l`affascinante avventura • la responsabilità di non deludere • ricordo

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l`affascinante avventura • la responsabilità di non deludere • ricordo
giugno 2014
Periodico del Rotary Club Cagliari
Distretto 2080
• L’AFFASCINANTE
AVVENTURA
• LA RESPONSABILITÀ
DI NON DELUDERE
• RICORDO DI
SU BANDIDORI
• LE CELLULE
STAMINALI
Sommario
Rotary Club Cagliari
L’affascinante avventura – Francesco Birocchi
Periodico del Rotary Club Cagliari
Distretto 2080
Anno di fondazione 1949
Dove sono gli amici lì è la vera ricchezza – Mario Figus 7
Cronaca e storia – Ugo Carcassi, Tiziana Pusceddu
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Tutela del patrimonio ambientale – Giovanni Barrocu 19
n. 3/4
giugno 2014
Pubblicazione riservata
ai soci Rotariani
Direttore responsabile:
Lucio Artizzu
Comitato di redazione:
Francesco Birocchi,
Salvatore Fozzi,
Caterina Lilliu,
Mauro Manunza,
Marcello Marchi,
Giovanni Sanjust
Segretaria di redazione:
Anna Maria Muru
Autorizzazione
del Tribunale di Cagliari
n. 171 del 18 agosto 1965
Progetto grafico e impaginazione
Bruno Pittau – www.brokenart.org
fotografie:
Archivio Rotary e soci del Club
Stampa e allestimento:
Archimedia S.r.l., Novara
_____________________________
Le opinioni espresse negli
articoli firmati impegnano
esclusivamente i loro autori.
Il re del Regno Unito che affrontò la rivoluzione francese,
subì la rivoluzione americana e ancora regnante prevalse
su Napoleone – Angelo Deplano, Giovanni Barrocu
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Sardus Pater – Mauro Manunza
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Dalla lastra al digitale – Gianni Campus
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Si è concluso un anno splendido – Paolo Ritossa
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Daniela Zedda – M.M.
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Su bandidori – Mariangela Zedda
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Emotività e razionalità: il caso Stamina
– Carlo Carcassi
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Missione sanitaria in Togo – Giovanni Peretti
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La maggioranza ha sempre ragione?
– Rafaele Corona
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Dal Rotaract al Rotary – Francesco Danero
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Tornar di laudi cinto – Marcello Marchi
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Le ultime fatiche editoriali di Ugo Carcassi – M.M.
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Benvenuto ai nuovi soci
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Commissioni anno 2014-2015
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LE RIUNIONI
Le presenze
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Hanno collaborato a questo numero:
GIOVANNI BARROCU • FRANCESCO BIROCCHI
GIANNI C AMPUS • C ARLO C ARCASSI • UGO C ARCASSI
RAFAELE CORONA • FRANCESCO DANERO • ANGELO DEPLANO
MARIO FIGUS • MARCELLO MARCHI • MAURO MANUNZA
GIOVANNI PERETTI • TIZIANA PUSCEDDU
PAOLO RITOSSA • MARIANGELA ZEDDA
In copertina: 22 febbraio 2014, flash mob “End Polio Now”
al Bastione di Saint Remy (foto Italo Orrù).
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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Vivere il Rotary
L’affascinante
avventura
Francesco Birocchi
e musiche di Ĉajkovskij e Debussy magistralmente interpretate dal violino di Salvatore Accardo hanno segnato, nel modo
più emozionante e significativo,
la fase di finale di quest’anno rotariano 20132014. Il concerto del Quartetto Accardo al Teatro Lirico, terza edizione del Musikaralis, si
è svolto nel pieno della campagna di educazione sanitaria per la prevenzione delle malformazioni congenite, avviata dal Rotary Club
Cagliari con i fondi raccolti nelle prime edizioni della prestigiosa rassegna musicale.
Il progetto, condiviso da tutti i Rotary Club
della Sardegna, ha ormai preso forma e centinaia di piccoli manifesti e migliaia di opuscoli sono stati distribuiti nelle farmacie della Sardegna. Spot appositamente confezionati, sono stati trasmessi dalle radio private. Il titolo della campagna è “I suoi primi
passi li fai tu”, diretto alle donne che prevedono la possibilità di una gravidanza le
quali, assumendo, previa consultazione del
medico, piccole quantità di acido folico, possono ridurre in misura importante la possibilità di concepire un bambino affetto da malformazioni congenite.
Il motto del Presidente internazionale del
Rotary Ron D. Burton per quest’anno “Vivere il Rotary. Cambiare vite”, ci ha incoraggiato ad insistere e moltiplicare le energie per far partire questo progetto, che dovrà proseguire, perfezionandosi, nei prossimi anni per poter raggiungere risultati concretamente significativi.
Il Rotary fu definito dall’indimenticato past
governor del Distretto e past president del nostro Club, Renzo Pirisi: “Un’affascinante
L
avventura”. È la sensazione che provo al termine di questa annata rotariana. L’anno che
si è concluso è stato per me una grande e bella avventura nella quale ho rinsaldato vecchie
amicizie, ne ho scoperte di nuove, ho lavorato
assieme a persone splendide e disponibili nel
nome del Rotary. Nulla si sarebbe potuto realizzare senza la collaborazione di tanti, nello spirito rotariano del servire al di sopra di
ogni interesse personale.
«Molte cose sono cambiate da quando
Paul Harris aveva avviato il primo Rotary
club nel 1905 – ha scritto Ron D. Burton in
un suo messaggio – ma gli elementi essenziali
del Rotary non sono cambiati e non cambieranno mai. Essere rotariani significa
mettere i bisogni degli altri prima dei nostri
e significa abbracciare i nostri valori fondamentali: amicizia e tolleranza globale, etica
e integrità, diversità, competenza professionale, servizio e leadership».
Valori espressi concretamente nella disponibilità dei tanti amici del Rotary Club di
Cagliari, nella partecipazione ai nostri incontri
settimanali, nel lavoro nelle commissioni, nelle iniziative e nei progetti che sono stati realizzati nel corso dell’anno al servizio della città, del territorio e dei più bisognosi. Mi piacerebbe ripercorrere una ad una le tappe di
questa avventura. Ma l’elencazione dettagliata
sarebbe troppo lunga e occuperebbe troppo
spazio in questa bellissima rivista, curata con
professionalità da Lucio Artizzu (che ne è il
direttore), da Salvatore Fozzi (che sostiene
il peso degli aspetti editoriali) Mauro Manunza, Marcello Marchi e Giovanni Sanjust
e dalla segretaria di redazione Anna Maria
Muru. A loro rivolgo un grande grazie.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Mi limiterò pertanto a sottolineare solo alcuni dei momenti più belli e significativi. A
cominciare dalle indimenticabili conversazioni
che i soci, con professionalità straordinarie
e profonda cultura, hanno regalato al Club
nel corso dell’anno. Da Salvatore Fozzi (Rotary Foundation) a Pasquale Mistretta (La
città del futuro), Paolo Ritossa (Il futuro del
porto di Cagliari), Vittorio Giua (I contratti di convivenza), Ugo Carcassi (La libertà
da ricostruire), Carlo Carcassi (Il caso Stamina), Mauro Manunza (Su bandidori),
Massimiliano Masia (L’avvocato con le stellette), Gianni Campus (Dalle lastre al digitale) per finire con Rafaele Corona (La
maggioranza ha sempre ragione?) ed Eugenio Lazzari (L’acqua come simbolo).
Le loro conversazioni, assieme a quelle dei
tanti conferenzieri illustri, scaturite dal lavoro
della commissione programmi guidata da Alberto Cocco Ortu, hanno animato i nostri giovedì rotariani ed hanno interpretato ad altissimo livello il tema che ci eravamo dati all’inizio dell’anno: Esplorare il futuro per orientare il presente.
E poi i momenti di affiatamento. Ricordo
con grandissimo piacere la serata dedicata a
festeggiare il novantesimo compleanno del nostro past governor e past president Angelo
Cherchi, docente universitario, insigne cardiologo e rotariano esemplare e autorevole, motore instancabile di tante importanti iniziative del nostro Club e del Distretto e punto di
riferimento insostituibile per chi ancora oggi
intende vivere il Rotary nel modo migliore.
Con altrettanto piacere ricordo altre giornate trascorse insieme: la trasferta al Centro di
restauro di Li Punti, con lo spettacolo dei Giganti di Monte Prama. La visita guidata alla
mostra “L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la
Sardegna nuragica”, la mostra allestita alla Cittadella dei Musei in occasione del centenario
della nascita di Giovanni Lilliu. Iniziative curate da Caterina Lilliu. E infine la visita a
S’Aspru, la comunità agricolo-pastorale fondata e guidata da Padre Salvatore Morittu, nostro socio onorario. Di questo evento parlerò fra
poco perché si inquadra in un bellissimo progetto distrettuale promosso dal nostro Club.
Sono davvero orgoglioso di aver vissuto il
compimento del progetto per il nuovo portone
dell’antica chiesa di S. Lucifero a Cagliari. È
un dono che il Rotary ha fatto alla città: un
grande portone di bronzo, decorato con formelle recanti le immagini dei santi più legati al culto dei cagliaritani. La realizzazione dell’opera è stata affidata all’artista Piergiorgio
Gometz, dorgalese con laboratorio a Cagliari, già autore di numerosi portoni di bronzo,
tra cui quello della cattedrale di Nuoro. La
fusione del portone è stata realizzata in maniera magistrale da Augusto Mascia nella omonima fonderia di Cagliari. La Fondazione Banco di Sardegna ha partecipato con un contributo al notevole impegno economico che
l’opera ha richiesto, la ringraziamo per questo. A Gometz si deve, fra l’altro, il bassorilievo di bronzo collocato, su iniziativa del nostro Club, nell’area partenze dell’Aeroporto
di Elmas, per celebrare le attività benefiche
del Rotary, nel centenario della sua fondazione.
