l`affascinante avventura • la responsabilità di non deludere • ricordo
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l`affascinante avventura • la responsabilità di non deludere • ricordo
giugno 2014 Periodico del Rotary Club Cagliari Distretto 2080 • L’AFFASCINANTE AVVENTURA • LA RESPONSABILITÀ DI NON DELUDERE • RICORDO DI SU BANDIDORI • LE CELLULE STAMINALI Sommario Rotary Club Cagliari L’affascinante avventura – Francesco Birocchi Periodico del Rotary Club Cagliari Distretto 2080 Anno di fondazione 1949 Dove sono gli amici lì è la vera ricchezza – Mario Figus 7 Cronaca e storia – Ugo Carcassi, Tiziana Pusceddu 1 11 Tutela del patrimonio ambientale – Giovanni Barrocu 19 n. 3/4 giugno 2014 Pubblicazione riservata ai soci Rotariani Direttore responsabile: Lucio Artizzu Comitato di redazione: Francesco Birocchi, Salvatore Fozzi, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giovanni Sanjust Segretaria di redazione: Anna Maria Muru Autorizzazione del Tribunale di Cagliari n. 171 del 18 agosto 1965 Progetto grafico e impaginazione Bruno Pittau – www.brokenart.org fotografie: Archivio Rotary e soci del Club Stampa e allestimento: Archimedia S.r.l., Novara _____________________________ Le opinioni espresse negli articoli firmati impegnano esclusivamente i loro autori. Il re del Regno Unito che affrontò la rivoluzione francese, subì la rivoluzione americana e ancora regnante prevalse su Napoleone – Angelo Deplano, Giovanni Barrocu 22 Sardus Pater – Mauro Manunza 30 Dalla lastra al digitale – Gianni Campus 32 Si è concluso un anno splendido – Paolo Ritossa 43 Daniela Zedda – M.M. 44 Su bandidori – Mariangela Zedda 46 Emotività e razionalità: il caso Stamina – Carlo Carcassi 49 Missione sanitaria in Togo – Giovanni Peretti 53 La maggioranza ha sempre ragione? – Rafaele Corona 57 Dal Rotaract al Rotary – Francesco Danero 64 Tornar di laudi cinto – Marcello Marchi 69 Le ultime fatiche editoriali di Ugo Carcassi – M.M. 71 Benvenuto ai nuovi soci 72 Commissioni anno 2014-2015 73 LE RIUNIONI Le presenze 74 Hanno collaborato a questo numero: GIOVANNI BARROCU • FRANCESCO BIROCCHI GIANNI C AMPUS • C ARLO C ARCASSI • UGO C ARCASSI RAFAELE CORONA • FRANCESCO DANERO • ANGELO DEPLANO MARIO FIGUS • MARCELLO MARCHI • MAURO MANUNZA GIOVANNI PERETTI • TIZIANA PUSCEDDU PAOLO RITOSSA • MARIANGELA ZEDDA In copertina: 22 febbraio 2014, flash mob “End Polio Now” al Bastione di Saint Remy (foto Italo Orrù). giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 1 Vivere il Rotary L’affascinante avventura Francesco Birocchi e musiche di Ĉajkovskij e Debussy magistralmente interpretate dal violino di Salvatore Accardo hanno segnato, nel modo più emozionante e significativo, la fase di finale di quest’anno rotariano 20132014. Il concerto del Quartetto Accardo al Teatro Lirico, terza edizione del Musikaralis, si è svolto nel pieno della campagna di educazione sanitaria per la prevenzione delle malformazioni congenite, avviata dal Rotary Club Cagliari con i fondi raccolti nelle prime edizioni della prestigiosa rassegna musicale. Il progetto, condiviso da tutti i Rotary Club della Sardegna, ha ormai preso forma e centinaia di piccoli manifesti e migliaia di opuscoli sono stati distribuiti nelle farmacie della Sardegna. Spot appositamente confezionati, sono stati trasmessi dalle radio private. Il titolo della campagna è “I suoi primi passi li fai tu”, diretto alle donne che prevedono la possibilità di una gravidanza le quali, assumendo, previa consultazione del medico, piccole quantità di acido folico, possono ridurre in misura importante la possibilità di concepire un bambino affetto da malformazioni congenite. Il motto del Presidente internazionale del Rotary Ron D. Burton per quest’anno “Vivere il Rotary. Cambiare vite”, ci ha incoraggiato ad insistere e moltiplicare le energie per far partire questo progetto, che dovrà proseguire, perfezionandosi, nei prossimi anni per poter raggiungere risultati concretamente significativi. Il Rotary fu definito dall’indimenticato past governor del Distretto e past president del nostro Club, Renzo Pirisi: “Un’affascinante L avventura”. È la sensazione che provo al termine di questa annata rotariana. L’anno che si è concluso è stato per me una grande e bella avventura nella quale ho rinsaldato vecchie amicizie, ne ho scoperte di nuove, ho lavorato assieme a persone splendide e disponibili nel nome del Rotary. Nulla si sarebbe potuto realizzare senza la collaborazione di tanti, nello spirito rotariano del servire al di sopra di ogni interesse personale. «Molte cose sono cambiate da quando Paul Harris aveva avviato il primo Rotary club nel 1905 – ha scritto Ron D. Burton in un suo messaggio – ma gli elementi essenziali del Rotary non sono cambiati e non cambieranno mai. Essere rotariani significa mettere i bisogni degli altri prima dei nostri e significa abbracciare i nostri valori fondamentali: amicizia e tolleranza globale, etica e integrità, diversità, competenza professionale, servizio e leadership». Valori espressi concretamente nella disponibilità dei tanti amici del Rotary Club di Cagliari, nella partecipazione ai nostri incontri settimanali, nel lavoro nelle commissioni, nelle iniziative e nei progetti che sono stati realizzati nel corso dell’anno al servizio della città, del territorio e dei più bisognosi. Mi piacerebbe ripercorrere una ad una le tappe di questa avventura. Ma l’elencazione dettagliata sarebbe troppo lunga e occuperebbe troppo spazio in questa bellissima rivista, curata con professionalità da Lucio Artizzu (che ne è il direttore), da Salvatore Fozzi (che sostiene il peso degli aspetti editoriali) Mauro Manunza, Marcello Marchi e Giovanni Sanjust e dalla segretaria di redazione Anna Maria Muru. A loro rivolgo un grande grazie. 2 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Mi limiterò pertanto a sottolineare solo alcuni dei momenti più belli e significativi. A cominciare dalle indimenticabili conversazioni che i soci, con professionalità straordinarie e profonda cultura, hanno regalato al Club nel corso dell’anno. Da Salvatore Fozzi (Rotary Foundation) a Pasquale Mistretta (La città del futuro), Paolo Ritossa (Il futuro del porto di Cagliari), Vittorio Giua (I contratti di convivenza), Ugo Carcassi (La libertà da ricostruire), Carlo Carcassi (Il caso Stamina), Mauro Manunza (Su bandidori), Massimiliano Masia (L’avvocato con le stellette), Gianni Campus (Dalle lastre al digitale) per finire con Rafaele Corona (La maggioranza ha sempre ragione?) ed Eugenio Lazzari (L’acqua come simbolo). Le loro conversazioni, assieme a quelle dei tanti conferenzieri illustri, scaturite dal lavoro della commissione programmi guidata da Alberto Cocco Ortu, hanno animato i nostri giovedì rotariani ed hanno interpretato ad altissimo livello il tema che ci eravamo dati all’inizio dell’anno: Esplorare il futuro per orientare il presente. E poi i momenti di affiatamento. Ricordo con grandissimo piacere la serata dedicata a festeggiare il novantesimo compleanno del nostro past governor e past president Angelo Cherchi, docente universitario, insigne cardiologo e rotariano esemplare e autorevole, motore instancabile di tante importanti iniziative del nostro Club e del Distretto e punto di riferimento insostituibile per chi ancora oggi intende vivere il Rotary nel modo migliore. Con altrettanto piacere ricordo altre giornate trascorse insieme: la trasferta al Centro di restauro di Li Punti, con lo spettacolo dei Giganti di Monte Prama. La visita guidata alla mostra “L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”, la mostra allestita alla Cittadella dei Musei in occasione del centenario della nascita di Giovanni Lilliu. Iniziative curate da Caterina Lilliu. E infine la visita a S’Aspru, la comunità agricolo-pastorale fondata e guidata da Padre Salvatore Morittu, nostro socio onorario. Di questo evento parlerò fra poco perché si inquadra in un bellissimo progetto distrettuale promosso dal nostro Club. Sono davvero orgoglioso di aver vissuto il compimento del progetto per il nuovo portone dell’antica chiesa di S. Lucifero a Cagliari. È un dono che il Rotary ha fatto alla città: un grande portone di bronzo, decorato con formelle recanti le immagini dei santi più legati al culto dei cagliaritani. La realizzazione dell’opera è stata affidata all’artista Piergiorgio Gometz, dorgalese con laboratorio a Cagliari, già autore di numerosi portoni di bronzo, tra cui quello della cattedrale di Nuoro. La fusione del portone è stata realizzata in maniera magistrale da Augusto Mascia nella omonima fonderia di Cagliari. La Fondazione Banco di Sardegna ha partecipato con un contributo al notevole impegno economico che l’opera ha richiesto, la ringraziamo per questo. A Gometz si deve, fra l’altro, il bassorilievo di bronzo collocato, su iniziativa del nostro Club, nell’area partenze dell’Aeroporto di Elmas, per celebrare le attività benefiche del Rotary, nel centenario della sua fondazione. La fortuna mi ha regalato la soddisfazione di veder realizzato un progetto nato alcuni anni fa e sostenuto con convinzione dall’impegno di molti rotariani e non. Dai presidenti del Club che mi hanno preceduto, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Ninni Cabras, Michele Rossetti e Mauro Manunza, a tanti altri soci che, con generosità, hanno consentito che venissero superati tutti i problemi tecnici e burocratici che la complessità dell’opera ha comportato. Un ringraziamento particolare deve andare a Michele Pintus, a Marinella Ferrai Cocco Ortu, a Salvatore Fozzi, e a Stefano Liguori. Senza il loro impegno e la loro professionalità, il portone non avrebbe mai potuto vedere la luce. Tra le iniziative dalla commissione Rotary per la città, guidata da Marinella Ferrai Cocco Ortu, non si può certo dimenticare la sistemazione dei pannelli esplicativi per le opere artistiche di maggior pregio nella storica Chiesa del Santo Sepolcro. I testi sono frutto degli studi della dottoressa Lucia Siddi, Storica dell’arte, una vera e preziosa amica del nostro Club in questa ed in altre occasioni. La traduzione in inglese è invece opera del nostro socio Franco Staffa. giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 3 7 giugno 2014: monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, benedice il nuovo portone in bronzo della chiesa di San Lucifero, alla presenza del sindaco Massimo Zedda e del nostro presidente Francesco Birocchi. Ogni progetto, ogni realizzazione del Club è sempre frutto di un impegno collettivo. Solo con l’aiuto di tanti amici si riesce a raggiungere risultati importanti. Questo è accaduto ogniqualvolta ci siamo cimentati nella trasformazione di un’idea in azioni concrete. Anche la campagna di prevenzione delle malformazioni congenite, di cui ho parlato all’inizio, viene da lontano, dell’acido folico e delle sue proprietà, si incominciò a parlare nell’anno di presidenza di Andrea Rusconi (2001-2002) e da allora tanti soci hanno collaborato. Ora il progetto è nelle mani sicure di Peppino Masnata, entusiasta e instancabile promotore di iniziative rotariane che, per l’organizzazione del Musikaralis, si è avvalso della professionalità di Luigi Puddu e del sostegno di Margherita Mugoni, Marcello Marchi e di tanti altri soci. E dell’aiuto concreto anche di altri amici che rotariani non sono ma che hanno compreso bene lo spirito e l’importanza dell’iniziativa: da Ma- rio Orgiana (presidente dell’associazione della Spina bifida) a Mauro Meli (Soprintendente del Teatro Lirico), a Marco Ghiani (tipografo e rotariano di Cagliari Est), la cui collaborazione si è dimostrata decisiva. Sui temi dell’ambiente il nostro Club si è speso molto, da sempre. Anche quest’anno. È stata pronta la risposta all’appello del Distretto 2080 per la raccolta di fondi per venire incontro alle necessità delle popolazioni della Gallura e di altre zone della Sardegna duramente colpite dal nubifragio del 28 novembre 2013. Non solo: il 5 aprile abbiamo organizzato un interessantissimo Forum Distrettuale sul tema Tutela del patrimonio ambientale e aspetti giuridici del governo del territorio, con la sapiente regia di Giovanni Barrocu, coordinatore della commissione “Progetti di servizio” del nostro Club e Rita Dedola del Rotary Club Cagliari Anfiteatro. Ed è stato un successo, per partecipazione (l’aula magna del Palazzo di giustizia era stra- 4 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 piena) e per qualità degli interventi. Dopo i saluti del nostro socio Ettore Atzori (Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cagliari) e di Filippo Peretti (Presidente dell’Ordine dei giornalisti), perché il Forum è stato inserito nel programma di formazione permanente dei due ordini professionali, ci sono stati gli interventi dei nostri soci, Angelo Aru, Mario Figus, Giovanni Barrocu e Ginevra Balletto. Poi quelli del sostituto procuratore della Repubblica Daniele Caria, degli avvocati Marcello Vignolo e Rita Dedola ed infine ha concluso il giornalista Lello Caravano. È stata un’occasione importante per rendere un servizio alla comunità ad un livello elevato. Davvero un bel momento di azione professionale rotariana. L’azione di Pubblico Interesse è la terza delle cinque vie d’azione rotariane ed ha come obiettivi l’assistenza e l’aiuto a chi è in difficoltà ed il contributo al miglioramento della comunità locale. Il nostro Club ha tenuto fede a questo impegno. Oltre a partecipare a vari progetti nati in altri Club, si è fatto promotore, con il RC Sassari, di una richiesta di sovvenzione distrettuale a favore della Comunità S’Aspru del nostro amico e socio onorario padre Salvatore Morittu. Lo scopo è quello di assicurare alla Comunità un contributo per il completamento di un nuovo laboratorio artigianale di falegnameria, importante strumento di formazione e di inserimento futuro nel mondo del lavoro per i giovani che padre Morittu assiste nelle sue comunità fin dal lontano 1980. Salvatore Fozzi ha preso l’iniziative e la risposta è stata immediata e rassicurante, quasi tutti i Club della Sardegna (27 su 28) hanno risposto all’appello, disponendo un proprio contributo per il progetto che il Distretto ha accettato di cofinanziare. Il legame di amicizia fraterna con padre Salvatore è stato consolidato e l’importanza del nostro contributo l’abbiamo potuta constatare di persona in occasione della visita organizzata a S’Aspru. La Comunità avrà la sua falegnameria. In essa lavoreranno i giovani sottratti alla spirale della droga e ad una vita difficile. Credo che sia stato il modo migliore per interpretare il motto del Presidente internazionale: Vivere il Rotary. Cambiare vite. Il sostegno all’Oasi di S. Vincenzo, retta da suor Anna Cogoni, è un altro impegno che abbiamo onorato, grazie alla generosità di Ninni Giua. Un nuovo importante progetto distrettuale ha preso vita quest’anno nel nostro Club. Un progetto molto innovativo intitolato “Antiche arti, giovani innovatori”, che si propone di portare l’artigianato del Sulcis all’Expo 2015 a Milano e di favorire nuove prospettive di crescita nei mercati italiani e stranieri alle piccole aziende artigiane, attraverso una stretta sinergia tra gli artigiani, portatori di conoscenza, esperienza e sapere da tramandare nel tempo ed i giovani designer che, sotto la guida di professionisti affermati, proporranno forme e modelli innovativi in sintonia con le esigenze del mondo espressivo e produttivo contemporaneo. L’idea è di Mario Figus (presidente del nostro Club dal 1° luglio per l’anno rotariano 2014-2015) ed è stata elaborata in stretta collaborazione con i Rotary Club di Carbonia ed Iglesias e con lo IED (Istituto Europeo di Design). Il Club capofila è quello di Carbonia, e il responsabile del progetto è il nostro Mario Figus. Sarà anche un’occasione per rinsaldare, attraverso il lavoro comune, i già solidi legami di amicizia con i Club di Carbonia e Iglesias e i loro presidenti, Stefano Carbone e Piergiorgio Del Rio, con i quali negli anni scorsi sono stati realizzati importanti progetti sull’aerea mineraria. Il Rotary è una grande organizzazione internazionale. La consapevolezza di far parte di una rete di dimensioni mondiali è motivo di orgoglio per i 34 mila Club sparsi in più di 200 Paesi e li rende compartecipi dei grandi progetti messi in campo. Il riferimento per questa importante azione internazionale è la Rotary Foundation. La campagna più ambiziosa e impegnativa è la Polio Plus, partita più di 25 anni fa, alla quale il nostro Club ha contribuito generosamente anche quest’anno. Manca poco ormai alla definitiva eradicazione della malattia. Per comunicare questo grande risultato e per sostenere la lotta giugno 2014 — agli ultimi focolai, i rotariani di Cagliari e Quartu si sono ritrovati un sabato mattina di febbraio per un flash mob nella scalinata del Bastione di St. Remy. Un grande drappo colorato con la scritta “End Polio Now” è stato calato dalla sommità della scalinata ed i rotariani sono scesi tutti insieme liberando centinaia di palloncini colorati. Una bella manifestazione di apertura del Rotary alla città, in una ricorrenza significativa: “La giornata rotariana della pace e comprensione mondiale”, a 109 anni dalla fondazione del Rotary (nato il 23 febbraio 1905 a Chicago per iniziativa di Paul Harris). Risultato di una stretta e costante collaborazione fra tutti i Club dell’area cagliaritana attraverso i loro presidenti: Marcello Angius (Cagliari Est), Salvatore Sambiagio (Cagliari Nord), Giorgio Carboni (Cagliari Sud), Antonio Bardi (Cagliari Anfiteatro) e Pier Giorgio Ibba (Quartu S.E.). Con loro abbiamo lavorato in stretta collaborazione e perfetta armonia per organizzazione i numerosi interclub, tutti con successo. A cominciare da quello del 24 ottobre per il lancio della Campagna di prevenzione contro le malformazioni congenite, sino alla cerimonia per la consegna del premio La Marmora (il 26 maggio), assegnato quest’anno all’équipe di scienziati del “Sardinia radio telescope” di S. Basilio, il più grande e avanzato radiotelescopio in Europa. Il nostro Club si è sempre distinto nell’attività dello “Scambio giovani”, che utilizza la rete mondiale dei Club per consentire a ragazzi di paesi diversi di trascorrere un utile periodo in Italia e ai ragazzi italiani di trascorrere altrettanti periodi all’estero. Un lavoro delicato e impegnativo, anche per le responsabilità che comporta. Grazie al lavoro di Cecilia Onnis e di Ginevra Balletto, presidenti delle commissioni “Nuove generazioni” e “Scambio giovani”, il programma è stato portato a termine brillantemente. Quattro giovani stranieri sono stati ospitati dalle famiglie cagliaritane, mentre cinque ragazzi sardi partiranno, per iniziativa del nostro Club, in diversi Paesi stranieri. Rotary Club Cagliari 5 Un ringraziamento sincero lo devo anche al Governatore del Distretto 2080, Pier Giorgio Poddighe che non ha mai fatto mancare sostegno concreto ed incoraggiamento per il nostro Club e per la Sardegna. A cominciare dalla grande campagna nazionale per la raccolta fondi a favore delle popolazioni colpite dal nubifragio del 28 novembre che, attraverso la “Rete del dono”, ha fruttato una cifra superiore ai centomila Euro. Pier Giorgio ha voluto essere con noi, in collegamento telefonico, alla festa per i 90 anni di Angelo Cherchi ed è stato nostro graditissimo ospite alla cena degli auguri natalizi. E con lui ci sono stati sempre vicini, con presenza costante e preziosi suggerimenti, il segretario distrettuale Gabriele Andria e l’assistente del Governatore per il nostro Club, Italo Doglio. Così come un grazie che scaturisce dal cuore devo rivolgere ai giovani del Rotaract e al loro presidente, Antonello Fiori. Sono ragazzi in gamba, grandi organizzatori, che hanno messo il loro entusiasmo al servizio degli ideali rotariani, senza risparmiarsi, nelle vita di Club e per numerose iniziative esterne. All’inizio dell’anno mi ero riproposto di dare una mano d’aiuto alla parrocchia di Nanyukj, in Kenya, retta da più di trent’anni dalla Diocesi di Cagliari e da Don Franco Crabu, parroco in Africa da 28 anni. Nanyukj è una città di 150 mila abitanti a 2.200 metri di altezza, alle pendici del Monte Kenya. La stragrande parte della popolazione vive in uno stato di estrema povertà. I sacerdoti cagliaritani che si sono succeduti e i volontari arrivati dalla Sardegna hanno realizzato opere importanti: scuole, ospedali ed una struttura universitaria. Ma non basta mai. Il Rotaract di Cagliari ha raccolto la sfida. Per raccogliere fondi da inviare in quel piccolo pezzo di Sardegna nel cuore dell’Africa ha organizzato tre bellissime iniziative: un concerto Gospel, del bravissimo gruppo “Black Soul Gospel Choir”, alla Fiera di Cagliari, pochi giorni prima di Natale; lo spettacolo Quando scappavamo col cappotto sul pigiama (28 marzo al teatro Nanni Loy), di Pierpaolo Piludu, sul tema dei bombarda- 6 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 menti che, nel 1943, distrussero Cagliari; e, per finire, Night in fashion for Kenya (il 24 maggio a Villa Muscas), sfilata di moda presentata da Teresa Piredda, con gli abiti di Patrizia Camba ed in passerella le ragazze della Virtus Basket e del Rotaract. Tre grandi successi di partecipazione, ricchi di emozioni indimenticabili. Tutti, dagli artisti alla stilista e ai tanti che hanno lavorato a queste iniziative, lo hanno fatto per puro spirito di volontariato. Non riuscirò mai ad esprimere tutta la riconoscenza che meritano. A Villa Muscas, inaspettatamente, c’era anche don Franco Crabu, di passaggio a Cagliari dopo anni di assenza. Da lui abbiamo appreso qual è la situazione in Kenya, come si vive a Nanyukj e cosa ha realizzato in tanti anni la parrocchia. Ci ha detto anche che, con i fondi raccolti a Cagliari, vorrebbe avviare un nuovo progetto in un villaggio vicino dove non c’è niente, solo capanne e abitazioni di fortuna. Vorrebbe costruire un centro polifunzionale con locali di incontro ed un piccolo ospedale. E ci ha rivolto un grazie commosso per quello che stiamo facendo. Ancora una volta mi è tornato alla mente il motto: Vivere il Rotary. Cambiare vite. Purtroppo ci hanno lasciato due nostri soci: Nicola Brignardello e il past president Paolo Piccaluga, rotariani di lunga e convinta militanza. Hanno dato molto al Club e a tutti noi. Non li dimenticheremo. Nel corso dell’anno, grazie anche al lavoro della commissione effettivo, guidata da Rafaele Corona e della commissione ammissioni e classifiche, presieduta da Enzo Pinna, sono entrati a far parte del Club quattro nuovi soci; Francesco Danero, Domenico Porcu, Massimiliano Masia e Antonio Facci. Sono stati accettati con grande amicizia e sicuramente saranno degli ottimi rotariani. Mi rendo conto di essermi dilungato più del dovuto. Ma l’affascinante avventura di quest’anno nel Rotary mi ha preso la mano. Chiudo ringraziando i presidenti e tutti i componenti delle commissioni e del Consi- glio direttivo che non mi hanno mai lasciato solo. A cominciare dalla vice presidente Maria Luigia Muroni, saggia e preziosissima consigliera in ogni momento (anche quando un brutto incidente l’ha costretta a casa), e poi Riccardo Lasic, impareggiabile segretario del Club, sempre efficiente e preciso e, soprattutto, sempre disponibile e Larry Pagella, prefetto impeccabile che ha dovuto gestire anche il trasferimento dal vecchio Hotel Mediterraneo al nuovo T Hotel, superando brillantemente non pochi problemi organizzativi. Salvatore Ferro, tesoriere esperto che ha gestito con mano sicura le finanze del Club garantendo lo svolgimento di tutte le attività in assoluta correttezza amministrativa. Michele Bajorek, che ha rappresentato il Club anche nel programma Sangue, salute per chi lo dona, vita per chi lo riceve. Maria Pia Lai Guaita, sempre vicina con la sua collaborazione nonostante problemi di salute, per fortuna ora completamente superati. Cecilia Onnis, che ha gestito con grande competenza lo scambio giovani, superando ogni difficoltà. Michele Rossetti che oltre a curare da professionista il sito del Club, è stato per me il punto di riferimento costante. Ho approfittato di lui, della sua disponibilità e dei suoi consigli senza risparmiarlo, e mi sono giovato dei suoi bonari rimproveri. Senza il suo aiuto non avrei potuto sostenere il peso della presidenza. Infine Mauro Manunza, che mi ha trasmesso un Club in ottima salute e mi ha aiutato a guidarlo con la certezza di averlo vicino con la sua esperienza. Consentitemi ancora un ringraziamento e un augurio. Il ringraziamento è per mia moglie, Marina, che è stata sempre al mio fianco, con affetto, in ogni momento e in ogni difficoltà, come fa ormai da più di 40 anni. E l’augurio è per Mario Figus. A lui mi lega un’amicizia antica che si è ulteriormente rinsaldata. Nei suoi confronti nutro una grandissima stima che, ne sono certo, è condivisa da tutto il Club. Sarà un ottimo presidente e gli auguro con tutto il cuore “buon Rotary”. ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 7 Dalla fantasia alla realtà Dove sono gli amici lì è la vera ricchezza Mario Figus i siamo! Carissime amiche e carissimi amici, non avete idea di quante volte mi sia costruito questo primo incontro con voi in questi lunghi (o brevi?) diciotto mesi di percorso rotariano come presidente incoming. Ma adesso che mi siedo a scrivere capisco quanto agire sia più complicato che immaginare. È arrivato il momento del cambio della Presidenza, un appuntamento che si rinnova tutti gli anni e che raffigura in modo concreto il significato della rotazione, dell’alternarsi di diverse personalità, di diverse culture professionali, di diversi stili di leadership, sempre imperniati su un unico fattore comune condiviso e fondante: il servizio. Prima di parlarvi, per grandi linee, dei programmi per il prossimo anno rotariano, vorrei descrivervi la tempesta di emozioni che sento dentro di me mentre mi appresto a scrivere queste righe: sento un grande orgoglio per la Vostra fiducia, ma sento anche fortissima la responsabilità di non deludere non solo le Vostre aspettative ma anche quelle di chi in questo momento mi guarda da Lassù, con lo stesso sguardo severo, ma pieno di amore, che ha sempre prima guidato C e poi ispirato le mie scelte e le mie azioni: Gigi Figus, mio padre. Esattamente trent’anni fa lui si apprestava ad iniziare il suo anno di presidenza di questo Club, e solo due anni dopo, alla vigilia del mio 34° compleanno, dopo un breve periodo di sofferenza è scivolato dalla vita alla morte, in silenzio, lasciandomi nel cuore il mormorio delle ultime parole che ci eravamo scambiati sottovoce solo qualche giorno prima. Sono passati ben ventotto anni da quel momento eppure ancora oggi dentro di me vedo tante immagini interiori che si dischiudono lentamente tra i ricordi di una vita vissuta sotto la sua guida. Oggi mi sembra che il tempo passato da allora sia assimilabile ad una distanza fisica coperta da tante fotografie di cui sfortunatamente ne possiedo e ne ricordo solo una minima parte. Questa foto in bianco e nero dai toni un po’ sbiaditi, scattata nell’estate del 1954, tra le altre di noi due, mi sembra particolarmente significativa. Lui era lì, come lo è sempre stato, con la solida presa dei suoi princìpi, dei suoi valori etici, del suo rigore, della sua grande intelligenza e, soprattutto, del suo smi- 8 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Estate 1954, Gigi Figus con Mario. Gigi Figus. surato amore. Ricordo ancora i suoi sguardi ed i suoi sorrisi capaci, più di mille parole, di illuminare quel sentiero interiore che ogni giorno mi riporta a lui. Scusate questo momento di nostalgia, ma non riesco a pensare al mio essere rotariano senza ricordare che devo a lui l’inizio del mio cammino rotariano con l’Interact nel 1968 proseguito con il Rotaract fino al 1976, poi ripreso nel 2002 con il mio ingresso al Club presentato da Giorgio Sanna, a sua volta cooptato nel nostro Club proprio da mio padre. Nel pensare a ciò che mi attende mi vengono in testa tante domande: che cosa si aspetta il Club da me il prossimo anno? Che cosa sarò in grado di offrire al Club in questo particolare momento storico? Come ogni altro presidente che mi ha preceduto, offrirò me stesso e le mie capacità per proporre le cose in cui credo, il mio modo di intendere il contributo del Rotary alla società in cui viviamo, nella considerazione e nel rispetto consapevole delle idee, della sensibilità e della cultura di ognuno di Voi. Dedicherò tutto il mio impegno a costruire un ambiente in cui ciascun socio possa esprimere le proprie idee, promuovere nuovi progetti e partecipare all’attività del Club offrendo e condividendo la propria personalità, la propria esperienza e le proprie doti di leadership. Nel voltarmi indietro a guardare la storia del nostro Club, vedo l’immagine di una strada costituita da 64 tratti tutti diversi ma tra loro ben raccordati, che compongono nell’insieme un’immagine perfettamente armoniosa. Questa strada attraversa diversi panorami e diversi contesti, affacciandosi sul paesaggio sempre diverso di una società in continuo e tumultuoso cambiamento. Anche al nostro interno il panorama cambia anno dopo anno: nuovi soci arrivano, altri ci lasciano per varie ragioni. Per coloro che restano e per quelli che si uniscono al nostro cammino il Rotary è una promessa, un’occasione di vita, di condivisione, ma soprattutto di affetti e di amicizie. Veniamo alle linee guida del tratto di strada che costruiremo insieme quest’anno. Innanzi tutto vi propongo il tema dell’anno, che non può non raccordarsi con il tema proposto dal nostro Presidente Internazionale Gary G. Huang: Illuminiamo la nostra comunità. giugno 2014 — In accordo con le indicazioni del nostro Governatore Carlo Noto La Diega, ci impegneremo con tutte le nostre professionalità affinché, considerata la complessità del momento sociale che stiamo vivendo, il nostro incontro con il territorio costituisca per la nostra comunità, non solo cittadina, un forte stimolo a pensare e a confrontarsi liberamente. Faremo in modo che tutti vedano in noi persone con cui comunicare e con cui realizzare le cose in cui credono. Il nostro Presidente Internazionale Gary G. Huang ci ricorda un detto di Confucio che trovo particolarmente appropriato per sintetizzare le linee guida del nostro programma per il prossimo anno: «Per mettere il mondo in ordine, prima dobbiamo mettere in ordine il nostro Paese; per mettere in ordine il nostro Paese, prima dobbiamo mettere in ordine la nostra famiglia; per mettere in ordine la nostra famiglia, prima dobbiamo mettere a posto i nostri cuori». Nel Rotary, il servire al di sopra di ogni interesse personale ci permette di mettere a posto i nostri cuori. Siamo tutti consapevoli che «per avviare e realizzare progetti ambiziosi dobbiamo innanzitutto prenderci cura della nostra organizzazione ed espandere la nostra