di mogli.
O
ggi le cose anche
in Camerun sono cambiate, come da noi, come in Cina,
come in Oceania, insomma come dappertutto.
Una cosa tuttavia non
cambierà mai ed è la natura dell’ uomo. Sarà
quindi vano continuare a
redigere inutili classifiche
e fare delle elaborate distinzioni di fantasia.
Ho riletto in questi giorni, di Eschilo, la Saga di Agamennone e la tragedia della figlia Ifigenia, immolata in
Aulide da lui stesso. Seppure scritta 2.500 anni fa quella sanguinosa storia familiare assomiglia come una
goccia d’ acqua alle mille altre tragedie che leggiamo a
ripetizione nelle cronache dei nostri quotidiani.
Una cosa, per contro, è certa. I trent’ anni dopo la seconda guerra mondiale i quali, con le loro continue
20
scoperte scientifiche a ripetizione, hanno sconvolto in
tutti i sensi ed in modo irreversibile il Pianeta. Nonostante questo, non ho alcun dubbio che essi siano stati
comunque degni di essere vissuti, se non altro per la
dovizia e la varietà dei cambiamenti che hanno prodotto nei nostri simili, soprattutto dentro i loro cuori e
nella loro mente.
Uno di questi è stata appunto la decisiva decolonizzazione dei territori rimasti per un lungo ordine di
anni nelle mani bramose
di ricchezza, spesso spietate del sedicente Occidente civile.
Un periodo abbastanza
simile a questo, immagino siano stati sia il Cinquecento rinascimentale
del quale, visti, letti e perfino sentiti, godiamo ancora dei cambiamenti nel
bene e nel male, e l’ Atene
di Pericle.
Premesso questo, riassumo in qualche modo il
mio pensiero.
È chiaro che adesso
l’ uomo, nero, giallo, rosa,
bruno o a tinte intermedie legge, più o meno come noi uomini pallidi, le
stesse cose. Paga però un
prezzo molto alto perché
sta perdendo nel contempo le sue qualità migliori e
malamente sostituibili, vale a dire l’ istinto, la sua genuina gioia di vivere e quell’ Eden che noi perdemmo già
agli inizi per colpa di una mela...
U
na mia recente visita in Africa, forse l’ ultima, infatti mi ha deluso del tutto. I suoi abitanti sono diventati altrettanto feroci di noi,
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
il terrorista dell’Haganah che leggeva Sant’Agostino
hanno assorbito tutti i nostri difetti in peggio e, ripeto,
hanno perduto le loro qualità migliori.
La colpa in parte è di certo anche mia, come della
mia amica americana di Yaoundé, di Tonton Jules, di
Shlomo, insomma di tutti noi se i popoli ora emergenti possono usare, a prescindere dal colore della pelle,
gli antibiotici con i quali salvare la propria pelle e quella di centinaia di migliaia di altri e possono assistere alla televisione in tempo reale alle proprie disgrazie.
Questi sedicenti vantaggi tuttavia non hanno frenato, né possono farlo, l’ atroce morte per inedia di milioni di bambini mentre noi, a nostra vergogna, neppure
tentiamo per lo meno di indignarci delle nostre colpe.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Può darsi che di questo in fondo la causa principale
sia della stessa scienza, dei libri, della penicillina, del
DDT, perfino di Einstein o forse anche di Schweitzer.
Per il momento, nel dubbio, io continuerò in ogni
caso a leggere impavido, ad assumere antibiotici se ne
dovessi avere la necessità, e tenterò almeno di credere
sempre meno in Albert Einstein e sempre più al messaggio umano del dottor Schweitzer. Al messaggio
umano dell’ altro Albert ma, senza limiti, nel celeste
sorriso dei bambini.❧
Sandro Disertori
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Tridentini scriptores prohibiti VI
Antonio Rosmini
di Giuseppe Maria Gottardi
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
A
ffrontare il quinto auto- La Sapienza ha due parti, le quali si filosofiche, il Nuovo Saggio sull’orire trentino proibito del- trovano individualmente congiun- gine delle idee, i Principî della scienla nostra sequenza alfa- te: la prima che è nella mente, e za morale, il Rinnovamento della fibetica è qualcosa di estremamente questa si separa col mezzo della ri- losofia in Italia, la Storia comparaticomplesso. Infatti, le vicende che flessione ed ordinatamente si dispo- va e critica dei sistemi di morale,
caratterizzano la vita storica, cultu- ne, acquista il nome di Scienza, che l’Antropologia, ecc., libri tutti ch’erale, sociale e filosofica del Beato s’insegna e si scrive; l’altra poi è tale rano stati ricevuti con vivo plauso
Antonio Rosmini presentano tali e che né s’insegna dalle cattedre né si dagli uomini colti non solo, ma antante sfaccettature che solo un in- può scrivere ne’ libri, ed ha la sua che dai filosofi e teologi cattolici, e
cosciente può permettersi di ana- propria ed unica sede nell’animo e dagli stessi gesuiti che gliene scrivelizzarle in così breve spazio.
nella volontà e in tutte le affezioni e vano congratulazioni; come risulta
Tuttavia, lasciando la parola ai operazioni, e tuttavia ella è quasi la da lettere del gesuita Suryn, profestanti che affrontarono le problemati- stessa scienza, discesa dalla mente, sore di filosofia nel Collegio Romache che andremo a sviscerare e dedi- trasfusa nella realtà del sentimento, no, che chiamava il Nuovo Saggio
cando gli opportuni spazi, nelle penetrata nella vita, dove con pieno opera grande, altissima, profonda;
schede aggiuntive, crediamo di poe benificentissimo impero
del P. Bresciani il quale lo incitava a
ter, seppur minimamente, descrivegoverna.
propagare una filosofia che, accolta
re quello che ci interessa: i libri proinelle Università, rigenererebbe l’Eubiti del Beato Antonio Rosmini.
ropa a vita novella, e nel 1832 gli
Nel 1905 per la Tipografia Editrice L. F. Cogliati, in scriveva: «Nella compagnia (di Gesù) il Suo nome è riveMilano usciva di Giuseppe Morando l’Esame critico rito ed amato da tutti»; del Taparelli d’Azeglio, del P.
delle XL proposizioni rosminiane condannate dalla S. Perrone e persino del Generale dei Gesuiti P. Giov. RoR. U. Inquisizione ‒ Studi Filosofici-Teologici di un othan che nello stesso anno si degnava esprimere in
laico. Un ponderoso volume che, in 996 pagine, assu- una lettera parergli assai utile cotesto suo modo di filomeva la difesa di Antonio Rosmini nella lunga batta- sofare. Ma nel 1839, mentre veniva solennemente apglia teologica. È a lui ed al suo testo (nell’Introduzio- provato da Gregorio XVI l’Istituto della Carità fondato
ne) che ricorriamo per delucidare gli estremi di questa dal Rosmini, questi ebbe l’audacia di pubblicare il Tratgrande persecuzione.
tato della Coscienza ove in qualche questione teologica
Il primo libro che incominciò il fuoco di questa fiera urtò dentro alle dottrine care ai gesuiti e non si peritò
battaglia fu quello che comparve alla luce nel 1841 di contraddire ad essi ed al P. Segneri, in modo speciacon lo pseudonimo di Eusebio Cristiano1.
le, benché con tutto rispetto e per puro amore di verità.
Il Rosmini dapprima non aveva scritto che opere Dettando quest’opera il Rosmini aveva detto a uno de’
suoi: «Mi tirerà addosso grandi persecuzioni». E fu pro1 - Il titolo preciso è: Alcune affermazioni del signor Antonio Rosminifeta. L’aver adempiuto il suo dovere di scrittore onesto
Serbati prete roveretano con un Saggio di riflessioni scritto da EUSEBIO
gli costò la pace della vita. L’Arca santa era stata toccata,
CRISTIANO, Lucca, Guidotti, 1841. Seconda edizione. Una prima edizione n’era stata fatta a Livorno nel 1840, senza nome di stampatore, e diffusa
e il temerario doveva perire. Il primo a muovere in
clandestinamente. Si seppe poi che il libretto (di pag. 64) era opera in special modo di un gesuita Padre Melia, di cui il Card. Castracane faceva, scri- guerra contro il sacrilego fu appunto l’anonimo autore
vendo più tardi al Rosmini, il seguente giudizio: « Mi sorprende il rilevare
del libello che abbiamo nominato.
dalla sua lettera trovarsi a capo de’ suoi avversari il Gesuita Melia, che non
In esso le dottrine di Antonio Rosmini sono denunha mai avuto riputazione di teologo» (Lettera del 4 agosto 1849 - Cfr. A.
Rosmini, Della Missione a Roma, Torino, Paravia, 1881, pag. 394). Ma più
ciate
alla Chiesa di Dio come pestifere, ereticali, abomani erano entrate a comporre il libello. «Eusebio non è una persona, diceminevoli per ogni fedele cristiano. Avutane copia dal
va il Rosmini, è uno sciame››.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
23
giuseppe maria gottardi
Cardinale Tadini e indottosi a rispondergli il nostro filosofo, per la tutela del suo nome e della sua fede, che
gli stava a cuore più della sua fama (A. Rosmini, Risposta al Finto Eusebio Cristiano, Milano, Boniardi-Pogliani, 1841), così se ne lagna: «Non è una placida discussione a cui m’inviti Eusebio Cristiano: anzi, volgendo a me, come a reo convinto, uno sguardo severo, m’intima la capitale sentenza, e colla maggiore solennità annunzia al pubblico che io ho traviato, e fa sapere a tutti
ch’egli ha finalmente scoperto il tôsco delle mie dottrine mortifere, e scrive solo acciocchè i suoi nazionali nol
succino: queste mortifere, dottrine mie esser cotali che
convengono a capello con quelle orribili di Calvino, di
Lutero, di Giansenio, di Molinos, di Baio, di Quesnello, e
se altri vi sono nomi più esecrati nella Chiesa! In fine però sfogatosi, fa voti al cielo perché io conosca gli umani
miei errori, e la radice funesta d’onde son pullulati; per
la quale radice pare ch’egli voglia intendere la mia superbia, che egli vede naturalmente nel mio cuore cogli occhi
suoi... chiamandomi nondimeno cieco, e, come i farisei,
un cieco che si fa duce, né punto dubitando, che nella
sua bocca suonino ottimamente que’ versi che Dante pone nella bocca di Virgilio, tipo della stessa sapienza, i
quali egli premette per motto al suo libro:
Drizza, Lettor, ver me le acute luci
Dello intelletto, e fieti manifesto
L’ERROR DEI CIECHI che si fanno duci.
Ma Eusebio Cristiano non si contenta di qualificarmi
per uomo già traviato e consenziente agli eretici; tenta provarlo con testi di Concilii, Bolle di Pontefici, proposizioni
condannate, ed ogni altro argomento teologico; e il fa di tal
modo, che pochi de’ comuni lettori saprebbero strigarsi da’
suoi artificiosi ragionamenti e asserzioni franchissime. Laonde sembrerebbe che io dispregiassi i fedeli, miei fratelli, se
io non pubblicassi in loro servizio una mia giustificazione.
Dico una mia giustificazione; perché, dopo letto tutto
quanto dice Eusebio nel suo scritto, e lettolo con animo persuasissimo di esser fallibile, e pronto a fare qualsiasi ritrattazione ov’io potessi accorgermi di dissentir dalla Chiesa,
non ho tuttavia trovata vera né pur una delle innumerevoli colpe che egli mi appone » (Op. cit., pag. 35).
24
L
a giustificazione fu scritta di buon inchiostro, e riuscì piena di tanta erudizione, di
tanta verità e di tanta vivacità che per le persone competenti e spassionate essa segnò una clamorosa vittoria. Ma la stessa vivacità – provocata dall’enormità delle accuse dell’anonimo gesuita – non piacque ad alcuni, e leggiamo, nelle lettere che si scambiarono, quanta pena ebbe il Rosmini a persuadere il conte Mellerio, sin allora suo grande amico, ed ai gesuiti
bene affetto. Riuscì poi ad irritare maggiormente i suoi
potenti avversari, benché il Rosmini non alludesse mai
ai gesuiti nel suo scritto, ma si rivolgesse solo all’anonimo suo calunniatore. La polemica divampò nei giornali e periodici cattolici.
Molti scesero in campo, per il Rosmini, ma gli avversari moltiplicarono gli opuscoli anonimi, ribadendo e
moltiplicando le accuse.
Ferveva in questi anni medesimi la polemica di Vincenzo Gioberti contro il Rosmini ed i rosminiani, polemica che di vivacità, di retroscene, di pettegolezzi ne
ebbe anche troppi, come si può vedere dal Carteggio
del Gioberti pubblicato da Giuseppe Massari. Il Rosmini, che pur aveva risposto ad obbiezioni minori
mosse contro le sue dottrine filosofiche, taceva davanti
alle strabocchevoli difficoltà lanciategli contro dal focoso torinese, e invece di lasciarsi da lui trascinare in
una discussione interminabile in cui la torrenziale facondia del suo grande avversario gli avrebbe fatto sciupare un’immensa quantità di tempo, attendeva alla costruzione della sua filosofia monumentale, conscio
com’era che davanti all’opera compiuta tali obbiezioni
impazienti sarebbero cadute da sé. E difatti la Teosofia
del Rosmini, pubblicata postuma in cinque grossi volumi, annienta tutte le difficoltà giobertiane. Il contegno freddo e riservato del Rosmini a suo riguardo, che
le esagerazioni degli amici male informati gli facevano
interpretare come disprezzo, la lontananza, le traversie
dell’esilio, l’indole impressionabilissima, il temperamento intellettuale più costituito di potente fantasia
che di sottile e temperata dialettica, fecero sì che davvero l’intemerato patriota e filosofo di Torino trascen2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
desse ed esorbitasse, specialmente nell’opera voluminosa Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, ch’egli
scaraventò contro il valoroso matematico e filosofo
prof. Michele Tarditi dell’Università di Torino che gli
aveva tenuto testa colle sue sempre bellissime Lettere di
un Rosminiano a Vincenzo Gioberti (Torino, Favale,
1841-2).
M
a quando egli, il Gioberti, vide il Rosmini assalito così furiosamente dall’odio
teologico nell’integrità della fede, e gli
mirò sguinzagliata addosso la muta che non perdona o
risparmia, sentì rinascere in cuore la parte più bella e
generosa dell’animo suo, e attenuate prima, poi cessate
del tutto le offese, levò possentemente la voce in difesa
del grande perseguitato. «Chi non sa le persecuzioni che
moveste ad Antonio Rosmini? – scriveva egli nel Gesuita Moderno (Cap. V) qualche anno più tardi nel 1846.
– Finché l’illustre ecclesiastico si contentò di filosofare,
voi lo lasciaste dire, e spesso ne citaste con lode le opinioni: ma quando dalla difesa del suo ente possibile egli passò all’assalto del vostro probabile; e non contento di giovare alla Chiesa coi libri volle farlo con un’istituzione,
fondando la pia congrega dei preti della Carità, la scena
mutò ad un tratto; e il valentuomo, di pio e buon cattolico che era dianzi, diventò ad un tratto un uomo di sospetta fede e per poco un eretico o un miscredente. Del
che egli non si dee dare troppo rammarico; perché la sorte incontrata a lui toccò egualmente a San Vincenzo de’
Paoli, a San Giuseppe Calasanzio e ad altri insigni che
osarono instituire nuovi Ordini claustrali, da poi che voi
eravate già in possesso del mondo... Voi cominciaste
adunque a tartassare il Rosmini coi libri, tempestandolo
coi vecchi sonagli di Baianista, Giansenista, Quesnellista, e che so io, mettendovi la maschera di un Eusebio,
che chiamaste cristiano e non cattolico forse per impedire che il lettore lo scambiasse col vercellese, anzi con quelli di Cesarea e di Nicomedia..., e il vostro P. Giovanni Rozaven, cioè uno dei primati dell’Ordine, un Assistente del
Generale, pubblicò in sui giornali francesi una lettera
sotto data del 21 di gennaio del 1843, nella quale egli paIL FURORE DEI LIBRI 2012/7
ragona il Rosmini al Lamennais, e suggerisce a chi legge
il pensiero che il primo di questi autori potrebbe avere lo
stesso esito del secondo... Ora chi è il Rosmini? Egli è un
prete di santi costumi, di probità specchiata, di fede incorrotta, di zelo operoso per la salute delle anime; egli è
di più institutore di una congregazione religiosa approvata dal sommo Pontefice, che ratificando l’Istituto lodò
espressamente l’ingegno, la dottrina, la pietà dell’autore.
Chi è per contro il Lamennais? Un uomo anch’egli per ingegno e per virtù morali rispettabilissimo; ma che essendo prete, lasciò non solo la professione di cattolico, ma
quella eziandio di Cristiano; dettando libri in cui ripudia formalmente i dogmi fondamentali del Cristianesimo... L’asserzione del vostro Padre assistente torna adunque a dire che il Rosmini è talmente disposto e connaturato, che si può temere ragionevolmente che sia per rinnegar la religione che professa, e per dare un solenne
scandalo al mondo cristiano; dal che conseguita ch’egli
non dee essere per virtù, pietà, zelo, purezza ortodossa,
quell’uomo che pare; perché altrimenti come potrebbe
aversi per verosimile un sì gran traviamento?... i vostri
assalirono il Rosmini sotto il Papa medesimo che l’aveva
onorato delle sue lodi: innanzi a questo Papa convennero di eresia la sua dottrina, e di sintomi apostatici la sua
persona. Papa Gregorio abbraccia il Rosmini e lo commenda ai popoli cristiani come un fior di sapere, di virtù, di religione; il P. Rozaven all’incontro, assai più oculato, grida in tuono solenne che bisogna guardarsene,
perché egli è un paterino in erba... Io parlo, come vedete,
del Rosmini, benché sia suo avversario filosofico, e che
abbia in addietro fatto alle pugna con qualcuno de’ suoi
seguaci... La persecuzione che i vostri suscitarono al Rosmini tenne dietro di poco intervallo alla disputa filosofica che io aveva ingaggiata seco; ma io, non che prevalermi di questo concorso, come tosto intesi che il falso Eusebio militava sotto l’indirizzo poco evangelico della Compagnia, sospesi la pubblicazione del mio libro, giudicando indegno a una persona d’onore l’assalir colle armi un
uomo esposto al pugnale degli assassini».
Sin nella seconda edizione del suo libro sulla filosofia
del Rosmini, il Gioberti giudicò necessario al suo ono25
giuseppe maria gottardi
re di rimuovere da sé con protesta solenne ogni ombra
di connivenza «rendendo di nuovo espressa testimonianza alla perfetta ortodossia di lui, al suo zelo, alla sua
pietà, a’ suoi costumi, alla sua vita; e dichiarando che il
dissenso dottrinale non toccava la sua teologia e né anco
tutti i suoi filosofemi; nei quali riconosceva molte parti
lodevolissime ». Più tardi, dopo fatta conoscenza personale col Rosmini negli anni fortunosi 1848-49, ripubblicando in seconda edizione la Teorica del sovrannaturale scrisse con perfetta lealtà a proposito degli Errori:
«Ebbi poscia a dolermi della vivacità del dettato, quando
conobbi di persona il Rosmini, e cominciai anch’io a venerare con tutta l’Italia tanta sapienza e tanta virtù».
Il P. Rozaven nella citata lettera del gennaio 1843 accennava pure ad una proibizione che sarebbe stata fatta
dalla S. Sede di scrivere pro o contro le opere del Rosmini. «Cette défense, je puis vous le cértifier, n’est pas
connue a Rome». Quel che ancora non era accaduto
stava per accadere. La discussione accesa dall’Eusebio
Cristiano era prettamente teologica, riguardando la
natura del peccato originale e la giustificazione.
Papa Gregorio XVI, dotto teologo, non mancava di
tenerle dietro, e ad un ecclesiastico romano che trovava la risposta del Rosmini trionfante ma frizzante troppo, si narra che replicasse: «Bisognerebbe non aver
sangue nelle vene!»2.
Ma la passione imperversava nella polemica che ne
seguì, e finalmente il Sommo Pontefice credette necessario d’intervenire. Fu appunto la lettera del P. Rozaven, venuta ad eccitare la sua indignazione, che lo fece
risolvere. Il primo marzo 1843 radunava davanti a sè
una Congregazione di Cardinali, e, udito il loro parere,
emanò un decreto di assoluto silenzio ad ambe le parti.
2 - Il 7 febbraio 1842 il Rosmini così scriveva al Card. Castracane: «La veneratissima lettera di V. Eminenza e specialmente l’ultima sua parte, nella
quale mi assicura, che il Santo Padre non è punto cambiato d’opinione verso
di me, checché se ne vada dicendo, e conosce appieno la purità di mia dottrina immeritevole di quelle taccie che le sono attribuite; mi ha dato tanto conforto, ecc.». Nel giugno del 1843 Gregorio XVI parlando a Mgr. Gava, vescovo di Belluno, e all’abate Jacopo Bernardi che poi lo pubblicò e ne ripeté più volte allo scrivente il racconto, additava loro le opere del Roveretano
che destinava in dono al Seminario della natia Belluno dicendo: «Il
Rosmini è un sacerdote che fece e fa gran bene alla Chiesa, e perciò appunto
lo stimo e lo amo assai».
26
Questo decreto venne comunicato al Rosmini con lettera del 7 marzo da Monsignor Giovanni Brunelli, segretario della medesima Congregazione, e in questa
lettera è detto che per ordine del S. Padre la medesima
comunicazione nell’identico tenore sarebbe stata indirizzata al P. Generale della Compagnia di Gesù.
Il Rosmini in ossequio a tale ingiunzione mandò una
circolare ai membri dell’Istituto invitandoli all’obbedienza; e per dar loro l’esempio ritirò tutte le copie della seconda parte del libro Le Nozioni di peccato e di colpa illustrate, finita di stampare, ma non ancora uscita in luce; e
sospese la stampa, già assai inoltrata, del volume Il Razionalismo che tenta insinuarsi nelle Scuole Teologiche,
sebbene in esso la trattazione si sollevi dalla polemica a
sublimità di scienza. Anzi il Rosmini di questo argomento e contro questi avversari non scrisse più affatto.
Gli avversari, invece, attesero nel silenzio... momenti
migliori.
Intanto Papa Gregorio morì e sotto Pio IX vennero i
tempi grossi.
N
el 1848 il Rosmini fu dal Ministero Casati,
per esortazione del Gioberti ministro, inviato a Roma come plenipotenziario del
Piemonte allo scopo di preparare quella Confederazione italiana, che a molti pareva allora la via migliore per
giungere all’indipendenza ed all’unità. Accolto festosamente dal Papa e dai Cardinali, prenunziato ufficialmente Cardinale e Segretario di Stato, vide svanire le
rosee speranze che aveva concepito di giovare ad un
tempo all’Italia ed alla Chiesa, per l’assassinio di Pellegrino Rossi che provocò la rivoluzione romana e la fuga del Pontefice a Gaeta. Ed egli, il grande e virtuoso filosofo, che nelle ultime trattative fra la rivoluzione ed il
Sovrano era stato designato Presidente del Ministero
col portafoglio dell’Istruzione come tenue filo di concordia, rifiutò l’incarico, preferendo seguire Pio IX
nell’esilio. Ma nell’esilio, dinnanzi ai nuovi avvenimenti
e, sotto l’influenza dei Borboni di Napoli, l’animo del
Pontefice si venne mutando, sbollirono i suoi sentimenti di italianità, i suoi buoni voleri di costituzionali2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
tà e di liberalismo, e per questa mutazione il Rosmini
cadde in disgrazia. Spuntava l’astro maligno dell’Antonelli. Traccheggiato e finalmente espulso dalla polizia
borbonica, il Rosmini vide condannate da una Congregazione straordinaria dell’Indice radunatasi a Napoli nel maggio del 1849 due operette d’occasione che
prima erano state applaudite in generale ed apprezzate
dal Papa stesso: Le Cinque Piaghe della Chiesa e La Costituzione secondo la giustizia sociale con un’Appendice
sull’Unità d’Italia. Alla condanna si sottomise con modestia esemplare, benché, essendo essa condanna dovuta non ad errori, ma a semplice condizione di tempi,
non gli venisse chiesto ritrattazione alcuna; le tribolazioni subì con tanta serenità di spirito che in quei giorni tempestosi poté scrivere le altissime speculazioni
sull’Introduzione al Vangelo di S. Giovanni, come appare dalla loro postuma pubblicazione. Ricevuto da
Pio IX prima di partire, avendogli il buon Pontefice
detto scherzosamente: «Caro Abate, non siamo più costituzionali!» ebbe il santo coraggio di rispondere, con
profonda coscienza dell’avvenire, le parole bibliche:
«Cor ingrediens duas vias non habebit successus». E si
ritirò, umile e pio, nella sua solitudine di Stresa, dedicando alla vita religiosa ed alle speculazioni filosofiche
i brevi anni di vita che ancor gli rimanevano.
Al caduto in disgrazia non mancarono gli esaltati di
correre addosso, come pur suole: ad albero caduto, accetta, accetta. Basterà ricordare il celebre oratoriano P.
Agostino Theiner3, degno di stima per molti rispetti,
che lo accusò di una ingiusta avversione ed antipatia
contro i sovrani, anzi di un furor quasi leonino contro
i principi, di compiangere gl’imperatori per avere abbandonato il paganesimo e abbracciato la religione
cristiana, con altre simili enormezze che sorpassano i
limiti del credibile: ed il redentorista P. Stefano Spina
che lo accusò addirittura di parricidio verso la Chiesa4.
3 - P. Agostino Theiner, Lettere Storico-Critiche intorno alle Cinque
Piaghe della S. Chiesa del Ch. Sac. Don A. Antonio Rosmini-Serbati, scritte
in alemanno dal P. Agostino Theiner Sacerdote dell’Oratorio, e tradotte in
italiano dall’Ab. D. Ferdinando Mansi. Lettera prima intorno alla elezione
dei Vescovi mediante il Clero ed il Popolo, Napoli, Cannavacciuoli, 1849.
4 - Stefano Spina, Il Parricidio attentato dall’Abate A. Rosmini-Serbati
Roveretano, cioè la Piaga mortale che alla Santa Cattolica Apostolica
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Ma queste furono aggressioni isolate e passeggiere che
la passione del momento scusava e non lasciarono
conseguenze.
L’ora invece parve suonata propizia ai nemici che attendevano nell’ombra ed avevano affilate le armi. Morto il precetto di silenzio con Papa Gregorio che l’aveva
emanato, e tornato in Roma Pio nelle braccia della reazione, parve loro venuto il momento di confermare e
ribadire non solo le vecchie accuse, ma di allargarne
l’onda a tutto il campo filosofico e teologico coltivato
dal Rosmini.
Così uscirono in luce cautamente l’anno 1850 le Postille d’un anonimo, che si seppe poi essere opera del
famigerato padre gesuita Antonio Ballerini. Era questo
un elegante volumetto di pag. 48, senza nome d’autore,
né luogo o tempo di stampa, perché ben s’intende – direbbe argutamente il Buroni – la verità è impersonale,
estemporanea ed estralocale. Mandavasi in istretto incognito dapprima ai membri dell’Episcopato, poi a
quelli del Patriziato credente più sicuro, anche a pie e
gentili signore, infine si fece circolare segretamente
nelle mani del Clero secolare e regolare. In questo tenue fascicoletto erano contenute ben 327 (dico trecentoventisette!) accuse fatte al Rosmini di eresie, semieresie, temerità ed altre simili malizie, citandosi i testi
spesso travolti e apponendovi la postilla. ll Rosmini,
secondo il Postillatore, avrebbe insegnato i più orribili
errori intorno alla Chiesa, alla gerarchia ecclesiastica,
alla preghiera, ai sacramenti, all’incarnazione del Verbo, alla natura e operazione della grazia, al peccato originale e alla concupiscenza, agli atti umani e alla moralità, alla natura dell’anima intellettiva, alla volontà e libertà naturale dell’uomo, alla immortalità dell’anima,
per tacere degli errori del tuziorismo, del fatalismo, del
quietismo, dello spirito sedizioso, del panteismo,
dell’autoteismo, dell’autocristismo, del progressismo
irreligioso, e... chi più ne ha, più ne metta.
Alessandro Pestalozza, che ne poté aver copia da un
Romana Chiesa, sua e nostra madre comune, ha egli cercato di fare col suo
velenosissimo opuscolo intitolato: Le Cinque Piaghe della S. Chiesa; Opera
del Padre Don Stefano Spina del SS. Redentore, Napoli, Manfredi, 1849.
27
giuseppe maria gottardi
famigliare dell’Arcivescovo Romilli, ne scrisse una valida confutazione che pubblicò a Milano5.
Ma il gesuita Ballerini intanto aveva preparato e pubblicato due grossi volumi di lettere famigliari che fingevansi scritte da un Prete Bolognese intorno ai principi della Scuola Rosminiana, ove sviluppavansi le dette
Postille6; ed accusando di perfidia, di scelleratezza, di
ribalderia il Rosmini per le sue dottrine, dopo averlo
chiamato ignorante, proteiforme, cervello stravolto, ipocrita, caparbio, volpe giansenista, ingannatore del pubblico, traditore della Chiesa, ecc., giunse a dire in suo riguardo che «alla malizia umana ed anche alla diabolica
sarà difficile andar più oltre» (Vol. II, pag. 134).
A
nche a quest’opera replicarono il Pestalozza
e parecchi altri7. Ma il Rosmini taceva e si
limitava a qualche breve e rassegnato sfogo
cogli amici più intimi. «I Padri della Compagnia, scriveva appunto in questi giorni al prof. Corte, mi assaliscono pur troppo da tutte le parti con una violenza e con
una cecità deplorabile. Fra le orribili cose, che poco fa
hanno stampato contro di me, vi ha un’opera intitolata:
Principi della Scuola Rosminiana, in due volumi. Se Le
vien fatto d’averla, e credo che si venda a Novara, Ella la
legga; e poi mi dica se si può dar nulla di più feroce ed insensato. Se nostro Signore non m’avesse insegnato la
mansuetudine, Le assicuro che ancor io saprei metter
fuori le ugne. Ma no; in quella vece confido che il Signore stesso a suo tempo mi difenderà!».
E la difesa del Signore gli venne allora per mezzo del
Pontefice Pio IX.
5 - A. Pestalozza, Le Postille di un anonimo, saggio di osservazioni per A.
Pestalozza prete milanese, Milano, Redaelli, 1851.
6 - Principi della Scuola Rosminiana esposti in Lettere famigliari da un Prete
Bolognese, Milano, Arzione, 1850.
7 - A. Pestalozza, Le dottrine di Antonio Rosmini difese dalle imputazioni del noto Prete Bolognese, Volumi due, Milano, Radaelli, 1851; Lodi,
Regorda e Cabrini, 1853.
Giovanni Cimadomo, Rosmini ed i suoi nemici, Lettere, Rovereto,
Marchesani, 1851.
Carlo Gilardi, Saggi di dottrina ortodossa professata nelle Opere dell’Abate Antonio Rosmini contro gli errori a lui imputati, Saggio I, Milano,
Pirotta, 1851.
Antonio Curti, Riflessioni critiche in risposta al Prete Bolognese, Milano,
Bonfanti, 1851.
28
Nonostante il mutamento politico, la condanna delle
due operette e l’allontanamento da Gaeta, il Pontefice
Pio, che aveva avuto modo di conoscere la devozione
profonda e la profonda sapienza del Rosmini, non cessava di considerarlo e di amarlo. Quel Papa, ch’era in
fondo un cuore buono e leale, non poteva dimenticare
con quale semplicità religiosa il Rosmini aveva rifiutato il grado di Ministro offertogli dal Papa stesso nell’ultimo subbuglio, parendogli che la nomina non fosse
abbastanza libera, e con quanta reverenza ed affetto
aveva anteposto al governo di Roma il privilegio di
partire con lui nell’esilio.
L’averlo egli preconizzato cardinale aveva invelenito i
suoi nemici.
«L’ingresso di un tal uomo nel concistoro – scriveva il
Gioberti – spaventò il re di Napoli, che odiava in esso l’amatore della patria e degli ordini liberi: spaventò quei
prelati che l’invidiavano come dotto e virtuoso, struggendosi che dove il loro nome era oscuro in Roma, quello
di un semplice prete fosse chiaro e venerato anche fuori
d’Italia: spaventò più di tutti i Gesuiti per gara di chiostro e dispetto di amor proprio, essendo stati vinti e svergognati più volte nella sciocca guerra che gli mossero per
quindici anni (e non è ancor finita), dal falso Eusebio sino all’ignobile e miserabile Ballerini. Tutti costoro si
congiurarono a diffamare l’uomo illustre, e a torgli l’onore promesso, la confidenza e l’affetto del Pontefice». Ma,
sebbene, per il mutato indirizzo politico, il cardinalato
fosse andato in fumo, il buon Pontefice non istaccò
mai l’animo suo dall’uomo santo, e come un santo ricordava ancora il Rosmini negli ultimi anni della sua
lunga vita pontificale.
Così, quando le Postille e le Lettere di un Prete Bolognese furono presentate alla Congregazione dell’Indice
come denunzia e testimonio d’accusa per far condannare le teorie del Rosmini quali dottrine pericolose, erronee ed ereticali, Pio IX fece dapprima esaminare
queste accuse da undici consultori scelti tra i più dotti
teologi romani che furono tutti concordi nel riprovare
le Postille e nell’assolvere le opere del Rosmini. In seguito a questo parere confermato dalla Congregazione
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
generale dell’Indice, tenuta il 19 dicembre 1850, il S. Padre con lettera del 13 marzo 1851 diretta da Mgr. Santucci al Generale dei Gesuiti ed al Rosmini, rinnovò il
precetto di silenzio ad ambe le parti, già emanato da
Gregorio XVI, e, per togliere ogni ansa a questa campagna di diffamazione, annunziava in pari tempo che
la Santa Sede si proponeva di prendere nel più maturo
esame le controverse opinioni. Fatto pertanto redigere
un accurato elenco di tutte le opere sin allora pubblicate dal Rosmini (ottantadue, senza contare quelle annotate da lui e gli articoli giornalistici), deputò sei nuovi
esaminatori per studiarle tutte attentamente, senza comunicare fra loro, per fargliene poi scrupolosa relazione. Per non lasciar infine nulla d’intentato, ed assicurare tutti gli animi onesti della maturità e rigorosa imparzialità di questo esame, deputò segretissimamente altri
due solo a lui noti, allo stesso ufficio. I pareri di questi
otto consultori, dopo tre anni d’intenso studio, furono
concordemente favorevoli al Rosmini, meno uno. Allora il Pontefice, per eccesso di prudenza, fece rivedere
questi pareri ad altri sette: e infine radunati tutti in una
Congregazione preparatoria presieduta dal Cardinale
Girolamo d’Andrea, prefetto dell’Indice, il giorno 26
aprile 1854, i giudici consultori (meno uno che si astenne dal votare) furono unanimi nel riprovare le accuse
mosse contro le opere del Rosmini, e nel dichiararle
tutte immuni da qualunque censura.
Dopo questa preliminare adunanza, fu indetta l’adunanza generale della Congregazione dell’Indice, il 3 luglio 1854, alla quale intervennero non solo i Consultori,
ma anche otto dei Cardinali dell’Indice, e Pio IX medesimo, che con raro esempio volle presiederla.
La sentenza, dopo quattr’anni d’esame minuzioso e
rigoroso, fu che le opere del Rosmini, prosciolte d’ogni
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
censura, dovessero esser licenziate liberamente alla lettura dei fedeli (dimittenda esse); da quest’esame non
doversi ritenere detratto alcunché alla fama del Rosmini e del suo Istituto, né ai suoi meriti singolari verso la
Chiesa (nihilque prorsus... auctoris nomini... de vitae
laudibus et singularibus in Ecclesiam promeritis esse direptum); infine esser proibito per l’avvenire di ripetere le accuse fatte o muoverne delle nuove sotto qualsiasi pretesto; ed essere imposto per la terza volta silenzio
ad entrambe le parti (ne vel novae in posterium accusationes ac dissidia quovis demum obtentu suboriri ac disseminari possent, indictum est iam tertio,
demandato SS.mi, utrique parti silentium).
Tuttavia le due opere condannate nell’Index rimasero comunque inscritte fino al 1968.
Le Postille e le Lettere del Prete Bolognese si salvarono
dalla condanna chiesta dalla maggioranza dei Consultori – improbanda esse – perché nell’animo del Pontefice al sentimento della giustizia si unì a temperarlo il
sentimento della prudenza verso i potenti avversari.
Il Rosmini, uscito incolume dalla lunga prova, non
aveva bisogno del reiterato precetto di silenzio: gli era
bastato il primo, e, come dice il Trullet, per quanto fosse
«potentissimo a stritolare col peso della dottrina sua e della logica i suoi avversari chiunque essi fossero, e l’avesse dimostrato più fiate», non oppose per più anni ai suoi aggressori che rassegnazione e silenzio, per rispetto all’autorità: giustificato finalmente da questa autorità ne ringraziò Dio, e poco tempo dopo reclinava il capo stanco
sul guanciale di morte, chiudendo gli occhi, secondo la
sua stessa espressione di quei supremi istanti, al mondo
della vanità per riaprirli in quello della verità svelata.❧
Giuseppe Maria Gottardi
29
giuseppe maria gottardi
La questione dell' iscrizione nell' Indice dei libri proibiti de:
Delle Cinque Piaghe della Chiesa*
Le vicende storiche di Rosmini nel 1848-49 sono abbastanza note, meno noti invece i motivi della condanna del suo libro. Rosmini era stato inviato ufficialmente da Carlo Alberto e dal governo piemontese a
Roma nell' agosto del 1848 per discutere col Governo
pontificio e con altri governi della Penisola un eventuale progetto di Lega nazionale e di Confederazione
tra i vari Stati italiani. Pio IX, che aveva una sincera
stima del Rosmini, si disse lietissimo di averlo a Roma. Lo riceveva di frequente per aver consigli e suggerimenti, intrattenendolo a pranzo al Quirinale. Gli
manifestò anche il suo animo di crearlo cardinale.
Quindi facesse tutti i preparativi necessari, perché nel
prossimo Concistoro di dicembre lo avrebbe nominato. Molti della Curia lo indicavano già come il futuro card. Segretario di Stato. Rosmini fece tutti i preparativi. Ma la situazione politica di Roma precipitò e
Pio IX dovette fuggire a Gaeta, manifestando la volontà che il Rosmini lo raggiungesse colà.
Le nuove vicende politiche e le mutate situazioni storiche cambiarono l' animo del pontefice. L' influsso del
card. Antonelli e dell' Austria convinsero Pio IX a ritirare la Costituzione, che aveva data al suo popolo
spinto da ideali politici nuovi e dietro suggerimenti
del Rosmini. Inizia a Gaeta il periodo più triste per il
Roveretano. Pio IX è sempre più bloccato dal partito
austriacante, che neutralizza prima e allontana poi dal
papa gli uomini migliori, in primo luogo il Rosmini.
È di questo periodo (16 febbraio 1849) una lettera
«confidenziale» dell' Ambasciatore austriaco presso la
S. Sede, Maurizio Esterhazy, al Primo Ministro a
Vienna, in cui Rosmini vi è definito «il nostro più formidabile nemico» e «il cattivo genio di Pio IX». L' Antonelli e Pio IX però stanno ritornando, e così anche
la maggioranza del S. Collegio. Facilmente si getteranno nelle braccia dell' Austria, perché quando l' Ambasciatore giunse a Gaeta ebbe l' impressione d' essere
«l' atteso come il Messia». In questo clima politico lo
scritto del Rosmini, mirante a strappare al potere politico la nomina dei vescovi, in nome della libertà della Chiesa, non poteva non provocare tutta la reazione
dell' Austria, che nella nomina regia dei vescovi aveva
uno dei maggiori punti di sicurezza e di forza politica
del suo impero.
A tutte le vicende ricordate si aggiungano le accuse di
deviazioni ed errori dottrinali abilmente, e da diverso
tempo, diffuse dai suoi avversari in molti ambienti,
specie ecclesiastici. Si avrà così un quadro del tempo e
della situazione in cui avvenne la proibizione delle
Cinque piaghe. E non sarà difficile intuire le cause, le
intenzioni e le circostanze che provocarono e accompagnarono tale condanna.
Ecco i particolari attraverso cui si arrivò alla messa
all' Indice del libro rosminiano.
Qualche cardinale accusò il Rosmini al papa nell' autunno del 1848 come se nelle Cinque piaghe vi fossero
delle dottrine erronee. Pio IX incaricò mons. Corboli
di parlarne al Rosmini. I punti di accusa su cui si desiderava chiarisse meglio la sua mente erano cinque: 1) affermare essere di diritto divino l' elezione dei vescovi a
clero e popolo; 2) propendere per la trasformazione
della liturgia nelle lingue volgari; 3) parlar male degli
Scolastici; 4) dire che i fatti storici sono di diritto divino; 5) volere la separazione dello Stato dalla Chiesa.
Rosmini rimase stupito nel sentirsi imputare tali opinioni, facendo notare al monsignore la differenza tra
le accuse e ciò che si trovava realmente nei propri
scritti. Comunque invitava il Corboli a stendere dei
*- Per questo argomento ci rifacciamo alla prefazione di mons. Clemente Riva all’edizione delle Cinque Piaghe uscita per la Morcelliana nel settembre 1966 «Con licenza dell’Autorità ecclesiastica», quando ancora non era stato abolito l’«Indice dei Libri proibiti».
30
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
consigli, anzi una lettera da indirizzare al papa, e che
egli, il Rosmini, volentieri l' avrebbe trascritta, sottoscritta e portata a Pio IX, con pochi ritocchi. Il papa
l' accolse benevolmente, promettendo di leggerla; il
che non avvenne, perché a distanza di tempo parlando con qualcuno affermò che attendeva dal Rosmini
una lettera chiarificatrice. Rosmini saputolo scrisse
un' altra lettera al papa, rimasta anch' essa senza risposta. Oramai temeva che la sua corrispondenza non
giungesse a destinazione. In essa egli si dichiarava
sempre pronto a modificare tutti gli eventuali errori
che gli fossero indicati. La stessa cosa ripeté al papa a
voce più volte. Ma nessuno si fece mai vivo.
Frattanto le accuse più diverse e le dicerie più strane
circolavano sul conto del Rosmini, che si era trasferito
a Napoli. Rosmini fu alcune volte dal papa, ma si accorse che l' ambiente e l' animo del papa erano profondamente mutati; ciononostante egli usò sempre la sua
lealtà e schiettezza con tutti. Alla metà di luglio (1849),
dopo soprusi e angherie d' ogni genere della polizia
borbonica, che non agiva di proprio capriccio, lasciò
Napoli e iniziò il suo doloroso ritorno attraverso l' Italia fino a Stresa, dove giunse il 2 novembre.
... Durante il viaggio, mentre era ospite del card. Tosti
ad Albano, ricevette (13 agosto 1849) una lettera del
Maestro dei Palazzi Apostolici, in cui gli si annunciava che «per ordine del S. Padre fu adunata in Napoli
straordinariamente la S. Congregazione de l' Indice, la
quale proibì con decreto del 30 maggio, confermato dal
Papa il 6 giugno ... i miei due opuscoli delle Piaghe e
della Costituzione ... Mi fu tenuto segreto interamente
tutto questo lavoro, e non mi fu fatto conoscere alcun
motivo della proibizione. Io mandai la piena sottomissione ... Sit nomen Domini benedictum».
Dell' esame delle Cinque piaghe era stato incaricato il
«P. G. De Ferrari, Commissario del S. Uffizio, e furono giudicate “censurabili secondo le regole dell' Indice” in data 4 novembre 1848». È interessante osservare
tale data, perché il 15 novembre Rosmini prestava un
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
giuramento alla Minerva alla presenza di otto Cardinali, in quanto era stato fatto Consultore del S. Uffizio
e dell' Indice. Rosmini era giunto a Roma nell' agosto
precedente. I disordini politici al Quirinale iniziarono
il 16 novembre. Il Sommo Pontefice gli era ancora favorevole e benevolo. Ma il partito avverso si era messo immediatamente al lavoro nei primi mesi del suo
arrivo a Roma. Si trattava di strappare il Rosmini, «il
cattivo genio di Pio IX», dall' affetto e dalla fiducia del
pontefice. Le tristi circostanze politiche in cui Pio IX
venne a trovarsi colla fuga a Gaeta (24 novembre
1848) e le manovre di funzionari e dignitari facilitarono il gioco, e in poco tempo Rosmini venne travolto.
Il tempo però e la storia hanno dato ragione alla sua
intelligenza preveggente. E il bene che aveva seminato
nel dolore e nell' umiliazione risplende oggi di chiarezza profetica.
Quali i motivi della proibizione delle Cinque piaghe?
La denuncia e l' accusa portavano motivazioni dottrinali. Mons. Corboli infatti gli aveva riferito che era sospettato di dottrine erronee. Ora la continua insistenza
del Rosmini perché gli venissero segnalati e precisati
meglio eventuali punti da correggere, il silenzio sulle
motivazioni della condanna, l' insieme dei comportamenti dei responsabili, le manovre politiche poco
chiare, orientano gli studiosi a ritenere tale proibizione
un fatto d' opportunità e di prudenza. Lo stesso punto
più discusso, quello dell' elezione dei vescovi a clero e
popolo, per diritto divino morale, viene chiarito dal
Rosmini nei suoi scritti in modo efficace, così da non
lasciare dubbi. Ma i tempi non erano maturi per dottrine e per orientamenti che pure si richiamavano, e
con fondatezza, a tradizioni antiche nella Chiesa.