La fortuna mi ha regalato la soddisfazione
di veder realizzato un progetto nato alcuni
anni fa e sostenuto con convinzione dall’impegno di molti rotariani e non. Dai presidenti del Club che mi hanno preceduto, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Ninni Cabras, Michele Rossetti e Mauro Manunza, a tanti altri soci che, con generosità, hanno consentito che venissero superati tutti i problemi tecnici e burocratici che la complessità dell’opera
ha comportato. Un ringraziamento particolare deve andare a Michele Pintus, a Marinella Ferrai Cocco Ortu, a Salvatore Fozzi,
e a Stefano Liguori. Senza il loro impegno e
la loro professionalità, il portone non avrebbe mai potuto vedere la luce.
Tra le iniziative dalla commissione Rotary per la città, guidata da Marinella Ferrai
Cocco Ortu, non si può certo dimenticare la
sistemazione dei pannelli esplicativi per le
opere artistiche di maggior pregio nella storica Chiesa del Santo Sepolcro. I testi sono
frutto degli studi della dottoressa Lucia
Siddi, Storica dell’arte, una vera e preziosa
amica del nostro Club in questa ed in altre
occasioni. La traduzione in inglese è invece
opera del nostro socio Franco Staffa.
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Rotary Club Cagliari
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7 giugno 2014: monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, benedice il nuovo portone in bronzo della chiesa di San Lucifero, alla presenza del sindaco Massimo Zedda e del nostro presidente Francesco Birocchi.
Ogni progetto, ogni realizzazione del Club
è sempre frutto di un impegno collettivo. Solo
con l’aiuto di tanti amici si riesce a raggiungere risultati importanti. Questo è accaduto
ogniqualvolta ci siamo cimentati nella trasformazione di un’idea in azioni concrete.
Anche la campagna di prevenzione delle
malformazioni congenite, di cui ho parlato
all’inizio, viene da lontano, dell’acido folico
e delle sue proprietà, si incominciò a parlare nell’anno di presidenza di Andrea Rusconi (2001-2002) e da allora tanti soci hanno
collaborato. Ora il progetto è nelle mani sicure di Peppino Masnata, entusiasta e instancabile promotore di iniziative rotariane
che, per l’organizzazione del Musikaralis, si
è avvalso della professionalità di Luigi Puddu e del sostegno di Margherita Mugoni, Marcello Marchi e di tanti altri soci. E dell’aiuto concreto anche di altri amici che rotariani non sono ma che hanno compreso bene lo
spirito e l’importanza dell’iniziativa: da Ma-
rio Orgiana (presidente dell’associazione
della Spina bifida) a Mauro Meli (Soprintendente del Teatro Lirico), a Marco Ghiani (tipografo e rotariano di Cagliari Est), la
cui collaborazione si è dimostrata decisiva.
Sui temi dell’ambiente il nostro Club si è
speso molto, da sempre. Anche quest’anno.
È stata pronta la risposta all’appello del Distretto 2080 per la raccolta di fondi per venire incontro alle necessità delle popolazioni della Gallura e di altre zone della Sardegna duramente colpite dal nubifragio del 28
novembre 2013. Non solo: il 5 aprile abbiamo
organizzato un interessantissimo Forum Distrettuale sul tema Tutela del patrimonio ambientale e aspetti giuridici del governo del territorio, con la sapiente regia di Giovanni Barrocu, coordinatore della commissione “Progetti di servizio” del nostro Club e Rita Dedola del Rotary Club Cagliari Anfiteatro. Ed
è stato un successo, per partecipazione (l’aula magna del Palazzo di giustizia era stra-
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piena) e per qualità degli interventi. Dopo i
saluti del nostro socio Ettore Atzori (Presidente
del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cagliari) e di Filippo Peretti (Presidente dell’Ordine dei giornalisti), perché il Forum è stato inserito nel programma di formazione permanente dei due ordini professionali, ci sono
stati gli interventi dei nostri soci, Angelo Aru,
Mario Figus, Giovanni Barrocu e Ginevra Balletto. Poi quelli del sostituto procuratore della Repubblica Daniele Caria, degli avvocati
Marcello Vignolo e Rita Dedola ed infine ha
concluso il giornalista Lello Caravano.
È stata un’occasione importante per rendere un servizio alla comunità ad un livello
elevato. Davvero un bel momento di azione
professionale rotariana.
L’azione di Pubblico Interesse è la terza
delle cinque vie d’azione rotariane ed ha come
obiettivi l’assistenza e l’aiuto a chi è in difficoltà ed il contributo al miglioramento della comunità locale. Il nostro Club ha tenuto fede a questo impegno. Oltre a partecipare
a vari progetti nati in altri Club, si è fatto promotore, con il RC Sassari, di una richiesta di
sovvenzione distrettuale a favore della Comunità S’Aspru del nostro amico e socio onorario padre Salvatore Morittu. Lo scopo è
quello di assicurare alla Comunità un contributo per il completamento di un nuovo laboratorio artigianale di falegnameria, importante strumento di formazione e di inserimento futuro nel mondo del lavoro per i giovani che padre Morittu assiste nelle sue comunità fin dal lontano 1980.
Salvatore Fozzi ha preso l’iniziative e la risposta è stata immediata e rassicurante,
quasi tutti i Club della Sardegna (27 su 28)
hanno risposto all’appello, disponendo un proprio contributo per il progetto che il Distretto ha accettato di cofinanziare. Il legame di
amicizia fraterna con padre Salvatore è stato consolidato e l’importanza del nostro contributo l’abbiamo potuta constatare di persona in occasione della visita organizzata a
S’Aspru. La Comunità avrà la sua falegnameria. In essa lavoreranno i giovani sottratti alla spirale della droga e ad una vita difficile. Credo che sia stato il modo migliore per
interpretare il motto del Presidente internazionale: Vivere il Rotary. Cambiare vite.
Il sostegno all’Oasi di S. Vincenzo, retta
da suor Anna Cogoni, è un altro impegno che
abbiamo onorato, grazie alla generosità di
Ninni Giua.
Un nuovo importante progetto distrettuale
ha preso vita quest’anno nel nostro Club. Un
progetto molto innovativo intitolato “Antiche arti, giovani innovatori”, che si propone di portare l’artigianato del Sulcis all’Expo 2015 a Milano e di favorire nuove prospettive di crescita nei mercati italiani e stranieri alle piccole aziende artigiane, attraverso
una stretta sinergia tra gli artigiani, portatori di conoscenza, esperienza e sapere da tramandare nel tempo ed i giovani designer che,
sotto la guida di professionisti affermati, proporranno forme e modelli innovativi in sintonia con le esigenze del mondo espressivo e
produttivo contemporaneo. L’idea è di Mario Figus (presidente del nostro Club dal 1°
luglio per l’anno rotariano 2014-2015) ed è stata elaborata in stretta collaborazione con i Rotary Club di Carbonia ed Iglesias e con lo IED
(Istituto Europeo di Design). Il Club capofila è quello di Carbonia, e il responsabile del
progetto è il nostro Mario Figus.
Sarà anche un’occasione per rinsaldare,
attraverso il lavoro comune, i già solidi legami
di amicizia con i Club di Carbonia e Iglesias
e i loro presidenti, Stefano Carbone e Piergiorgio Del Rio, con i quali negli anni scorsi sono stati realizzati importanti progetti sull’aerea mineraria.
Il Rotary è una grande organizzazione internazionale. La consapevolezza di far parte
di una rete di dimensioni mondiali è motivo
di orgoglio per i 34 mila Club sparsi in più di
200 Paesi e li rende compartecipi dei grandi
progetti messi in campo. Il riferimento per questa importante azione internazionale è la Rotary Foundation. La campagna più ambiziosa
e impegnativa è la Polio Plus, partita più di
25 anni fa, alla quale il nostro Club ha contribuito generosamente anche quest’anno.
Manca poco ormai alla definitiva eradicazione della malattia. Per comunicare questo grande risultato e per sostenere la lotta
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agli ultimi focolai, i rotariani di Cagliari e
Quartu si sono ritrovati un sabato mattina di
febbraio per un flash mob nella scalinata del
Bastione di St. Remy. Un grande drappo colorato con la scritta “End Polio Now” è stato calato dalla sommità della scalinata ed i
rotariani sono scesi tutti insieme liberando
centinaia di palloncini colorati.
Una bella manifestazione di apertura
del Rotary alla città, in una ricorrenza significativa: “La giornata rotariana della
pace e comprensione mondiale”, a 109 anni
dalla fondazione del Rotary (nato il 23 febbraio 1905 a Chicago per iniziativa di Paul
Harris).
Risultato di una stretta e costante collaborazione fra tutti i Club dell’area cagliaritana attraverso i loro presidenti: Marcello Angius (Cagliari Est), Salvatore Sambiagio
(Cagliari Nord), Giorgio Carboni (Cagliari
Sud), Antonio Bardi (Cagliari Anfiteatro) e
Pier Giorgio Ibba (Quartu S.E.). Con loro abbiamo lavorato in stretta collaborazione e perfetta armonia per organizzazione i numerosi interclub, tutti con successo. A cominciare da quello del 24 ottobre per il lancio della Campagna di prevenzione contro le malformazioni congenite, sino alla cerimonia per
la consegna del premio La Marmora (il 26
maggio), assegnato quest’anno all’équipe di
scienziati del “Sardinia radio telescope” di S.