famiglia rotariana». Ritengo che, in linea con i suggerimenti del Presidente Internazionale ed in particolare con il “mettere in ordine” la nostra Città, alcuni temi che abbiamo sviluppato negli ultimi due anni nei Forum Distrettuali sull’Ambiente vadano approfonditi su alcuni aspetti specifici che potrebbero essere di stretto interesse per la nostra comunità: IL CONSUMO DEL TERRITORIO: è oggi uno degli ostacoli principali ad uno sviluppo armonioso della nostra città. Trovo sorprendente la velocità con cui i terreni della nostra periferia vengono occupati dal diffondersi di nuovi insediamenti abitativi, spesso a bassa densità. Nel prossimo forum mi piacerebbe discutessimo, insieme con gli amministratori locali, di strategie per il ricircolo dei terreni, quali ad es. il risanamento urbano, la riconversione ed il riutilizzo di aree abbandonate, in declino o non utilizzate. Rotary Club Cagliari 9 LA VALORIZZAZIONE DEI CENTRI STORICI. Negli ultimi tempi mi ha particolarmente impressionato leggere che l’Italia è uno tra gli ultimi paesi in Europa per investimenti sui centri storici urbani. Tutto ciò è assurdo in un’economia che si sposta sempre di più dalla produzione ai servizi ed in cui la valorizzazione energetica del patrimonio immobiliare e la riduzione della distanza tra abitazione e posto di lavoro diventano un fondamentale elemento di rispetto dell’ambiente attraverso il contenimento delle emissioni di gas serra. Lavoreremo, inoltre, per dare continuità all’azione svolta da chi mi ha preceduto, il caro Francesco, al quale esprimo un sentito ringraziamento per il tempo che ha dedicato al club e per la passione con cui ha vissuto il suo anno di presidenza oltre che per la vivacità e la simpatia dei nostri incontri rotariani. Il minimo che possiamo fare per ringraziarlo, soprattutto per avere rinunciato all’anno sabbatico post-presidenza, è confermare l’impegno del nostro Club a favore del progetto “Naniuki”. Continueremo anche con il nostro impegno di solidarietà verso la comunità di Padre Salvatore Morittu e verso l’Oasi di San Vincenzo. Ma ci sforzeremo per estendere questa azione verso i diversamente abili. Ritengo che le esperienze che il nostro club può vantare nella solidarietà con i disabili, basti pensare alla Manifestazione “Vela Solidale”, vadano potenziate e, possibilmente, estese ad altre attività quali l’arte e gli sport paraolimpici. È intenzione del nostro Consiglio spingere il nostro Club verso un maggiore impegno nei confronti delle fasce più disagiate della nostra comunità, proseguendo l’azione a favore della prevenzione della tossicodipendenza ed estendendo la nostra azione di prevenzione ed alleviamento del disagio agli anziani ed in genere a tutti coloro che la perdurante crisi economica ha privato del diritto ad una vita dignitosa. Sempre in linea con il tema dell’incontro tra il Rotary e la comunità locale è stato avviato nello scorso mese di maggio il progetto “Antiche arti, giovani innovatori” che svi- 10 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 lupperemo proseguendo la collaborazione e l’amicizia ormai storica con i Club di Carbonia ed Iglesias, accompagnati da un nuovo partner: lo IED (Istituto Europeo di Design). Con i nostri partner incontreremo gli artigiani di varie aree della Sardegna, che costituiscono certamente una categoria in grave difficoltà, soffocati dalla crisi che investe tutte le piccole imprese. Avvieremo un percorso formativo a due vie: noi ed i docenti di design dello IED aiuteremo gli artigiani a sviluppare le proprie capacità auto-imprenditoriali e ad innovare i loro prodotti, mentre gli artigiani sveleranno i segreti della loro arte ai giovani designer dello IED. Alla fine di un percorso che si dipanerà attraverso alcuni workshop di lavoro comune, verranno realizzati prototipi di prodotti artigianali che contribuiranno a rappresentare la Sardegna all’EXPO 2015 di Milano. L’anno prossimo vorrei ricordare in modo concreto mio padre con l’organizzazione dell’Archeotour, di cui lui curò una delle prime edizioni. Quest’anno rileggeremo il tema dell’evento in chiave di connubio tra le nostre risorse archeologiche ed archeoindustriali, il nostro paesaggio e la nostra gastro-enologia. Insieme con i ragazzi del Rotaract ci dedicheremo all’organizzazione di una “Giornata del Rotary” che sarà un evento informale e spensierato. Vedremo se sarà un evento sportivo o un concerto, ma in ogni caso cercheremo, in sintonia con il tema del prossi- mo anno “Accendi la luce del Rotary”, di coinvolgere la città e di invitare il pubblico a scoprire che cosa è il Rotary. Secondo le indicazioni del nostro Presidente Gary G.K. Huang, lo scopo di questa iniziativa sarà destare interesse all’affiliazione e rafforzare i rapporti del nostro Club con le istituzioni e con la gente. Prometto a tutti che la Presidenza, il Consiglio Direttivo e le Commissioni saranno al servizio dei soci: faremo in modo che ci sia la massima apertura e collaborazione fra le commissioni e tutti i soci focalizzandoci tutti sull’obiettivo principale dell’anno: incidere sullo scenario sociale con azioni mirate, valorizzare ed aiutare la professionalità dei soci, sostenere il loro “star bene insieme”, prestare grande attenzione per giovani ed anziani sia all’interno del Rotary che, più in generale, nel contesto sociale. Concludo offrendo alla vostra riflessione un pensiero del Mahatma GANDHI: «La grandezza dell’uomo è determinata esattamente dalla misura in cui opera per il bene degli altri uomini». Auguro a tutti voi un proficuo anno di lavoro e di intensa collaborazione che ci consenta di arricchire la nostra esperienza di Rotariani e di rendere ancora più vivo il nostro spirito di servizio. Un caldo abbraccio a tutti Mario ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 11 L’8 settembre 1943 in Sardegna Cronaca e storia Ugo Carcassi, Tiziana Pusceddu Servizi Segreti alleati avevano attuato una serie di operazioni speciali tese a far credere agli Stati maggiori dell’Asse che lo sbarco degli Alleati avrebbe avuto luogo in Sardegna. Clamorosa è stata quella denominata Mincemeat (Tritacarne). Gli Alleati, confidando sulla stretta collaborazione esistente tra i Servizi Segreti spagnoli e quelli italo-tedeschi, avevano fatto ritrovare il 3 maggio del 1943 sulla spiaggia di Huelva il cadavere di un presunto Ufficiale inglese che portava legata al polso una borsa con documenti che indicavano la possibilità di sbarchi alleati in Grecia, nel Dodecanneso ed in Sardegna. Il cadavere apparteneva invece ad un inglese morto per avvelenamento (cfr. I Ewen Montagu, The Man who never was – “L’uomo che non è mai esistito”, Lippincott 1954). Successivamente, il 26 maggio del 1943, aveva luogo l’Operazione Marigold (Fiori d’arancio) tesa a rafforzare l’ipotesi di uno sbarco alleato in Sardegna. Il sommergibile Safari da Algeri aveva trasportato due agenti a Muravera con lo scopo di simulare una ricognizione dei luoghi e di abbandonare nei pressi di una postazione costiera italiana un taccuino zeppo di appunti riguardanti quella zona. La notte seguente erano stati sbarcati a Calagonone un Ufficiale e 7 uomini incaricati di catturare una sentinella italiana da interrogare. Durante l’approdo qualcuno era inciampato lasciando partire una raffi- Adolf Hitler con Hermann Göring e Albert Speer, durante l’estate 1943, dopo la caduta di Mussolini. 12 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Generale Antonio Basso. Palau, Panzer della IV divisione abbandonano l’Isola. ca dal suo mitra. La ritirata era avvenuta precipitosamente ed il Sergente Loasby era stato fatto prigioniero dagli italiani. Anche gli americani, all’insaputa degli inglesi, avevano programmato un’operazione di spionaggio nell’Isola che avevano denominato Bathtube (Vasca da bagno) allo scopo di raccogliere informazioni e di prendere contatto con elementi antifascisti locali. Il 30 giugno del 1943 tre motosiluranti americani avevano lasciato il porto di Bona (Algeri) dirigendosi verso la Sardegna. Trasportavano un commando composto da 5 militari americani di origine italiana. La flottiglia aveva raggiunto Punta Furana nei pressi di Porto Torres a notte fonda dove erano sbarcati. Avevano poi incontrato dei soldati italiani che avevano tentato di ingannare. Purtroppo un radio operatore italiano aveva informato il comando di battaglione ed i 5 erano stati raggiunti e fatti prigionieri. I Comandi dell’Asse si erano quindi convinti che gli Alleati avrebbero effettivamente tentato di occupare la Sardegna e nell’Isola avevano rafforzato il presidio militare trasferendovi reparti scelti costituiti da reduci della divisione corazzata Ariete e Folgore. I tedeschi vi avevano trasferito la 30a divisione corazzata composta in prevalenza da reduci del famoso Africa Korp comandato in Africa settentrionale da Rommel. Si è discusso a lungo sull’atteggiamento seguito dagli alti Comandi militari della Sardegna. La resa incondizionata aveva portato all’occupazione alleata del territorio nazionale ed alla disgregazione dello Stato. Si era salvata la Sardegna dove le Istituzioni avevano retto e nel complesso anche le forze armate, sia pure col morale scosso dalla ribellione di alcuni reparti della Nembo, avevano eseguito gli ordini impartiti dal Generale Basso. Secondo eminenti storici sardi, quali l’Anatra ed il Brigaglia, il Generale Basso disponeva di forze militari nettamente superiori a quelle dei reparti tedeschi presenti in Sardegna. Egli avrebbe quindi dovuto essere più aggressivo ed attaccare con decisione gli ex alleati. Un attento esame della composizione delle forze italiane e di quelle tedesche presenti nell’Isola consente di rendersi conto che numericamente gli italiani erano nettamente superiori ai tedeschi, ma per quanto riguarda i reparti motocorazzati i tedeschi erano qualitativamente nettamente superiori. È comprensibile quindi che Basso abbia interpretato con “elasticità” le disposizioni ricevute dopo la firma dell’armistizio di Cassibile e la comunicazione fatta alla radio dal Generale Eisenhower e da Badoglio. È probabile che sia tornata alla mente del Generale Basso la vicenda della disfatta di Graziani in Libia nel dicembre 1940. Quest’ultimo con 230.000 soldati, pochi automezzi, pochi carri armati leggeri (L3) e pochi medi (M11-13), aveva raggiunto la periferia di Alessandria dove aveva sostato pri- giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 13 Ufficiali della Wermacht a colloquio durante le operazioni in Sardegna (imbarco per la Corsica a Palau). Dwight David Eisenhower. ma di riprendere l’offensiva. Gli inglesi difendevano il Canale di Suez con 40.000 uomini inquadrati in reparti tutti motorizzati e dotati dei carri armati Crusader e Matilda di molto superiori a quelli italiani. Nello scontro con gli inglesi Graziani subiva una pesante sconfitta che portava alla cattura di ben 120.000 soldati italiani. La mobilità e l’efficienza delle truppe motocorazzate britanniche avevano avuto la meglio. È comprensibile quindi che il Generale Basso abbia cercato di interpretare lo stato d’animo delle truppe tedesche, alleate fino a qualche ora prima, e quello dei militari italiani, molti dei quali avevano combattuto in Africa settentrionale con i reparti tedeschi. Tra l’altro la resa incondizionata era stata imposta spietatamente da Eisenhower. Egli in varie occasioni aveva spesso affermato che la resa dell’Italia era stata «uno sporco affare». Il Generale americano non stimava i militari italiani (cfr. Diari di Eisenhower curati da Robert H. Ferrel, pag. 95) ed in riferimento alla resa di Pantelleria aveva scritto «I difensori non ebbero lo stomaco di resistere ai bombardamenti navali [...] e circa 11.000 italiani si arresero all’inizio delle operazioni di sbarco delle truppe alleate». Sicuramente nelle truppe italiane, soprattutto fra gli Ufficiali e nei reparti speciali, era emerso uno stato di forte disagio spirituale. Non tutti conoscevano o ricordavano la famosa frase «Right or wrong, my country» (Giusto o sbagliato, riguarda la mia Patria) pronunciata nel 1820 dal Commodoro americano Decatur e che da allora ha rappresentato la ferma espressione di patriottismo da parte dei militari angloamericani. Analoga riflessione avevano quindi probabilmente fatto in grande maggioranza gli Ufficiali ed i militari italiani di stanza in Sardegna che avevano deciso di adeguarsi alle generiche disposizioni emanate da Badoglio nel proclama dell’8 settembre 1943. Basso, consapevole della superiorità delle forze tedesche, aveva concordato con il Generale Carl-Hans Lungerhausen che le forze germaniche avrebbero abbandonato la Sardegna entro il 17 settembre senza attuare azioni ostili. Per questa sofferta decisione il Basso era stato arrestato e processato dal Tribunale militare nel 1946 «per non aver eseguito ordini di operazioni». Egli era stato, dopo due anni di detenzione, assolto «per non costituire reati i fatti ascritti». Cagliari gli ha dedicato il 14 dicembre 2009 una Piazza sita tra via Fermi e via Darwin. Nel settembre del 1943 le forze italiane in Sardegna erano composte da 126.946 soldati e 5.108 Ufficiali appartenenti a due corpi d’armata: il 30° a nord ed il 21° a sud. Ne facevano parte la Divisione di Fanteria Calabria (con il 50% di effettivi inabili per malaria), la Divisione Sabaudia, la Divisione Bari (di riserva), un raggruppamento motocorazzato 14 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 no costituite dalla 90a Divisione corazzata per un totale di 30.000 uomini, circa 200 carri armati medi (Panzer IV) e pesanti (Panzer VI Tigre). Ancora una volta la sproporzione fra reparti corazzati italiani e quelli tedeschi favoriva le forze armate germaniche. Per questo motivo il Generale Basso aveva optato per un accordo con il Generale Lungerhausen ed una tattica di temporeggiamento con i Comandi alleati che premevano per una azione immediata ed aggressiva nei confronti dei reparti tedeschi. Gli eventi più salienti verificatisi in Sardegna dopo l’8 settembre sono i seguenti: 9 sett. 1943 9 sett. 1943 9 sett. 1943 10 sett. 1943 10 sett. 1943 11 sett. 1943 13 sett. 1943 Simbolo 90a Panzergranadier Division Sardinien. 29 sett. 1943 15 ott. 1943 Carl-Hans Lungerhausen. e la Divisione Paracadutisti Nembo. Le truppe motocorazzate erano costituite da reparti di motomitraglieri e da reparti corazzati composti dai carri leggeri L33-35, da carri medi M13-40 e da due battaglioni di carri armati Somua da 20 tonnellate. Le truppe tedesche, dislocate al centro dell’Isola, era- Scontro di Baressa; Scontro di Ponte Mannu; Azione del Comandante Fecia di Cossato nelle Bocche di Bonifacio; Entrata in azione dei Carri Somua; Uccisione del Tenente Colonnello Bechi Luserna; Occupazione del Deposito tedesco di Monti; Arrivo a Cagliari di una Commissione militare alleata; Arrivo della Commissione medica alleata per l’avvio di una campagna antimalarica (Generale P.K. Boulnois); Il Capitano C.O.S. Brooke presenta il Rapporto preliminare dell’Ufficiale per la Sanità Pubblica riguardante la malaria. Nei pressi di Baressa, in un confuso episodio, il 9 di settembre veniva ucciso un giovane contadino di 17 anni. Sempre il 9 settembre i tedeschi avevano occupato il Ponte Mannu (Oristano) posizionando a nord e a sud cannoni, mitragliatrici e sistemando mine sui piloni di sostegno (cfr. Roberto Zedda, Oristano. Il Ponte Mannu – 1943, R. Cau Editore, Oristano, 2002). Lo scontro con il presidio italiano era durato circa 20 minuti ed aveva causato 6 feriti fra gli italiani e 10 fra i tedeschi. Il 13 settembre i tedeschi cedevano agli italiani il controllo del ponte. Nella notte del 9 settembre aveva lasciato Dolianova il battaglione carri Somua comandato dal Tenente Colonnello Ponzini. Il reparto aveva raggiunto il 10 settembre il boschetto di Santa Giusta in attesa di superare il blocco tedesco del Ponte Mannu. Un Ufficiale carrista italiano era riuscito a contattare i tedeschi che presidiavano il ponte e con il loro Comandante aveva concordato che i carri Somua sarebbero transitati fra i primi. Era vivo il desiderio di pattugliare il percorso Oristano-Macomer alla infruttuosa ricerca di paracadutisti ammutinati. Il reparto aveva raggiunto nella notte del 13 settembre il Deposito tedesco di Monti. giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 15 Carlo Fecia di Cossato. Italien Panzer IV. A questo punto va ricordato che l’8 settembre i tedeschi avevano preso il controllo di La Maddalena. Carlo Fecia di Cossato, Comandante della torpediniera Aliseo, aveva raggiunto nella serata del 10 settembre il porto di Bastia già controllato dai tedeschi. Fecia di Cossato, constatato che i tedeschi provenienti da La Maddalena avevano iniziato ad attaccare in Corsica i reparti italiani, aveva affondato 11 imbarcazioni germaniche che trasportavano armamenti e truppe da La Maddalena. Aveva poi fatto rotta verso la Sicilia ed aveva raggiunto Palermo il 12 settembre. Aveva infine sostato a Malta, controllata dagli Alleati, il 20 settembre del 1943 e, sempre al comando della Aliseo, il 5 ottobre aveva raggiunto Taranto. Nel giugno del 1944 il Governo Bonomi aveva assunto il controllo del Paese. Fecia di Cossato si era rifiutato di prestare giuramento in quanto questo Governo non aveva prestato giuramento di fedeltà al Sovrano. Dopo un lungo periodo di congedo, Fecia di Cossato, sconvolto dall’imminente ripresa del servizio attivo, aveva scritto una lunga ed accorata lettera alla madre ed il 27 agosto del 1944 si era ucciso a Napoli con un colpo di pistola alla tempia. Nel 1949 il Governo italiano gli attribuiva la Medaglia d’oro al Valor Militare per l’attività svolta come sommergibilista italiano che aveva affondato il maggior numero di imbarcazioni angloamericane. Alberto Bechi Luserna, che chi scrive aveva avuto occasione di incontrare in Africa settentrionale, aveva combattuto ad El Alamein al comando del IV Battaglione Paracadutisti Folgore, partecipando alla difesa di Quota 33 ed al sacrificio dei suoi uomini aveva dedicato il libro I ragazzi della Folgore. Promosso Tenente Colonnello e trasferito in Sardegna quale Capo di Stato Maggiore della Divisione Paracadutisti Nembo, Bechi Luserna al 16 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Alberto Bechi Luserna. Angelo Corda. momento dell’armistizio si trovava nella zona del Campidano. Qua lo aveva raggiunto la notizia dell’ammutinamento del 12° battaglione della Nembo comandato dal Maggiore Mario Rizzati e di una batteria del 184° Artiglieria. Inutile era risultato l’intervento del Generale Ettore Rocco, Comandante della Nembo, che aveva cercato di evitare la defezione di questi reparti. Bechi Luserna aveva raggiunto gli ammutinati a Castigadu, nei pressi di Macomer. Fermato ad un posto di blocco al bivio di Borore da una pattuglia di ammutina- ti comandati dal Capitano Corrado Alvino, dopo un animato alterco veniva ucciso assieme ad uno dei Carabinieri della scorta da una raffica del fucile mitragliatore del paracadutista Cosimo. Il corpo di Bechi Luserna, chiuso in un sacco e caricato su di un camion, dopo il rifiuto dei Frati di un convento di farsi carico della salma, era stato sepolto in mare, pare con gli onori militari, nei pressi di Santa Teresa di Gallura. La moglie Paola Antonelli, da me conosciuta a Roma, aveva anni dopo ricevuto dal paracadutista Cosimo, il portafoglio e l’orologio del Consorte. La Paola aveva poi sposato l’industriale Piaggio che aveva anche adottato la figlia di Paola, Antonella, che aveva sposato Umberto Agnelli. La figura di Alberto Bechi Luserna aveva fortemente colpito i sardi. A Santa Teresa di Gallura veniva eretta una croce in granito in sua memoria ed un cippo particolarmente pittoresco era stato eretto in località Castigadu alle porte di Macomer. Alla memoria di Bechi Luserna sono stati dedicati, sempre a Macomer, una Scuola Materna, una Scuola Elementare, una via ed una caserma. Un altro evento importante si era verificato nella notte dell’11-12 settembre del 1943. Il Comandante del raggruppamento motocorazzato italiano, il Generale G. Maria Scalabrino, si era insediato a Monti, nei pressi di un enorme deposito della Wermacht. Nel pomeriggio dell’11 settembre il Tenente Angelo Corda era stato convocato dal Generale Scalabrino con l’incarico di catturare, vivi o morti, dei tedeschi che presidiavano questo deposito. Il Corda, con i suoi motomitraglieri, era entrato nel deposito tedesco. Egli aveva spiegato al Comandante germanico, ammalato e disteso in letto, che il deposito era circondato da carri armati italiani. Aveva anche affermato che i soldati tedeschi, se avessero consegnato le armi, sarebbero stati trasferiti a Monti sotto la protezione dei militari italiani. I tedeschi, dopo una breve esitazione, avevano accolto la proposta ed in 84 erano saliti su 3 camion che, con il Corda in testa, erano entrati nella piazza di Monti. Erano stati accolti male dal Generale Scalabrino che chiaramente aveva auspicato un conflitto a fuoco che avrebbe posto in risalto il ruolo del suo reparto e che appariva palesemente infastidito dalla presenza dei prigionieri tedeschi che non sapeva come sistemare. Questi ultimi erano stati poi presi in custodia dai Carabinieri. I carri Somua ed i camion italiani avevano raggiunto il deposito tedesco appena occupato dagli uomini di Scalabrino. I carri armati ed i camion erano stati riempiti di ogni genere di vettovaglie. L’ufficiale italiano che comandava il reparto di autocarri aveva stipato ogni genere di viveri in 3 Lancia 3 Ro. Il contenuto di uno di questi era stato consegnato alla popolazione di Ozieri. Quello del secondo camion era stato scaricato ad Oristano. L’ultimo camion aveva proseguito per giugno 2014 — Rotary Club Cagliari Dolianova dove il suo contenuto era stato distribuito alla popolazione. Va segnalato che era stato necessario presidiare giorno e notte il deposito di Monti ad evitare che i civili, oltre ai viveri, asportassero armi, munizioni e carburante. Va a questo punto sottolineato che alle 20.30 del 13 settembre 1943 il Colonnello Obolensky e due radio operatori erano atterrati nei pressi di Cagliari. Scortati da Carabinieri avevano raggiunto il 14 settembre verso le 17.00 a Bortigali il Generale Basso. Il 18 settembre il Generale Roosevelt aveva raggiunto la Sardegna e dopo aver raccolto informazioni militari importanti era rientrato il 6 di ottobre al comando alleato di Algeri. Bisogna riconoscere che il Generale Basso aveva gestito con estrema sagacia e grande diplomazia i rapporti con il Generale Lungerhausen e quelli con i rappresentanti delle forze alleate, dando a questi ultimi l’impressione che le forze armate sotto il suo comando stavano, con azioni molto aggressive, spingendo fuori dall’Isola le truppe germaniche. In base alle notizie ricevute dai loro agenti in Sardegna, il giornale ufficiale delle forze alleate aveva pubblicato in prima pagina un articolo con un titolo a caratteri tipografici di grande evidenza: Le divisioni italiane cacciano i nazisti fuori dalla Sardegna. Vanno anche ricordate alcune iniziative sanitarie di eccezionale importanza per la Sardegna esplicate dalla Commissione alleata di controllo dal settembre 1943 all’aprile 1945 (cfr. Maria Rosa Cardia, L’Allied Control Commission e la Campagna antimalarica nella Sardegna del secondo dopoguerra: la fase preparatoria (1943-1945) – Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari, nuova serie Vol. XVI, 1993 – Università di Cagliari, 1993). Il 19 settembre del 1943 era giunto in Sardegna il Generale Boulnois, Commissario Regionale alleato, con alcuni collaboratori. Il 15 ottobre 1943 veniva presentato il rapporto preliminare del Capitano Brooke che sottolineava che in Sardegna, oltre a 1.100.000 abitanti, erano presenti 260.000 militari. Precisava che la frequenza della malaria nel 1943 oscillava tra gli 80.000 ed i 120.000 casi l’anno. Proponeva la ripresa immediata della lotta antianofelica da esplicarsi con l’utilizzo del verde di Parigi e con gli interventi di bonifica dei canali di invaso. In conseguenza di queste attività veniva rileva- 17 Cippo (Castigadu). to che nei primi 7 mesi del 1943 si erano verificati soltanto 4065 casi di malaria e che nello stesso periodo del 1944 la frequenza era scesa a 1852 casi. Il Tenente Colonnello Dobos che era l’Ufficiale Sanitario alleato, lasciava la Sardegna quando la frequenza della malaria risultava diminuita del 50% e la mortalità del 72%. In riconoscimento di questa sua attività il Colonnello J.A.C. Pennycuick aveva proposto il Dobos per una menzione d’onore. Quanto appena riportato costituisce un aspetto poco noto, ma di fondamentale importanza in quanto dimostra che la lotta antimalarica in Sardegna era stata tempestivamente impostata ed attuata con successo dalla missione sanitaria alleata operante in Sardegna, precedendo di diversi anni l’iniziativa della Regione Sarda, del Governo italiano e della Rockefeller Foundation nell’attuazione 18 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 del progetto che doveva portare alla totale eradicazione della malaria nell’Isola. Vorrei a questo punto concludere ricordando quanto Aldo Cesaraccio (Aldo Cesaraccio, Al caffè. 1948-1957) aveva scritto in un suo articolo «... Un reduce tedesco ha rilevato la pietà e il rispetto delle popolazioni sarde per le tombe dei soldati qui deceduti durante l’ultima guerra... In realtà pietà e rispetto in Sardegna raccolgono tutti i resti umani, davanti ai quali tace ogni polemica; e questo è un altissimo segno di civiltà. Noi sardi, purtroppo, siamo rissosi con altri sardi, e sempre da vivi; non lo siamo con nessun altro, meno ancora se morto. Ma l’episodio dei tedeschi, aggiunto a quello analogo degli inglesi e degli americani, richiama un aspetto singolare di quegli anni tormentati che riguarda, in tutto il mondo, soltanto la Sardegna. Infatti soltanto in Sardegna tedeschi, inglesi e americani furono considerati alla stressa stregua, con riserbato distacco, con gentilezza contenuta, con dignitosa considerazione, come ospiti inevitabili, i primi per accordi politici gli altri per una formale debellatio». ■ ella famiglia di Salvatore e Franca Fozzi la Primavera, non rispettando le tavole astronomiche, ha felicemente anticipato il suo arrivo: il 16 marzo la loro figlia, Ludovica, moglie di Diego Cocco, ha messo al mondo Anna. Alla bambina, ai genitori, ai nonni i più vivi auguri di tutti i soci del Club lieti di condividere la loro gioia. N giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 19 Aspetti giuridici del governo del territorio Tutela del patrimonio ambientale Giovanni Barrocu l 5 aprile 2014 nell’Aula Magna del Tribunale di Cagliari si è tenuto il Forum sulla Tutela del patrimonio ambientale e aspetti giuridici del governo del territorio promosso per iniziativa della Commissione “Ambiente e Territorio” del RD 2080 in collaborazione tra il Rotary Club Cagliari e il Rotary Club Cagliari Anfiteatro, e organizzato con gli Ordini Professionali degli Avvocati di Cagliari e dei Giornalisti della Sardegna. L’intento comune è stato di trasmettere agli iscritti agli Ordini, e attraverso i mass media agli amministratori locali e all’opinione pubblica, informazioni che possano contribuire a mitigare gli effetti delle forme principali di degrado ambientale e quindi a rimuoverne le cause. È ormai esperienza scientificamente e tecnicamente provata che il degrado ambientale e le catastrofi che ripetutamente si abbattono sul territorio possono essere previsti e prevenuti, secondo metodologie, che sono alla base dei moderni criteri con i quali è stata organizzata la Protezione Civile ma non sono ancora ben acquisite dalle amministrazioni di vario livello e messi in pratica nelle politiche di governo del territorio. Nell’applicazione delle normative che regolano il governo del territorio, spesso formulate in modo che si presta ad ambiguità, soprattutto in caso di conflitti di interessi, ci si attiene ad aspetti formali seguendo logiche apparentemente corrette dal punto di vista del diritto ma non rispondenti alla realtà dei fatti e delle esigenze ambientali, dando adito ad abusi. Si continua a permettere di costruire dove e come non si dovrebbe creando i presupposti di futuri danni alle persone e alle cose, al degrado dell’ambiente per I inquinamento ed erosione, senza rispetto per il patrimonio naturale che è nostro dovere etico difendere perché possano usufruirne anche i nostri discendenti. Alle presentazioni dell’Avv. Ettore ATZORI, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari e del dott. Filippo Maria PERETTI, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, sono seguite le relazioni tecniche sugli Aspetti Ambientali, tenute da esperti del RC Cagliari. Il prof. Angelo ARU, ha ricordato i fondamenti della Conservazione del suolo, società e paesaggio in ambiente Mediterraneo, nel quale, come in altre parti del mondo, esiste un’emergenza suolo che una volta distrutto potrebbe riformarsi solo in decine di millenni dal substrato roccioso. Il suolo fertile non può essere distrutto con cattive pratiche di agricoltura o reso indisponibile con opere di urbanizzazione. Non è un caso, infatti, che il suolo sia stato inserito fra le attuali cinquanta emergenze più importanti del pianeta dagli scienziati che ogni anno si riuniscono a Erice per analizzare lo stato di evoluzione del mondo. Gli errori maggiori consistono nell’aver visto una soluzione per volta e non la stessa soluzione integrata nel contesto generale. Un ruolo fondamentale deve essere svolto dalle autorità politiche che devono dare, innanzitutto, mandato alle migliori competenze e con provata esperienza professionale per la valutazione delle risorse naturali, indispensabile per la preparazione delle lineeguida di pianificazione integrata. Nel caso del Mediterraneo le linee-guida di pianificazione devono essere necessaria- 20 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 mente condivise da tutti i paesi che si affacciano nel suo bacino, e debbono generare piani e progetti per garantire il miglior sviluppo economico e sociale possibile. Uno dei problemi centrali è dato dalla sopravvalutazione delle risorse, che potrebbe portare per eccesso d’uso alla desertificazione, così come la sottostima porta alla povertà, perché esse non sono utilizzate come si potrebbe. I casi presentati, anche se in forma sintetica e descrittiva, hanno dimostrano che senza una pianificazione integrata ed in taluni casi partecipata, non c’è futuro per il Mediterraneo. L’ing. Mario FIGUS ha messo in evidenza come le politiche di gestione e valorizzazione di aree industriali dismesse possano avvalersi delle moderne tecnologie di trattamento per mitigare l’inquinamento e eliminarne le fonti. Vecchie discariche minerarie abbandonate possono essere trattate recuperandone minerali residui, vecchi impianti industriali possono