Indubbiamente le intenzioni degli avversari di Rosmini sono oggi facilmente individuabili coi documenti che ormai gli storici posseggono. Bisognava al
più presto impedire che Rosmini diventasse cardinale. Per l' Austria poi, col suo giuseppinismo, Le cinque
piaghe erano un' accusa più che evidente. Altri avver-
31
giuseppe maria gottardi
sari avevano denunziato inoltre numerosissime proposizioni rosminiane alla Santa Sede e vedevano in
Rosmini un pensatore pericoloso, che suscitava problemi inquietanti per le consuetudini acquisite in un
determinato sistema curiale. L' influsso di Rosmini sul
papa doveva esser mortificato. Nulla di più efficace
per ottenere questi risultati che il fatto di porre all' Indice il libro Delle cinque piaghe. La stessa ipotesi del
Rosmini sulla proibizione è questa: «Fui assicurato
che niuna proposizione si riscontrò in quello scritto
degna di particolare censura teologica; onde inferisco
che debbano probabilmente essere state proibite per
timore dell' accusa, e perché non rimanessero offesi
alcuni governi tenaci delle nomine vescovili».
Un' opera polemica contro le Cinque piaghe uscì quasi
subito, nel 1849, per la penna del P. Agostino Theiner,
che sotto forma di lettera1 ne tentò una confutazione,
con espressioni non sempre caritatevoli. Rosmini dal
canto suo aveva pubblicato a Napoli il rifacimento di
tre lettere sulle elezioni vescovili, in cui espone una
lunga documentazione storica e dottrinale dell' elezione a clero e popolo dei Pastori della Chiesa, chiarisce
le difficoltà ed indica il modo e la procedura con cui
oggi si potrebbe attuare l' elezione dei vescovi a clero e
popolo. Ma dietro forti eccitamenti del card. Tosti,
Rosmini prepara una forte risposta al Theiner2, in cui
rileva l' incomprensione e la falsa impostazione della
questione, oltre a numerose inesattezze, sbagli, equivoci, idee confuse intorno ai vari argomenti affrontati.
Alcuni amici del Rosmini di Casale riuscirono ad avere in mano la risposta e a persuaderlo di permetterne
la pubblicazione, che avvenne infatti nel 1850.
1 - Lettere Storico-critiche intorno alle Cinque piaghe, Napoli, 1849.
2 - Risposta ad A. Theiner, Casale, 1850.
Edizioni ottocentesche1
Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa. Trattato dedicato al Clero Cattolico.
I ed. - Lugano, Tip. Veladini e Comp., 1848, pp. 315; cm 23 x 14,5.
II ed. - Bruxelles, Societé Typographique [falso luogo di stampa?], 1848, pp. 256; cm 22 x 15.
III ed. - Napoli, Stabilimento Tip. E Calc. Di C. Batelli e Comp., 1849, pp. 136.
IV ed. - Napoli, Stabilimento Tipografico del Tramater, 1849, pp. 142; cm 23 x 14,5.
V ed. - Perugia, Tip. Di Vincenzo Baratelli, 1849, pp. 224; cm 22 x 15.
VI ed. - Genova, presso G. Grondona, novembre 1849; Bastia, a spese dell’editore, [frontespizio interno]; pp. 216; cm 18 x 12.
VII ed. - Firenze, Felice Le Monnier, 1860, pp. 260; cm 18 x 12.
VIII ed. - Napoli, Errico de Angelis Librajo-Editore, 1860, pp. 181; cm 23,5 x 16.
IX ed. - Lugano, a spese dell’Editore; Milano, Tip. Ex Boniotti diretta da Fr. Gareffi, 1863, pp. 218; cm 18 x 12.
X ed. - Rovereto, [s.e.], giugno 1863, pp. XVI-282; cm 23,5 x 16.
La Costituzione secondo la giustizia sociale con un’Appendice sull’unità d’Italia.
I ed. - Milano, Tip. Giuseppe Redaelli, 1848, pp. 112; cm 24 x 16.
II ed. - Firenze, presso Pietro Ducci, Tip. Le Monnier, 1848, pp. 160; cm 18,5 x 12.
III ed. - Napoli, Stabilimento Tip. E Calc. Di C. Batelli e Comp., 1848, pp. 72; cm 22,5 x 16.
IV ed. - San Vito al Tagliamento, Tip. dell’Amico del Contadino, 1848, pp. [4]-118; cm 21 x 13.
V ed. - [assieme a Delle Cinque Piaghe] Napoli, Errico de Angelis Librajo-Editore, 1860, pp. 185-271.
1 - Notizie bibliografiche tratte da: Cirillo Bergamaschi, Bibliografia degli scritti editi di Antonio Rosmini Serbati, vol. Primo, OPERE, 17, Marzorati
Editore, Milano, 1970, pp. 153-158.
32
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
Della vita del beato Antonio Rosmini
I
l beato Antonio Rosmini1 fu profondo pensatore – «una delle sei, sette grandi intelligenze
dell' umanità», disse il Manzoni – e autore di
numerose opere, la cui edizione completa, curata da
Città Nuova, è giunta oggi a 44 volumi, ma ne vedrà
un' ottantina quando sarà terminata.
Nacque il 24 marzo 1797 a Rovereto, «paese italianissimo», dirà Niccolò Tommaseo, pur facendo parte, ben
dal 1509, dell' Impero austro-ungarico. La famiglia era
di alta condizione: il padre era patrizio tirolese; la madre proveniva dalla famiglia dei conti Formenti di Riva.
Dal 1804 al 1814 compì i primi studi. Nel Diario personale già in quest' epoca compaiono le prime annotazioni attestanti la chiamata a seguire il Signore più da
vicino. Dopo due anni di studi privati di filosofia, matematica e fisica (1814-1816), Antonio Rosmini sostenne gli esami finali nel liceo imperiale ottenendo in tutte le materie la qualifica di “eminenza” e un giudizio
che lo dice “dotato di acutissimo ingegno”.
A diciannove anni si iscrisse a Padova alla facoltà di
teologia di quella Università, facendovi conoscenza
con Niccolò Tommaseo, a cui sempre lo legherà una
profonda amicizia. Si laureerà il 23 giugno 1822. Negli
anni vissuti a Padova - segno della sua acuta intelligenza e della chiara visione dei bisogni del tempo - concepì anche il progetto di una Enciclopedia cristiana italiana, come risposta cattolica alla Encyclopédie di Diderot e d' Alembert che voleva dimostrare l' inutilità di
Dio come spiegazione della storia guidata dalla ragione. Nell' opera, Rosmini avrebbe voluto dimostrare il
contrario: la ragione non cancella Dio, ma porta l' uomo a riconoscerne il primato nella storia.
Nel 1817 aveva indossato la veste ecclesiastica e l' an1 - Liberamente tratto da un Sermone che il Procuratore Generale della
Confederazione dell' Oratorio di S. Filippo Neri, P. Edoardo Aldo Cerrato
C.O., ha tenuto all' Oratorio Secolare di Roma il 29 novembre 2007, presentando uno scritto giovanile del B. Antonio Rosmini: “Lo spirito di S.
Filippo Neri”.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
no seguente aveva ricevuto la tonsura e gli ordini minori.
Tornato a Rovereto nel 1819 per prepararsi al sacerdozio, ricevette a Chioggia l' ordinazione il 21 aprile
1821 e gli fu assegnato l' incarico di vicario parrocchiale
a Lizzana.
Aveva redatto per sé una “Regola di condotta” basata
sul Vangelo, costituita di due principi: «1° pensare seriamente ad emendare me stesso dai miei vizi e a purificare l' anima mia dall' iniquità di cui è gravata fin dal
nascere, senza andare in cerca d' altre occupazioni od
opere a favore del prossimo, trovandomi nell' assoluta
impotenza di fare da me stesso cosa alcuna in suo vantaggio; 2° non rifiutare i servizi di carità verso il prossimo quando la divina Provvidenza me li offrisse e presentasse, essendo Iddio potente di servirsi di chiunque, e
anche di me, per le sue opere, e in tal caso conservare
una perfetta indifferenza a tutte le opere di carità facendo quella che mi è proposta con egual fervore come qualunque altra in quanto alla mia libera volontà».
Nell' aprile 1823 il patriarca di Venezia Ladislao Pyrcher lo volle con sé in un soggiorno a Roma. L' incontro con l' anziano Pio VII segnò notevolmente il giovane Rosmini, dal momento che il Papa lo incoraggiò
non solo a continuare gli studi di filosofia, ma a dedicarsi all' apostolato della cultura.
Nel 1826 si stabilì a Milano, dove frequentò, tra le altre,
la casa di Alessandro Manzoni, avendo l' occasione di
leggere in bozze I Promessi Sposi. L' amicizia con Manzoni sarà un altro significativo legame per Rosmini: un tipico esempio di amicizia complementare. L' uno cercava
nell' altro ciò che non poteva avere in sé. Manzoni era attratto dalla filosofia, ma in fondo era un poeta, non un
ragionatore sistematico; Rosmini ogni giorno cercava di
scrivere un sonetto, sentiva dentro di sé una sua liricità,
ma non aveva questo dono, ragionava troppo; e trovava
nel Manzoni l' afflato poetico che avrebbe voluto possedere. Manzoni aveva un carattere tumultuoso e passio33
giuseppe maria gottardi
nale, era portato all' analisi piuttosto che alla sintesi; Rosmini era come il cardinale Federigo Borromeo de I Promessi Sposi, che Manzoni, infatti, stava creando quando
conobbe Rosmini. Al grande poeta e romanziere piaceva l' ideale di prete e di uomo del Rosmini.
Esule dall' Impero austriaco per l' amore manifestato
all' Italia, Rosmini lasciò Milano e si stabilì nel Piemonte sabaudo, accolto con stima.
Il mercoledì delle ceneri del 1828 iniziò la Quaresima
in solitudine al Monte Calvario sopra Domodossola.
Nell' arco di due mesi scrisse le Costituzioni dell' Istituto
della Carità, la Congregazione religiosa che avrebbe
fondato e di cui già aveva in mente l' impostazione spirituale ed il campo di attività apostolica. Fonderà poco
dopo anche le Suore della Provvidenza.
Il 15 maggio 1829 l' amico cardinale Mauro Cappellari
- il futuro Gregorio XVI - gli procurò un' udienza di cui
Rosmini conserverà perenne ricordo: il nuovo Papa
Pio VIII lo ricevette e lo confermò nella sua duplice
missione di pensatore («Si ricordi, Ella deve attendere a
scrivere libri, e non occuparsi degli affari della vita attiva; ella maneggia assai bene la logica e noi abbiamo bisogno di scrittori che sappiano farsi temere») e di fondatore («se Ella pensa di cominciare con una piccola cosa e
lasciar fare tutto il resto al Signore, noi approviamo»).
Pubblicò a Roma, l' anno seguente, le Massime di
perfezione cristiana, un libretto di 56 pp. a cui Rosmini rimarrà affezionato fino alla morte: sei proposizioni costituiscono questo «manuale del cosa fare
per vivere felici in un mondo felice»; sono i principi a
cui Antonio Rosmini ispirò tutto il suo operare:
«Santità: Desiderare unicamente ed infinitamente di
piacere a Dio, cioè di essere giusto; Chiesa: Rivolgere
tutti i propri pensieri ed azioni all' incremento e alla
Gloria della Chiesa di Gesù Cristo; Vocazione: Rimanersi in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per la divina disposizione - non solo riguardo a sé,
ma anche alla Chiesa di Cristo, operando a pro di essa dietro la divina chiamata; Provvidenza: Abbandonarsi totalmente alla divina Provvidenza; Umiltà: Riconoscere intimamente il proprio nulla; Discernimen34
to: Disporre tutte le occupazioni della propria vita
con spirito di intelligenza».
Ritornato al Calvario di Domodossola, concluse nel
1832 Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, l' opera più
famosa, che sarà pubblicata a Lugano solo nel 1848,
senza il nome dell' autore, dopo l' elezione di Pio IX al
soglio pontificio: una disamina dei mali che affliggevano la Chiesa cattolica già nella prima metà di quel secolo: “La divisione del popolo dal clero nel pubblico culto”; “La insufficiente educazione e formazione del clero”;
“La divisione dei vescovi”; “La nomina dei vescovi abbandonata al potere temporale”; “I beni temporali che
rendono schiavi gli ecclesiastici”.
Nel 1837, su richiesta di Papa Gregorio XVI, inviò a
Roma le Costituzioni dell' Istituto della Carità, che saranno approvate con il Breve “In sublimi”.
Dal 1839 si stabilì a Stresa e continuò la pubblicazione di opere che diverranno oggetto - particolarmente il
Trattato della coscienza morale (1841) - di accuse e dissapori. Ha inizio così quella che presso gli storici va
sotto il nome di “questione rosminiana”. Fra gli avversari emergono alcuni gesuiti, a capo dei quali troviamo il
Preposito generale della Compagnia, l' austero asceta
olandese Gerhard Roothan.
Nel 1848, durante la prima guerra d' Indipendenza, il
re Carlo Alberto affida a Rosmini una missione diplomatica presso Pio IX in vista di un concordato tra la
Chiesa e il Piemonte. Rosmini, che condivideva il movimento di liberazione nazionale, individuava nel federalismo il miglior modello possibile per un Paese composito come l' Italia. Il Papa accolse Rosmini con affetto
e stima, e sei giorni dopo gli preannunciava addirittura
il cappello cardinalizio, con l' intenzione di nominarlo
Segretario di Stato.
Ma nell' autunno cominciarono a scatenarsi intorno al
Rosmini invidie personali, diffidenze sulle sue idee politiche e dubbi sull' ortodossia delle sue ultime pubblicazioni.
Nel novembre il domenicano Giacinto De Ferrari
consegnava in Curia le severe conclusioni del proprio
esame sul libro Le Cinque Piaghe; analogo, anche se più
moderato, il giudizio di mons. Giovanni Corboli-Bussi
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
sulla Costituzione civile secondo la giustizia sociale.
È il tempo in cui Pio IX, a seguito dell' avvento della
Repubblica Romana, è costretto a lasciare Roma per rifugiarsi a Gaeta. Rosmini lo segue, ma anche qui il partito politicamente intransigente e a lui avverso, capeggiato dal card. Antonelli, Segretario di Stato, si rafforza.
Pio IX continua a dimostrarsi ben disposto verso il roveretano, rendendosi conto della atmosfera di insincerità
in cui si trova immerso, ma presto giunge anch' egli a
cambiare parere. Mentre Rosmini si trova a Napoli, nel
1849, gli avversari gli infliggono il colpo mortale: le Cinque Piaghe e la Costituzione civile secondo la giustizia sociale vengono messe all' Indice. Rosmini, figlio devoto
della Chiesa, immediatamente dichiara la propria sottomissione e, proprio in quel clima prima di rientrare in
Piemonte, scrive un testo di alta spiritualità, l' Introduzione del Vangelo secondo S. Giovanni commentata.
Ma gli avversari ripartono all' attacco e inducono Pio
IX a sottoporre a lungo esame tutte le opere del Rosmini. Il 26 aprile 1854 la Commissione dichiara che nulla
c' è da censurare, ed il 3 luglio il decreto è di assoluzione
piena. «Sia lodato Iddio che manda, di quando in quando, di questi uomini per la Chiesa», affermò Pio IX.
La vita di Rosmini stava ormai volgendo al termine;
sono gli ultimi anni della sua vita; muore a Stresa, cinquantottenne, il 1° luglio 1855, dopo una dolorosa agonia di otto ore.
La glorificazione di quest' uomo da parte della Chiesa
ha dovuto attendere che si dissolvesse ogni nube circa
la sua dottrina.
Sulla sua santità personale mai ci sono stati dubbi da
parte della Chiesa, ma pesò grandemente, sul corso
della sua Causa di Beatificazione, un ulteriore giudizio
espresso dal S. Uffizio: giudica erronee 40 proposizioni
tratte dalle opere di Rosmini e con il decreto Post obitum (del 1887, pubblicato soltanto il 7 luglio 1888) le
condanna. Solo il 1 luglio 2001 - 146° anniversario della
morte di Antonio Rosmini - uscì la “Nota” della Congregazione per la Dottrina della Fede, a firma dell' allora Prefetto Cardinale Joseph Ratzinger, che riabilitava
queste quaranta proposizioni.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare
il decreto sull' esercizio eroico delle virtù testimoniate
da Antonio Rosmini, e il 1° giugno 2007 il decreto sul
miracolo attribuito all' intercessione del venerabile. Il
18 novembre scorso la Chiesa ha solennemente beatificato questo suo figlio che l' ha sempre profondamente
amata, con il coraggio della Verità e con la pazienza di
attendere che le proprie idee fossero comprese: un atteggiamento interiore ed esteriore di assoluta fedeltà
che caratterizza, nel corso della storia, altri santi, convinti che la Chiesa si ama e si serve non con ribelle contrapposizione ma con paziente attesa, poiché gli aspetti della Verità che uno scopre con un certo anticipo
hanno bisogno del tempo necessario per maturare nella
coscienza e nella valutazione di tutti. È accaduto - dicevo
- ad alcuni Santi: come non pensare allo stesso S. Filippo
Neri ed alle sue intuizioni pastorali che avrebbero cambiato - come autorevolmente è stato riconosciuto - il volto stesso di Roma? Anch' egli attese - molto meno di Rosmini, ma con la stessa fedeltà - che si facesse luce sulla
identità del suo Oratorio. E la luce, nella fedeltà e nell ' autentico amore alla Chiesa, sempre arriva.
«Adorare. Tacere. Godere» aveva detto, sul letto di
morte, Rosmini ad Alessandro Manzoni. È il programma che egli visse. Il suo “tacere”, atto di amorosa fedeltà
alla Chiesa, non è stato un disperdere, ma un seminare.
Significativamente, domenica 18 novembre, nel discorso dell' Angelus, a poche ore dalla celebrazione di beatificazione, il Santo Padre Benedetto XVI diceva: «Il
suo esempio aiuti la Chiesa, specialmente le comunità
ecclesiali italiane, a crescere nella consapevolezza che la
luce della ragione umana e quella della Grazia, quando
camminano insieme, diventano sorgente di benedizione
per la persona umana e per la società».
In occasione della recente beatificazione, molte sono
state le pubblicazioni sul Rosmini, a livello dotto e a livello divulgativo. Si è occupata di lui anche la stampa:
quella cattolica e quella “laica”, spesso con espressioni di
alta stima, anche da parte di quest' ultima, verso la grande figura del pensatore cattolico che Rosmini è stato.
35
giuseppe maria gottardi
Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede
sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere
del Rev.do Sacerdote Antonio Rosmini Serbati
1. Il Magistero della Chiesa, che ha il
dovere di promuovere e custodire la
dottrina della fede e preservarla dalle
ricorrenti insidie provenienti da talune
correnti di pensiero e da determinate
prassi, a più riprese si è interessato nel
secolo XIX ai risultati del lavoro intellettuale del Rev.do Sacerdote Antonio
Rosmini Serbati (1797-1855), ponendo all' Indice due sue opere nel 1849,
dimettendo poi dall' esame, con Decreto dottrinale della Sacra Congregazione dell' Indice, l' opera omnia nel 1854,
e, successivamente, condannando nel
1887 quaranta proposizioni, tratte da
opere prevalentemente postume e da
altre opere edite in vita, col Decreto
dottrinale, denominato Post obitum,
della Sacra Congregazione del Sant' Uffizio (Denz 3201-3241).
2. Una lettura approssimativa e superficiale di questi diversi interventi potrebbe far pensare ad una intrinseca e
oggettiva contraddizione da parte del
Magistero nell' interpretare i contenuti
del pensiero rosminiano e nel valutarli
di fronte al popolo di Dio. Tuttavia una
lettura attenta non soltanto dei testi,
bensì anche del contesto e della situazione in cui sono stati promulgati, aiuta a cogliere, pur nel necessario sviluppo, una considerazione insieme vigile
e coerente, mirata sempre e comunque
alla custodia della fede cattolica e determinata a non consentire sue interpretazioni fuorvianti o riduttive. In
questa stessa linea si colloca la presente Nota sul valore dottrinale dei suddetti Decreti.
3. Il Decreto del 1854, con cui vennero
dimesse le opere del Rosmini, attesta il
riconoscimento dell' ortodossia del suo
pensiero e delle sue intenzioni dichiarate, allorché rispondendo alla mes-
36
sa all' indice delle sue due opere nel
1849, egli scrisse al Beato Pio IX: «Io
voglio appoggiarmi in tutto sull' autorità
della Chiesa, e voglio che tutto il mondo
sappia che a questa sola autorità io aderisco». Il Decreto stesso tuttavia non ha
inteso significare l' adozione da parte
del Magistero del sistema di pensiero
rosminiano come strumento filosofico-teologico di mediazione della dottrina cristiana e nemmeno intende esprimere alcun parere circa la plausibilità speculativa e teoretica delle posizioni dell' autore.
4. Le vicende successive alla morte del
Roveretano richiesero una presa di distanza dal suo sistema di pensiero, e in
particolare da alcuni enunciati di esso.
È necessario illuminare anzitutto i
principali fattori di ordine storico-culturale che influirono su tale presa di distanza culminata con la condanna delle “Quaranta Proposizioni” del Decreto
Post obitum del 1887.
Un primo fattore si riferisce al progetto di rinnovamento degli studi ecclesiastici promosso dall' Enciclica
Æterni Patris (1879) di Leone XIII,
nella linea della fedeltà al pensiero di S.
Tommaso d' Aquino. La necessità ravvisata dal Magistero pontificio di fornire uno strumento filosofico e teoretico,
individuato nel tomismo, atto a garantire l' unità degli studi ecclesiastici soprattutto nella formazione dei sacerdoti nei Seminari e nelle Facoltà teologiche, contro il rischio dell' eclettismo filosofico, pose le premesse per un giudizio negativo nei confronti di una posizione filosofica e speculativa, quale
quella rosminiana, che risultava diversa per linguaggio e per apparato concettuale dalla elaborazione filosofica e
teologica di S. Tommaso d' Aquino.
Un secondo fattore da tenere presente è che le proposizioni condannate sono estratte in massima parte da opere
postume dell' autore, la cui pubblicazione risulta priva di qualsiasi apparato
critico atto a spiegare il senso preciso
delle espressioni e dei concetti adoperati in esse. Ciò favorì un' interpretazione in senso eterodosso del pensiero rosminiano, anche a motivo della difficoltà oggettiva di interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva neotomista.
5. Oltre a questi fattori determinati dalla contingenza storico-culturale ed ecclesiale del tempo, si deve comunque
riconoscere che nel sistema rosminiano si trovano concetti ed espressioni a
volte ambigui ed equivoci, che esigono
un' interpretazione attenta e che si possono chiarire soltanto alla luce del contesto più generale dell' opera dell' autore.
L' ambiguità, l' equivocità e la difficile
comprensione di alcune espressioni e
categorie, presenti nelle proposizioni
condannate, spiegano tra l' altro le interpretazioni in chiave idealistica, ontologistica e soggettivistica, che furono
date da pensatori non cattolici, dalle
quali il Decreto Post obitum oggettivamente mette in guardia. Il rispetto della verità storica esige inoltre che venga
sottolineato e confermato il ruolo importante svolto dal Decreto di condanna delle “Quaranta Proposizioni”, in
quanto non solo esso ha espresso le reali preoccupazioni del Magistero contro errate e devianti interpretazioni del
pensiero rosminiano, in contrasto con
la fede cattolica, ma anche ha previsto
quanto di fatto si è verificato nella recezione del rosminianesimo nei settori
intellettuali della cultura filosofica
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
antonio rosmini
laicista, segnata sia dall' idealismo
trascendentale sia dall' idealismo logico e ontologico. La coerenza profonda
del giudizio del Magistero nei suoi diversi interventi in materia è verificata
dal fatto che lo stesso Decreto dottrinale Post obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità
di fede da parte dell' autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre alcune verità della
dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate dall' autore stesso.
6. D' altra parte, si deve riconoscere che una diffusa, seria
e rigorosa letteratura scientifica sul pensiero di Antonio
Rosmini, espressa in campo
cattolico da teologi e filosofi
appartenenti a varie scuole di
pensiero, ha mostrato che tali interpretazioni contrarie
alla fede e alla dottrina cattolica non corrispondono in
realtà all' autentica posizione
del Roveretano.
7. La Congregazione per la
Dottrina della Fede, a seguito di un approfondito esame
dei due Decreti dottrinali,
promulgati nel secolo XIX, e
tenendo presenti i risultati emergenti dalla storiografia e
dalla ricerca scientifica e teoretica degli ultimi decenni, è
pervenuta alla seguente conclusione.
Si possono attualmente
considerare ormai superati i motivi di
preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto
Post obitum di condanna delle “Quaranta Proposizioni” tratte dalle opere di
Antonio Rosmini. E ciò a motivo del
fatto che il senso delle proposizioni,
così inteso e condannato dal mede-
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
simo Decreto, non appartiene in realtà
all' autentica posizione di Rosmini, ma
a possibili conclusioni della lettura delle sue opere. Resta tuttavia affidata al
dibattito teoretico la questione della
plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse.
Nello stesso tempo rimane la validità
oggettiva del Decreto Post obitum in
rapporto al dettato delle proposizioni
condannate, per chi le legge, al di fuori
del contesto di pensiero rosminiano, in
un' ' ottica idealista, ontologista e con
un significato contrario alla fede e alla
dottrina cattolica.
8. Del resto la stessa Lettera Enciclica di
Giovanni Paolo II Fides et ratio, mentre
annovera il Rosmini tra i pensatori più
recenti nei quali si realizza un fecondo
incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio, aggiunge nello stesso tempo
che con questa indicazione non si intende «avallare ogni aspetto del loro
pensiero, ma solo proporre esempi significativi di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi
dal confronto con i dati della fede».
9. Si deve altresì affermare che l' impresa speculativa e intellettuale di Antonio Rosmini, caratterizzata da grande
audacia e coraggio, anche se non priva
di una certa rischiosa arditezza, specialmente in alcune formulazioni, nel tentativo di offrire nuove opportunità alla dottrina cattolica
in rapporto alle sfide del
pensiero moderno, si è
svolta in un orizzonte ascetico e spirituale, riconosciuto anche dai suoi più accaniti avversari, e ha trovato
espressione nelle opere che
hanno accompagnato la
fondazione dell' Istituto della
Carità e quella delle Suore
della Divina Provvidenza.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso
dell' Udienza dell' 8 giugno
2001, concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della
Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato questa Nota sul valore
dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Revdo Sacerdote
Antonio Rosmini Serbati,
decisa nella Sessione Ordinaria, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione
per la Dottrina della Fede, il 1° luglio
2001.
+ Joseph Card. Ratzinger – Prefetto
+ Tarcisio Bertone, S.D.B. – Arcivescovo emerito di Vercelli – Segretario
37
Epistolari d' autore [III]
Maurice Ravel & Béla Bartók
di Diego Cescotti
38
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
epistolari d'autore
C
ollocato in un am- Il percorso tra i carteggi di musicisti si avvia ad segreto di scendere nelle probito temporale ap- una provvisoria conclusione. Apertosi due numeri fondità della sfera biologica
pena di poco poste- fa con la visione insieme scanzonata e profonda di quasi a voler alleviare il peso
riore a quello pucciniano, il un Mozart fanciullo e già illuminato dal genio, se- della cultura attraverso una
francese Maurice Ravel guìto dall’ipersensibile Čajkovskij sceso in Italia al- regressione a dominî di natu(1875-1937) aprì prospettive la ricerca di un momentaneo rifugio alle proprie ra più insondata.
assai diverse anche sotto ansie e da Berg diviso tra assolutismi diversi che afTuttavia il sospetto che tutta
l’aspetto della narrazione di fiancava creazioni rigorosissime a spericolate peri- l’operazione sia null’altro che
se stesso, chiarendo nelle pezie sentimentali, ci siamo occupati nel numero un sapiente gioco mistificatosue lettere come lo spirito scorso dei rovelli e delle ipocondrie di Puccini, che rio è più che fondato: il comnovecentesco avesse ap- avvertiva su di sé la responsabilità di interpretare il piacimento mostrato dallo
portato un’indubbia depu- nuovo in un periodo di grandi trasformazioni e stesso autore per la fortuna,
razione dalla retorica dello senza più la certezza di modelli precisi ai quali soprattutto economica, insfogo intimo a favore di aggrapparsi. Allarghiamo ora il quadro ad altri contrata da quel suo pezzo
una comunicazione più due autori del Novecento che in quella stessa tem- non gli impedì di ammettere
temperata e sintetica: qua- perie hanno saputo dare risposte originali e che che questo avveniva al di fuori
lità che si addicono altret- hanno aderito, ognuno a modo suo, allo spirito del dalle sue intenzioni; poté anzi
tanto bene alla sua generale nuovo secolo mettendo anzitutto a tacere i palpiti e permettersi un ennesimo eidea musicale.
le smanie del passato per offrire una lettura dei sercizio di understatement riEsponente nazionale di
tempi più oggettiva e disincantata.
spondendo al giornalista che
un’arte raffinata sedimengli chiedeva quale fosse il suo
tatasi in secoli di storia illucapolavoro: «Ma è il Boléro,
stre, Ravel fu il contrario dell’artista passionale e in- naturalmente. Peccato che sia completamente privo di
temperante e mostrò anzi spiccati tratti originari di di- musica»1: civetteria facilmente smontabile anche solo
screzione e sobrietà. Che poi la sua musica sia così analizzando il ruolo degli strumenti in partitura o la
spesso esuberante di ritmi e colori e si risolva volentie- qualità solo apparentemente semplice di un fraseggio
ri nei finali in esaltanti slanci dionisiaci è un dato stili- ‘sfasato’ dall’inizio alla fine. Ravel è di quelli che attrastico che svela nell’uomo energie interiori non imme- verso lo schermo dell’inappuntabilità riescono a scondiatamente intuibili. Chi conosce quella sua pagina ce- certare senza vera volontà di provocazione, trovando
leberrima che è il Boléro ove per diciotto minuti due te- sempre ospitalità sotto il protettivo ombrello dello stile.
mi sempre uguali si ripetono in un implacabile, ipnoti- Egli ci si pone come un tardo esempio di esteta, anzi di
co crescendo sfociante infine in un cataclisma sonoro dandy dalla grande vivacità intellettuale e dalla spontadi potenza inaudita, comprende istintivamente come lì nea inclinazione all’ironia, all’arguzia e anche a qualche
si annidi qualcosa che va ben oltre ogni idea di estetica 1 - Attingiamo l’aneddoto dalla ricca, affettuosa monografia di Enzo
o di pianificazione formale: qualcosa che ha il potere Restagno, Ravel e l’anima delle cose, Il Saggiatore, Milano 2009.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
39
diego cescotti
caratteristico tic, come la rivendicazione delle origini
basche quale pretesto per vantare un cromosoma ispanico e dare giustificazione alla sua natura poco espansiva, da montanaro pirenaico. Nel crogiolo del tout-Paris era peraltro figura assai nota, anche se mai del tutto
in primo piano: elegante sempre ma senza indulgere ad
alcun vezzo anticonformista, ad alcuna posa modaiola
che sapesse di stravagante o di eccessivo.
Nel 1921 stabilì la propria residenza a Montfort-l’Amaury, località nel dipartimento degli Yvelines, a una
trentina di chilometri dalla capitale, abitando una piccola casa non troppo confortevole che ancor oggi si visita come un curioso museo ricco di ogni tipo di chincaglierie, ninnoli, porcellane, giocattoli e orologi. La
sua dimensione ideale era quella solitaria e appartata.
Nulla gli era più estraneo dello stile ‘genio e sregolatezza’. Che egli fosse poi anche modesto, timido e poco
ambizioso si potrebbe francamente dubitare. Le cinque
sconfitte consecutive collezionate al prestigioso Prix de
Rome lo avevano messo fin da giovane in rotta con il
mondo accademico, ma in virtù dello scandalo che allora ne era nato, si era creato intorno a lui un buon parterre di sostenitori fedeli. Quando più tardi, al culmine
della carriera, l’ufficialità farà ammenda offrendogli la
legion d’onore, egli potrà permettersi di rifiutarla, creando uno scandalo di segno opposto.
Il suo catalogo artistico, quasi del tutto privo di scorie, ce lo conferma nel suo tratto sobrio e selettivo per
una forma di autodisciplina o di scrupolo estetico. Ciò
che vi si trova è facilmente enumerabile: due concerti
per pianoforte, tre sonate, un quartetto, un trio, pochi
balletti, alcune raccolte di melodie da camera e una significativa produzione pianistica e orchestrale: in molti casi dei capolavori assoluti. Non rimase coinvolto
nelle vischiosità allettanti e perigliose del teatro musicale, per il quale produsse solo due lavori sui generis,
immuni da esasperazioni sentimentali e ispirati ad un
ironico disincanto. La sua poetica si nutriva di alcuni
peculiari topoi culturali: il mondo della fiaba, la suggestione della Spagna, l’affettuoso sguardo retrospettivo
al Settecento dei grandi clavicembalisti, e di conse40
guenza la predilezione per le profilature nette, le linee
stagliate, il controllo assoluto della materia, la trasparenza classica. La musicologia esalta come suo dato
prevalente il finissimo senso timbrico e dunque l’infallibile vocazione di orchestratore, che fa di lui un impareggiabile maestro del colore.
Il gioco surreale non lo trovò neghittoso: per la sua
‘fantasia lirica’ L’Enfant et les sortilèges Colette lo sfidò a
dar voce e canto agli oggetti più disparati che qui agiscono come personaggi: poltrone, alberi, orologi, figure di tappezzeria e tazze cinesi (Keng-ça-fou, Mah-jong,
/ Keng-ça-fou, puis’-kong-kong pran-pa, / Ça-oh-râÇa-oh-râ Ça-oh-râ / Ça-oh-râ, Cas-ka-ra. harakiri, /
Sessue-Hayakawa...) fino ad una terrificante personificazione dell’Aritmetica impegnata in strampalati conteggi (Quatre et quat’ dix-huit, / Onze et six vingt-cinq,
/ Quatre et quat’ dix-huit, / Sept fois neuf trent’-trois) e
ad un esilarante duetto miagolante tra gatti in amore
(Miinhou Miinhou / Mornau nâou, Moâou / Méinhpu,
miinhpu, Ft! / Mohin mihin, Moâraïn, Monhin, ecc.),
tutto giocato su uno spassoso turbinìo di effetti fonematici.
Con la commedia musicale L’Heure espagnole, tratta
da un racconto licenzioso di Cervantes, si propose invece di ripristinare il genere dell’opera buffa, affidando
al ruolo preponderante di un’orchestra modernamente
trattata l’ottenimento dell’effetto comico: la bottega
dell’orologiaio Torquemada (!), con i suoi molteplici
ticchettii sovrapposti, gli automi e le marionette musicali che entrano in azione e il gioco dei bilanceri che si
agitano e fanno suonare fuori sincrono tutte le pendole
ha la sua parte nel creare la suggestione ambientale tra
misteriosa e lussuriosa che fa da teatro alle disinvolte
trasgressioni extraconiugali della focosa Conceptión.
P
ur con queste solleticanti premesse di natura caratteriale e culturale, la lettura dell’epistolario raveliano2 riserva poche sorprese e
può anzi cagionare qualche delusione in chi è alla ri2 - Arbie Orenstein (a cura di), Ravel - Lettere, trad. it. di Paolo
Martinaglia, E.D.T., Torino 1998.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
epistolari d'autore
cerca di storie avventurose e appassionanti e ritrova invece un piano, neutro discorrere di questioni contingenti e quasi mai in diretta compromissione con la sfera personale. Come per una sorta di pudore, anche gli
argomenti musicali vi sono trattati nella loro fenomenologia più esteriore, senza mai scendere nel vivo della
fase creativa vera e propria. Vergati con calligrafia minuta e angolosa come è tipico di chi impugna la penna
tra l’indice e il medio, gli scritti raveliani svelano il senso di ordine mentale, di autodisciplina, di equilibrio
che ne sta alla base. Le frasi sono brevi ed essenziali, il
periodare scevro da ogni superfluità e come pronunciato con voce sommessa.
Il côté personale è, per le sue evidenti lacune, di decifrazione ancora più ardua; quello affettivo, poi, addirittura inesistente, tanto da aver indotto qualcuno ad osservare che se nei carteggi raveliani non compaiono
mai lettere amorose è perché molto probabilmente
queste non sono mai state scritte. Nessun indizio emerge di segreti, oscurità, seconde nature e, in una parola,
di quegli elementi che si pretende sempre di trovare
quando si ha a che fare con le grandi personalità, tanto
più se appartenenti al mondo dell’arte. Anche per queste peculiarità il carteggio in oggetto è tra i meno utilizzabili per una rassegna estrapolata quale quella che
stiamo qui tentando. Per avere un racconto appena più
organico e compiuto conviene rifarsi ai fatti della lunga
tournée compiuta dal musicista negli Stati Uniti dal
gennaio all’aprile 1928. Egli andava con buon animo e
mentalità aperta alla conquista del Nuovo Continente,
forte del prestigio che la cultura francese continuava ad
avere anche oltreoceano e della reputazione che il suo
nome si era conquistato presso l’intellettualità di laggiù. L’immagine che dell’America poté avere in quegli
inizi del 1928 era quella spensierata di un paese ancora
ignaro della grande crisi alle porte e votato ad una
spregiudicata way of life che ci rimanda irresistibilmente alle atmosfere frizzanti descritteci da Francis ScottFitzgerald nei suoi romanzi e racconti.
Da Boston così poteva scrivere al fratello Edouard, il
13 di gennaio:
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Se tornerò vivo in Europa sarà la prova della mia vitalità! In breve, fin qui ho retto, e il mio agente assicura che
il peggio è passato. Appena arrivati in rada, la nave è
stata invasa da un nugolo di giornalisti, con macchine
fotografiche, cineprese, disegnatori. Ho dovuto lasciarli
un istante per vedere l’entrata del porto: era persino un
po’ troppo tardi, ma pur sempre una cosa splendida. Il
mio soggiorno a New York (4 giorni che mi sono parsi 4
mesi) non mi ha neppure consentito di esercitarmi un
poco al pianoforte: appena sistemato all’Hotel Langdon,
un alberghetto da nulla che ha soltanto 12 piani (io ero
all’8°), e alloggiato deliziosamente (un intero appartamento), il telefono non ha più smesso di suonare. Ad
ogni istante mi portavano mazzi di fiori, cesti della frutta più deliziosa del mondo. Prove, squadre di giornalisti
(fotografi, cineoperatori, caricaturisti) che si davano il
cambio ogni ora, lettere, inviti ai quali il mio agente risponde per mio conto, ricevimenti. La sera, riposo: sale
da ballo, teatri negri, cinema giganteschi, ecc. Conosco a
mala pena la New York di giorno, chiuso nei tassì per andare ad appuntamenti d’ogni genere. Ho anche girato un
film con 2 centimetri di cerone sulla faccia... Dimenticavo il concerto dato a New York dall’orchestra di Boston,
dedicato alle mie opere. Ho dovuto presentarmi sulla
scena: 3500 spettatori in piedi. Ovazione formidabile, arrivata persino ai fischi. Domenica sera, concerto privato
e galoppata in abito da sera al treno per Boston.
Il jazz, a lui già noto attraverso la regolare frequentazione dei locali parigini, assunse ora un posto primario,
anche per la mediazione di George Gershwin, che gli fu
guida nei locali di Harlem. In un’altra occasione privata
l’autore di Rhapsody in blue gli sottopose delle sue improvvisazioni al pianoforte che lo portarono all’entusiasmo. Dal canto suo, il giovane talento statunitense si abbeverò dei prodigi formali e coloristici presenti nella
musica del collega europeo, in un gioco quanto mai
stuzzicante di reciproche attrazioni. Sarà in quello stesso
1928 che Gershwin scriverà il suo Americano a Parigi
quasi come omaggio indiretto e rovesciato a quel francese a New York con cui aveva passato tanti bei momenti.
41
diego cescotti
L’itinerario fissato dall’organizzazione della tournée
toccherà tutti i centri più importanti da una costa all’altra, in un crescendo di meraviglie al cospetto di «città
magnifiche» e «paesi incantevoli», con in più la magia
particolare del Grand Canyon e l’affettuoso omaggio
riservato alla Louisiana, ex-colonia francese, senza negarsi il piacere di una visita agli studios di Hollywood e
di un contatto con qualche divo dello schermo, rammaricandosi di non poter pranzare con Charlie Chaplin perché nessuno dei due parlava la lingua dell’altro.
Una coda di questo viaggio si ha nella lettera scritta
da Ravel a Nadia Boulanger, rinomatissima docente di
composizione, affinché volesse prendersi carico di
Gershwin, che aveva manifestato il bisogno di approfondire le proprie nozioni tecniche:
Cara amica, Ecco un musicista dotato delle qualità più
brillanti, le più seducenti, forse le più profonde: George
Gershwin. Il suo universale successo non gli basta più:
mira più in alto. Sa che per questo i mezzi gli mancano.
Offrirglieli, può voler significare schiacciarlo. Avreste voi
il coraggio, che io non oso avere, di assumervi questa terribile responsabilità?
La leggenda si è poi impadronita di quei famosi giorni e ha trasmesso una testimonianza orale, spesso citata, secondo la quale Ravel avrebbe pressappoco detto al
collega più giovane: «Perché volete diventare un cattivo
Ravel quando potete essere un ottimo Gershwin?».
Acutamente aveva capito che le regole di scuola, più
42
che accrescerne le potenzialità, avrebbero rischiato di
spegnere quel talento nativo; ma dietro la battuta è
possibile vi fosse anche un riferimento leggermente
polemico all’inutilità di altri studi, essendo già altissimi
i proventi che la fiorente industria di Broadway elargiva al giovane collega sì da farne uno dei musicisti più
ricchi della storia. Vecchio e Nuovo Mondo potevano
continuare a confrontarsi dalle opposte sponde scambiandosi reciprocamente le loro prerogative migliori.
Quando di lì a due anni Ravel scriverà uno dopo l’altro
i suoi due concerti per pianoforte tenne conto indubbiamente della sua esperienza americana sposando la
scrittura brillante alla densità di contenuto, la modalità
swing ai portati colti, la pronta comunicativa alla forma
ineccepibile.
Il destino gli riserverà una fine penosa. Uscito scosso
ma apparentemente non ferito in modo grave da un incidente di taxi, il suo organismo produsse gradualmente una serie di effetti preoccupanti che andavano ad aggravare latenze precedenti, con cali di memoria, crescente difficoltà di movimento delle mani arrivata fino
al gesto scoordinato; ma soprattutto portandolo a non
riconoscere più i segni grafici e dunque a non poter più
scrivere né leggere. Era come uno svanire a vista, lentamente, ogni giorno più assente ed estraniato.
Morì a sessantadue anni nel dicembre 1937, accomunandosi ancora a George Gershwin che era deceduto
trentottenne solo pochi mesi prima.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
epistolari d'autore
U
n altro musicista europeo che finirà in America, ma non per mietervi successi e guadagni, è l’ungherese Béla Bartók (1881-1945),
coscienza critica di prim’ordine nelle vicende dell’arte
occidentale della prima metà del Novecento.
Per capire la singolarità di questo autore è necessario
escluderlo dalla mondanità esclusiva che spesso caratterizza i luoghi deputati dell’ufficialità culturale ed inserirlo invece in un più vasto vissuto antropologico
comprendente le campagne e i villaggi contadini, ma
anche le scuole, le biblioteche, gli archivi. Egli fu infatti
uno dei pionieri della ricerca etnomusicologica ‘sul
campo’ e in tal senso effettuò incursioni in vaste zone
dell’area danubiana e dei paesi balcanici fin giù in Macedonia e in Turchia e oltre nei paesi dell’Atlante, registrando sul fonografo a cilindri musiche e canti delle
popolazioni native a fini di conservazione e studio.
Un’attività, questa del raccoglitore, trascrittore e catalogatore di repertori orali, che fu favorita dalla sua particolare mentalità razionale, analitica, sistematica, quale
vediamo poi riflessa nelle perfette geometrie della sua
produzione colta che per questo assume un rilievo del
tutto originale. Fu infatti dalla conoscenza e comprensione di quel serbatoio inesauribile di arte popolare che
Bartók riuscì a foggiarsi un proprio linguaggio sonoro,
dotato di autentica verità espressiva e per questo talora
aspro e anche materico, ponendosi in tal modo nella
Storia come terza via tra le contemporanee soluzioni
parigine di marca neoclassica e le severe elucubrazioni
dodecafoniche dell’avanguardia viennese erede del
pensiero romantico.