Basilio, il più grande e avanzato radiotelescopio in Europa.
Il nostro Club si è sempre distinto nell’attività dello “Scambio giovani”, che utilizza
la rete mondiale dei Club per consentire a ragazzi di paesi diversi di trascorrere un utile
periodo in Italia e ai ragazzi italiani di trascorrere altrettanti periodi all’estero. Un lavoro delicato e impegnativo, anche per le responsabilità che comporta. Grazie al lavoro
di Cecilia Onnis e di Ginevra Balletto, presidenti delle commissioni “Nuove generazioni” e “Scambio giovani”, il programma è
stato portato a termine brillantemente.
Quattro giovani stranieri sono stati ospitati
dalle famiglie cagliaritane, mentre cinque ragazzi sardi partiranno, per iniziativa del nostro Club, in diversi Paesi stranieri.
Rotary Club Cagliari
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Un ringraziamento sincero lo devo anche
al Governatore del Distretto 2080, Pier Giorgio Poddighe che non ha mai fatto mancare
sostegno concreto ed incoraggiamento per il
nostro Club e per la Sardegna. A cominciare dalla grande campagna nazionale per la
raccolta fondi a favore delle popolazioni
colpite dal nubifragio del 28 novembre che,
attraverso la “Rete del dono”, ha fruttato una
cifra superiore ai centomila Euro. Pier Giorgio ha voluto essere con noi, in collegamento telefonico, alla festa per i 90 anni di Angelo Cherchi ed è stato nostro graditissimo
ospite alla cena degli auguri natalizi.
E con lui ci sono stati sempre vicini, con
presenza costante e preziosi suggerimenti, il
segretario distrettuale Gabriele Andria e
l’assistente del Governatore per il nostro Club,
Italo Doglio.
Così come un grazie che scaturisce dal cuore devo rivolgere ai giovani del Rotaract e al
loro presidente, Antonello Fiori. Sono ragazzi
in gamba, grandi organizzatori, che hanno
messo il loro entusiasmo al servizio degli ideali rotariani, senza risparmiarsi, nelle vita di
Club e per numerose iniziative esterne.
All’inizio dell’anno mi ero riproposto di
dare una mano d’aiuto alla parrocchia di Nanyukj, in Kenya, retta da più di trent’anni
dalla Diocesi di Cagliari e da Don Franco Crabu, parroco in Africa da 28 anni. Nanyukj è
una città di 150 mila abitanti a 2.200 metri
di altezza, alle pendici del Monte Kenya. La
stragrande parte della popolazione vive in uno
stato di estrema povertà. I sacerdoti cagliaritani che si sono succeduti e i volontari arrivati dalla Sardegna hanno realizzato opere importanti: scuole, ospedali ed una struttura universitaria. Ma non basta mai.
Il Rotaract di Cagliari ha raccolto la sfida. Per raccogliere fondi da inviare in quel
piccolo pezzo di Sardegna nel cuore dell’Africa ha organizzato tre bellissime iniziative: un concerto Gospel, del bravissimo gruppo “Black Soul Gospel Choir”, alla Fiera di
Cagliari, pochi giorni prima di Natale; lo spettacolo Quando scappavamo col cappotto sul
pigiama (28 marzo al teatro Nanni Loy), di
Pierpaolo Piludu, sul tema dei bombarda-
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menti che, nel 1943, distrussero Cagliari; e,
per finire, Night in fashion for Kenya (il 24
maggio a Villa Muscas), sfilata di moda presentata da Teresa Piredda, con gli abiti di Patrizia Camba ed in passerella le ragazze della Virtus Basket e del Rotaract. Tre grandi
successi di partecipazione, ricchi di emozioni indimenticabili.
Tutti, dagli artisti alla stilista e ai tanti che
hanno lavorato a queste iniziative, lo hanno
fatto per puro spirito di volontariato. Non riuscirò mai ad esprimere tutta la riconoscenza che meritano.
A Villa Muscas, inaspettatamente, c’era anche don Franco Crabu, di passaggio a Cagliari
dopo anni di assenza. Da lui abbiamo appreso
qual è la situazione in Kenya, come si vive a
Nanyukj e cosa ha realizzato in tanti anni la
parrocchia. Ci ha detto anche che, con i fondi raccolti a Cagliari, vorrebbe avviare un nuovo progetto in un villaggio vicino dove non c’è
niente, solo capanne e abitazioni di fortuna.
Vorrebbe costruire un centro polifunzionale
con locali di incontro ed un piccolo ospedale. E ci ha rivolto un grazie commosso per
quello che stiamo facendo.
Ancora una volta mi è tornato alla mente il motto: Vivere il Rotary. Cambiare vite.
Purtroppo ci hanno lasciato due nostri
soci: Nicola Brignardello e il past president
Paolo Piccaluga, rotariani di lunga e convinta
militanza. Hanno dato molto al Club e a tutti noi. Non li dimenticheremo.
Nel corso dell’anno, grazie anche al lavoro
della commissione effettivo, guidata da Rafaele Corona e della commissione ammissioni
e classifiche, presieduta da Enzo Pinna,
sono entrati a far parte del Club quattro nuovi soci; Francesco Danero, Domenico Porcu,
Massimiliano Masia e Antonio Facci. Sono
stati accettati con grande amicizia e sicuramente saranno degli ottimi rotariani.
Mi rendo conto di essermi dilungato più
del dovuto. Ma l’affascinante avventura di
quest’anno nel Rotary mi ha preso la mano.
Chiudo ringraziando i presidenti e tutti i
componenti delle commissioni e del Consi-
glio direttivo che non mi hanno mai lasciato solo. A cominciare dalla vice presidente
Maria Luigia Muroni, saggia e preziosissima
consigliera in ogni momento (anche quando
un brutto incidente l’ha costretta a casa), e
poi Riccardo Lasic, impareggiabile segretario del Club, sempre efficiente e preciso e, soprattutto, sempre disponibile e Larry Pagella,
prefetto impeccabile che ha dovuto gestire anche il trasferimento dal vecchio Hotel Mediterraneo al nuovo T Hotel, superando
brillantemente non pochi problemi organizzativi. Salvatore Ferro, tesoriere esperto che
ha gestito con mano sicura le finanze del Club
garantendo lo svolgimento di tutte le attività in assoluta correttezza amministrativa. Michele Bajorek, che ha rappresentato il Club
anche nel programma Sangue, salute per chi
lo dona, vita per chi lo riceve. Maria Pia Lai
Guaita, sempre vicina con la sua collaborazione nonostante problemi di salute, per fortuna ora completamente superati. Cecilia Onnis, che ha gestito con grande competenza lo
scambio giovani, superando ogni difficoltà.
Michele Rossetti che oltre a curare da professionista il sito del Club, è stato per me il
punto di riferimento costante. Ho approfittato di lui, della sua disponibilità e dei suoi
consigli senza risparmiarlo, e mi sono giovato
dei suoi bonari rimproveri. Senza il suo aiuto non avrei potuto sostenere il peso della presidenza.
Infine Mauro Manunza, che mi ha trasmesso un Club in ottima salute e mi ha aiutato a guidarlo con la certezza di averlo vicino con la sua esperienza.
Consentitemi ancora un ringraziamento e
un augurio. Il ringraziamento è per mia moglie, Marina, che è stata sempre al mio fianco, con affetto, in ogni momento e in ogni difficoltà, come fa ormai da più di 40 anni. E l’augurio è per Mario Figus. A lui mi lega un’amicizia antica che si è ulteriormente rinsaldata.
Nei suoi confronti nutro una grandissima stima che, ne sono certo, è condivisa da tutto il
Club. Sarà un ottimo presidente e gli auguro
con tutto il cuore “buon Rotary”.
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Dalla fantasia alla realtà
Dove sono gli amici
lì è la vera ricchezza
Mario Figus
i siamo! Carissime amiche e carissimi
amici, non avete idea di quante volte
mi sia costruito questo primo incontro con voi in questi lunghi (o brevi?) diciotto
mesi di percorso rotariano come presidente
incoming. Ma adesso che mi siedo a scrivere capisco quanto agire sia più complicato che
immaginare.
È arrivato il momento del cambio della Presidenza, un appuntamento che si rinnova tutti gli anni e
che raffigura in modo
concreto il significato
della rotazione, dell’alternarsi di diverse
personalità, di diverse culture professionali, di diversi stili di
leadership, sempre
imperniati su un unico fattore comune
condiviso e fondante:
il servizio.
Prima di parlarvi,
per grandi linee, dei
programmi per il
prossimo anno rotariano, vorrei descrivervi la tempesta di emozioni che sento dentro di me mentre mi appresto a scrivere queste righe: sento un
grande orgoglio per la Vostra fiducia, ma sento anche fortissima la responsabilità di non
deludere non solo le Vostre aspettative ma anche quelle di chi in questo momento mi guarda da Lassù, con lo stesso sguardo severo, ma
pieno di amore, che ha sempre prima guidato
C
e poi ispirato le mie scelte e le mie azioni: Gigi
Figus, mio padre.
Esattamente trent’anni fa lui si apprestava
ad iniziare il suo anno di presidenza di questo Club, e solo due anni dopo, alla vigilia del
mio 34° compleanno, dopo un breve periodo di sofferenza è scivolato dalla vita alla morte, in silenzio, lasciandomi nel cuore il
mormorio delle ultime
parole che ci eravamo
scambiati sottovoce
solo qualche giorno
prima.