essere restaurati e recuperati per altri usi civili e industriali e in parte preservati a testimonianza del passato come opere di archeologia industriale, prima che si perda il ricordo di antiche professionalità e maestrie. Le aree recuperate possono essere destinate ad altri usi. Il prof. Giovanni BARROCU ha trattato gli aspetti della sicurezza del territorio e tutela delle aree costiere. La sicurezza ambientale può e deve essere garantita a norma di legge con azioni ed interventi che tengano effettivamente conto delle caratteristiche ambientali e territoriali, variabili da luogo a luogo. Gli interventi di sistemazione idrogeologica delle aree vulnerabili all’erosione, alle inondazioni ed agli inquinamenti possono essere efficaci solo se adatti alle condizioni locali, con norme che non siano solo divieti che ottusamente considerino uguali situazioni che non lo sono. Le acque superficiali e sotterranee, specie nelle aree costiere, dovrebbero essere considerate e gestite in termini di risorse idriche integrate per soddisfare i fabbisogni quan- titativi e qualitativi per i diversi usi, tenendo conto del bilancio delle acque convenzionali e non convenzionali dei bacini idrogeologici, le differenti aree di interesse e i costi. È essenziale che le aree costiere siano monitorate con metodi diretti ed indiretti per determinare e predire tempestivamente i pericoli di degrado del suolo, delle risorse e delle riserve idriche, anche a salvaguardia del mare, e stabilire gli interventi di gestione più adatti. La gestione delle aree costiere richiede una collaborazione interdisciplinare fra i differenti esperti di pianificazione delle risorse idriche e del territorio, dell’agronomia, della biodiversità, dell’economia, delle leggi e delle direttive sull’acqua, con coinvolgimento delle diverse amministrazioni interessate. La scienza e la tecnologia possono dare le giuste indicazioni per pianificare al meglio gli interventi necessari per gestire il territorio e le sue risorse idriche in modo sostenibile, così da prevenire i conflitti fra i differenti utenti, nel rispetto dell’ambiente, particolarmente vulnerabile in un bacino chiuso come il Mediterraneo. L’opinione pubblica deve essere correttamente informata dei processi e degli interventi previsti attraverso i mass media e soprattutto con iniziative rivolte agli studenti e agli insegnanti di tutte le scuole. La prof. Ginevra BALLETTO ha sviluppato il tema del consumo di suoli, degli attuali impatti e delle strategie per il futuro, richiamando i principali effetti del consumo dei suoli, con esempi di aree urbane locali, europee ed extraeuropee, che estendendosi a dismisura producono effetti non sempre previsti sulla Sfera economico-energetica, con diseconomie dei trasporti, sprechi energetici, riduzione delle produzioni agricole; sulla Sfera idro-geo-pedologica, con destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli e alterazione degli assetti idraulici ipogei ed epigei; sulla Sfera fisico-climatica, con accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti climatici, riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, effetti giugno 2014 — sul sequestro del carbonio e propagazione spaziale del degrado fisico-chimico; e sulla Sfera eco-biologica, con erosione fisica e la distruzione degli habitat, frammentazione ecosistemica, distrofia dei processi eco-biologici, penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Con il documento “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo” la Commissione Europea ha di recente posto l’attenzione all’eccessivo consumo di suolo nel Vecchio Continente. Il cambiamento d’uso del terreno, con conseguente perdita di risorse del suolo (agricole o potenzialmente agricole), rappresenta uno dei grandi obiettivi di salvaguardia ambientale per l’Europa d’oggi. Mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo: la Commissione Europea indica un elemento di base necessario per raggiungere l’obiettivo (202050) “consumo di suolo = zero” (Commissione Ambiente, UE 2012). Dalla metà degli anni ’50 la superficie totale delle aree urbane nell’UE è aumentata del 78% mentre la crescita demografica è stata di appena il 33%. Questo significa che in tutta Europa la tendenza a “prevedere” piani di espansione urbanistica senza un’equilibrata correlazione con le effettive esigenze demografiche è prassi comune. Rotary Club Cagliari 21 Attualmente, le zone periurbane presentano la stessa estensione di superficie edificata delle aree urbane, tuttavia solo la metà di esse registrano la stessa densità di popolazione. L’espansione urbana o sprawl, è un fenomeno pericoloso: la diffusione di nuclei caratterizzati da bassa densità demografica costituisce una grave minaccia per uno sviluppo urbano ordinato e sostenibile. L’argomento è di grande interesse generale e riveste particolare rilevanza per la Sardegna per la tutela delle zone interne e delle aree costiere, esposte al rischio di degrado per consumo dei suoli ed errori di pianificazione territoriale sia per il ripristino di aree paleoindustriali alla luce delle esperienze passate e in corso. I recenti eventi idrometeorologici hanno messo ancora una volta in evidenza la vulnerabilità delle basse terre alle esondazioni e delle alte terre all’erosione. I terreni degradati per la presenza di discariche abbandonate sono in genere spogli di vegetazione e quindi particolarmente esposti ai processi erosivi, che li mobilizzano dando luogo a trasporto solido, destinato a ricoprire e ad isterilire i terreni fertili a valle. Il dott. Daniele CARIA – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari – ha messo bene in evidenza gli aspetti giuridici penali della normativa ambientale sottolineandone le difficoltà di applicazione. L’avv. Marcello VIGNOLO ha concluso il forum con un’attenta analisi degli aspetti amministrativi della normativa europea, nazionale, regionale e locale. I lavori sono stati presieduti dall’avv. Rita DEDOLA del RC Cagliari Anfiteatro. ■ 22 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Sulla “follia” di Giorgio III Il re del Regno Unito che affrontò la rivoluzione francese subì la rivoluzione americana e ancora regnante prevalse su Napoleone Angelo Deplano – Giovanni Barrocu a rivoluzione del 1688 aveva deposto dal trono d’Inghilterra il Re Giacomo II Stuart perché era cattolico e l’aveva sostituito con sua figlia Maria e col marito olandese Guglielmo III d’Orange, che erano protestanti. Morti senza eredi Maria e Guglielmo, divenne Regina Anna Stuart, l’altra figlia di Giacomo II, la quale aveva ricevuto, come la sorella, un’educazione rigorosamente protestante. Durante il regno di Anna fiorirono le arti e i mestieri e fu felicemente realizzato L’atto di Unione, che fuse nella Gran Bretagna i due Regni d’Inghilterra e di Scozia. Nel 1713, poco prima che Anna morisse, la Gran Bretagna, a seguito delle vittorie del duca di Malborough e del Trattato di Utrecht, divenne la più importante potenza marittima d’Europa. Quando nel 1702 salì al trono, l’Act of settlement aveva stabilito, già dal 1701, che dopo di lei venisse chiamata a regnare la casata tedesca di Hannover, la quale avrebbe garantito una successione di protestanti. Così dopo Anna ascesero al trono di Gran Bretagna Giorgio I e poi Giorgio II di Hannover, entrambi nati in Germania: erano protestanti, di lingua madre tedesca e conoscevano il francese ma non l’inglese. Giorgio I, elettore di Hannover, dovette far fronte alla sfida di Giacomo Stuart, pretendente cattolico figlio di Giacomo II, il quale era sbarcato in Scozia nel 1715 a seguito della prima rivolta dei Giacobiti, che fu temporaneamente sedata. I due regni d’Inghil- L terra e di Scozia furono di fatto riuniti in quello della Gran Bretagna, del quale Giorgio I fu re fino al 1727, l’anno della sua morte. L’anno dopo i Giacobiti, nuovamente insorti nel 1745 dopo lo sbarco in Scozia del giovane pretendente Giacomo Edoardo Stuart, figlio del vecchio pretendente Giacomo, furono definitivamente sconfitti da Giorgio II, che rimase in carica fino al 1760. Durante il suo regno ebbe inizio la grande rivoluzione industriale inglese, e la Gran Bretagna partecipò alle lotte continentali delle guerre di successione di Polonia e d’Austria, nonché alla prima fase della Guerra dei Sette Anni, dalla quale trasse notevoli vantaggi coloniali in America, Africa e Asia, grazie all’abile politica del ministro Walpole, il primo e più duraturo dei primi ministri inglesi della storia. Il terzo dei sovrani inglesi della casata tedesca degli Hannover fu Giorgio III, nipote diretto di Giorgio II, del quale divenne l’erede perché il figlio Federico, principe di Galles, era morto prematuramente il 12 ottobre 1751. Giorgio III, nato il 4 giugno 1738 e battezzato con i nomi George William Fredrick, fu il primo della dinastia che nacque in Inghilterra e usò l’inglese come lingua madre. Nel 1751, quando aveva tredici anni, aveva ereditato il titolo di duca e principe elettore del Brunswick-Lüneburg (Hannover) nel Sacro Romano Impero, titoli che mantenne finché non assunse, il 12 ottobre 1814, anche quello di Re dell’Hannover (King of Hanover), regno che però non visitò mai. Quel regno fu giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 23 Fig. 1 – Stemma del Regno Unito usato dal Re Giorgio III dal 1816 al 1837. Fig. 3 – Le tredici colonie americane nel 1775. L’Inghilterra aveva il dominio sulle zone indicate in rosso e rosa sulla mappa e la Spagna su quelle arancione. La zona rossa è quella relativa alle 13 colonie aperte agli insediamenti dopo la proclamazione dell’Indipendenza. Fig. 2 – Giorgio III a 50 anni nel 1762, quando stava per concludersi la Guerra dei Sette Anni, (17561763) e iniziò la sua malattia. (Ritratto di Allan Ramsay) governato dalla casata degli Hannover in unione personale con il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda fino al 1837 (Fig. 1), e cessò di esistere dopo che fu conquistato dalla Prussia nel 1866. Federico era stato un buon padre per Giorgio III. Amante della musica, aveva incoraggiato i figli ad apprezzarla ed aveva assunto dei validi tutori che insegnarono loro il latino, il francese, il tedesco, la storia, la matematica e la religione. Gli insegnanti giudicarono Giorgio un allievo difficile, talvolta imbronciato e ostinato, che però dimostrò di aver tratto profitto dalla loro scuola. Il nuovo monarca salì al trono in perfetta forma, e la prima parte del suo regno scorse relativamente tranquilla senza complicazioni di salute. A ventidue anni sposò Charlotte di Mecklenburg-Strelitz: fu un matrimonio felice durato 50 anni, dal quale nacquero 15 figli. Giorgio III era una persona intelligente, uno studioso desideroso di sapere, affascinato dalle scienze e dalla tecnologia. Supportò con propri fondi la Royal Academy, appassionato d’arte raccolse una collezione invidiabile di dipinti e fu un avido bibliofilo. Ereditò molti libri anche dal nonno e durante il suo regno arrivò ad averne 65.000, che riunì nella “King’s Library”. Durante il suo regno Giorgio III vide la conclusione della Guerra dei Sette Anni, conosciuta dagli americani come The French and Indian War (1756-1763), la Rivoluzione Americana (1775-1783), la Ribellione Irlandese del 1798, la Rivoluzione Francese (1789-1799) nonché le battaglie combattute contro Napoleone, fino alla vittoria di Waterloo nel 1815. (Fig. 2-8). 24 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Fig. 4 – La Declaration of Independence, presentata al Congresso dai cinque firmatari (dipinto di John Trumbull 1756-1843)t Era un uomo di grande capacità, un grande monarca che, come dice Trevellian (1941), seppe ben scegliersi i collaboratori imponendoli al parlamento, nei confronti del quale prese un maggior potere, recuperando quello che i suoi predecessori avevano perduto. Apprendiamo dalla Treccani che «La politica di Giorgio III è stata eminentemente quella dei suoi grandi ministri, che si alternavano al potere (North, Fox, Pitt) combattendosi aspramente nelle lotte parlamentari, ma ispirati tutti da una grande passione per il loro paese». Ovviamente, il fatto che si fosse saputo scegliere dei ministri di quel livello, e che avesse avuto la forza di volontà indispensabile per poterli imporre al parlamento, dimostra quanto fossero notevoli la sua intelligenza e la sua energia in un periodo tumultuoso della storia inglese. Dopo il trattato di Parigi del 1783, che toglieva all’Inghilterra le colonie d’America, gli inglesi lo considerarono il responsabile della sconfitta e per alcuni anni fu impopolare. Nel periodo successivo, fino a che le condizioni della salute glielo consentirono, favorì un’attenta politica europea indirizzata a contrastare la crescente potenza di Napoleone. Durante il suo lungo regno la Gran Bretagna si conciliò con i francocanadesi del Quebec, nella completa tolleranza della loro religione, dei loro diritti e costumi, in netto contrasto con la politica di supremazia protestante e inglese in vigore nell’Irlanda di quegli anni. Nei primi ventotto anni di regno Giorgio godette di uno stato di salute relativamente buono, tenendosi in forma con una dieta spartana e molto esercizio fisico. Il re cadde seriamente ammalato nel giugno del 1788, all’età di cinquant’anni. La malattia ebbe inizio con una violenta crisi biliare, seguita subito dopo da segni di disordine mentale, per cui si era deciso di trasferirlo a Cheltenham per due mesi, allo scopo di fargli praticare una terapia termale. Il programma delle sue giornate in quella località era riposante: andava a bere l’acqua termale e quindi faceva delle passeggiate; dopo il pranzo passeggiava ancora fino all’ora della cena, infine si ritirava e dormiva per sei ore. In quel periodo il re nel complesso si sentiva bene. È presumibile che ciò avvenisse perché non era esposto alla causa che gli provocava il male ed infatti nelle settimane successive, dopo il rientro a Windsor, le sue condizioni peggiorarono. I medici rilevarono che l’agricoltore Giorgio (farmer George), come lo chiamavano affettuosamente i suoi cortigiani per il suo interesse per l’agricoltura, aveva cercato di piantare una bistecca, convinto del fatto che la carne nascesse dagli alberi e che quindi avrebbe potuto far crescere un albero che producesse bistecche come frutti. Nello stesso periodo presentò altri gravi segni di squilibrio mentale, tanto che qualcuno cominciò a dubitare che lo si potesse lasciare sul trono. Gli erano comparse gastralgie e diffuse eruzioni cutanee, sintomi che i medici attribuirono alla gotta, o ai piselli che aveva mangiato, dei quali era ghiotto. Gli si gonfiarono i piedi, gli si ingiallirono gli occhi e l’orina divenne bruna, segni questi di compromissione delle vie biliari; comparvero stato con- giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 25 Fig. 5 – La resa del generale inglese John Burgoyne dopo la sconfitta nella Battaglia di Saratoga (7 ottobre 1777), che risultò decisiva per le sorti della guerra d’indipendenza americana (dipinto di John Trumbull, 1822). Fig. 6 – Firma dei preliminari del Trattato di Parigi, il 30 novembre 1782, che sancì la vittoria dei rivoltosi americani sul Regno Unito (stampa di Morris & Co., da un fusionale, atteggiamenti stravaganti e facile irritabilità. In una occasione si agitò fino a perdere il controllo, afferrò il figlio, il Principe di Galles, e lo scaraventò contro un muro. Lamentava anche insonnia, parlava molto, con frasi sconnesse, senza accennare a fermarsi su nessun argomento, perse peso e una volta emise un nuovo suono ad imitazione dell’ululato di un cane. Talvolta implorava i cortigiani di porre fine alla sua vita. Per questi motivi il re fu considerato malato di mente. Le sue stranezze non rientrano certo nella classificazione dei diversi tipi di follia descritti con fine ironia da Erasmo da Rotterdam (1511). È noto che le forme di follia sono numerose e se alcune manifestazioni possono suscitare negli osservatori indebito sorriso altre fanno inorridire per la loro tragicità. D’altronde i medici non avevano idea dei danni che intossicazioni, infiammazioni o altre lesioni possono determinare sul sistema nervoso. La medicina del XVIII secolo non disponeva di cure che potessero curare il re con efficacia. All’epoca i medici sostenevano ancora che il corpo dell’uomo fosse governato da quattro umori: atrabile (bile nera), bile (bile gialla), flegma e sangue. Essi ritenevano che anche la follia, com’è negli scritti ippocratici, fosse dovuta all’ interazione di questi umori, prodotti dalla combinazione di quattro elementi della natura (caldo, freddo, umido e secco). Le persone venivano rag- gruppate in uno dei quattro corrispondenti temperamenti – sanguigno, collerico, melanconico e flemmatico – secondo una classificazione che si pensava riflettesse il motivo principale della loro inclinazione. Il funzionamento della personalità si svolgeva ad un livello ottimale quando si raggiungeva la crasi, cioè l’equilibrio nell’interazione fra forze interne ed esterne. La lotta tra queste forze, detta discrasia, indicava la presenza di un umore corporeo eccessivo, che doveva essere eliminato con la purificazione. Il re subì il completo trattamento dell’epoca georgiana per la pazzia: si riteneva che dovesse essere drastico ed infatti erano previste procedure tutt’altro che piacevoli, quali salassi, sudorazioni, bendaggi urticanti che avevano lo scopo di risucchiare dall’interno dell’organismo gli umori ritenuti cause della malattia, nonché la somministrazione di sedativi e spaventosi intrugli fatti trangugiare per forza. Fin da Ippocrate era convinzione dei medici che gli umori malefici potessero essere eliminati ricorrendo a sostanze dal potere emetico e purgante come l’elleboro, (Helleborus viridis). Poiché l’elleboro, pianta medicinale molto velenosa sia per ingestione sia per uso esterno, era molto difficile da dosare, a partire dal Medio Evo si preferì ricorrere sempre più al tartaro emetico, che ha gli stessi effetti, noto in chimica come tartrato di potassio e antimonio, o tartrato antimonile di potassio. Questo me- quadro di Carl Wilhelm Anton Seiler, 1846-1921). 26 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Fig. 7 – 14 luglio 1789 – La presa della Bastiglia, che segnò l’inizio della Rivoluzione Francese (Robert Wilde). dicamento era preparato usando tazze di antimonio puro nelle quali veniva tenuto del vino per 24 ore cosicché si otteneva una soluzione di tartaro emetico che veniva propinata in piccole dosi fino a raggiungere quella efficace. Il tartaro emetico agisce sia a livello centrale, sul centro del vomito, sia a livello periferico, sulla muscolatura dello stomaco. Infatti Griffth R. Eglesfeld, medico della Facoltà di Medicina di Filadelfia, ma sicuramente di scuola inglese come i curanti di Giorgio III, nel suo Trattato di Farmacologia del 1854 ci dice che il tartaro emetico era comunemente somministrato anche per clistere per curare la stitichezza. Anche l’articolo del medico inglese R.G. Ackerleyun, pubblicato nel 1837 nella Medical Gazette di Londra, ci dà un’idea dei protocolli adottati dalla medicina inglese all’epoca di Giorgio III e del sicuro abuso di tartaro emetico che veniva somministrato ai poveri pazienti. Nel dicembre del 1788 la famiglia reale si trasferì da Windsor a Kew, dove, sconfortata per la mancanza di risultati delle terapie fino ad allora usate, chiese aiuto a un sacerdote anglicano, il dr. Francis Willis, che dirigeva un manicomio e godeva di buona reputazione nella cura delle malattie mentali. Willis curava i malati di mente con i medicamenti del tempo, ma trattandoli con umanità, unendo la fermezza alla gentilezza. Se il paziente era agitato, o se si strappava i bendaggi delle terapie urticanti che gli avevano causato dolorose suppurazioni, o se rifiutava il cibo, continuava a praticargli i metodi contentivi: lo legava a una sedia, lo imbavagliava o gli im- poneva la camicia di forza, ma se il paziente cooperava, Willis gli dava tutta la libertà che gli sembrava possibile. Si è pensato che il dottor Willis avesse ottenuto per il re qualche miglioramento, anche se, dato lo stato in cui versava la medicina, ciò è poco probabile. Sembra invece opportuno rilevare che anche in questa occasione il paziente potrebbe aver tratto giovamento già dal solo trasferimento a Kew, avvenuto, come si è detto, nel dicembre precedente, e che potrebbe averlo tenuto lontano dalle terapie che gli nuocevano. Infatti Giorgio III cominciò a riprendersi nel febbraio 1789, e nel marzo successivo continuava a migliorare decisamente. La sua popolarità crebbe sempre più con la convinzione errata che egli fosse guarito: gli inglesi gli dimostrarono il loro affetto con le preghiere e le cerimonie di ringraziamento, la più solenne delle quali si tenne nella cattedrale di St. Paul nell’aprile 1789. E quando nelle navi da guerra della flotta al levar delle mense degli ufficiali arrivava il brindisi «Signori, al Re», tutti levavano il calice mormorando con vero trasporto «Che Dio lo benedica». Giorgio III stette bene per più di un decennio. La letteratura e la documentazione pubblicata non forniscono comunque elementi per poter avanzare un’ipotesi valida che dia ragione del fatto che per un decennio, dal 1788 al 1799, il re non dette segni apparenti della sua malattia, tanto che egli ne fu ritenuto guarito. Si può avanzare l’ipotesi che in determinati periodi, e per motivi tuttora sconosciuti, sia stata interrotta la somministrazione di tartaro emetico o di altre sostanze che scatenavano i sintomi. Tra il 1799 e il 1810 fu colpito da altre cinque crisi di varia gravità, durante le quali passava alternativamente dalla calma a stati di agitazione e soffriva di allucinazioni. Aggredì familiari, dame di corte, medici e funzionari e parlava a vanvera incessantemente. Francis Willis morì nel 1807 e i suoi due figli, i dottori John e Robert Willis, continuarono a trattarlo con lo stesso metodo del padre. Nel 1810 il re lamentò la crisi che compromise definitivamente il suo equilibrio mentale e non si riprese più. Tutti i tentativi di cura furono vani. giugno 2014 — I fratelli Willis ed altri medici chiamati a consulto diagnosticarono che il re era malato di mente ormai incurabile, e di conseguenza furono adottati dei provvedimenti coercitivi più severi. A partire dal 1810 Giorgio III sprofondò in un inferno privato dal quale non si sarebbe più risollevato durante i dieci anni di vita che gli rimasero. Si lasciò crescere una lunga barba e negli ultimi anni perse la vista e l’udito e visse quindi completamente distaccato dal mondo (Fig. 9). Non fu nemmeno informato della morte dell’amatissima moglie Carlotta, avvenuta nel 1818. Il Principe di Galles, che alla morte di suo padre sarebbe stato incoronato re con il nome di Giorgio IV, fu nominato reggente nel 1811 e con quella carica prese le redini della monarchia e del governo. Si trovò così a condurre la guerra nel 1812 e fu l’artefice della sconfitta di Napoleone a Waterloo nel 1815. Il re Giorgio III decedette nel 1820, dopo altri anni di sofferenza e di isolamento. Anche se egli era stato lontano dal pubblico per un decennio, la nazione ne sentì la perdita: al suo funerale parteciparono in 30.000. Il popolo, che non era stato mai informato delle condizioni del re, avrebbe voluto sapere con precisione che cosa gli fosse successo, ma era impossibile dare una risposta certa e ciò diede motivo a speculazioni che perdurarono nel tempo. In seguito gli Rotary Club Cagliari 27 Fig. 8 – Napoleone (1769-1821) nel 1812, prima della sua caduta definitiva avvenuta anche per merito del Regno Unito regnante Giorgio III (ritratto di Jacques-Louis David). studiosi e gli storici non potevano far altro che esaminare le note dei medici curanti che, come sappiamo, non erano stati in grado di formulare una diagnosi convincente. All’inizio del XIX secolo ancora molti ritenevano che il re fosse affetto da una forma di patologia mentale. La diagnosi della malattia mentale tornò in auge nella metà del XX secolo con l’affermarsi della psichiatria, che aveva cominciato a cercare di capire, trattare e curare tale genere di malattie. Nel 1941 uno psichiatra, il dr. Manfred S. Guttmacher, nel suo libro dal titolo L’ultimo re d’America: una in- 28 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 terpretazione della follia del Re Giorgio III, avanzò l’ipotesi che il comportamento del re derivasse da una forma di psicosi maniacodepressiva. Altri esperti sostennero che il re fosse stato affetto da una psicosi ricorrente. Nel 1969, gli psichiatri inglesi Ida Macalpine e Richard Hunter prospettarono che il re fosse stato invece affetto da porfiria variegata, una malattia metabolica rara ed ereditaria causata da deficienza dell’enzima protoporfirinogeno, non identificata fino al XX secolo. La diagnosi era basata sui dati ritrovati negli archivi storici e sulla controversa opinione che ne soffrissero anche membri viventi della House of Hanover. Essi non poterono però basare le loro ipotesi su risultati di prove sperimentali, per cui non tutti accettarono le loro conclusioni. Secondo l’Enciclopedia Medica Italiana la porfiria è una sindrome clinica determinata da un alterato metabolismo delle porfirine. Si manifesta con sintomi cutanei, addominali e nervosi. Sono state studiate diverse forme cliniche: la forma congenita si manifesta nella prima infanzia; la forma acuta intermittente si manifesta generalmente nel secondo decennio di vita; la forma cronica tardiva ha carattere familiare e si manifesta nell’età adulta con intense reazioni a tipo di hidroa aestivale nelle regioni cutanee esposte alla luce. Talvolta si hanno coliche, ittero, disturbi neuromotori e aumento della pressione arteriosa. Non devono essere considerate porfirie quelle forme morbose (saturnismo, epatiti, intossicazioni da barbiturici, etc.) decorrenti con un’abnorme eliminazione di porfirine, ma senza un quadro clinico ben definito. L’etiologia è ancora molto oscura. Alcuni hanno ammesso una causa infettiva, altri hanno sostenuto un’origine endocrina o avitaminosica, ma molto più verisimilmente potrebbe essere attribuita ad un fattore tossico che agisca su un organismo costituzionalmente predisposto a turbe del ricambio porfirinico. In effetti l’arsenico può scatenare una abnorme perdita di porfirine. Nel 2005, The Lancet, la rivista medica britannica, pubblicò un rapporto che sosteneva la diagnosi della porfiria. Avendo riesaminato la documentazione medica e materiale storico ritrovato di recente, un gruppo di ricercatori dell’Università di Kent produsse le prove evidenti che le condizioni predisponenti della malattia esistevano anche tra i discendenti di Giorgio III e nelle casate reali europee e sostenne l’ipotesi che il disordine fosse effettivamente dovuto a un legame genetico. Gli scritti dei medici curanti testimoniano infatti che altri membri della famiglia furono affetti da malattie caratterizzate dagli stessi sintomi che aveva presentato Giorgio (Cox et al., 2005). Nell’articolo gli autori riportarono i risultati delle analisi effettuate in alcuni ciuffi di capelli presi dal capo del sovrano alla sua morte. Essi non riuscirono ad ottenerne il DNA genomico ma le loro analisi rivelarono alte concentrazioni di arsenico, elemento che interferisce col metabolismo del sangue, cosa che potrebbe aver contribuito ai gravi e prolungati attacchi di follia del re. Le sorgenti dell’arsenico furono identificate nei medicamenti imposti al re dai medici. The Lancet riferisce che inizialmente nessuno sapeva quale potesse essere l’origine della presenza di arsenico nell’organismo del re, ma dagli studi d’archivio risultava che Giorgio III era stato trattato dai medici con dosi generose di tartaro emetico, un composto dell’antimonio, elemento che può essere contaminato dal piombo e dall’arsenico ad esso geochimicamente affini, utilizzato non tanto come emetico ma come lassativo, nella convinzione che il re dovesse essere liberato dagli umori ai quali i medici attribuivano la sua discrasia. I ricercatori dell’Università di Kent dedussero quindi che l’origine dell’arsenico rilevato nel campione di capelli doveva essere il tartaro emetico. I risultati dei loro test sono stati accettati senza obiezioni. Il prof. Martin Warren, uno di loro, dichiarò alla British Broadcasting Company (BBC) che «Si spiegherebbero così in modo convincente sia le crisi che colpirono il re, sia il fatto che in età avanzata egli dovette subirne sempre più gravi». Risulta che nel giugno del 1788, quando Giorgio III aveva 50 anni, la malattia, ancora prima che si evidenziassero i sintomi neurologici, aveva esordito proprio con una violenta crisi bilia- giugno 2014 — Rotary Club Cagliari re, e poiché questi erano sintomi di una affezione che comunque interessava il fegato, era normale che fin da allora dovessero aver cominciato a somministrargli dei lassativi. Com’è stato possibile dimostrare con i mezzi della medicina moderna, i sintomi dei disturbi neuromotori, che erano stati interpretati dai medici del tempo come segni di una malattia di mente, con ogni probabilità erano causati da forme di intossicazione variabile nel tempo. È lecito avanzare l’ipotesi che il re avesse una predisposizione metabolica ereditaria alla porfiria, e che la sintomatologia complessa che lo aveva afflitto sia stata verisimilmente scatenata di volta in volta dalle somministrazioni di tartaro emetico propinato al paziente come lassativo in dosi continuate nel tempo. È un fatto che tutta la sintomatologia di coliche biliari e disturbi neuromotori scomparve quando Giorgio III si allontanò dai suoi medici curanti per recarsi a Cheltenham, e riapparve quando, presumibilmente dopo il rientro del paziente a Windsor, i medici dovevano aver ricominciato a trattarlo col tartaro emetico. Allora comparvero, insieme con i segni di disordine mentale, violente gastralgie, ittero (l’orina divenne bruna) e manifestazioni di intensa reazione cutanea nelle regioni del corpo esposte alla luce. Se si associano i primi segni della malattia (quelli che avevano preceduto il trasferimento a Cheltenham) a questi ultimi si ottiene un quadro sintomatologico che coincide con quello della porfiria cutanea tardiva. Nessuno allora fu in grado di fare riferimento alla porfiria. Dato che i suoi medici avevano ricominciato a trattarlo col tartaro emetico, possiamo ipotizzare che ai sintomi della porfiria si aggiungessero quelli delle intossicazioni croniche da arsenico. Quelli dell’arsenico dovevano consistere dapprima in coliche biliari, con nausee, vomiti e anoressia, ed inoltre da altri sintomi d’irritazione cutanea e da segni di sofferenza miocardica e renale, e neurite ottica, che spiegherebbero la cecità lamentata negli ultimi anni di vita dal paziente. Per questo motivo in un’intossicazione cronica persistente nel tempo come quella che colpì