Proprio per questo suo forte radicamento nel tessuto
popolare est-europeo, interpretiamo come particolarmente penoso il suo forzato inserimento in una realtà
aliena quale doveva essere per lui la grande metropoli
americana. Il suo volontario esilio in quelle lontane
terre, dalle quali non è più ritornato, costituisce una
consistente sezione del suo epistolario divulgato pochi
anni dopo la morte3: qui, più ancora che nei periodi
3 - János Demény (a cura di), Béla Bartók - Lettere scelte, trad. it.
di Paolo Ruziscka, Il Saggiatore, Milano 1969.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
precedenti, viene messa in valore la dirittura, la forza
d’animo, lo spirito positivo di questo artista serio e coscienzioso che si era assoggettato senza lamentele alle
difficili contingenze dei tempi e aveva fatto i conti con
una impossibile rinascita nella grande e civile nazione
che lo aveva ospitato senza però rimanere soggiogata
dal suo messaggio artistico. Il suo buon dominio della
lingua inglese è un altro sicuro segno di pragmatismo
nonché di rispetto per il paese ospitante, anche se non
si sfugge all’impressione che in quel contesto egli si trovasse completamente fuori posto, incompatibile con il
sistema del capitalismo avanzato e sicuramente poco
in linea con l’ottimismo superficiale del keep smiling.
La scelta dell’America era stata una conseguenza delle drammatiche vicende storiche, ma non nel modo
che si pensa. Bartók non era ebreo e le sue composizioni non erano state (ancora) incluse nella categoria infamante delle opere degenerate. Avrebbe probabilmente
potuto continuare la sua vita in Ungheria, ma in spazi
di libertà sempre più limitati dalla forte compromissione del governo del suo Paese con il blocco nazi-fascista.
A decidere per lui fu la sua coscienza civile che si ribellò d’istinto alla promulgazione delle leggi razziali e gli
fece compiere il gesto coraggioso di inviare al ministero degli esteri del Reich una lettera di vibrante protesta,
facendola seguire dopo qualche tempo da una dichiarazione firmata di non-arianesimo dove richiedeva per
sé lo stesso trattamento già riservato ai colleghi ebrei.
La fuga negli Stati Uniti, a quel punto, divenne inevitabile: nell’ottobre 1940 sbarcò dopo molte traversie sulla
East Coast e si stabilì presso New York.
Tutto quanto sappiamo dei suoi cinque anni americani ci viene dalle lettere inviate al figlio ingegnere, rimasto in patria, e ad altre conoscenze in loco, per lo
più artisti e allieve di pianoforte. Le lettere in patria, rare perché lentissime nel loro disbrigo e sottoposte a
censura o anche in parte disperse, hanno il tono pratico e oggettivo di chi vuol trasmettere una comunicazione serena evitando tutto il superfluo. Il suo è un parlare diretto, sincero, pacato, limpido esattamente com’era limpido il suo sguardo azzurro di uomo onesto con
43
diego cescotti
se stesso e leale con il mondo. Gli scritti sono ricchi di
particolari senza essere prolissi o divaganti, cordiali
senza affettazione, talora con un fondo di umorismo e
in ogni caso testimonianti lucidità e buon controllo
della realtà.
L’ospitalità americana non aveva mancato di esercitarsi su di lui come su tanti altri ingegni fuoriusciti
dall’Europa in fiamme, ma con una differenza sostanziale: non si trattava qui di accogliere un celebre artista
in visita di cortesia ma di regolarizzare un immigrato
attraverso tutti i necessari e complessi passaggi burocratici di visti e permessi, in un periodo in cui gli arrivi in massa di emigrati da tutto il mondo si erano notevolmente intensificati.
Tuttavia i primi tempi furono abbastanza buoni: la
Columbia University gli assegnò la laurea ad honorem
e gli affidò l’incarico di studiare e divulgare un’importante raccolta di canti jugoslavi. Il cespite maggiore di
guadagno era costituito dalle lezioni private e dai concerti in duo con la moglie pianista Judith (Ditta)
Pásztory. Non saranno sempre rose e fiori, come appare da una lettera a un’allieva americana in cui l’amarezza è ben nascosta dal tratto lieve:
Abbiamo suonato piuttosto bene e abbiamo ricevuto
delle critiche molto cattive. In realtà una è stata buona,
una tiepida e una così cattiva quale non ne ho mai avuto in vita mia. Proprio come se fossimo gli ultimissimi
degli ultimi pianisti. Vede come ha scelto male il Suo insegnante di pianoforte!
La Fondazione Koussevitzky gli commissionò un
grande pezzo sinfonico che diventerà il Concerto per
orchestra, uno dei suoi lavori più noti; violinisti del calibro di Yehudi Menuhin e József Szigeti avevano messo in repertorio le sue sonate. Il jazz dovette sicuramente interessarlo per le sue origini ‘povere’, e se non
ne fece uso nelle sue composizioni è perché non amava
il procedimento della parodia o del ricalco. Quando
però Benny Goodman gli commissionò, e contestualmente finanziò, un pezzo da camera, accettò senza esitazione e ne uscì il brano intitolato Contrast, che egli
44
stesso eseguì al pianoforte assieme al celebre clarinettista jazz e all’amico violinista Szigeti, pure lui riparato
negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione antiebraica. In quegli anni Bartók compose anche il suo terzo Concerto per pianoforte e un notevole Concerto per
viola, rimasto incompiuto.
La sua vita negli States è un seguito di luci e ombre, e
a questo primo periodo più positivo ne seguono altri di
montanti difficoltà economiche, che intaccano via via
la sua fiducia. una coloratura nuova si avverte in una
lettera della fine del 1941 dove egli parla di «profonda
depressione» e di cambiamenti lavorativi: l’incarico alla Columbia potrebbe finire e subentrare una nuova offerta a Seattle che però gli sembra troppo fuori mano.
Per di più
ci sono pochi concerti: se dovessimo vivere di questi,
certamente non riusciremmo a sbarcare il lunario.
Per sua stessa ammissione, si trovava ora, a sessant’anni, ad affrontare la situazione peggiore da quando era entrato in carriera.
contemporaneamente si manifestarono i primi segni di una malattia variamente diagnosticata che lo costrinse a delle lunghe sospensioni da ogni attività. Il
declino era ormai inarrestabile, ma gli regalò ancora
uno sprazzo di alcuni mesi nell’estate 1943. Una lettera
del gennaio successivo ce lo mostra intento allo studio
e alla ricostruzione di certi canti valacchi, che approfondiva dal punto di vista tanto musicale che testuale e
genericamente antropologico. Ecco come ne scrive a
Szigeti:
...ne risulteranno molte cose interessanti riguardo ai
contadini. Ad esempio il fatto di essere lasciati è molto
più penoso per la ragazza che per il ragazzo... Inoltre, le
ragazze (ma anche le maritate) sono più veementi e irose. Tra i testi sono in quantità molto maggiore le maledizioni scagliate da ragazze contro i giovani infedeli che
non viceversa. Queste maledizioni sono molto strane anche per il testo. Che fantasia scespiriana si manifesta in
esse! Sono del tutto sbalorditive. ... Anche noi ungheresi
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
epistolari d'autore
ne abbiamo in abbondanza, ad esempio:
Tredici file di farmacie
possano vuotarsi per te;
Sette carri di fieno e paglia
marciscano nel tuo letto.
Se ti lavi, l’acqua si faccia sangue,
se ti asciughi prenda fuoco il panno.
Un caso analogo si ha quando la ragazza valacca fa un
augurio del tipo «ti stronchi la colica il giorno delle nozze» e altre belle cose consimili, e dopo c’è l’altro augurio:
«Che Dio ti punisca dandoti nove mogli!» Ma questo è
un augurio favorevole, direbbe l’americano: varietas delectat! Già, ma per i contadini non esiste il divorzio: un
cambio di moglie gli è possibile solo se lei muore, e un caso di morte è una grande piaga in casa dei contadini,
comporta spese e ogni sorta di altri disturbi! [...] Sono
del tutto particolari anche i testi ‘indecenti’: uno straboccare di allegria e di scherno. Ecco, queste sono le cose di
cui mi occupo adesso in attesa che finisca il mio esilio.
Si può dubitare che sperasse davvero di poter tornare
presto in patria; ma certo questo suo appassionarsi, in
contesti così lontani, alla catalogazione di canti popolari delle alture transilvane è perfino commovente, e
comprova una volta di più la sua fedeltà alle radici e la
sostanziale non-omologazione alla sua nuova patria
statunitense e alla realtà metropolitana in cui si trovava
immerso. Con la malattia venne più decisamente a patti, e quando gli capitò di scriverne lo fece non senza
ironia:
Quella mia infezione polmonare è scomparsa misteriosamente come era venuta. Vi sono tuttavia alcuni disturbi minori che probabilmente non potranno essere del
tutto guariti, e che mi rendono impossibile lo svolgimento di un lavoro regolare o di un’attività concertistica. Così per esempio, in aprile la milza ha cominciato a fare la
ribelle. Il mio medico di Asheville la scambiò per una
pleurite, ma per fortuna a New York l’errore è stato scoperto e la mia milza è stata punta con un trattamento
d’urto di raggi X. In seguito è risultato un disordine nella
composizione del sangue, e perciò mi hanno avvelenato
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
di arsenico. Debbo continuare?
Alcune settimane fa dissi: «Dottore, mi dica esattamente qual è la mia malattia. Scelga una bella parola latina o greca e me la dica». Dopo un momento di esitazione egli dichiarò: Polycithemia. Ci risiamo! Solo che due
anni fa ciò voleva dire troppi globuli rossi e oggi invece significa troppi globuli bianchi.
Si ritiene che i segni della leucemia fossero stati individuati quasi subito dai medici consultati ma che glieli
avessero taciuti per delicatezza. A peggiorare il quadro
si sommarono i fatti della guerra:
«... Dall’Ungheria giungono notizie che mi prosternano: terrificanti devastazioni, orribile carestia, caos incombente... Per come vedo le cose, per ora non si può neanche pensare al rimpatrio. Non ci sarebbe neanche il
modo: né i mezzi di comunicazione né il permesso russo.
Ma anche se ci fosse, credo sia consigliabile attendere gli
sviluppi. Dio sa quanti anni ci vorranno perché il paese
riesca (se mai riuscirà) a riaversi. Eppure anch’io vorrei
tornare a casa, ma definitivamente.»
Queste parole furono scritte poco meno di tre mesi
prima della sua morte, avvenuta il 26 settembre 1945.
Alla morte pensava già da tempo: anni prima, non
smentendo il suo rigore morale, si era preoccupato di
stendere una specie di testamento spirituale in cui dichiarava di non volere che a Budapest gli fosse dedicata
alcuna strada o lapide fino a che si fosse continuato a
fregiare vie e piazze dei nomi dei due capi del nazionalsocialismo tedesco e del fascismo italiano. È pensabile
che oggi più di una strada e di una scuola siano intitolate a lui, ma non solo: a conferma che la gloria prima
o poi arriva a chi se l’è meritata, si apprende che al suo
nome è stato intitolato anche un cratere sulla superficie
di Mercurio. Questo gli sarebbe piaciuto senz’altro.❧
Diego Cescotti
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Parole per strada 2012
di Renzo Galli – Linda Salmaso – Stefano Tonietto
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2012 - camminando con...
QUESTA NON È UNA SIMULAZIONE
Qualche riflessione da studente
C
amminando con... la
fantasia; come un cagnolino; con Arsenio
Lupin; come un bastone con il
suo padrone; a piedi; con
Sherlock Holmes.
Camminando per la strada;
senza una meta; con i propri ricordi; credendo di non essere
arrivati a destinazione; guidati;
camminando lungo le rotaie
della propria vita.
Un caleidoscopio di parole, di
idee, di sensazioni con un’ unica
origine comune.
Questo è quello che ho percepito leggendo, valutando, tenendo tra le mani i racconti che
quest’ anno hanno partecipato
al concorso Parole per strada.
È stato bello non sapere chi
fosse l’ autore; leggerli immaginando non solo la vicenda narrata, ma anche il volto, la storia
personale dello scrittore e cercando di comprendere le situazioni che l’ hanno portato a scrivere quelle parole e non altre, ad
interpretare in quel senso il tema fissato.
In questo caso mi si chiedeva
di dare una valutazione ai racconti seguendo determinati parametri, di essere – in un certo
senso – oggettiva. Ho fatto quello che mi veniva richiesto: ho espresso i miei pareri tramutandoli in numeri. Continuo, però,
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
QUESTA NON È UNA SIMULAZIONE
Qualche riflessione da docente
Q
uest’anno, accanto alla
Giuria ufficiale incaricata di scegliere i racconti per la Mostra, si è voluto
coinvolgere anche un gruppo di
giovani lettori: quelli che negli
anni a venire determineranno
il destino dei libri e di chi li
scrive. Abbiamo affidato (in
contemporanea alla Giuria ufficiale e a puro titolo indicativo)
ad una III Liceo Classico la lettura di tutti i racconti e questi,
in ordine alfabetico, sono quelli
selezionati:
Amica – Bello non sono mai
stato – Con lei – La mia ombra
– Pioggia d’inverno – Quando
si fa sera – Un sabato nel
passato – Un tempo – Il
pigiamino e la stella – La porta
Li potete leggere tutti nell’antologia Camminando con...
mentre le impressioni, le osservazioni e i commenti di
una degli studenti e dell’ insegnante che ha “osato” condividere questa esperienza ve li
proponiamo qui accanto.
R.G.
S
e nella scuola c’ è un momento critico, per gli insegnanti ma anche e soprattutto per gli studenti, è quello della valutazione. Di fronte
alla “verifica”, sia orale sia scritta
o pratica, non c’ è serenità che
non venga scalfita dal dubbio,
non c’ è tranquilla coscienza che
non si interroghi sul lavoro
svolto, non c’ è vocazione allo
studio che non vacilli. Figurarsi
la morsa allo stomaco di chi,
con o senza sua colpa, non è
preparato!
La preoccupazione, l’ ansia e
l’ angoscia per la verifica sono
esperienze che tutti prima o poi
abbiamo affrontato, come la seconda dentizione e le malattie
esantematiche. Si fa presto a dire, da adulti vaccinati, che non è
nulla, che la vita e il lavoro somministreranno ben altri questionari, ben altre tracce da seguire… Conta sempre il qui e
l’ ora: la verifica incombente è
sempre la peggiore.
Neppure va dimenticato il
piccolo dramma del docente, a
torto dipinto – specie da certa
cattiva cinematografia o da una
mediocre letteratura – come un
sadico sempre contento allorché può infliggere voti infimi
agli odiati alunni. Più modestamente, e comunemente, l’ insegnante è una persona che ha
47
parole per strada 2012 - camminando con...
a credere che la lettura sia un’ esperienza “superiore”, libera da ogni limitazione, priva di confini, che non può
essere racchiusa da un recinto di cifre. Come scrivere è
riordinare il proprio archivio di pensieri, leggere è aprire ogni singola cartella di quell’ archivio ed osservarne
il contenuto.
Certi racconti mi hanno stupita, come quelli scritti usando il punto di vista straniante, altri toccavano tematiche lontane dalla mia esperienza personale e mi è stato difficile comprenderli, altri ancora li ho apprezzati di
più dopo varie riletture. Adesso, avendo tra le mani
l’ antologia di racconti che è stata pubblicata, mi risulta
ancora più evidente la quantità di temi trattati; diversi,
ma allo stesso tempo legati da un filo conduttore comune: il cammino.
Mi ha fatto enorme piacere vedere tra gli autori una
ragazza di qualche anno più giovane di me, Livia Alegi,
e sono rimasta stupita alla vista di racconti scritti in altre lingue come il cimbro ed il ladino. Questo fa comprendere un aspetto che può sembrare scontato, ovvero l’ universalità della scrittura. Mettendo “nero su
bianco” racconti redatti da persone di culture tanto diverse dalla nostra è emerso come, in realtà, le sensazioni, le idee ed i temi trattati abbiano sempre lo stesso
volto, anche continuando a ruotare il mappamondo.
Anche io, con questa esperienza, ho compiuto un
viaggio. Ho camminato con le sensazioni degli autori,
con le parole, con l’ immaginazione, con le lettere che
mi scorrevano sotto gli occhi; ho camminato nelle realtà e ho camminato con la fantasia.
Come recita Nostos, uno dei racconti, è stato “...un
cammino fatto di piccole cose, di grandi scoperte, di forti
emozioni.”❧
Linda Salmaso
svolto un lavoro con un’ altra persona, più giovane, talvolta dell’ età dei figli o dei nipoti, e che si rattrista nel dover classificare come insufficiente la sua performance,
ammettendo così implicitamente un piccolo fallimento:
dell’ alunno, proprio o di entrambi.
Eppure una scuola come il liceo classico vanta tra i
suoi obiettivi lo sviluppo di una capacità critica, di una
sensibilità particolare in ambito umanistico-letterario:
qualcuno degli studenti che stanno ora faticosamente
sviluppando in forma di tema una traccia data dovrà un
giorno valutare altri temi, magari articoli, addirittura libri. Non dovrebbe forse essere uno dei sogni di chi vi si
iscrive, terminata la media inferiore? E non per chissà
quale senso di rivalsa, ma perché è lì che si punta: saper
leggere la vita e la letteratura, la pagina e la realtà, sceverare la verità dalla menzogna, interpretarne i messaggi… Sarà un caso che uno dei pilastri della nostra civiltà,
la base fondante della logica stessa, è un’ operina greca a
stento salvata dal naufragio del mondo antico, cui i medioevali diedero il titolo latino di De interpretatione?
Credo sia stato questo lo spirito con cui le ragazze e i
ragazzi della Terza B hanno affrontato la sfida di far parte di una giuria letteraria. La prontezza del rispondere
alla chiamata – in un momento, tra l’ altro, di fine trimestre, tra molteplici impegni in tutte le materie – mi è
sembrata, dico davvero, un segnale molto chiaro di giusta, legittima impazienza: “Prof, eccoci! Siamo pronti!
Era per questo che ci preparavamo. Vogliamo tentare!”.
Questa non è una simulazione. Ecco il segnale che in
un mondo come il nostro, in cui reale e virtuale si confondono, in cui la fiction si sovrappone alla vita vera e
l’ adolescenza sembra destinata a protrarsi indefinitamente, ecco il segnale che può scuotere i giovani; e li
scuote effettivamente ogni volta che la scuola mostra di
non volersi chiudere alla prova della realtà! Non abbiamo giocato alla giuria di concorso letterario: il concorso
era vero, veri i racconti, veri gli autori, vera la classifica
da stilare. E vero l’ impegno che ci hanno messo. ❧
Stefano Tonietto
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2012 - camminando con...
Riflessioni di un professore di mezza età
U
n Docente migliore avrebbe stilato innanzitutto
un Progetto. Nella scuola anni Dieci (Duemiladieci),
non si prende ormai più alcuna iniziativa senza
un Progetto. Trionfo degli ingegneri e degli architetti, il
Progetto deve prevedere fasi operative, tempi di realizzazione, spazi da utilizzare, risorse umane a cui attingere,
elenco dei materiali necessari, numero delle classi e/o studenti coinvolti e spese da sostenere (assegnate al competente capitolo di spesa).
Un Docente ideale non avrebbe mancato di delineare le finalità educativo-didattiche dell’ iniziativa, accuratamente
distinguendo tra obiettivi misurabili, finalità, scopi, destinazione, punti d’ arrivo, bersagli; il tutto naturalmente calibrato sulla base di un’ opportuna analisi dei bisogni dell’ utenza.
Un Docente aggiornato e moderno avrebbe steso alcune
pagine (su modello precostituito con intestazione dell’ Istituto di appartenenza) di relazione preventiva, da indirizzare in primo luogo al collega individuato come Funzione
Obiettivo dal Collegio dei Docenti in seduta plenaria
all’ inizio dell’ anno scolastico in corso, in seconda istanza
al Dirigente Scolastico (che qualche anziano insegnante
chiama ancora il Preside) e, per conoscenza, alla Segreteria Didattica e a quella Amministrativa.
Un Docente corretto e coscienzioso avrebbe, al termine
dell’ attività, redatto (su modulo precostituito con intestazione dell’ Istituto di appartenenza) una Relazione Finale,
corredandola di lista degli Obiettivi raggiunti, dei risultati
acquisiti, delle criticità incontrate (il tutto naturalmente
calibrato sulla base di un’ opportuna analisi dei bisogni
dell’ utenza) e allegando la lista delle spese (assegnate al
competente capitolo di spesa).
Un pigro, antiquato e scarsamente efficiente professore di
mezza età, benché ringiovanito dal provvido innalzamento
dell’ età pensionabile, si è limitato invece ad entrare un
giorno in Terza B, a posare registri e manuali sulla cattedra e a chiedere: “Chi ha voglia di far parte di una giuria?”.
Gliene servivano dieci. Se ne aspettava tre o quattro, al
punto che era pronto ad estendere l’ invito ad altre classi.
Ma ad alzare le mani sono stati in ventisei. Su trentadue.
Però: “Sola gloria, sia chiaro; niente quattrini”.
Anche messi i puntini sulle i, le mani restavano alzate.
“Guardate che non vi alzerò i voti in italiano se partecipate. Scordatevelo”.
Meglio essere chiari da subito!
Così, fatte le fotocopie, distribuiti i racconti ai singoli lettori, la cosa è iniziata. E in pochi giorni è anche finita.
E il Progetto? E la Relazione Finale?
Non ditelo a voce alta…
;-)S.T.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Samantha e la farfalla
S
amantha è piombata all’ improvviso nella mia routine quotidiana, ne sono felice e
sconcertata.
Maria mi aveva telefonato tempo fa chiedendomi, se ad agosto mi avrebbe fatto piacere ospitarla. Sua figlia era smaniosa di trascorrere un po’ di
giorni in Trentino e io ho sempre adorato avere ragazzini intorno.
Mia nipote ora è qui. È arrivata con il suo slang
romano e i pattini in linea che non toglierebbe mai.
La casa risuona di musica pop, un tormento per
me che ho le orecchie accordate su Raitre. La mattina, provo a propinarle un po’ di buona musica.
— Ma sempre ‘ sta lagna, zia? – e si caccia nelle orecchie il suo mp3.
Passeggiamo lungo la ciclabile, ma è sempre
troppo tardi per i miei gusti e fa già caldo. Io cammino, lei fila sui pattini. Quando trova una panchina si ferma, mi aspetta o torna indietro.
— Sei lenta zia! – mi sollecita, poi via di nuovo, leggera e veloce: una farfalla.
Vorrei mostrarle l’ incanto, indicarle ciò che ha
attorno, ma lei non vede.
Ridosso al muretto c’ è un fico selvatico carico di
frutti. Più in là il rovo di more golose a cui mi punsi
e la macchia di sangue non andò più via dalla camicetta. Avevo la sua età.
A quest’ ora la poiana scende rapida dal monte
e vola bassa.
— Guarda lì, Samantha! – sussurro appena per non
guastare il magico momento. Ma lei non può sentirmi. È mezzo chilometro avanti. La vedo ancheggiare al ritmo che sente solo lei, traballando sulle
sue protesi rotanti. Eterea.
Come farò a farle gustare la farfalla trentina?
Rosanna Bragagna
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parole per strada 2012 - camminando con...
Sul colle un balcone
L’ uomo e il cane
S
algo al Colle ogni tanto, con fatica, la gamba offesa non regge lunghi sforzi. Prendo fiato ai capitelli della Via Crucis, quanta passione Povero Cristo.
Da lassù si domina la Piana, vigneti disegnati con
cura e il Noce un nastro d’ argento, a volte nero, secondo il tempo. Lassù dimora gran parte dei miei
amici, i migliori, persi uno alla volta, come i denti,
ed è festa quando arrivo.
Una foto me li ricorda sorridenti, belli a vedersi.
Ho già scelto la mia foto, voglio esser al par di
loro, non troppo vecchio, per confonder le idee...
Per primo incontro Piero Bereto rosso. Son già
cinque anni, pare ieri. Dice di trovarsi bene, basta
acciacchi, i suoi occhi sorridono, gli credo. Con la
saldatrice faceva faville, lavoretti di cesello. Confina
con Bepi il fumista:
— Viva noi e le vigne! – e si tocca il naso, buffo e
simpatico.
Gianni Borsa mi squadra da sotto il cappello,
due genzianelle nel cordone. Nando, il suo paron1, l’ aveva nominato guardiacaccia e spedito sul
Fausior a badare che i faioti2 non sparassero ai caprioli. Capitò che multò un finanziere che andava
a funghi.
— Bravo Borsa, ben fatto!
L’ elogio del Nando riecheggia. Lui dimora al piano superiore del cimitero.
Mi si fanno attorno, una ressa. Peter, Vale,
Vittore, Bepi caliar, Nardin, ultimo a salire... quante merende.
Non porto fiori, non credo che voglian preghiere, li sento contenti, mi stanno attorno con la loro
storia più bella. Scendo col cuor leggero.
M
ise le sue poche cose nello zaino: non
gliene erano servite tante, lì. Aveva
anche regalato due maglioni a chi rimaneva. Era inverno quando tre anni prima era entrato in carcere; ora era estate e non voleva roba dal
sapore di chiuso, gli sarebbe bastato il sole addosso.
Il cane nero era seduto fuori dalla porta del carcere, come tutti i giorni da tre anni. Aveva seguito il suo padrone, quella volta che glielo avevano
portato via, e non capiva perché non stava più con
lui. Però prima o poi sarebbe uscito da quella porta, lo sentiva. Da quando l’ uomo lo aveva raccolto,
cucciolo perso tra le immondizie, per addestrarlo
a saltare nel cerchio, avevano fatto tanta strada insieme loro due, consumando scarpe e unghie.
Eccolo! Il cane gli saltò in braccio abbaiando.
Entrambi pazzi di felicità, riunirono le solitudini
che uno sbaglio aveva separato. Si misero in cammino verso il sole, verso il mare. Proprio poco prima dello sbaglio l’ uomo si era ripromesso di portare il cane al mare: voleva vederlo gioire tra le onde; da quel desiderio doveva ricominciare, adesso
che anche lui bramava spazi aperti. Al cane importava solo stare al suo fianco, come prima.
La strada per il mare era lunga e dritta; finalmente camminavano di nuovo insieme, e ciò bastava. Il
sole era caldo nel cielo d’ estate, la luce era chiara.
Come fece il camion a sbandare sul rettilineo
deserto investendoli in pieno non si seppe mai.
Giuseppe D’ Emilio
Livio Dalpiaz
1 - Datore di lavoro
2 - Abitanti di Fai della Paganella
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2012 - camminando con...
Una pietruzza in tasca
Ladro di tramonti
I
E
vo tornava al paese natio, pensando alla fortuna che inaspettatamente aveva portato un
acquirente per la vecchia casa, ma l’ idea di
disfarsene gli metteva tristezza. Voleva adempiere
al patto fatto con la nonna la quale in punto di morte, gli aveva donato un minuscolo pacchetto:
— Il cuore ti dirà quando aprirlo,
Nonna Pia, tutta la sua famiglia! I suoi genitori erano morti tragicamente: un camion piombò
loro addosso. Nell’ auto viaggiavano lui piccolino,
mamma e papà; fu salvo per miracolo, protetto
dalla carrozzina sbalzata fuori.
Vide il campanile, poi le case. La corriera raggiunse la piazza e si fermò, Ivo scese. C’ era ancora
la luce del giorno, avrebbe fatto in tempo a recarsi
in cimitero prima del buio.
Fu preghiera, dialogo muto con la foto che lo
guardava dalla lapide. Poi, come obbedendo a un
segnale, Ivo tolse di tasca il pacchetto, lo aprì; c’ era
una scatolina bianca e rammentò che da bambino vi custodiva il rosario, dono ricevuto per la prima Comunione. Sollevò il coperchio, riconobbe
la pietruzza a forma di dado, grigia, striata di verde. Quel sassolino conservava intatta la sua magia:
fungeva da chiusura al buco nel muro nell’ ingresso della casa dove Ivo bambino aveva depositato i
denti da latte e ogni volta aveva trovato in cambio
cinque lire. Quanti ricordi!
Pianse, capì il valore delle sue radici e della sua
storia; sentì un forte senso d’ appartenenza a quel
luogo.
La casa non fu venduta ma ristrutturata, cominciando da quella piccola pietra grigia.
lisa guardò incuriosita il vecchio: i capelli
candidi sulle spalle, la barba incolta, i jeans
laceri e tra le mani tele e colori.
All’ orizzonte, il mare si perdeva nel cielo infuocato del tramonto settembrino.
Si voltò, l’ aveva sentita. I suoi occhi liquidi e
chiari la guardavano con dolcezza.
— Ha bisogno d’ aiuto? – chiese Elisa
— Sì – rispose il vecchio. – Aiutami ad alzarmi: facciamo due passi.
E così si incamminarono sul bagnasciuga, le loro impronte immediatamente cancellate dall’ acqua schiumosa del mare.
— Stava dipingendo il mare? – gli domandò
— Stavo ritraendo il tramonto: io sono un ladro di
tramonti.
La ragazza lo guardò sorpresa.
— Il tramonto è l’ ora più bella – proseguì dolcemente – dai colori più emozionanti, come se il giorno, arrivato alla fine, desse il meglio di sé. Come
nella vita: si vive, si corre, si spreca tempo ma, alla
fine, gli ultimi attimi sono ciò che di più bello riusciamo a donare a noi stessi e agli altri.
Elisa era giovane, non comprese le sue parole, ma il vecchio le piaceva, e le piacevano le sue
tele.
Camminarono ancora per un po’ , in silenzio.
Poi, salutandosi, si separarono, accompagnati
dalla soavità dell’ incontro inatteso.
E all’ orizzonte, il tramonto lasciò il posto alla
notte.
Barbara Lottini
Lidia Filippi
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
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parole per strada 2012 - camminando con...
Amica
Arun
L’
immobilità non appaga. Restare fermi
è un po’ come morire. Si fanno vuoti i
giorni. Così cammino con la mia unica
amica su strade in pianura, dove la vista non trova ostacoli a mobili orizzonti. O mi inerpico con lei
sulle salite del tempo. Spesso barcollo in una realtà che mi fa paura, ma lei mi offre la sua mano. Mi
sorregge.
Mi fa vedere i colori del mondo. Quelli che non
abbagliano, ma tenui si spennellano lungo il cammino, come acquerelli.
Sono un fiammifero, che spesso brucia nelle sue
passioni, ma lei inventa nuove vie per non farmi
intrappolare in vicoli bui, senza uscita. È la candela
accesa che illumina i miei passi. Li rende concreti.
Srotola sulla strada un tappeto, dove il piede
morbidamente appoggia.
La chiamo. Lei c’ è. La dimentico. Lei mi aspetta.
È sempre pronta all’ avventura. Mi dà coraggio.
Proietta sul telo della vita la mia figura senza alcuna ombra. Solletica la mia curiosità nell’ attraversare nuove terre.
Oggi, anche se la mappa del mio viaggio è disegnata dalle rughe, lei non mi abbandona.
Ruba per me le impronte di altri che mi hanno
preceduto.
Segna sulla carta geografica i sentimenti.
Ha pianto con me, quando il dolore ha rigato
il cuscino con le strade nebbiose dei miei smarrimenti. Ha riso con me, quando ho corso a perdifiato verso i miei sogni.
È l’ amica sincera che non è mai stata assente al
mio desiderio di infinito.
Sta lì in un angolo. Mi batte sulla spalla. Sorride.
Ed assieme alla mia amica fantasia parto volentieri, sempre.
Rita Mazzon
52
O
ggi Arun mi ha chiesto se poteva accompagnarmi alla clinica. Non sono riuscita a
trattenermi, ad evitare la perplessità nel
mio sguardo. Lui ha sorriso a pieni denti, senza attendere risposta è partito nella direzione giusta. Lo
raggiungo. Cerco di camminare piano, per agevolarlo. Ma lui accelera, quasi volesse dimostrarmi qualcosa. Lo incontro spesso. Talvolta gli dò
dei riel, qualche altra lo porto a mangiare qualcosa. Da quando padroneggio un po’ la lingua locale,
riusciamo persino a chiacchierare.
— Madame, – così mi chiama, anche se conosce
il mio nome – è vero che vuoi andare via dal mio
paese?
Come diavolo lo sa? Ne ho parlato solo in clinica che pensavo di mollare. Tiro un sospiro profondo. I miei occhi incontrano i suoi.
— Per ora resto.
— Allora parleremo e cammineremo ancora
insieme!
— Sì, Arun. Lo faremo.
Arun è un mendicante di circa quarant’ anni. Dei
suoi arti inferiori non resta niente di niente, colpa
di una mina. Si sposta su un carrettino di legno e
metallo, spingendo con le mani callose sul terreno
rovente. Arun vuol dire alba, in khmer. Non so se
ci sia speranza per una vera alba, in questo paese.
Però, se negli occhi di questo khmer sopravvissuto
a tutto vedo ancora forza, non posso essere da meno. Vivo in Cambogia da quindici mesi, come volontaria. Dall’ ottobre del 1992. A volte mi pare che
il tempo sia volato, con tutte le lotte, alla clinica.
Ma, sempre più spesso mi sembra di averci passato una vita, qui. E ogni giorno è una lezione nuova.
Oggi me l’ ha data Arun.
Fabio Novel
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
parole per strada 2012 - camminando con...
Le mie gambe
Fino al bivio
G
uardo dalla finestra il sentiero perdersi tra i
campi e penso alla mia vita, al lungo cammino che sto ancora percorrendo, e sorrido. Da piccola camminavo a fianco di mio padre,
lui m’ indicava la via e io la seguivo.
Poi ho incontrato l’ amore e una nuova luce ha
segnato i miei passi. Mettevo i piedi su orme già
marcate e godevo del consenso che ne ricavavo,
un calore che sapeva di approvazione e di condivisione. Quando l’ amore è finito, anch’ io sono finita, per lungo tempo ho vissuto in una pozzanghera scura aggrappata ai miei figli per rimanere a galla. Loro correvano, io arrancavo, li lasciavo andare srotolando la corda che ancora li legava a me,
un grosso gomitolo da cui non volevo staccarmi.
Poi il dolore si è impadronito del mio corpo. È
entrato subdolo nella mia testa abbracciando ogni
mio muscolo, ogni nervo, ogni osso. Mi ha tenuta
immobile per tanto tempo. Io ero stesa e guardavo
i volti che mi giravano attorno, sullo sfondo vedevo i libri che coprivano le pareti e sognavo. Li aprivo e volavo. Un giorno sono andata in Giamaica,
un altro in Eritrea, sul monte Everest, nell’ isola della Tortuga e in quella che non c’ è. Ero sempre in
viaggio, mai ferma. Mi spostavo da sola, in piena
compagnia. Ho conosciuto un gentiluomo col monocolo, una prostituta bambina, un orfano scapestrato, un vecchio che amava il mare… ognuno
camminava con se stesso e io con loro.
Ora, seduta sulla mia sedia a rotelle, mi guardo
attorno e sono serena. Finalmente sto camminando con le mie gambe.
H
o paura! Ho paura! – hai biascicato mentre mi stringevi la mano.
— Non temere. – ti ho detto – Sono qui
vicino a te, ti accompagno.
Mi sono alzata. Ho appoggiato l’ altra mano sulla
tua fronte, appena, giusto per fartene sentire il calore. Ti sei rasserenato, forse ti sei appisolato una
mezz’ ora. Stavamo camminando insieme in quel
momento, – così credevo – stavamo lottando entrambi contro il mostro che ti ghermiva. Forse non
era così. Forse ti eri già arreso. Sapevi che lei stava
arrivando a piccoli passi caparbi.
Un sussulto ha scosso le tue membra, poi un altro e un altro.
— Basta! Basta! – hai mormorato in un soffio.
Allora è arrivata la morfina. Hai chiuso gli occhi e hai aspettato. Io ti tenevo per mano, ti accarezzavo. Ti accompagnavo, credevo. Avevi preso a
camminare lungo il sentiero impervio, con gli occhi chiusi e i sensi vigili.
Non so dire per quanto tempo sono rimasta accanto a te con una mano nella tua e l’ altra lievemente appoggiata sulla tua spalla. I miei muscoli erano indolenziti. Non ho voluto muovermi troppo
per non disturbarti. Ho solo adagiato una mano in
grembo, l’ altra sempre stretta alla tua. Mi sono lasciata un po’ andare e mi sono addormentata con
il mento sul petto.
Al mio risveglio non c’ eri più.
Marinette Pendola
Luisa Pachera
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
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parole per strada 2012 - camminando con...
У својој земљи ће почивати у миру
Solo nella nostra terra
Н
N
исам веровала да би могла десити се
љубав, и то мени, у поодмаклим годинама,
после свих разоalчарења и несрећа које
су ме задесиле. Кад смо се срели, Милош и ја смо
желели да останемо заједно док нас смрт не растави.
Нисам ни слутила да ће смрт тако брзо доћи да нас
растави...
Дошла је његова родбина, убеђивали су ме да га
сахранимо у његовом Завичају, на малом гробљу
у њиховом селу, недалеко од родне куће. Одлучно
сам се томе противила.
Али наредног дана, корачајући поред његове
сестре иза сандука, одзвањале су ми у глави њене
речи, ноћ уочи сахране, реченице испрекидане
неутешним јецајима, које је једва успевала да ми
преводи једна госпођа која је дошла да нам помогне
да се разумемо.
— Ана, знам да је теби то тешко... знам да тражим
од тебе жртву. Молим те да разумеш... Милош је
волео своју земљу. Волео је и бранио у рату... знао
је да ће тај рат, са много јачим непријатељем, бити
изгубљен.
Сви његови другови који су се заједно с њим
борили у рату на Косову мртви су. Неки су настрадали
одмах, од касетних бомби, други мало касније, од
тумора изазваног осиромашеним уранијумом који је
био у бомбама. Избегло нас је на хиљаде када је наша
војска морала да се повуче са Косова.
Милош је емигрирао у Италију да би нам помогао.
Због своје доброте Бог му је подарио љубав и срећу
барем пред крај живота. Ти си испунила радошћу
његове последње дане.
Али сада, дозволи да га сахранимо у Србији...
само у тој земљи ће почивати у миру.
on credevo di potermi innamorare in età
avanzata, dopo tutte le avversità, le delusioni e le disgrazie della vita passate. Una
volta incontratici, io e Milos volevamo restare uniti
per sempre, finché morte non ci separi. Ma non immaginavo che la morte sarebbe arrivata così presto.
Quando morì, dopo una breve e grave malattia,
arrivarono i suoi parenti e cercarono di convincermi a seppellirlo nel suo paese d’ origine, nel piccolo
cimitero del suo villaggio, poco distante dalla casa
dov’ era nato. Mi opposi con decisione. Ma il giorno
dopo, camminando dietro la bara, mi risuonavano
nella mente le parole dette la sera prima da sua sorella, le frasi interrotte dal singhiozzo, che una signora
venuta apposta per farci da interprete aveva tradotto con molta fatica:
— Anna, so che per te è difficile... mi rendo conto di
chiederti un grande sacrificio. Ma ti chiedo di comprendere: Milos amava il suo paese, lo amava e lo difendeva in guerra.
Tutti i compagni che hanno partecipato insieme
a lui alla guerra del Kosovo sono morti, alcuni uccisi dalle bombe subito, altri dai tumori causati dall’uranio impoverito contenuto nei missili. I bombardamenti avevano distrutto l’ economia del paese e molti emigrarono.
Milos emigrò in Italia per aiutarci, e la sua generosità è stata premiata con l’ amore che ha trovato.
Tu hai riempito di gioia e felicità gli ultimi anni della sua vita.
Ma ora permetti che sia sepolto in Serbia… solo
nella nostra terra riposerà in pace.
Snezana
ˇ Petrovic
Снежана Петровић
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2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Conversazioni Bibliofile
a cura di Giuseppe Maria Gottardi
C
Per lo Furor de’ Libri.
hiunque entrava
ta e disgradevole, solo
nella libreria di
mestamente rallegrata da
Francesco Filelfo,
ouero
qualche scarso raggio di
dove quest’ uomo dotto se
sole, perché le finestre coQuando
lo
Furor
de’
Manoscritti
ne stava dalla mattina alla
me inchiodate non s’ aprisera tra la polvere e i ravano mai ad un’ aria pura
& Libri a la follia conduce.
gnateli a leggere e scrivee vivificante. Lì faceva il
re, dove pareva che solo si
suo scarso pasto, e lì posapotesse attingere all’ esva sopra a un duro lettucDel filologo Francesco Filelfo,
senza dello spirito, non si
cio le poche ore della notdi
Cosimo
de’
Medici
sarebbe mai immaginato
te che concedeva al sonnemico.
che da questo luogo dono. Un silenzio sepolcrale
vesse uscire l’ olio che savi regnava, solo interrotto
rebbe stato versato su’ cardal suo digrignare i denti
boni ardenti coperti di cenere, e che do ch’ odiava e malediva.
e dalle sue risa sardoniche verso i
ne dovesse uscire un grand’ incendio.
Simigliante al drago che in oscura suoi emoli, a’ quali faceva spietataSì, erano veri carboni ardenti che i caverna sta a guardia dell’ agognato mente guerra con diatribe e satire
Medici radunavano intorno a’ capi tesoro, egli si chiudeva diffidente e scritte in latino. Trovare egli soltande’ loro nemici vendicandosi di loro sospettoso con triplice paletto alla to un sollievo in quelli studi che uccoll’ affetto col render loro servigi.
porta. Ogni piccolo rumore lo spa- cidono la mente ed il cuore, e in
Come un mago sedeva quell’ omi- ventava, figurandosi sempre insidie quegli sfoghi della sua collera ineciattolo magro della persona, di e assassinii, e credendo d’ esser solo stinguibile.
barba scura, d’ occhio cristallino, circondato da chi volesse sfrondare
Chi avrebbe dovuto essergli più
avvolto in una veste orientale a vivi la sua gloria e rubare i suoi preziosi caro, cioè chi calcava la via della sacolori, e quasi soffocato in mezzo a’ manoscritti, o innalzare sulla sua pienza, era il suo più mortale nemilibri ammonticchiati gli uni su gli tomba la propria rinomanza.
co; egli tacciava i letterati senza niualtri, come in un cerchio incantato
Passavano mesi e mesi senza ch’ e- na eccezione di sciocchi e d’ inerti,
e come trincerato contro d’ un mon- gli lasciasse quella stanza ammuffi- accusandoli d’ avergli rubato i suoi
Giuseppe Maria Gottardi
Francesco Filelfo, filologo
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
55
conversazioni bibliofile
pensieri e d’ essersi fatto un nome a
sue spese. Avea trattato per lungo
tempo e con una certa pacatezza col
Poggio, ma il suo umore strabiliare
non risparmiò alla fine neppur lui,
e ruppe senza coscienza i legami
dell’ ultima sua amicizia.
Il Poggio, dopo esser stato segretario di vari pontefici risolvé, pregato da Cosimo,
di venire a Firenze, di spogliarsi, col permesso della
curia romana, dell’ abito
da prete, e di prendere nella sua età senile una giovine sposa.
Un simil fatto fece grande istrepito, e questa coppia paragonavasi a Titone
e all’ Aurora, la quale lo
imbarbogerebbe e gl’ insegnerebbe col tempo a bever grosso.
Il Poggio per giustificarsi scrisse un opuscolo
latino indiretto a Cosimo,
nel quale discuteva: Se ad
un vecchio convenisse o no
il maritarsi.
Tale scritto piacevole,
spesso lepido, e di pura latinità, destò l’ ammirazione di Cosimo, il quale, onde ne dividesse seco
lui il piacere della lettura, lo mandò
al Filelfo che stava ritirato, sempre
covando in suo pensiero.
Costui ne riconobbe i pregi, ma
non padrone della sua forbice,
scrisse sul frontespizio a mo’ d’ osservazione presso il nome dell’ autore:
56
Presbiter esque canis; Sapiens est
captus Amore!
Presbiter, et votum? quone caput,
Sapiens?
Il Poggio ebbe sentore di questi
versi e pensò di non dovergli restar
debitore della risposta; scriveva
precisamente allora il suo libro delle facezie (Liber Facetiarum) nel
quale trovavansi de’ frizzi che per
verità sarebbero stati indegni della
bottega del Burchiello. Ne regalò al
Filelfo una copia in cui per derisione si scusa in versi latini d’ offrire
cose piuttosto indecenti ad un uomo
dotato di tanto pudore. Bisogna sapere che la moralità del Filelfo non
fu da giovine molto specchiata, come la sua origine non molto pura,
giacché era noto alle lastre che era figliuol d’ un frate e d’ una lavandaia.
Imperò, ne’ versi di dedica erano
i seguenti:
Es, Sapiens, purus castusque! par
esto parenti;
Is voluit castus, purus ut
illa fores.
Il Filelfo leggendoli fremette di rabbia e non indugiò a scrivergli delle
lettere una più triviale
dell’ altra, colle quali l’ accusava delle cose più vergognose e perfino di misfatti. Non avea più riguardo nessuno neppure
degli uomini di nascita illustre né degli stessi principi a’ quali dava carico di
colpevole inerzia per non
far cercare ovunque que’ manoscritti muffiti capaci
d’ immortalare, e in cui
dicea trovarsi tutti i lumi
della civiltà, invece di perdersi nel protegger gli artisti. Egli osava dire apertamente
ch’ essi non poteano avere né sapienza né virtù di sovrani se non
sapesser di Greco e non avesser imparato le aurea massime sulle ingiallite cartapecore. Ma i principi amici de’ sapienti non erano amici
suoi, perché essi distribuivano i loro tesori scientifici oltre a lui ancora agli altri, i cui manoscritti si era2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
conversazioni bibliofile
no procurati a prezzi enormi; e tra
questi il meno che egli amasse fu
Cosimo.
Qual differenza tra i due scrittori!
Il Poggio afferma che dalla più tenera età Cosimo s’ era dedicato agli
studi severi e ch’ avea reso col suo esempio tutto il suo splendore alla
scienza; e benché fosse occupatissimo nella gestione delle pubbliche
faccende, che toglieva una gran
parte del suo tempo a’ libri, ciò
nondimeno trovava un grandissimo sollievo nel conversare co’ dotti i quali continuamente frequentavano la sua casa.