Sono passati ben
ventotto anni da quel
momento eppure ancora oggi dentro di
me vedo tante immagini interiori che si
dischiudono lentamente tra i ricordi di
una vita vissuta sotto
la sua guida. Oggi mi
sembra che il tempo
passato da allora sia
assimilabile ad una
distanza fisica coperta da tante fotografie
di cui sfortunatamente ne possiedo e ne ricordo solo una minima parte.
Questa foto in bianco e nero dai toni un
po’ sbiaditi, scattata nell’estate del 1954, tra
le altre di noi due, mi sembra particolarmente
significativa. Lui era lì, come lo è sempre stato, con la solida presa dei suoi princìpi, dei
suoi valori etici, del suo rigore, della sua grande intelligenza e, soprattutto, del suo smi-
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Estate 1954, Gigi Figus con Mario.
Gigi Figus.
surato amore. Ricordo ancora i suoi sguardi ed i suoi sorrisi capaci, più di mille parole, di illuminare quel sentiero interiore che
ogni giorno mi riporta a lui.
Scusate questo momento di nostalgia, ma
non riesco a pensare al mio essere rotariano
senza ricordare che devo a lui l’inizio del mio
cammino rotariano con l’Interact nel 1968
proseguito con il Rotaract fino al 1976, poi
ripreso nel 2002 con il mio ingresso al Club
presentato da Giorgio Sanna, a sua volta cooptato nel nostro Club proprio da mio padre.
Nel pensare a ciò che mi attende mi vengono in testa tante domande: che cosa si
aspetta il Club da me il prossimo anno? Che
cosa sarò in grado di offrire al Club in questo particolare momento storico?
Come ogni altro presidente che mi ha preceduto, offrirò me stesso e le mie capacità per
proporre le cose in cui credo, il mio modo di
intendere il contributo del Rotary alla società
in cui viviamo, nella considerazione e nel rispetto consapevole delle idee, della sensibilità e della cultura di ognuno di Voi. Dedicherò tutto il mio impegno a costruire un ambiente in cui ciascun socio possa esprimere
le proprie idee, promuovere nuovi progetti e
partecipare all’attività del Club offrendo e
condividendo la propria personalità, la propria esperienza e le proprie doti di leadership.
Nel voltarmi indietro a guardare la storia
del nostro Club, vedo l’immagine di una strada costituita da 64 tratti tutti diversi ma tra
loro ben raccordati, che compongono nell’insieme un’immagine perfettamente armoniosa. Questa strada attraversa diversi panorami e diversi contesti, affacciandosi sul
paesaggio sempre diverso di una società in
continuo e tumultuoso cambiamento. Anche
al nostro interno il panorama cambia anno
dopo anno: nuovi soci arrivano, altri ci lasciano per varie ragioni. Per coloro che restano e per quelli che si uniscono al nostro
cammino il Rotary è una promessa, un’occasione di vita, di condivisione, ma soprattutto di affetti e di amicizie.
Veniamo alle linee guida del tratto di strada che costruiremo insieme quest’anno. Innanzi tutto vi propongo il tema dell’anno, che
non può non raccordarsi con il tema proposto dal nostro Presidente Internazionale Gary
G. Huang: Illuminiamo la nostra comunità.
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In accordo con le indicazioni del nostro
Governatore Carlo Noto La Diega, ci impegneremo con tutte le nostre professionalità affinché, considerata la complessità del momento sociale che stiamo vivendo, il nostro
incontro con il territorio costituisca per la nostra comunità, non solo cittadina, un forte stimolo a pensare e a confrontarsi liberamente. Faremo in modo che tutti vedano in noi
persone con cui comunicare e con cui realizzare le cose in cui credono.
Il nostro Presidente Internazionale Gary G.
Huang ci ricorda un detto di Confucio che trovo particolarmente appropriato per sintetizzare le linee guida del nostro programma per
il prossimo anno: «Per mettere il mondo in ordine, prima dobbiamo mettere in ordine il nostro Paese; per mettere in ordine il nostro Paese, prima dobbiamo mettere in ordine la nostra famiglia; per mettere in ordine la nostra
famiglia, prima dobbiamo mettere a posto i
nostri cuori». Nel Rotary, il servire al di sopra di ogni interesse personale ci permette di
mettere a posto i nostri cuori. Siamo tutti consapevoli che «per avviare e realizzare progetti
ambiziosi dobbiamo innanzitutto prenderci
cura della nostra organizzazione ed espandere
la nostra famiglia rotariana».
Ritengo che, in linea con i suggerimenti
del Presidente Internazionale ed in particolare con il “mettere in ordine” la nostra Città, alcuni temi che abbiamo sviluppato negli ultimi due anni nei Forum Distrettuali sull’Ambiente vadano approfonditi su alcuni
aspetti specifici che potrebbero essere di stretto interesse per la nostra comunità:
IL CONSUMO DEL TERRITORIO: è oggi uno
degli ostacoli principali ad uno sviluppo armonioso della nostra città. Trovo sorprendente
la velocità con cui i terreni della nostra periferia vengono occupati dal diffondersi di
nuovi insediamenti abitativi, spesso a bassa
densità. Nel prossimo forum mi piacerebbe
discutessimo, insieme con gli amministratori locali, di strategie per il ricircolo dei terreni, quali ad es. il risanamento urbano, la
riconversione ed il riutilizzo di aree abbandonate, in declino o non utilizzate.
Rotary Club Cagliari
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LA VALORIZZAZIONE DEI CENTRI STORICI.
Negli ultimi tempi mi ha particolarmente impressionato leggere che l’Italia è uno tra gli
ultimi paesi in Europa per investimenti sui
centri storici urbani. Tutto ciò è assurdo in
un’economia che si sposta sempre di più dalla produzione ai servizi ed in cui la valorizzazione energetica del patrimonio immobiliare e la riduzione della distanza tra abitazione e posto di lavoro diventano un fondamentale elemento di rispetto dell’ambiente
attraverso il contenimento delle emissioni di
gas serra.
Lavoreremo, inoltre, per dare continuità
all’azione svolta da chi mi ha preceduto, il
caro Francesco, al quale esprimo un sentito
ringraziamento per il tempo che ha dedicato al club e per la passione con cui ha vissuto
il suo anno di presidenza oltre che per la vivacità e la simpatia dei nostri incontri rotariani. Il minimo che possiamo fare per ringraziarlo, soprattutto per avere rinunciato all’anno sabbatico post-presidenza, è confermare l’impegno del nostro Club a favore del
progetto “Naniuki”.
Continueremo anche con il nostro impegno di solidarietà verso la comunità di Padre Salvatore Morittu e verso l’Oasi di San
Vincenzo. Ma ci sforzeremo per estendere
questa azione verso i diversamente abili. Ritengo che le esperienze che il nostro club può
vantare nella solidarietà con i disabili, basti
pensare alla Manifestazione “Vela Solidale”,
vadano potenziate e, possibilmente, estese ad
altre attività quali l’arte e gli sport paraolimpici. È intenzione del nostro Consiglio
spingere il nostro Club verso un maggiore impegno nei confronti delle fasce più disagiate della nostra comunità, proseguendo l’azione a favore della prevenzione della tossicodipendenza ed estendendo la nostra azione
di prevenzione ed alleviamento del disagio agli
anziani ed in genere a tutti coloro che la perdurante crisi economica ha privato del diritto
ad una vita dignitosa.
Sempre in linea con il tema dell’incontro
tra il Rotary e la comunità locale è stato avviato nello scorso mese di maggio il progetto “Antiche arti, giovani innovatori” che svi-
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
lupperemo proseguendo la collaborazione e
l’amicizia ormai storica con i Club di Carbonia ed Iglesias, accompagnati da un nuovo partner: lo IED (Istituto Europeo di Design). Con i nostri partner incontreremo gli
artigiani di varie aree della Sardegna, che costituiscono certamente una categoria in grave difficoltà, soffocati dalla crisi che investe
tutte le piccole imprese. Avvieremo un percorso formativo a due vie: noi ed i docenti di
design dello IED aiuteremo gli artigiani a sviluppare le proprie capacità auto-imprenditoriali e ad innovare i loro prodotti, mentre
gli artigiani sveleranno i segreti della loro arte
ai giovani designer dello IED. Alla fine di un
percorso che si dipanerà attraverso alcuni
workshop di lavoro comune, verranno realizzati prototipi di prodotti artigianali che contribuiranno a rappresentare la Sardegna all’EXPO 2015 di Milano.
L’anno prossimo vorrei ricordare in modo
concreto mio padre con l’organizzazione dell’Archeotour, di cui lui curò una delle prime
edizioni. Quest’anno rileggeremo il tema dell’evento in chiave di connubio tra le nostre risorse archeologiche ed archeoindustriali, il nostro paesaggio e la nostra gastro-enologia.
Insieme con i ragazzi del Rotaract ci dedicheremo all’organizzazione di una “Giornata del Rotary” che sarà un evento informale e spensierato. Vedremo se sarà un evento sportivo o un concerto, ma in ogni caso cercheremo, in sintonia con il tema del prossi-
mo anno “Accendi la luce del Rotary”, di
coinvolgere la città e di invitare il pubblico
a scoprire che cosa è il Rotary. Secondo le indicazioni del nostro Presidente Gary G.K.
Huang, lo scopo di questa iniziativa sarà destare interesse all’affiliazione e rafforzare i
rapporti del nostro Club con le istituzioni e
con la gente.