Giorgio III, la sintomatologia tese ad aggravarsi progressivamente. Ovviamente non siamo in grado di escludere che abbiano potuto nuocere al paziente anche altri tossici eventualmente contenuti negli intrugli che lo obbligavano ad ingerire, ovvero la semplice ingestione di determinati alimenti come i piselli, alimento sospettato dai medici di Giorgio III quale responsabile delle crisi. Il pisellismo è una sindrome nota soltanto da pochi anni, consistente in un complesso di fenomeni morbosi – emolisi, emoglobinuria – scatenati dall’ingestione di piselli. Nel 1951 Carcassi, Luridiana, Fancello e Argiolas in base allo studio dei dati clinici, descrissero per la prima volta alcuni casi di anemia emolitica acuta da ingestione di piselli. Le loro osservazioni sono state poi confermate nel 1959 da Larizza, Brugnetti e Grignani, i quali, con 29 Fig. 9 – Giorgio III negli ultimi anni (Incisione di Henry Meyer). i nuovi test divenuti disponibili, studiavano questi stessi soggetti documentando in questi pazienti precedentemente studiati la presenza di deficit della Glucosio-6fosfato deidrogenasi (G-6Pdh) (Carcassi, 2014). Gli osservatori sono tutti d’accordo nel disapprovare i trattamenti crudeli e inutili, che nel diciottesimo secolo venivano praticati al paziente regale; alla metà del XIX secolo il romanziere inglese William Makepeace Thackeray espresse bene il senso di perdurante dispiacere causato soprattutto dall’ultimo decennio di vita del re; infatti nessuna storia rappresenta una figura più triste di un povero vecchio cieco, sordo e privo della ragione, che vaga per le stanze del suo palazzo, rivolgendosi a parlamentari immaginari e passando in rivista personaggi presenti solo nella sua mente. Il caso di Giorgio III solleva ancora oggi simpatia ed è stato esaminato da scienziati, medici e commediografi. ■ 30 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 L’immortale Giovanni Lilliu Sardus Pater Mauro Manunza e non avesse ceduto due anni prima di compierli, Giovanni Lilliu avrebbe oggi cento anni. Era nato a Barumini il 13 marzo 1914, e al suo paese è rimasto strettamente legato per tutta la vita: certo perché su quelle pietre ha giocato da bambino, ma soprattutto perché sbucciandosi le ginocchia su quelle pietre ha intuito – e poi portato alla luce – uno dei più straordinari e importanti luoghi archeologici del mondo. Partendo dalla “Reggia nuragica” ha aperto percorsi scientifici e umanistici che hanno imposto la Sardegna all’attenzione internazionale e condotto lui all’immortalità: il suo segno nella cultura non potrà mai scomparire. Sedeva infatti tra gli “immortali” del tempio della cultura italiana: l’Accademia del Lincei, che difatti lo ha commemorato a Roma in un summit degli accademici d’Italia. Hanno parlato di lui (unico linceo sardo) illustri studiosi, da Anna Maria Sestrieri a Giuseppe Tanda, da Albero Moravetti a Michel Gras e Mario Torelli. Venne accolto a S Palazzo Corsini nel 1990 e vi andava spesso anche nell’ultima parte della sua vita, ultraottantenne, viaggiando da solo. Lì parlava nel religioso silenzio di quanti lo ascoltavano; così come sempre avveniva negli anni trascorsi nelle aule delle università e in quelle dell’Assemblea regionale sarda e del Consiglio comunale di Cagliari, quando sedeva fra i banchi democristiani. Nella solenne celebrazione del 3 marzo scorso a Roma era rappresentato dalla figlia Caterina. L’altra figlia, Cecilia, durante le stesse ore era invece a Cagliari dove nel Museo archeologico nazionale Maria Assunta Lorrai (direttrice per i Beni culturali della Sardegna) e Marco Edoardo Minoja (soprintendente per i Beni archeologici) presentavano un’importane mostra celebrativa: “L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”, inaugurata negli spazi della Torre di San Pancrazio (Cittadella dei Musei). Ricche di reperti selezionati ed esposti lungo un percorso specificamente organizzato, le sale continuano a ricevere il pubblico e resteranno giugno 2014 — così per un anno; poi la mostra sarà trasferita a Roma dove (dal 15 marzo 2015) sarà evento di lusso nel prestigioso Museo preistorico nazionale etnografico “Pigorini”. È una sintesi dell’archeologia sarda, che i soci del RC Cagliari hanno visitato di giovedì, considerando quella serata un appuntamento straordinario del club: un modo concreto per ricordare quell’eccezionale personalità che per tanti anni ha frequentato le nostre riunioni nobilitandole prima come socio effettivo e poi come socio onorario. Anche Barumini, ovviamente, ha reso omaggio al suo immortale cittadino nel Palazzo Zapata, intitolandogli una specifica sezione del rinnovato Museo archeologico e prorogando la mostra celebrativa “Stratigrafie di una vita” nel Centro di comunicazione e promozione del patrimonio culturale “Giovanni Lilliu”: un’esauriente, decisiva e anche commovente esposizione su vita privata e attività pubblica del “Sardus Pater”. Semplice e s tra vagante, modesto e autorevolissimo, gentile e determinato, contenuto eppure ribelle, intellettuale senza ricercatezza, Lilliu ci lascia un patrimonio d’inestimabile valore culturale. La sintesi della sua opera omnia – a carattere esclusivamente archeologico – è raccolta in sei volumi, pubblicati cinque anni fa sotto il titolo “Sardegna e Mediterraneo” (2600 pagine, Ed. Delfino), che contengono 71 contributi dalla più remota preistoria all’alto medioevo: testimonianza di un’attività appassionata, instancabile e dotta che ha proiet- Rotary Club Cagliari 31 tato a livello internazionale la ricerca archeologica nell’isola. Ma Giovanni Lilliu non era soltanto eccelso archeologo, paletnologo, pubblicista, studioso, docente, lo scopritore di “Su Nuraghe” e il rivelatore della civiltà nuragica: era anche la coscienza civica dei sardi di oggi, e non per caso lo si definiva “Babbu Mannu”. Strenuo sostenitore di un’autonomia isolana sostanziale e robusta, in rispettosa ma critica posizione rispetto alle istituzioni nazionali, sino in fondo si è battuto perché alla Sardegna sia riconosciuta una Storia, un’identità, una lingua peculiari nell’ambito mediterraneo ed europeo, un patrimonio culturale specifico nel contesto internazionale. A cominciare proprio dalla tutela della lingua, che «è l’anima del popolo», diceva: espressione di valori, tradizioni, costumi, civiltà, «tottu cussu chi rappresentaiat su coru de sa sardidade». Quel soffio del sentimento che definiva “sentidu de libbertade”: sentidu come capire, consapevolezza, memoria, sentir dentro: «sa idea sarda, sa cussentzia de su propriu essiri etnicu e sa storia profunda, sa dignidadi e s’orgogliu de s’intendi populu...». Così parlava il protagonista della nostra cultura, l’uomo della “costante resistenziale sarda”. E ancora lo dice, perché è immortale. ■ 32 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 La fotografia del 35 mm Dalla lastra al digitale Gianni Campus l 1925 fu fondamentale per la Neue Sachlichkeit, celebrata in quell’anno con una mostra a Mannheim: si trattava di una nuova tendenza artistica, indirizzata a coniugare le esigenze di percezione “oggettiva”, con quelle di una rappresentazione impegnata della realtà. Di quella ricerca, la fotografia sarebbe stata parte essenziale. In una Germania in profonda crisi economica e sociale, ma piena di slanci e iniziative culturali, si ponevano in effetti le basi per ciò che nel tempo sarebbe apparsa in tutta la sua pregnanza: l’era del 35 mm e della fotografia popolare e universale. Se pensiamo, infatti, al Ventesimo Secolo in chiave di fotografia, è forse possibile dividere quei cent’anni proprio in base al 1925, quando cambiarono molte cose rilevanti per l’evoluzione della fotografia stessa sia come disciplina artistica, sia come prodotto tecnologico, sia quindi come fattore di crescita economica, sociale e culturale. Ciò che succedeva in quei giorni in Germania non è molto semplice da riassumere, per ragioni derivanti proprio dalla quantità di eventi che vi si producevano e che erano compartecipi di cambiamenti; basterà però, fra tanti, citarne tre: la scuola del Bauhaus si spostava da Weimar a Dessau, Oskar Barnack si apprestava a mettere la Leica sul mercato, stava per nascere la Zeiss Ikon. Il disegno industriale – o, se si preferisce, la progettazione artistica per l’industria – era uno dei cavalli di battaglia di László Moholy Nagy, che nel Bauhaus operava anche come specialista di fotografia. In quei giorni, e nella percezione culturale di quella straordinaria comunità, della fase arcaica della rivo- I luzione industriale era rimasta l’immagine della crescita esplosiva dei numeri, fossero essi riferiti agli addetti alle fabbriche o a quanto era in esse prodotto, a beneficio dei consumatori, dei loro bisogni e dei loro desideri, espressi o potenziali che fossero. Ciò che appariva radicalmente cambiato, era lo stimolo a rendere quei prodotti industriali veicolo di diffusa evoluzione estetica e, più in generale, culturale. La macchina – qualunque macchina, fosse essa destinata a produrre altre macchine, a muoversi, ad abitare – cessava di essere un mero strumento funzionale, per acquistare dal riconoscimento espressivo di tale ruolo una nuova capacità di offrire risposte gratificanti a consumi estetici mai ipotizzati prima né concettualmente né quantitativamente. A Dessau si apriva, infatti, una nuova fase del pensiero creativo, dopo le esperienze del Werkbund e dello Staatliche Bauhaus di Weimar. In estrema sintesi, dall’esperienza di De Stijl e del Neoplasticismo si andava ormai evolvendo una tendenza, diffusa e internazionalista, intesa a rivisitare i princìpi fondativi dell’estetica della produzione industriale con una radicale semplificazione e razionalizzazione dei rapporti formali, concepiti in chiave geometrica e astratta. In tutto questo la fotografia giocava un duplice ruolo, sia riguardo ai principi ordinatori del suo essere strumento automatico e geometrico – e quindi intrinsecamente “astratto” – per la produzione d’immagini, sia per la sua capacità di proporsi – in tale ruolo – come “protesi” dell’attività creativa e funzionale di un essere umano, ampliandone la capacità di percezione, d’interpretazione, di giugno 2014 — racconto, di documentazione. Inoltre, dall’industria fotografica sarebbero stati generati degli autentici gioielli della progettazione, destinati a restare parte esemplare nella storia dell’industrial design d’ogni tempo. La Leitz di Wetzlar, attraverso l’intuizione di Barnack, aveva operato una sintesi fra cinematografia e fotografia, semplicemente creando la possibilità dell’esistenza di una fotografia autenticamente “veloce”, in senso quasi futurista, perché in grado di essere usata sempre e ovunque senza particolari accorgimenti, capacità o condizioni ambientali. Un’ergonomia totale, estesa alla forma funzionale ed estetica, sostanzialmente intesa a ribaltare un paradigma sino a quel momento in concreto indiscusso: quello di un apparecchio fotografico munito di un operatore, che diventava invece con la Leica quello di una persona in grado di portare in tasca – e poi al collo – un comodo strumento per scattare fotografie. Con ciò, nei bisogni di Barnack in persona e nei limiti imposti dal suo fisico fragile, si specchiava una condizione statistica di basso profilo, a suo modo espressione dell’existenz minimum, dell’uomo modulare e della stessa filosofia del less-is-more che aveva caratterizzato il Bauhaus. La Zeiss Ikon, invece, era qualcosa di più complesso: rappresentava, infatti, l’urgenza di un’intrinseca razionalizzazione della com- Rotary Club Cagliari 33 László Moholy Nagy, Fotogramas, 1922. plessità dell’intero universo della fotografia. Con l’accorpamento della capacità progettuale e produttiva di diversi storici interpreti, si accorciava perciò radicalmente la filiera dell’evoluzione tecnologica nel settore fotografico, che in Germania trovava a quel punto una straordinaria stagione di sintesi creativa, non più basata sull’invenzione o la produzione di un singolo elemento, anche d’eccellenza, ma sul perseguimento della massima qualità possibile come scelta concettuale, economica ed etica a un tempo. In pratica, in quegli anni critici e tormentati, si gettavano le basi perché diventasse possibile concepire e realizzare non più obiettivi, otturatori o apparecchi ma interi sistemi fotografici; ma, soprattutto, si proponevano nuovi orizzonti culturali ed economici, e perfino nuovi paradigmi sociologici. In tutto questo, la visione razionalista emergeva imperiosamente, secondo una filosofia che sino a poco tempo prima poteva essere soltanto parte di un sogno degli intellettuali d’avanguardia: quello che proponeva – e addirittura imponeva – la qualità alla base dei più diffusi consumi sociali. E, almeno in questo caso, il sogno si esprimeva in una 34 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 sorta di miracolo: la qualità in gioco non era quella economicamente possibile, una qualità relativa; essa era, incredibilmente ma indiscutibilmente, una qualità assoluta. Nei tre quarti di secolo che conducono da allora al nuovo millennio, la fotografia, la nostra fotografia si è evoluta, ma non è cambiata, mentre cambiavano le attrezzature; oggi, però, l’immagine digitale ha nel suo intimo una parte eversiva che azzera le premesse che avevano affidato all’Occhio dell’Aquila, al mitico Tessar, il compito di interpretare l’urgenza di precisione che la Neue Sachlichkeit richiedeva, e che obiettivamente andava realizzata. L’immagine digitale è, infatti, sintetica; essa non deriva esclusivamente da una proiezione pressoché diretta e immediata, ma tale proiezione è solo il primo, primissimo stimolo per un processo poi potenzialmente interattivo quasi senza limiti. La realtà automatica è finita, sostituita dalla iperrealtà costruita, dove i punti sono infinitesimamente tali, e non circoli di confusione, ammiccanti alla nostra umana soggettività; un nuovo mondo dove l’immagine non dev’essere più scovata come un diamante, tagliata come un brillante e in- castonata come un gioiello mentale, ma può essere – in modo drammaticamente falso, ma totalmente credibile – la documentazione di ciò che abbiamo saputo concepire e scrivere, con la luce. La foto-grafia, come scrittura-con-laluce, rappresenta intrinsecamente una parte del mondo dei segnali e dei linguaggi che ne regolano i rapporti; suggerisce quindi – nel suo ambito, in generale e in particolare – i princìpi e i caratteri che vengono ai linguaggi attribuiti, soprattutto rispetto alla loro capacità di corroborare o, al contrario, corrompere la capacità percettiva umana. La fotografia, infatti, dal suo nascere ha creato un altro mondo rispetto a quelli linguisticamente e iconograficamente esistenti; partecipa della vita reale, dalla quale trae spunto, ma codifica icone e linguaggi altrimenti inesistenti, che sul reale proietta, condizionandone molti caratteri attraverso le suggestioni che è in grado di proporre. Nel tempo dei miti, com’è stato quello della fotografia del secolo scorso, la mitologia fotografica si è spesso espressa attraverso icone, fossero esse quelle di una Leica a telemetro, di una Rollei biottica, di una Nikon giugno 2014 — F o dell’Hasselblad lunare. Molte di quelle icone si accompagnano – nell’integrare i termini del mito – con nomi a loro volta dotati di grande capacità evocativa; alcuni di questi hanno costituito interessanti sintagmi, voluti o nati da sé, come Leica-M, Rolleiflex, NikonF, Zeiss-Ikon, Conta...x. Di questi due miti, della Zeiss-Ikon e delle sue macchine fotografiche Con-la-x, vale la pena di parlare in particolare, sia perché esse sono state (e forse ancora sono) al vertice dell’Olimpo mitologico della fotografia, sia perché la loro storia ha, nei particolari stessi, dei caratteri di universalità che illustrano in termini esemplari il modo d’essere di quelli che si potrebbero chiamare come gli anni del 35 mm. Fra gli apparecchi che hanno contribuito a consolidare il successo di quelle pellicole – oltre alla capostipite Leica – ricorderemo come – nei primi quarant’anni di diffusione fotografica di quello stesso 35 mm – il nome Conta...x sia stato assegnato non solo a diversi modelli di uno stesso tipo di fotocamera Zeiss, ma anche a tipologie di macchine profondamente diverse. La prima di queste nacque nel 1932, l’ultima (salvo successivi ripensamenti nipponici) scomparve dalla produzione dopo il 1971 – come tutti gli apparecchi fotografici Zeiss Ikon. Il perché di tale progressione critica si deve certamente allo sviluppo esplosivo della produzione Giapponese, ma anche al ruolo giocato – nel dopoguerra – da parte degli Stati Uniti. Furono proprio gli Stati Uniti a gettare un ponte – col garantire ragionevoli opportunità di mercato alle aziende che tentavano di riprendersi dalla crisi, immediatamente dopo la guerra – fra la consolidata esperienza tecnologica tedesca e quella giapponese emergente. Nel primo caso lo smembramento della Germania rese le cose molto più difficili, giacché bisognava anche ricostruire le premesse logistiche e non solo; in pratica, i tedeschi non potevano fare tutto da sé nemmeno sotto il profilo meramente industriale, poiché bisognava rifondare e reintegrare buona parte delle aziende e delle fabbriche, Rotary Club Cagliari 35 spostando e riunendo mezzi e persone, cosa per niente semplice in una Germania divisa e controllata a vista. L’atteggiamento alleato nei confronti del destino dei Paesi sconfitti – nei primi anni del dopoguerra – non fu sempre indirizzato nello stesso modo, sia per quanto riguardava le diverse zone geografiche sia, per conseguenza, i corpi sociali interessati e le relative attività produttive. La necessità di abbandonare un’idea di destrutturazione industriale della Germania, pensata in origine per limitarne ogni futura propensione bellica, si accreditò facilmente quando si percepì appieno la portata problematica di una convivenza spalla a spalla fra l’Europa Occidentale e il Blocco Sovietico: una Germania Ovest troppo debole avrebbe presentato un ben fragile fianco alle aggressive politiche dell’URSS. La ripartenza giapponese – impressionante in quanto a determinazione e celerità, anche prima del cambiamento di rotta da parte degli occupanti – non fu ostacolata più che tanto dai fattori critici derivanti dalla sconfitta, ma, invece, certamente accelerata dalle prospettive commerciali intravviste per il dopoguerra. I tempi della ripresa produttiva parlano chiaro, se si prendano ad esempio le posizioni assunte dalla Nippon Kogaku e dalla Zeiss occidentale, due grandi marche legate da decenni anche per ragioni militari: l’accelerazione impressa della prima fu quasi folgorante, poiché sin dall’ottobre del 1945 si studiarono strategie da perseguire e soluzioni da adottare per una radicale revisione della produzione, con esiti percettibili già dalla metà del 1946; quella della seconda – pur con le agevolazioni americane – relativamente più lenta, anche per l’ambiguo rapporto con la produzione di vetri e obiettivi ancora localizzata a Jena, che era finita nelle mani dei Russi. Durante l’occupazione dagli Americani, la Nippon Kogaku di Tokyo – quindi la Mitsubishi, che ne aveva il controllo e che a causa della sconfitta aveva subito un fortissimo shock come importante produttore d’armamenti – si rivolse anch’essa all’esperienza tedesca come riferimento per quanto avrebbe 36 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 caratterizzato l’evoluzione della propria produzione. Questa fu orientata verso il settore delle fotocamere civili, mai trattato direttamente in precedenza, ma nel quale avrebbe rapidamente raggiunto un ruolo tanto rilevante da produttore e quindi come nuovo marchio. Quello scelto fu Nikon (NIkon), con un chiaro e forse strumentale riferimento alla Zeiss, già storica partner perché magistrale e formidabile produttrice di materiale ottico d’ogni tipo. Altra opinione sull’origine del nome prende le mosse da Nippon Ko-gaku, con l’aggiunta di una n finale eufonica; se anche le cose fossero andate in questo modo, nell’immaginario collettivo il nome puzza (o profuma) di Zeiss Ikon. Così, per le nuove produzioni, l’occhio cadde un po’ più sulla Contax II che sulla Leica, peraltro diffusamente copiata un po’ da tutti e in ogni continente, anche per l’azzeramento dei brevetti tedeschi. In quel drammatico momento, nel quale ancora rilevante era l’esigenza di por fine alla mancanza di cibo e vestiario, in Oriente come in Europa, bisognava tuttavia produrre ed esportare; questo imperativo era dettato anche dagli accordi che avevano regolato la resa, e che andavano evolvendosi in tal senso, ma non era facile da osservare per chi fino a quel momento avesse accumulato conoscenze e capacità senz’altro utili, ma da convertire immediatamente verso differenti orizzonti tipologici e di mercato. Nonostante i bombardamenti, anche la Canon aveva visto le proprie fabbriche scampare in larga misura ai danneggiamenti bellici, cosa che le consentì una rapida ripresa: sin dal 1946, infatti, diede il via a nuovi modelli, indirizzando all’innovazione i futuri destini dell’azienda e contribuendo a convalidare, con la Nikon e altre case d’indiscutibile valore, un’immagine della fotografia mondiale ancora totalmente orientata verso la migliore tradizione germanica d’anteguerra, ma con qualcosa di nipponico ormai potentemente percettibile. Gli Americani di stanza nei due Paesi occupati furono però, materialmente, i migliori sostenitori di quel nuovo slancio internazio- nale: essi volevano ricordare e documentare la loro personale avventura, e questo aveva bisogno di una macchina fotografica. Per un militare o un civile americano – in quel momento, ma poi ancora a lungo – un apparecchio fotografico di fabbricazione tedesca o giapponese non costituiva solo un ricordo da riportare in patria: era anche un ottimo affare, poiché negli USA in quel momento non si produceva qualcosa di confrontabile; così, a quei facili clienti americani si rivolsero sia la Germania sia il Giappone. In quest’ultimo i negozi riservati agli occupanti (PX Store) furono riforniti con apparecchi specificamente destinati alla franchigia doganale, marcati con le lettere «EP» racchiuse in un rombo, probabilmente a significare proprio Export Production; i loro acquirenti furono, al ritorno a casa, degli ottimi testimonial. Come lo furono, ancor più autorevolmente, i fotografi professionisti di passaggio nei viaggi per documentare la guerra in Corea, i quali non mancarono di scoprire le nascenti virtù ottiche del Giappone, magari montate sulle loro Leica o Contax. Ciò che avvenne per il Giappone si era verificato anche in Europa, ma con sostanziali differenze, a causa della complessità dei rapporti fra le diverse parti in azione su tale scacchiere. Quanto gli assetti territoriali fossero critici in quei giorni, si può percepire soprattutto dal confronto fra la distribuzione geografica assegnata agli Alleati sul suolo tedesco nel 1946, e quella che era evidenziata dai limiti raggiunti dalle truppe americane al momento del VE Day: un’estesa superficie, comprendente fra le altre le città di Leipzig, Erfurt, Weimar e Jena era destinate a passare in pochi mesi dal controllo USA a quello URSS; con essa, risorse di grande valore, che sarebbero andate ad aggiungersi a quelle già sotto il controllo delle truppe sovietiche. Il 25 aprile 1945, con il congiungimento avvenuto presso Torgau sull’Elba, le truppe alleate avevano isolato da Berlino il territorio più a Sud, fra Chemnitz e Dresden, città che era stata oggetto di devastanti bombardamenti perché valutata come un potenziale nu- giugno 2014 — cleo di resistenza all’avanzata delle truppe sovietiche, e non solo. Quell’area, infatti, era considerata come un plesso strategico per la produzione d’equipaggiamenti d’uso generale, come i binocoli, o le attrezzature militari indirizzate a sistemi d’arma che prevedessero il loro impiego, come tutti gli strumenti di puntamento e di telerilevamento. Tale capacità di produzione, ancora consistente fino agli ultimi mesi di guerra, era già stata la causa di violentissimi bombardamenti, come quelli del 13 e del 14 febbraio, ma anche la ragione di una profonda attenzione verso tutti gli stessi apparati produttivi, i materiali e le risorse umane che ne avevano costituita l’ossatura. Fra le cose scampate alla recente distruzione – forse deliberata, e da qualcuno probabilmente già deprecata – che gli USA si accaparrarono, ci fu una parte di quanto della Zeiss Ikon era ormai destinato a restare nella zona d’influenza dell’URSS. Dresden entrò immediatamente sotto l’occupazione Sovietica, ma ciò non avvenne altrettanto celermente per Jena, dove gli Americani erano entrati per primi il 13 aprile 1945; pertanto, molte cose e centinaia di persone furono trasferite in tutta fretta prima che i Sovietici le reclamassero per competenza territoriale. Nei tre mesi successivi, infatti, i Russi presero possesso anche di Jena, e delle fabbriche che, quasi miracolosamente, erano ancora relativamente in buone condizioni. La Carl Zeiss divenne così il fulcro delle iniziative sovietiche; nei suoi stabilimenti di Jena si localizzò quindi la ripresa delle attività produttive, prima che i Sovietici trasferissero la fabbrica delle fotocamere a Kiev, e a Krasnogorsk quella degli obiettivi, come avvenne nel 1948. A quel punto, Dresden usciva dalla scena, almeno per la Contax a telemetro, ma sarebbe rimasta interprete in un’altra parte di storia della fotografia. Con la rinascita della Zeiss si pose quindi, quasi inevitabilmente, il problema dell’appartenenza del marchio stesso, che fu rivendicato a lungo fra Est e Ovest in una controversia che terminò legalmente solo nel 1971, con un accordo che assegnava il titolo alla Rotary Club Cagliari 37 parte Occidentale, ma proprio quando questa stava per porre fine alla sua gloriosa storia di produttore di fotocamere. La Leitz, dal canto suo, era riuscita a sopravvivere ai controlli nazisti negli anni Trenta, nascondendo l’abile azione umanitaria sviluppata dal 1933 al 1939 col concorso diretto della famiglia Leitz, che si era impegnata materialmente per la rischiosa salvezza di numerosi ebrei, trasferendoli all’estero come dipendenti e costituendo quello che fu chiamato “il treno Leica della libertà”. In termini strategici, nonostante la perdita dei brevetti sancita dopo la WWII, la Leitz era stata abbastanza dinamica da non restare imbrigliata – come rapidamente dimostrò con il modello M3 e, in seguito, con le reflex – in un’azione industriale basata sulla contemplazione tecnologica di quello che si avviava rapidamente a divenire storia passata. L’esplosione di copie, alla fin fine, celebrava l’immagine della Leica stessa, consolidandone il mito e il ruolo di archetipo irraggiungibile. Peraltro, la lezione giapponese nel dopoguerra aveva espresso il principio che la qualità sarebbe stata possibile e perfino necessaria, ma solo se sostenuta da grandi produzioni e, pertanto, dalla più rigorosa organizzazione industriale e commerciale. Ancora una volta, si dimostravo realistico il messaggio del Bauhaus: paradossalmente, solo i numeri della produzione di massa sarebbero stati in grado di consentire la maggiore qualità, quando questa si fosse voluta perseguire come obiettivo umanamente accessibile; dunque, il mercato doveva puntare alla massa e orientare i bisogni dei consumatori, abituandoli a pretendere, salvo snobismi comunque inarrestabili, che tale qualità fosse intrinsecamente garantita come parte stessa del processo industriale e dell’evoluzione sociale. Conquistare quella qualità non fu facile, a partire dalla necessità di garantire quella delle immagini prodotte nonostante l’assunzione del nuovo formato “miniatura”: il 35 mm. 38 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Negli anni Trenta la riduzione delle scelte circa il formato della pellicola e le dimensioni dell’immagine negativa appariva decisiva. Infatti, le fotocamere che usavano pellicole a nastro si affermavano progressivamente, in Europa, come valida e comoda scelta rispetto ai più impegnativi apparecchi per l’uso di pellicole piane o lastre di medio e grande formato; in America, apparecchi molto più popolari e semplici di Leica e Contax, come l’Argus A, realizzata in Bakelite, facevano altrettanto. Tuttavia, il 35 mm – che pure sembrava aprire ampie strade alle più disparate attività fotografiche – era in quei momenti al centro di un dubbio, poi destinato a risolversi nel tempo: se un negativo così ridotto fosse effettivamente in grado di garantire una sufficiente qualità dell’immagine, cosa questa che restava evidentemente il più importante aspetto da tenere in considerazione per qualunque possibilità. Il 35 mm, però, dopo la guerra interpretò una svolta soprattutto per l’emergere di un nuovo modello di fotocamera: la reflex monobiettivo, la cosiddetta SRL. Questa, effettivamente, era già stata concepita e brevettata da parte dell’architetto tedesco Kurt Staudinger sin dal 1932, anno nel quale la Zeiss aveva immesso nel mercato la sua prima Contax. L’innovazione tecnica prospettata da Staudinger – nel bel mezzo del braccio di ferro fra Leica e Contax, che aveva polarizzato ogni attenzione – finì per essere trascurata, almeno in quel momento. Tuttavia, non molti anni dopo – e precisamente nel 1938, quando erano già apparse le nuove Contax, la Tenax e la Nettax, tutte a telemetro – Hubert Nerwin, che di quella fase di evoluzione tecnica era stato il fondamentale propulsore nella Zeiss, si propose lo studio di una SLR con prisma pentagonale, come quella del brevetto di Staudinger: era la Syntax (Syn-tesi + Con-tax), un’altra Zeiss-con-la-X. Le condizioni imposte dallo scoppio della guerra limitarono in modo decisivo gli sviluppi, poiché tutte le energie dovevano essere concentrate sulla produzione; tuttavia, la ricerca sulla reflex a pentaprisma non fu ab- bandonata se, nel bel mezzo del conflitto (era il 1941), si poté richiedere il brevetto per un modello di quel tipo, la cui produzione fu riservata al dopoguerra, percepito ancora come ricco di prospettive. Come ben sappiamo, le cose andarono diversamente: anche se Hubert Nerwin continuò ad avere un ruolo molto importante nella Zeiss Ikon del dopoguerra, non fu dalla sua parte che furono ripresi gli studi per la produzione di una SRL; o almeno non subito, dato che la prima Contax SRL apparve nella Germania Est. Con gli anni Cinquanta, Zeiss percepì l’urgenza di un’evoluzione tecnologica in grado di spostare in avanti non solo il livello qualitativo delle realizzazioni industriali, ma le prospettive stesse della strumentazione fotografica. Ciò fu pensato con particolare riferimento al rilancio del 35 mm in un ambito professionale ormai incline ad assumere come base la pellicola 120 e il formato quadrato, lasciando progressivamente la pellicola perforata al settore amatoriale e a quello dei grandi