Il Filelfo scriveva: Cosimo benché sembri d’ amarmi molto, tuttavia lo giudico un simulatore e un
piaggiatore. Il suo contegno è stato
fin ora apparentemente tranquillo,
per non far leggere i suoi pensieri
né da famigliari né da gl’ intimi;
non havvi cosa di cui io meno mi
fidi quanto della sua amicizia, perché so per esperienza quante gli siano odiosi i sapienti. La sua affabilità per me m’ è stata testimoniata
dall’ assassino Filippo; egli servesi
di pugnali e di veleni; io d’ idee e
della penna.
Era Filippo Lippi ch’ aveva il pugnale, creduto dal sospettoso filologo che contro di lui fosse diretto.
Teodora figlia del greco sapiente
Crisolora vedeva che l’ attaccamento del Filelfo suo marito era per lei
affatto spento appena che fu montato in fama; essa languiva nella sua
cella solitaria come una monaca,
quantunque il fuoco della gioventù
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
le permettesse ancor di poter pretendere a’ godimenti della vita. E
chi oserebbe accusarla se cercasse
d’ attrarsi l’ attenzione de’ giovani,
quando colui al quale sarebbe dovuta unicamente appartenere, l’ aveva già da lungo tempo posposta
a’ suoi libri?
Il Lippi per lo contrario avea posposto alla bella Teodora i suoi voti.
Il Filelfo sognando sempre assassini e pugnali, un giorno udì
sull’ imbrunire un certo rumore che
lo sorprese; parvegli di sentire distintamente che s’ appoggiasse una
scala al muro della casa, che s’ aprisse una finestra e che si passeggiasse
in punta di piedi, il che gli fe credere senza dubbio che fossero entrati
dei ladri. Pianamente s’ accostò e
sorprese il Lippi tutto stonato e tremante:
— Chi sei? Che vuoi? gridò il Filelfo con voce stridula; ed il Lippi che
riconobbe in lui il marito, confessò
francamente essere un pittore che
lavorava al servigio di Cosimo de’ Medici.
— Dimmi – lo interruppe l’ altro –
che forse Cosimo t’ ha mandato per
derubarmi i manoscritti e darli a
un Poggio, a un Aurispa o ad un
Niccolini, e così strapparmi gli allori e farne delle corone ai miei rivali?
Il Lippi gongolante d’ aver trovato
il modo di sviare il sospetto della
sua visita misteriosa, e sembrandogli più conveniente nella sua qualità di frate di prendersi la posola di
ladro, confermò il sospetto del Filelfo, il quale mentre tenealo stretto
con una mano, coll’ altra tiravagli di
sotto la cocolla un pugnale. Era
quel medesimo che il Lippi aveva
ricevuto dal re Moro e che portava
d’ allora in poi in memoria dell’ inaspettata liberazione; ed ora pure ei
doveva a quel pugnale se non tutta
almeno la metà della sua salvezza.
— Quest’ arma, gridò il Filelfo,
gronderà del tuo sangue se ti metti
al niego! Dimmi, non tel dié Cosimo per assassinarmi?
In questo frattempo un raggio di
luna penetrato dalla finestra ripercosse sul lucido acciaro alzato sul
petto del pittore: il quale balbettando tronche parole non osò contraddire; ciò bastò al furioso Filelfo, e
lasciandolo partire senza fargli alcun male, gli soggiunse soltanto:
— Ringrazia da mia parte i Medici
d’ avermi mandato quest’ arme perché in un governo simile fa d’ uopo
tenersi armati in casa propria, nel
proprio studio.1❧
Giuseppe Maria Gottardi
1 - Il racconto, secondo Ernst August Hagen, risulta tratto da una Cronaca del Secolo XV di
Lorenzo Ghiberti ed appare nella prima traduzione italiana in Firenze, Per L’ Agenzia Libraria
nel 1845. Tuttavia, nella nota degli Editori di
questa traduzione si legge: «Piacque al Sig.
Hagen di far passare questo suo lavoro come una
traduzione del Ms. attribuito al Ghiberti; ma il
fatto sta che, tolti i tre brani riportati qui addietro
(nella Prefazione), tutto il rimanente è lavoro originale e di sua invenzione.»
57
Biblioteca mon amour
Questa rubrica è a disposizione della Biblioteca civica «G.Tartarotti» di Rovereto
L
a maggioranza Le due opere volgari del Petrarca il Canzoniere e moso Vaticano Latino 3195
delle edizioni ap- i Trionfi vengono quasi sempre stampate assieme, conservato alla Biblioteca Apare vicina al mo- e quando non lo si faccia si predilige sempre la postolica Vaticana). Il testo idello del libro scolastico, non stampa dei Trionfi che nel Quattrocento hanno noltre rispecchia persino
a quello del libro di lettura: un successo enorme: si pensi che solo la tradizione l’ ortografia e la punteggiatuquesto perché Petrarca era manoscritta conta circa quattrocento testimoni ra dell’ originale quasi che
considerato un auctor, un interi o parziali dell’opera. Il Canzoniere venne fosse un’ edizione diplomatiautore latinamente inteso, stampato 27 volte (un quarto circa degli incunaboli ca del manoscritto. Il libro ha
quindi un’ autorità letteraria contenenti rime, stampati in Italia) e rappresentò uno stile molto elegante e
indiscussa. Perciò il testo
sfarzoso così da colpire a colil vero best-seller dell’epoca.
volgare era quasi sempre acpo d’ occhio ogni suo lettore.
compagnato da un commento.
sterno del commento, ciascuna delLe edizioni sopra citate, prive di
I libri stampati erano strutturati le quali rappresentava un argomen- commento, vengono stampate seproprio come un libro scolastico: to, cosicché il lettore poteva scorre- condo il modello dei grandi canzogrossi in folio, testo posto al centro re il testo ricercando l’ argomento nieri manoscritti provenzali: eledella pagina e grossi margini per- che più gli interessasse.
ganti e ariosi in folio, scritti con acché il commento vi fosse stampato
Delle 27 edizioni stampate fino al curatezza, con il testo disposto a
attorno. La pagina aveva così una 1500 compreso, solo quelle del piena pagina, con ampi margini
struttura ideale per la lettura a se- 1470, le due edizioni del 1473 (Ve- (cosicché il lettore possa inserire
zioni: l’ occhio del lettore poteva an- nezia, G. Pietro e Roma, J.P. De Li- proprie note e riflessioni), le iniziadare dal testo – di norma stampato gnamine) e le edizioni del 1474 e li dei testi sono miniate in rosso o
con caratteri più grandi – al com- del 1477 vengono stampate secon- turchino.
mento, leggerlo, e quindi tornare di do il modello moderno dei libri di
Nelle edizioni commentate l’ ornuovo al testo. Dopo il 1488 tutte le rime: grandi in folio (ad eccezione dinamento del testo è sempre lo
edizioni commentate furono dotate della princeps del 1470 stampata in stesso.
anche di indici analitici riguardo a- quarto).
Delle edizioni non commentate,
gli argomenti trattati nel commenL’ edizione del 1472 è l’ unica che la princeps e le edizioni romane del
to. L’ indice era costituito da lettere discende direttamente dal mano- 1473 seguono la forma malatestiache venivano poste sul margine e- scritto originale di Petrarca (il fa- na del Canzoniere, mentre l’ altra eFabio Casna
Tre incunaboli petrarcheschi
58
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
Riporto per comodità del lettore la descrizione fatta da Armando Petrucci
del libro scolastico manoscritto, che vale anche per i primi incunaboli stampati fino agli anni Novanta del
Quattrocento: «il libro scolastico, prodotto in ambiente universitario, le cui
caratteristiche principali sono il grande
formato (in folio massimo, per intenderci), la disposizione del testo su due
colonne, la presenza di grandi margini
esterni e inferiori […] utilizzabili per il
commento, la ornamentazione di gusto
gotico con iniziali filettate in rosso e
turchino, rubriche in colore rosso, ecc.
Si tratta di un modello di codice nato in
ambiente universitario fra XII e XIII secolo e sopravvissuto nello stesso ambiente sino a tutto il Quattrocento; non
a caso la scrittura adoperata in tali manoscritti è, anche negli esempi più tardi,
quasi esclusivamente la gotica. Se vogliamo dare a questo genere di libro un
nome che bene ne rappresenti il tipo e
che serva a richiamare l’ambiente di
produzione e di consumo, possiamo a
ragione definirlo “libro da banco”. […]
Tutti ammettono, in modo generico,
che i prototipografi modellarono i primi incunaboli sui modelli offerti dai libri manoscritti in uso in Europa alla
metà circa del secolo XV, di cui essi imitarono struttura, formati, impaginazione, organizzazione del testo, sistema di
indici e di rubriche, colofoni (che rappresentano la trasposizione della sottoscrizione del copista), ornamentazione
e perfino sistema di preparazione a foglio intero, già in uso, sia pure eccezionalmente, in alcune officine scrittorie
all’inizio del Quattrocento» (Alle origini
del libro moderno: libri da banco, libri di
bisaccia, libretti da mano, in Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento. Guida
storica e critica, a cura di A.P., Laterza,
Roma-Bari 1979, pp. 141-143).
dizione del 1473 segue un ordine
proprio (le rime sono state probabilmente ordinate dal curatore del
testo secondo la propria volontà), le
edizioni del 1472, 1474 e 1477 sono
ordinate invece secondo il manoscritto originale del Petrarca.
Questo ordinamento non viene
mai rispettato dagli altri curatori
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
degli incunaboli petrarcheschi, e
solo dopo l’ edizione del 1501 delle
Cose volgari del Petrarca curata da
Pietro Bembo per i tipi di Aldo Manuzio a Venezia, esemplata sull’ originale, gli stampatori seguiranno
questo ordinamento, rispettando la
volontà dell’ autore.
Inoltre l’ originale è suddiviso in
due parti, che i critici hanno denominato in vita e in morte di Laura:
questa bipartizione viene rispettata
solo nell’ edizione commentata del
1488 e nelle edizioni 1472, 1474 e
1477.
Questo fatto non sorprende più
di tanto poiché il commento del Filelfo, stampato nel 76% della tradizione a stampa quattrocentesca, riteneva che fosse stato un tardivo, ignorante ed anonimo collettore
delle sue rime ad ordinare il Canzoniere. Inoltre il testo fissato dal Filelfo costituiva la vulgata prima
dell’ intervento di Pietro Bembo e
Manuzio.
Resta però il fatto che nella tradizione manoscritta questa divisione
viene più o meno rispettata e inoltre i grandi rimatori quattrocenteschi (ad esempio Boiardo) nei loro
canzonieri che costruiscono sul
modello petrarchesco inseriscono
quasi sempre una divisione in tempi (vita/morte, presenza/assenza
della donna amata). Ciò dimostra
che la tendenza prevalente era quella della bipartizione del Canzoniere.
Dopo questa generale disamina
delle caratteristiche della stampa
degli incunaboli petrarcheschi, ve-
niamo ad indicare e catalogare i tre
incunaboli presentati nella raccolta
della Biblioteca Civica di Rovereto.
1. [Canzoniere e] Triumphi.
[comm. Francesco Filelfo, Girolamo Squarciafico, Bernardo di Pietro Lapini da Montalcini]. Venezia,
Bernardino da Novara, 1488[-86].
(IGI 7552, 7533; ISTC ip00385000)
2. [Trionfi e Canzoniere]. [comm.
Francesco Filelfo, Girolamo Squarciafico, Hieronymo Centone, Bernardo di Pietro Lapini da Montalcino, Gabriele Bruno]. Venezia, Giovanni Capsaca, 1) 12 gennaio
1492/93 2) 28 marzo 1493. (IGI
7554, 7536; ISTC ip00388000)
3. Trionfi e Canzoniere. [comm.
Francesco Filelfo etc.; Bernardo di
Pietro Lapini da Montalcino]. Venezia, Leonardus Wild, 1481. (IGI
7531, 7547; ISTC ip00382000)1
Il terzo testo, l’ edizione del 1481,
risulta composto solo dal testo dei
Trionfi, quindi mancante della prima parte contenente i Rerum Vulgarium Fragmenta. Come testimonia il catalogo degli incunaboli presenti nella Biblioteca Civica di Rovereto2, questa copia entra in pos1 - I tre esemplari vengono citati in forma compendiosa da Klaus Ley, Die Drucke von
Petrarcas “Rime”. 1470-2000. Synoptische
Bibliographie der Editionen und Kommentare,
Bibliotheksnachweise, Verlag, HildesheimZürich-New York 2002: si tratta rispettivamente
dei numeri 32 (pp. 45-48), 37 (pp. 52-54) e 21
(pp. 35-36) del catalogo.
2 - Gli incunaboli della Biblioteca civica e
dell’ Accademia degli Agiati di Rovereto, catalogo
a cura di Anna Gonzo e Walter Manica, prefazione di Piero Innocenti, con contributi di
Gianmario Baldi, Lorena Dal Poz e Cristiana
Arlango, Provincia Autonoma di TrentoServizio Beni librari e archivistici, Trento 1996,
p. 119.
59
biblioteca mon amour
La stampa
Tra il 1452 e il 1455 Johann Gutenberg pubblicò il primo libro stampato con caratteri mobili, la cosiddetta
Bibbia a 42 linee, a Magonza in Germania. Da qui
ebbe inizio la nuova arte di scrivere in maniera artificiale, definita latinamente ars artificialiter scribendi1. In un primo momento la stampa a caratteri mobili si diffuse a Strasburgo e a Bamberga, ma dopo
che le truppe dell’elettore di Sassonia, Adolfo di Nassau, nel 1462 saccheggiarono la città si verificò un
grande esodo della popolazione ed anche dei primi
tipografi, che portarono la nuova arte in giro per
l’Europa. In Italia la stampa fu introdotta, come recentemente dimostrato da Piero Scapecchi (2001),
nel 1463 da uno stampatore itinerante di passaggio a
Bondeno, in Emilia, che approntò un libro devozionale illustrato con il testo scritto in volgare italiano
(di questa opera si è però conservato solo un frammento, noto con il nome di Parsons-Scheide). Come
scrive lo studioso, «siamo in presenza di un tipografo ambulante che lavora con un torchio portatile dotato di una platina di dimensioni ridotte e che stampa un testo in volgare italiano da unirsi alle illustrazioni, la cui produzione e diffusione è indipendente
dal testo (sia esso manoscritto o tipografico, tedesco
o italiano)»2. Sicuramente la prima impresa tipogra1 - Sulla storia del libro e della stampa si rinvia ai classici volumi di
Fréderic Barbier, Storia del libro. Dall’antichità al XX secolo, postfazione di Mario Infelise, Dedalo, Bari 2004, e Marco Santoro, Storia
del libro italiano. Libro e società in Italia dal Quattrocento al nuovo millennio, Editrice Bibliografica, Milano 2008. Si veda anche l’agile manualetto di Fabio M. Bertolo, Paolo Cherubini, Giorgio Inglese,
Luisa Miglio, Breve storia della scrittura e del libro, Carocci, Roma 2004
(in particolare il saggio di Bertolo, Il libro a stampa, alle pp. 85-115).
2 - Piero Scapecchi, Subiaco 1465 oppure [Bondeno 1463]? Analisi del
frammento Parsons-Scheide, in «La Bibliofilia», 103 (2001), pp. 1-24, a
p. 6. Circa il contenuto di questo frammento, si tratta delle Meditazioni
sulla Passione di Cristo, un testo «che si rifà evidentemente ad un modello di devotio moderna, originario dell’Europa settentrionale, diffuso
in quegli anni in Italia anche attraverso gli scritti del beato domenicano
Enrico da Suso (sepolto nella chiesa dell’Ordine in Ulma) […]. Le
Meditazioni sulla Passione fanno parte di una serie di proto stampe tipografiche, ben note agli incunabolisti, che sono attualmente classificate e catalogate in base al rapporto illustrazione/testo. Alle illustrazioni
della Passione (quattro bifogli più una carta isolata aggiunta, per com-
60
fica stabile fu quella impiantata da Konrad
Sweynheym ed Arnold Pannartz, che fra 1464 e 1465
si stabilirono a Subiaco nel Lazio. Il motivo che spinse i due chierici a spostarsi dalla Germania fino al
monastero benedettino di Subiaco resta avvolto nel
mistero, benché siano state date numerose interpretazioni. Il primo libro stampato risulta essere un Donatus in 300 esemplari, ossia una rudimentale grammatica latina utilizzata per dare i primi rudimenti ai
novizi, ma di questa stampa non resta nessun esemplare. Successivamente i due monaci stamparono un
De oratore di Cicerone e il De civitate Dei di sant’Agostino. La stampa si diffonde poi nei maggiori centri della penisola: soprattutto nel centro-nord, ma
anche con sporadiche incursioni nel meridione (Napoli innanzitutto). La produzione tipografica quattrocentesca italiana è caratterizzata da una forte
frammentazione (ben 78 sono i centri tipografici attivi nella penisola nel solo XV secolo) dovuta spesso
alle richieste di un pubblico eterogeneo. Prima che il
mercato librario divenisse appannaggio solo dei
maggiori centri italiani (Venezia, seguita poi da Roma, Milano e Firenze) vi fu spazio per molte realtà
locali legate ad una produzione di tipo marcatamente regionalistico con sporadiche aperture al mercato
esterno (anche internazionale). La produzione di incunaboli tra 1470 e 1498 presenta due momenti di
accelerazione tra il 1470-1475 e il 1486-1491 (+30%),
ai quali si alternano fasi di stagnazione. Ma – viene
spontaneo domandarselo – quali furono le opere e
gli autori della letteratura italiana più stampati? «Per
quanto riguarda le opere, la classifica dei primi trentanove best-seller è dominata non dai libri freschi
d’inchiostro, bensì dai testi antichi e medievali a
plessive 16 incisioni da matrici metalliche) venne interfogliato il testo
tipografico delle meditazioni, impresso a caratteri mobili (quattro bifogli) e si ebbe un volume composto di 17 carte (16 + 1). Del volume originale si conservano oggi otto carte (sei con testo e due con illustrazioni; di queste ultime, una sola è integra» (pp. 2-3). Scapecchi conclude la
propria analisi datando il frammento al biennio 1463-1464.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
contenuto morale e spirituale»: Petrarca si trova solo al quinto posto, a molta distanza si trova il Dante
della Commedia, poi Boccaccio e il Morgante di Luigi Pulci. «Se si passa alla classifica degli autori che
scrissero in volgare o che furono oggetto di
volgarizzamenti, il panorama si precisa. Il primo
posto risulta indiscutibilmente occupato da Girolamo Savonarola: l’autore contemporaneo che più di
ogni altro, in Italia, seppe sfruttare le potenzialità
offerte dalla tipografia nell’attività di propaganda
religiosa e politica (ammontano a 97 le edizioni incunabole delle sue varie opere in volgare). A grande
distanza da Savonarola si collocano tutti gli altri autori le cui opere ebbero almeno dieci edizioni; tra
questi spiccano le “tre corone” Dante, Petrarca e
sesso della biblioteca fra il 1935 e il
1955 e riporta la segnatura “Ar III 2
3”. Come era comune nelle edizioni
quattrocentesche non vi è frontespizio ed il testo comincia in medias
res con la dedica del commento di
Bernardo Ilicino al signore di Ferrara Borso d’ Este:
D. Illustrissimum Mutine Ducem
Divum Borsium Estensem Bernardi
Glicini Medicine ac philosophie discipuli in triumphorum CL. P. Fra.
Petrarce expositio incipit (c. 1r).
Segue il proemio e poi dalla carta
successiva (c. 1v) inizia il vero e
proprio commento con il testo circondato da 56 linee di annotazioni
molto fitte a piena pagina. Il colophon, mancante nella copia roveretana, recita:
Finisse il commento deli triumphi
del Petrarcha composto per il prestantissimo philosopho chiamato
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Boccaccio – considerando sia le opere autentiche
sia gli scritti falsamente loro attribuiti –, e Antonio
da Firenze, teologo e arcivescovo quattrocentesco
che compose numerosi volumi dedicati soprattutto
al sacramento della confessione»3. Come si è appena accennato, le edizioni delle “tre corone” all’interno del panorama della stampa quattrocentesca appare comunque fertile e soprattutto le maggiori
opere di Dante (Commedia), Petrarca (Canzoniere e
Trionfi) e Boccaccio (Decameron) risultano stampate con rigore e maggiore attenzione rispetto ad altre opere volgari e latine coeve.
3 - Edoardo Barbieri e Erminia Irace, L’Italia degli incunaboli, in
Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele
Pedullà, I: Dalle origini al Rinascimento, a cura di Amedeo De
Vincentiis, Einaudi, Torino 2010, pp. 525-530.
messer Bernardo da Sena. Impresso
nella inclyta citta da Venexia per Leonardum Wild de Ratibona nelli anni del Signore MCCCCLXXXI (c.
179r).
La copia si dimostra interessante
soprattutto per le molte note marginali ed i segni di richiamo posti
nei margini laterali, datate al XVI
secolo. Vi sono anche sporadiche
note dei secoli successivi. Come
scrive il Marsand (1820), citato nel
catalogo di Klaus Ley, «i caratteri di
tutta l’ opera, ch’ è in foglio, sono semigotici. L’ edizione oltreché è brutta,
è anche guasta nella lezione e molto
scorretta. Pure non è delle più facili a
ritrovarsi tra quelle del secolo quintodecimo». Il giudizio del Marsand
sulla scorrettezza del testo e sui numerosi errori commessi dal curatore dell’ opera sono dimostrati dagli
studi di Paolo Trovato, che ritiene
questa edizione essere una copia
dell’ edizione veneziana del 1478
(Teodoro da Rijnsburg e Rinaldo
da Nimega)3.
Passiamo ora al secondo testo,
l’ edizione veneziana del 1492-1493
segnata “Ar III 2 7” presso la Biblioteca roveretana. Il testo risulta diviso in due parti: la prima contiene il
testo dei Trionfi con il commento di
Bernardo Ilicino (stampato nel
1492), mentre la seconda il testo del
Canzoniere con il commento di
Francesco Filelfo (stampato nel
1493). La prima carta della copia risulta mancante, ma citiamo l’ incipit
dal catalogo Gonzo-Manica:
Ad illustrissimum Mutinae ducem
divum Borsiam Estensem Bernardi
3 - Paolo Trovato, Le vulgate quattrocentesche
delle tre corone (1470-1500), in Id., Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali
dei testi letterari italiani (1470-1570), il Mulino,
Bologna 1991, p. 125.
61
biblioteca mon amour
Ilicini medicinae ac philosophiae discipuli in triumphorum clarissimi
poetae Francisci Petrarchae expositio incipit.
L’ explicit della prima parte recita:
Finit Petrarcha nuper summa diligentia a reverendo P. ordinis minorum magistro Gabriele Bruno veneto terrae sanctae ministro emendatus anno domini MCCCCLXXXXII
die XII Ianuarii (c. 128r).
Segue il registro e alla carta successiva l’ indice analitico con i riferimenti ai temi trattati nel commento con questa premessa: «Azo
che tu el qual ne l’ opra dil glorioso
Petrarcha con minore difficultà possi
ritrovare le historie e fabule over notande sententie in lo suo comento
tanto in li soneti quanto in li triumphi questo ordine atenderai che le
lettere poste nel principio di la linea
denotano lo alphabeto posto nel
margine di esso comento il numero
in fine di esse linee denota le carte
del libro: comme oculta fide vederai». Inizia quindi la seconda parte
con il proemio di Francesco Filelfo
e la dedica del commento a Filippo
Maria, duca di Milano:
Prohemio del prestante Oratore e
poeta Misser Francescho Philelpho
al illustrissimo et invictissimo principe Philippo Maria Anglo Duca de
Milano circa la interpretatione per
lui sopra li sonetti e canzone de misser Francesco Petrarcha facta.
Al sonetto CVIII si interrompe il
commento del Filelfo e comincia
quello di Girolamo Squarciafico come rammenta il testo:
62
SEGUITA la interpretatione di
Hyeronimo Squarzafico Alexandrino
sopra el resto della presente opera.
L’ ultima carta è rovinata e non si
riesce a leggere completamente il colophon4, ma si può invece vedere la
marca tipografica (oggi diremmo il
logo) dello stampatore che riporta le
tre lettere MCP, ossia ‘ Matteo Codeca parmense’ . Questa copia è interessante per due motivi: tra le carte
di guardia anteriori è stato inserito
un foglio in pergamena proveniente
da un codice, usato come carta di
guardia nella legatura coeva con testo manoscritto (scrittura gotica del
XIV secolo) su due colonne, in latino, di argomento giuridico; alla fine
vengono aggiunte quattro carte manoscritte (XVIII sec.) che riportano i
capoversi dei sonetti e delle canzoni
e alcune note sul commento di Francesco Filelfo. Vi sono poi note marginali del XVI sec. (la prima parte
viene annotata solo nelle prime 14
carte). Nella seconda parte vi sono
sei silografie a piena pagina e spazi
capitali con lettere guida per successive miniature, però non realizzate.
Da un punto di vista testuale, questa
edizione è molto scorretta ed infatti
viene annoverata da Paolo Trovato
fra le «pessime edizioni veneziane»
assieme a quelle del 1494 e del 14975.
Veniamo infine alla prima edizio4 - Trascrivo il colophon dal catalogo Ley, p. 53:
Finisse gli sonetti di Misser Francescho Petrarca
corei e castigati per me Hieronymo Centone
Padovano. Impressi in Venetia per Ioanne di co de
ca da Parma. Nel MCCCCLXXXXIII. Adi xxviii
de marzo. Regnante lo inclito e glorioso principe
Augustino Barbadico.
5 - P. Trovato, Le vulgate quattrocentesche, p. 128.
ne indicata. Si tratta dell’ incunabolo segnato “Ar III 2 6”, diviso in due
parti: la prima contiene i Trionfi
con il commento dell’ Ilicino, la seconda il Canzoniere con il commento del Filelfo e dello Squarciafico. Al contrario di molte edizioni
quattrocentesche qui compare un
rudimentale frontespizio con la laconica titolazione Triumphi del Petrarca. Nella parte dedicata ai Rerum Vulgarium Fragmenta non
compare invece alcun titolo, ma solo una carta bianca a segnalare il
passaggio da un’ opera all’ altra. Il
Prologus dei Trionfi inizia con il solito incipit:
Ad illustrissimum Mutinae Ducem divum Borsium Estensem Bernardi Ilicini medicinae ac philosophiae discipuli in triumphorum clarissimi poetae Francisci Petrarchae
expositio incipit.
Segue il testo con il commento.
Alla c. 149v l’ explicit seguita dal registro:
Finisse il commento delli triumphi
del Petrarcha composto per il prestantissimo philosopho Misser Bernardo da monte Illicino da Siena.
Impresso in Venitia con grande diligentia per Bernardino da Novara
nelli anni del nostro Signore MCCCCLXXXVIII. adi xviii Aprile.
Riprende poi la numerazione da
1 delle carte nella seconda parte.
Dopo c. 1r bianca, segue a c. 1v il
Prohemio del prestante Oratore e
poeta Messer Francesco Philelpho al
illustrissimo e invictissimo principe
Maria Anglo Duca de Milano circa
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
la interpretatione per lui sopra gli sonetti e canzone de messer Francesco
Petrarcha facta.
Segue il vero e proprio commento: Incominciano li sonetti con canzoni dello egregio poeta messer Francesco Petrarcha con la interpretatione dello eximio et excellente poeta
messer Francesco Philelpho allo invictissimo Philippo Maria duca di
Milano (c. 2r).
Il colophon recita: Finisse gli sonetti di Messer Francesco Petrarcha
impressi in Venetia per Bernardino
da Novara nelli anni MCCCCLXXXVIII a di xii zugno Imperante il Serenissimo Augustino Barbadico.
Segue il Registro delli sonetti. Nella parte dedicata ai Trionfi vi sono
cinque lettere miniate decorate in
oro su campo blu, verde e rosso filettato in bianco e giallo; vi sono inoltre silografie acquarellate, segni
di paragrafatura, capilettera in blu e
rosso, alcuni ritoccati in bianco.
Questo esemplare si impone per
importanza sopra gli altri due posseduti dalla Biblioteca Civica per il
fatto di aver una ricca decorazione
miniata e perché le silografie sono
state acquarellate. Come scrive Paolo Trovato, «notevole è anche la
stampa immediatamente successiva, 1488. Nell’ officina del Rizzo si
incrementa il tasso degli errori e dei
settentrionalismi (un caso di de per
di, un raddoppiamento ipercorrettistico, varie de geminazioni, una II
plur. in -eti e un’ uscita non anafonetica in -egli). Ma il curatore, per
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
conto del Rizzo, di 1488 provvede a
collazionare il testo petrarchesco
con una fonte completa e aggiunge,
tra CCCLIII e CCCLXVI, i sonn.
CCCL e CCCLI. Va inoltre a merito di 1488 la correzione o quanto
meno la tentata correzione di vari
errori di 1486 (e, spesso, di tutta la
tradizione precedente). […] La presenza di un revisore è cioè ancor
più scoperta che in 1486. Ed ecco, a
confortarci, un incremento degli
interventi meramente linguistici.
[…] Le “correzioni” non sono sistematiche, ma tendono ad addensarsi
in certe zone del testo»6, dovute alla
divisione del lavoro tipografico.
Come si è visto i tre incunaboli
roveretani sono accomunati dal fatto di essere tutti testi commentati e
quindi di risalire alla tipologia testuale del libro scolastico. Fino alla
fine del Quattrocento, come scrive
Paola Vecchi Galli, «il commento rispecchia ancora, nella dispositio, lo
schema del commento latino medievale: è commento “continuo”, a volte
commento “multiplo”, così come è
previsto per i classici latini e greci»7,
ma bisogna sottolineare anche il
fatto che Dante come Petrarca sono
i primi ‘ classici’ volgari ad essere
commentati e, mentre per la Commedia dantesca i primi commenti
sono quasi coevi, per Petrarca bisogna attendere almeno l’ avvio del
6 - Ivi, pp. 125-127.
7 - P. Vecchi Galli, Petrarca fra Tre e
Quattrocento, in Storia della letteratura italiana,
diretta da Enrico Malato, XI: La critica letteraria
dal Due al Novecento, coordinatore Paolo
Orvieto, Salerno, Roma 2003, p. 181.
Quattrocento per averne i primi esempi.
Se per Dante il mezzo di diffusione permane per molto tempo la
tradizione manoscritta, per l’ altra
corona fiorentina il mezzo della
stampa diventa presto il mezzo
principe di diffusione.
Vengono pubblicati nel giro di
cinque anni quattro commenti:
«nel 1473 il commento ai Triumphi
del cosiddetto “Anonimo del Portilia” (Parma, Andrea Portilia, 1473);
forse nel 1475 il commento ai
Triumphi di Bernardo Ilicino (Bologna, [Annibale Malpigli]); nel
1476 il commento al Canzoniere di
Francesco Filelfo (Bologna, Annibale Malpigli e Sigismondo de’ Libris); nel 1477 il commento dello
pseudo-Antonio da Tempo (Venezia, Domenico Siliprandi, 1477).
Nel 1478 un’ edizione di tutto il
Petrarca volgare (Triumphi e Canzoniere), con i commenti “principi”
dell’ Ilicino e del Filelfo, è pubblicata in Venezia, “per Theodorum de
Reynsburch e Reynaldum de
Nouimago”»8.
Il commento principe al Canzoniere e quello che viene considerato
il più irriverente e divertente è quello di Francesco Filelfo (1398-1481)9
8 - Ivi, p. 182.
9 - Sulla vita e le opere si veda Paolo Viti,
Filelfo, Francesco, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana,
Roma 1997, 47, pp. 613-626. Si veda inoltre il
profilo tracciato da Francesco Tateo,
Francesco Filelfo tra latino e volgare, in Francesco
Filelfo nel Quinto Centenario della morte, Atti del
XVII Convegno di studi Maceratesi (Tolentino,
27-30 ottobre 1981), Antenore, Padova 1986, pp.
61-87. Sulla tradizione testuale rimando a
63
biblioteca mon amour
nato all’ interno della corte milanese di Filippo Maria Visconti ed a lui
dedicato, steso fra il 1444 e il 1447,
ma lasciato incompleto (termina
con il commento del sonetto 136).
Verrà nel 1484 ultimato da Girolamo Squarciafico.
Il commento filelfiano è «lontanissimo da schemi di interpretazione
allegorica»10 e tenta soprattutto
un’ interpretazione lineare, quasi
che ciò che dicesse Petrarca non avesse bisogno di alcuna intermediazione critica.
Il commento è rivolto agli uomini della corte, a chi cioè non fosse
umanisticamente attrezzato: al lettore si offre una interpretazione letterale, senza fantasiose teorizzazioni o divagazioni.
Concede largo spazio all’ analisi
di fonti erudite (Omero, Erodoto,
Tucidide, Aristotele, Platone, Tolomeo, etc.), e riesce ad isolare, anche
se con una certa ilarità e volgarità, il
tema cardine del Canzoniere nell’ amore per Laura.
Come scrive Belloni, «il Filelfo sa
riconoscere aspetti essenziali della
poesia del Petrarca e centra bene che
nota dominante nel Canzoniere è il
conflitto o contrasto interiore di sentimenti, fra piacere e malinconia»11.
Rossella Bessi, Sul commento di Francesco
Filelfo ai «Rerum Vulgarium Fragmenta», in
Ead., Umanesimo volgare. Studi di letteratura fra
Tre e Quattrocento, Olschki, Firenze 2004, pp.
23-61.
10 - Gino Belloni, Commenti petrarcheschi, in
Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, con la collaborazione di
Armando Balduino, Manlio Pastore Stocchi,
Marco Pecoraro, Utet, Torino 1986, II, p. 25.
11 - Ivi, p. 26.
64
Riconosce inoltre che il volgare è
diventato lingua d’ arte e non riesce
a sopportare il debole amante Petrarca, che considera la sua disperazione amorosa quasi una fictio insostenibile.
Benché non amasse particolarmente le poesie amorose di Petrarca, Filelfo nel commento lascia trasparire il suo amore per la sua poesia politica e in particolare per la
canzone Italia mia (128) afferma:
«L’ ingegno del Petrarca, quantunque
in tutti gli amorosi sonetti e canzoni
hauti di sopra mi paia singulare, pur
in questa vigesima sexta canzone il
giudico di maravigliosa leggiadria
ornato».
Questo giudizio corrisponde al
gusto imperante nella prima metà
del Quattrocento, dove si amavano
molto le poesie enigmatiche, sorprendenti e insieme realistiche (si
pensi proprio al fatto che in quell’ epoca storica trionfò e fu molto emulata la poesia del Burchiello).
L’ altro commento “principe” del
Quattrocento è quello di Bernardo
Lapini, detto Ilicino (1418/14331476)12, medico e artista senese.
Il commento ai Trionfi fu composto fra il 1465 e il 1470. Quando lo
12 - In generale si veda Cesare Vasoli,
Bernardo da Siena, detto Illicino, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma 1967, 9, pp. 290291. Sulla fortuna del commento iliciano si vedano Valerie Merry, Una nota sulla fortuna del
commento di Bernardo Ilicino ai «Trionfi» petrarcheschi, in «Giornale storico della letteratura
italiana», 163 (1986), pp. 235-246, e Leonardo
Francalanci, Il commento di Bernardo Ilicino
ai «Triumphi» di Petrarca e la sua diffusione europea: alcune questioni di metodo, in «Studi di filologia italiana», 64 (2006), pp. 143-154.
concluse si trovava a Ferrara, per
questo fu dedicato al duca Borso
d’ Este, e venne pubblicato ventitré
volte fra il 1475 e il 1522 (la prima
edizione venne stampata a Bologna).
L’ importanza del testo risiede soprattutto nel fatto che sia un testo
amplissimo: come sottolinea Dionisotti, «uno dei più ampi testi volgari quattrocenteschi»13.
Nel testo l’ Ilicino si presenta come un vero e proprio medico (methodico e filosofo) e si dichiara idoneo ad assumere la mansione di
medico di corte, nonché offre la
possibilità di diventare precettore
del principe (forse proprio per questo l’ Ilicino è spinto a comporre un
commento al Petrarca). Inoltre il
poeta toscano viene presentato anche lui come soggetto degno di corti e principi.
Secondo l’ Ilicino, il Petrarca è un
poeta nazionale («notissimo era et
carissimo a tutti gli signori di Italia») e tutte le corti italiane ne riconoscevano il valore: egli è innanzitutto un poeta settentrionale e curiale, degno di fregiare lo stato di
un grande signore quale era Borso
d’ Este.
L’ Ilicino chiede protezione al signore di Ferrara per lui e per l’ altro
toscano, il cui valore non era stato
riconosciuto nella città di Firenze e
invita così gli Estensi a fare proprio
13 - Carlo Dionisotti, Fortuna del Petrarca
nel Quattrocento, in Id., Scritti di storia della letteratura italiana, IIII: 1972-1998, a cura di Tania
Basile, Vincenzo Fera, Susanna Villari, Edizioni
di Storia e Letteratura, Roma 2010, p. 101.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
il Petrarca e a sostituirsi ai signori
di Milano, che avevano fatto redigere dal padre dell’ Ilicino un altro
commento al Canzoniere (come
scrive Belloni, «c’ è un momento in
cui, alla corte di Filippo Maria, Milano par diventare la fucina del commento petrarchesco»14).
Ma veniamo finalmente al commento, che ha destato molte diverse
posizioni ed interpretazioni nella
critica moderna. Nel commento
poco si parla di aspetti linguistici,
stilistici, estetici, cioè dell’ aspetto
non-prosastico delle rime, quasi
che non fosse un poema e la poesia
non avesse caratteristiche proprie.
L’ idea di poesia dell’ Ilicino è
molto particolare, egli infatti non
ritiene la poesia un cantare in rima, ma un componimento in cui
compaia inventione, leggiadria,
sententia (che deve essere vera,
singolare, suscitare ammirazione
ed essere utile). Quindi la poesia
non è solo interpretabilis, ma è interpretandus, e quindi secondo l’ Ilicino il commento è quasi parte
integrante della poesia. Si potrebbe quasi dire che la poesia è un
commento in potenza.
Nel commento iliciano tutto è
spiegato, perché tutto è spiegabile.
Vi sono spiegazioni di tipo storico, mitologico e geografico, morale-filosofico, astrologico, scientifico-medico.
L’ Ilicino vuole rispondere a due
domande fondamentali: che e perché, cioè che cosa dice esattamente
14 - G. Belloni, Commenti petrarcheschi, p. 25.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Petrarca e perché lo dice. Il commento diventa così una semplice esegesi del testo petrarchesco, esegesi ispirata al principio che Petrarca
ha sempre ragione.
Dove però il testo petrarchesco
sia di difficile interpretazione e non
basti la semplice esegesi, l’ Ilicino ricorre alla quaestio, scopo della quale è «togliere via la contradictione»,
«chiarendo la verità» e «rispondendo
alle contrarie ragione», così da
«salvare Messer Francesco» ed
assolverlo «da ciascuno errore»15.
Alla conclusione di ognuna delle
dieci quaestiones il ragionamento
porta a concludere che Petrarca
non hai mai torto e l’ Ilicino si trova
sempre d’ accordo con lui. Il metodo iliciano è quindi basato sull’ esegesi e in casi rarissimi sulla quaestio.
La lettura globale del poema pone l’ Ilicino ad interpretare i Trionfi
come «il transito dell’ anima» e Laura rappresenterebbe la ragione che
«triompha d’ amore» e di cui «triompha» poi la Morte.
La sua lettura globale è di tipo allegorico, mentre la lettura “minuta”
è di tipo esegetico e mira all’ interpretazione morale del poema16.
15 - Sono tutte citazioni tratte dal commento
dell’ Ilicino.
16 - Talvolta però l’ Ilicino interpreta allegoricamente alcuni versi: ad esempio nel Triumphus
Cupidinis I, al v. 22 («quattro destrier, vie più che
neve bianchi») indica i quattro cavalli bianchi
come l’ allegoria dei vizi, «imprudentia, iniustitia, intemperantia et audacia». Oggi però la critica non vede in questo verso nessun riferimento di tipo allegorico: Pacca glossa «nell’ antica
Roma il carro trionfale era tirato appunto da
quattro cavalli bianchi» (F.P., Triumphi, a cura di
Vinicio Pacca, in F.P., Trionfi, Rime estravaganti,
Però l’ Ilicino talvolta è sospeso
fra l’ interpretazione letterale e quella allegorica. Il caso emblematico è
quello di Laura: nell’ introduzione
viene vista come la personificazione della Ragione, e nell’ ultimo
Trionfo essa diventa la «figurazione» dei cristiani «adulti e quali si
salvino per la propria fede».
In Triumphus Cupidinis II sostiene però (anche contro l’ interpretazione paterna) che Laura sia una figura allegorica, affermando lei «esser stata … donna vera mortale, naturalmente in questo mondo producta», giustificandosi, per non
essere accusato di mancato rispetto
filiale, con la scusa che «non regge la
baseça dello intellecto mio assì alto
volare, et imperò, lassando lui assendere sopra de monti al cielo, secondo
le forçe mie solo seguendo la littera
in terra abasso».
I Trionfi più che allegoricamente
vengono quindi interpretati in modo moraleggiante.
L’ Ilicino ha inoltre il merito di citare più di cento auctoritates nel
suo commento, alcuni autori però
sono citati in seconda mano.
I due testi più richiamati sono Aristotele e la Bibbia, ognuno con più
di 260 attestazioni. Molti sono inoltre i richiami alle opere petrarchesche (Canzoniere, Africa, Secretum,
Bucolicum Carmen, De remediis).
Codice degli abbozzi, a cura di V.P. e Laura
Paolino, introduzione di Marco Santagata,
Mondadori, Milano 1996, p. 55), mentre per
Ariani «è probabilmente da escludere, inoltre,
che i quattro cavalli abbiano senso allegorico»
(F.P., Triumphi, a cura di Marco Ariani, Mursia,
Milano 1988, p. 84).
65
biblioteca mon amour
L’ opera dell’ Ilicino fu – come
scrive Carlo Dionisotti – «al momento giusto, il primo e vistoso riconoscimento di un testo di poesia
volgare nei termini propri dell’ alta
cultura contemporanea, non soltanto come modello per l’ imitazione spicciola dei dilettanti di poesia,
ma anche e più come testo di studio
umanistico e filosofico-scientifico
per un largo pubblico. Era chiaro
che i Trionfi facevano seguito alla
Commedia di Dante, ma a una distanza che, per la tarda divulgazione e per la mancanza della tradizione esegetica trecentesca inseparabile dalla Commedia, doveva
apparire allora maggiore di quanto
appaia oggi a noi: facendo seguito,
avevano però un suono molto più
vicino, intermedio e necessario per
un riconoscimento allo stesso livello, se non nello stesso concerto, di
66
un più remoto testo volgare come le
Rime sparse, che stranamente sempre più, in gran parte d’ Italia, suonava attuale»17.
Come ha finemente mostrato
Dionisotti nel suo studio sulla Fortuna del Petrarca nel Quattrocento,
umanisti e commentatori guardano
a Petrarca da prospettive diverse,
spesso contraddittorie fra loro.
Il Petrarca latino è attestato
nell’ Europa del nord, soprattutto
nei paesi germanici, mentre in Italia si afferma la fortuna delle opere
volgari.
Nel nostro paese però si registra
«un’ intricata dialettica latino-volgare, una separazione geografico-politica, una polarità fra alta e bassa ricezione, fra qualità estemporanea o
professionale dell’ interpretazione»18.
17 - C. Dionisotti, Fortuna del Petrarca, p. 106.
18 - P. Vecchi Galli, Petrarca fra Tre e
Sulla frattura dei due secoli si pone un cambiamento molto importante: le opere volgari vengono
stampate singolarmente ed ognuna
avrà una grande fortuna grazie alla
stampa ed ai numerosi commenti
che nasceranno. Questi commenti
però si sganceranno dalla riflessione
umanistica per essere dedicati al grande pubblico.
Quindi Canzoniere e Trionfi non
saranno più appannaggio solo degli
studiosi di studia humanitatis ma
anche, e soprattutto, di quanti potranno gustare ed apprezzare in
privato queste opere grazie alla
stampa19. ❧
Fabio Casna
Quattrocento, p. 184.