Prometto a tutti che la Presidenza, il Consiglio Direttivo e le Commissioni saranno al
servizio dei soci: faremo in modo che ci sia
la massima apertura e collaborazione fra le
commissioni e tutti i soci focalizzandoci
tutti sull’obiettivo principale dell’anno: incidere sullo scenario sociale con azioni mirate, valorizzare ed aiutare la professionalità dei soci, sostenere il loro “star bene insieme”, prestare grande attenzione per giovani ed anziani sia all’interno del Rotary che,
più in generale, nel contesto sociale.
Concludo offrendo alla vostra riflessione
un pensiero del Mahatma GANDHI: «La
grandezza dell’uomo è determinata esattamente dalla misura in cui opera per il bene
degli altri uomini».
Auguro a tutti voi un proficuo anno di lavoro e di intensa collaborazione che ci consenta di arricchire la nostra esperienza di Rotariani e di rendere ancora più vivo il nostro
spirito di servizio.
Un caldo abbraccio a tutti
Mario
■
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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L’8 settembre 1943 in Sardegna
Cronaca
e storia
Ugo Carcassi, Tiziana Pusceddu
Servizi Segreti alleati avevano attuato una
serie di operazioni speciali tese a far credere agli Stati maggiori dell’Asse che lo
sbarco degli Alleati avrebbe avuto luogo in
Sardegna. Clamorosa è stata quella denominata Mincemeat (Tritacarne). Gli Alleati, confidando sulla stretta collaborazione esistente tra i Servizi Segreti spagnoli e quelli
italo-tedeschi, avevano fatto ritrovare il 3
maggio del 1943 sulla spiaggia di Huelva il
cadavere di un presunto Ufficiale inglese che
portava legata al polso una borsa con documenti che indicavano la possibilità di sbarchi alleati in Grecia, nel Dodecanneso ed in
Sardegna. Il cadavere apparteneva invece ad
un inglese morto per avvelenamento (cfr.
I
Ewen Montagu, The Man who never was –
“L’uomo che non è mai esistito”, Lippincott
1954). Successivamente, il 26 maggio del 1943,
aveva luogo l’Operazione Marigold (Fiori
d’arancio) tesa a rafforzare l’ipotesi di uno
sbarco alleato in Sardegna. Il sommergibile
Safari da Algeri aveva trasportato due agenti a Muravera con lo scopo di simulare una
ricognizione dei luoghi e di abbandonare nei
pressi di una postazione costiera italiana un
taccuino zeppo di appunti riguardanti quella zona. La notte seguente erano stati sbarcati a Calagonone un Ufficiale e 7 uomini incaricati di catturare una sentinella italiana
da interrogare. Durante l’approdo qualcuno
era inciampato lasciando partire una raffi-
Adolf Hitler con Hermann Göring e Albert Speer, durante l’estate 1943, dopo la caduta di Mussolini.
12
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Generale Antonio Basso.
Palau, Panzer della IV divisione abbandonano l’Isola.
ca dal suo mitra. La ritirata
era avvenuta precipitosamente ed il Sergente Loasby
era stato fatto prigioniero
dagli italiani. Anche gli americani, all’insaputa degli inglesi, avevano programmato
un’operazione di spionaggio
nell’Isola che avevano denominato Bathtube (Vasca
da bagno) allo scopo di raccogliere informazioni e di
prendere contatto con elementi antifascisti locali.
Il 30 giugno del 1943 tre
motosiluranti americani avevano lasciato il porto di Bona
(Algeri) dirigendosi verso la
Sardegna. Trasportavano un
commando composto da 5
militari americani di origine
italiana. La flottiglia aveva
raggiunto Punta Furana nei
pressi di Porto Torres a notte fonda dove erano sbarcati. Avevano poi incontrato dei
soldati italiani che avevano
tentato di ingannare. Purtroppo un radio operatore italiano aveva informato il comando di battaglione ed i 5
erano stati raggiunti e fatti
prigionieri.
I Comandi dell’Asse si erano quindi convinti che gli Alleati avrebbero effettivamente tentato di occupare la Sardegna
e nell’Isola avevano rafforzato il presidio militare trasferendovi
reparti scelti costituiti da reduci della divisione corazzata Ariete e Folgore. I tedeschi vi avevano trasferito la 30a divisione corazzata composta in prevalenza da reduci del famoso
Africa Korp comandato in Africa settentrionale da Rommel.
Si è discusso a lungo sull’atteggiamento seguito dagli alti
Comandi militari della Sardegna. La resa incondizionata aveva portato all’occupazione alleata del territorio nazionale ed
alla disgregazione dello Stato. Si era salvata la Sardegna dove
le Istituzioni avevano retto e nel complesso anche le forze armate, sia pure col morale scosso dalla ribellione di alcuni reparti della Nembo, avevano eseguito gli ordini impartiti dal
Generale Basso.
Secondo eminenti storici sardi, quali l’Anatra ed il Brigaglia,
il Generale Basso disponeva di forze militari nettamente superiori a quelle dei reparti tedeschi presenti in Sardegna. Egli
avrebbe quindi dovuto essere più aggressivo ed attaccare con
decisione gli ex alleati. Un attento esame della composizione delle forze italiane e di quelle tedesche presenti nell’Isola consente di rendersi conto che numericamente gli italiani erano nettamente superiori ai tedeschi, ma per quanto riguarda i reparti motocorazzati i tedeschi erano qualitativamente nettamente superiori. È comprensibile quindi che Basso abbia interpretato con “elasticità” le disposizioni ricevute dopo la firma dell’armistizio di Cassibile e la comunicazione fatta alla radio dal Generale Eisenhower e da Badoglio.
È probabile che sia tornata alla mente del Generale Basso la vicenda della disfatta di Graziani in Libia nel dicembre
1940. Quest’ultimo con 230.000 soldati, pochi automezzi, pochi carri armati leggeri (L3) e pochi medi (M11-13), aveva
raggiunto la periferia di Alessandria dove aveva sostato pri-
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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Ufficiali della Wermacht a colloquio durante le operazioni in Sardegna
(imbarco per la Corsica a Palau).
Dwight David Eisenhower.
ma di riprendere l’offensiva. Gli inglesi difendevano il Canale
di Suez con 40.000 uomini inquadrati in reparti tutti motorizzati e dotati dei carri armati Crusader e Matilda di molto
superiori a quelli italiani. Nello scontro con gli inglesi Graziani subiva una pesante sconfitta che portava alla cattura di
ben 120.000 soldati italiani. La mobilità e l’efficienza delle truppe motocorazzate britanniche avevano avuto la meglio.
È comprensibile quindi che il Generale Basso abbia cercato di interpretare lo stato d’animo delle truppe tedesche,
alleate fino a qualche ora prima, e quello dei militari italiani, molti dei quali avevano combattuto in Africa settentrionale con i reparti tedeschi. Tra l’altro la resa
incondizionata era stata imposta spietatamente da Eisenhower. Egli in varie occasioni aveva spesso affermato che la
resa dell’Italia era stata «uno sporco affare». Il Generale
americano non stimava i militari italiani (cfr. Diari di Eisenhower curati da Robert H. Ferrel, pag. 95) ed in riferimento alla resa di Pantelleria aveva scritto «I difensori non
ebbero lo stomaco di resistere ai bombardamenti navali [...]
e circa 11.000 italiani si arresero all’inizio delle operazioni
di sbarco delle truppe alleate».
Sicuramente nelle truppe italiane, soprattutto fra gli
Ufficiali e nei reparti speciali, era emerso uno stato di forte
disagio spirituale. Non tutti conoscevano o ricordavano la
famosa frase «Right or wrong, my country» (Giusto o sbagliato, riguarda la mia Patria) pronunciata nel 1820 dal
Commodoro americano Decatur e che da allora ha rappresentato la ferma espressione di patriottismo da parte dei militari angloamericani. Analoga riflessione avevano quindi
probabilmente fatto in grande maggioranza gli Ufficiali ed
i militari italiani di stanza in Sardegna che avevano deciso
di adeguarsi alle generiche disposizioni emanate da Badoglio nel proclama dell’8 settembre 1943.
Basso, consapevole della
superiorità delle forze tedesche, aveva concordato con il
Generale Carl-Hans Lungerhausen che le forze germaniche avrebbero abbandonato la Sardegna entro il 17
settembre senza attuare azioni ostili. Per questa sofferta
decisione il Basso era stato arrestato e processato dal Tribunale militare nel 1946 «per
non aver eseguito ordini di
operazioni». Egli era stato,
dopo due anni di detenzione,
assolto «per non costituire
reati i fatti ascritti». Cagliari gli ha dedicato il 14 dicembre 2009 una Piazza sita
tra via Fermi e via Darwin.
Nel settembre del 1943 le
forze italiane in Sardegna
erano composte da 126.946
soldati e 5.108 Ufficiali appartenenti a due corpi d’armata: il 30° a nord ed il 21°
a sud. Ne facevano parte la
Divisione di Fanteria Calabria (con il 50% di effettivi
inabili per malaria), la Divisione Sabaudia, la Divisione
Bari (di riserva), un raggruppamento motocorazzato
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
no costituite dalla 90a Divisione corazzata per un totale di
30.000 uomini, circa 200 carri armati medi (Panzer IV) e pesanti (Panzer VI Tigre).
Ancora una volta la sproporzione fra reparti corazzati italiani e quelli tedeschi favoriva le forze armate germaniche. Per
questo motivo il Generale Basso aveva optato per un accordo con il Generale Lungerhausen ed una tattica di temporeggiamento con i Comandi alleati che premevano per una azione immediata ed aggressiva nei confronti dei reparti tedeschi.