amanti dell’immediatezza stile Leica, come Cartier Bresson e altri, presenti e operanti anche come testimonial, ma certamente meno rilevanti nei settori più commerciali. Si dovette attraversare ancora un decennio, infatti, perché il progressivo affermarsi della Nikon F nella foto creativa della moda e, soprattutto, nel reportage di una guerra documentata in tempo reale come avvenne per quella del Vietnam – come efficacemente rappresentato da Blow Up di Antonioni, e da Full Metal Jacket di Kubrik o da Apocalypse Now di Coppola – facesse percepire appieno i vantaggi di un sistema efficiente, affidabile e molto più rapido nell’uso di qualunque altro mai proposto prima, come appariva ormai essere quello basato su una reflex 35 mm, con esposimetro e obiettivi intercambiabili. Perfino la NASA, nel documentare i suoi successi spaziali, non si limitò all’Hasselblad – anche se questa finì per diventare un’interprete per eccellenza, e un’icona a sua volta – ma utilizzò i migliori prodotti Nikon e Zeiss, anche se paradossalmente penalizzati dalle loro ridotte dimensioni, almeno quando nelle mani guantate degli astronauti. giugno 2014 — Un elemento caratterizzante quel mondo era l’avvento del colore; forse, perfino, lo stesso eccesso di colore: tutto era colorato nelle brochure, mentre certo così non era stato nelle pubblicità d’anteguerra. Soprattutto, però, quell’abbondanza ammiccava al colore reso possibile per il fotografo: se gli anni Trenta avevano dato il via alla fotopiccola, all’ingrandimento e alla camera oscura, gli anni Cinquanta assegnavano alla pellicola 35 mm il compito di tradursi in slide o di veicolare stampe a colori. Tutto questo escludeva – salvo rare eccezioni – un ruolo dopo lo scatto da parte dei dilettanti, relativamente abbandonati a un’offerta di servizi forse più attenta ai numeri che alla qualità, ma comunque evocata nella comunicazione e affidata all’imponenza dei procedimenti industriali. L’industria fotografica richiedeva a gran voce di fotografare tutto, sempre e comunque, e scattare molte foto dello stesso soggetto, provando diverse inquadrature e pellicole. Una politica che avrebbe gonfiato i profitti per qualche decennio, ma che avrebbe poi spazzato via tutto, aprendo la strada al digitale e alla sua caratteristica immaterialità e volatilità, lasciando – di tutto quel massiccio fotografare – cassetti colmi di piccole stampe di pessima qualità, dai colori resi improbabili dal progressivo e inarrestabile decadimento fisico e chimico. Paradossalmente, la negazione della storia della fotografia di qualità, con tutte le sue migliorie post belliche, e un assist poderoso alla cultura dell’immagine usa e getta. Inoltre, la fine degli anni Cinquanta vedeva compiersi il destino delle macchine 35 mm a telemetro, con la sola esclusione della Leica, che nella storia di qual tipo di macchina continuò a mantenere un ruolo particolare: Leitz, infatti, si limitò ad aprire un canale parallelo per la Leicaflex e la futura linea “R”, mentre un po’ tutti gli altri produttori decidevano d’abbandonare il settore delle rangefinder. Fra questi, la Zeiss, che chiuse nel 1959 la produzione delle Contax, pur continuando a tenerla a listino per qualche tempo, e la Nikon, che abbandonò Rotary Club Cagliari 39 quella delle sue “tipo S”, salvo riproporre in seguito un ultimo modello definito S3 Olympic, dedicato appunto alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Indicativo appare il fatto che, mentre la Zeiss e la Nikon facevano tale scelta – producendo e commercializzando ottime fotocamere come quelle citate, ma non traendone soddisfazioni commerciali sufficienti a tenerle in vita negli anni Sessanta – la Leitz aveva, di fatto, realizzato il passaggio di consegne fra i suoi modelli con attacco a vite e quelli con la nuova baionetta. Contemporanea della Contaflex fu così la Leica M3: una splendida macchina, le cui innovazioni non sfioravano neanche da lontano quelle introdotte dalla piccola reflex Zeiss, ma che aveva dalla sua un mercato – quello delle rangefinder d’alta qualità – destinato a restare sostanzialmente nelle mani della sola casa di Wetzlar nonostante i successivi travagli di quest’ultima. Nel campo delle reflex con otturatore a tendina, il decennio degli anni Cinquanta aveva esposto un quadro abbastanza confuso. Infatti, accanto all’italiana Rectaflex – nata per essere un prodotto innovativo, d’alto livello sia sotto il profilo funzionale che costruttivo, ma limitata da problemi aziendali – restavano in campo solo le tedesche orientali, eredi delle nobili tradizioni di Dresden, ma 40 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 allora emarginate da un mercato molto orientato dalle politiche commerciali americane, poco inclini a cedimenti verso quanto provenisse d’oltre cortina. Ciò indusse a sottostimare qualitativamente la Contax S, e a relegare la storica Exakta Ihagee in una sorta di limbo. Negli ultimi anni Cinquanta, le esigenze determinate dalla domanda di più alto profilo avevano invece trovato risposta in una maggiore complessità dell’offerta, riassunta però in un punto fermo: il sistema. La qualità non poteva essere una discriminante: essa doveva esserci, ed essere totale; ma tale qualità non poteva restare attributo di un apparecchio o di un marchio, per quanto importante potesse essere: essa doveva comprendere l’estensione alla più piccola parte col contributo della quale fosse possibile soddisfare ogni esigenza funzionale immediata o potenziale. Tale sistema, a sua volta, non poteva che costituire il mezzo stesso per la crescita modulare di qualcosa che divenisse via via sempre meno identificabile in un modello, e sempre più in una famiglia – talvolta in una dinastia – di corpi, di obiettivi e di accessori. Di tale evoluzione, negli anni Sessanta furono interpreti la Zeiss con la Contarex, e la Nikon con la sua “F”. Con gli anni Settanta, il quadro cambiò ancora. Ancora prima di arrivare alle EOS, la vera scala per i vertici del mercato, la Canon diede una forte scossa allo stesso, puntando direttamente a fare concorrenza alla Nikon, ormai quasi senza rivali sulla scena professionale, specie dopo l’abbandono da parte di Zeiss. Nel 1972, infatti, la Canon immetteva sul mercato la sua prima professionale a sistema; il nome era quello già dato dalla concorrente più diretta: “F”, al quale si aggiungeva – tanto per aumentare la confusione, poiché la Nikon stava commercializzando la sua “F2” – la ben augurante cifra da sempre espressione di un inizio o di un primato, il numero “1”. Così, la Nikon continuò la serie fino alla F6, ma non fece mai una F1: ci pensò la Canon. Quest’ultima, alla quale era evidentemente piaciuto quel magico richiamo, ribadì il peso della sua presenza tec- nica e commerciale con il varo della A1: una macchina semiprofessionale ad alte prestazioni, destinata a precedere nell’uso esteso dell’elettronica la nuova Nikon F3, che qualche anno dopo si sarebbe sostituita alla Nikon F2, che era stata più simile alla Nikon F soprattutto nelle caratteristiche generali del sistema esposimetrico, ancora basato sul principio modulare rappresentato dal Photomic. La F3 fu studiata con particolare attenzione all’aspetto estetico ed ergonomico; per meglio approfondire quei temi, la Nikon ritenne di avvalersi delle capacità di Giorgetto Giugiaro, un valente specialista italiano al quale avrebbe da allora attribuito un ruolo importante nel processo evolutivo delle sue produzioni, sposandone una filosofia abbastanza riconoscibile anche formalmente: una firma percettibile. Un simile fiore all’occhiello – con l’esplicito riconoscimento delle qualità espressive del design europeo – aveva marcato la Contax orientale, prodotta dalla Yashica dopo l’abbandono della produzione di fotocamere da parte della Zeiss Ikon. Tale fotocamera, infatti, non solo aveva potuto avvalersi del know-how della casa tedesca – compreso il nuovo trattamento T* degli obiettivi tradizionali Zeiss che le erano stati resi disponibili come punto di forza e a supporto del nome – ma aveva potuto godere di un notevole apporto di qualità e di immagine derivante dal progetto formale prodotto dal settore design della Porsche. Per tutto quanto si è detto, appare abbastanza chiaro come la forma del corpo macchina abbia risentito fortemente dei passaggi rappresentati. Per arrivare ai giorni nostri, possiamo facilmente dire che le grandi impugnature attuali, che confermano l’utilità d’avere una solida presa con la mano destra, non sarebbero possibili – almeno in tali esasperate proporzioni – se fosse ancora necessario il caricamento con la leva rapida. Se osserviamo, infatti, la Nikon F3 – in pratica l’ultima macchina di quella marca nella quale il caricamento fosse ancora manuale, in assenza di motore – possiamo renderci conto di come il designer Giugiaro abbia solo giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 41 agevolato la presa da parte della mano, inserendo nel corpo macchina un modesto rigonfiamento, ben diverso da quanto successivamente realizzato soprattutto a partire dalla F5, per continuare con le digitali professionali. Le impugnature più recenti, infatti, impongono – o agevolano, se si preferisce – una torsione del polso in avanti. Questa impedisce al pollice d’esercitare la rotazione possente di una volta, e induce la punta delle dita ad assumere una posizione più perpendicolare al corpo macchina che parallela a questo, com’era invece su tutte le Zeiss, e com’è tuttora sulla Leica digitale, che continua a mantenere un assetto ergonomico quasi identico a quello previsto da Barnack: noblesse oblige, per una Leica a forma di Leica. La forma caratteristica degli oggetti prodotti dall’uomo, in generale, ha subito evoluzioni importanti nel tempo. Le ragioni sono state diverse: oltre al gusto, l’introduzione di nuovi materiali mandi stessi, dato che quee, soprattutto, di nuovi bisogni, sti erano comunque governati da funzioni e tecnologie. impulsi digitali. Per essere più chiari: Con la discesa dell’Uomo sulla Luna nel l’astronauta si trovò a gestire – e ne andava 1969 è avvenuta, oltre alla conquista scien- della vita – i primi comandi analogico/digitifica e politica, un’altra cosa straordinaria- tali concretamente usati nella storia, almemente importante; eppure questa è sfuggita no con tale livello di complessità, e realizzava ai più. Non è colpa della Luna, naturalmente, ciò che oggi avviene comunemente, senza che o della stessa gara spaziale e della necessa- neppure ce ne rendiamo conto. Si era interria segretazione di molti importanti dettagli rotto il comando meccanico delle funzioni – che l’hanno riguardata; e non ha colpa nep- ma perfino quello semplicemente servo aspure la NASA, che ha certamente contribui- sistito e a distanza, come quelli pneumatici, to a sviluppare e diffondere molti eventi tec- idraulici, elettrici o misti – per far posto a conologici innovativi, talvolta anche con qual- mandi digitali e logici. che squillo di tromba e importanti ritorni ecoCon la rottura del paradigma di causa ed nomici e d’immagine. Quella cosa importante, effetto analogici, a un impulso non corrimolto importante, non era allora facilmen- spondeva pertanto un mero evento fisico, ma te interpretabile nelle implicazioni, che han- un complesso segnale logico: così il grande no richiesto del tempo per essere percepite balzo per l’Umanità rappresentato dall’alnella loro reale misura: tutto qui. lunaggio diventava ancora più imponente, ma Quando il modulo lunare si avvicinò alla pressoché invisibile, senza che una traccia sulsuperficie della Luna, i computer avrebbe- la polvere lo rimarcasse. ro dovuto governare discesa e allunaggio; per Al tempo stesso la forma, nel cercare la un malfunzionamento del sistema, ciò non fu funzione, scopriva che questa si era smatepossibile, e il pilota dovette assumere il co- rializzata, diventando, da percettibile aziomando, integrando in modo interattivo l’at- ne e reazione com’era stata, codifica e detività del computer. Computer il quale, pe- codifica di un segnale sostanzialmente imraltro, controllava contemporaneamente i co- materiale. 42 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Negli smartphone, dove strumenti di output e input coincidono, la cosa raggiunge ormai l’ultimo livello prima della smaterializzazione totale, e non lascia alcuno spazio al rapporto forma/funzione, ormai morto e sepolto salvo sporadici casi di rancidi comandi metaforici. L’estrema resipiscenza è costituita da un certo numero di accessori – nei quali forma e funzione sembrano riapparire – quali tastiere aggiuntive su scala umana, auricolari, teleobiettivi ottici, docking station, astucci vari, catenelle da polso e da collo, e chi più ne ha più ne metta, in generale con la percettibile mediazione del corpo umano e dei suoi naturali moduli antropometrici. Naturalmente, ognuna di queste cose, ritrovando una forma – anche se spesso inadeguata – concorre a creare formalmente il sistema molto più di quanto non avesse fatto lo stesso cellulare “base”. Ai tempi delle Leica e delle Contax, quando nascevano i rispettivi sistemi, alcune regole sembravano essere state applicate appieno: le cose erano dove e come dovevano essere, e assomigliavano perfettamente a come ci si aspettava che dovessero apparire (dopo averle viste). Non che non ci fosse un’esplosione evolutiva quasi biologica, con specie in continua effervescenza e possibili binari morti; ma tanta tensione al cambiamento esaltava le percettibili cause dello stesso, senza negare le ragioni del modello precedente, ma anzi rimarcandone le qualità preconizzatrici e l’illuminante coerenza del processo evolutivo. Così, le Leica erano fatte a forma di Leica, e le Zeiss (giacché erano diverse) a forma di Zeiss; il tutto davvero in modo assai verisimile e, in fondo, poetico, aristotelicamente parlando. Che dire, in conclusione? Forse che la saga del 35 mm, durata almeno settantacinque anni, non è mai finita. Non casualmente, infatti, la fotografia professionale si avvale ancora, quasi miracolosamente, di apparecchi straordinariamente simili – anche se digitali – a quelli che possono considerarsi come il limite estremo delle macchine per pellicola. Allo stesso modo, la dimensione dei sensori e la focale degli obiettivi assegnano ancora al “24 x 36” un’attualità straordinaria. Fra mille cambiamenti, infine, dietro il mirino c’è ancora un occhio umano, connesso – sempre che voglia – a un cervello. Analogico, probabilmente, con qualche sfumatura digitale. ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 43 Un piccolo segreto? Si è concluso un anno splendido Paolo Ritossa i chiude uno splendido anno rotariano e la nostra bella rivista, fresca di stampa, sarà certamente ricolma di lodi e riconoscimenti per l’operato del nostro Presidente e del suo staff. Francesco Birocchi è stato esemplare nella sua saggia sobrietà e affabilità, con la quale ha proposto belle e forti iniziative, e nella sua capacità di coinvolgere, in un clima di amabile cordialità, soci e personalità esterne in dotte e interessanti relazioni. D’altra parte i nuovi soci, tutti di grande attendibilità professionale, hanno già manifestato la loro propensione ad una più che amichevole integrazione all’interno di un Club che li ha accolti con calore. Francesco ha lanciato anche all’esterno un forte segnale di vitalità di cui ospiti e relatori hanno dato ampia conferma. Nessuna paura quindi che il Club possa aver intrapreso una deriva verso la sua decadenza ma, anzi, la constatazione che oggi possa sostenere, a buon diritto, il confronto con i più illuminati e fecondi periodi della sua storia. D’altronde non è solamente la presenza di grandi nomi a formare un buon club ma occorre sempre una giusta composizione di donne ed uomini, anziani e giovani, personaggi illustri o più modesti, sempre coesi nel perseguire gli obiettivi del Rotary. Una buona percentuale di nonni è sempre garanzia di saggezza e bontà. S È questa l’immagine che si può avere ponendosi per un attimo al tavolo della presidenza, guardare verso la sala e percepire non solo una composita e qualificata rappresentanza della nostra società ma anche donne ed uomini sorridenti e attenti, disposti a condividere gioie e dispiaceri, decisi a perseguire gli obiettivi del servizio verso i più bisognosi in un clima di sincera amicizia. Paul Harris nel fondare il primo club scelse come compagni un commerciante di carbone, illuminato nel condurre la sua attività, il fondatore di una società commerciale, pare di cultura limitata, un sarto ed uno stampatore. Uomini di diversa estrazione, professione, religione ed opinioni politiche che si riunivano nel segno dell’amicizia. Ora io, semplice sarto nel nostro Rotary, mi accorgo, veramente e sinceramente, della mia modestia nel confrontarmi con le grandi persone del club, ma allo stesso tempo, so di godere della loro amicizia e sono felice di poter dar loro la mia. E questo è per me, il sentirmi cioè tra amici sinceri, fonte di grande serenità e di determinazione nel condividere il mio tempo e gli obiettivi comuni. Che sia nel saper creare questo stato d’animo il piccolo segreto di un grande club? ■ 44 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 La fotografa giramondo Daniela Zedda M. M. o iniziato a fotografare perché non sapevo disegnare... Allora le macchine erano solo analogiche e le stampe si facevano in camera oscura. Ancora oggi, nell’adoperare le digitali, conservo lo stesso approccio rigoroso. Non ho mai letto un manuale di fotografia. Ho sempre pensato che la fotografia non riproduce la realtà, ma ne rappresenta uno dei possibili significati. Non si tratta di cogliere l’attimo, ma di elaborare il pensiero che conduce allo scatto, ed è l’istinto a scegliere l’attimo...». In questi pochi concetti – enunciati nella sua conversazione in una interessantissima riunione del Club nel febbraio scorso – si racchiude la movimentata professione di Daniela Zedda, fotografa d’arte e di spettacolo, ritrattista, giornalista, giramondo. Quando studiava al liceo scientifico era determinata a diventare architetto, ma nel diciottesimo compleanno le venne regalato un oggetto che – ancora non lo sapeva – avrebbe condizionato l’intera sua vita. Si trovò ad armeggiare con una macchina fotografica Pentax K1000 reflex, tutta manuale. Andò a frequentare l’Istituto superiore di educazione fisica, ma quella Pentax l’allontanava dalla prospettiva di insegnare ginnastica nelle scuole. Cominciò a scoprire suggestive inquadrature di spettacoli musicali, dal Festival del jazz agli eventi dell’Estate cagliaritana; era corteggiata, non c’era chi non le chiedesse uno scatto d’obiettivo. Un bravo giornalista della RaiTv le propose di collaborare con la rivista culturale Altair, poi le si concretizzò uno stipendio da parte de L’Altro Giornale, quotidiano cagliaritano che però ebbe brevissima vita. Ormai era conosciuta, «H e come fotoreporter free-lance cominciò a lavorare per L’Unione Sarda; ma a lei non piaceva la fotografia su strada, e del resto era chiaro che la sua vera potenza espressiva si manifestasse nello scenario dello spettacolo: dal rock alla lirica, dalla chitarra elettrica al pianoforte a coda, non c’è artista che non sia stato fermato dal suo obiettivo; né è ormai possibile contare le immagini degli attori colte sui palcoscenici teatrali della Sardegna. Daniela Zedda non ha raccontato tutto questo ai soci del Rc Cagliari: ha preferito rivelare l’anima della sua professione. L’ha fatto con convinzione, passione e parole semplici, lasciandosi capire anche nelle parti più tecniche. Era stata invitata soprattutto sull’eco di un suo successo di qualche mese prima: la pubblicazione di un volume di sue inedite fotografie che ha riscosso grande favore di pubblico e ha dato spunto ad una frequentatissima mostra di pannelli fotografici. S’intitola Aldiladelmare e presenta 88 ritratti di personaggi sardi – alcuni noti, altri del tutto sconosciuti – che hanno portato il proprio ingegno nel continente: al di là del mare, appunto. Una pubblicazione molto diversa da quella, non meno affascinante, edita nel 2006 (Solitude, personaggi del jazz colti all’opera, tutto in bianco e nero). Non è stato facile realizzare questo libro di indubbia qualità: assieme alla giornalista Maria Paola Masala (autrice dei testi), la fotografa cagliaritana è andata in giro per l’Italia e per l’Europa nella ricerca di figure significative. Ci son voluti quasi due anni. Ha spiegato: «Il libro è pensato per “raccontare” la capacità dei sardi di integrarsi in qualsiasi contesto e situazione, di farsi valere e di- giugno 2014 — mostrare che siamo persone serie, rigorose, stimabili e stimate. Caratteristiche tutt’altro che stereotipate e che in Sardegna non vengono riconosciute. Ho cercato di mettere in risalto le personalità individuali e collocarle in relazione con i luoghi dove vivono. Il loro Rotary Club Cagliari 45 pensiero sardo non è il nuraghe ma il mare; e al di là del mare è la loro condizione attuale di vita». Del resto, la casa è dove si sta bene, anche se la testa è fra le coste isolane. ■ 46 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Una figura scomparsa Su bandidori Mariangela Zedda er secoli il “giornale del mattino” era il bando pubblico: una persona fornita di buona voce comunicava sulle strade ciò che poteva interessare la comunità. L’incaricato di urlare le informazioni sulle strade era il “banditore”, anticamente (ma anche in tempi recenti) definito anche “gridatore” perché doveva gridare; infatti nel medioevo gli ordini dei governanti rivolti alla popolazione si chiamavano “grida”. Anche le condanne all’esilio venivano proclamate con il bando, perché la gente sapesse chi era considerato fuori della legge e non poteva rimanere nella comunità; un uomo “messo al bando” era quindi un “bandito”. In Sardegna, fino alla metà del secolo scorso, “su bandidòri” era chiamato anche “su gridadòri”. Chi svolgeva questa attività era in genere un uomo privo di risorse o inabile al lavoro, la cui unica occupazione consisteva appunto nel far conoscere alla gente le disposizioni di chi amministrava il Comune. Era importante che il banditore fosse persona onesta, e soprattutto avesse non solo forte voce ma anche buona memoria; non sapendo leggere né scrivere, doveva ricordare bene quel che aveva da dire, per non divulgare informazioni sbagliate. Armato di una trombetta (ma prima fornito di tamburo, o di un corno di bue) percorreva le strade del paese, lanciava alcuni squilli e cominciava a urlare: «Si ’èttat custu bandu...». L’amministrazione civica gli dava un limitato compenso mensile: tanto insufficiente che, a un certo punto, su bandidori cominciò ad arrangiarsi come “libero professionista”, aggiungendo alle comunicazioni ufficiali tutta una serie di piccole notizie di carattere privato commissio- P nategli dai compaesani commercianti. Così, dopo avere inaugurato l’era della comunicazione pubblica, il banditore è stato anche il primo pubblicitario. Il lavoro del banditore è stato utile sino agli anni Cinquanta del Novecento; poi il progredire dell’alfabetizzazione e dei sempre più moderni mezzi di comunicazione (i fogli stampati, i ciclostilati, l’altoparlante, la radio) ha mandato definitivamente in archivio lo storico uomo con la trombetta. Dopo decenni dalla scomparsa, la sua figura è ancora viva nella memoria delle persone meno giovani. Di questo ancestrale professionista dell’informazione pubblica si è parlato pochi mesi fa nel nostro club rotariano: su proposta del presidente Birocchi, mio marito (Mauro Manunza) ed io abbiamo presentato un documentario dal titolo “Sulle strade di su bandidori”. Poi mi è stato chiesto dal pdg Artizzu di spiegare su questa rivista semestrale il contenuto e l’origine del docufilm. Il dvd fu realizzato quattro anni fa attraverso una faticosa gestazione. In quell’anno scolastico (insegno materie letterarie nella scuola media di Sinnai, il mio paese) avevo incaricato i miei allievi di svolgere una ricerca appunto sulla figura banditore, e il risultato era stato incoraggiante: un volumetto ricco di storia locale, informazioni, interviste alle persone anziane. Fu quell’esperienza a fornirci l’idea di un’indagine più approfondita e matura. Mauro, giornalista, mise in campo la sua professione e insieme cercammo e ottenemmo notizie, qualche vecchio filmato e immagini d’ambiente, documenti d’archivio, te- giugno 2014 — stimonianze, interviste. Praticamente impossibile trovare fotografie: ne procurammo solo un paio. Ma avevamo una carta importante da giocare: si trattava di Antonino Grifagno, ex forestale, nipote di uno degli ultimi banditori sinnaesi, che quand’era bambino accompagnava il nonno cieco (Amadeddu Gulleri, poeta dialettale, maestro di cantadas estemporanee) lungo il percorso urbano. Ed è stato Antonino, custode geloso dell’autentica trombetta di ottone che per anni aveva accompagnato su gridadori sino alla metà dei Cinquanta, a farsi protagonista del documentario: grazie a lui è stata possibile una fedele ricostruzione del lungo itinerario e di quel che avveniva dopo i tre squilli di richiamo. La gente si fermava, le massaie uscivano di casa, qualcuno chiedeva precisazioni che difficilmente su bandidori era in grado di fornire. Così tutti venivano a conoscenza non solo delle informazioni comunali ma anche delle comunicazioni “pubblicitarie” di ortolani, fruttivendoli, bottegai vari, vendito- Rotary Club Cagliari 47 ri di carne e di pesce. «Oi si ’èttat custa grida... Anti pottàu pisci friscu de Casteddu, giarrèttus, sardina, conch’e pischèra, pisc’e cassòla, tottu bellu friscu...». I negozianti erano soddisfatti e ricompensavano il banditore prevalentemente con generi alimentari della propria bottega: c’era chi gli dava unu soddu, chi 50 centesimi, chi tres arriàlis, chi un paio di giarrètus rimasti invenduti, o resti di carne, un pezzo di formaggio, un po’ di pasta, frutta. I gridadoris arrotondavano il compenso anche portando le notizie a domicilio. «Ita c’esti?». «Est’arribàu su pisci friscu anch’e Assunta ’e su pisci: bai immòi, poìta si spàcciara». Dalle case delle persone benestanti non usciva senza niente in mano: una bottiglia di vino, una pagnotta, legumi. Certo, il banditore doveva avere una buona memoria. Non poteva sbagliare. C’è a Sinnai una pagina di storia che ricorda un clamoroso e drammatico episodio. Avvenne nel gennaio del 1793, quando la flotta francese era in rada per tentare la conquista di Cagliari. 48 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Il Viceré piemontese pubblicò disposizioni anti-francesi e subito anche le autorità sinnaesi ne disposero la diffusione. In quel momento in paese mancava il banditore e venne incaricato il gridatore di Selargius, che – lasciando tutti esterrefatti – proclamò un bando anti-piemontese. Al suono del tamburo, infatti, andava dicendo in sostanza che il viceré si era accordato con i francesi; e che chiunque lo dichiarasse avrebbe avuto in premio cinquecento scudi. Nel paese ci fu una grande confusione che ebbe immediati riflessi a Cagliari. Il banditore selargino fu arrestato e condannato alla galera per tutta la vita. Fu torturato perché rivelasse i nomi di eventuali complici. Non si è mai capito se il poveretto avesse capito male il messaggio o si fosse espresso malamente nella traduzione dall’italiano al sardo; se fosse un pasticcione o un impudente spiritoso; o se invece fosse un rivoluzionario come tanti altri che facevano propaganda anti-Savoia in quel periodo (proprio a Sinnai non mancavano i cospiratori contro i piemontesi, che di lì a poco sarebbero stati scacciati da Cagliari nel giorno ricordato come Sa die de sa Sardigna). Negli anni successivi all’ultima guerra i bandidoris pian piano cedettero il passo alle nuove forme di comunicazione di massa. Nella maggior parte dei paesi sardi vennero sostituiti da un altoparlante che dava le notizie dall’alto del campanile (accadeva anche che le campane suonassero atrupelliàras, a storno, quando c’era un incendio vicino all’abitato, e la gente doveva correre ad aiutare a spegnere le fiamme). Col tempo l’analfabetismo si ridusse e le “gride” cominciarono a trovar posto nelle bacheche del Municipio. Arrivò il telefono, si ascoltava la radio, si leggevano i giornali. Giunse il momento della televisione, e via via si sono succeduti sempre nuovi ed efficaci mezzi d’informazione sociale. Poi la rete globale di Internet ha rivoluzionato l’interscambio di rapporti personali e collettivi. La vecchia trombetta di su gridadori sembra uno strumento antidiluviano, e per fortuna c’è Antonino che può ancora mostrare lo strumento storico del nonno. Ringraziamo Antonino per il suo ruolo di autentico primattore; e anche Italo Orrù (fotografo e documentarista che opera anche per il nostro Club) per le riprese della ricostruzione filmata, l’attore Simeone Latini per avere prestato la sua bella voce al documentario; il chitarrista Luca Tiddia per l’accompagnamento musicale molto “sardo”. E ringraziamo i sinnaesi per l’aiuto e l’entusiasmo con cui hanno accolto il documentario nel teatro di Sinnai quattro anni fa. E – ovviamente – ringraziamo i soci del Club pazientemente presenti alla serata rotariana del 20 marzo scorso. ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 49 La sperimentazione terapeutica con le cellule staminali Emotività e razionalità: il caso Stamina Carlo Carcassi a “terapia” Stamina nota anche come metodo Stamina, è una discussa alternativa a trattamenti medici regolarmente autorizzati e registrati, inventata da un ex professore italiano di psicologia presso l’Università degli Studi di Udine, Davide Vannoni, fondatore e presidente della Stamina Foundation, un’organizzazione no-profit creata nel 2009, e proprietario di una società di ricerche di mercato. Questa “terapia”, finalizzata principalmente a malattie neurodegenerative, sarebbe basata sulla conversione delle cellule staminali mesenchimali in neuroni ed è tutt’ora tenuta segreta dai suoi promotori e priva di validazione scientifica capace di dimostrare una qualsiasi efficacia terapeutica. Non sembra, inoltre, che Vannoni abbia mai pubblicato alcun articolo sulla terapia Stamina su riviste scientifiche sottoponendo in tal modo la sua “terapia” alla comune valutazione internazionale tra esperti. Nel mondo sono oltre 500 le strutture in cui è possibile sottoporsi a trattamenti con staminali, non validati da nessuna sperimentazione clinica. Un business veicolato attraverso siti web e strategie pubblicitarie spesso ingannevoli e che in alcune nazioni è finito sotto indagine della magistratura. L Il metodo Stamina è sotto i riflettori dei media, dopo una trasmissione del popolare programma televisivo italiano Le Iene, andato in onda nel febbraio 2013, che mostra alcuni bambini con varie malattie neuro-degenerative. Viene sostenuto che l’infusione di cellule staminali avrebbe portato a miglioramenti rilevanti in poche settimane, e viene suggerito, senza alcuna prova, che possa modificare il decorso fatale. Il programma televisivo è accusato da molti di disinformazione scientifica. Il Governo italiano nel maggio del 2013 ha deciso di iniziare a testare la terapia Stamina, dopo forti pressioni da parte dei media e delle sempre più insistenti manifestazioni di piazza pro-Stamina, tra le forti proteste della comunità scientifica italiana e internazionale. Il metodo proposto comprende la conversione di cellule staminali mesenchimali (cellule normalmente destinate alla generazione di ossa e tessuto adiposo) in neuroni, dopo una breve esposizione ad acido retinoico diluito in etanolo. La terapia consiste nel rimuovere le cellule dal midollo osseo di pazienti, la loro manipolazione in vitro e infine la reinfusione nei pazienti stessi. Vannoni ha ripetutamente rifiutato di rivelare i dettagli del suo metodo perché inclusi 50 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 nella sua domanda di brevetto, non ha mai prodotto prove scientifiche sull’efficacia del metodo, ma ha sempre sostenuto la sua validità. Questi presunti benefici sono evidenziati da video multipli, spesso auto-prodotti, alcuni dei quali sono stati trasmessi in televisione, riguardanti prevalentemente i bambini. Dalle indagini della Procura di Torino (che ha sentito diversi esperti in materia), i benefici mostrati nei video non sono stati misurati scientificamente e oggettivamente, ma sono il risultato di esagerazioni o terapie adiuvanti alle quali sono stati sottoposti questi bambini. Tra il 2007 e il 2009 la “terapia” comincia ad essere somministrata a pazienti senza alcun controllo o autorizzazione da parte del sistema sanitario nazionale, mentre è pubblicizzato in diversi ospedali da volantini che proclamavano «più di mille casi trattati, un recupero dei danni del 70-100%, una serie di venti malattie trattate», e da un video che mostra una presunta guarigione miracolosa ottenuta con le cellule staminali. In questo lasso di tempo, 68 persone (tre erano minorenni) sono state sottoposte al presunto trattamento; quattordici di loro hanno effettuato pagamenti da 4.000 a 55.000 euro. Nel 2009 il magistrato Raffaele Guariniello ha avviato un’indagine dopo un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. L’indagine mirava a chiarire la posizione Vannoni sull’impiego di cellule staminali di fuori dei protocolli sperimentali previsti dalla legge. Alla fine del 2009, numerosi articoli di giornale sono apparsi sulla stampa sulle attività di Davide Vannoni. La stampa riferisce che Vannoni ha promesso il suo trattamento per molte malattie neurodegenerative, ricevendo i pa- gamenti che vanno da 20.000 a 50.000 euro, con metodi poco chiari e danni che a volte hanno procurato conseguenze indesiderate. L’inchiesta di Guariniello coinvolge anche il centro di bellezza di San Marino, che non è autorizzato a trattamenti medici. Brescia è una tappa importante in questa storia: grazie al pediatra Marino Andolina, un collaboratore di Vannoni e ora vice-presidente della Stamina Foundation, la terapia Stamina è stata praticata, pur senza autorizzazione ministeriale, come accesso allargato negli Ospedali Civili di Brescia, importante ospedale generale italiano, su pazienti (compresi diversi bambini) affetti da gravi malattie neurodegenerative. Nei primi mesi del 2012, il Gruppo dei Carabinieri AntiSofisticazione e l’Agenzia Italiana del Farmaco hanno iniziato un controllo presso gli Ospedali Civili di Brescia che ha rivelato la non conformità ai requisiti di sicurezza e d’igiene e mancanza di documenti richiesti dalla legge. È stato constatato che le preparazioni di cellule non contengono quantità rilevanti di cellule staminali mesenchimali, e che non erano in grado di differenziarsi in neuroni, e contenevano una notevole quantità di inquinanti pericolosi. Secondo l’analisi delle cartelle cliniche di 36 pazienti, non vi era alcun miglioramento nei pazienti, tranne che in tre casi (due figli minorenni e un adulto), ma solo sulla base di valutazioni soggettive. Dopo questo intervento, il trattamento Stamina effettuato presso l’ospedale di Brescia è stato sospeso. Il caso Stamina, diventato sia mediatico che scientifico, viene analizzato e criticato, giugno 2014 — tra gli altri, dall’Accademia dei Lincei, dalla rivista scientifica Nature e dall’Agenzia Europea per i Medicinali. Nel maggio 2013, tredici scienziati pubblicano sul EMBO Journal (una importante rivista scientifica competente in materia) un’analisi critica del metodo, mettendo in evidenza le loro preoccupazioni circa l’inconsistenza di prove scientifiche, le carenze metodologiche e la mancanza di pubblicazioni. Il Premio Nobel per la Medicina 2012 Shinya Yamanaka ha pubblicato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per l’autorizzazione alla sperimentazione da parte delle autorità italiane di un metodo del quale non è conosciuta la sicurezza e senza alcuna prova di efficacia. Nel maggio 2013 il governo italiano ha approvato all’unanimità l’avvio di una sperimentazione clinica del metodo sviluppato da Vannoni, anche assegnando 3 milioni di euro per gli anni 2013-2014, e ha identificato due strutture sanitarie in Abruzzo e in Sicilia, dove l’inizio del trattamento è stato autorizzato. L’11 luglio 2013, la rivista scientifica Nature ha pubblicato un editoriale nel quale chiede al governo italiano di non procedere con la sperimentazione, in quanto questa non è giustificata da alcuna ragione scientifica, definendo Vannoni come «psicologo tra- Rotary Club Cagliari 51 sformato in imprenditore dottore», mentre definisce la terapia Stamina come «basata su dati falsi». Nel 2013 il premio Nobel per la Medicina Randy Schekman è stato citato da alcune famiglie pro-stamina come un sostenitore della terapia; il ricercatore aveva pubblicato un articolo critico delle politiche editoriali delle principali riviste scientifiche e ha fermamente negato di sostenere Stamina, definendo Vannoni un ciarlatano. Nel luglio 2013 Vannoni ha registrato il marchio Stamina, nonostante la sua Fondazione Stamina sia stata dichiarata come «organizzazione senza scopo di lucro». È importante notare che la Stamina Foundation non è ufficialmente registrata in Italia come organizzazione senza scopo di lucro, nello stesso periodo, Stamina Foundation ha firmato per 2 milioni di euro un accordo commerciale con Medestea Biotech, una società farmaceutica multinazionale interessata al business delle cellule staminali. Nel mese di settembre 2013, il comitato scientifico istituito dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha elaborato una relazione consultiva, secondo cui il metodo non avrebbe alcuna coerenza scientifica; il rapporto ha anche evidenziato un elevato rischio di trasmissione di malattie come l’AIDS e la 52 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 BSE (morbo della mucca pazza). Il Ministero della Salute, il 10 ottobre 2013 respinge definitivamente terapia Stamina come «pericoloso per la salute dei pazienti». Nella relazione del ministero è anche chiaro che le dosi di cellule staminali mesenchimali nel protocollo di Vannoni sono minime «adatte per i topi, non per gli esseri umani». Sarebbe stato anche scoperto che il protocollo consegnato agli Ospedali Civili di Brescia sarebbe diverso da quello consegnato al ministero. Nel gennaio 2014 il personale medico degli Ospedali Civili di Brescia ha ufficialmente dichiarato che la terapia Stamina non è più praticata in ospedale. Nel febbraio 2014 Vannoni è stato accusato di tentata truffa alla Regione Piemonte, per la richiesta di un prestito di 500.000 euro, per un laboratorio sulle cellule staminali. Vannoni ha ripetutamente affermato che le cure mediche fornite dal suo metodo sono «assolutamente gratuite», e che i soldi che ha ricevuto sarebbero «donazioni». Parecchi ex-pazienti, o parenti di ex pazienti, hanno sostenuto che esiste un preciso listino prezzi. I sospetti sono stati sollevati dallo stile di vita di Vannoni, che possiede una Porsche 911 Sito internet del club: E-mail del club: registrata in Svizzera e vive in una villa di lusso nei pressi di Torino. Considerazioni personali: Come italiani abbiamo fatto una pessima figura a livello internazionale con perdita di credibilità e affidabilità, alquanto minata negli ultimi anni. Abbiamo la memoria corta in quanto erano note vicende precedenti su “terapie miracolose” come l’utilizzo del “Siero Bonifacio” nel 1969 e il Metodo Di Bella tra il 1999 e il 2005, entrambe dimostratesi non solo inefficaci ma potenzialmente nocive o interferenti nei confronti di terapie riconosciute efficaci dalla comunità scientifica internazionale e dal Ministero della Salute. Temi riguardanti la salute, soprattutto se riguardano patologie per le quali non esiste una terapia ufficiale efficace andrebbero meglio gestiti dal sistema sanitario, dalla Magistratura Ordinaria e Amministrativa e dai media. L’aspetto più grave e triste di questa vicenda risiede nel fatto che la “terapia” proposta da Stamina Foundation ha generato false aspettative e ha alimentato speranze in genitori, mariti e mogli alla ricerca disperata di una terapia per delle patologie per le quali, oggi, non esiste una terapia valida. ■ www.rotarycagliari.org [email protected] giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 53 Un medico cagliaritano volontario in Africa Missione sanitaria in Togo Giovanni Peretti n un Paese in cui la vegetazione è ricca di ottima frutta, il mare è ricco di pesci saporiti ed il sottosuolo è ricco di fosfati, la gente è estremamente povera. Vediamo la povertà scolpita sul viso de bambini che giocano per le strade o nei cortili e delle madri che li accudiscono ed allattano i loro figli fino a 2-3 anni per essere sicure che vengano nutriti, la vediamo negli operai che lavorano per guadagnare meno di 50 euro al mese, e la vediamo soprattutto nelle strutture delle scuole e dalle abitazioni, costruite con mattoni di fango e paglia, fabbricate artigianalmente da chi le abita e coperte con lamiere o con frasche, costituite da I un’unica o poche stanze, senza una cucina né un bagno. Fra la gente di un piccolo villaggio come Afagnan, si avverte la sensazione di essere ben voluti, e per noi è facile ricambiare questo sentimento: chi non vorrebbe bene ad un bambino con gravi malformazioni mai curate o ai ragazzi che trasportano grossi carichi sulla testa, o ai pazienti che affrontano l’intervento senza un lamento e senza mai una protesta? E chi non vorrebbe bene alle decine di bambini che, vedendoci passare, ci apostrofano in tono canzonatorio ma benevolo: Yovoo! Yovoo! “Bianco, Bianco!” e poi si avvicinano per ricevere una carezza o una frit- Tre sardi nella missione in Togo: l’infermiere gessista Tullio Cuccuru, il sottoscritto, Fra Pascal, ora consigliere dei Fatebenefratelli, e mio figlio Giuseppe, anche lui Primario ortopedico. 54 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 tella, che le donne preparano per la strada, che costano pochi centesimi, ma che loro non possono comprare? Il primo impatto con le gravi patologie locali si ha negli ambulatori, dove vediamo bambini che camminano appoggiando il piede sul dorso, ricoperto da una cute callosa e ispessita, perché affetti da piede torto, ragazze che camminano sulle ginocchia, a causa di gravi malformazioni o per gli esiti della poliomielite, pazienti con deformità degli arti in conseguenza di infezioni dello scheletro o per esiti di fratture o da tumori ossei mai trattati. Arrivano da tutto il Paese, informati della nostra presenza, sapendo che verranno visitati gratuitamente, ricoverati ed operati con spese esigue o coperte in pieno dai nostri benefattori. Abbiamo operato una ragazza con varismo delle ginocchia superiore a 90°, che era stata presa in cura dallo stregone, il quale aveva applicato alle gambe due anelli di rame, che avrebbero dovuto stimolare la progressiva correzione delle deviazioni. Nei villaggi l’unico medico è ancora lo stregone la cui funzione è molto importante perché cura pazienti affetti da qualsiasi malattia, e li assiste fino alla guarigione o fino alla morte, accettata come normale evoluzione della vita; noi riteniamo che sia molto utile ed appoggiamo il suo operato, non ritenendoci in concorrenza, ma in collaborazione. In una giornata visitiamo in media più di 40 pazienti, osservando malattie da noi rarissime; vediamo tanti giovani con esiti di osteomielite o di fratture mai trattate e consolidate in modo scorretto o da malformazioni congenite evolute in modo non più curabile. Tra gli altri ricordo un bambino con infezioni tubercolari multiple, alla colonna cervicale e dorsale ed alla spalla destra. È triste constatare che la causa di queste deformità, curabili se trattate precocemente, è dovuta alla carenza di terapie per la mancanza di un’assistenza sanitaria gratuita, per cui vengono applicate solo a chi ha i mezzi economici per pagarle, quindi a pochissimi. Lo Stato è povero perché non ha la forza di organizzare un servizio sanitario ed Uno dei tantissimi piedi torti, da noi corretti con interventi chirurgici. i cittadini sono poveri perché non guadagnano tanto da potersi curare; la vaccinazione antipolio è gratuita, ma non obbligatoria, e la gente non vi si sottopone perché non capisce la necessità di farlo e dovrebbe recarsi in ambulatori talvolta molto lontani. Non è mancato il caso commovente di un bambino gravemente ustionato, morto dopo alcuni giorni di sofferenze, attenuate soltanto dalle medicazioni e non da farmaci inesistenti; è triste assistere alle prime fasi del funerale, che inizia nell’abitazione del defunto, sia egli cattolico o musulmano o animista. Per il trasporto, i genitori non potevano prendere in affitto una autovettura, né usare una moto taxi per cui il padre si è seduto su una bicicletta, il bambino gli è stato fasciato sul dorso e quindi, pedalando, si è recato nella sua abitazione, distante forse anche 20, 40 o più chilometri. Dei pazienti visitati, la maggior parte è stata sottoposta ad altrettanti interventi chirurgici. La sala operatoria dell’Ospedale St. Jean de Dieu, ad Afagnan, dove si svolge l’attività chirurgica, è bene attrezzata, per gran parte con materiale ricevuto dalle nostre donazioni, ed ora ha anche l’aria condizionata che, negli ultimi anni, ci ha consentito di lavorare fino a 8–10 ore al giorno, anche se frequentemente manca la giugno 2014 — Ragazza con grave varismo delle ginocchia. Gli anelli alle tibie sono stati applicati dallo stregone per stimolare la correzione spontanea. luce ed anche se non possiamo disporre degli strumentari che siamo abituati ad adoperare in Italia. Sappiamo di doverci arrangiare, cioè fare tutto il possibile utilizzando il materiale, gli strumenti ed il personale a disposizione: se manca il trapano o la sega elettrici, usiamo quelli manuali; se mancano la placche e le viti, inventiamo altri sistemi di osteosintesi, come facevano i nostri vecchi maestri. Gli anestesisti sono infermieri capaci di praticare anestesie locali, generali o spinali, che hanno acquisito una grande pratica per la numerosa quantità di interventi a cui ormai hanno partecipato da protagonisti. Rotary Club Cagliari 55 L’assistenza al paziente ricoverato è delegata in gran parte ai parenti che li accompagnano, silenziosi, tanto che non ci accorgiamo che convivano pacificamente persone di diversa etnia, che professano culti religiosi molto diversi, spesso in lotta in altri Paesi del mondo, come quelli cattolico, animista e musulmano. Sorprende, di questa popolazione, la grande umiltà e si avverte un senso di rispetto per i medici e gli infermieri ed un rispetto reciproco; ne è un segno evidente il fatto che, passando davanti alla gente in attesa in ambulatorio, non si senta vociare, e neppure un brusio. È ammirevole, in questa gente, il modo di manifestare il dolore, sia quello fisico, che quello psichico; mai un lamento da parte di un adulto e raramente un pianto di ribellione da parte di un bambino; anche il dolore della madre per la sofferenza del proprio caro è vissuto in silenzio e con rispetto per il prossimo: mai grida di dolore, ma soltanto un pianto soffocato e pudicamente nascosto al pubblico. Negli otto anni di frequentazione di Afagnan abbiamo operato centinaia di pazienti, utilizzando materiale di sintesi o protesi interne, o materiale di tutela esterna, tutti portati da noi in valigia o spediti con i container, restituendo a tanti la possibilità di camminare in autonomia; ai tanti bambini orfani, abbiamo portato scarpe, borse per la scuola e vestiario; abbiamo costruito alcuni pozzi nei villaggi più poveri; abbiamo istruito il personale locale della sala operatoria, della sala gessi e dei reparti; abbiamo tenuto qualche lezione per i medici e per gli infermieri. Inoltre abbiamo stretto una convenzione tra l’Ospedale di Afagnan e la Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Milano, offrendo cure per i pazienti e vantaggi per la preparazione dei nostri specializzandi, che imparano a districarsi nelle difficoltà diagnostiche e terapeutiche, a muoversi in sale operatorie poco attrezzate ed a prendere decisioni immediate anche in carenza di mezzi diagnostici e terapeutici. 56 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Ripensando a tutto questo e facendo un bilancio tra quanto abbiamo dato e quanto abbiamo ricevuto, devo riconoscere che la bilancia pende dalla parte di quanto abbiamo ricevuto. È una grande soddisfazione constatare che il materiale che abbiamo portato è stato bene utilizzato, ma la più grande ricompensa al nostro lavoro è la constatazione che siamo riusciti a suscitare un sorriso a bambini che da noi aspettavano soltanto un sostegno morale, che abbiamo potuto correggere le deformità degli arti di molti bambini e che abbiamo potuto recuperare ad una vita normale alcuni adulti destinati ad una cattiva sorte. Anche la convenzione dell’Ospedale di Afagnan con la nostra Scuola di Specializzazione, si è rivelata vantaggiosa soprattutto per noi, che possiamo vedere e curare patologie da noi molto rare. Senza dubbio, il più grande insegnamento lo abbiamo ricevuto dai nostri pazienti; questi ci hanno insegnato ad affrontare con coraggio le difficoltà della malattia e a non lamentarci per la sofferenza fisica, soprattutto se questa è determinata dalle nostre cure. E ci hanno insegnato cose che un tempo facevano parte del nostro bagaglio culturale, ma ormai sono perse dalle nostre abitudini, come il senso di gratitudine per chi ha cura di noi, anche se non riesce a realizzare in pieno il progetto terapeutico. Abbiamo imparato ad affrontare con umiltà la malattia e le difficoltà della vita ed abbiamo imparato la generosità verso i più deboli e verso chi è rimasto solo, specie se bambino. Alla nostra insufficienza, agli errori che abbiamo sempre commesso in misura più o meno importante, alla incapacità di poter dare tutto quello che avremmo voluto, ci consola il ricordo di quanto è stato scritto su un sasso nascosto in un angolo del giardino e che è di monito per noi e per chi arriverà dopo di noi: Rien n’est petit de ce qui est fait par Amour. Se riteniamo di aver agito con amore per i nostri vicini neri siamo convinti che le nostre missioni in Togo non sono state inutili. ■ ei giorni scorsi, Papa Francesco, parlando allo stadio olimpico di Roma ad una folla di fedeli di tante nazioni e, con i media, a tutto il mondo, ha esaltato, invitando al massimo rispetto, la indispensabile funzione di educazione morale dei NONNI. Messaggio che certamente suscita echi di felice consenso nell’animo di Gianni e Mirella Campus diventati nonni per la seconda volta il 27 maggio. La loro figlia Alessandra, sposata con Giulio Concas, ha dato al mondo un bambino: Alessandro. A lui, ai genitori ed ai nonni un affettuosissimo augurio. N giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 57 Democrazia e verità La maggioranza ha sempre ragione? Rafaele Corona – Divorzio, aborto, matrimoni omosessuali, riproduzione in provetta, manipolazioni genetiche, eutanasia. Nel mondo occidentale, queste innovazioni, che hanno trasformato radicalmente la mentalità e il costume, sono state introdotte da parlamenti eletti democraticamente e con deliberazioni votate a maggioranza: approvate cioè con metodo democratico. Quindi vincolano tutti i cittadini. Nondimeno, permane un dissenso diffuso e convinto. Negli Stati Uniti, gli scontri susseguenti all’introduzione dell’aborto, per l’intensità e la violenza, sono stati paragonati alle secentesche guerre di religione in Europa. Al quesito se la maggioranza abbia sempre ragione, fanno seguito una serie di domande importanti, afferenti alla concezione del mondo e al modus vivendi di tutti i giorni. L’approvazione democratica impone ubbidienza, ma si dubita che l’approvazione democratica dimostri la ragionevolezza della decisione e elimini, siccome irrazionale ed inutile, ogni ulteriore dibattito. Ancora, si dubita che il principio maggioritario, cui spetta l’ultima parola sempre e indipendentemente dai contenuti, si giustifichi di per se stesso e rappresenti necessariamente il criterio definitivo. Il sottotitolo – la contrapposizione tra democrazia e verità – forse esprime meglio la questione di fondo: ovverosia se il metodo democratico racchiuda in sé medesimo le ragioni della sua esistenza, oppure debba fare riferimento a premesse di ordine superiore e indipendenti dalla forza dei numeri. La verità assoluta per molti non esiste. In ogni caso, raggiungere la verità è estremamente difficile, se non proprio impossibile, per cui bi- 1. sogna accontentarsi della maggioranza. Il punto è se tutto ciò che viene approvato a maggioranza e secondo le regole della democrazia, abbia sempre valore di verità. Su questi temi è arduo dare risposte. Per la verità, non si intende dare risposte, né svolgere una dissertazione accademica: poiché il tema riguarda la vita di tutti, cui tutti hanno interesse, si intende soltanto sollevare alcuni interrogativi intorno ai limiti della maggioranza; al fastidio cagionato da talune scelte maggioritarie; al superamento dell’idea tolemaica della centralità dell’individuo, che potrebbe essere sopravanzata dall’idea copernicana del bene comune. – L’accusa non superata contro la democrazia resta il “crucifige”. Quando il Sinedrio di Gerusalemme, la massima autorità ebraica, gli presentò Gesù, Ponzio Pilato, il procuratore romano della Giudea, avrebbe potuto liberarlo con un atto d’imperio, con un atto d’autorità nell’esercizio del potere legittimo conferitogli da Roma. D’altra parte, la liberazione gli era stata sollecitata dalla moglie, la quale lo aveva ammonito di non avere nulla a che fare con quel “giusto”. Piuttosto che esercitare l’autorità, Pilato preferì ricorrere al metodo democratico ed appellarsi al popolo. Nessuno contesta che la risposta democratica “crucifige” fu scandalosamente ingiusta. Il responso del popolo “crucifige!” e la condanna di un innocente dimostrano di certo l’errore del responso popolare; più in generale dimostrano che la democrazia può sbagliare. Non soltanto, ma che la democrazia, sbagliando, può macchiarsi dei crimini più 2. 58 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 gravi, fino alla condanna del Figlio di Dio. Anche per i non credenti, l’ingiusta condanna di un innocente raffigura una colpa gravissima ed una accusa insuperabile. – Al principio del ventesimo secolo, nel clima culturale e politico, contrassegnato dall’avvento delle masse, la democrazia – come concetto e come metodo – fu sottoposta a critiche rigorosissime. Acquisirono fama europea politologi italiani quali Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, concordi nel denunciare gli inganni del potere democratico. Gaetano Mosca, Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare, mise in luce la corruzione dei Parlamenti, dominati dalla supremazia del numero e della ricchezza rispetto all’intelligenza ed alla dedizione al bene comune. Per Vilfredo Pareto – il grandissimo Vilfredo Pareto, i cui studi su I sistemi socialisti ispirarono i maggiori sociologi successivi, da Talcott Parson a Jean Piaget, da Raymond Aron a Josef Schumpeter – per Vilfredo Pareto la supremazia delle elites conseguita democraticamente relegava il popolo in un posizione di secondo piano ai margini della storia. Infine, Roberto Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, sottolineò che in democrazia comandano le oligarchie, le quali impediscono il ricambio. L’idea comune è che il popolo non decide nulla, ma che i problemi, da cui il suo destino dipende, sono normalmente decisi da altri; che il cittadino non ha il potere di controllare le decisioni prese dai leader politici, i quali sono i veri artefici della volontà popolare. Tuttavia, agli errori della democrazia fecero seguito – in numerosi paesi d’Europa, in Russia, in Germania, in Italia e in altri – gli errori e gli eccessi ben più gravi, talora inumani, delle dittature. In seguito a questi disastri, per oltre mezzo secolo la democrazia, come concetto e come metodo, è andata immune da ogni ripensamento. Per oltre mezzo secolo, la democrazia e il metodo democratico sembrano raffigurare il destino ineluttabile dei popoli progrediti. 3. – Trascorso il Novecento, le critiche alla democrazia vengono riproposte contestualmente alla critica al relativismo, che raffigura la concezione del mondo più diffusa nel nostro tempo e che della democrazia costituisce il presupposto. Secondo il notissimo giurista Hans Kelsen, «il relativismo è quella concezione del mondo che l’idea democratica suppone». Continua Kelsen: «La democrazia è relativismo filosofico». Notoriamente, la regola fondamentale dell’ordinamento democratico è il principio di maggioranza, in quanto permette la formazione delle decisioni, essendo praticamente impossibile conseguire l’unanimità. Nei consigli di amministrazione delle società, nelle assemblee del condominio, nei collegi giudiziari. Le critiche alla democrazia ed al principio di maggioranza, che alla democrazia indissolubilmente è legato come strumento operativo, in estrema sintesi si sviluppano su due piani. Il profilo storico e quello filosofico. 4. – Sul piano storico, contro il relativismo si adducono i principi fondanti della civiltà europea. In modo specifico, il convincimento che i sistemi legali, compresi i sistemi democratici, non sempre si conformano pienamente alle esigenze della natura e della ragione: in una parola, alla verità. Ha preceduto il cristianesimo la consapevolezza che leggi positive non riflettono necessariamente la natura e la ragione dell’uomo: ovverosia la verità. Ha preceduto il cristianesimo la consapevolezza che le norme fondate sulla natura e sulla ragione, cioè sulla verità, debbano prevalere sulle leggi predisposte dall’uomo. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra le grandi civiltà di Gerusalemme, Atene e Roma: dall’incontro tra la fede nel Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci ed il pensiero giuridico di Roma. Da questo triplice incontro è scaturita l’identità dell’Europa. Hanno preceduto l’idea circa la possibile ingiustizia delle leggi emanate dall’uomo, anzitutto, la concezione di un solo Dio, creatore ed ordinatore del mondo; quindi, la do- 5. giugno 2014 — manda filosofica dell’origine delle leggi, resa immortale da Platone: nelle prime righe dei Nomoi si legge: «dimmi o straniero, a chi si devono le vostre leggi, a un uomo o ad un Dio»; infine, il convincimento del diritto come recta ratio propria del pensiero giuridico romano. Queste grandi correnti di pensiero concordano nel riconoscimento che l’ordine naturale e razionale dell’universo precede l’intervento dell’uomo; che l’ordine naturale e razionale dell’universo deve essere riconosciuto dal potere politico, il quale non si accontenti dell’esercizio brutale di esso. Il re Salomone chiede al Dio d’Israele «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male». Nel mondo greco, Antigone va incontro alla morte perché rifiuta di ubbidire alle leggi degli uomini contrarie alle leggi stabilite dagli déi: Antigone è diventata così il simbolo perenne del contrasto tra le leggi umane e le leggi di natura, in virtù delle quali il singolo ha il diritto di ribellarsi alle statuizioni ingiuste. Il broccardo romano summum ius summa iniuria (il diritto perfetto può essere un’assoluta ingiustizia) esprime al meglio la concezione giuridica della Roma repubblicana, secondo cui il diritto non si esaurisce nella legalità, ma con la legalità può porsi in contrasto. Da queste basi si sono sviluppati i princìpi fondanti della civiltà europea: la coscienza della dignità sacrosanta di ogni persona, l’idea dei suoi diritti inviolabili, la convinzione della uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la coscienza della responsabilità di ciascuno per il proprio agire. La giustizia ridotta alla sola legge, intesa come decisione della maggioranza, rischia di produrre danni incalcolabili. Oggi, la dittatura della maggioranza torna ad essere lo spettro che si aggira per l’Europa. Un esempio per tutti: in Belgio, il Parlamento discute se introdurre l’eutanasia per i minorenni: discute se riconoscere ai minorenni il diritto di chiedere ai genitori, che gliela hanno data, di togliere loro la vita. – Sul piano filosofico, la critica al relativismo muove da una osservazione di 6. Rotary Club Cagliari 59 comune buon senso: il comune buon senso si ribella all’idea che tutto sia relativo, perché l’ingiustizia non può mai diventare giustizia e, viceversa, la giustizia non può mai diventare una cosa ingiusta. La condanna di un innocente o, viceversa, l’assoluzione di un colpevole non diventano giustizia per decisione della maggioranza. La democrazia non è un ideale fumoso, ma un metodo per giungere a decisioni politiche, legislative, amministrative, giudiziarie, un metodo che tuttavia non è fine a se stesso, a prescindere dai contenuti e dagli effetti, ovverosia dalla sostanza e da ciò che le decisioni producono nella realtà storica. Donde la necessità di valutare i contenuti e gli effetti. È risaputo il paradosso delle due donne lesbiche audio lese, le quali, utilizzando per la fecondazione artificiale il seme di un amico sordo, hanno fatto volontariamente nascere un figlio sordo: «vogliamo che sia come noi». Una democrazia non funziona senza valori e, quindi, non può essere neutrale sui valori. Se i princìpi morali, che sostengono il processo democratico, si fondano su niente di più solido della maggioranza, vale a dire sulla forza del numero, allora la fragilità del procedimento democratico si mostra con evidenza. Emerge che la democrazia si regge su premesse, che non è in grado di garantire. Certamente, nella gran parte delle materie da regolare, quello della maggioranza sembra un criterio sufficiente. L’ordine politico e l’ordine giuridico appartengono alla sfera delle cose umane e, come tali, non sono un assoluto. Non esiste una opzione politica che sia l’unica giusta. Crederlo fu l’errore storico del marxismo e dei totalitarismi del Novecento. Nell’ambito delle scelte umane, che attengono alla vita della politica e del diritto, il criterio della maggioranza resta apprezzabile. Del resto, una società libera è una società almeno in parte relativista e questo presupposto le permette di rimanere libera e aperta ad un ulteriore cammino. Dopo la seconda guerra mondiale, poiché le peggiori ingiustizie avevano assunto la forma legale e l’ingiustizia legale aveva dimostrato 60 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 quali aberrazioni potessero produrre le leggi ingiuste, in numerosi Stati d’Europa sono stati costituiti i giudici delle leggi: l’istituzione delle Corti Costituzionali, per porre le persone a riparo dalla imprevedibile volontà della maggioranza, dimostra la possibilità non astratta di leggi bisognose di controllo siccome ingiuste. D’altra parte, le situazioni afferenti alla dignità umana devono essere rispettate non perché possono farsi valere mediante gli strumenti predisposti dal legislatore, ma perché sono espressione di una giustizia superiore, scaturita dalla natura e dalla ragione: dalla verità. Stabilito che il principio maggioritario ed il relativismo, che lo sottende, non sono assoluti; che le leggi non possono essere il risultato del vento, che spira in un certo momento, «nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali sono in gioco la dignità e i diritti fondamentali dell’uomo (in definitiva, è in gioco il destino di una comunità), il principio maggioritario non basta. Nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare in se stessa i criteri del proprio orientamento». Di certe situazioni il relativismo non viene a capo. La giustizia e l’ingiustizia non dipendono da maggioranze mutevoli e incostanti. Diventa scontata la risposta alla domanda se le decisioni, politiche e giuridiche concernenti la dignità delle persone e i relativi diritti – il destino di una comunità – possano essere regolate solamente secondo il principio di maggioranza o, al contrario, debbano essere aperte alla verità; quindi, se le decisioni pubbliche importanti debbano essere sensibili alla verità. In sintesi, se per ogni legge sia sufficiente l’approvazione a maggioranza, ovvero quando sono in gioco la dignità degli uomini e il destino delle comunità, le leggi debbano essere attente alla natura ed alla ragione: alla verità. – Dalle insufficienze del relativismo e dai limiti del principio di maggioranza scaturisce la necessità di un ripensamento, anche a costo di gravi scontri nell’ambito della comunità e di fastidiose divisioni al suo interno. 