19 - Sul pubblico delle opere volgari del Petrarca
si veda l’ interessante saggio di Luigi Balsamo,
Chi leggeva Le cose volgari del Petrarca
nell’ Europa del ‘ 400 e ‘ 500, in «La Bibliofilia»,
104 (2002), pp. 247-266.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
biblioteca mon amour
Un commento al Petrarca
Riportiamo per intero il commento al sonetto
proemiale così da poter comprendere meglio
quali fossero i limiti ed i pregi del commento
filelfiano:
«Quantunque il presente sonetto fusse da
Messer Francesco Petrarcha in questa legiadra e suavissima opera il loco di prefatione
collocato non fu però il primo che lui facesse,
ma l’ultimo di tutti come per la sententia d’esso chiaramente comprendere si puote. Il che principalmente mi par lui haver fatto per potere in
qualche parte remediare
alla infamia nella quale
presso l’insensato vulgo
era con varie calumnie incorso per l’opinione de l’amata madonna Laura, di
cui nel prohemio havemo
distesamente parlato. Et
quantunque non dovemo
di quelli far alchuna stima, da quali o per ignorantia o per hiprocrisia
siamo indegnamente biasmati, peroché la vera loda e quella chiamata, la
qual procedere suole da
huomo lodato et excellente. Nientedimeno il non
curarsi di quello ch’altri di
noi o estima o parla precedere pare, o perché siamo arroganti in quel duo
vitii l’eximio e prudentissimo nostro poeta volendo schifare, acioché mal
parlare di stolti non corrumpesse per il suo tacere
etiandio l’opinione di savii
scusa nel suo havere scritto in amore rime dimostrando tale errore essere
preceduto da età giovenile, il cui fervore et impeto
quanto sia niuno e che
giovane sia stato a cui per
experientia non sia manifesto. El perché domanda
da quelli tutti, i quali suoi amorosi tal sonetti
e canzone ascoltano che voglino considerare
le insuperabile forze d’amore, il quale si vogliono dire il vero quantunque biasimare leggermente si puote, dur da suoi occulti et insidiosi colpi al tutto difendersi niuno altro pare
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
potere se non morti e gl’insensati. E però non
dubita affermare che lui spera non solo trovare perdonanza ma ancora compassione
apresso di quei tutti che haveranno per vera
experientia sentite le focose e fiamegiante freze d’amore. Et per mostrare se essere al tutto
libero da quello arciero, e da cui strali era già
molti e molti anni stato con amorosi incendii
vulnerato, sogiunge essere a lui di ciò final-
Riporto inoltre il testo petrarchesco seguito da
una parafrasi:
«Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono | di
quei sospiri ond’io nudriva ’l core | in sul mio
primo giovenile errore | quand’era in parte
altr’uom da quel ch’i’ sono: | del vario stile in
ch’io piango e ragiono, | fra le vane speranze e
’l van dolore, | ove sia chi per prova intenda
amore, | spero trovar pietà, nonché perdono.
| Ma ben veggio or sì come al
popol tutto | favola fui gran
tempo, onde sovente | di me
medesmo meco mi vergogno; | et del mio vaneggiar è
’l frutto, | e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente | che
quanto piace al mondo è breve sogno»,
‘Voi che ascoltate in componimenti composti e diffusi
singolarmente il tono di quei
lamenti dei quali io alimentavo la mia anima al tempo
della mia prima giovinezza,
quando mi sviai (innamorandomi), quando ero, solo
in parte, un uomo diverso da
quello che sono adesso: io
spero di trovare pietosa comprensione e perdono per i diversi toni in cui si esprime il
mio doloroso canto poetico
(oscillante) fra inutili speranze e vani dolori presso chi
comprenda le sofferenze
amorose per averle provate.
Ma adesso mi accorgo bene
come per tutta la gente io sia
stato per molto tempo oggetto di discussione e di critica,
motivo per il quale spesso mi
vergogno di me stesso con
me stesso; e la vergogna è il
risultato del mio inseguire illusioni vane, e il pentirsi e il
capire chiaramente che ciò
che lusinga gli esseri terreni è
solo un sogno di breve durata, un’illusione vana’.
mente tre cose. Prima la vergogna che ha della infamia in che per tale suo amore era insorto. Da poi il pentimento de havere commesso
tal errore. Et ultimamente il conoscere chiaro
che tutti i mondani piaceri poco durano e sono vani».
Sul componimento si veda l’ampio commento
di Marco Santagata in Francesco Petrarca,
Canzoniere, edizione commentata a cura di
Marco Santagata, Mondadori, Milano, 2004.
67
Rinvenimenti
a cura di Stefano Tonietto
S
e c’ è una voce che nella storia della poesia, e in particolare in quella della poesia
amorosa, troppo spesso latita, è la
voce delle donne.
L’ oggetto d’ amore, sia questo cortese, stilnovistico, petrarchesco, romantico, maudit, rimane appunto –
in troppi casi – un oggetto; esiste in
funzione del sentimento (maschile)
d’ amore, del punto di vista dell’ uomo, e mai o raramente assurge a dignità di persona reale, con propri
sentimenti, un proprio vissuto, propri progetti. La donna amata è solo in
quanto ne scrive l’ amante. Egli brama, egli soffre, egli sogna, egli dispera; dannazione o beatitudine sono le
sue. Dante Alighieri assurge al Paradiso grazie a Beatrice; ma Beatrice vi
assurge grazie a chi?
Fu forse per colmare questa lacuna
che un ignoto rimatore (o rimatrice?)
s’ incaricò di stendere i sonetti conservatici dalla pagina superstite di un
codice pergamenaceo di epoca dubbia, riutilizzata nel XVI secolo come
rilegatura per un quaderno di conti
Guardatevi da donna angelicata!
(Pseudo Ecclesiaste)
del notaio Bonifacino da Castelcucco
di Bassano del Grappa. Il manoscritto, noto anche come Appendix Alagheriana, ci tramanda un gruzzolo di
sonetti in vernacolo toscano apparentemente del XIII-XIV secolo (inquinato tuttavia da pesanti elementi
padano-veneti, come accadeva per
altre composizioni del tempo1), sonetti che si pretendono tratti da un
memoriale di Bice di Folco Portinari
(la Beatrice dantesca) intitolato La vita bassa.
L’ autore, o l’ autrice dei sonetti (già
indicata2 con l’ appellativo di Incompiuta Donzella Fiorentina), pare rispondere per le spicce, con toni popolareschi, a celebri composizioni dantesche, mostrandoci per così dire l’ altra
medaglia del celebre e troppo spiritualizzato rapporto d’ amore. Simile alla
Becchina angiolieresca, questa Beatrice è sbrigativa, insofferente delle titubanze del suo spasimante, del quale è
1 - Alfredo Stussi, Studi e documenti di storia
della lingua e dei dialetti italiani, Bologna, Il
Mulino, 1982.
2 - Pio Rajna, Le fonti dell’Orlando Furioso: ricerche e studi, Firenze, Sansoni, 1876.
inoltre gelosa in modo ossessivo; pare
impegnata a demolire la propria immagine angelica, costruitale addosso
dal sommo Poeta.
Si è notato (onore al merito degli
studiosi della Scuola di Francofonte)
che più d’ una volta la supposta Beatrice, morta nel 1290, cita versi della
Divina Commedia, redatta sicuramente dopo il 1300. Ciò tuttavia (è opinione dei Neocitazionisti) non dovrebbe costituire un problema: può
essere stato benissimo Dante ad ispirarsi a questi sonetti a lui indirizzati,
nel comporre, in età più matura, la
propria opera maggiore.
Nell’ attesa di ulteriori studi, destinati a confermare o smentire l’ autenticità (o almeno la contemporaneità
ai fatti narrati) della silloge, ne offriamo ai lettori una ghiotta anticipazione, corredata di essenziali note destinate alla comprensione immediata. Ogni commento teso ad evidenziare i prestiti, le citazioni e le allusioni a testi dell’ epoca ci è sembrato,
per la loro notorietà, davvero superfluo.❧
Stefano Tonietto
I sonetti di Beatrice Portinari
68
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
rinvenimenti
I sonetti dell’ Incompiuta Donzella Fiorentina (Beatrice Portinari?)
I.
Tanto m’ angustia quando mi donnea
l’ amico mio tra Oltr’ Arno e Ponte Vecchio,
da farmi dire bonanotte ar secchio
sempre ch’ i’ ’l vegga su la strada mea.
Elli se n’ vien, sì che di lui si bea
ognun che il ve’ tra Boboli e Fucecchio,
e si burla di noi giovane e vecchio,
sì ch’ a colpa de·llui ne vado rea.
5
Ogni matina et ogni santo giorno
al ponto istesso et a l’ istessa hora
10
con occhia tondi, o ch’ hallo da guardare?
Mi par mill’ anni tòrmelo d’ attorno,
con quella grigna e quella bazza in fuora
e con tutto il su’ grullo sospirare!
Note: 1. donnea: corteggia. 4. sempre ch’ : ogni
volta che. 8. vado rea: vengo incolpata. 12. Mi par
mill’ anni: non vedo l’ ora. tòrmelo: togliermelo.
13. grigna: espressione accigliata. bazza: mento.
II.
Io tiro dritto ed isso viemm’ appresso;
io mi raffermo e si rafferma lui;
io scantono, e’ non teme i lochi bui;
m’ avanzo in piazza ed elli fa l’ istesso.
Io salgo il ponte e già v’ ascende anch’ esso, 5
appare ovunque tosto ch’ io vi fui;
li miei sospir, che il duolo stringe in “hui!”,
non hanno fatto mai ch’ egli abbia smesso.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
“Bella”, mi dice, e: “Tant’ onesta”, e pare
ch’ altre ancor ne direbbe, ma l’ affrena
quel poco di pudor che gli residua.
10
Già il sestiere s’ è messo a mormorare;
mi schivan tutti ed io ne porto pena.
Donzella sono e già mi sento vidua.
Note: 6. tosto ch’ : non appena. 12. sestiere: ciascuna delle sei parti in cui era divisa Firenze. 14.
vidua: vedova.
III.
Elli vorrebbe Guido e Lapo e·llui
tutti tre presi per incantamento
e noi monne co·lloro in bastimento;
o credete che stiamo qua per vui?
I’ per me parlo, e taccio per altrui,
ma, Vanna e Lagia, dite s’ io ben sento,
se mi dispero a torto e mi tormento!
O che mi resta a fare con costui?
5
Bello, a tua norma, io non salgo in barca
con chi che sia, l’ è vano che m’ adeschi, 10
e v’ ho gusto se poi te ne rammarca;
te tu cogli l’ antifona, eresiarca?
Corri e nuota, sia mai che ti rinfreschi,
dietro al tuo legno che cantando varca!
Note: 1. Guido e Lapo: Guido Cavalcanti e Lapo
Gianni, amici di Dante e poeti stilnovisti. 3. monne: donne. 6. Vanna e Lagia: le donne dei suddetti. 11. te ne rammarca: ti ci rammarichi.
69
rinvenimenti
IV.
Ciài ’n bel dire e ridir quanto s’ apprende
ratto l’ augel d’ amore in cor gentile!
Se non bado a menar, tosto rapprende
la tu’ cena, un lo sai, dottor sottile?
Va’ giucar con carretti e manganucci!
A Deo chiedi merzè, che del tuo fallo
qual garante e tutore tiri in ballo.
Note: 1. aveva: avevo. t’ era prudente: ti prudeva. 2.
t’ apuntò il quadrello: t’ infisse la freccia. 3. pupe: bambole. 4. t’ affantasiavi: ti facevi fantasie. incondecente: sconcia. 5. dindi e pappa: parole del linguaggio infantile. bogliente: bollente. 6. bulicava: ribolliva. 8.
m’ a llisciavi: mi corteggiavi. 12. manganucci: piccoli
màngani, macchine da guerra giocattolo. 13. merzé:
perdono. fallo: errore.
Amore, amor, amar, sempre s’ intende 5
con alata figura cosa vile;
se l’ occhio o ’ l tatto spesso non l’ accende,
macerando si va ne l’ atra bile.
Amor, ch’ a nullo amato amar… perdona,
ma s’ e’ fosse così come t’ appaga,
10
pietade avrebbe a Cecco suo Becchina,
la quale inviòllo invece stamattina
in terra che, sopra quant’ altra plaga,
pe’ Viniziani rimerebbe in ona.
Ott’ anni e quasi nove esta canaglia
chi ll’ ha più visto o più sentito a’ lati?
Che presumisti, nelli tua pensati,
ch’ i’ ti facessi gittar suso taglia?
Note: 1. s’ apprende: si rifugia. 3. a menar: a girare il mestolo nel paiuolo. rapprende: si attacca al fondo. 8. atra
bile: bile nera. 11. Cecco… Becchina: Cecco Angiolieri,
poeta senese, e la sua donna. 13. plaga: regione.
V.
Ott’ anni aveva e t’ era già prudente
là dove Amore t’ apuntò ’ l quadrello;
io giucava a le pupe, e tu bel bello
t’ affantasiavi in cosa incondecente.
Io dicea dindi e pappa, a te bogliente
bulicava nel cranio lo cervello;
io vestiva pur anco in pannicello,
tu m’ allisciavi con lasciva mente.
O succia-latte, i’ dissi, che ti crucci?
A tal sella t’ attenti, a tal cavallo
per li qual non t’ è ancora nato ’ l callo.
70
VI.
Eppoi li fatti tua, omo di paglia,
stringi stringi, che sono mai po’ stati?
Sì, sospiri, ti lagni, e preghi e piati,
però al dunque la cosa non ti quaglia.
5
Ti par bello e gentil che dama aspetti,
sola e negletta, quanto garba a te
10
senz’ altro più saver del quando e ’l dove?
5
Ma lui ci avea li numeri perfetti
da far tornare, o santo Deo! Non tre,
sì tre per tre, che gli tornasse nove!
10
Note: 1. li fatti tua: i tuoi atti concreti. 3. piati: supplichi.
5. esta canaglia: “non lo reputa più degno del tu”
(Momigliano). 7. nelli tua pensati: nei tuoi pensieri. 8.
gittar suso taglia: porre una taglia, cercare accuratamente,
come fa la forza pubblica. 13-14. Ma lui… nove!: Dante
aspetta nove anni prima di rifarsi vivo con Beatrice perché
bada al valore mistico del numero 9. 14. sì: bensì. gli tornasse: gli risultasse.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
rinvenimenti
VII.
Chi·ll’ è ’sta Pietra, un s’ è saputo mai,
come di quella Nonsocché Gentucca,
che, mi ricordo, quand’ annavi a·lLucca
t’ aveva sempre ad aspettare assai.
vàmmiti da costì, per farle corte,
va’ in Casentino, in Falterona, in Ermo!
Se devi usare, accàffati una vacca!
5
Note: 1. Alle guagnele!: Per i Vangeli! (esclamazione di dispetto) 3. pargoletta: fanciulla. 5. tèni: tieni. l’ occhia: gli
occhi. 6. pòi: puoi. eo: io. “Sfumatura siciliana” (Avalle).
9. mi ti rendi: torni a me. 11. dèi: devi. 12. vàmmiti: vattene via. 14. accaffati: procùrati, guadàgnati.
10
IX.
Dante, questa tu’ moglie a me fa pena,
che ti sopporta già son troppi anni,
che t’ ha dato sia Pietro che Giuvanni
e Jacopo, e pe·tte tutta si svena.
Tu il core d’ esser chiaro non ce·ll’ hai,
e me davvero questa storia stucca.
Ti decidi a ficcarti nella zucca
che se un la smetti sarann’ alti guai?
Donna pietosa e di novella etate
che libito fe’ licito in sua legge
non è roba per te, falla finita.
Che fan le quindicenni assatanate
con uno che già quasi non si regge
nel mezzo del cammin di nostra vita?
Note: 4. t’ aveva: “ambiguo se sia prima o terza persona singolare” (Contini). 5. il core: il coraggio. 6. me… stucca: mi
infastidisce. 10. libito: la libidine. 13. non si regge: per l’ età.
14. nel mezzo… vita: a trentacinque anni suonati.
VIII.
Alle guagnele! O·ddunque, brutto muso,
vuo’ tu ch’ addosso ambo le man ti metta?
Che·nnè ’sta storia d’ esta pargoletta
e·dd’ altra novità con sì breve uso?
Tu te ne taci e tèni l’ occhia ’n giuso?
Ma come pòi pensar ch’ eo te permetta?
E·ppoi, quale cortese paroletta!
L’ è proprio quell’ usar che non ti scuso.
Tu mi ti rendi lagrimando forte
come quell’ altra volta de lo schermo,
ma dèi saver che meco non attacca:
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Mai, tra tante tue cure, un ti balena
5
la mezza idea di ritagliarle a’ panni
non dirò una canzon – Deo la condanni! –
ma una terzina sola, un rigo appena?
Per tacer de’ figliuoli, o naccherini!,
che, dove van, per isventura sua
accòglionsi a diversa cennamella.
10
Mai ne’ versi volgar né ne’ latini
dégniti menzionar l’ Antonia tua
con l’ altri che ’ l sonetto suso appella.
5
10
Note: 1. questa tu’ moglie: Gemma di Manetto Donati.
3-4. Pietro… Jacopo: figli di Dante, insieme ad Antonia (v.
13). 6. ritagliarle a’ panni: dedicarle, scriverle su misura.
9. naccherini: “vezzeggiativo dal sapore machiavellico”
(Segre). 11. accòglionsi: vengono accolti. a diversa cennamella: “con un suono insolito, poco riguardoso”
(Sermonti). 13. dègniti: ti degni.
Si ringraziano gli eredi di Bonifacino da Castelcucco che hanno
cortesemente autorizzato la riproduzione dei sonetti.
71
Musicobibliofilia
Rubrica a cura di Diego Cescotti
N
on è necessario avere
letto Che cosa è l’ arte?
(Što takoe isskustvo?),
saggio meditato per una quindicina
d’ anni e pubblicato nel 1898, per cogliere la posizione di Lev Nikolaevič
Tolstoj rispetto al teatro d’ opera.
Andate alla parte quinta di Guerra e Pace (Vojna i mir) e soffermatevi sui capitoli dedicati alla serata in
cui si avvia il plagio sentimentale
dell’ indifesa Nataša: spingendosi al
confine della parodia, questa pagina iperrealistica diventa epitome di
una perdita dell’ anima (individuale
e collettiva) e, nel suo tingersi di amusia, vi farà cogliere il profondo
rifiuto estetico ed ideologico di Tolstoj per uno spettacolo identificato
con un’ ideologia. Cornice del primo incontro di Nataša con il libertino Anatol’ , il teatro d’ opera è un
campo di forze in cui naturalezza, istintualità positiva, espressione generosa (i tratti della giovane Rostova) si confrontano con il calcolo lascivo, l’ artificio, l’ indifferenza morale dei fratelli Kuragin. E naturalmente tra i due schieramenti non
c’ è partita, ma solo turbamento
dell’ innocente, suo spaesamento e
resa inconsapevole.
“Al centro della scena erano sedute
delle fanciulle in corsetto rosso e gonna bianca. Una di loro, molto grassa,
con un abito di seta bianca, sedeva
su un basso sgabello dietro il quale era incollato un cartone verde. Tutte
cantavano qualcosa. Quando terminarono la loro canzone, la ragazza
vestita di bianco si avvicinò alla buca del suggeritore mentre le si accostava un uomo con un paio di calzoni di seta attillati che gli fasciavano
le grosse gambe, una piuma nel cappello e un pugnale nel fianco, e si mise a cantare agitando le braccia.
L’ uomo coi calzoni attillati cantò da
solo, poi cantò lei; e alla fine tutti e
due tacquero.”
Se la maggior parte delle pagine
tolstoiane ci avvolge in un clima sinestetico grazie ad una sottotraccia
musicale, in questa descrizione della scena teatrale è come se l’ autore
avesse spento l’ audio. L’ impressione che abbiamo è quella deformante di una sequenza di film muto do-
ve la gestualità, le smorfie, i dettagli
della scenografia risaltano nel loro
comico scollamento rispetto alla
scena rappresentata e ai sentimenti
supposti.
Lungi dall’ essere tempio dell’ arte,
il teatro è circo di una esibizione speculare: artifici grotteschi privi di anima e di eleganza sulla scena; charme
pericolosi e sottili giochi di dominazione nella sala che consuma la musica come intermezzo e sfondo di un
crudele gioco di società.
Il capitolo precedente era tutto
un brillio di conversazione, un’ attesa emotiva sullo sfondo degli accordi dell’ ouverture. Ma nel luogo deputato alla musica, la musica, entrando in scena, scompare: i cantanti non trasmettono emozioni, né
senso; mossi come marionette in
un teatro dell’ assurdo ne palesano i
caratteri di volgarità e di posticcio.
Nemmeno la parte strumentale si
salva: “nell’ orchestra si udirono
gamme cromatiche e accordi di settima minore […] A questo punto calò
il sipario. Fra gli spettatori si levò uno strepito terribile.” Con lo sfoggio
Federica Fortunato
ll teatro come corruzione
72
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
musicobibliofilia
di dati tecnici nel descrivere la tempesta e la definizione rumoristica
per denotare l’ applauso, l’ autore indossa la veste di impassibile osservatore etnografico quasi a voler dare oggettività scientifica al suo intento di censore. Accordi dissonanti e cromatismi perdono il loro valore di elementi costruttivi e, scardinati, diventano quanto di più lontano da quel linguaggio che “evoca
con i suoni sentimenti familiari”, da
quella “stenografia degli affetti” che
la musica è per Tolstoj; e così, svelando l’ artificio della musica, della
danza, del rito culturale, mostra le
crepe e le bassezze di un corpo sociale privilegiato e falso.
“[…] a Nataša tutto questo appariva strano e sorprendente. Non riusciva a seguire lo svolgimento dell’ opera, non riusciva nemmeno ad ascoltare la musica […] Sapeva che
cosa significasse tutto ciò, ma tutto
era così manierato, falso, innaturale,
che a volte Nataša provava un senso
di vergogna, a volte le veniva addirittura da ridere.”
All’ inizio pensiamo che ci sia ancora la possibilità di denunciare la
nudità del re o almeno di non restarne contaminati; ma nonostante
lo sguardo puro e accorto (“tutti esprimevano un’ ammirazione che le
sembrava simulata”), l’ intossicazione d’ ambiente conduce al conformismo e all’ abdicazione critica (“si
sentiva avvolta dalla luce intensa
che inondava tutta la sala, dall’ aria
tiepida, riscaldata dalla folla”). L’ irretimento di Nataša avviene come
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
scorrendo su un piano inclinato,
con un passaggio pendolare dell’ attenzione tra il palcoscenico e le logge eleganti, fino a quando “Ora a
Nataša tutto questo non sembrava
più strano. Si guardava intorno compiaciuta, sorridendo con espressione
gioiosa.”
Stordita da un clima al quale non
era stata né destinata né vaccinata,
Nataša diventa oggetto di una duplice manipolazione, l’ una premessa dell’ altra: con la complicità
dell’ arte scenica la bestia mondana
(simboleggiata da Elena Kuragina e
rifratta sui volti degli spettatori) la
assimila e la predispone alle manovre del seduttore. Il caleidoscopio
interiore della giovane registra l’ insensatezza della rappresentazione e
la combina con l’ incomprensibilità
dei rapporti sociali, lasciandola in
un inedito stato di schizofrenia.
Tornata a casa “tutto le sembrava
oscuro, confuso e terribile. Laggiù, in
quell’ immensa sala illuminata, dove
Duport a suon di musica faceva salti sulle tavole bagnate con le gambe
nude e col giubbetto ricamato di lustrini […] laggiù, all’ ombra di
Hélène, tutto era semplice e chiaro”;
gli anticorpi sono forti, ma il contagio è irreversibile e si rende conto
che “sebbene non fosse accaduto
nulla, la purezza del suo amore per il
principe Andrej era ormai perduta.”
Crisi di coscienza
Una lettura marxista attribuisce
al conte Lev l’ orrore per la cultura
elitaria basata sullo sfruttamento e
sulla mistificazione ad opera di una
classe dominante odiosa e parassitaria; l’ arte diventa così tradimento
della vita spirituale che pretende di
rappresentare (confronta Henry
Gifford, Tolstoj, Oxford, 1982).
Come molti prima e insieme a
lui, Tolstoj del melodramma non
sopporta le convenzioni, la falsità
intrinseca, la distanza tra il volo poetico e il “cartone dipinto”.
Taccia di vaneggiamento artistico
l’ ultimo Beethoven e i suoi grandi
epigoni; pagine wagneriane di rara
intensità gli sembrano ridicole; non
sopporta quanti si allontanano dalla ‘ musica genuina’ che, modellata
sul canto popolare, deve risultare
“semplice, chiara e possente”. E non
si dimentichi che prima di diventare terreno prediletto di affermazione nazionale, il teatro musicale nella Russia d’ età napoleonica (il contesto di Guerra e pace) è alienato
nella colonizzazione occidentale:
personaggi, testi, tratti musicali italiani, francesi, tedeschi accentuano
la separazione dal popolo, allontanando dalla cultura originaria e
dunque da una coscienza (soznanie) che per il nostro autore è letteralmente conoscenza (znanie) attraverso l’ immediatezza dell’ esperienza.
Balalajka e Barynja
La seduzione teatrale e amorosa
di Nataša appare ancora più patetica nel suo succedere ad un capitolo
di particolare forza poetica e realistica, la parentesi nei recessi di una
73
musicobibliofilia
Russia rurale lontana generazioni
dai palazzi delle due capitali. Dopo
la caccia, nel conforto domestico
della sera, una barynja (vivace danza popolare) suonata alla balalajka
dal cocchiere dello zio
Mikhail appare a
Nataša “il sommo d’ ogni espressione musicale” e diventa la porta
per un universo ignoto quanto radicato
nell’ inconscio. La caccia al lupo aveva dimostrato l’ armonia
profonda tra azione e
contesto: ognuno conosceva il proprio
ruolo e svolgeva il suo
compito come d’ istinto, obbedendo ad una
sceneggiatura antica
in cui l’ individuo stava
in funzione di un’ opera collettiva fruttuosa.
Questa armonia si
ritrova nel riposo conviviale della casa di
campagna dove tutto si snoda lungo il filo della musica: prima colta
da lontano (“dal corridoio si udirono distintamente le note di una balalajka”), poi nell’ iterazione (“Mitka accordò lo strumento e tornò a
scatenare la barynja con molte variazioni e riprese”) e quindi nell’ aspetto circolare di un rito (“Il motivo della balalajka fu ripetuto un
centinaio di volte”).
Nella sua staticità la semplice melodia non comporta nessuna noia,
74
stimola anzi i giovani a richiederla
ancora come un bambino non si
stanca dell’ ennesima ripetizione di
una storia nota. Il piacere estetico si
rivela un processo maieutico: una
dopo l’ altra canzoni popolari che
parlano di cose tangibili e familiari
(la neve, la strada, una fonte) vanno
a sgretolare la vernice cittadina, facendo emergere quel nucleo identitario che Tolstoj non ha ritegno a
chiamare anima russa.
Sbocciano propositi di conversione culturale (abbandonare l’ arpa
e il clavicembalo per la chitarra popolare), ma soprattutto si svegliano
echi insospettati che legano l’ esperienza emotiva all’ ambiente e alle
persone appena conosciute.
Anche se l’ abilità dei suonatori,
minutamente presentata nelle varie
operazioni di accordatura e uso dello strumento, scatena l’ entusiasmo
dei giovani cittadini, la
musica qui non è pura
esibizione, ma diventa
un fatto radicalmente
interiore, connettendo
in modo quasi esoterico alla tradizione fino
al miracolo che trasforma Nataša in una vera
russa danzante.
“Nataša gettò lontano
lo scialle che aveva indosso, corse davanti allo
zio e, puntando le mani
contro i fianchi, fece un
movimento con le spalle,
fermandosi poi di colpo.
Dove, come, quando
questa contessina, educata da un’ emigrata
francese, aveva assorbito
dall’ aria russa che respirava questo spirito?”
Senza averli appresi, anzi azzerando il condizionamento di un’ educazione allogena, Nataša produce “quegli atteggiamenti […] inimitabili, non
studiati, autenticamente russi, che lo
zio, appunto, si attendeva da lei.”
È palese l’ antitesi rispetto al virtuosismo prezzolato del danzatore
francese alla moda: qui la danza è
manifestazione dello spirito, di
un’ appartenenza e, per Tolstoj, di
una condizione di libertà.
Poco dopo ne abbiamo una con2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
musicobibliofilia
ferma esplicita attraverso la canzone di caccia: “Lo zio cantava come
canta la gente del popolo, con la piena e ingenua convinzione che tutto
il significato di una canzone fosse riposto solo nelle parole, che il motivo
servisse solo all’ armonia. Ma proprio per questo quel motivo inconscio, come lo è nel canto di un uccel-
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
lo, era, nel canto dello zio, di straordinaria bellezza.”
Bellezza e felicità sono il risultato
di una perfetta aderenza alle cose,
dell’ immersione totale in ‘ un attimo che basta a se stesso’ ; un equilibrio raro, sempre più raro via via
che ci si allontana da un contesto
di natura e tradizione verso l’ artifi-
cio della civiltà. Il sospiro di Nataša
nel ritorno a casa (“sento che non
sarò mai più così felice, così tranquilla come adesso”) è profetico:
quello che l’ aspetta nella capitale è
una società rutilante che la ingoierà attraverso la bocca del teatro.❧
Federica Fortunato
75
Lo scaffale
a cura di Italo Bonassi
F
ernando António Nogueira Pessoa nasce a Lisbona il 13 giugno 1888.
Un’ infanzia, la sua, infelice, vissuta
con la nonna demente, preda di
frequenti e violente crisi di pazzia.
Vede morire prima il padre, Joaquim, impiegato della Segreteria di
Stato e poi, l’ anno dopo, il fratellino
Jorge, per tubercolosi. Sradicato sia
fisicamente che culturalmente dalla
sua terra, Fernando trascorre diversi anni a Durban, in Sudafrica, causa un nuovo matrimonio, per procura, della madre. Là avrà una formazione prettamente inglese:
Byron, Shakespeare, Poe. Ma già
nel 1905, a 17 anni, se ne ritorna da
solo a Lisbona, dove si iscrive a Lettere, ma senza mai arrivare alla laurea, spaesato come uno straniero in
quella che era pur stata la sua patria. Distrutto il focolare domestico, in gravi ristrettezze economiche, matura nel giovanissimo Fernando un’ indelebile voglia di silenzio e solitudine. E un complesso edipico per cui la fissazione e la re-
Il vero peccato originale è nascere
da una donna. L’ unico vizio umano
è amare la propria madre. Felice chi
mai la conobbe, grande chi
la uccise.
gressione della figura materna diviene incentivo e ostacolo al suo equilibrio interiore, traumatizzato
da una costante latente nevrosi.
Il suo complesso edipico ma anche misogino gli fa dichiarare di avere il temperamento femminino
ma l’ intelligenza maschile. Ama essere amato ma senza essere obbligato ad amare per lealtà di spirito,
poiché sentire la sessualità lo infastidisce ed umilia.
“Il vero peccato originale – dichiara – è nascere da una donna. L’ unico
vizio umano è amare la propria madre. Felice chi mai la conobbe, grande chi la uccise.” E qui, in questa sua
confessione, c’ è tutta la tragedia di
Edipo che, inconsapevole, uccide
suo padre e sposa sua madre.
Il mito di Edipo, il sospetto che il
terrore della pazzia sia già pazzia, la
purezza al limite tra sazietà e pazzia, sono il suo pensiero dominante
che lo ossessionerà per tutta la vita.
Con lo pseudonimo di Soares
scrive “Vado a passare la notte a
Sintra perché non la posso passare a
Lisbona. Ma una volta a Sintra rimpiangerò di non essere restato a Lisbona. Questa esasperata angoscia
dello spirito (…) galoppa sotto di me
come l’ automobile che ho avuto in
prestito. Su quante cose avute in prestito io vado nel mondo. Quante cose imprestate guido come se fossero
mie. Io stesso purtroppo sono una
cosa in prestito”.
Abbandonati gli studi universitari, per campare trova lavoro presso
diverse aziende commerciali di Lisbona come corrispondente per l’ estero perché è bilingue. Addirittura
rifiuta l’ offerta di una cattedra di
lingua e letteratura inglese, adducendo come motivo che, essendo
un futurista, non poteva diventare
un accademico.
Desideroso di solitudine, misogino, severo auto-analista e minuzioItalo Bonassi
Pessoa, simbolo dell’Ignoto
76
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
so osservatore di sé stesso, con una
nevrosi al limite tra psicologia e un
malinconico autocentrico egoismo,
fino a sconfinare quasi nella follia,
dichiara apertamente nei suoi scritti di avere una “mostruosa paura
della pazzia”, paura che per lui in sé
stessa è già pazzia. Però sempre con
una grande passione per lo spirituale, il misterioso, l’ oscuro, l’ esoterico.
“Nulla per me – scrive – è né può
essere positivo; tutte le cose mi oscillano intorno ed io con esse, incerto
per me stesso. Tutto per me è incoerenza e mutamento, tutto è arcano e
pregno di significato”.
In un altro scritto, afferma: “Sono
lo sconosciuto simbolo dell’ Ignoto, ed
il risultato è orrore, mistero, una
paura quasi intelligente”.
Per lui tutta la sua vita è ed è stata
di “passività e di sogno”, tanto che
confessa che mai ebbe una decisione nata dall’ autodominio, mai ebbe
una volontà cosciente. I suoi pensieri, anzi, passano in lui, non sono
suoi, perché “non sa pensare ma sa
solo sognare”.
Scrive tra l’ altro in una lettera: “Il
mio carattere è tale che detesto l’ inizio e la fine delle cose, perché sono
punti definiti, fissi.” L’ idea che qualcosa possa essere determinato da
Dio e dal mondo lo riempie infatti
d’ orrore. Che le cose si concretizzino e che gli uomini arrivino ad essere felici, che si trovi una soluzione
per i mali della società, lo rendono
disgustato, per non dire “furioso”.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Non è che io sia cattivo o crudele,
spiega, piuttosto pazzo, ma di una
pazzia in una forma latente e difficile da concepire anche da parte degli psichiatri. “Io sono convinto che
l’ oggi sia un sogno, e che io sia meno
di una cosa di oggi”.
Oltre alla poesia, lo appassionano l’ occultismo, l’ astrologia, i riti
rosacrociani, la cabala, lo spiritismo, la teosofia, lo gnosticismo cristiano, le culture orientali, oltre che
la psicologia e la psichiatria, soprattutto per quanto riguarda il
rapporto tra il genio e la pazzia. Le
avanguardie futuriste, rappresentate in Italia da Marinetti, Depero ed
altri, avevano avuto una certa importanza anche in Portogallo presso numerosi circoli che frequentavano le fumose salette dei bar. Grazie all’ attività di uno stretto gruppo
di intellettuali questi bar divennero
dei veri e propri circoli letterari ed
è qui che Pessoa si incontra con intellettuali che avevano l’ obiettivo
di ridare vita ad una cultura che
stava morendo, aprendola alle correnti europee. Si confrontano, si
collabora tra riviste, si fondano
nuove riviste tra cui Orfeo e si dà
vita a nuovi movimenti d’ avanguardia. Il lavoro intellettuale e linguistico di Pessoa porta Roman Jacobson, linguista, ad affermare che
“il nome di Pessoa esige di venir incluso nella lista dei grandi artisti
mondiali nati nel corso degli anni
ottanta dell’ Ottocento: Stravinskij,
Picasso, Joyce, Brac, Klebnicov, Le-
corboiser”. Tutti nomi, questi, al cui
interno Jacobson colloca Pessoa.
Gli eteronimi
L’ opera principale del “Pessoa-séstesso” è Mensagem (“Messaggio”),
una raccolta di poemi sui grandi
personaggi storici portoghesi. In
un’ altra sua opera storica Il V° Impero, sostiene di sentirsi investito
del compito universale di riportare
il Portogallo al suo antico splendore e di poterlo fare attraverso la sua
persona e la sua compagnia di eteronimi. “L’ impero da fondare sarà
un impero universale e fondato sulla
cultura”.
Pessoa non è un autore ma un
autore-folla, non una sola persona
ma molte persone. Si può dire che
la vita del poeta fu dedicata a creare, e che con questa creazione, creò
altre vite: i suoi eteronimi, ossia i
diversi Fernando Pessoa che riusciva a impersonare, che erano in lui.
Attraverso questi, Pessoa conduce una profonda riflessione sulle relazioni che intercorrono fra verità,
esistenza e identità. Egli scrive:
“Accendo una sigaretta per rinviare
il viaggio. Per rinviare tutti i viaggi.
Per rinviare l’ universo intero. Ripassa domani, realtà”.
Il suo cognome significa del resto
“Persona”, cioè maschera, cioè nessuno. E non a caso viene accostato a
Pirandello. Alla base del suo lavoro
letterario c’ è un’ erosione dell’ io,
quella che Valéry definisce “il bombardamento nucleare dell’ io”.
77
lo scaffale
La sua opera è un inno alla menzogna artistica: nulla è più vero della finzione e nulla è più essenziale
dell’ ambiguità. È una dichiarazione
di poetica di un maestro della mistificazione qual è Pessoa. Egli ha
fatto della finzione il suo modo di
essere; sua è l’ affermazione “fingersi
è conoscersi”. Questa affermazione
poetica è una modalità di esistenza
che fa di Pessoa un’ esistenza composta della stessa materia delle idee
(Il poeta è un fingitore).
In una lettera, spiegando la genesi dei suoi eteronimi, scrive:
“L’ origine dei miei eteronimi è il
tratto profondo di isteria che esiste in
me. [...] L’ origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e
per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’ interno e io li vivo da solo
con me stesso.”
Sempre nella stessa lettera, descrive così la nascita del suo primo
eteronimo, il suo “giorno trionfale”:
“Un giorno - era l’ 8 marzo 1914 mi sono avvicinato ad un alto comò
e, prendendo un foglio di carta, mi
sono messo a scrivere, all’ impiedi,
come faccio ogni volta che posso. E
ho scritto trenta poesie di seguito, in
una specie di estasi di cui non riesco
a capire il senso. Fu il giorno trionfale della mia vita e non potrò mai averne un altro come quello. Comin78
ciai con un titolo: O Guardador de
Rebanhos (Il Guardiano di greggi).
E quello che seguì fu la nascita in me
di qualcuno a cui diedi subito il nome di Alberto Caeiro. Scusate l’ assurdità di questa frase: il mio maestro era sorto in me”.
Nei suoi versi c’ è tutto l’ occulto
arcano del suo pensiero a volte allucinato, ma sempre di una spietata
voglia di autodistruzione:
“Abiterò eternamente il deserto
morto di me, / errore astratto della
Creazione, / che mi ha lasciato indietro. / Arderà in me eternamente,
inutilmente, l’ ansia sterile del regresso di essere”.
Un’ originalità unica di questo bizzarro poeta è che le sue opere sono
firmate da questi eteronimi, ossia
Federico Pessoa non figura l’ unico
autore dei suoi scritti, ma si firma
con nomi di fantasia: Pessoa Ortonimo, ossia Alberto Caeiro, Ricardo
Reis, Alvaro de Campos, Coelho Pacheco e l’ insonne Bernardo Soares
col suo Libro dell’ Inquietudine.
Il crudele gioco di Pirandello
(con le sue varie personalità e nessuna personalità in Uno, nessuno e
centomila), è per Pessoa come un esercizio provocante di riflessione
letteraria, conseguenza di una nevrosi sull’ orlo della follia, che lo
porta, come in una sorta di autodistruzione, a scindersi in altri personaggi, altri sé stessi opposti e diversi uno dall’ alto. Da qui nasce la poetica di Pessoa, come tutto e il contrario di tutto, cioè vivere nel dubbio, nel mistero, nel sogno, nell’ in-
certezza della certezza, nel terrore
per la soluzione di qualunque sia
problema umano.
Pessoa non nega comunque che
l’ origine dei suoi eteronimi stia nel
tratto profondo di isteria che gli esiste dentro. E afferma che non sa se
sia semplicemente un isterico, anzi,
più precisamente, un istero-nevrastenico. Scrive che propende per
questa seconda ipotesi, poiché sente in sé dei fenomeni di abulia che
l’ isteria propriamente detta non registra fra i suoi sintomi. I suoi eteronimi provengono dalla sua tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione:
“Vivere è appartenere a un altro
dal di fuori, morire è appartenere a
un altro dal di dentro; ‘pensando, mi
sono creato eco e abisso’.
Mi perdo se mi incontro, dubito se
trovo, non possiedo se ho ottenuto.
Come se passeggiassi, dormo, ma sono sveglio. Come se dormissi, mi sveglio, e non mi appartengo. In fondo, la
vita è in sé stessa una grande insonnia e c’ è un lucido risveglio brusco in
tutto quello che pensiamo e facciamo.
Essere la stessa cosa in tutti i modi
possibili allo stesso tempo... Mi alzo
dalla sedia con uno sforzo mostruoso,
ma ho l’ impressione di portarmela
dietro, ho l’ impressione che è più pesante, perché è la sedia del mio soggettivismo”.
Egli esiste attraverso un gioco costante di sdoppiamento di sé, attraverso una teatralizzazione di sé in
più voci, in più nomi, in queste ipotetiche esistenze chiamate eteroni2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
mi, a cui dà concretezza fisica e poetica. Giacché ciascuna ha una poetica diversa dall’ altra, uno stile diverso dall’ altro, sentimenti diversi.
Alberto Caeiro è il maestro. Il
primo che affiora alla coscienza di
Pessoa. Poi, Ricardo Reis; quindi
Alvaro de Campos, Bernardo Soares e altri. Sono sempre Pessoa e
non sono mai Pessoa. Questi eteronimi sono tutti utilizzati come parte di un dialogo con sé stesso. Cioè
attraverso questa finzione egli cerca
di conoscere sé stesso e cerca anche
di vedersi e di vedere il mondo in una molteplicità infinita di prospettive. A tal proposito egli usa la metafora dello specchio rotto: “si è rotto lo specchio magico nel quale mi rivedevo identico e in ciascun frammento fatidico vedo solo un pezzetto
di me.”
Cioè l’ immagine di sé che gli rimanda lo specchio rotto è un’ immagine irrimediabilmente scheggiata, irrimediabilmente frammentata, irrimediabilmente multipla.
Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità.
Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’ altra persona che inizia a sognarlo, e
non sono io. Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato
dentro di me che dentro di me non
esisto se non esteriormente. Sono la
scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati
drammi.
Sembra di trovarsi quantomeno
di fronte ad uno psicopatico…
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Mi sono moltiplicato per sentirmi,
/ per sentirmi ho dovuto sentire tutto, / sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi. / Non voglio ricordarmi né conoscermi. / Siamo in
troppi, se guardiamo chi siamo. / La
morte è la curva della strada, / morire è solo non essere visto.
Pessoa è non uno, ma molti poeti
e qualcuno lo ha definito il “poeta
vedovo di se stesso”.
In Autopsicografia vi è la dichiarazione poetica che spiega gli eteronimi.
Il poeta è un fingitore / finge così
completamente / che arriva a fingere
che è dolore / il dolore che davvero
sente.
Dicono che io finga / o menta
quanto scrivo; / no! / semplicemente
sento con l’ immaginazione, / non uso il sentimento: / sentire? / senta chi
legge.
Sono in grande parte la prosa stessa che scrivo, / mi snodo in periodi e
paragrafi, / mi trasformo in punteggiatura / e nella sfrenata disposizione delle immagini, / come i bambini
mi maschero da re / con carta di
giornale.
Oppure / ritmando una successione di parole / mi acconcio come i
pazzi / con fiori secchi /che sono freschi solo / nei miei sogni.
Fine novembre del 1935, Fernando Pessoa, poeta d’ avanguardia
portoghese, sta morendo in un ospedale di Lisbona.
•
N
ella sua stanza solitaria
si alternano a uno a
uno quegli eteronimi
cui egli ha saputo dar vita nel corso
della sua produzione letteraria: nella realtà, nient’ altro che nomi fittizi;
ma, per il poeta, persone vere e proprie, uniche, con le quali dialogare
e, inevitabilmente, confrontarsi. E
ognuno di loro si presenta al capezzale del proprio autore con un’ autodescrizione succinta ma importante ai fini di distinguersi dagli altri.
Medico — È stato ricoverato ieri
alle ore 6.45 del mattino. Colica epatica. È un alcolista.
Pessoa — Perdonatemi, io non lo
chiamerei alcolismo bensì il male di
vivere che mi ha portato alla morte e
quella pazzia ereditaria che “come
un’ onda nera si era abbattuta sulla
mia testa”.
Quattro personaggi in cerca d’ autore
che muoiono insieme al loro scopritore-autore ma che prima dell’ ultimo
addio vogliono dimostrare affetto e riconoscenza al padre che ha donato loro un nome e una vita. In quella stanza d’ ospedale, si presentano dunque in
quattro: Alvaro de Campos, dandy decadente e ironico; Alberto Caeiro, padre putativo e maestro ideale del poeta, dall’ animo gentile ed elegiaco; l’ aristocratico reazionario Ricardo Reis,
inguaribile amante della classicità e
della monarchia; Bernardo Soares, autore di un significativo Libro dell’ Inquietudine, modesto e sognatore.
79
lo scaffale
Alvaro de Campos — Sono io, Campos, quello alto
1.75, bruno, del tipo vagamente ebreo. Quello nato a Tavira, il 15 ottobre 1890, alle 13.30. Sono quello che dopo
essersi diplomato in ingegneria navale in Scozia, se n’ è
andato in Oriente. So che ti ricordi di me. Sono quello afflitto dalla sensazione di essere straniero in qualsiasi parte del mondo. Ricordi? mi definisti il nichilista. Lo divenni dopo una serie di delusioni esistenziali. Ho scritto per
te il poema “Tabacaria”, considerato uno dei più noti lavori letterari in lingua portoghese, che ha maggiormente
influenzato altri autori.
Avevi ragione forse, potevamo fondarlo, il nostro Impero. / Volevo vomitare quello che ho visto, solo per la
nausea di averlo visto / Stomaco dell’ anima, agitato di
essere io. / Comincio a conoscermi. Io non esisto. / Sono l’ intervallo fra ciò che voglio essere e quello che gli
altri hanno fatto di me. / O sono la metà di tale intervallo, perché comunque c’ è vita .../
Io sono così, così ... Di me, Alvaro de Campos, si ricorda anche Ophélia, la tua amata. Ricordo quel giorno in
cui lei intuì la minaccia che rappresentavo per te e se ne
lamentò più volte con te. Vedeva in me elementi di omosessualità e dunque di disturbo nel vostro rapporto di
coppia.