Gli eventi più salienti verificatisi in Sardegna dopo l’8 settembre sono i seguenti:
9 sett. 1943
9 sett. 1943
9 sett. 1943
10 sett. 1943
10 sett. 1943
11 sett. 1943
13 sett. 1943
Simbolo 90a Panzergranadier Division Sardinien.
29 sett. 1943
15 ott. 1943
Carl-Hans Lungerhausen.
e la Divisione Paracadutisti
Nembo. Le truppe motocorazzate erano costituite da reparti di motomitraglieri e da
reparti corazzati composti
dai carri leggeri L33-35, da
carri medi M13-40 e da due
battaglioni di carri armati Somua da 20 tonnellate.
Le truppe tedesche, dislocate al centro dell’Isola, era-
Scontro di Baressa;
Scontro di Ponte Mannu;
Azione del Comandante Fecia di Cossato
nelle Bocche di Bonifacio;
Entrata in azione dei Carri Somua;
Uccisione del Tenente Colonnello Bechi Luserna;
Occupazione del Deposito tedesco di Monti;
Arrivo a Cagliari di una Commissione
militare alleata;
Arrivo della Commissione medica alleata
per l’avvio di una campagna antimalarica
(Generale P.K. Boulnois);
Il Capitano C.O.S. Brooke presenta il
Rapporto preliminare dell’Ufficiale per la
Sanità Pubblica riguardante la malaria.
Nei pressi di Baressa, in un confuso episodio, il 9 di settembre veniva ucciso un giovane contadino di 17 anni. Sempre il 9 settembre i tedeschi avevano occupato il Ponte Mannu (Oristano) posizionando a nord e a sud cannoni, mitragliatrici e sistemando mine sui piloni di sostegno (cfr. Roberto Zedda, Oristano. Il Ponte Mannu – 1943, R. Cau Editore, Oristano, 2002). Lo scontro con il presidio italiano era
durato circa 20 minuti ed aveva causato 6 feriti fra gli italiani e 10 fra i tedeschi. Il 13 settembre i tedeschi cedevano
agli italiani il controllo del ponte.
Nella notte del 9 settembre aveva lasciato Dolianova il battaglione carri Somua comandato dal Tenente Colonnello
Ponzini. Il reparto aveva raggiunto il 10 settembre il boschetto di Santa Giusta in attesa di superare il blocco tedesco del
Ponte Mannu. Un Ufficiale carrista italiano era riuscito a contattare i tedeschi che presidiavano il ponte e con il loro Comandante aveva concordato che i carri Somua sarebbero transitati fra i primi. Era vivo il desiderio di pattugliare il percorso Oristano-Macomer alla infruttuosa ricerca di paracadutisti ammutinati. Il reparto aveva raggiunto nella notte del 13 settembre il Deposito tedesco di Monti.
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Carlo Fecia di Cossato.
Italien Panzer IV.
A questo punto va ricordato che l’8 settembre i tedeschi
avevano preso il controllo di La Maddalena. Carlo Fecia di
Cossato, Comandante della torpediniera Aliseo, aveva raggiunto nella serata del 10 settembre il porto di Bastia già controllato dai tedeschi. Fecia di Cossato, constatato che i tedeschi provenienti da La Maddalena avevano iniziato ad attaccare in Corsica i reparti italiani, aveva affondato 11 imbarcazioni germaniche che trasportavano armamenti e
truppe da La Maddalena. Aveva poi fatto rotta verso la Sicilia ed aveva raggiunto Palermo il 12 settembre. Aveva infine sostato a Malta, controllata dagli Alleati, il 20 settembre del 1943 e, sempre al comando della Aliseo, il 5 ottobre
aveva raggiunto Taranto. Nel giugno del 1944 il Governo Bonomi aveva assunto il controllo del Paese. Fecia di Cossato si era rifiutato di prestare giuramento in quanto questo
Governo non aveva prestato giuramento di fedeltà al Sovrano.
Dopo un lungo periodo di congedo, Fecia di Cossato, sconvolto dall’imminente ripresa del servizio attivo, aveva scritto una lunga ed accorata lettera alla madre ed il 27 agosto
del 1944 si era ucciso a Napoli
con un colpo di pistola alla
tempia.
Nel 1949 il Governo italiano gli attribuiva la Medaglia d’oro al Valor Militare per
l’attività svolta come sommergibilista italiano che aveva affondato il maggior numero di imbarcazioni angloamericane.
Alberto Bechi Luserna,
che chi scrive aveva avuto occasione di incontrare in Africa settentrionale, aveva combattuto ad El Alamein al comando del IV Battaglione
Paracadutisti Folgore, partecipando alla difesa di Quota 33 ed al sacrificio dei suoi
uomini aveva dedicato il libro
I ragazzi della Folgore. Promosso Tenente Colonnello e
trasferito in Sardegna quale
Capo di Stato Maggiore della Divisione Paracadutisti
Nembo, Bechi Luserna al
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Alberto Bechi Luserna.
Angelo Corda.
momento dell’armistizio si
trovava nella zona del Campidano. Qua lo aveva raggiunto la notizia dell’ammutinamento del 12° battaglione della Nembo comandato
dal Maggiore Mario Rizzati e
di una batteria del 184° Artiglieria. Inutile era risultato
l’intervento del Generale Ettore Rocco, Comandante della Nembo, che aveva cercato di evitare la defezione di
questi reparti.
Bechi Luserna aveva raggiunto gli ammutinati a Castigadu, nei pressi di Macomer. Fermato ad un posto di
blocco al bivio di Borore da
una pattuglia di ammutina-
ti comandati dal Capitano Corrado Alvino, dopo un animato
alterco veniva ucciso assieme ad uno dei Carabinieri della
scorta da una raffica del fucile mitragliatore del paracadutista Cosimo. Il corpo di Bechi Luserna, chiuso in un sacco
e caricato su di un camion, dopo il rifiuto dei Frati di un convento di farsi carico della salma, era stato sepolto in mare,
pare con gli onori militari, nei pressi di Santa Teresa di Gallura. La moglie Paola Antonelli, da me conosciuta a Roma,
aveva anni dopo ricevuto dal paracadutista Cosimo, il portafoglio e l’orologio del Consorte. La Paola aveva poi sposato l’industriale Piaggio che aveva anche adottato la figlia
di Paola, Antonella, che aveva sposato Umberto Agnelli.
La figura di Alberto Bechi Luserna aveva fortemente colpito i sardi. A Santa Teresa di Gallura veniva eretta una croce in granito in sua memoria ed un cippo particolarmente
pittoresco era stato eretto in località Castigadu alle porte di
Macomer. Alla memoria di Bechi Luserna sono stati dedicati, sempre a Macomer, una Scuola Materna, una Scuola
Elementare, una via ed una caserma.
Un altro evento importante si era verificato nella notte
dell’11-12 settembre del 1943. Il Comandante del raggruppamento motocorazzato italiano, il Generale G. Maria Scalabrino, si era insediato a Monti, nei pressi di un enorme deposito della Wermacht. Nel pomeriggio dell’11 settembre il
Tenente Angelo Corda era stato convocato dal Generale Scalabrino con l’incarico di catturare, vivi o morti, dei tedeschi
che presidiavano questo deposito. Il Corda, con i suoi motomitraglieri, era entrato nel deposito tedesco. Egli aveva spiegato al Comandante germanico, ammalato e disteso in letto, che il deposito era circondato da carri armati italiani. Aveva anche affermato che i soldati tedeschi, se avessero consegnato le armi, sarebbero stati trasferiti a Monti sotto la protezione dei militari italiani. I tedeschi, dopo una breve esitazione, avevano accolto la proposta ed in 84 erano saliti su
3 camion che, con il Corda in testa, erano entrati nella piazza di Monti. Erano stati accolti male dal Generale Scalabrino
che chiaramente aveva auspicato un conflitto a fuoco che
avrebbe posto in risalto il ruolo del suo reparto e che appariva
palesemente infastidito dalla presenza dei prigionieri tedeschi che non sapeva come sistemare. Questi ultimi erano stati poi presi in custodia dai Carabinieri.
I carri Somua ed i camion italiani avevano raggiunto il deposito tedesco appena occupato dagli uomini di Scalabrino.
I carri armati ed i camion erano stati riempiti di ogni genere di vettovaglie. L’ufficiale italiano che comandava il reparto
di autocarri aveva stipato ogni genere di viveri in 3 Lancia
3 Ro. Il contenuto di uno di questi era stato consegnato alla
popolazione di Ozieri. Quello del secondo camion era stato
scaricato ad Oristano. L’ultimo camion aveva proseguito per
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Rotary Club Cagliari
Dolianova dove il suo contenuto era stato distribuito alla popolazione. Va segnalato che era stato necessario presidiare giorno e notte il deposito di Monti ad evitare che i civili, oltre ai
viveri, asportassero armi, munizioni e carburante.
Va a questo punto sottolineato che alle 20.30 del 13 settembre
1943 il Colonnello Obolensky e due radio operatori erano atterrati nei pressi di Cagliari. Scortati da Carabinieri avevano raggiunto il 14 settembre verso le 17.00 a Bortigali il Generale Basso. Il 18 settembre il Generale Roosevelt aveva raggiunto la Sardegna e dopo aver raccolto informazioni militari importanti era rientrato il 6 di ottobre al comando alleato
di Algeri. Bisogna riconoscere che il Generale Basso aveva gestito con estrema sagacia e grande diplomazia i rapporti con
il Generale Lungerhausen e quelli con i rappresentanti delle forze alleate, dando a questi ultimi l’impressione che le forze armate sotto il suo comando stavano, con azioni molto aggressive, spingendo fuori dall’Isola le truppe germaniche. In
base alle notizie ricevute dai loro agenti in Sardegna, il giornale ufficiale delle forze alleate aveva pubblicato in prima pagina un articolo con un titolo a caratteri tipografici di grande evidenza: Le divisioni italiane cacciano i nazisti fuori dalla Sardegna. Vanno anche ricordate alcune iniziative sanitarie di eccezionale importanza per la Sardegna esplicate dalla Commissione alleata di controllo dal settembre 1943 all’aprile
1945 (cfr. Maria Rosa Cardia, L’Allied Control Commission e
la Campagna antimalarica nella Sardegna del secondo dopoguerra: la fase preparatoria (1943-1945) – Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Cagliari, nuova serie Vol.