7. Anzitutto le divisioni e la loro incidenza nella pace sociale. La pace non è l’assenza di guerra: considerata sul piano dei rapporti umani, la pace è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia. Per contro, la guerra significa conflitto, contrasto: significa appunto divisione. Guerra vuol dire divisione. La religione, in particolare la religione cattolica, persegue la pace, promuove la pace, propaga un messaggio di pace. Le testimonianze in proposito sono numerosissime fin dai primi tempi: fin dagli esordi. «Va’ in pace» disse Cristo alla peccatrice pentita e «pace a voi» fu il saluto del Cristo risorto rivolto agli apostoli. Per S. Paolo (Lettera ai Romani, 15,33), la pace è il dono del Dio della pace, concepita in modo ben diverso dalla pax romana, che l’impero di Roma imponeva con la forza. Le preghiere per la pace non si contano. Un esempio per tutti: le perorazioni del Papa Giovanni Paolo II contro la guerra del golfo. Tutti i cristiani e tutti i governi sono sollecitati a perseguire la pace, come bene prezioso da ricercare e da difendere. Accanto alla pace individuale, i cristiani ed i governi sono invitati a perseguire la pace nella comunità e la pace tra le comunità. Alla luce di questi indirizzi lascia perplessi il brano del Vangelo di Luca (12,49), in cui il Cristo afferma: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra. No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlio e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». A prima vista, la pagina appare sconvolgente. Perché nel Vangelo Cristo annunzia la divisione? Al suo tempo, Cristo non accettava la lapidazione dell’adultera, che Egli perdonava; non ammetteva la pratica della schiavitù, essendo per Lui gli uomini tutti eguali, in quanto creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rispetto al suo tempo, il Vangelo è certamente annunzio di divisione. giugno 2014 — Oggi la Chiesa parla di pace e talora sorvola sulla divisione, Per la verità, la divisione non ha scoraggiato Papa Benedetto XVI. Il Papa teologo non ha esitato a portare la divisione affermando, in radicale contrasto con il nostro tempo, la indissolubilità del matrimonio contro la pratica del divorzio. Non ha esitato a portare la divisione sostenendo, in radicale contrasto contro il nostro tempo, la sacralità della vita contro la pratica dell’aborto o dell’eutanasia. Non ha esitato a portare la divisione insistendo, in radicale contrasto contro il nostro tempo, sul matrimonio tradizionale, configurato dall’unione tra l’uomo e la donna e indirizzato alla procreazione della prole in contrasto con la prospettiva dell’unione tra gli omosessuali. Non ha esitato a portare la divisione contrastando, in radicale conflitto contro il nostro tempo, la pratica delle manipolazioni genetiche e di certi tipi di procreazione artificiale. – Le premesse alla divisione sono inattese. Il cristianesimo – ha sottolineato il Papa teologo – non propone, e non ha mai imposto alla società ed allo Stato, un ordinamento giuridico derivante dalla Rivelazione; ha considerato come vere fonti del diritto la natura e la ragione. Le norme, che governano il retto agire umano, si fondano sulla natura e sono accessibili alla ragione, prescindendo dalla Rivelazione. La Chiesa cattolica, intervenendo nei dibattiti pubblici, non si appella al principio di autorità, all’ipse dixit che vanificherebbe ogni dialogo con gli altri e, vanificando il dialogo, snaturerebbe la dinamica democratica. Il pensiero di Benedetto XVI soddisfa anche i non credenti. Se il Dio dei cristiani, come logos, è anzitutto razionalità, la verità si incontra con la ricerca razionale: pertanto, le fonti ultime del diritto sono da ricercare non in un comando autoritario – ipse dixit – ma nella natura e nella ragione. L’aforisma susseguente, invece, può scontentare i credenti. Il contributo dei cristiani al dibattito politico è proficuo, sempre che l’intelligenza della fede si accompagni all’intelligenza della realtà. 8. Rotary Club Cagliari 61 – Infine, un luogo comune consolidato e politicamente corretto: il potere dell’uomo di fare tutto quello che gli riesce. L’affermazione arrogante che l’uomo possa fare tutto quello che vuole e, quindi, adulterare la natura, comincia ad essere contestata. Il potere degli uomini è cresciuto immensamente: il potere di distruggere e il potere di creare. Un potere molto più penetrante ed incisivo di quello, che fino ad oggi è stato esercitato. Il che solleva la questione dei controlli politici e giuridici. Non tutto ciò che tecnicamente è fattibile merita di essere fatto, giacché possono opporsi insuperabili ragioni morali. Nel Novecento, del resto, è stata posta sotto sorveglianza la ricerca intorno alle armi atomiche o di distruzione di massa. La questione del controllo si pone, per esempio, per gli embrioni. È inaccettabile non soltanto per i credenti, che li considerano creature umane, che gli embrioni eccedenti le esigenze della fecondazione vengano destinati alla estinzione o alla ricerca. Sempre a proposito delle manipolazioni genetiche, la questione del controllo si pone per gli organismi umani, i quali vengono modificati per potenziare le loro forze e le capacità: per renderli adatti agli sport estremi, alla guerra o ai lavori rischiosi per la salute. Per non parlare delle terapie geniche germinali, che arrivano a stabilire l’identità dei nascituri, il sesso, il colore dei capelli, la voce, l’udito e magari il grado dell’intelligenza. Per arrivare, magari, alla perfetta razza ariana. Per la verità, certe contraddizioni sono sconcertanti. Il movimento ecologista afferma il valore insopprimibile del dato naturale; il valore della terra, dell’aria, dell’acqua, degli esseri animali e vegetali e del loro equilibrio, che l’uomo non può adulterare a piacimento. La dignità intangibile della natura e del suo equilibrio – si dice – vanno oltre la capacità tecnica dell’uomo. Eppure il movimento ecologista non insiste sull’ecologia dell’uomo. L’uomo ha messo sotto sorveglianza la ricerca intorno agli strumenti distruttivi di massa, quali la bomba atomica ed 9. 62 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 i gas letali, ma tarda a recepire l’idea che lo stravolgimento dei suoi caratteri e delle sua funzioni naturali possa essere vietato. Eppure anche l’uomo possiede una sua natura, una sua ecologia, che deve rispettare e non manipolare. – Divorzio, aborto, matrimoni omosessuali, riproduzione in provetta, manipolazioni genetiche, eutanasia. Alla luce degli orientamenti esposti, questi istituti meritano una riflessione: non alla stregua del sacro, ma secondo i parametri laici della natura e della ragione. A iniziare dal divorzio. L’aumento del numero di scioglimenti del matrimonio è continuo. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 80 divorzi; nel 2011 per ogni 1.000 matrimoni i divorzi sono diventati 180. Il punto è se l’incremento del numero dei figli disadattati, drogati, criminali costituisca un fatto meramente statistico, o l’effetto causale dipendente dalla dissoluzione delle famiglie. Si esamini l’aborto, intorno al quale non esistono dubbi. All’aborto si ascrive la sensibile diminuzione delle nascite. Nel 2012 per ogni 1.000 gravidanze le interruzioni volontarie sono state 200. Il vero e proprio suicidio demografico del nostro paese determina l’assenza di ricambio generazionale, disastroso e per la produzione e per la previdenza, non essendo sufficienti i giovani e gli immigrati per sostituire gli anziani nei lavori tecnologici e nelle contribuzioni assicurative. A proposito dei matrimoni omosessuali. Talune società occidentali accettano la maternità delegata (l’affitto dell’utero), l’anonima donazione del seme, la donazione di ovuli che consente la gravidanza dopo la menopausa, l’uso ritardato di ovuli o semi congelati, l’esistenza dei figli monogenitoriali. Tutti i giorni la cronaca si occupa di gravissimi inconvenienti. Uomini e donne nati da inseminazione eterologa, ormai maturi e sposati, scoprono di essere consanguinei. Oggi si profila la modifica del genoma, dell’intero corredo dei cromosomi e dei relativi geni. Si discute se sia giusto che gli esseri umani 10. vengano programmati da altri, mediante la modifica del proprio patrimonio genetico. Il punto è se talune “libertà individuali” siano compatibili con una società civile, ordinata e responsabile. Per finire l’eutanasia. A parte l’assurdo di permettere l’eutanasia ai minori, esistono esempi di risveglio dal comma ritenuto irreversibile. Ciò nonostante, si accetta la soppressione degli essere viventi: soprattutto dei più deboli, svantaggiati, handicappati, psichicamente labili, depressi: ovverosia di coloro i quali avrebbero più bisogno di cure. Di cure, non di accanimento terapeutico. – In conclusione, prese le distanze dall’onnipotenza delle assemblee parlamentari e dall’assolutismo democratico, è ragionevole mettere in dubbio, anche a costo di laceranti divisioni, che la maggioranza abbia sempre ragione. È tempo di rifiutare la omologazione al politicamente corretto e riesaminare il fondamento di istituti già approvati, o in via di approvazione, a maggioranza, ma che la natura e la ragione disapprovano. È tempo di superare il sistema tolemaico e di passare al sistema copernicano. La rivoluzione copernicana ha chiarito che al centro del sistema solare non sta la terra: fuori di metafora, che tutto l’universo non ruota intorno all’individuo singolo, ai desideri, alle pretese, alle rivendicazioni del singolo. La nuova rivoluzione copernicana deve mettere al centro non l’individuo singolo, ma il bene comune e gli interessi generali della comunità. Per quello che specificamente ci riguarda, il bene e gli interessi generali della nazione, della Patria, dell’Italia. 11. b) La visione positivista non è l’unica concezione scientifica del sapere. È importante, ma nel suo insieme non corrisponde ad una cultura capace di comprendere l’essere umano in tutti i suoi risvolti ed in tutta la sua ampiezza. La scienza non può produrre un’etica e la morale non si rinnova come conseguenza dei progressi scientifici. giugno 2014 — Per la verità, limitare il concetto di scienza alle sole discipline in grado di provare le tesi, che sostengono, con gli esperimenti – vale a dire a dire, con le prove sperimentali – non è corretto. In effetti un approccio siffatto esclude dall’ambito della scienza tutte le discipline che studiano non la composizione della materia, ma il senso di essa. La tentazione permanente di certo scientismo è costringere la ragione all’interno del misurabile (pondere, numero vel mensura). È riduttivo Rotary Club Cagliari 63 ritenere che la scienza si esaurisca in un sistema, in cui le affermazioni siano verificabili e possano essere confermate da un esperimento. Vi sono scienze che non traggono fondamento dalle prove sperimentali. La giurisprudenza e la stessa filosofia non si avvalgono dei criteri consueti della misurabilità (pondere, numero vel mensura), né ricorrono agli esperimenti. Eppure, nessuno dubita del carattere razionale e scientifico dei relativi studi. ■ Ricordo di un’amica na comunità, come quella del nostro Club, per il vincolo di unione che lega chi la compone, è partecipe dei momenti felici e di quelli tristi che ciascuno dei soci gode o soffre, congratulandosi per gli uni e condolendosi per gli altri. La tristezza è maggiore quando cessa la vita terrena di uno dei componenti o di una persona a lui cara. Se questa era legata al Club da un vivo legame di stretta amicizia e di assidua partecipazione alle sue attività, appaiono ancor più intenso il rimpianto e commosso il ricordo. Sensazioni sorte nell’animo di tutti i soci per la scomparsa di Giulietta Rolando, moglie adorata di Beppe Cascìu. Era una splendida amica del Club, talmente felice che Beppe fosse socio da tantissimi anni, sempre promotore o partecipe di attività di successo, che, anche quando, dopo una breve ripresa in cui non aveva mancato di tornare alle nostre riunioni, l’aggravarsi del male glielo aveva impedito, si era quasi imposta a lui perché continuasse frequenza e partecipazione come per il passato. Questo suo sentire era, anche in questo campo , un segno della sua personalità così aperta al dialogo, pronta a creare legami di simpatia, estroversa e brillante che, sin da ragazza, aveva fatto sorgere intorno a sé un coro di consensi, di stima, di ammirazione e, tanto spesso, di sincera amicizia. Sposa felice, madre affettuosa di tre magnifici figli, nonna impegnata e premurosa, ospite amabile, apprezzata professionista, traeva piacere nell’incontrare gli altri e ne trasmetteva altrettanto. A Beppe, ai figli e a tutti i familiari, la stima ed il caro ricordo che ne serbano tutti quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla siano conforto e segno di fraterna solidarietà. U 64 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Un passaggio generazionale Dal Rotaract al Rotary Francesco Danero l Rotary, a livello mondiale, acquisisce circa centomila nuovi soci ogni anno, ma ne perde altrettanti nello stesso periodo. Come risultato, il numero totale dei soci è fermo da molti anni intorno al milione e duecentomila unità. Alcuni dei nuovi soci rimangono tali solo per circa tre anni. L’età media, specie in alcune aree, è elevata. Il Distretto 2080 segue le medesime tendenze (con un numero di soci in leggero calo). In questo contesto, appare naturale focalizzare l’attenzione sui programmi giovanili patrocinati dal Rotary per trovare “nuove leve”. L’Interact (dai dodici ai diciotto anni) è un investimento sul futuro a lungo termine. Il RYLA e lo Scambio Giovani possono intercettare giovani promesse. Ma il Rotaract, che è l’unico tra i programmi giovanili ad essere strutturato con una sua notevole organizzazione interna e autonomia, e che abbraccia giovani dai diciotto fino ai trenta anni di età, dovrebbe per sua natura costituire la migliore fucina di futuri Rotariani. Non più di un paio d’anni fa, il nuovo Segretario Generale del Rotary International John Hewko commissionò, per la prima volta, una sorta di censimento del Rotaract a livello mondiale. Il risultato fu sconvolgente: poco meno della metà dei Club Rotaract che si credevano attivi sono risultati in realtà in stato di inattività e sono quindi stati chiusi: dei quasi 10.000 Club Rotaract che si cre- I devano attivi solo circa 5.800 sono risultati esserlo veramente (o almeno abbastanza da dare un cenno di vita rispondendo al censimento). L’Italia, tuttavia, è un’oasi abbastanza felice come quinto Paese al mondo per numero di Club Rotaract oggi attivi (circa 430), ed è il primo se rapportiamo tale numero alla popolazione. Ma può davvero il Rotaract essere considerato oggi il vivaio del Rotary? Se guardiamo alla percentuale di Rotaractiani che passano al Rotary, è legittimo chiedersi se invece non si stia perdendo l’occasione di cogliere appieno le potenzialità del Rotaract. La percentuale di chi “passa al Rotary” non è mai stata calcolata esattamente, ma a mio giudizio si attesta oggi nel nostro Distretto intorno al 2-3%. In altre parole, in un Club Rotaract composto mediamente da poco meno di 20 soci, è già tanto se anche solo uno (uno!) di essi, annualmente passa al Rotary. In realtà, è piuttosto frequente che vi siano anni nei quali non si registri nessun passaggio. Chiunque abbia a cuore il buon andamento del Rotary dovrebbe chiedersi se non si possa fare di meglio. Ma quali sono i fattori che influenzano l’andamento dei passaggi dal Rotaract al Rotary? Un primo elemento da considerare è la qualità intrinseca del programma Rotaract, così come sviluppato in ciascun Club. Fare il “governatorino” del Rotaract mi ha permes- giugno 2014 — so di farmi un’idea piuttosto precisa della situazione dei 43 Club Rotaract della Sardegna e del Lazio. Un Club Rotaract efficiente, oltre a curare l’ordinaria amministrazione (lettere del mese, verbali, tesoreria, etc.), dovrebbe essere in grado di fare tre cose: I) sviluppare un programma di sviluppo professionale; II) promuovere un progetto di azione di pubblico interesse rivolto alla comunità locale; III) sostenere un progetto di azione internazionale. Alla luce di questi tre, fondamentali criteri, i Club davvero efficienti sui 43 del nostro Distretto si contano sulle dita di una mano. Poiché questa non sembra una situazione episodica, e poiché le linee guida per il Rotaract recitano che il buon andamento del Club Rotaract dipende dalla partecipazione attiva e personale del Club Rotary Sponsor, c’è quindi da chiedersi se c’è una vera cultura delle nuove generazioni nel Rotary? Sovente i Rotariani, anche quelli delegati ad occuparsi del Rotaract, non hanno una sufficiente conoscenza dei princìpi che regolano il Rotaract stesso, né una visione strategica del programma. Nell’incapacità di sviluppare i tre obiettivi sopra menzionati, tale ignoranza spesso non consente lo sviluppo soprattutto della prima finalità (lo sviluppo professionale) che è non solo quella che rende il Rotaract stesso più attraente per i giovani, ma alla lunga – se non efficacemente perseguita – ha l’effetto di scoraggiare proprio i giovani più promettenti dalla frequenza, poiché il contesto sconfina non di rado nella mediocrità. Da una parte, dunque, occorrerebbe guidare con maggiore perizia il programma Rotaract, e dall’altra valorizzare le migliori risorse già presenti assicurandosi che si elevino a leader Rotaractiani possibilmente coloro i quali hanno già le carte in regola per diventare Rotariani, anche in termini di classifica professionale, ponendo così le basi per una continuità Rotaract-Rotary. Inoltre, una maggiore attenzione (ed eventuale regolamentazione) riguardo la selezione e ammissione dei Rotaractiani, se attuata con intelligenza, potrebbe portare buoni risultati. Occorre cioè riflettere sul taglio che si vuol dare Rotary Club Cagliari 65 John Hewko, Segretario Generale del Rotary International. al programma Rotaract: un programma aperto a tutti o un programma più elitario aperto solo a chi si presume avrà a trent’anni le carte in regola per passare al Rotary? Il buon senso suggerisce che la virtù sta nel mezzo. Supponendo ad esempio che metà della compagine sociale nella fascia di età tra i 25 e i 30 anni (post lauream) sia formata da giovani professionisti o imprenditori già avviati, la platea di potenziali Rotariani si ridurrebbe già al 50% del totale dei soci Rotaract. Naturalmente, la finalità principe del Rotaract non è trovare nuovi Rotariani ma la crescita personale e professionale dei Soci, che si realizza attraverso il Servizio. “Motivare i giovani a diventare Rotariani” è solo il quinto dei cinque obiettivi del programma Rotaract. Quindi la bontà di un Club Rotaract, proprio in virtù della sua autonomia, non si può valutare certamente solo sulla percentuale di “passaggi al Rotary”: in altre parole, per un Club Rotary, patrocinare un Club Rotaract può essere un investimento meritevole anche in mancanza di un ritorno immediato in termini di nuove cooptazioni. Tuttavia, se si instaura un circolo virtuoso come sopra descritto, è del tutto ragionevole attendersi un incremento della percentuale di “passaggi al Rotary”. Solo così il Rotaract potrà essere vivaio per il Rotary. 66 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Un secondo elemento che influenza i “passaggi al Rotary” è la propensione degli stessi Rotary a cooptare giovani, tra qualche equivoco e falso mito. Il Rotary ha recentemente rinnovato la comunicazione del messaggio rotariano, sintetizzandolo e rendendolo più chiaro e accattivante anche per una platea più giovane. Oggi, nei principali canali di comunicazione rotariani campeggia il messaggio: “Join Leaders, Exchange Ideas, Take Action” (unisciti ai leader, scambia idee, agisci). Non a caso la prima delle tre sottolineature rimarca l’identità del Rotary, ciò che lo distingue da altre organizzazioni: essere il luogo ove si ritrovano i leader per scambiare idee con l’ambizione di cambiare in meglio lo status quo. È dunque la parola “leader” la chiave di volta. Il Rotary italiano, dalla fondazione al Cova in giù, ha originariamente interpretato il concetto di “leader” assimilandolo in sintesi con quello di “numero uno”. Ma questo poteva andar bene quando c’era solo il Rotary di Milano e anche le più grandi aziende erano direttamente riconducibili al territorio. Il prof. Jeffrey A. Charles dell’Università dell’Illinois, nel suo “Service Clubs in American Society”, che rimane studio sociologico principe sul Rotary, sostiene che il Rotary assunse ben presto il ruolo storico di aiutare le elite delle tradizionali middle-class locali americane ad adattarsi di fronte ai cambiamenti sociali e in particolare alle sollecitazioni di un’economia dove invece cresceva il peso delle aziende “corporate”. Tale ruolo storico sembrerebbe ben attagliarsi anche ai giorni nostri, poiché se è vero che tra i soci Rotary mediamente si incontrano esponenti di spicco di affari e professioni, raramente vi sono esponenti “corporate” di spicco, soprattutto nella stragrande parte dei Club che non ha sede nelle metropoli dove invece hanno sede le più grandi aziende. A tal proposito si può confrontare (vedi: http://cl.ly/442R132A0g18) l’elenco aggiornato al 2013 che Confindustria ha redatto delle prime 100 imprese sarde (per fatturato) per constatare che talune non hanno proprietà e management sardi e tutto somma- to abbastanza pochi esponenti di esse sono tra i Soci Rotary, che invece sono maggiormente numerosi negli ambienti accademici e delle professioni (relativamente meno rilevanti economicamente, seppur di tutto rispetto e primaria importanza). Pur auspicando di vedere accrescere il numero di Rotariani tra coloro che sono nell’elenco di cui sopra, appare conforme alla tradizione sociologica rotariana ricercare i giovani soci, dunque, che incarnino il concetto di leader non tanto sotto il profilo dei “numeri uno” ma tra professionisti e imprenditori “rappresentativi”, ovvero certamente ottimi elementi di ciascun settore ma che abbiano anche desiderio e tempo per dedicarsi al Servizio nelle cinque Vie d’Azione anche attraverso una assiduità superiore al 60%. Il motto internazionale di qualche anno fa recitava “Rotary Shares” (Il Rotary è condivisione). Senza condivisione, che si ottiene giustappunto con l’assiduità nel Servizio, non c’è possibilità che si costituisca l’Amicizia Rotariana, appunto fondata sul Servizio inteso come motore e propulsore di ogni attività umana. Il giudizio sulla adeguatezza dei potenziali nuovi Rotariani sta naturalmente ai singoli Club, che quindi potranno modulare il livello richiesto anche per garantire un buon amalgama con i soci già presenti, ma è importante avere ben presente una idea comune di leader nei processi di cooptazione, soprattutto nel caso dei giovani. In altre parole, nella selezione e ammissione di giovani Rotariani bisognerebbe tenere sempre presenti le parole di Claudio Widmann (autore de Rotary Ideale), secondo cui il nuovo Socio «entra nel sodalizio in virtù del fatto che gli vengono riconosciute caratteristiche di spicco, con cui egli interpreta aspetti dell’umanità migliore. Queste caratteristiche comportano autorevolezza e rappresentatività nell’ambito professionale, ma comprendono anche la maturazione di categorie etiche che improntano tanto la vita privata che la pratica professionale, la propensione relazionale a rapporti d’amicizia e a interazioni attive nel gruppo, la disponibilità a mettere a disposizione proprie capacità e conoscenze in giugno 2014 — operazioni di servizio, la convinta adesione a una visione planetaria fondata sull’interazione fra nazioni, sulle relazioni amichevoli fra popoli, sui valori di libertà e tolleranza fra singoli e gruppi». È quindi evidente che sono molteplici gli aspetti che concorrono alla qualificazione di un leader e dei quali dunque occorrerà tenere conto nelle cooptazioni. Per risolvere i problemi di effettivo sopra menzionati, il principale orientamento di Evanston sembra essere quello di favorire la costituzione dei cosiddetti New Generations Clubs, ovvero nuovi Club Rotary nei quali i soci fondatori siano all’incirca di età inferiore ai quaranta anni. Va però rilevato che se si riuscisse a dar corso ad un armonico ricambio generazionale all’interno dei Club tradizionali esistenti il problema non si porrebbe, e dunque il rinnovamento dei club tradizionali rimane la soluzione di scelta. I New Generations Clubs, infatti, corrono il rischio di morire dello stesso male per curare il quale son nati: se il gruppo fondatore, che è per definizione tutto di un medesimo delta di età (tra i 30 e i 40 anni), non si rinnovasse, l’età media aumenterebbe inesorabilmente fino a Rotary Club Cagliari 67 che l’eccessivo divario con i “giovani” ne ostacolerebbe la cooptazione e darebbe per risultato la morte lenta ma inesorabile del Club. Peraltro, chi cresce nei programmi giovanili rotariani, dovrebbe sviluppare un più spiccato senso dell’istituzione rotariana ed essere pertanto indotto a sacrificare in qualche misura l’ego per accettare di servire in un Club di pari, più grande, piuttosto che cedere alla tentazione di fondare nuovi Club più piccoli (dove è più facile primeggiare) rivendicando l’impossibilità di far coesistere le generazioni. In aggiunta, la peculiare interpretazione dei New Generations Clubs che talvolta viene data consiste nel consentire l’ingresso nel Rotary a chi non è stato cooptato nei Club tradizionali, e potrebbe prefigurare la ghettizzazione in una sorta di Club di seconda scelta. Naturalmente, laddove sia davvero impossibile far coesistere le generazioni nello stesso Club, e laddove sia davvero serio il processo di selezione, ben vengano i New Generations Clubs, con l’augurio che possano via via rinnovarsi e non a discapito dei Club già esistenti monopolizzando gli ingressi dei giovani, ciò che decreterebbe l’accelera- 68 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 zione della chiusura dei Club tradizionali con una grave perdita per la comunità. Altro aspetto rilevante è la formazione dei nuovi cooptati che, soprattutto nei casi in cui essi non provengano da una solida esperienza nei programmi patrocinati dal Rotary, dovrebbe essere molto più efficace. A tale riguardo, interessante è lo spunto proposto anche in occasione dell’ultima Assemblea Distrettuale dalla PDG Daniela Tranquilli Franceschetti di implementare la figura del Membro Associato, che solo dopo un certo periodo di tempo (ad esempio sei mesi) diverrebbe socio ordinario. Infine, oggi non appare opportuno seguitare in una moltiplicazione di Club che di- sperderebbe energie e risorse, ma apparirebbe più razionale potenziare (o, se impossibile, addirittura fondere) taluni Club esistenti per massimizzare l’impatto nella società. Il Rotary, infatti, sarà attrattivo (soprattutto per i giovani) solo nella misura in cui saprà restare centrale nella società. Come fare a restare centrali nella società? Evitando l’autoreferenzialità, rispondendo a reali bisogni e istanze dei Soci e servendo reali necessità materiali e sociali dei Soci e delle Comunità. E per fare questo occorre anche fare massa. Solo così il Servizio metterà in luce la vera Leadership e crescerà l’Amicizia Rotariana che sul Servizio e sulla Leadership è fondata. ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 69 Laurea e Premio a Enrico Ferro Tornar di laudi cinto Marcello Marchi osì canta Radames sperando di essere messo a capo dell’esercito del Faraone inviato contro gli Etìopi; avveratosi il sogno, tornato vittorioso in patria, viene onorato con un magnifico trionfo. Ovviamente senza far vibrare le lunghe trombe con le squillanti note verdiane, noi soci del Club, legati a Salvatore e Pietrina da sincero affetto, che consideriamo Enrico come un “nostro ragazzo”, siamo felici per la corona che gli cinge il capo e vogliamo festeggiarla esprimendo vivo compiacimento e sentita stima per il suo successo. In tempi come quelli che viviamo, il riconoscimento di valori morali e culturali di alto livello, tanto più se provenga da fonte di indiscusso prestigio mondiale, che investe uno studente italiano, figlio di amici e amico egli stesso, impegnato nel Rotary, soddisfa le attese e alimenta le speranze di un più diffuso risveglio di studi e cultura. Il 19 maggio Enrico si è laureato negli Stati Uniti nella Yale University. Il conseguimento del titolo in un così rinomato Ateneo costituirebbe di già un lodevole risultato. Ma Enrico, durante la cerimonia di laurea, è stato designato come vincitore del premio Alpheus Henry Snow, assegnato allo studente distintosi per una combinazione di eccellenti risultati accademici, carattere e personalità. Appare opportuno riportare testualmente la motivazione letta dal Rettore del College di Yale al momento del conferimento del premio. «Enrico Ferro è stato eletto alla società americana degli onori accademici Phl Beta Kappa ed ha conseguito la laurea, summa cum C laude e con onori, in Biologia Cellulare, Molecolare ed Evolutiva. La sua passione medica ha radici profondamente personali: suo fratello maggiore Leonardo è infatti affetto da cardiopatia congenita, e questa condizione ha alimentato in Enrico il desiderio di aiutare il prossimo. Questa passione, unita ad una superlativa etica di lavoro, ha prodotto un record accademico con nessun voto inferiore ad “A-” e 34 dei 36 crediti del corso di laurea con voto massimo di “A”. Come studente internazionale proveniente dalla Sardegna, Mr. Ferro ha lavorato per rimuovere le barriere alle cure mediche su scala globale. In Lima, Perù, egli ha investigato come l’uso dell’alcol e lo stigma sociale che coinvolge gli uomini omosessuali possono compromettere il loro accesso alle cure mediche per l’HIV. Ha poi presentato i suoi risultati alla Conferenza Internazionale della AIDS Society. Successivamente, egli ha lavorato in Kuala Lumpur, Malaysia, per esaminare come l’abuso di droghe e la discriminazione sociale possono ostacolare il trattamento contro l’HIV per i consumato- 70 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 ri di droghe iniettabili. In Togo, Mr. Ferro ha sviluppato un programma di educazione sanitaria che è stato introdotto nelle scuole locali. Infine, nella sua più recente attività di ricerca a Yale, egli ha analizzato i meccanismi di segnalazione cellulare che regolano la regressione di alcuni tumori della pelle. A marzo, questi risultati sono stati pubblicati dalla rivista Nature Communications. Il prossimo autunno, egli continuerà i suoi studi nella facoltà di medicina ad Harvard Medical School. Per il suo record di risultati accademici e sociali, per il suo amore della conoscenza, e per la sua energia e compassione senza con- fini, Yale College è orgoglioso di conferire il premio Alpheus Henry Snow ad Enrico Giuseppe Ferro». Enrico è rientrato a Cagliari ma non è TORNATO...: infatti, lo ha scritto il Rettore di Yale ed egli stesso lo ha detto, alla riunione del 5 scorso, nella conversazione, coinvolgente e simpatica, come tutte le altre proposte in più occasioni, ora i suoi studi proseguiranno nella Facoltà di Medicina di Harvard. Certamente con altrettanti successi. Questo auguriamo di cuore ad Enrico, Salvatore, Pietrina e Leonardo. ■ giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 71 In biblioteca Le ultime fatiche editoriali di Ugo Carcassi Marcello Marchi i è il rischio di ripetere riflessioni comuni e quasi ovvie quando, riferendoci al carissimo amico Ugo Carcassi, affermiamo che egli non cessa di stupirci con l’entusiasmo che lo sorregge nel dedicare il suo tempo a nuovi scritti ricchi del suo sapere. Egli sa trarre dalle molteplici, profonde conoscenze culturali preziosi contributi anche in campi non legati alla Medicina ma propri della storia con saggi e ricerche di alto rilievo. Da ultimo ha pubblicato con l’editore Carlo Delfino due libri: uno completa i suoi studi su Garibaldi (Ugo Carcassi con la collaborazione di Leandro Mais e Tiziana Puxeddu, Giuseppe Garibaldi: il destino della salma); l’altro (Ugo Carcassi con la collaborazione di Francesca Trois, Un medico in Sardegna) propone la sua vita di medico con particolare riguardo a quanto da lui operato nella nostra isola. Il saggio storico su Garibaldi, anche in base a «documenti e dati in parte inediti», ha potuto chiarire l’enigma sulla presenza della salma nella tomba che lo stesso autore non aveva potuto fugare completamente nel libro, sempre edito da Delfino nel 2010 (Giuseppe Garibaldi: la salma imbalsamata o bruciata?) che è stato presentato da Mauro Manunza nel numero 1-2 del dicembre 2011 di questa rivista. Ora, una lettera olografa di Enrico Albanese garibaldino, amico e medico di Garibaldi, diretta alla moglie chiarisce definitivamente il caso. (Chi scrive ha avuto occasione, da ragazzo, di leggere in casa di un nipote ex filio, anche omonimo, coniugato con An- V dreina Cao-Pinna, cognata di Raimondo Orrù, un libro scritto dal nostro medico: La ferita di Garibaldi ad Aspromonte. Diario inedito della cura... edito postumo nel 1907, circa vent’anni dopo la sua morte, in cui si raccontano cura ed estrazione della pallottola che aveva colpito un malleolo di Garibaldi in quel triste scontro). Tornando all’elemento che fuga ogni perplessità, (ma Carcassi era certo che la salma fosse inumata nella tomba) sta questa lettera in cui Albanese si scusa con la moglie del suo ritardo nel tornare a Palermo per le difficoltà incorse nel modellare il lastrone di granito che doveva essere posto a coprire la tomba. Il secondo libro offre una lunga avvincente esposizione dei ricordi di questo benemerito dell’insegnamento, curatore assiduo della pubblica salute, impegnato con tutta l’energia che nasceva dalla cultura e dal vivo proposito di combattere contro mali che ci affliggevano come il paratifo e soprattutto la malaria. Emergono dai suoi ricordi figure di medici ma anche di infermieri, tecnici, degli stessi pazienti ai quali con il suo deciso impulso di progresso, con la dedizione intensa al lavoro, con la sete di ricerca, con l’amore per lo studio, sapeva infondere lo stesso spirito di iniziativa, di scienza e di cura. ■ 72 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 Benvenuto ai nuovi soci Domenico PORCU Nato a Cagliari l’11 maggio 1959. Laureato in Economia e Commercio nella Università di Cagliari. Imprenditore commerciale, ha iniziato l’attività lavorativa sin dal 1980 nell’azienda familiare, fondata dal padre, Mondino Porcu, Sanifarma S.r.l., di cui è ora Amministratore Unico. La società si sviluppa come azienda commerciale e di distribuzione nel mercato dei dispositivi medici ed apparecchiature elettromedicali e, per la eccellenza della professionalità e dell’affidabilità riconosciute, diventa leader del settore in Sardegna. Negli anni Novanta si attua una definitiva evoluzione: «muore l’immagine del prodotto fine a sé stesso e nasce il concetto di servizio». La società con crescente e costante impegno culturale acquisisce un importante ruolo nella progettazione e realizzazione di servizi “chiavi in mano”. Un indubbio successo lo raggiunge impiantando una nuova sala operatoria di altissimo livello tecnologico nella Clinica Ginecologica ed Ostetrica, diretta dal prof. Gian Benedetto Melis, nel Policlinico Universitario di Monserrato. La sala è dotata di strumenti che consentono il collegamento in video conferenza con le aule degli studenti e con qualsiasi altra struttura del mondo di analoga tecnologia, rendendo possibile non solo un costante fine didattico ma anche, e soprattutto, lo scambio di conoscenze scientifiche e di eventuali sperimentate tecniche per la immediata risoluzione di problemi insorti, contattando i più eminenti specialisti. La rilevante e riconosciuta capacità scientifica e professionale della Sanifarma trova sostegno ed incremento nell’attività svolta nella organizzazione e sponsorizzazione di Convegni Medici con intervento di qualificati professionisti, e nella assidua frequenza del nostro socio di incontri e seminari attinenti l’attività della sua azienda che, a sua volta, organizza corsi orientati all’utilizzazione ed impiego delle attrezzature da essa commercializzate. Bruno Carboni impiega il tempo libero praticando il golf e, da buon cagliaritano, amando il mare. Ma, ancor prima di diventare, entrando nel nostro club, un rotariano effettivo, egli lo era già e non solo di spirito ma anche di fatto. Sua moglie ,Vanda Mulliri, è socia di Cagliari Anfiteatro ed il loro figlio Alberto è interactiano del Club Sella del Diavolo. Con loro e con altri amici rotariani ha partecipato attivamente a varie iniziative rotariane. Queste qualità e queste esperienze sono sicura premessa di un valido inserimento nel nostro Club. Massimiliano MASIA Nato a Cagliari il 12 maggio 1965. Laureato nel 1993 nella Università di Cagliari in Giurisprudenza, con tesi in diritto internazionale. Collabora con l’avvocato Cesare Oliveti, nostro rimpianto consocio, negli studi legali di Roma e Cagliari e, nel 1998, si iscrive nel locale Ordine Professionale. Nel 1994 partecipa al Seminario “Diritto penale militare, abilitazione all’esercizio della professione forense davanti al Tribunale Militare”. Dal 2001 è titolare di un proprio studio sviluppando attività, consulenze e assistenza in diritto internazionale, penale, penale militare, commerciale e societario. Frequenta un seminario di diritto comunitario. Nel 2006 si impegna, con profitto, nel corso annuale di lingua cinese presso la Università di Cagliari. L’anno successivo, a Bologna presso il Praxis Sviluppo e Informazione Institute partecipa al seminario sulla emersione della Cina e le opportunità per i professionisti e le aziende italiane. L’attività svolta, le conoscenze acquisite e l’indubbio interesse per un settore particolarmente rilevante in campo internazionale determinano il suo nuovo impegno. Nel 2011 è nominato, con il grado di Maggiore del ruolo di Commissariato, Ufficiale dell’Esercito Italiano (proposto poi al grado di Tenente Colonnello per meriti professionali). Frequenta il XIX Corso della Riserva Selezionata presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione di Torino; qualificato “Funtional Specialist NATO”; impiegato come Legal Military Assistance nello Special Staff Commander del Gen. Lops al Ministero della Difesa; frequenta presso lo Stato Maggiore Esercito e Comando Operativo Interforze il corso di Special Staff per l’indottrinamento e l’impiego in teatro fuori area (ESTERO). Dall’agosto 2013 al febbraio 2014 opera nell’Afghanistan come Legal Advisor Chief nello Special Staff del Regional Comand West NATO ISAF MISSION. Ha la qualifica di Consulente Legale agli alti Comandi Militari. Ha diverse onorificenze ed encomi per le attività svolte per le operazioni nazionali e per quelle a forte connotazione interforze e internazionali. Conosce la lingua inglese e la cinese. Appare chiaro da quanto pur succintamente esposto, che Massimiliano Masia ha doti e capacità professionali tali da inserirsi validamente nel nostro club collaborando, tra l’altro, nei contatti con rotariani stranieri per creare ottimi rapporti. giugno 2014 — Rotary Club Cagliari 73 COMMISSIONI ANNO 2014–2015 AZIONE INTERNA AMMINISTRAZIONE DEL CLUB Presidente coordinatore: Rafaele CORONA FORMAZIONE E ISTRUZIONE ROTARIANA Presidente: Angelo CHERCHI [email protected] COMPONENTI: Lucio Artizzu, Salvatore Fozzi PROGRAMMI Presidente: Francesco BIROCCHI [email protected] COMPONENTI: Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Alfonso Dessì, Pasquale Mistretta, Nicola Porcu ASSIDUITÀ, AFFIATAMENTO ED EVENTI Presidente: Luigi PUDDU [email protected] COMPONENTI: Paolo Ciani, Angelo Deplano, Antonio Lenza, Margherita Mugoni, Alessandro Palmieri AMMISSIONI, CLASSIFICHE E SVILUPPO DELL’EFFETTIVO Presidente: Enzo PINNA [email protected] COMPONENTI: Marcello Caletti, Ugo Carcassi, Piergiorgio Corrias, Salvatore Ferro, Pasquale Mistretta COMUNICAZIONE, IMMAGINE E SITO WEB Presidente: Michele ROSSETTI [email protected] COMPONENTI: Riccardo Lasic, Roberto Nati, Pier Francesco Staffa RIVISTA DEL CLUB Presidente: Lucio ARTIZZU [email protected] COMPONENTI: Francesco Birocchi, Salvatore Fozzi, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giovanni Sanjust di Teulada COMPONENTI: Christian Cadeddu, Alfonso Dessì, Salvatore Ferro, Alberto Lai, Giuseppe Masnata COMPONENTI: Vincenzo Cincotta, Caterina Lilliu, Cecilia Onnis, Pier Francesco Staffa AZIONE SOCIALE Presidente: Guido CHESSA MIGLIOR [email protected] COMPONENTI: Antonio Lenza, Gian Paolo Piras, Marco Rodriguez RYLA Presidente: Roberto NATI [email protected] COMPONENTI: Michele Bajorek, Paola Dessì, Giuliano Frau, Andrea Lixi OASI SAN VINCENZO Presidente: Gian Paolo RITOSSA [email protected] COMPONENTI: Marcello Caletti, Gaetano Giua Marassi, Giovanni Sanjust di Teulada PROGETTI DI SERVIZIO Presidente coordinatore: Gian Paolo RITOSSA [email protected] SOLIDARIETÀ CON LE FASCE DISAGIATE Presidente: Maria Pia LAI GUAITA [email protected] COMPONENTI: Gaetano Giua Marassi, Antonio Lenza, Maria Luigia Muroni, Luigi Puddu, Michele Rossetti AZIONE INTERNAZIONALE Presidente coordinatore: Giovanni BARROCU [email protected] RAPPORTI INTERNAZIONALI Presidente: Angelo ARU [email protected] COMPONENTI: Ginevra Balletto, Maurizio Boaretto, Angelo Deplano ROTARY FOUNDATION Presidente: Alberto COCCO ORTU [email protected] COMPONENTI: Ginevra Balletto, Francesco Danero, Caterina Lilliu, Massimiliano Masia, Enzo Pinna, Domenico Porcu NUOVE GENERAZIONI Presidente coordinatore: Maria Luigia MURONI [email protected] AZIONE PROFESSIONALE Presidente coordinatore: Giorgio LA NASA [email protected] ROTARACT Presidente: Francesca COZZOLI [email protected] COMPONENTI: Riccardo Lasic, Roberto Nati AZIONE SANITARIA Presidente: Carlo CARCASSI [email protected] SCAMBIO GIOVANI Presidente: Francesco DANERO [email protected] ANTICHE ARTI GIOVANI INNOVATORI Presidente: Maurizio BOARETTO [email protected] COMPONENTI: Lucia Pagella, Michele Rossetti ARCHEOTOUR Presidente: Antonio CABRAS [email protected] COMPONENTI: Giuseppe Cascìu, Francesco Danero, Giancarlo Deidda, Paola Giuntelli, Caterina Lilliu, Margherita Mugoni, Alessandro Palmieri, Giovanni Sanjust di Teulada NANIUKI Presidente: Francesco BIROCCHI [email protected] COMPONENTI: Michele Bajorek, Paola Giuntelli ACIDO FOLICO - MUSIKARALIS Presidente: Giuseppe MASNATA [email protected] COMPONENTI: Efisio Baire, Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Luigi Puddu ROTARY PER LA CITTÀ Presidente: Giovanni Maria CAMPUS [email protected] COMPONENTI: Ercole Bartoli, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Alessio Grazietti, Stefano Liguori, Lucia Pagella 74 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 LE RIUNIONI DEL CLUB 5 DICEMBRE 2013 ASSEMBLEA DEI SOCI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ettore Atzori, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giovanni Cascìu, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, De Gesu Gianfranco, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Paola Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Stefano Liguori, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Andrea Rusconi, Antonio Scrugli, Pier Francesco Staffa. 12 DICEMBRE 2013 “LA SARDEGNA NELLO SPAZIO” Relatore: professor GIACOMO CAO, ordinario di Princìpi di Ingegneria Chimica presso l’Università di Cagliari Sono presenti I soci: Ginevra Balletto, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano Costa, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Gaetano Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Maria Luigia Muroni, Larry Pagella, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa. Sono presenti in sala le signore: Paola Dessì. Ospiti dei soci: di Salvatore Ferro il dr. Francesco Danero. 19 DICEMBRE 2013 “CENA DEGLI AUGURI DI FINE ANNO” Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Efisio Baire, Berto Balduzzi, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Christian Cadeddu, Marcello Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Guido Chessa Miglior, Paolo Ciani, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Franco Passamonti, Enzo Pinna, Luigi Puddu, Marco Rodriguez, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada, Giulia Vacca Cau. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Giulia Baire, Mariuccia Balduzzi, Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Laura Cadeddu, Maria Gabriella Caletti, Mirella Campus, Maria Vittoria Carcassi, Haydee Cascìu, Antonella Cherchi, Luisella Chessa Miglior, Franca Cincotta, Maria Rosaria Corona, Paola Deplano, Paola Dessì, Pietrina Ferro, Antonella Figus, Lina Fois, Franca Fozzi, Rossana Grazietti, Luisanna Giua Marassi, Maria Rosaria Lenza, Lia Lixi, Tiziana Masnata, Carola Oddini Carboni, Giovanna Passamonti, Barbara Pinna, Diana Rodriguez, Maria Grazia Rosella, Elisabetta Sanjust di Teulada. Ospiti del Club: padre Morittu, il Governatore del Distretto 2080 avv. Pier Giorgio Poddighe, l’Assistente del Governatore avv. Italo Doglio, il Presidente del Rotaract dr. Antonello Fiori ed i soci Davide Rossetti, Silvia Pasquini, Francesca Manca. Ospiti dei soci: di Marcello Caletti il dr. Giovanni Caria e gentile signora, il dr. Carlo Spano e gentile signora, di Salvatore Ferro, la dr.ssa Maria Cristina Biggio, l’avv. Oreste Bencardino, il dr. Alessandro Fasciolo, il dr. Giuseppe Tondini, la dr.ssa Sarah Hirsch, il dr. Carlo Pinna, l’ing. Luca Baltolu, il figlio Enrico, di Riccardo Lasic la madre Paola, di Marcello Marchi la sorella Cecilia, di Mauro Rosella il colonnello Marco Torchiani e gentile signora. 9 GENNAIO 2014 “I CONTRATTI DI CONVIVENZA” Relatore: il socio VITTORIO GIUA MARASSI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Ettore Atzori, Giovanni Barrocu, Ercole Bartoli, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Mirella Campus, Maria Rosaria Corona, Maria Corrias, Giuseppina Giua Marassi. 16 GENNAIO 2014 “IL RINNOVAMENTO SCOLASTICO NEL TESSUTO SOCIALE DELLA SARDEGNA” Relatore: professoressa VALENTINA SAVONA, dirigente scolastico del liceo Dettori e dell’istituto Tuveri di Cagliari Sono presenti I soci: Angelo Aru, Lucio Artizzu, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Carlo Carcassi, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesco Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Giorgio La Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Maria Rosaria Corona, Paola Deplano, Lina Fois. 23 GENNAIO 2014 “L’8 SETTEMBRE 1943 IN SARDEGNA TRA CRONACA E STORIA” Relatore: il socio UGO CARCASSI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Ugo Carcassi, Giovanni Cascìu, Guido Chessa Miglior, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Gaetano Giua Marassi, Giorgio La Nasa, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Teresa Lostia di Santa Sofia, Tiziana Masnata. Ospiti del Club: i giovani del Rotaract Club Cagliari col Presidente dr. Antonello Fiori, il socio onorario prof. Eugenio Lazzari. Ospiti dei soci: di Ugo Carcassi il dr. Piero Loriga, la signora Tiziana Pusceddu, il dr. Carlo Figari e gentile consorte, di Francesco Birocchi il signor Bepi Anziani e la signora Flavia Corda. 30 GENNAIO 2014 “LA SCIENZA TRA PASSATO E FUTURO” Relatore: professor MICHELE CAMEROTA, docente di Storia della Scienza all’Università di Cagliari Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Angelo Deplano, Paola Dessì, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Luisella Chessa Miglior, Rita Cocco Ortu. Ospiti del Club: il dr. Gabriele Andria Segretario Distretto 2080 Sardegna. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu Vanda Porcu, la signora Teresa Cortese Porcu, il signor Luciano Porcu e la dr.ssa Rossella Ricciardi. giugno 2014 — 6 FEBBRAIO 2014 ASSEMBLEA DEI SOCI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu. 13 FEBBRAIO 2014 “ALDILÀDELMARE” Relatore: DANIELA ZEDDA, fotografa I soci: Angelo Aru, Efisio Baire, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Gaetano Giua Marassi, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni, Larry Pagella, Franco Passamonti, Enzo Pinna, Gianpaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa. Sono presenti in sala le signore: Maria Vittoria Carcassi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Lenza, Tiziana Masnata, Giovanna Passamonti. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Enrico Salone e signora. 20 FEBBRAIO 2014 “NIENTE È PICCOLO DI CIÒ CHE È FATTO PER AMORE” Relatore: professor GIOVANNI PERETTI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias, Silvano Costa, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Francesca Cozzoli, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi, Riccardo Lasic, Salvatore Lostia di santa Sofia, Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni, Larry Pagella, Enzo Pinna, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Andrea Rusconi. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Rita Dedola, Maria Rosaria Corona, Maria Corrias, Paola Deplano, Paola Dessì, Luisanna Giua Marassi, Giuseppina Giua Marassi. Ospiti dei soci: di Rafaele Corona la figlia avv. Elisabetta Corona col marito avv. Enrico Salone ed il fratello ing. Giovanni Corona e gentile signora dr.ssa Rotary Club Cagliari Fernanda Levanti, di Riccardo Lasic l’ing. Anna Maria Corona. Ospiti del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari, l’ing. Gabriele Peretti. 27 FEBBRAIO 2014 “IL CASO STAMINA” Relatore: il socio CARLO CARCASSI Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Ercole Bartoli, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Guido Chessa Miglior, Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Giorgio La Nasa, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Domenico Porcu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Vittoria Carcassi, Maria Rosaria Corona, Lia Lixi, Vanda Porcu, Maura Rossetti. Ospiti del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari. 6 MARZO 2014 “L’AVVOCATO CON LE STELLETTE” Relatore: avv. MASSIMILIANO MASIA del Foro di Cagliari, maggiore dell’Esercito Italiano Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Giancarlo Deidda, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Lenza. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu il cognato avv. Giovanni Maria Dedola. 13 MARZO 2014 “PAGARE LE TASSE È BELLO” Relatore: professor FRANCO PICCIAREDDA Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Vincenzo Cincotta, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Alessio Grazietti, Giorgio La Nasa, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Stefano Liguori, Andrea Lixi, Mauro Manunza, 75 Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada, Pier Francesco Staffa. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Luisella Chessa Miglior, Franca Cincotta. Ospiti del club: i giovani del Rotaract, il Procuratore Generale della Repubblica e Presidente della Commissione Tributaria Regionale dr. Ettore Angioni, l’avv. Italo Doglio rappresentante del Governatore distretto Rotary 2080. Ospiti dei soci: di Margherita Mugoni Contini la sorella dr.ssa Maria Giovanna Mugoni. 20 MARZO 2014 “SU BANDIDORI” Relatore: il socio MAURO MANUNZA Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Rita Cocco Ortu, Mariangela Manunza, Vanda Porcu. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia. 27 MARZO 2014 “LA PENA DETENTIVA OGGI. PROBLEMI E PROSPETTIVE” Relatore: dott. CARLO RENOLDI Sono presenti I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Angelo Cherchi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Giorgio La Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Antonella Cherchi, Luisella Chessa Miglior, Rita Cocco Ortu, Maria Grazia Rosella. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia. 76 Rotary Club Cagliari — giugno 2014 3 APRILE 2014 Cittadella dei Musei di Cagliari: “L’ISOLA DELLE TORRI. GIOVANNI LILLIU E LA SARDEGNA NURAGICA” Visita guidata alla mostra Sono presenti I soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Carlo Carcassi, Giulia Casula, Rafaele Corona, Salvatore Ferro, Giuseppe Fois, Gaetano Giua Marassi, Giorgio La Nasa, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Alessandro Palmieri, Giampaolo Piras, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Giulia Vacca Cau. Sono presenti le signore: Maria Luisa Barrocu, Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Maria Rosaria Corona, Lina Fois, Lia Lixi, Patrizia Palmieri, Loredana Piras, Giuseppina Ritossa, Diana Rodriguez. Ospiti del club: i giovani del Rotaract. La visita è stata apprezzata anche da numerosi amici e parenti dei soci. 10 APRILE 2014 “DALLE LASTRE AL DIGITALE” Relatore: il socio GIOVANNI MARIA CAMPUS Sono presenti I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Paolo Ciani, Vincenzo Cincotta, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Antonella Cherchi, Franca Cincotta, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Corona, Paola Dessì, Maria Teresa Lostia di Santa Sofia, Maria Grazia Rosella, Ospite del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Enzo Pinna il dr. Maurizio Corona. 24 APRILE 2014 “SPLENDORI DELLE CORTI ITALIANE: GLI ESTE ALLA REGGIA DELLA VENARIA REALE” Relatore: dottor STEFANO CASCÌU, Soprintendente per i Beni Storici ed Artistici di Modena e Reggio Emilia Sono presenti I soci: Michele Bajorek, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Giuseppe Cascìu, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Marinella Fer- rai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Andrea Lixi, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Cecilia Onnis, Alessandro Palmieri, Larry Pagella, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Haydee Cascìu, Antonella Cherchi, Maria Rosaria Corona, Lia Lixi, Elisabetta Sanjust. Ospiti dei soci: di Marcello Marchi la sorella Cecilia, di Marinella Ferrai Cocco Ortu il figlio avv. Francesco Cocco Ortu. 8 MAGGIO 2014 “L’ITALIANO CE LA FARÀ?” Relatore: professoressa CRISTINA LAVINIO, docente di Linguistica Educativa nella Facoltà di Lettere dell’Università di Cagliari Sono presenti I soci: Angelo Aru, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Carlo Carcassi, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Francesco Danero, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Roberto Nati, Giampaolo Piras, Paola Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti. Sono presenti in sala le signore: Maria Vittoria Carcassi, Antonella Cherchi, Maria Rosaria Lenza, Giuseppina Ritossa, Maria Grazia Rosella. Ospiti del club: Marinella Fanti. Ospiti dei soci: di Michele Bajorek il sig. Antonio Facci, di Marcello Marchi la sorella Cecilia. 15 MAGGIO 2014 “AIUTARE I GENITORI AD AIUTARE I FIGLI” Relatore: dottoressa GIUSEPPINA FINOCCHIARO, pediatra e psicoterapeuta Sono presenti I soci: Lucio Artizzu, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Marcello Caletti, Carlo Carcassi, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano Costa, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Giuseppe Masnata, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Franco Staffa. Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Antonella Cherchi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Corona, Rossana Grazietti, Tiziana Masnata, Carola Oddini Carboni, Vanda Porcu, Giuseppina Ritossa, Maria Grazia Rosella. Ospiti del club: la dr.ssa Teresa Vodret, la dr.ssa Enrica Casu, I giovani del Rotaract. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Domenico Porcu la signora Gloriana Sollai, di Vittorio Giua Marassi il dr. Michele Musio e gentile signora. 22 MAGGIO 2014 “LA MAGGIORANZA HA SEMPRE RAGIONE?” Relatore: il socio RAFAELE CORONA Sono presenti I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni Campus, Giovanni Cascìu, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Franco Passamonti, Enzo Pinna, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada. Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Gabriella Caletti, Antonella Cherchi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Corona, Maria Rosaria Lenza Mariella Mistretta, Giovanna Passamonti, Tiziana Masnata, Carola Oddini Carboni, Vanda Porcu, Giuseppina Ritossa, Maria Grazia Rosella. Ospiti del club: Il dr. Antonello Fiori presidente del Rotaract Club Cagliari. Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Rafaele Corona i figli Maurizio ed Elisabetta, il genero avv. Enrico Salone ed i nipoti. 29 MAGGIO 2014 “L’ACQUA COME SIMBOLO” Relatore: il socio onorario EUGENIO LAZZARI Sono presenti I soci: Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Campus, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Maria Luigia Muroni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti. Sono presenti in sala le signore: Antonella Cherchi, Maria Rosaria Corona. Ospiti del club: l’ing. Andrea Lazzari e gentile signora. Ospiti dei soci: di Marcello Marchi la sorella Cecilia. ROTARY INTERNATIONAL – DISTRETTO 2080 ITALIA ROTARY CLUB CAGLIARI ORGANIGRAMMA DEL CLUB Anno Rotariano 2014 / 2015 Presidente Mario FIGUS E-mail: [email protected] Presidente uscente Francesco BIROCCHI E-mail: [email protected] Presidente eletto Stefano ODDINI CARBONI E-mail: [email protected] Vice Presidenti Salvatore FOZZI Michele ROSSETTI E-mail: [email protected] E-mail: [email protected] Segretario Cecilia ONNIS E-mail: [email protected] Tesoriere Salvatore FERRO E-mail: [email protected] Prefetto Riccardo LASIC E-mail: [email protected] Consiglieri Ettore ATZORI E-mail: [email protected] Ginevra BALLETTO E-mail: [email protected] Giorgio LA NASA E-mail: [email protected] Maria Luigia MURONI E-mail: [email protected] I l portone in bronzo donato dal nostro Rotary alla chiesa di San Lucifero, parrocchia della Beata Vergine del Rimedio, è opera dell’artista Piergiorgio Gometz di Dorgali, alto 4 metri e 24 cm e largo 2 metri e 40 cm è stato fuso nel Laboratorio artistico di Augusto Mascia. Al centro della parte alta è rappresentata, in bassorilievo, la Beata Vergine del Rimedio che offre una borsa con dei denari a san Giovanni de Matha, fondatore dei Trinitari (che officiarono la chiesa per lungo tempo). L’Ordine, nato per liberare i cristiani schiavi dei saraceni, era posto sotto la protezione della Beata Vergine del Rimedio. Alla sinistra della Vergine è rappresentato san Lucifero con i paramenti vescovili. Nelle due ante, suddivise in 12 formelle, sono rappresentati i santi Pietro e Paolo, Cosma e Damiano, Domenico, Fulgenzio e le sante Cecilia e Barbara (lato sinistro). Efisio e Saturnino, Lussorio, Cesello e Camerino, Eusebio, Giacomo e le sante Caterina e Lucia (lato destro). Le maniglie rappresentano i quattro evangelisti. Si ringrazia la F ONDAZIONE B ANCO DI S ARDEGNA per il contributo concesso.