(E qui si inserisce nel dialogo, come un’ invisibile
comparsa non prevista, solo per qualche attimo, anche
la donna che aveva amato, Ofelia.)
Ofelia — Fernando era estremamente riservato circa il
nostro amore. Parlava pochissimo della sua vita intima.
Mi diceva che non si confidava con nessuno. Non voleva
che nessuno sapesse quello che sentiva. Il nostro amore
vero durò un anno circa poi lui lentamente sparì senza
motivo. Io mi arrabbiai.
Alvaro de Campos — Ophelinha nella sua lettera è ingiusta con me, ma la comprendo e la scuso. Certo l’ ha
scritta con irritazione, forse perfino con dolore. L’ amore
in me è passato ma le mantengo un affetto inalterabile e
non dimenticherò mai la sua figura graziosa. Non so che
cosa desideri, che le restituisca: lettere o che altro ancora.
80
Salutando un amico
Abdicazione
Prendimi, o notte eterna, tra le braccia
e chiamami tuo figlio. Io sono un re
che volontariamente ha abbandonato
il suo trono di sogni e di stanchezze.
La mia spada, gravosa, a braccia stanche,
ho affidato a virili e calme mani;
ho deposto lo scettro e la corona,
fatti a pezzi, nell’atrio. La mia cotta
di maglia, così inutile,
gli speroni dal futile tintinno
sulla gelida scala abbandonati.
Ho deposto la mia regalità
di anima e di corpo, e son tornato
alla mia tranquilla e antica notte,
ultimo vallo nel morir del giorno.
La morte è la curva della strada
La morte è la curva della strada,
morire è solo non esser visto.
Se ascolto, odo il tuo passo
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
La menzogna non ha nido.
Mai nessuno s’è perduto.
Tutto è verità e cammino.
Al di sopra della verità
Al di sopra della verità stanno gli dei.
La nostra scienza è una copia fallita
della certezza con cui essi
sanno che c’è l’Universo.
Tutto è tutto, e più in alto ci stan gli dei.
Non tocca alla scienza conoscerli,
ma noi si deve adorare
le loro figure come i fiori,
perché visibili alla nostra alta vista,
sono tanto reali quanto i fiori
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
Io preferirei non restituirle niente, conservare le sue lettere come il ricordo vivo di un passato morto come ogni
passato.
Ofelia — Non ci vedemmo ne sentimmo per nove anni. Poi per caso riprendemmo a frequentarci ma sebbene
la mia tenerezza per lui fosse immutata, sentivo che lui
era cambiato. Però lo capivo e mi piaceva. Non trovavo
assolutamente ridicole le sue eccentricità. Mi diceva continuamente di essere pazzo. Io ridevo. Poi un giorno, arrivò una lettera.
Alvaro de Campos — Abel, 25 settembre 1929
Gentilissima Signora Ophelia Queiros, un abietto miserabile individuo chiamato Fernando Pessoa, mio personale e caro amico, mi ha incaricato di comunicare alla
Signoria Vostra - considerando che il di lui stato mentale gli impedisce di comunicare alcunché, neppure a una
mosca - che alla Signoria Vostra è vietato: 1° pesare di
meno; 2° mangiare poco; 3° non dormire; 4° avere la febbre; 5° pensare all’ individuo suddetto.
Da parte mia, come intimo e sincero amico di quel poco di buono della cui comunicazione, seppur con sacrificio, mi faccio carico, consiglio la Signoria Vostra di prendere l’ immagine mentale che eventualmente possa essersi fatta dell’ individuo la cui menzione sta rovinando
questo foglio di carta soddisfacentemente bianco, e di
buttarla, quest’ immagine mentale, nel buco dell’ acquaio, essendo materialmente impossibile dare questa destinazione, che per altro giustamente competerebbe a
quell’ entità fintamente umana, se ci fosse giustizia al
mondo.
Voglia gradire i complimenti di
Alvaro de Campos
(Ingegnere Navale)
Ricardo Reis — Il medico latinista e monarchico. Ricordi? La mia poesia è sempre stata ispirata ai grandi
classici: simmetria, armonia, stoicismo. Mi trasferii in
Brasile come protesta contro la proclamazione della repubblica in Portogallo. Ah! Qualcuno ha anche provato
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
e nel loro calmo Olimpo
sono un’altra Natura.
Il guardiano di greggi
Mi ritiro dentro e chiudo la finestra.
Portano il candeliere e danno la buonanotte.
E la mia voce contenta dà la buonanotte.
Voglia Dio che la mia vita sia sempre questo:
il giorno pieno di sole o una pioggia soave,
o una tempesta come se finisse il mondo,
la sera tenera e greggi di uccelli che passano
fissati con interesse alla mia finestra,
l’ultimo sguardo amico alla quiete degli alberi,
e dopo, chiusa la finestra, il candeliere acceso,
senza leggere nulla, né a nulla pensare,
né dormire, sentire la vita che scorre
in me come un fiume nel suo letto,
e, fuori, un grande silenzio come un dio che
dorme.
a farmi ritornare, ricordi? Approfittando del mistero che
circondava la mia morte.
Se penso o mi percepisco, lo ignoro / Chi è che pensa
o si percepisce. / Io sono solo il luogo / dove si sente e si
pensa. / Ho più di una sola anima. / Ci sono più io di me
stesso / Esisto tuttavia Indifferente a tutti. / Li faccio tacere: io parlo. / Gli impulsi incrociati / Di ciò che sento o
non sento / Discutono su chi io sia. / Io li ignoro.
Alberto Caeiro — Da parte mia, io sono Caeiro, Alberto. Maestro, mi senti? Sono nato a Lisbona, e ho vissuto tutta la vita come contadino, solo con una istruzione elementare. Essendo morti i genitori, vissi con la zia
di uno di loro, grazie a una modesta rendita. Sono morto di tubercolosi. Ricordi? Sono stato il tuo poeta-filosofo. Quello che credeva che gli esseri semplicemente “sono”, e nulla più; irritato dalla metafisica e dedito ad un
linguaggio estetico diretto, concreto e semplice. Ho scritto per te una grande opera. Ti piacque, e la trovi nel vo81
lo scaffale
lume Poemas Completos de Alberto Caeiro.
Metafísica? Que metafísica têm
aquelas árvores? È abbastanza metafisica nel non pensare a niente. /
Che cosa penso io del mondo? /
Che ne so, cosa penso del mondo! /
Che idea ho delle cose? / Che opinione ho sulle cause e gli effetti?/
Cosa ho meditato su Dio e l’ anima
/ e sulla creazione del Mondo? /
Non lo so. Per me pensare a questo
è chiudere gli occhi / e non pensare.
È fare scorrere le tende / della mia
finestra (ma essa non ha le tende).
// Metafisica? Che metafisica hanno
quegli alberi? / Quella di essere verdi e chiomati e di avere rami / e
quella di dare frutti al momento
giusto, cosa che non ci fa pensare, /
noi che non sappiamo accorgercene. / Ma quale metafisica meglio
della loro, / che è quella di non sapere perché vivono / né sapere che
non lo sanno?
Bernardo Soares — Bernardo Soares il più amato. Sono la mutilazione della tua personalità: sono te senza il raziocinio e l’ affettività. Ho
scritto Il Libro dell’ inquietudine, una delle maggiori opere della letteratura portoghese del XX secolo. Da
non crederci vero? Io, Bernardo Soares, modesto impiegato in un ufficio
della Baixa di Lisbona: microcosmo
della mia inquieta metafisica.
Viajar? Por viajar sò chega à existencia / Viaggiare? Per viaggiare basta esistere. / Passo di giorno in
giorno come di stazione in stazio82
ne, / nel treno del mio corpo, affacciato sulle strade / e sulle piazze, sui
gesti e sui volti, / sempre uguali e
sempre diversi / come in fondo sono i paesaggi / e sempre diversos
como no fundo sao as paisagens.
Pessoa — Per me scrivere è disprezzarmi; ma non posso smettere
di scrivere. Scrivere è come la droga
che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e in cui vivo. Ci sono veleni
necessari e ce ne sono di sottilissimi
composti da ingredienti dell’ anima.
Sì, scrivere significa perdermi. Come
esiste chi lavora per noia, io a volte
scrivo perché non ho niente da dire.
Scrivo indugiando sulle parole come
davanti vetrine che non vedo. Scrivo
cullandomi come una madre pazza
culla il figlio morto. Tutto muore in
me. Tutti gli sguardi che guardo sono
così scuri perché batte in loro la luce
impoverita di questa giornata propizia a morire senza dolore.
Oggi, 30 novembre 1935, è deceduto alle ore 13.00 Fernando Pessoa,
in piena solitudine. Così almeno dicono. Ma non è vero, eravamo almeno in cinque in quella stanza. Cinque, me compreso.
Pessoa — All’ improvviso, come un
bambino misterioso, un gallo canta
ignaro della notte. Posso dormire
perché in me è mattino. E sento la
mia bocca che sorride premendo leggermente contro le morbide pieghe
della federa che mi imprigiona il viso. Posso abbandonarmi alla vita,
dormire, ignorarmi. E attraverso il
vergine sonno che mi oscura, ripenso
al gallo che ha cantato; o invece è
davvero quel gallo che canta per la
seconda volta.
Il silenzio comincia ad assumere
un corpo, a diventare una cosa.
Che so io se quando la tua mano /
si posò sul mio braccio, e un poco, /
ma solo, un poco solo, sul mio cuore, / non ci fu un ritmo / nuovo nello spazio? / Come se, inconscia, mi
toccassi / per dirmi qualche mistero
/ improvviso ed etereo / che neppure tu sapevi che esistesse. / Così la
brezza dice ai rami senza saperlo /
un’ imprecisa felicità di cosa.
Mi ritiro dentro, e chiudo la finestra. / Portano il candeliere e danno
la buona notte. / E la mia voce contenta dà la buona notte.
Voglia Dio che la mia vita sia
sempre questo: / il giorno pieno di
sole o soave di pioggia, / o tempestoso come se finisse il Mondo, / la
sera soave e la gente che passa, / fissata curiosamente dalla finestra, /
l’ ultimo sguardo amico dato alla
quiete / degli alberi, e, chiusa la finestra, il candeliere / acceso, e non
leggere più nulla, né pensare / a
nulla, né dormire, sentire / la vita
che mi scorre / dentro come un fiume in piena nel suo letto, / e, fuori,
il silenzio di un dio che dorme.
Sono quasi convinto di non essere
mai sveglio. Non so se non stia sognando quando vivo o se il sogno e la
vita formino in me un ibrido, un’ intersezione dalla quale il mio essere cosciente prende fisionomia per interpenetrazione.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
lo scaffale
Com’ è difficile descrivere ciò che si
sente quando si sente che si esiste per
davvero e che l’ anima è un’ entità reale, che non so quali siano le parole umane con cui si possa definirlo... Non
so se io abbia la febbre, come sento, se
ho smesso di avere la febbre di essere
dormitore della vita. Sono come un
viaggiatore che all’ improvviso si trovi
in una città estranea senza sapere come vi è giunto; e mi vengono in mente i casi di coloro che perdono la memoria, e sono “altri” per molto tempo.
Sono stato un “altro” per molto tempo
(dalla nascita alla coscienza), e mi
sveglio ora, in mezzo al ponte, affacciato sul fiume, sapendo che esisto più
stabilmente di colui che sono stato fi-
nora. Ma la città mi è sconosciuta, le
strade nuove, e la malattia senza rimedio. Aspetto dunque, affacciato al
ponte, che passi la verità, e che io mi
ristabilisca nullo e fittizio, intelligente
e naturale.
…non so avere / un posto nella
vita né un destino / tra gli uomini,
un’ opera, una forza. / Bevvi la coppa del pensiero / fino alla fine; poi
la riconobbi / vuota, e provai orrore. / Sapere? Cosa so? / Pensare è
cessare di credere. / O cielo reale e
grande, / non sa il mondo di pensare il mondo. / Resterò l’ Inferno di
essere, / io, la Limitazione Assoluta,
/ l’ Espulsione-Essere dell’ Universo
lontano. / Non resterò né Dio né
Bibliografia
- Una sola moltitudine (2 vol.), a cura di A. Tabucchi, Adelphi,
1987.
- Nove poesie di Álvaro de Campos e sette poesie ortonime, a
cura di A. Tabucchi, Baskerville, 1988.
- Lettere alla fidanzata, a cura di A. Tabucchi, Adelphi, 1988.
- Faust, a cura di M.J. De Lancastre, Einaudi, 1991.
- Poesie, a cura di L. Panarese, Passigli, 1993.
- Poesia di Álvaro de Campos, Adelphi, 1993.
- L’ enigma e le maschere (testo originale a fronte), a cura di
P. Civitareale, Mobydick, 1993.
- Il marinaio, Einaudi, 1996.
- Odi di Ricardo Reis ( testo originale a fronte), a cura di L.
Corsi, La Vita Felice, 1997.
- Maschere e paradossi, Passigli, 1997.
- L’ora del diavolo, a cura di T.R. Lopez, Passigli, 1998.
- Il poeta è un fingitore. Duecento citazioni scelte da Antonio
Tabucchi, Feltrinelli, 1999.
- Una cena molto originale, Mondadori, 1999.
- Il banchiere anarchico, a cura di U. Serani, Passigli, 2000.
- Poesie esoteriche, a cura di F. Zambon, TEA, 2002.
- Le poesie di Alberto Caeiro, Passigli, 2002.
- Fantasie di interludio. Antologia (1914-1935), a cura di F.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
uomo, né mondo, / mera vacuapersona, infinito del Nulla / cosciente, spavento senza nome, / esiliato dal suo proprio mistero. / Dacché mi svegliai alla coscienza /
dall’ abisso notturno che mi cerchia,
/ non più risi né piansi. E barcollo /
per i foschi cammini dell’ insonnia,
/ occhi vaghi di schianto per l’ orrore / che la realtà esista e ci sia l’ essere, / ci sia il fatto della realtà.❧
Italo Bonassi
Ringrazio Marzia Todero, socia del Gruppo Poesia
83, critica e autrice di drammi, per la gentile collaborazione nella stesura del finale di questo breve
saggio.
Cabral Martins, Passigli, 2002.
- Trentacinque sonetti, Passigli, 2003.
- Novelle poliziesche, Passigli, 2003.
- Messaggio (testo portoghese a fronte), a cura di F. Cabral
Martins e P. Collo, Passigli, 2003.
- Lisbona. Quello che il turista deve vedere, Passigli, 2003.
- Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, a cura di M.J. De
Lancastre, Feltrinelli, 2004.
- Il violinista pazzo, a cura di A. Di Munno, Passigli, 2004.
Bibliografia italiana su Fernando Pessoa
- Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa. Un delirio, di A.
Tabucchi, Sellerio, 1994.
- Modernismo in Portogallo (1910-40). Arte e società nel tempo di Fernando Pessoa, Olschki, 1997.
- Mio caro nininho. Da Ofélia a F. Pessoa, a cura di M.
Nogueira e C. Azevedo, Archinto, 1997.
- Fernando re della nostra Baviera. Dieci saggi su F. Pessoa, di
Eduardo Lourenço, Empiria, 1997.
- Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa, a cura di
A. Tabucchi, Feltrinelli, 2001.
83
Libri di confine
a cura di Peter Disertori
D
a sempre, succede
che artisti di vario
genere, soprattutto
scrittori, diventati famosi nel
mondo, siano invece rimasti
sconosciuti in casa propria. I
motivi, il più delle volte, vanno
ricercati nel fatto che avessero
rappresentato o espresso aspetti tipici, e per questo troppo realistici e poco edificanti, del
proprio Paese. Altre volte, semplicemente perché il loro operato non era stato capito e apprezzato oppure perché erano
stati oggetto di invidie o al centro di questioni locali.
Questo problema è una costante nella storia dell’umanità
e non è un caso che già i Romani avessero stigmatizzato questo stato di cose nella locuzione: nemo propheta in patria.
Può succedere anche il contrario, ovvero che una persona
proveniente “da fuori” tratti di
argomenti inerenti un dato am-
biente e che ivi non sia conosciuta.
Dell’esistenza di un caso del gene-
re, ne sono venuto a conoscenza
per caso. Una sera, giocando
con il telecomando della televisione, mi sono bloccato sul secondo programma tedesco, lo
ZDF, in quanto stava trasmettendo scene poliziesche girate
sul Canal Grande e nelle calli adiacenti. Incredulo dapprima, e
poi divertito a sentir parlare in
tedesco carabinieri e gondolieri,
sono stato catturato dallo sceneggiato. Il telefilm, infatti, dalla trama stuzzicante e verosimile, era recitato bene. È stato in
quell’occasione che sono venuto
a sapere dell’esistenza di un non
meglio identificato commissario Brunetti. Pensando che fosse
un nome scelto a caso dal regista germanico, accantonai questa notizia e non ci pensai più.
Pochi giorni dopo, in ogni
modo, ne parlai con mia moglie, la quale mi raccontò invece
che il personaggio di Brunetti,
un brillante investigatore venezia-
Peter Disertori
Un’americana a Venezia
84
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
libri di confine
Il pesante tepore del bar fu confortante e rassicurante, come anche il profumo di caffè e di brioche. Un uomo e una
donna stavano al banco, gettarono un’occhiata all’uomo in
divisa e poi si girarono e continuarono la loro conversazione. Brunetti ordinò un espresso, Vianello un caffè corretto,
caffè nero con l’aggiunta di un sostanzioso sorso di grappa.
Quando il barman pose le tazzine davanti a loro, entrambi
aggiunsero due zollette di zucchero e tennero per un attimo
le calde chicchere tra le mani.
Vianello bevve il suo caffè in un sorso, appoggiò la tazza
sul banco e domandò: «Ancora qualcosa, commissario?».
Lei voltò le spalle al suo risotto e lo guardò.
«Perché non dovrebbero sorridere, Guido? Pensaci. Sono il
popolo più ricco del mondo. In politica tutti devono adeguarsi a loro e, in qualche maniera, si sono convinti che tutto quello che hanno fatto nella loro relativamente breve storia, non avesse avuto nessun altro scopo che il bene dell’umanità. Allora, perché non dovrebbero sorridere?». Si girò
nuovamente sui fornelli e mugugnò irritata quando si accorse che il riso si stava attaccando. Aggiunse un po’ di brodo e rimestò con vigore per qualche secondo.
«Siamo in un’assemblea di cellule rosse?», chiese lui cortese. Malgrado politicamente la pensassero alla stessa maniera, Brunetti votava sempre per i socialisti, Paola invece caparbiamente per i comunisti. Dopo la fine del sistema e la
morte del partito, lui aveva incominciato a prenderla un po’
in giro.
no, era il protagonista di una serie
di romanzi polizieschi ideati da
Donna Leon, una scrittrice americana vissuta a lungo a Venezia. Mi
rivelò anche di essere un’accanita
lettrice dei suoi gialli e di averne di
sicuro in casa. Pochi minuti dopo,
infatti, mi mise nelle mani un volumetto tascabile dall’accattivante titolo: Endstation Venedig – Commissario Brunettis zweiter Fall (Editore
Diogenes Verlag AG Zürich, 1996,
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
traduzione in tedesco del romanzo
giallo di Donna Leon, Death in a
strange country).
Incuriosito, ho cominciato a sfogliarlo. Quando nelle prime pagine
ho letto che un questurino, certo
Vianello, si ferma in un bar durante
un’indagine e ordina un caffè corretto, in me è scattata una molla e
ho continuato la lettura fino a divorare il romanzo tutto d’un fiato.
L’aspetto interessante è proprio la
figura del protagonista, il veneziano-americano commissario Guido
Brunetti. La prima cosa che risalta,
infatti, è che l’autrice vuole dare al
suo personaggio una veste tipicamente veneziana; in realtà, tali panni si adattano più all’archetipo
dell’italiano medio. Il poliziotto, infatti, ama la buona tavola ed è capace di apprezzare un buon bicchiere
di vino, caratteristiche che richiamano in generale l’arte del saper vi85
libri di confine
«Racconti questo ai tuoi studenti?», chiese lui aprendo
l’armadio e tirando fuori una bottiglia di pinot nero.
Il fegato era già tagliato a pezzettini su un piatto accanto alla padella. Paola vi infilò una paletta, lasciò scivolare
la metà nella pentola e si spostò indietro per evitare gli
spruzzi di olio. Scrollò le spalle. Il semestre era appena iniziato e lei pareva non aver voglia di pensare agli studenti
nel suo tempo libero.
Fece saltare la padella e chiese: «Com’ era la Captain
Doctor?».
Lui prese due bicchieri dal comò e versò il vino in entrambi. Prima di rispondere, si appoggiò all’armadio, le
porse un bicchiere e bevve un sorso dal suo: «Molto giovane, e molto nervosa». Quando vide che Paola continuava
a far saltare la padella, aggiunse: «E molto carina».
vere mediterraneo. Brunetti, inoltre, è profondamente legato alla sua
città e ciò è normale, quello che invece stona un po’ è la sua continua
ricerca, quasi maniacale, di angoli
nuovi o poco conosciuti.
Indovinata è la vita di tutti i giorni tratteggiata da Donna Leon:
Brunetti conduce una normalissima esistenza borghese, caratterizzata da lunghe chiacchierate con la
moglie, da serate passate in teatro o
al casinò e da frequenti arrabbiature con i suoi figli adolescenti. Per
inciso, Paola, la moglie, è di origini
aristocratiche, malgrado ciò legge il
Manifesto.
I punti di forza del personaggio
che, oltre a renderlo simpatico ne
fanno anche un vincente, sono delineati dal suo senso di giustizia e dal
suo carattere, carico di una sana
dote di umanità e senso dell’umorismo. L’autrice americana riesce, inoltre, a far trasparire con abilità il
86
continuo conflitto che Brunetti è
costretto a vivere con i lati ombra
della società e con la corruzione
politica dell’ambiente lagunare. Nei
momenti difficili, il funzionario riesce tuttavia a farsi sempre guidare
da una corticale correttezza e onestà.
La credibilità della figura del
commissario è anche rafforzata dal
suo comportamento sempre cortese e comprensivo con i sottoposti, e
invece prevenuto, anche se lo nasconde bene, nei confronti del suo
diretto superiore, il vice questore
Patta. Quest’ultimo è un “raccomandato”, colpevole per di più di ostacolarlo e di assumersene i meriti,
qualora un’ operazione di polizia si
sia svolta con successo.
Assai avvincente è la capacità di
Donna Leon di esprimere con chiarezza vedute, sapori ed odori tipicamente veneziani, tanto che il lettore
viene subito rapito da quell’atmo-
sfera e riesce ad immedesimarsi
perfettamente nei luoghi e nei momenti illustrati. Nella descrizione
delle situazioni, sulle quali si intrecciano le trame dei vari romanzi, vi è
pure da rimarcare la tendenza della
scrittrice statunitense di basarsi ogni tanto su stereotipi italici, come
la scarsa puntualità dei treni, una
certa indolenza da parte dei funzionari pubblici e la scarsa affidabilità
dell’apparato statale. Inoltre, non riesce a fare a meno di criticare l’abitudine, propriamente italiana, di
non battere gli scontrini fiscali nei
bar e ristoranti e – fatto ancora più
scandaloso e incomprensibile – di
non richiederli. Sono osservazioni
sacrosante che, dette da un italiano
suonano “intelligenti” e “progressiste”, ma in bocca ad un forestiero
possono suscitare fastidio e quindi
risultare offensive a un certo tipo di
lettori.
Effettivamente, l’autrice è stata
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
libri di confine
spesso criticata, ed è questa la ragione del suo bisogno di anonimato
nell’ambito della città di Venezia.
Infatti, ha espressamente preferito
che le sue opere non venissero tradotte in italiano, giustificando la
scelta con il desiderio che i veneziani continuassero a considerarla
senza pregiudizi e come una scrittrice qualunque. L’italiano è infatti
una delle pochissime lingue euro-
pee in cui i libri di Donna Leon non
sono stati tradotti, mentre in paesi
vicini come la Germania i gialli
della scrittrice americana sono dei
veri best seller, tanto da essere anche stati sceneggiati per un serial
televisivo.
Personalmente, reputo che sia un
vero peccato che tali romanzi non
possano essere apprezzati dal pubblico italiano, soprattutto da quello
veneziano. Non tanto per la loro
trama, che comunque li pone ad un
livello assolutamente accettabile,
ma per la visione che un “forestiero” ha del nostro paese, nel bene e
nel male. Mi auguro solo che Donna Leon ci ripensi e che permetta la
traduzione e la diffusione dei suoi
gialli in Italia.❧
Peter Disertori
Donna Leon , nata a Montclair, New Jersey, il 29 settembre 1942, si è trasferita a Venezia nel 1981. È autrice
di best seller a livello mondiale. Scritti in inglese ed ambientati nella città lagunare, i suoi libri sono stati
pubblicati in ventitré lingue straniere (ma non in italiano). Per quanto riguarda le sue altre attività, Donna
Leon ha alternato la carriera accademica a quella di scrittrice, per poi abbandonare la prima. Ha collaborato con il giornale conservatore britannico The Sunday Times scrivendo saggi e recensioni. Le è stato conferito il premio letterario giapponese Suntory per il primo libro, Death at la Fenice.
bibliografia: I libri della serie del commissario Brunetti sono stati pubblicati in tedesco da Diogenes Verlag, Zürich, dapprima come hardcover, poi come
tascabili (detebe). Nel titolo tedesco, i vari casi di cui si occupa il poliziotto veneziano, sono numerati (dal primo al ventesimo).
Venezianisches Finale. Commissario Brunettis erster Fall (Death at La Fenice, 1992), Zürich 1993.
Endstation Venedig. Commissario Brunettis zweiter Fall (Death in a Strange Country, 1993), Zürich 1995.
Venezianische Scharade. Commissario Brunettis dritter Fall (The Anonymous Venetian, US-Titel: Dressed for Death, 1994), Zürich 1996.
Vendetta. Commissario Brunettis vierter Fall (A Venetian Reckoning, US-Titel: Death and Judgment, 1995), Zürich 1997.
Acqua alta. Commissario Brunettis fünfter Fall (Acqua Alta, 1996), Zürich 1997.
Sanft entschlafen. Commissario Brunettis sechster Fall (The Death of Faith, US-Titel: Quietly in Their Sleep, 1997), Zürich 1998.
Nobiltà. Commissario Brunettis siebter Fall (A Noble Radiance, 1998), Zürich 1999.
In Sachen Signora Brunetti. Der achte Fall (Fatal Remedies, 1999), Zürich 2000.
Feine Freunde. Commissario Brunettis neunter Fall (Friends in High Places, 2000), Zürich 2001.
Das Gesetz der Lagune. Commissario Brunettis zehnter Fall (A Sea of Troubles, 2001), Zürich 2002.
Die dunkle Stunde der Serenissima. Commissario Brunettis elfter Fall (Wilful Behaviour, 2002), Zürich 2003.
Verschwiegene Kanäle. Commissario Brunettis zwölfter Fall (Uniform Justice, 2003), Zürich 2004.
Beweise, daß es böse ist. Commissario Brunettis dreizehnter Fall (Doctored Evidence, 2004), Zürich 2005.
Blutige Steine. Commissario Brunettis vierzehnter Fall (Blood from a Stone, 2005), Zürich 2006.
Wie durch ein dunkles Glas. Commissario Brunettis fünfzehnter Fall (Through a Glass, Darkly, 2006), Zürich 2007.
Lasset die Kinder zu mir kommen. Commissario Brunettis sechzehnter Fall (Suffer the Little Children, 2007), Zürich 2008.
Das Mädchen seiner Träume. Commissario Brunettis siebzehnter Fall (The Girl of His Dreams, 2008), Zürich 2009.
Schöner Schein. Commissario Brunettis achtzehnter Fall (About Face, 2009), Zürich 2010.
Auf Treu und Glauben. Commissario Brunettis neunzehnter Fall (A Question of Belief, 2010), Zürich 2011.
Reiches Erbe. Commissario Brunettis zwanzigster Fall (Drawing Conclusions, 2011), Zürich 2012.
Altre opere :
Latin Lover. Von Männern und Frauen, Zürich 1999.
Eine Amerikanerin in Venedig. Geschichten aus dem Alltag, Zürich 2000.
Über Venedig, Musik, Menschen und Bücher, Zürich 2005.
Auswahl als Taschenbuch: Mein Venedig, Zürich 2007.
Bei den Brunettis zu Gast. Ricette di Roberta Pianaro e racconti culinari di Donna Leon. Vignette di Tatjana Hauptmann, Zürich 2009.
In Germania, nel 2000, un suo romanzo è stato sceneggiato per trarne il film Mord am Canal Grande (Assassinio sul Canal Grande) di Gero von Boehm.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
87
Libro chiama libro
a cura di David Cerri
Chi dimentica o non è abituato a ricordare,
è sempre pronto a dar ragione all’ultima persona con cui parla.
R.Franchini, 99 aforismi, Napoli, Giannini, 1976 (af.29).
Dalla testimonianza
alla storia
La seconda questione ha al centro
una domanda di intuitiva importanza: che accadrà dopo che anche
l’ “ultimo testimone” diretto dello
sterminio se ne sarà andato?
Non pochi di noi hanno infatti potuto conoscere personalmente persone scampate ai Vernichtungslager,
e molti hanno almeno potuto apprenderne le testimonianze attraverso i mezzi di comunicazione: una
per tutte, l’esperienza della monumentale ricerca di Claude Lanzmann
sulla Shoah1. Le due modalità peraltro non sono identificabili in tutto,
lo dico pensando anche al ricorrente
negazionismo, che come un fiume
carsico di tanto in tanto si riaffaccia,
inteso come movimento storiografico che in nome di uno scetticismo
spinto all’estremo giunge a negare, o
1 - C. Lanzmann, Shoah, DVD con testi allegati, introduzione di F. Sessi e prefazione di S. de
Beauvoir, Torino, Einaudi, 2007. Sulla nuova
edizione dell’opera a 25 anni dalla prima uscita
v. il commento di D. Denby in The New Yorker
del 10.1.2011, “Look again”.
Nella prima parte di questo
lavoro – pubblicata nel n. 6 –
l’ Autore esaminava le motivazioni della scrittura; in questa seconda e finale è il tema
della memoria a suscitare interrogativi che hanno determinato risposte diverse.
fortemente ridimensionare, alcuni
fenomeni storici, in primis – quantomeno mediaticamente – la stessa
Shoah.
Ha scritto David Bidussa che la
Giornata della Memoria non è il
“giorno dei morti”, ma quello della
memoria per i vivi: “se la memoria è
elaborata nel presente e si propone per
il futuro significa che noi non ricordiamo ‘quello che è avvenuto’ come se
fosse un dato, ma che lo ricordiamo
attivamente, ossia insieme ne produciamo e riproduciamo la memoria”2,
compito che sarà allora – dopo l’ulti2 - D. Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Torino,
Einaudi, 2009.
mo testimone – esclusivamente nostro, e quindi inevitabilmente, come
dire, di seconda mano. Un indirizzo
operativo, dunque, tanto più consono all’angolazione che ho proposto
poco sopra. Non ha torto, peraltro,
neppure Marcello Pezzetti3 quando
ricorda che gli unici che hanno conosciuto davvero la Shoah sono quelli che non sono sopravvissuti, quelli
che selezionati alla discesa dal treno
venivano immediatamente avviati alle camere a gas, o rastrellati venivano
subito fucilati e gettati nelle fosse comuni: la vera memoria è forse quella
impossibile dello sterminio, non
quella della vita nei lager. Ha scritto
Maurice Blanchot: “Noi leggiamo i libri su Auschwitz. Il voto di tutti, laggiù, l’ultimo voto: sappiate ciò che è accaduto, non dimenticate, e allo stesso
tempo voi non lo saprete mai”4.
3 - M. Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I
racconti di chi è sopravvissuto, Torino, Einaudi,
2009.
4 - M. Blanchot, L’écriture du désastre, Paris,
Gallimard, 1980, spec. p.130 ss. (ns. trad.)
David Cerri
Scrivere per non dimenticare [II]
88
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
libro chiama libro
Memoria e letteratura
Ho ricordato in epigrafe come
l’atto del ricordare trovi espressione
non solo nella memorialistica, nella
ricerca storiografica vera e propria,
ma anche nell’arte.
Per la Shoah, efficacemente Carlo
de Matteis ha titolato “Dire l’indicibile” la sua ricerca sulla memoria letteraria dello sterminio degli ebrei5.
Paul Celan, per tutti, ha dimostrato l’astrattezza della sia pur celebre e suggestiva affermazione di Adorno secondo la quale “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è
barbaro”6 ma è assai più ampio il riflesso delle tragedie del ‘900 in letteratura.
Mentre la riflessione di intellettuali come Levi e Amery è al confine tra filosofia e letteratura, e le testimonianze di Wiesel e Antelme7
presidiano quello con la storia, altri
hanno scelto la via del romanzo o
del racconto per tramandare la memoria di quei giorni; memoria che
in alcuni casi è in realtà frutto almeno parziale di invenzione, ma
non meno efficace, e soprattutto
non meno “veritiera”.
È il caso di alcune pagine di Jorge
Semprùn, come quelle - atroci sulle uccisioni dei bambini ebrei de
Il grande viaggio8, dove peraltro anziché di finzione si deve parlare di
rielaborazione letteraria di una esperienza personale (lo “stile” aiuta
la percezione, la ricostruzione di un
avvenimento realmente accaduto);
mentre in Cynthia Ozick la ri-creazione integrale di una vicenda assai
più che verosimile si scolpisce nel
lettore in modo incancellabile, come ne Lo scialle9.
Diverso l’approccio di altri, come
André Schwarz-Bart, che ne L’ultimo dei giusti10 (Premio Goncourt
del 1959 e tra i primi a risvegliare
un interesse di massa per la Shoah)
tratteggia la saga di una famiglia ebrea dal medioevo fino agli esiti novecenteschi; o Peter Weiss, che trasforma il materiale cronachistico di
un processo contro un gruppo di SS
di Auschwitz (i verbali, le deposizioni) nell’“oratorio in 11 canti” de
L’istruttoria11 con uno stile oggettivo che si presta ad un incalzante
crescendo. Ancora diverso, e più estremo, l’atteggiamento di chi, come Georges Perec, ricerca nella
sperimentazione di nuove forme la
soluzione alla difficoltà di “esprimere l’inesprimibile”12: lo scrittore che
si dà delle regole (le più stravaganti)
per lo scrivere non ne viene limitato, ma anzi stimolato. Così ne La
scomparsa13 lo scrittore francese di
origini polacche (orfano di entrambi i genitori per la guerra: il padre
5 - C. De Matteis, Dire l’indicibile. La memoria
letteraria della Shoah, Palermo, Sellerio, 2009.
6 - T.W. Adorno, Prismi. Saggi sulla critica della
cultura, Torino, Einaudi, 1981.
7 - R. Antelme, La specie umana, Torino,
Einaudi, 1969.
8 - J. Semprùn, Il grande viaggio, Torino, Einaudi,
1990.
9 - C. Ozick, Lo scialle, Milano, Feltrinelli, 2003.
10 - A. Schwarz-Bart, L’ultimo dei giusti,
Milano, Feltrinelli, 1961.
11 - P. Weiss, L’istruttoria, Torino, Einaudi, 1966.
12 - G. Perec, Robert Antelme ou la vérité de la
littérature, pubblicato originariamente nella rivista Partisans nel 1963.
13 - G. Perec, La scomparsa, Napoli, Guida,
1995.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
caduto in guerra, la madre deportata, probabilmente ad Auschwitz) si
prescrive di utilizzare la forma del
lipogramma, escludendo programmaticamente l’uso di una lettera (la
e); è forse uno stratagemma per rispondere all’assurdità dell’antisemitismo con l’assurdità di una regola
inventata e gratuita, ma che costringe chi scrive ad uno sforzo espressivo del tutto particolare ed evoca ben altre scomparse, ad iniziare da quella dei genitori, immanente a tutta l’opera.
L’etica della memoria
Mi piacerebbe che qualcuno si ricordasse che qui una volta viveva una
persona di nome David Berger14
Al filosofo israeliano Avishai
Margalit (che è tra l’altro tra i fondatori del movimento pacifista Peace Now) dobbiamo l’idea della “società decente”, che non coincide con
la “società giusta” di John Rawls,
perché mentre quest’ultima si occupa soprattutto dei criteri distributivi, Margalit con il concetto di
“decenza” evidenzia il valore della
dignità umana, che intesa essenzialmente come assenza di umiliazione precede quello stesso di giustizia15.
14 - David Berger, ebreo polacco, cercò di sfuggire all’invasione tedesca rifugiandosi a Vilnius
in Lituania; lì fu fucilato nel luglio del 1941, a 19
anni. La frase è tratta dalla sua ultima lettera
all’amica Elsa.
15 - A. Margalit, La società decente, Milano,
Guerini e associati, 1998; fondamentale di
quest’Autore per ciò che ci interessa L’etica della
memoria, Bologna, Il Mulino, 2006; J. Rawls,
Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli,
89
libro chiama libro
La sua interpretazione si basa su li”, che cioè si abbiano dei doveri
una distinzione tra etica e morale, verso gli altri solo perché anch’essi
fondata sul tipo di relazione inter- esseri umani. Non è stato Hitler ad
personale considerata: l’etica si in- affermare ai suoi generali, poco priteressa delle relazioni che definisce ma dell’invasione della Polonia,
“spesse” (i rapporti che si
intrattengono con le persone vicine e verso cui si nutre
un interesse diretto), mentre
la morale di quelle “sottili”
(che cioè riguardano ogni
essere umano).
La conclusione dello studioso è quindi che “esiste
un’etica della memoria, ma
nella memoria c’è ben poca
moralità”; Margalit ricorre
al concetto di “cura”, volto
al passato ed in relazione
con la memoria: il prendermi cura di qualcuno –
una relazione “spessa” –
comporta il ricordo. Per
questo motivo (l’intrecciarsi con la cura, essendo
al centro delle relazioni
Yom Hashoah (Giorno della Rimembranza)
“spesse”) la memoria apDorielle Rimmer Halperin, Bezalel Academy
partiene allora all’etica,
mentre la morale ne è appunto e- “Dopotutto, chi parla oggi dello sterstranea perché le relazioni “sottili” minio degli armeni ?”16.
La fonte di molte riflessioni di
di cui si occupa non implicano il
dovere della “cura”. L’etica della me- Margalit è la Bibbia ebraica, in parmoria si colloca quindi su un piano ticolare per quella sull’importanza
collettivo generale, che giustifica il di ricordare il nome; l’espressione
dovere del ricordo, per evitare nuo- biblica “cancellare il nome” riveste
ve manifestazioni di “male radica- il duplice significato di uccidere
le”, che puntano a contestare la stes- 16 - Per la sintesi delle posizioni di Margalit sosa idea a base delle relazioni “sotti- no debitore ai commenti di K.A. Appiah, You
2008. Sulle teorie della giustizia ormai indispensabile a parere di chi scrive il riferimento a M.
Sendel, Giustizia. Il nostro bene comune,
Milano, Feltrinelli, 2010.
90
must remember this, in La Rivista dei Libri, maggio 2007, e di M. Bozzer, nella cit. Rivista telematica Deportati, Esuli, Profughe (DEP) dell’Università di Venezia, la cui lettura raccomando
caldamente.
l’uomo e distruggerne la memoria;
lo ha ben presente Jacques Derrida
quando commentando il Paul Celan di Aschenglorie rileva l’intraducibilità per così dire “ontologica”,
l’intrasportabilità al di fuori della lingua dello sterminio – il tedesco – di un simile doppio termine (in italiano “gloria delle ceneri”? “cenere ‘aureolata’ di
gloria”? oppure semplicemente “c’è la cenere”?): “cenere, questo è anche il nome
di ciò che annienta o minaccia di distruggere persino la
possibilità di portare testimonianza allo sterminio”; e
proprio Celan così concludeva quei versi: “nessuno testimonia per il testimone”17.
Scrive invece un altro autore la cui ricerca si inscrive sempre in questi ambiti,
Henri Raczymow: “Per me,
compito dello scrittore è
quello di rinominare i morti, ed anche i vivi, vale a dire i morti in potenza”18.
La frase di Isaia citata all’inizio
17 - Niemand / zeugt für den / Zeugen (ns.trad.).
J. Derrida, Poetics and Politics of Witnessing
(2004), in Sovereignities in Question. The Poetics
of Paul Celan, a cura di T. Dutoit e O. Pasanen,
New York, Fordham University Press, 2005;
Aschenglorie è nella raccolta di Celan del 1967
Atemwende.
18 - H. Raczymow, Mémoire, oubli, littérature.
L’effacement et sa représentation, in Vivre et écrire la
mémoire de la Shoah. Littérature et psychanalyse, P.
Wilgowicz & C. Wardi éds., Alliance Israélite
Universelle, 2002, p. 50 (ns. trad.). Citato da A.
Schulte Nordholt, Perec, Modiano, Raczymow.
La génération d’après et la mémoire de la Shoah,
Amsterdam-New York, RODOPI, 2008.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
libro chiama libro
della prima parte di questo contributo si riferisce al pio eunuco, al
“legno secco” che non lascerà discendenza, cui tuttavia Dio garantisce un posto nella memoria; come
scrive Margalit “Chiamare Yad
Vashem il memoriale per le vittime
dell’olocausto esprime l’idea che le
vittime ebree in Europa sono come
gli eunuchi che non lasciano tracce, e
che ci sarà un luogo di raccolta nazionale per i loro nomi, sul modello
di cui parla Isaia”19.
Amnistia o amnesia?
Grazie al lavoro della memoria,
completato da quello del lutto,
ognuno di noi ha il dovere di non
dimenticare, ma di ricordare il passato, per quanto penoso possa essere, sotto la guida di una memoria
pacificata.20
Paul Ricoeur, dopo aver riflettuto
sui significati del ricordare e del dimenticare, si pone la questione dei
ricorrenti tentativi, propri delle democrazie moderne, di “sopire” conflitti, o meglio i loro lasciti, ricorrendo ad una sorta di “oblio controllato” (commanded forgetting).
Ricoeur ricorda il giuramento imposto dai vincitori del partito democratico dopo la fine dell’oligarchia dei trenta Tiranni (Atene, 403
19 - A. Margalit, L’etica della memoria cit.,
p.26. Importante il progetto dello Yad Vashem
per assicurare, prima che sia troppo tardi, l’identificazione di tutte le vittime dello sterminio:
www.yadvashem.org.
20 - P. Ricoeur, lecture tenuta a Budapest nel
marzo 2003, Memory, history, oblivion, che si
legge sul sito http://www.fondsricoeur.fr.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
a.C.), con il quale ci si impegnava a
mè mnesikakein, a “non ricordare i
mali” nei confronti degli avversari,
ma oggi vengono in mente, per esempio, due iniziative senza dubbio
entrambe volute per fini di pacificazione dopo eventi estremi (l’ apartheid; la guerra), ma molto diverse tra loro: la Commissione per
la verità e la riconciliazione voluta
da Mandela per il Sud Africa, e
l’amnistia c.d. “di Togliatti” del
1946. Le ragioni in casi del genere
possono essere più che onorevoli,
come riconosce lo stesso Ricoeur,
ma anche il dubbio che le amnistie
violino verità e giustizia ha buoni
motivi di rimanere. Abbiamo ricordato questi due episodi proprio per
sottolinearne le diversità; solo nel
primo caso, quello del Sud Africa, il
compito principale è quello di acquisire testimonianze (e, particolare non da poco, sui comportamenti
di entrambe le parti), mentre il percorso per l’amnistia vera e propria
richiede “una confessione piena e
totale. Bisogna dichiarare tutto quello che si è fatto, assumersi responsabilità definite e precise. L’amnistia
infatti è molto specifica ed è applicata per ogni atto. Non si può chiedere
amnistia dicendo «ero nella polizia
addetto alla sicurezza, chiedo l’amnistia per avere ammazzato delle
persone oppure per avere torturato».
No, bisogna riferire in modo specifico di ogni persona uccisa, di ogni
persona torturata e ogni azione viene giudicata in base agli stessi criteri.
La stessa persona può ottenere l’am-
nistia per un’azione, ma non per
un’altra. Le famiglie delle vittime o la
vittima, se è ancora in vita, hanno il
diritto di opporsi alla concessione
dell’amnistia e hanno anche il diritto
di essere rappresentate da un legale.
Possono opporsi alla concessione
dell’amnistia dicendo che non è stata
detta tutta la verità oppure che non
c’era nessuna motivazione politica
per quel determinato crimine”21. Ecco allora l’indicazione posta in epigrafe di questo paragrafo: un dovere di ricordare, proprio dell’individuo e non dello Stato, che non mira
alla vendetta ma proprio a consentire la più ampia ripresa della convivenza. Ma vi è di più.
Il dovere di ricordare non può
non presupporre il “lavoro” della
memoria, che secondo Ricoeur si
svolge su due fronti: oltre a combattere l’oblio (non quello naturale derivante dalla nostra biologia e dalle
nostre abitudini, anche pubbliche,
ma quello) “consistant en un art habile d’éluder l’évocation des souvenirs
pénibles ou honteux, en une volonté
sournoise de ne pas vouloir savoir, ni
de chercher à savoir”22 (l’amnistia
21 - A.Russel, Signor nemico crudele: lei è stato
perdonato, in Diario della settimana, III, n.10,
11.3.1998, leggibile in http://www.presentepassato.it/Dossier/Diritti_98/14commissione_verita.htm.