XVI, 1993 – Università di Cagliari, 1993).
Il 19 settembre del 1943 era giunto in Sardegna il Generale Boulnois, Commissario Regionale alleato, con alcuni collaboratori. Il 15 ottobre 1943 veniva presentato il rapporto preliminare del Capitano Brooke che sottolineava che in Sardegna,
oltre a 1.100.000 abitanti, erano presenti 260.000 militari. Precisava che la frequenza della malaria nel 1943 oscillava tra
gli 80.000 ed i 120.000 casi l’anno. Proponeva la ripresa immediata della lotta antianofelica da esplicarsi con l’utilizzo
del verde di Parigi e con gli interventi di bonifica dei canali di invaso. In conseguenza di queste attività veniva rileva-
17
Cippo (Castigadu).
to che nei primi 7 mesi del
1943 si erano verificati soltanto 4065 casi di malaria e
che nello stesso periodo del
1944 la frequenza era scesa a
1852 casi. Il Tenente Colonnello Dobos che era l’Ufficiale
Sanitario alleato, lasciava la
Sardegna quando la frequenza della malaria risultava diminuita del 50% e la
mortalità del 72%. In riconoscimento di questa sua attività
il Colonnello J.A.C. Pennycuick aveva proposto il Dobos
per una menzione d’onore.
Quanto appena riportato
costituisce un aspetto poco
noto, ma di fondamentale importanza in quanto dimostra
che la lotta antimalarica in
Sardegna era stata tempestivamente impostata ed attuata con successo dalla missione sanitaria alleata operante in
Sardegna, precedendo di diversi anni l’iniziativa della
Regione Sarda, del Governo
italiano e della Rockefeller
Foundation nell’attuazione
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
del progetto che doveva portare alla totale eradicazione
della malaria nell’Isola.
Vorrei a questo punto concludere ricordando quanto
Aldo Cesaraccio (Aldo Cesaraccio, Al caffè. 1948-1957)
aveva scritto in un suo articolo «... Un reduce tedesco ha rilevato la pietà e il rispetto delle popolazioni sarde per le
tombe dei soldati qui deceduti durante l’ultima guerra... In
realtà pietà e rispetto in Sardegna raccolgono tutti i resti
umani, davanti ai quali tace ogni polemica; e questo è un
altissimo segno di civiltà. Noi sardi, purtroppo, siamo rissosi con altri sardi, e sempre da vivi; non lo siamo con nessun altro, meno ancora se morto. Ma l’episodio dei tedeschi,
aggiunto a quello analogo degli inglesi e degli americani,
richiama un aspetto singolare di quegli anni tormentati che
riguarda, in tutto il mondo, soltanto la Sardegna. Infatti
soltanto in Sardegna tedeschi, inglesi e americani furono
considerati alla stressa stregua, con riserbato distacco,
con gentilezza contenuta, con dignitosa considerazione,
come ospiti inevitabili, i primi per accordi politici gli
altri per una formale debellatio».
■
ella famiglia di Salvatore e Franca Fozzi la
Primavera, non rispettando le tavole
astronomiche, ha felicemente anticipato il suo
arrivo: il 16 marzo la loro figlia, Ludovica, moglie di
Diego Cocco, ha messo al mondo Anna. Alla bambina, ai
genitori, ai nonni i più vivi auguri di tutti i soci del Club
lieti di condividere la loro gioia.
N
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
19
Aspetti giuridici del governo del territorio
Tutela del
patrimonio ambientale
Giovanni Barrocu
l 5 aprile 2014 nell’Aula Magna del Tribunale di Cagliari si è tenuto il Forum sulla Tutela del patrimonio ambientale e
aspetti giuridici del governo del territorio promosso per iniziativa della Commissione
“Ambiente e Territorio” del RD 2080 in collaborazione tra il Rotary Club Cagliari e il Rotary Club Cagliari Anfiteatro, e organizzato
con gli Ordini Professionali degli Avvocati di
Cagliari e dei Giornalisti della Sardegna. L’intento comune è stato di trasmettere agli iscritti agli Ordini, e attraverso i mass media agli
amministratori locali e all’opinione pubblica, informazioni che possano contribuire a
mitigare gli effetti delle forme principali di
degrado ambientale e quindi a rimuoverne
le cause. È ormai esperienza scientificamente
e tecnicamente provata che il degrado ambientale e le catastrofi che ripetutamente si
abbattono sul territorio possono essere previsti e prevenuti, secondo metodologie, che
sono alla base dei moderni criteri con i quali è stata organizzata la Protezione Civile ma
non sono ancora ben acquisite dalle amministrazioni di vario livello e messi in pratica nelle politiche di governo del territorio.
Nell’applicazione delle normative che regolano il governo del territorio, spesso formulate in modo che si presta ad ambiguità,
soprattutto in caso di conflitti di interessi, ci
si attiene ad aspetti formali seguendo logiche apparentemente corrette dal punto di vista del diritto ma non rispondenti alla realtà dei fatti e delle esigenze ambientali, dando adito ad abusi. Si continua a permettere
di costruire dove e come non si dovrebbe creando i presupposti di futuri danni alle persone e alle cose, al degrado dell’ambiente per
I
inquinamento ed erosione, senza rispetto per
il patrimonio naturale che è nostro dovere etico difendere perché possano usufruirne anche i nostri discendenti.
Alle presentazioni dell’Avv. Ettore ATZORI, Presidente del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Cagliari e del dott. Filippo
Maria PERETTI, Presidente dell’Ordine dei
Giornalisti della Sardegna, sono seguite le relazioni tecniche sugli Aspetti Ambientali, tenute da esperti del RC Cagliari.
Il prof. Angelo ARU, ha ricordato i fondamenti della Conservazione del suolo, società e paesaggio in ambiente Mediterraneo,
nel quale, come in altre parti del mondo, esiste un’emergenza suolo che una volta distrutto
potrebbe riformarsi solo in decine di millenni
dal substrato roccioso. Il suolo fertile non può
essere distrutto con cattive pratiche di agricoltura o reso indisponibile con opere di urbanizzazione. Non è un caso, infatti, che il
suolo sia stato inserito fra le attuali cinquanta
emergenze più importanti del pianeta dagli
scienziati che ogni anno si riuniscono a Erice per analizzare lo stato di evoluzione del
mondo.
Gli errori maggiori consistono nell’aver visto una soluzione per volta e non la stessa soluzione integrata nel contesto generale.
Un ruolo fondamentale deve essere svolto dalle autorità politiche che devono dare,
innanzitutto, mandato alle migliori competenze e con provata esperienza professionale per la valutazione delle risorse naturali, indispensabile per la preparazione delle lineeguida di pianificazione integrata.
Nel caso del Mediterraneo le linee-guida
di pianificazione devono essere necessaria-
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
mente condivise da tutti i paesi che si affacciano nel suo bacino, e debbono generare piani e progetti per garantire il miglior sviluppo economico e sociale possibile.
Uno dei problemi centrali è dato dalla sopravvalutazione delle risorse, che potrebbe
portare per eccesso d’uso alla desertificazione,
così come la sottostima porta alla povertà,
perché esse non sono utilizzate come si potrebbe.
I casi presentati, anche se in forma sintetica e descrittiva, hanno dimostrano che senza una pianificazione integrata ed in taluni
casi partecipata, non c’è futuro per il Mediterraneo.
L’ing. Mario FIGUS ha messo in evidenza come le politiche di gestione e valorizzazione di aree industriali dismesse possano avvalersi delle moderne tecnologie di trattamento per mitigare l’inquinamento e eliminarne le fonti. Vecchie discariche minerarie
abbandonate possono essere trattate recuperandone minerali residui, vecchi impianti industriali possono essere restaurati e recuperati per altri usi civili e industriali e in
parte preservati a testimonianza del passato come opere di archeologia industriale, prima che si perda il ricordo di antiche professionalità e maestrie. Le aree recuperate possono essere destinate ad altri usi.
Il prof. Giovanni BARROCU ha trattato
gli aspetti della sicurezza del territorio e tutela delle aree costiere. La sicurezza ambientale può e deve essere garantita a norma di legge con azioni ed interventi che tengano effettivamente conto delle caratteristiche ambientali e territoriali, variabili da luogo a luogo.
Gli interventi di sistemazione idrogeologica delle aree vulnerabili all’erosione, alle
inondazioni ed agli inquinamenti possono essere efficaci solo se adatti alle condizioni locali, con norme che non siano solo divieti che
ottusamente considerino uguali situazioni che
non lo sono.
Le acque superficiali e sotterranee, specie nelle aree costiere, dovrebbero essere considerate e gestite in termini di risorse idriche
integrate per soddisfare i fabbisogni quan-
titativi e qualitativi per i diversi usi, tenendo conto del bilancio delle acque convenzionali e non convenzionali dei bacini idrogeologici, le differenti aree di interesse e i costi.