22 - P. Ricoeur, Le bon usage des blessures de la
mémoire, in Les résistances sur le Plateau
Vivarais-Lignon (1938-1945); Témoins, témoignages et lieux de mémoires. Les oubliés de l’histoire
parlent, Polignac, Editions du Roure 2005, leggibile anche in http://www.fondsricoeur.fr. Il riferimento più generale è a P. Ricoeur, Ricordare,
dimenticare, perdonare. L’enigma del passato,
Bologna, Il Mulino, 2004, i cui concetti principali sono sintetizzati nella lecture ricordata in
nota 48. Su Margalit e Ricoeur v. V. Bradford,
91
libro chiama libro
del ’46? gli “armadi della vergogna”?), deve anche evitare i “pericoli della ripetizione”, quel ridurre
la memoria ad una raccolta di fatti
che da un lato impedisce una reale
comprensione di come e perché ciò
che è accaduto è accaduto, e, dall’altro, coltiva l’odio e la vendetta. E tra
il lavoro della memoria ed il dovere
della memoria c’ è, ci deve essere, uno spazio per il futuro, o, come la
definisce Ricoeur, per la “promessa”, questa volontà “de tenir la parole qui nous engage en avant de nousmêmes et ainsi nous maintient à la
hauteur de nos meilleurs projets de
vie personnelle et collective”23: que-
sta una possibile chiave interpretativa delle diverse Commissioni per
la verità e la riconciliazione che negli ultimi decenni hanno fatto seguito a traumatiche “cesure” storiche, come dittature e guerre. Abbiamo già ricordato quella sudafricana, ma un’altra importante esperienza è la ricostruzione operata
dalla Commissione Nazionale sulla
Scomparsa delle Persone (CONADEP) argentina, presieduta dallo
scrittore Ernesto Sabato, dei tragici
avvenimenti di quella nazione nel
periodo della dittatura militare
(1976/1983). Il rapporto Nunca
Más (Mai più) del 198424, che non
era diretto all’incriminazione dei
responsabili (compito lasciato
all’autorità giudiziaria ordinaria, e
proseguito nonostante le successive
traversie ed alternanze tra amnistie
e processi), si apre col ricordo delle
parole del Generale Dalla Chiesa
che, durante il sequestro Moro, avrebbe risposto a chi suggeriva di
torturare i brigatisti rossi: “L’ Italia
può permettersi di perdere Aldo Moro, ma non può permettersi di introdurre la tortura”.❧
On the Language of Forgetting, in Quarterly
Journal of Speech 95.1 (2009): 89-104.
23 - P. Ricoeur, Le bon usage cit.
24 - http://www.nuncamas.org/investig/investig.htm, la cui versione in lingua inglese contiene una introduzione di Ronald D.Dworkin:
NUNCA MAS: The Report of the Argentine
National Commission on the Disappeared, New
York, Farrar, Straus & Giroux, 1986.
92
David Cerri
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
1
E
*
a cura di Francesca Garello
Q
ualche numero fa abbiamo
visto come sia estremamente popolare nel mondo
ludico ispirarsi a romanzi per creare giochi di ogni sorta (cfr. Furore n.
4, dic. 2011).
Si potrebbe pensare che sia un
percorso a senso unico, perché il
gioco può appropriarsi delle complesse trame del romanzo per semplificarle e usarle come ispirazione
ma il romanzo non può fare altrettanto, appartenendo il gioco a un
mondo più meccanico e meno liberamente creativo.
Come vedremo non è affatto così.
Scacchiere mortali
Tra le opere letterarie che ruotano attorno a un gioco la maggior
parte fa riferimento agli scacchi,
persino troppe per poterle citare
tutte, il che non sorprende essendo
uno dei giochi più antichi. Per l’Italia va segnalato il romanzo L’alfier
nero di Arrigo Boito (1867), poco
conosciuto esempio di narrativa
fantascientifica ottocentesca, in cui
i colori dei pezzi e della scacchiera
si riflettono nell’ideologia di una
società razzista. Più nota è la pièce
teatrale di Antonio Giacosa Una
partita a scacchi, del 1873, da cui
nel 1892 fu tratto anche il libretto
dell’omonima opera lirica di Pietro
Abbà Cornaglia: qui il tema è trattato con leggerezza, la partita deve
decidere a chi andrà sposa una abilissima giocatrice.
Il soggetto assumerà una valenza
più cupa e metafisica dopo il film di
Ingmar Bergman Il settimo sigillo
(Det sjunde inseglet, Svezia 1957),
derivato da un’opera teatrale dello
stesso Bergman, Pittura su legno
(Trämålning, 1955) e incentrato su
una partita tra la Morte e un cavaliere. Lo scrittore Paolo Mauresig
ha accolto questa impostazione
ambientando La variante di Luneburg (Adelphi, 1993) nel cupo scenario di un campo di concentramento dove la posta in gioco di ogni partita è la vita degli internati.
Più originale è il romanzo di fantascienza di John Brunner La scacchiera (The Squares of the City,
1965), pubblicato da Urania nel
1969: la storia è basata sulla vera
partita giocata da Wilhelm Steinitz
e Mikhail Chigorin nel 1892 all’Havana e tutti gli spostamenti che i
molti personaggi compiono nella
topografia cittadina in cui è ambientato il racconto in realtà ripetono le mosse dei pezzi di quella partita, creando una trama a incastro
vertiginosa e corale.
Mostri per scommessa
Forse il più fortunato romanzo
nato da un gioco è Frankenstein di
Mary Shelley (1818). La genesi è
nota: un gruppetto di intellettuali
inglesi passa sul lago di Ginevra la
villeggiatura estiva ma piove sempre e sono costretti a restare per
lungo tempo chiusi in albergo. Si
annoiano, quindi decidono di leggere delle paurose storie di fantasmi davanti al fuoco. Potrebbe fini-
* orizzontali 1 - Tra libro e gioco
Francesca Garello
Dalle pedine alle pagine
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
93
Tra libro e gioco
re così, ma i villeggianti non sono
gente comune: c’è il poeta Shelley, il
poeta Byron, due anticonformiste
sorelle della quali una è la futura
moglie di Shelley e l’altra l’amante
di Byron, il dottore e scrittore John
Polidori. Una storia tira l’altra e dopo un po’ i compagni
si dicono: scommettiamo che siamo capaci
anche noi a scriverle?
Vinca il migliore.
Quale sia stato il migliore dei romanzi
prodotti con questa
sfida è difficile da dire:
di certo il più famoso è
Frankenstein, ma quel
gioco fece nascere anche il primo romanzo
in lingua inglese sul tema dei vampiri (benché incompleto) A
Fragment of a Novel
(1819) di Lord Byron,
al quale Polidori si ispirò per il più compiuto The Vampyre
(1819), progenitore dei
moderni romanzi romantico-vampireschi.
Divertenti delitti
Gli esempi esaminati finora, però, si riferiscono a storie ispirate abbastanza liberamente ai giochi, non
basate esattamente su di essi. Se vogliamo una storia che utilizzi precisamente l’ambientazione e il meccanismo del gioco dobbiamo rivol-
94
gerci a una serie di libri per bambini ispirati al celebre Cluedo (in nord
America Clue). Il gioco, ideato in
Inghilterra nel 1948 da Anthony
Pratt e pubblicato da Waddington
Games (ora della Hasbro), ricrea
un classico giallo investigativo am-
bientato in una tradizionale dimora
inglese di campagna, Tudor Hall, in
cui i giocatori sono allo stesso tempo i sospettati e gli investigatori.
Il grande successo del gioco ispirò un film (Clue, di Jonathan Lynn,
USA 1985) e una serie umoristica
di 18 libri per ragazzi, edita dalla
Scholastic Press tra il 1992 e il 1997.
Nelle varie storie compaiono i “pezzi” del gioco come altrettanti personaggi (Miss Scarlet, il Colonnello
Mustard, Mrs.White, Mrs. Peacock
e il Professor Plum), e i giovani lettori devono risolvere dei
mini misteri ambientati
proprio nelle nove stanze
di Tudor Hall (in origine il
tabellone di gioco).
La serie si esaurì alla fine
degli anni ‘90, ma la sua popolarità incoraggiò la casa
editrice a riprenderne l’uscita, questa volta dedicando la serie a lettori un po’
più adulti: dal 2003 furono
pubblicati due nuovi libri
per adolescenti, con intrecci
più complessi che mantenevano comunque l’impostazione umoristica della serie
primitiva. La pubblicazione
si interruppe però molto
presto e, benché i libri siano
ancora reperibili attraverso
Amazon, non sembra sia
destinata a riprendere.
Terroristi e computer
Un caso veramente particolare è quello che vede protagonista uno dei più famosi autori mondiali di techno-thriller, Tom Clancy.
Nonostante non riguardi un gioco tradizionale ma per computer,
vale la pena di citarlo per la sua singolarità.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Tra libro e gioco
In realtà moltissimi libri di
Clancy sono stati trasposti in altrettanti video-game poiché lo
stesso autore credeva (e crede)
molto in questo filone: nel 1996 ha
fondato assieme ad altri soci una
società di produzione
di videogiochi chiamata Red Storm Entertainment (dal suo
romanzo Red Storm
Rising, 1986, in Italia
Uragano Rosso, Rizzoli 1989) proprio per
autoprodurre giochi
correlati ai suoi libri.
Nel 1998 Clancy
pubblica Rainbow Six,
incentrato su un gruppo internazionale antiterrorismo chiamato
appunto Rainbow Six.
Ad esso si affianca il
videogioco, anzi le
due opere escono
pressoché in contemporanea (in agosto).
La novità è che stavolta Clancy ha delineato prima la trama
per il gioco e solo dopo ha deciso di ampliarla e approfondirla per scrivere il romanzo.
A quanto pare Clancy scrive
best sellers non soltanto nel campo dei libri: il videogioco ha avuto
ben sedici espansioni, la diciassettesima è attesa per il 2013.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Incastri cyberpunk
Ci sono casi anche più complicati.
Uno dei giochi di ruolo di maggiore successo degli anni ‘90 è Shadowrun, di Jordan Weisman e Bob
Charette (prima edizione Fasa
Corporation 1989; in Italia è stato
pubblicato a partire dalla seconda
dalla Nexus Editrice, 1992).
Nato sulla scia del filone di fantascienza cyberpunk iniziato da William Gibson con il romanzo Neuromante (Neuromancer, 1984; pubbli-
cato in Italia nel 1986 da Editrice
Nord), Shadowrun mescola elementi di fantascienza con altri provenienti dal più tradizionale mondo fantasy dei giochi di ruolo: è
ambientato alla metà del secolo
XXI dopo disastrose
guerre che hanno portato al caos sociale, e
per motivi non chiari è
tornata la magia; tra le
razze esistenti ci sono
umani ma anche elfi,
troll, nani e creature
“metavarianti” come
gnomi e troll, oltre a
“abomini” come vampiri, goblin, banshee e
altre piacevolezze. Alcuni umani e metaumani possono mettersi
in contatto con la Matrice, la rete globale di
computer ristrutturata
dopo il grande Crash,
attraverso un connettore situato dietro l’orecchio. I giocatori impersonano degli “shadowrunners”, o Corridori delle Ombre, mercenari in vendita al
miglior offerente per
compiere missioni di
vario genere.
Questa contaminazione technofantasy è ciò che rende Shadowrun
così unico e apprezzato dai suoi seguaci, ma è anche la caratteristica
che lo ha reso sgradito allo stesso
Gibson, che non lo ama e non ne ri95
Tra libro e gioco
conosce la filiazione dalle sue opere. Quindi in questo caso possiamo
escludere la diretta derivazione romanzo-gioco, nonostante un’evidente influenza nell’ambientazione.
Ma se Shadowrun non discende
da un libro, molti libri discendono
da esso. Tra il 1990 e il 2001 sono
stati pubblicati in America 40 romanzi ambientati nel mondo del
gioco, tradotti poi in diverse lingue
(in italiano ne sono usciti pochissimi, prima dalla Granata Press poi
da Nexus). Nel 2005 la serie è stata
rilevata da un’altra casa editrice che
ha dato alle stampe altri quattro volumi. La serie si è di nuovo arenata
ma nel novembre 2012 è uscito un
romanzo breve che sembra suggerire l’intenzione di ricominciare le
pubblicazioni. In Germania il successo è stato persino superiore: non
solo la serie non si è interrotta dopo
il 2001, ma fino al 2008 sono stati
scritti diversi romanzi originali da
autori tedeschi con storie ambientate nella stessa Germania.
Per completare il quadro degli incastri, è interessante notare come i
libri e il gioco abbiano in parte ispirato alcuni dei film di fantascienza
più popolari dei primi anni 2000, la
saga di Matrix dei fratelli Wachowski (Usa, 1999-2003).
Draghi e lance
In realtà, quando si parla di romanzi derivati da un gioco, in ambiente
ludico si pensa a una cosa sola: la serie fantasy di Dragonlance, ispirata ai
mondi di Dungeons &Dragons. Si
96
tratta di una serie così amata e popolare che, iniziata nel 1984, non solo
non si è ancora interrotta ma ha dato
origine anche a numerosi spin-off: si
tratta di più di 200 volumi tra romanzi di varie serie (spesso parallele e/o
incrociate), prequel, sequel, antologie
e persino un libro di ricette!
La derivazione dei romanzi dal
gioco è assai precisa. Tra i giocatori è
ancora diffusa la leggenda che vuole i
primi tre volumi (Dragons of Autumn Twilight, 1984; Dragons of Winter Night, 1985; Dragons of Spring
Dawning, 1985) nati come trascrizione di alcune sessioni di gioco degli
autori Tracy Hickman and Margaret
Weis e altri tester della TSR, allora casa editrice del gioco (ora è la Hasbro).
In realtà la stessa Weis (originariamente a capo della sezione narrativa
della TSR) ha più volte smentito questa interpretazione precisando che i
romanzi furono certamente basati su
una delle ambientazioni di D&D (il
mondo di Krynn), riprendendone
costumi, personaggi, meccanismi di
gioco (quello sul funzionamento della magia per esempio), ma che furono ideati fin dall’inizio come romanzi a pieno titolo.
In Italia la trilogia delle Cronache è
uscita alcuni anni più tardi (I draghi
del crepuscolo d’autunno, 1988; I draghi della notte d’inverno, 1989; I draghi dell’alba di primavera, 1989) e la
pubblicazione dei molti volumi successivi è proseguita con continuità
(dalla casa editrice Armenia), anche
se in numero nettamente minore a
quanto uscito negli Usa.
Luce nelle tenebre
Per finire mi fa piacere citare un
caso italiano che ha caratteristiche
peculiari, un esperimento che coniuga gioco, scrittura collettiva e
narrativa avventurosa.
Nell’ambito della piccola comunità ludica online Lux in Tenebra si
gioca di ruolo per iscritto su un forum (mentre solitamente il gioco di
ruolo è molto “recitato” e richiede
presenza fisica) e da questo processo si ottengono dei romanzi fantasy
scritti in collettivo. L’unione di queste caratteristiche è inconsueto:
mentre in altri casi una o più sessioni di gioco comunitario sono state
raccolte alla conclusione da un singolo autore, nei due romanzi di LiT
(L’erede del Grifo, Edizioni Simple,
2007 e L’angelo nero, idem, 2009)
tutta l’azione è stata raccontata insieme e simultaneamente dai partecipanti in forma narrativa, in terza
persona ma soprattutto per iscritto
sin dal principio.
Così non è più necessario chiedersi se sia il gioco che deriva dal
romanzo o il romanzo dal gioco: lo
scrivere diventa contemporaneo
all’atto ludico e il giocare parte integrante dell’atto narrativo.❧
Francesca Garello
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Il Furore del Rock
a cura di Livio Bauer
Nel 1970-71 De Andrè, trentenne,
pubblicò i suoi due dischi più evidentemente ispirati ad opere letterarie,
anche se tutta la sua produzione è
pervasa di cultura e rimandi colti,
espliciti e/o sottesi.
La buona novella
Perché un anarchico-ateo-agnostico (e chi più ne ha...) dedica un intero disco ai Vangeli (per quanto
Apocrifi; vedasi in Marginalia l’ ottimo contributo di Silvio Sega e
Floriano Simoncelli)?
In realtà Faber affermò spesso
che considerava Cristo “il più grande rivoluzionario della storia umana”, e non dimentichiamo che veniva da famiglia praticante, e che addirittura studiò brevemente dalle
Suore Marcelline (da lui immediatamente, peraltro, ribattezzate “porcelline”).
Non si contano i suoi pezzi con
riferimenti a Dio, o comunque ad
un dio: sempre problematici e sofferti, mai blasfemi o rozzamente liquidatori. È evidentemente colpito
dalle figure di Cristo e della Madonna e detesta, altrettanto palesemente, tutto l’ establishment clericale. Affermò testualmente di considerare “i Vangeli, anche quelli ufficiali, una lettura bellissima, il più bel
libro d’ amore mai scritto. Gesù ha
combattuto per una libertà integrale, piena di un elemento straordinario: il perdono”.
Nel disco Gesù, dopo la nascita, si
incontra solo nella Passione e non
ha mai voce. Si dà invece spazio e
profonda, dolente umanità alle figure di contorno, dalle più note alle
meno famose. “È il Vangelo rivisto
da un non credente, come quello di
Pasolini, che lo dedicò a Giovanni
XXIII, il Papa-uomo comune” (De
Andrè).
La pubblicazione di questo disco
(1970), all’ epoca scarsamente compreso, gli alienò definitivamente le
simpatie dei compagni anarchici
nonché della sinistra “dura e pura”.
Nonostante ciò lo volle fortemente,
ed a dispetto delle scarse vendite, lo
considerò sempre fra i suoi più riu-
sciti. Affermò: “Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli dei
miei ideali sessantottini con quelle,
molto più spirituali, di un uomo che,
1937 anni prima, si è fatto crocifiggere in nome della fratellanza universale”.
Naturalmente, come per celebrare gli albori della letteratura italiana
cantò Cecco Angiolieri (S’ i fossi foco, 1968) e non Dante Alighieri, allo stesso modo per cantare la divinità non si rivolse alla Bibbia “ufficiale”, ma ai Vangeli Apocrifi, mettendoci peraltro moltissimo del
suo.
Dieci pezzi, arrangiato da Gian
Piero Reverberi, house-band furono i Quelli (poi Premiata Forneria
Marconi). Produzione di Roberto
Danè.
Laudate dominum: pochi secondi di coro liturgico “ufficiale”.
L’ infanzia di Maria: avuta dai genitori in tarda età ed affidata a tre
anni al tempio per un voto, ne viene
scacciata quando diventa donna, ed
affidata al già anziano Giuseppe che
Livio Bauer
De Andrè e i Vangeli Apocrifi
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
97
Il FUrore del Rock
la tratta con rispetto e tenerezza (...la continua per tutta la vita (De An- sotto non han che le madri: in fondo,
diedero in sposa / a dita troppo secche drè).
son solo due ladri).
per chiudersi su una rosa...), come la
Maria nella bottega di un faleTre madri: il dolore comune di
più giovane dei suoi molti figli.
gname: di colpo siamo alla Passio- chi ha partorito i tre crocifissi (Tito,
Il ritorno di Giuseppe: i Vangeli ne. Maria chiede ad un falegname Gesù, Dimaco). Ma le madri dei laApocrifi non concordano sulla du- per chi stia preparando le tre cro- droni, affrante (...lascia noi piangerata dell’ assenza di Giuseppe. De ci... (due per chi / disertò per rubare, re un po’ più forte / chi non risorgeAndrè segue il Protovangelo di Gia- / la più grande per chi guerra / inse- rà più dalla morte). Il rimpianto di
como: 4 anni. Ritornando, Giusep- gnò a disertare).
Maria (...non fossi stato figlio di Dio
pe porta in dono a Maria una bamVia della croce: affresco impo- / t’ avrei ancora per figlio mio).
bola intagliata nel legno
Il testamento di Tito:
(...la vestirai, Maria, / riFabrizio De Andrè abtornerai ai giochi / lasciati
bandona i Vangeli Apoquando i tuoi anni / erano
crifi e fa un’ incursione
così pochi...). La sposanel Vecchio Testamento.
bambina gli vola tra le
In questo pezzo rivisita,
braccia, le dita a suggerire
attraverso le ultime paroal volto di Giuseppe un
le del Buon Ladrone (Tisorriso quasi implorato.
to, secondo il Vangelo APoi lo sconcerto dell’ anrabo dell’ Infanzia), i Dieci
ziano sposo alla scoperta
Comandamenti ricevuti
della gravidanza, che Mada Mosè (Esodo, 20).
ria spiega con...
Tutti puntualmente vioIl sogno di Maria: l’ inlati da Tito (eccetto “Non
contro, come in sogno apammazzare”, mentre lui
punto, con “l’ angelo” (miviene ucciso, pardòn,
nuscolo!) che la visitava
“giustiziato”) ma sempre
già al tempio. Brano oscu- 45 giri, edizione per juke-box, 1969. In ossequio al feroce timing di que- in maniera problematica,
ro, onirico, che adombra sti apparecchi (i pezzi dovevano durare il meno possibile per favorire dolente, pervasa di umana
selezioni) il “Cantico dei drogati” (da Tutti morimmo a stento,
con delicatezza una conce- nuove
pietas: il punto di vista “e1968) è qui brutalmente mutilato della lunga introduzione orchestrale.
zione atea (...lo chiameran- Non bastasse, viene pure sfumato nel finale. (ilnegoziodieuterpe.blogspot.it)
sterno” del Buon Samaritano figlio di Dio...). Il perdono, di chi se ne sta in fondo
no di Giuseppe ...piano posasti le nente, caravaggesco, con l’ indigna- alla chiesa...
dita / all’ orlo della sua fronte: / i vec- zione dei padri dei neonati della
L’ ordine dei Comandamenti è
chi, quando accarezzano, / temon di strage degli innocenti (...per te tru- sconvolto da De Andrè, forse per
far troppo forte.
cidati...), le vedove (paria della so- ragioni “sceniche” o di metrica.
Ave Maria: senza riferimenti ai cietà ebrea), gli apostoli (che lo abCanzone strepitosa, lo stesso FaVangeli Apocrifi, un toccante inno bandonano per vigliaccheria), i po- ber la considerava, insieme ad Aalla maternità. Non importa di chi, tenti, i poveri (che piangono altro- mico fragile, la sua migliore.
o come: sei Madre ...il sacrificio del- ve, esclusi dallo “spettacolo”), i due
Il testo viene proposto in un box
la maternità, che dura 9 mesi e poi ladroni, le loro madri (...a piangerli a parte: è semplicemente una delle
98
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
IL TESTAMENTO DI TITO
Tito:
«Non avrai altro Dio all’infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.
Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Il quinto dice non devi rubare
e forse io l’ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede.
Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’ amore:
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno.
Guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno:
guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino,
e scordano sempre il perdono:
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri già caldi d’amore
non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’ amore.»
99
Il FUrore del Rock
poesie italiane più alte e toccanti
degli ultimi 50 anni. Oltre ai Dieci
Comandamenti “mosaici”, nell’ ultimo versetto riesce ad introdurre
anche l’ undicesimo: ...vi do un comandamento nuovo: che vi amiate
gli uni gli altri, come io ho amato
voi... (Giovanni 13, 34), mostrando
oltretutto grande conoscenza dei
Testi Sacri, oltreché degli apocrifi.
Una curiosità: Fabrizio confidò al
suo amico Michele (cui suggerì il titolo e l’ idea del testo di Susan dei marinai) di non essere soddisfatto della
musica del Testamento, il cui testo aveva scritto fischiettando la Blowin’ in
the Wind di Bob Dylan. Michele gli
presentò l’ amico C. Castellari, ed ecco la melodia “giusta”.
Laudate Hominem: il “lodate Dio”
del primo brano diventa “lodate l’ uomo” Gesù, ed è la morale di tutto il lavoro. Parla del Potere che uccise un
uomo, lo chiamò Dio ed in suo nome
uccise ancora. Parla di chi, da uomo,
cercò di imitare Dio, ed ovviamente
non ci riuscì. Fu perdonato: Dio va rispettato e temuto, non imitato.
Il ritornello finale, ripetuto tre volte, è la chiave (non voglio pensarti figlio di Dio, / ma figlio dell’ uomo, fratello anche mio). Il “non voglio” diventa prima “non posso”, e poi “non
devo”.
“È troppo facile tradire il Vangelo
con la scusa che Gesù era Dio. DEVO
considerarlo un uomo, come me. Perché un Dio non si può imitare, un uomo sì.” (Fabrizio De Andrè).❧
Livio Bauer
100
Fabrizio De Andrè
Faber, per gli amici (non un latinismo, ma riferimento alla passione
giovanile per i pastelli Faber-Castell), nasce a Genova il 18 febbraio
1940, da famiglia altoborghese. Il padre Giuseppe, figura notevole, fu
partigiano durante il periodo da sfollati ad Asti, poi Professore in lettere e filosofia (era stato allievo di Croce) e finalmente Amministratore
Delegato degli zuccherifici Eridania.
Lo zio Francesco, superstite del lager di Mannheim, trasmetterà a
Fabrizio l’avversione per guerra e violenza. Il fratello maggiore Mauro, seguendo i desideri del Professore, divenne un prestigioso civilista.
Fabrizio invece, assecondato dalla dolce mamma Luisa, frequentò Lettere e Medicina e si iscrisse a Giurisprudenza, ma non si laureò mai,
preferendo leggersi i grandi classici della letteratura ed i pensatori anarchici (che ne forgiarono per sempre il pensiero) ed “imparare la vita” nei vicoli del Porto di Genova.
Fin da giovanissimo fu attratto dalla musica di ogni genere. Fu chitarrista country nei The Crazy Cowboys and the Sheriff One e più seriamente, dal ‘56 al ‘58, nel Modern Jazz Group.
Mostrò subito grande facilità di scrittura per testi sempre pregnanti, originali, trasgressivi senza volgarità, atei ma sempre alla ricerca di un Dio.
Le musiche dei suoi pezzi furono quasi sempre frutto di collaborazione con grandi autori: Gian Piero Reverberi, Nicola Piovani, Francesco De Gregori, Mauro Pagani, Massimo Bubola, Ivano Fossati, per dire solo dei più noti.
Nei suoi dischi suonarono, fra gli altri, anche i conterranei New Trolls
(coi quali scrisse l’album Senza orario, senza bandiera) ed i Quelli (futuri Premiata Forneria Marconi-PFM, suoi compagni nel leggendario
tour del ’79 ed ideatori degli arrangiamenti dei “classici” che De Andrè
usò poi in tutti i suoi concerti live).
Ebbe comunque il grandissimo merito di fare proprio il lavoro altrui,
forgiando canzoni assolutamente sue ed immediatamente riconoscibili.
Cantante sopraffino, collaborò anche con poeti e cabarettisti (Mannerini, Villaggio), e tradusse grandi come Brassens, Dylan, Cohen. Nel
1978 pensò perfino ad una versione della Born to Run di Springsteen.
Fu brevemente impiegato in una scuola privata del padre, ma appena
ebbe un riscontro economico dal suo vero lavoro col successo della Canzone di Marinella cantata da Mina (gennaio 1968), si dedicò completamente all’attività di cantautore. 218 canzoni, distribuite su 13 album più una raccolta dei suoi lavori pre-Volume 1 (esclusi Live e raccolte di materia-
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
le già edito) furono il frutto della sua ispirazione. Andrebbero citati tutti, ma come sempre, nella discografia
consigliata, mi limiterò all’assoluta eccellenza.
Per lunghi anni, rinunciando anche a lauti compensi, rifiutò di esibirsi dal vivo: riteneva di non saper trasmettere da un palco la profonda complessità dei suoi
testi. Afflitto da paresi alla palpebra sinistra (randagia,
la chiamava lui) se ne fece un complesso finché, in età adulta, un semplice intervento eliminò il problema.
Era, fra tutto il resto, anche un grande appassionato
di astrologia.
Visse intensamente, volle provare quasi tutto (“alla
fine, vorrei avere 300.000 rimorsi, ma nessun rimpianto”, come Il suonatore Jones). Fumatore accanito, ammetteva di essere un alcolista, il che era forse, in parte,
anche all’origine del suo carattere difficile e degli sbalzi d’umore (“...una-due bottiglie di whisky al giorno...
fin dai 18 anni, quando uscii di casa...”); nel 1985, sul
letto di morte del padre, gli promise di smettere. Si
sposò due volte ed ebbe varie altre storie d’amore. Fu
genitore (distratto) di Cristiano e Luvi (Luisa Vittoria). Venne sequestrato, in Sardegna, il 27 agosto
1979 insieme alla compagna Dori Ghezzi. Quattro
mesi in balia dei rapitori, poi la famiglia pagò seicento milioni e l’incubo finì. La coppia comunque non
abbandonò la fattoria sarda, e Faber ci scrisse anche
una canzone (Hotel Supramonte, 1981). Nel 1985 Fabrizio e Dori firmeranno per la grazia ad uno dei loro
sequestratori, condannato a 25 anni.
A metà luglio ’98 iniziò l’ennesimo, trionfale tour,
interrotto per problemi di salute già a fine agosto.
Un tumore ai polmoni se lo portò via l’11 gennaio
1999, a Milano. Il 13 gennaio, a Genova, più di diecimila persone presenziarono ai funerali.
Aveva già abbozzato un album di Notturni con Oliviero Malaspina per i testi e Mark Harris, Piero Milesi e Mauro Pagani per le musiche, e progettava anche
un lavoro di covers brasiliane, da Jobim a Veloso,
mentre aveva definitivamente trasformato la fattoria
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
gallurese in agriturismo e si era ri-trasferito a Genova.
Le sue canzoni, censurate dalla Rai, furono trasmesse dalla Radio Vaticana, e lui ne fu sempre molto
orgoglioso (fra le altre Si chiamava Gesù; stessa sorte
toccò a Dio è morto di Guccini); entrarono pure nelle
antologie scolastiche. La sua grande amica Fernanda
Pivano, che se ne intendeva, lo definì “il più grande
poeta italiano della seconda metà del secolo”, ed ebbe a
dire spesso che era Dylan il De Andrè americano, e
non il contrario, come si leggeva in quei giorni.
Fu probabilmente il migliore della straordinaria fioritura di cantautori che benedisse la musica italiana
tra gli anni ’60 e gli ’80 del secolo scorso. Segnò indelebilmente una generazione: chiunque sia già entrato
negli anta è in grado di citare svariati suoi pezzi, o alcuni versi particolarmente riusciti.
Spessissimo erano rime baciate, ma accoppiate con
una tale spiazzante, commovente perfezione da lasciare senza fiato...
...e la luna la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio
di Dio il sorriso
(Se ti tagliassero a pezzetti, 1981)
101
Il FUrore del Rock
Discografia essenziale commentata
Peccati di gioventù, Universal, 2001.
È l’unica raccolta autorizzata dei suoi 45 giri Karim
(piccola etichetta genovese anni ‘60 poi fallita). Comprende “La canzone di Marinella”, “La ballata del Michè”, “La guerra di Piero”.
Volume 1, Bluebell, 1967.
“Bocca di rosa”, “Carlo Martello” (scritta con Paolo Villaggio), “Via del campo” (grazie a Dario Fo), “Preghiera
in gennaio” per l’amico Luigi Tenco, suicidatosi in quel
periodo. Forte il profumo di George Brassens...
Volume 3, Bluebell, 1968.
Ancora “La canzone di Marinella”, che gli dà il successo.
E poi “S’i fossi foco” (da Cecco Angiolieri), “Il gorilla”
(ancora Brassens), “Amore che vieni, amore che vai”.
De La buona novella, Produttori Associati, 1970, e Non
al denaro, non all’ amore né al cielo, Produttori Associati, 1971, ambedue consigliatissimi, avete letto (e leggerete) per esteso nel presente articolo e nel prossimo.
Volume 8, Produttori Associati, 1975.
“Le storie di ieri” (con De Gregori), “Nancy” (di Leonard Cohen), “La cattiva strada”, “Giugno ‘73” (che intreccia una storia privata al fallito referendum anti-divorzio), “Canzone per l’estate”, “Amico fragile” (grandissima, al contempo autocritica ed autocelebrativa).
Fabrizio De Andrè - L’Indiano, Ricordi, 1981.
Come il predecessore Rimini (“Andrea”, “Coda di lupo”, “Sally”) scritto con Massimo Bubola. “Ave Maria”,
“Hotel Supramonte”, “Fiume Sand Creek”. De Andrè
traccia qui un parallelo tra gli indiani d’America ed i
sardi, entrambi a suo vedere vittime del colonialismo.
Creuza de mä, Ricordi, 1984.
Secondo Riccardo Bertoncelli, guru del giornalismo
102
musicale italiano, “il più grande disco di De Andrè e
forse di tutta la canzone d’autore italiana”. Testi in genovese antico, Mauro Pagani aggiunge l’amore per la
musica e gli strumenti del Mediterraneo. Otterrà riconoscimenti internazionali, e rappresenta una decisa sterzata rispetto a tutta la produzione precedente,
nonché l’acquisizione, da parte dell’Artista, dello status di superstar.
Le nuvole, Fonit Cetra, 1990.
Da un’idea di Aristofane, frammenti di un concept
non completato sull’Ottocento, ancora con Mauro
Pagani. “La domenica delle salme”, “Don Raffaè” (con
un omaggio a Mimmo Modugno), ... Seconda facciata ancora in genovese, con Ivano Fossati. In testa alla
classifica di vendita (400.000 copie) per la prima volta dopo la Marinella di Mina, ventidue anni prima.
Anime salve, BMG-Ricordi, 1996.
Disco preparato con Ivano Fossati, ma poi manca l’accordo sulla veste musicale, e di Fossati restano solo
due interventi vocali, uno dei quali in “Anime salve”
(= solitarie, ma anche diverse, libere). “Smisurata preghiera”, “Disamistade”, ... Primo in classifica dopo solo
una settimana.
Fra i Live, da avere almeno 1991 Concerti, 2 CD, Fonit
Cetra, 1991. Ormai sicuro anche dal vivo, supportato
da un gruppo eccezionale (8 elementi, fra cui Ellade
Bandini e Mauro Pagani), è il tour di Le nuvole, ma
comprende anche molti dei suoi pezzi “vecchi” e già
famosi.
Un buon compendio è offerto da In direzione ostinata e contraria (Sony-BMG, 2005-06), due cofanetti, 6 CD, 107 canzoni in totale, low price.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Il FUrore del Rock
bibliografia essenziale
In Italia sono stati pubblicati più
di duecento libri su Fabrizio De
Andrè, la maggior parte usciti dopo la sua morte. Basterebbe questo a definirne la statura artistica.
A chi desiderasse approfondire
consiglierei comunque:
Andrisani Monica, Fabrizio
De Andrè e la buona novella Firenze Atheneum, 2002
Bertoncelli Riccardo, Belìn,
sei sicuro? Giunti, 2012
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
24.000 dischi Zelig, 2004
Borsani Matteo, Maciacchini Luca, Anima salva Tre Lune,
1999
Casamassima Pino, Fabrizio
De Andrè De Ferrari, 2002
Ghezzi Paolo, Il vangelo secondo De Andrè Ancora, 2006
Giuffrida Romano, De Andrè:
gli occhi della memoria Elèuthera, 2002
Harari Guido, Fabrizio De Andrè-Una goccia di splendore Rizzoli, 2007
Michelone Guido, Fabrizio De
Andrè-La storia dietro ogni canzone Barbera, 2011
Pistarini Walter, Il libro del
mondo Giunti, 2010
Romana Cesare G. , Smisurate
preghiere Arcana, 2009
Fabrizio De Andrè - Amico fragile
LIT, 2009
Valdini Elena [a cura di], Volammo davvero BUR, 2007
Viva Luigi, Vita di Fabrizio De
Andrè Feltrinelli, 2002
103
Marginalia
a cura dei Giovani Furiosi
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine
gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a
noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono
testimoni oculari fin da principio e divennero
ministri della Parola, così anche io ho deciso di
fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli
inizi, e di scriverne un resoconto ordinato.
Luca 1,1-3*
I
l canone della Chiesa romana viene sancito al Sinodo di Laodicea nel 363-364; ai punti 59 e 60,
seppur quest’ ultimo contestato, vengono elencati i libri e gli scritti che possono essere letti durante la
celebrazione della Messa1. Va da sé che i testi esclusi
vennero a contrapporsi col canone e divennero quelli
che noi definiamo Vangeli apocrifi.
Ma il termine apocrifo di per sé è equivoco. Se noi ormai lo utilizziamo nell’ ambito religioso cristiano per
indicare tutta una serie di produzioni scritte ritenute
non valide, agli inizi del cristianesimo era utilizzato in
senso positivo dalle comunità gnostiche, ma non solo.
L’ inizio del Vangelo di Tommaso, classificato tra i vangeli gnostici, recita “Ecco le parole apocrife (= segrete)
che Gesù, il Vivente ha pronunciato e che Didimo Giuda
Tommaso ha messo per iscritto”. Qui apocrife è usato in
senso positivo, dà una qualità al messaggio che queste
comunità vedevano in Gesù e che volevano tramandarsi. L’ uso di questo termine fu rivoltato contro di loro, in modo totalmente negativo, dalle violente pole* - La Bibbia TOB, Elledici, 2008, Torino, p.2320
1 - Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento Vol. I, 1994,
UTET, Casale Monferrato (TO), p.16
Il testo completo dei decreti del Sinodo lo si può leggere e scaricare da questo link: http://www.documentacatholicaomnia.eu/04z/z_0363-0364__
Synodus_Laodiciae__Documenta_Omnia__LT.doc.html
miche teologiche scatenate da Ireneo di Lione e Tertulliano, il grande apologeta cartaginese. Da queste polemiche è rimasta nell’ uso l’ idea che qualcosa di apocrifo
sia errato e che non corrisponda ad un canone.
In parallelo lo stesso termine canone ha un’ evoluzione nel significato. Anch’ essa una parola d’ origine greca, stava a significare “misura”, “regola e norma”. Entrò
nel vocabolario patristico andando a indicare quei testi
che erano la misura di correttezza, raccontavano di più
e meglio rispetto a tutti gli altri testi.
L’ evoluzione delle comunità cristiane portò ad un
certo punto i fedeli all’ interrogarsi su molti aspetti della vita di Gesù. Probabilmente insoddisfatti dalle ben
floride tradizioni, narranti per lo più gli ultimi anni di
vita del loro Maestro, i primi cristiani cercarono di conoscere di più. Altre tradizioni, altre fonti vennero indagate.
C’ era una viva curiosità sull’ infanzia di Gesù, sull’ infanzia di Maria, su quando Cristo iniziò a manifestare
la propria origine divina (i miracoli...), il mistero della
morte e resurrezione e altri problemi dottrinali e di ordine sociale; per non tacere dell’ altrettanto forte desiderio di conoscere la sorte degli Apostoli.
L’ interrogarsi su queste e altre questioni portò allo
sviluppo di nuove tradizioni che rappresentavano la
Floriano Simoncelli - Silvio Sega
I Vangeli Apocrifi
104
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
marginalia
fusione di diversi filoni narrativi tramandati dalle comunità di fedeli. Questi filoni erano sia scritti che orali; non c’ era, infatti, nelle prime comunità cristiane
quell’ atteggiamento (quasi feticistico) per il testo che
si affermò nei secoli successivi2. Possiamo così tratteggiare brevemente le fasi che portarono all’ affermazione del testo a discapito della tradizione orale. Inizialmente vi fu un periodo di prevalenza della trasmissione orale; lentamente abbiamo la comparsa di tradizioni scritte (singoli vangeli o raccolta di detti di Gesù)
che assumono sempre più autorità rispetto all’ oralità,
prima, ad altri scritti, poi. Entrando poi nel II secolo, la
tradizione orale diventa sempre più marginale mentre
si diffondono testi ormai canonici nelle varie comunità, fino alla sanzione ufficiale del Nuovo Testamento3.
Attestazioni di un canone ufficiale del Nuovo Testamento sono molteplici negli scritti dei primi secoli. Come brevemente accennato poc’ anzi, nelle varie comunità si arriva a riconoscere alcuni testi che in altre comunità non sono considerati canonici (d’ esempio è il percorso
del riconoscimento della canonicità degli scritti giovannei). Gli scritti non canonici, quelli che vengono definiti
apocrifi continuano comunque a circolare, non spariscono all’ improvviso ma permangono nelle tradizioni esercitando il loro influsso nei secoli: noi stessi continuiamo
a tramandare queste tradizioni ad ogni Natale allestendo
il presepe, oppure le ritroviamo nelle grandi opere d’ arte
che adornano le nostre chiese4.
In tutta questa galassia di testi, alcuni riuscirono ad
emergere e diventare canone, come già precedentemente detto. Questo fu quel lungo percorso sinteticamente descritto sopra, non ci fu nessuna scelta “a tavo2 - A tal proposito, leggendo i capitoli 11, 12 e 13 della Didaché notiamo
l’ importanza della figura del profeta, figura ovviamente legata ad un mondo più orale che scritto. (Emanuela Prinzivalli e Manlio Simonetti (a
cura di), Seguendo Gesù. Testi cristiani delle origini Vol. I, 2010, Fondazione
Lorenzo Valla, Milano, pp. 67-71)
3 - Mauro Pesce (a cura di), Le parole dimenticate di Gesù, 2004,
Fondazione Lorenzo Valla, Milano, p.XXI
4 - Dai testi apocrifi ricaviamo i nomi dei genitori di Maria; la presentazione di Maria al tempio; la nascita di Gesù in una grotta e la presenza del bue
e dell’ asinello; i tre re magi e i loro nomi; i nomi dei malfattori crocifissi
con Gesù; il nome del soldato che colpì con la lancia Gesù sulla croce e tante altre informazioni. (Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo
Testamento Vol. I, 1994, UTET, Casale Monferrato (TO), p. 32)
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
lino”, anzi se ci furono, avvennero quando ormai un canone era già informalmente accettato dalla maggior
parte delle comunità.
Accennavamo all’ inizio dell’ articolo al Concilio di
Laodicea, se si potrebbe obiettare che esso abbia operato una scelta a tavolino di alcuni testi, in realtà questo concilio si inserisce pienamente in un percorso di
raffinazione e di riflessione sui testi operato dai grandi
pensatori cristiani dei primi secoli. Lo stesso Luca
all’ inizio del proprio vangelo afferma di voler fare ordine tra i racconti che si tramandavano. Così, troviamo
elencazioni dei testi canonici e apocrifi (o se non apocrifi, testi non degni della stessa autorità dei canonici)
negli scritti di Ireneo di Lione, di Eusebio di Cesarea,
di Agostino ma ancora verso la fine del V secolo il cosiddetto Decreto Gelasiano elenca una sessantina di testi apocrifi sottolineando il fatto che non si tratta di un
elenco completo5. A riprova che la circolazione di questi testi non si ferma all’ improvviso stoppata da decreti conciliari, ma tra le comunità avranno sempre un larghissimo seguito. Addirittura al Concilio di Trento si
discuterà nuovamente su quali testi ammettere tra i canonici e quali condannare.
Fare qui un elenco dei Vangeli apocrifi risulterebbe,
per questioni di spazio, impossibile per questo lavoro. Infatti i Vangeli, oltre ad essere numerosi, non potrebbero essere presentati in un mero elenco ma hanno bisogno di una breve descrizione per inserirli in
un contesto e sintetizzarne il contenuto. Possiamo però presentare sinteticamente le tre famiglie in cui la
critica moderna li divide per il genere letterario: Vangeli, Atti degli Apostoli, Lettere, Dormizione di Maria e Apocalissi6. I vangeli apocrifi vengono poi suddivisi in altre categorie in virtù del loro contenuto: i
vangeli dell’ infanzia, i vangeli giudeocristiani e i
vangeli gnostici.❧
Floriano Simoncelli – Silvio Sega
5 - Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento Vol. I, 1994,
UTET, Casale Monferrato (TO), pp. 18-26
6 - Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento Vol. I, cit. p. 37
105
marginalia
Nota bibliografica
Marcello Craveri (a cura di), I vangeli apocrifi, 1969, Einaudi, Torino;
Claudio Gianotto, I vangeli apocrifi. Un’altra immagine di Gesù, 2009, Il Mulino, Bologna;
Luigi Moraldi (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento 3 Voll., 1994, UTET, Casale Monferrato (TO);
Mauro Pesce, Da Gesù al Cristianesimo, 2011, Morcelliana, Brescia;
Mauro Pesce (a cura di), Le parole dimenticate di Gesù, 2004, Fondazione Lorenzo Valla, Milano;
Gerd Thiessen, Il Nuovo Testamento, 2003, Carocci, Roma.
ESTRATTI DAI VANGELI APOCRIFI
La presentazione al tempio
Protovangelo di Giacomo (7, 1-3)
L’annunciazione
Vangelo dello Pseudo-Matteo (9, 1-2)
[1] Per la bambina passavano intanto i mesi. Giunta
che fu l’età di due anni, Gioacchino disse ad Anna:
«Per mantenere la promessa fatta, conduciamola al
tempio del Signore, affinché il Padrone non mandi
contro di noi e la nostra offerta non riesca sgradita».
Anna rispose: «Aspettiamo il terzo anno, affinché la
bambina poi non cerchi il padre e la madre». Gioacchino rispose: «Aspettiamo». [2] Quando la bambina compì i tre anni Gioacchino disse: «Chiamate le
figlie senza macchia degli Ebrei: ognuna prenda una
fiaccola accesa e la tenga accesa affinché la bambina
non si volti indietro e il suo cuore non sia attratto
fuori dal tempio del Signore». Quelle fecero così fino
a che furono salite nel tempio del Signore. Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse esclamando: «Il
Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni. Nell’ultimo giorno, il Signore manifesterà in
te ai figli d’Israele la sua redenzione». [3] La fece poi
sedere sul terzo gradino dell’altare, e il Signore Iddio
la rivestì di grazia; ed ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa d’Israele prese a volerle bene.
[1] Mentre Maria era alla fontana, a riempire la
brocca, le apparve un angelo del Signore, che le disse: «Sei Beata, o Maria, poiché nel tuo utero hai preparato un’abitazione per il Signore. Ecco che dal cielo verrà una luce e abiterà in te e, per mezzo tuo, risplenderà in tutto il mondo».
[2] Di nuovo, il terzo giorno, mentre con le sue dita
lavorava la porpora, entrò da lei un giovane di inesprimibile bellezza. Vedendolo, Maria ebbe paura e
tremò. Ma egli le disse: «Ave Maria, piena di grazia,
il Signore è con te, benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno». All’udire ciò tremò ed
ebbe paura. Allora l’angelo del Signore proseguì:
«Non temere, o Maria. Hai trovato grazia presso
Dio: ecco che concepirai nell’Utero e genererai un
re che riempie non soltanto la terra, ma anche il cielo, e regna nei secoli dei secoli».
106
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Libri che parlano di sé
a cura di Renzo Galli
Per apparire su questa rivista un articolo deve parlare di libri o di lettura: in questa rubrica, addirittura, sono i
libri che parlano di sé, quindi, se qualcuno conosce libri che hanno qualcosa da dire o abbiano voglia di parlare di
sé, li può invitare a farsi avanti oppure ci racconti lui la loro storia.
Ma prima dovrò passare davanti
ai giudici.
Non mi conoscono, avranno i loro preconcetti, le loro simpatie...
Qualcuno avrà fretta, qualcun altro
mal di pancia.
Ah quanto è triste il destino di un
condannato alla balìa dell’ altrui sapienza (o insipienza?)!
Rimane comunque il dolore e lo
sconforto di sapersi abbandonato,
ignorato nella sua intima essenza
proprio da chi quell’ essenza te l’ aveva infusa, dopo un concepimento dubbioso e un travaglio difficilissimo.
E non ho molte speranze di finire
come l’ infante del giudizio di Salomone, perché la giuria non sarà così saggia, così il mio autore che, invece di tenermi con sé, per pura vanità e ambizione mi ha condotto in
questo giudizio, avrà quello che si
merita.❧
Renzo Galli
Giudicatelo voi!
Questo racconto rigorosamente lungo meno di 500 battute, spazi compresi, è stato creato come test per la
Commissione organizzatrice per aiutarla a definire e provare i criteri di valutazione da proporre alla giuria.
Inserito anonimo tra gli altri racconti partecipanti al concorso Parole per
strada è stato valutato assieme agli altri 121 racconti.
Provate anche voi a giudicarlo assegnando un punteggio da 0 a 10 per
ciascuno dei criteri indicati e confrontate il suo totale con quelli attribuiti
dalla commissione, dalla giuria e dagli
studenti.
impressione generale ____
attinenza al tema ____
coerenza stilistica
____
fruibilità
____
totale
____
Punteggio massimo disponibile: 50
organizzatori [6 persone]: 10 – 33 – 25 – 27 – 24 – 33
giuria [7 persone]: 41 - 28 – 38 – 27 – 37 – 28 – 24
studenti [1 persona*]: 33
*non avendo ottenuto il miglior punteggio tra i sei
racconti valutati da ciascun studente, non è stato ammesso alla valutazione degli altri studenti [24]
N
on è giusto!
Questa dolorosa verità
mi perseguita da ieri
sera, da quando chi mi ha dato alla
luce mi ha consegnato a questi
messeri che ora mi trascineranno
davanti ai giudici.
Sto camminando con loro verso
la sentenza, ma tutto il mio essere
vorrebbe fuggire, rifugiarsi nella
quiete di un tempo senza fine.
Sono già stato misurato: una mano (pietosa?) mi ha accorciato di
quel tanto che mi permettesse di
entrare nella gabbia.
Sì, perché il mio destino, se non
sarò giustiziato, sarà comunque
quello di essere esposto al ludibrio
di ogni tipo di gente.
Li immagino i loro sguardi, i
commenti impietosi:
“Disgustoso!”
“Chi si credeva di essere?”
“Poverino, era meglio se...”
Forse qualcuno mosso a pietà oserà un moto di compassione:
“Via, non siate così severi!...”
Renzo Galli
In attesa di giudizio
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
107
Libri che parlano di sé
a cura di Renzo Galli
O
ggi è una giornata piovosa
e fredda, una di quelle giornate d’ autunno perfette per
la malinconia e per i ricordi. Alcuni
restano da soli a fissare i vetri serrati,
che formano sudari di pioggia stesi
come baluardi a ricacciare gli altri, e
la vita, all’ esterno. Altri se ne stanno
in famiglia, sempre chiusi al mondo,
nel silenzio sfilacciato fatto di sussurri, di sguardi, di sospiri; e il rumore dei passi o delle stoviglie che
sembrano chiedere scusa per aver
fatto tremare l’ aria immobile. E televisori mai così spenti, così morti.
Altri ancora parlano, e parlano. E
a volte piangono.
Come Linda, che ha continuato a
parlarmi senza sosta, come se al mio
posto ci fosse stata sua sorella.
È passato un mese da quando Stefania se n’ è andata. Inizio di novembre, autisti distratti, pioggia, strade viscide. Di sangue.
Il giorno dopo Linda è rientrata in
casa e si è seduta sul divano, senza dire una parola, fissando lo schermo
nero sul mobile del soggiorno.
Io ho aspettato che fosse pronta, sapevo che aveva bisogno di sfogarsi. È
sempre così.
Dopo circa un’ ora di mutismo ha iniziato a piangere, il petto prosperoso
che saltava a ogni singhiozzo; i capelli, incollati al viso, spenti, come paglia
pronta per i bollitori delle cartiere. E
gli occhi azzurri cerchiati di rosso e
sbavati di nero.
Poi si è soffiata il naso e ha iniziato
a parlarmi. È andata avanti per giorni, parlava e sistemava ogni angolo
della casa. Ogni tanto si fermava a
guardarmi, come se avesse qualcosa
di personale da dirmi ma le mancasse il coraggio. E allora riprendeva a
girare e a parlare di tutto; di Stefania,
di lei, dell’ amore, della vita. Della
morte. In alcuni momenti mi sembrava di vedere Stefania al suo posto,
specialmente quando, ripresasi un
poco, si sistemava i capelli, e magari
usciva per rientrare con del cibo caldo o dei vestiti nuovi. E io stentavo a
credere che fosse accaduto davvero, e
speravo si fosse trattato solo di un incubo, o di un brutto scherzo. E me ne
stavo lì, ad aspettare un gesto, una carezza. Invece mi ha cacciato via, quasi fosse stata mia la colpa di quello che
è successo. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, diceva qualcuno. Forse è giusto così, forse Linda ha fatto
bene a tenermi a distanza.
Mi manca; Stefania, intendo.
Quando ci siamo incontrati per la
prima volta, eravamo tutti e due molto giovani. Stefania aveva qualche anno più di me, ed era già bellissima, di
quella bellezza acerba che è molto più
di una promessa, o di un’ ipotesi, del
fiore rigoglioso che sarebbe sbocciato
di lì a poco. Ma non si è trattato del
classico colpo di fulmine. Lei mi aveva appena guardato, una di quelle occhiate fugaci, sbarazzine, che hanno
fatto intenerire cuori attempati, prima, e palpitare ventricoli vigorosi,
poi. Impossibile resistere a tanta bellezza. E ad altrettanto acume. Si dice
che dietro un grande uomo ci sia
sempre una grande donna: be’ , qua-
Luigi Brasili
Wuthering Heights
108
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
libri che parlano di sé
lunque uomo avrebbe voluto avere
alle spalle una donna come Stefania.
Comunque, il nostro primo incontro
fu alquanto freddo, in verità. Difficile
immaginare che solo poche settimane dopo saremmo stati così uniti, per
anni e anni. C’ era stato prima un
contatto fugace, carezze rubate lontano dagli occhi severi dei genitori di
Stefania e Linda. Sussurri, sospiri. Poi
vennero i giorni in cui divenimmo anima e corpo. Lunghe notti insonni
passate quasi al buio, solo la piccola
luce di una torcia a infiammare gli
occhi. Andò avanti per diverso tempo, fino a quando il padre scoprì tutto. Urla, minacce, imposizioni. Ho temuto di non rivederla più. Ma per
fortuna, alla fine, si sono rassegnati,
hanno capito. E anche Linda ha capito. Secondo Stefania era gelosa di noi
due, non capiva cosa ci trovasse la sorella di interessante in me. È questione di pelle, anch’ io avevo sentito subito che tra me e Linda non avrebbe
mai potuto nascere nulla di importante. Certo, non posso fargliene una
colpa; la gelosia è una brutta storia, io
ne so qualcosa. Non sono mai stato
geloso degli altri, che inevitabilmente
nel tempo sono entrati nelle simpatie
di Stefania, perché sapevo che presto
o tardi lei sarebbe tornata da me. Invece, per assurdo, spesso ho provato
un forte fastidio, se non proprio odio,
nei confronti di coloro che avrebbero
dovuto essermi più cari, Elena, il signor Boscochiuso, Caterina, per tacere degli altri. Lo so che può sembrare incredibile ma è la verità. A esserne stato capace, in quei momenti
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
di furia, accecato dalla gelosia, avrei
potuto appiccare un incendio, e non
ci sarebbe stato nessun Montag a farmi riflettere, a cercare di fermarmi.
Che stupido, a ripensarci. Il fatto stesso che Stefania continuava a cercarmi, che non mi lasciava mai del tutto,
avrebbe dovuto tranquillizzarmi. Ma
quando si è giovani è difficile capire,
aspettare.
Gli anni migliori sono stati gli ultimi, con Stefania ormai donna matura, sempre affascinante e bellissima.
Eravamo due amanti che si incontravano regolarmente, sempre alla stessa
ora, sempre nello stesso letto.
Confesso di aver pensato diverse
volte a cercare una maniera per chiudermi al mondo per sempre, di sparire in quella zona franca in cui dicono
che finiscano le anime. E lì, attendere
con pazienza di ritrovare Stefania, e
di incontrare mia madre per la prima
volta. Invece sono ancora qui, per
quanto lontano da tutto ciò per cui
ho vissuto. Ero certo che Linda mi avrebbe scaricato, l’ avevo compreso
subito, quando si è avvicinata e ha
preso ad accarezzarmi imitando malamente la sorella. Prima ancora che
me lo dicesse chiaramente sapevo di
dovermene andare per sempre. Ed
eccomi qui, adesso, con qualcuno
della vecchia guardia a tenermi compagnia, un paio di loro invecchiati insieme a me. La cosa che più mi impensierisce è questa sorta di déjà vu
in cui mi trovo adesso: l’ età è la stessa,
e gli occhi hanno l’ identica forza,
quell’ intensità che pervadeva l’ intero
essere di Stefania.
Lei si chiama Francesca; è un po’ timida, ma sono certo che con il tempo
ce la intenderemo alla grande, sempre che non si riveli troppo schizzinosa per sporcarsi le mani con questa
mia vecchia pellaccia incartapecorita.
Ma questa nuova sfida mi affascina, in un certo qual modo; mi stimola a guardare al futuro con serenità,
perché, come dice sempre, alla fine,
uno dei miei fratelli, dopotutto domani è un altro giorno.
E c’ è un altro aspetto, un’ altra novità a infondermi fiducia.
Dalla finestra di fronte al soggiorno
si gode un panorama davvero invidiabile. Basse colline che abbracciano
delicate le case più lontane, e dietro le
verdi curve morbide, nuvole ballerine danzano intorno alle vette più distanti. Le cime si innalzano come torri animate, i merli sono teste bianche
di neve e il corpo è la pietra chiara
battuta dal vento gelido che vi soffia
attorno senza sosta. Quando è bel
tempo, quelle cime paiono raggi di
sole pietrificati. Invece, quando sono
incalzate dai temporali, come adesso,
si ergono a colonne per sorreggere il
peso dell’ universo mondo. E nemmeno i fulmini degli dei tonanti riescono a scalfirle. E io, al riparo di questo tranquillo appartamento, osservo
e ammiro. E mi sento più forte, perché in quegli istanti ne respiro la forza, e non abbiamo più in comune soltanto il nome. Con le cime, intendo.
Tempestose, naturalmente.❧
Luigi Brasili
109
Galeotto fu il libro
a cura di Bruno Zaffoni
M
i piaceva tanto, la ragazza.
Come tutte le donne
espansive e, a parole, aperte e spregiudicate, aveva sempre tenuto, nell’approccio personale, le debite distanze.
Ad un certo punto la mia sforzatissima ma assolutamente solo apparente indifferenza aveva improvvisamente preso una piega insperata a mio favore.
Al mio timidissimo contatto, che
so, prendere furtivamente il braccio o furtivamente avvicinarmi, seduti al bar, la sentivo in passato irrigidirsi e irritarsi. Con lo spirito e
con il fisico.
Improvvisamente come ho detto
mi aveva preso a braccetto appoggiandosi a me e facendo sussultare
tutto il mio essere fisico e mentale.
Mamma mia, mamma mia che
sensazioni, che emozioni!
Un giorno, diretta e sfacciata, mi
dice:
— Insomma, me lo offri o no questo aperitivo?
E mentre riprendo fiato aggiunge:
— Ci vediamo alle sei e mezzo al
bar dell’angolo. Così potremo stare un poco assieme. Stasera sono
libera. Non vado a casa.
Volo su nuvole rosa.
Non riesco a star fermo, sobbalzo a ogni piccolo rumore.
Come far passare le ore senza
impazzire?
Prendo un libro. La trama è affascinante e misteriosa. A poco a
poco mi calmo e leggo il dispiegarsi degli eventi, gotici, romantici, appassionati, aggrovigliati,
suggestivi.
Non riesco più a fermarmi.
Ad un tratto, nel voltare l’ultima
pagina, mi scappa l’occhio sull’orologio. Sono le nove di sera.
Maledetto e galeotto quel libro!
E vado sul bianco dell’ultima
pagina.❧
Guido Falqui Massidda
Guido Falqui Massidda
Mi piaceva tanto...
110
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Parlando di libri...
a cura di Anna Maria Ercilli
I
l Partenone tempio di Athena, il simbolo più noto e studiato della Grecia classica. Attraverso la sua storia si incontrano gli
uomini che lo hanno edificato, usato,
abitato, conquistato e trasformato,
per essere infine ridotto a rudere dai
cannoni del veneziano Morosini.
Depredato pesantemente dai collezionisti di arte classica e in seguito
sottoposto a controversi lavori di restauro, il tempio antico attira le visite
e gli apprezzamenti di letterati e artisti, provocando talvolta sentimenti
discordanti di commozione o irritazione. Nelle pagine dei colti visitatori,
si possono rivivere le loro emozioni
più genuine che oscillano dalla totale
fascinazione alla possibile delusione o
indifferenza. Risaputa è l’ ammirazione di Oscar Wilde per l’ Acropoli, per
quel tempio, “le delicate nude colonne
che sorgevano nella luce solare del
mattino, fu come imbattersi in qualche
bianca dea greca...”1.
Alcuni anni dopo il viaggio, compose il poema Charmides, in omag-
1 - Mary Beard, Il Partenone, Laterza, 2012
Le nostre menti sono state colpite e disarticolate da qualcosa
di troppo grande, che esse non potevano afferrare.
Virginia Woolf
gio al tempio, i cui versi sensuali scandalizzarono i benpensanti dell’ epoca
vittoriana.
Mentre lo scrittore Henry Miller,
entusiasta visitatore del paese ellenico, non si lascia impressionare dalla
sua bellezza: “Il Partenone ti chiude
fuori, forse più per la sua perfezione
che per le dimensioni. Mi piace molto
di più da lontano –dall’ Eden per esempio– il primo sguardo dopo la curva”2.
Non conosce Omero e neppure la
storia e l’ arte greca, ma la bellezza che
incontra stimola la sua immaginazione, scrive appunti e impressioni che
serviranno per la stesura del noto libro Il colosso di Marussi . Non dimentica di citare gli amici Durrell, Katsímbalis, Ghika, Antonio, Tsatsos, il poeta Seferis.
Un altro illustre visitatore, Sigmund
Freud il padre della psicanalisi, si trovò a salire sull’ Acropoli oppresso da
sentimenti di incredulità e straniamento, arrivato davanti al tempio si
convinse, “proprio come abbiamo im2 - Henry Miller, Prime impressioni della
Grecia, Ibis, pag.63
Il Partenone
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
parato a scuola”3, non era un mito. Esisteva veramente.
La saggista Mary Beard ironizza
sulla commozione lacrimosa di alcuni letterati, per lo più considerati degli
abili commedianti. Ma probabilmente, il pianto sincero è quello di lord
Byron, non certo per la visione di ineguagliabile bellezza del Partenone,
ma per la devastante rovina trovata
sull’ Acropoli.
Gli storici marmi sono oggi sparpagliati in tutta Europa, le sculture rimosse dal tempio si trovano in parte
nei musei di Atene e in parte al British Museum di Londra. Alcune sculture di pregio sono al museo del
Louvre, altri marmi si trovano nelle
principali città europee (anche a Palermo e Roma), certamente trafugati
dai visitatori dell’ Acropoli.
In epoca antica non risultano descrizioni del tempio, tranne poche righe scritte da Pausania durante il suo
viaggio ad Atene, seicento anni dopo
la sua costruzione. Dedica molta attenzione ai numerosi oggetti, statue e ope3 - Mary Beard, ibid., pag. 3
Anna Maria Ercilli
111
parlando di libri
re d’ arte raccolte nel suo interno, il suo
sguardo è attratto dalla statua di Athena, che descriverà con dovizia di particolari. Anche Plinio scrive ampiamente della dea e Aristofane la cita nella sua
commedia satirica I cavalieri.
Il dilemma del nome Partenone
sembra incontrare due spiegazioni,
una deriva da parthenos, così chiamata la dea vergine, e l’ altra dalla
stanza delle vergini, dove le giovani
tessevano gli abiti per vestire la statua
di Athena Parthenos.
Curiosa la storia moderna, che
prova ad imitare il periodo dorato
dell’ arte classica. Chi rammenta il
film Nashville, girato fra le colonne
del Partenone fedelmente ricostruito,
compresa la statua della dea Athena,
riprodotta come l’ originale?
Lo scultore Alan LeQuire ricalca
con precisione l’ opera di Fidia, usando
materiali poveri; la statua fu inaugurata nel 1990 nella città di Nashville.
Il succedersi delle fasi storiche cambia il destino del monumento, lo troviamo nell’ anno 1175 riadattato a basilica cristiana, Nostra Signora di Atene. Ma i tempi sono bellicosi, nel 1204
arrivano i Crociati, saccheggiano Atene e disperdono la preziosa biblioteca
custodita nella basilica. Con il nuovo
arcivescovo francese, cambia ancora
nome, Notre Dame d’ Athènes.
Seguono anni oscuri di invasioni
militari e transazioni di potere, con
l’ arrivo di costumi e culture diverse,
altre costruzioni vengono edificate
sull’ Acropoli, senza intaccare la struttura dell’ antico tempio. Con l’ avvento del dominio turco, durato 375 an112
ni, il Partenone fu trasformato da basilica a moschea, con pochi ritocchi
interni e l’ aggiunta di un minareto. Area proibita agli stranieri. Ma i viaggiatori, dottor J. Spon e il suo amico
G.Wheler riuscirono a visitare “la più
bella moschea del mondo”4 corrompendo un vecchio soldato, con “tre
misure di caffè”. Dobbiamo al pittore
Jacques Carrey i numerosi accurati
disegni delle sculture del tempio, richiesti dall’ ambasciatore francese de
Nointel durante la visita della città di
Atene. Tali riproduzioni sono quanto
rimane dell’ arte classica, andata distrutta durante l’ assedio dei veneziani
alla città. I cannoni distrussero parte
del tempio e innescarono l’ esplosione
della polveriera collocata nell’ edificio.
Per oltre due millenni il Partenone
scampò alla distruzione delle battaglie, protetto dal ruolo religioso assunto nei diversi periodi storici, fino
al drammatico 1687, distrutto e semidiroccato, era diventato facile preda di collezionisti e sfruttatori.
“È da rammaricarsi che tante mirabili sculture ancora esistenti in questo edificio probabilmente debbano essere
tutte distrutte... dallo sprezzo ignorante
e dalla violenza brutale” lamentava R.
Chandler di Oxford.5
I marmi frantumati abbandonati a
terra, furono i primi reperti ritrovati
da Lord Elgin, dando inizio al trafugamento di opere d’ arte. Il dominio
ottomano non si curava della conservazione di statue e reperti preziosi,
sull’ Acropoli era concentrata la guar4 - Ibid., pag. 69
5 - Ibid., pag. 82
nigione militare; i blocchi di marmo
venivano usati per costruire le baracche dei soldati o trasformati in calce.
Davanti a questo degrado, Lord Elgin appariva il benefattore che metteva in salvo i tesori classici trasportandoli in Gran Bretagna. Non è certo se
avesse un firmano (permesso ufficiale) del governo di Costantinopoli, per
scavare, disegnare, asportare fregi,
sculture e le metope incorniciate,
questo è difficilmente riscontrabile,
malgrado l’ esistenza del decreto ottomano.
Raggiunta l’ indipendenza dal dominio turco, in Grecia si insediò la
monarchia bavarese, fortunatamente
interessata alla cultura e arte ellenica,
di buon auspicio per la conservazione del Partenone.
Le scelte drastiche di demolizione e
ripulitura del sito furono contestate,
così come le vide con occhio critico
H. Miller, sconcertato dal fervore archeologico: “hanno devastato gran
tratti di terra per disseppellire una farragine di resti antichi che finiscono nascosti nei musei... questi letti di lava
creati scientificamente...”.
Gli interventi di restauro definitivo
arrivano ai nostri giorni nel XXI secolo; si mantiene ancora vivace la discussione sul significato delle figure
del fregio e rimane insoluta la richiesta del governo greco per la restituzione delle preziose sculture.
Il Partenone, emblema della bellezza universale, appartiene all’ umanità.❧
Anna Maria Ercilli
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Andar per biblioteche
a cura di MariaLuisa Mora
Questa volta andiamo a Roma alla Biblioteca della Camera dei Deputati con l’onorevole Alberto Lembo e a Bardolino a Villa
Carrara Bottagisio con Catia Simone, entrambi nostri Soci, per conoscere due biblioteche che pur nella diversità della loro storia
e della loro missione perseguono le stesse finalità al servizio della cultura e del cittadino.
D
evo molto alla biblioteca della Camera dei
Deputati e alla cortesia ed efficienza del personale che
vi opera. E’ stata una scoperta un
po’ tardiva, per me, lo ammetto,
che mai vi ero entrato mentre ero
in carica, troppo assorbito dai lavori dell’Aula e delle varie Commissioni (e anche affiancato da efficienti segretarie che mi procuravano tutte le informazioni di cui
avevo bisogno).
Ho cominciato a frequentarla una decina di anni fa ed è stata una
scoperta incredibile. Oggi vi trascorro spesso qualche ora, consultando e scrivendo, anche, nelle sue
accoglienti sale. Certo, per chi è
stato parlamentare l’accesso è agevolato, come pure la consultazione
del contenuto, anche quello più riservato, ma la biblioteca è aperta a
tutti ed è molto frequentata. Da
qualche tempo, poi, è stata collegata con quella del Senato, costituendo un unico “polo bibliotecario
parlamentare”, come viene defini-
to. Si tratta, quindi, oggi, di un’unica struttura dotata di quasi due
milioni di volumi, circa diecimila
periodici, dei quali oltre tremila
correnti, e oltre duecento testate
quotidiane tra italiane e straniere.
Le collezioni e i servizi della biblioteca della Camera, in particolare, sono finalizzati alle esigenze
di informazione e di studio degli
organismi parlamentari e dei singoli deputati, al supporto delle attività svolte dagli uffici della Camera e alla documentazione storica dell’istituzione parlamentare in
Italia. Le specializzazioni sono mirate particolarmente agli studi di
diritto italiano, straniero e comparato, scienza politica, scienza
dell’amministrazione e storia contemporanea, mentre il Senato ha
particolarmente indirizzato l’incremento delle sue dotazioni verso
la storia locale e fonti e documenti
per la storia giuridica e politica degli Stati preunitari, con importantissime raccolte di Statuti comunali e di documenti a partire dal se-
colo XIV. Restano i due indirizzi
differenziati, ma potendo accedere
all’intero complesso questo non limita ma arricchisce.
Come dicevo, la biblioteca della
Camera dei Deputati svolge un’intensa attività di documentazione per
gli organi interni, particolarmente il
Servizio studi, alimentando anche le
principali “banche dati” disponibili
sul sito della Camera stessa, portando avanti un’operazione tendente a
mettere in rete tutti gli atti parlamentari a partire da quelli dell’Assemblea Costituente.
Nella sede di Via del Seminario,
a Roma, a due passi dal Pantheon,
cinque piani, ripartiti secondo categorie di documentazione, sono
aperti al pubblico tutti i giorni
senza particolari formalità. Recentemente, nell’ottica di una integrazione sempre più accentuata tra le
due originarie biblioteche parlamentari, la tessera rilasciata da una delle due istituzioni vale anche
per l’altra, unite da un passaggio
interno solo dal 2007.
Alberto Lembo
La biblioteca della Camera
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
113
andar per biblioteche
Questo è l’aspetto più importante per lo studioso, che può liberamente spaziare in un contesto di
documentazione specializzata che
non ha confronti in Italia. Gli studenti che la frequentano sono
molti, anche provenienti da località lontane, perché un viaggio a Roma, pur costoso, può rendere moltissimo in termini di reperimento
di materiale altrimenti difficilmente consultabile. Solo nel salone d’ingresso, negli scaffali che lo
fiancheggiano per tutta la lunghezza, per fare un esempio, sono
conservati, in volumi rilegati, di
cui è possibile trarre fotocopie,
tutti gli atti parlamentari dal 1861
ad oggi, dai dibattiti in Aula ai lavori nelle varie Commissioni, agli
atti di indirizzo…
A Roma c’ è anche questo…❧
Alberto Lembo
Biblioteca della Camera
dei Deputati
Indirizzo: Via del Seminario, 76
00186 Roma
http://biblioteca.camera.it
Segreteria: tel. 06 6760.3476;
06 6760.3548; fax: 06 678 6886
Orari di apertura per il pubblico:
lunedì - venerdì: ore 9,00 -19,30
sabato: ore 9,00 -12,30
chiusa nel mese di agosto.
114
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Andar per biblioteche
«Non dobbiamo leggere per dimenticare noi stessi e la nostra vita quotidiana, ma al contrario, per impossessarci nuovamente,
con mano ferma, con maggiore consapevolezza e maturità,
della nostra vita»
Hermann Hesse, Scritti letterari I, 1972 (postumo)
N
ella magnifica dimora
di Villa Carrara Bottagisio, edificio registrato al Catasto Napoleonico nel 1838,
e decorato con splendidi affreschi e
pitture illuministe di fine Settecento, il 5 giugno 2012 i libri e le parole
hanno trovato una nuova residenza: la Biblioteca di Bardolino.
Con un debutto estivo caratterizzato da una catena umana che ha
collegato la vecchia biblioteca alla
nuova sede. Un intreccio di mani
che, passo dopo passo, ha traslocato
in questa maniera insolita ma molto
scenografica, centinaia di testi sui
nuovi scaffali, davanti a un pubblico
di cittadini commossi e partecipi per
questa nuova avventura.
Protagonisti di questa ribalta soprattutto i bambini, i quali dagli asili nido alle medie, hanno gridato a
gran voce con musica e parole, il lo-
ro entusiasmo come lettori e protagonisti del nostro domani letterario
e culturale. E proprio a loro sono
state dedicate due sale, al primo
piano dell’ edificio. Nella prima i
bimbi di età dai cinque ai dieci anni, possono usufruire di una sala
con una platea su due gradini, riproducente le colline gardesane, e
capace di accogliere circa 20-22
piccoli ospiti in occasione di attività a loro dedicate o semplicemente
per leggere una favola. La seconda è
un’ area nido dedicata ai bambini da
zero a tre anni, arredata con un enorme tappeto su cui possono
compiere i primi passi e sfogliare le
loro prime pagine.
La Villa è a forma di “L” come letteratura. Una straordinaria coincidenza che racchiude circa 13.000
monografie, 2.500 testi e 1.300 tra
film e documentari. Molto impor-
tante è la suddivisione degli altri
ambienti da cui si sono ricavati alcuni spazi.
Una parte della biblioteca è situata
al piano terreno, nel corpo centrale insieme al servizio socio-educativo
InformaGiovani. Qui il personale
della ricezione, con grande perizia
e gentilezza, introduce i visitatori
alla consultazione dei libri, volumi
e opere audiovisive messi a disposizione dei cittadini e dei turisti, nonché alle numerose iniziative promosse dal Comune.
Una speciale bacheca all’ ingresso
offre una quantità di annunci, offerte
e notizie, mettendo in contatto lettori, aspiranti scrittori e possibili acquirenti bibliofili e di testi scolastici.
Un’ importante emeroteca è situata nel locale a pianta quadrata, con
soffitti e volte elegantemente decorati, dotato di posti a sedere. AccanCatia Simone
La biblioteca di Bardolino
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
115
andar per biblioteche
to, in un’ altra sala, disposta in file
ordinate e avvolti nella magnifica
luce gardesana, si trova un’ altra
parte dei volumi di saggistica e letteratura italiana e straniera.
Il primo piano, oltre all’ area dedicata all’ infanzia, comprende un locale adibito alla cultura locale e una
sala conferenze ampia e spaziosa
con vista sulla sponda bresciana e
sul magnifico susseguirsi di olivi e
fiori che decorano il lungolago di
Bardolino. Un altro importante settore è dedicato ai testi sulla prima
guerra mondiale.
Una famosa citazione di Umberto Eco dice: «Uno dei malintesi che
dominano la nozione di biblioteca è
che si vada in biblioteca per cercare
un libro di cui si conosce il titolo. In
verità accade sovente di andare in
biblioteca perché si vuole un libro di
cui si conosce il titolo, ma la principale funzione della biblioteca, alme116
no la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire
dei libri di cui non si sospettava l’ esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per
noi.»1
Le biblioteche – aggiungo io, parafrasando Eco – hanno anche un altro scopo: quello di scoprire lettori
di cui non si sospettava l’ esistenza,
creando un labirinto d’ idee, emozioni, pagine e luoghi in cui ciascuno
può dare e ricevere in uno scambio
che può portare solo cose buone.
Presentazioni, convegni, corsi,
seminari, incontri e mostre.
La Biblioteca è nata, anzi è rinata
per dare luce alle idee di ciascuno
di noi, e come punto primario di riferimento culturale per i cittadini e
i turisti della ridente e ospitale Bardolino.
E quando il sole scomparirà dietro i monti, dopo aver infiammato
il lago tutto il giorno – solo allora –
nella luce tenue di un tramonto, potremo intuire quanto un giorno trascorso insieme a un libro ha impreziosito la nostra esistenza.
Poi… spegneremo la luce sulla
copertina appoggiata sul comodino, accanto al letto, il buio nasconderà i titoli, ma le parole… sì le parole… quelle no, quelle riposeranno dentro di noi, al riparo della notte, in attesa di un nuovo risveglio, di
un altro sole che accenderà un nuovo giorno, e scalderà l’ acqua di uno
scenario lacustre riflesso sui vetri e
sugli intonaci di un’ antica dimora
veneta, in cui potremo essere ancora interpreti di mille storie e mille
vite. ❧
Catia Simone
1 - Umberto Eco, De bibliotheca, 1986.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Notizie dal furore
Eventi del Furore
La stagione autunnale è stata ricca di eventi significativi per la nostra Associazione. Abbiamo portato a termine iniziative diverse, tutte,
ciascuna a modo suo, accolte e seguite con interesse dai soci e dai
simpatizzanti.
A Tivoli con Parole per strada
Particolarmente importante ed
innovativa è stata la scelta di concludere il “viaggio” in giro per l’ Italia della Mostra itinerante “Parole
per Strada” con l’ incontro a Tivoli
di Soci ed amici, alcuni autori selezionati dell’ edizione 2011; con loro
abbiamo avuto il piacere di condividere lo spirito della Mostra e del
Concorso.
È stata una tre giorni non solamente letteraria, ma anche un sincero e spontaneo incontro tra persone accomunate dalla passione
per la lettura, la storia, l’ arte...
Accanto al momento più strettamente legato alla valorizzazione
della Mostra esposta nella splendida cornice di Villa Gregoriana, alla
consegna delle targhe e alla lettura
di molti racconti offerta da una voce recitante accattivante e suggestiva, abbiamo trascorso insieme momenti conviviali apprezzando l’ ottima cucina del territorio.
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
Abbiamo soprattutto scoperto (o
riscoperto) lo spettacolare sito di
Villa Adriana e la ricchezza rinascimentale di Villa d’ Este. La fortuna,
o il caso, sono stati generosi: a Villa
Adriana era allestita la Mostra “Antinoo”. Inutile ricordare la storia e la
sorte che legò la vita del giovane,
divenuto poi icona e leggenda di
classica bellezza, a quella dell’ Imperatore. In questo caso forse si può
dire: “...galeotta fu la mostra!” che
con l’ arte della scultura e del ritratto ci rimanda alla lettura del capolavoro della Yourcenar.
A Villa d’ Este l’ originale Mostra
“Il Banchetto rinascimentale” testimonia come la maestria e il gusto
di artisti meno conosciuti e famosi
abbiano contribuito con opere d’ arte di cristalleria, argenterie, porcellane e decori floreali al valore artistico del Rinascimento italiano.
Non tralasciamo di ricordare che
di Tivoli, cittadina di notevole valore storico ed architettonico, abbiamo apprezzato anche il fascino del
nucleo medioevale ancora ricco di
vita e di relazioni umane significative.
Mercatino del libro usato
Nel week-end di S. Martino
(dove era la sua promessa di un’ estate tardiva?) sotto un cielo particolarmente autunnale, accentuato da pioggia battente e vento
dispettoso, il Furore dei Libri ha
tenuto testa alle intemperie ed ha
accolto amici e visitatori occasionali alla «Sala Adami» in S. Marco, ospite gradito della Circoscrizione “Centro”, per offrire loro la
possibilità di “portarsi a casa” libri (non solo di letteratura), cosiddetti usati o di seconda e terza
mano; di trovare magari qualcosa
di curioso o di fuori mercato, forse anche raro.
Non è la sola iniziativa di questo
tipo sul territorio, ma per la nostra Associazione è un ulteriore
momento per avvicinare i lettori,
per scambiare non semplicemente
libri, ma anche opinioni, pareri e
proposte...
Eccone una: perché non cambiare l’ aggettivo “usato” con un altro che renda l’ idea del libro “condiviso”, passato di mano in mano e
anche di cuore in cuore, letto, riletto, apprezzato o no da persone
molto diverse tra loro, nel corso
della sua vita cartacea?❧
Maria Grazia Masciadri
117
NOTIZIE DAL FURORE
Pensare Per Essere
Negli ultimi mesi il Furore dei Libri ha inaugurato un nuovo gruppo
di lettura: Pensare per Essere. Progettato dai giovani membri dell’ associazione, Pensare per Essere organizza, a
cadenza mensile, dibattiti a tema filosofico, storico e politico, promuovendo alcune letture concordate fra i
partecipanti.
Le attività vere e proprie del gruppo sono state anticipate da un incontro pubblico tenutosi nel mese di settembre, sulla scorta dell’ interesse dimostrato alcuni mesi addietro per il
tema del totalitarismo da quanti avevano partecipato agli incontri di filosofia politica.
Il Totalitarismo
Avvalendosi della documentazione preparata per l’ occasione e distribuita ai partecipanti, i giovani membri dell’ associazione, in veste di moderatori, hanno introdotto il tema
davanti a un folto e interessato pubblico. È stato dunque possibile avviare una discussione aperta, con riflessioni sui totalitarismi e gli autoritarismi classici e alcuni riferimenti
alla situazione attuale. In particolare,
alcune persone si sono chieste se ai
giorni nostri permangano alcuni
“tratti” totalitari: la discussione si è
quindi concentrata sui casi di Cina e
Iran, dando spazio a molteplici punti di vista.
Sull’ onda del successo e soprattutto
dell’ interesse riscontrato in quest’ occasione, Pensare per Essere ha aperto
ufficialmente i battenti il 14 novembre.
118
Giustizia e legalità in Platone
L’ incontro ha tratto spunto da due
celebri opere del filosofo greco, l’ Apologia di Socrate e il Critone. Alla
presentazione frontale del precedente evento si è preferito stavolta un assetto più consono allo spirito di un
gruppo di lettura, mantenuto poi anche per i successivi incontri, con una
disposizione in cerchio delle sedie
della Sala Multimediale. I partecipanti hanno affrontato molti argomenti collegati al tema proposto: l’ originalità della figura di Socrate, il
coraggio della scelta di morire, il rapporto fra leggi e loro applicazione, la
giustizia e i suoi risvolti etici.
una deregolamentazione selvaggia di
lungo corso; i rapporti fra politica ed
economia; la necessità di garantire il
rispetto di un patto sociale che provveda al benessere della società.
Gli organizzatori guardano con
entusiasmo ai prossimi appuntamenti. Intanto è stato creato l’ indirizzo mail [email protected]
affinché i partecipanti possano suggerire al gruppo argomenti da affrontare e letture comuni.❧
Catilina e Giugurta: tensioni nella
Roma del I secolo a.C.
Il 12 dicembre si è tenuto il secondo incontro. Traendo spunto dalle
monografie di Sallustio, si è potuto
riflettere sul tema della corruzione e
del decadimento della politica, molto sentito oggi come nell’ antichità.
Con il nuovo anno, il gruppo ha
pensato di stimolare i partecipanti
con un argomento molto attuale.
giornalista pubblicista, collabora con varie
riviste con articoli a sfondo storico. Eletto
alla Camera dei Deputati nel 1994, è stato
Presidente della Commissione Agricoltura.
Rieletto nel 1996, ha fatto parte della Giunta per il Regolamento e del Comitato per la
Legislazione di cui è stato Presidente. È autore del saggio Mondialismo e resistenza etnica (1999). Per la Aletti ha pubblicato i romanzi brevi Il Tenente von H, Anna Erizzo.
Venexiana e Elena di Leopoli.
La crisi economica globale
L’ incontro, tenutosi il 17 gennaio,
ha visto un’ ampia e sentita partecipazione. Gli organizzatori hanno fornito alcune coordinate sull’ origine della
crisi negli Stati Uniti, avvalendosi anche di alcuni spezzoni di film sul tema. Il dibattito, particolarmente vivace, ha toccato molte questioni: le cause profonde della crisi, individuate in
Marcello Curci
Per la prima volta
con la Rivista del Furore
Alberto Lembo
Pier Giorgio Longo
docente e studioso di storia del cristianesimo e della chiesa in età moderna e contemporanea. Autore di importanti ricerche bibliografiche, ha pubblicato vari studi e volumi. in particolare sui Sacri Monti e
le Novae Jerusalem, oltre a Letteratura e
pietà a Novara tra XV e XVI secolo e, con
Fiorella Mattioli Carcano, il volume Libri di
fabbriceria del Sacro Monte di San Francesco di Orta (1606-1694).
Linda Salmaso
vive a Vigodarzere (PD), studentessa. Due
volte vincitrice del concorso di poesia
bandito dall’ Istituto Comprensivo di Vigodarzere e menzione speciale per un’altra poesia.
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
L’ ultima pagina
a cura di Carlo Andreatta
L
o scrittore e saggista
messicano Carlos Fuentes, scomparso il 15 maggio 2012, era nato a Panamá l’ 11 novembre 1928.
Apparteneva alla generazione di
Gabriel García Márquez, Mario
Vargas Llosa, Julio Cortázar, Octavio Paz.
Fuentes esordì come narratore
negli anni Cinquanta e si affermò
nel decennio successivo.
Nelle sue opere – caratterizzate
da una scrittura controllata, intensa, a tratti dal ritmo incalzante – è
fondamentale la lingua spagnola,
ma altrettanto indispensabili divengono “gli apporti indigeni, i miti e i riti di un continente grande e
maltrattato che, finalmente, grazie
alla letteratura conquista un posto
prestigioso nel panorama mondiale”, come ha affermato lo scrittore
Ranieri Polese.
Figlio di un diplomatico, Fuentes ha viaggiato molto e ha conosciuto e frequentato i grandi esponenti della cultura del Novecento:
Alberto Moravia, Gabriel García
Márquez, Fabio Rodríguez Ama-
ya, Pablo Neruda, David Alfaro Siqueiros, per ricordare alcuni dei
nomi più significativi.
Durante gli anni Sessanta del secolo scorso, Carlos Fuentes ha vissuto a Parigi, a Venezia, a Londra,
a Città del Messico.
Negli anni Settanta lavorò presso
il “Wodrow Wilson Institute” di
Washington. Nel 1975 accolse l’ invito di rappresentare il Messico in
Francia.
Grande appassionato di cinema,
scrisse le sceneggiature di numerosi film.
Ricevette importanti riconoscimenti, tra i quali il premio “Cervantes” (1987), nel 1994 i premi
“Principe delle Asturie”, “Grinzane
Cavour”, “Picasso” (assegnato
dall’ Unicef), e la Legion d’ Onore
nel 2003.
All’ amico Fabio Rodríguez Amaya, Fuentes, anni addietro, confidò che non credeva nella letteratura d’ impegno, la prosa militante
non lo convinceva, insomma, negativo era il suo giudizio sulla letteratura a servizio dell’ ideologia.
Nonostante ciò, lo scrittore mes-
Carlos Fuentes
IL FURORE DEI LIBRI 2012/7
sicano prese – sovente – posizioni
politiche piuttosto inequivocabili
(contenute, però, in saggi, discorsi,
articoli): ad esempio, non risparmiò severe critiche agli Stati Uniti
d’ America e alla loro politica imperialista nei confronti del centro
e del sud America.
Fra le sue opere più famose, ricordiamo L’ ombelico della luna
(1958), La morte di Artemio Cruz
(1962), Cambio di pelle (1967),
Terra nostra (1975), Il gringo vecchio (1985).
Carlos Fuentes – che collaborò
con il Corriere della Sera, El país,
Le Monde – amò profondamente il
mondo delle lettere; fu convinto
assertore della funzione civile del
romanzo latino-americano: in un
incontro con Nuccio Ordine,
Fuentes sottolineò al filosofo calabrese che “gli scrittori erano riusciti a raccontare ciò che la Storia non
aveva mai avuto il coraggio di dire”.❧
Carlo Andreatta
119
l’ultima pagina
Sarò sempre grato a quella sera di Zurigo per
avermi insegnato, in silenzio, che in letteratura
sappiamo soltanto quello che immaginiamo.
Carlos Fuentes, In questo io credo, trad. di Eleonora Mogavero, Il Saggiatore, Milano, 2005, p. 316.
120
2012/7 IL FURORE DEI LIBRI
Le idee, le opinioni e i giudizi che appaiono in questa Rivista
sono da ascrivere solamente ai loro autori
e non rispecchiano necessariamente quelle dell’associazione «Il Furore dei Libri»
ringraziamenti
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Ufficio per il Sistema
bibliotecario trentino
Comunità della Vallagarina
Cassa Rurale di Rovereto
per il sostegno alla Rivista
Il Furore dei Libri
rivista quadrimestrale
dell’ Associazione culturale
di promozione sociale
“Il Furore dei Libri”
n. 7
dicembre 2012
e a tutte le persone
citate in questa pagina
per aver prestato la loro opera
del tutto volontariamente
e gratuitamente.
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Il Libro dei Misteri
Pier Giorgio Longo
Il terrorista dell'Haganah
che leggeva Sant'Agostino
IL FURORE DEI LIBRI
In Questo Numero
2012
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numero 7
rivista dell’associazione culturale di promozione sociale «il furore dei libri»
- amici della biblioteca anno iii - dicembre 2012 - quadrimestrale
Sandro Disertori
Tridentini scriptores prohibiti [VI]
Antonio Rosmini
Giuseppe Maria Gottardi
Epistolari d'artista [III]
Diego Cescotti
Parole per strada 2012
∑
Renzo Galli - Linda Salmaso - Stefano Tonietto
numero 7
coversazioni bibliofile – biblioteca mon amour – rinvenimenti
musicobibliofilia – lo scaffale – libri di confine – libro chiama libro
e [tra libro e gioco] – il furore del rock – marginalia
libri che parlano di sé – galeotto fu il libro – parlando di libri
andar per biblioteche – notizie dal furore – l'ultima pagina
il furore dei libri - editore