È essenziale che le aree costiere siano monitorate con metodi diretti ed indiretti per determinare e predire tempestivamente i pericoli di degrado del suolo, delle risorse e delle riserve idriche, anche a salvaguardia del
mare, e stabilire gli interventi di gestione più
adatti.
La gestione delle aree costiere richiede una
collaborazione interdisciplinare fra i differenti
esperti di pianificazione delle risorse idriche
e del territorio, dell’agronomia, della biodiversità, dell’economia, delle leggi e delle direttive sull’acqua, con coinvolgimento delle
diverse amministrazioni interessate. La
scienza e la tecnologia possono dare le giuste indicazioni per pianificare al meglio gli
interventi necessari per gestire il territorio e
le sue risorse idriche in modo sostenibile, così
da prevenire i conflitti fra i differenti utenti, nel rispetto dell’ambiente, particolarmente vulnerabile in un bacino chiuso come
il Mediterraneo.
L’opinione pubblica deve essere correttamente informata dei processi e degli interventi previsti attraverso i mass media e soprattutto con iniziative rivolte agli studenti
e agli insegnanti di tutte le scuole.
La prof. Ginevra BALLETTO ha sviluppato il tema del consumo di suoli, degli attuali impatti e delle strategie per il futuro, richiamando i principali effetti del consumo dei
suoli, con esempi di aree urbane locali, europee ed extraeuropee, che estendendosi a dismisura producono effetti non sempre previsti sulla Sfera economico-energetica, con diseconomie dei trasporti, sprechi energetici, riduzione delle produzioni agricole; sulla Sfera idro-geo-pedologica, con destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli e alterazione degli assetti idraulici ipogei
ed epigei; sulla Sfera fisico-climatica, con accentuazione della riflessione termica e dei
cambiamenti climatici, riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, effetti
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sul sequestro del carbonio e
propagazione spaziale del
degrado fisico-chimico; e sulla Sfera eco-biologica, con
erosione fisica e la distruzione degli habitat, frammentazione ecosistemica, distrofia dei processi eco-biologici,
penalizzazione dei servizi
ecosistemici dell’ambiente e
riduzione della «resilienza»
ecologica complessiva.
Con il documento “Orientamenti in materia di buone
pratiche per limitare, mitigare
e compensare l’impermeabilizzazione del suolo” la
Commissione Europea ha di
recente posto l’attenzione all’eccessivo consumo di suolo
nel Vecchio Continente.
Il cambiamento d’uso del
terreno, con conseguente perdita di risorse del suolo (agricole o potenzialmente agricole), rappresenta uno dei
grandi obiettivi di salvaguardia ambientale per l’Europa d’oggi. Mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo: la Commissione Europea indica un elemento di base necessario per
raggiungere l’obiettivo (202050) “consumo di suolo =
zero” (Commissione Ambiente, UE 2012).
Dalla metà degli anni ’50
la superficie totale delle aree
urbane nell’UE è aumentata
del 78% mentre la crescita
demografica è stata di appena il 33%. Questo significa
che in tutta Europa la tendenza a “prevedere” piani di
espansione urbanistica senza
un’equilibrata correlazione
con le effettive esigenze demografiche è prassi comune.
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Attualmente, le zone periurbane presentano la stessa estensione di superficie edificata delle aree urbane, tuttavia solo
la metà di esse registrano la stessa densità di popolazione.
L’espansione urbana o sprawl, è un fenomeno pericoloso: la diffusione di nuclei caratterizzati da bassa densità demografica costituisce una grave minaccia per uno sviluppo
urbano ordinato e sostenibile.
L’argomento è di grande interesse generale e riveste particolare rilevanza per la Sardegna per la tutela delle zone interne e delle aree costiere, esposte al rischio di degrado per
consumo dei suoli ed errori di pianificazione territoriale sia
per il ripristino di aree paleoindustriali alla luce delle esperienze passate e in corso. I recenti eventi idrometeorologici
hanno messo ancora una volta in evidenza la vulnerabilità
delle basse terre alle esondazioni e delle alte terre all’erosione.
I terreni degradati per la presenza di discariche abbandonate sono in genere spogli di vegetazione e quindi particolarmente esposti ai processi erosivi, che li mobilizzano dando luogo a trasporto solido, destinato a ricoprire e ad isterilire i terreni fertili a valle.
Il dott. Daniele CARIA – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari – ha messo bene in
evidenza gli aspetti giuridici penali della normativa ambientale
sottolineandone le difficoltà di applicazione.
L’avv. Marcello VIGNOLO ha concluso il forum con un’attenta analisi degli aspetti amministrativi della normativa europea, nazionale, regionale e locale.
I lavori sono stati presieduti dall’avv. Rita DEDOLA del
RC Cagliari Anfiteatro.
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Sulla “follia” di Giorgio III
Il re del Regno Unito
che affrontò la rivoluzione francese
subì la rivoluzione americana
e ancora regnante prevalse su Napoleone
Angelo Deplano – Giovanni Barrocu
a rivoluzione del 1688 aveva deposto
dal trono d’Inghilterra il Re Giacomo
II Stuart perché era cattolico e l’aveva sostituito con sua figlia Maria e col marito olandese Guglielmo III d’Orange, che erano protestanti. Morti senza eredi Maria e Guglielmo, divenne Regina Anna Stuart, l’altra
figlia di Giacomo II, la quale aveva ricevuto, come la sorella, un’educazione rigorosamente protestante.
Durante il regno di Anna fiorirono le arti
e i mestieri e fu felicemente realizzato L’atto di Unione, che fuse nella Gran Bretagna
i due Regni d’Inghilterra e di Scozia. Nel 1713,
poco prima che Anna morisse, la Gran Bretagna, a seguito delle vittorie del duca di Malborough e del Trattato di Utrecht, divenne la
più importante potenza marittima d’Europa. Quando nel 1702 salì al trono, l’Act of settlement aveva stabilito, già dal 1701, che dopo
di lei venisse chiamata a regnare la casata tedesca di Hannover, la quale avrebbe garantito una successione di protestanti. Così
dopo Anna ascesero al trono di Gran Bretagna Giorgio I e poi Giorgio II di Hannover,
entrambi nati in Germania: erano protestanti,
di lingua madre tedesca e conoscevano il francese ma non l’inglese.
Giorgio I, elettore di Hannover, dovette far
fronte alla sfida di Giacomo Stuart, pretendente cattolico figlio di Giacomo II, il quale era sbarcato in Scozia nel 1715 a seguito della prima rivolta dei Giacobiti, che fu temporaneamente sedata. I due regni d’Inghil-
L
terra e di Scozia furono di fatto riuniti in quello della Gran Bretagna, del quale Giorgio I
fu re fino al 1727, l’anno della sua morte.
L’anno dopo i Giacobiti, nuovamente insorti nel 1745 dopo lo sbarco in Scozia del giovane pretendente Giacomo Edoardo Stuart,
figlio del vecchio pretendente Giacomo, furono definitivamente sconfitti da Giorgio II,
che rimase in carica fino al 1760. Durante il
suo regno ebbe inizio la grande rivoluzione
industriale inglese, e la Gran Bretagna partecipò alle lotte continentali delle guerre di
successione di Polonia e d’Austria, nonché alla
prima fase della Guerra dei Sette Anni, dalla quale trasse notevoli vantaggi coloniali in
America, Africa e Asia, grazie all’abile politica del ministro Walpole, il primo e più duraturo dei primi ministri inglesi della storia.
Il terzo dei sovrani inglesi della casata tedesca degli Hannover fu Giorgio III, nipote
diretto di Giorgio II, del quale divenne l’erede perché il figlio Federico, principe di Galles, era morto prematuramente il 12 ottobre
1751. Giorgio III, nato il 4 giugno 1738 e battezzato con i nomi George William Fredrick,
fu il primo della dinastia che nacque in Inghilterra e usò l’inglese come lingua madre.
Nel 1751, quando aveva tredici anni, aveva
ereditato il titolo di duca e principe elettore
del Brunswick-Lüneburg (Hannover) nel Sacro Romano Impero, titoli che mantenne finché non assunse, il 12 ottobre 1814, anche quello di Re dell’Hannover (King of Hanover), regno che però non visitò mai. Quel regno fu
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Fig. 1 – Stemma del Regno Unito
usato dal Re Giorgio III dal 1816 al
1837.
Fig. 3 – Le tredici colonie americane nel 1775. L’Inghilterra aveva il dominio sulle zone indicate in rosso e rosa sulla mappa e la Spagna su quelle arancione. La zona rossa è quella relativa alle 13 colonie aperte agli
insediamenti dopo la proclamazione dell’Indipendenza.
Fig. 2 – Giorgio III a 50 anni nel
1762, quando stava per concludersi la Guerra dei Sette Anni, (17561763) e iniziò la sua malattia. (Ritratto
di Allan Ramsay)
governato dalla casata degli
Hannover in unione personale con il Regno Unito di
Gran Bretagna e Irlanda fino
al 1837 (Fig. 1), e cessò di esistere dopo che fu conquistato dalla Prussia nel 1866.
Federico era stato un
buon padre per Giorgio III.
Amante della musica, aveva
incoraggiato i figli ad apprezzarla ed aveva assunto
dei validi tutori che insegnarono loro il latino, il francese, il tedesco, la storia, la
matematica e la religione. Gli insegnanti giudicarono Giorgio un allievo difficile, talvolta imbronciato e ostinato, che
però dimostrò di aver tratto profitto dalla loro scuola.
Il nuovo monarca salì al trono in perfetta forma, e la prima parte del suo regno scorse relativamente tranquilla senza complicazioni di salute. A ventidue anni sposò Charlotte di Mecklenburg-Strelitz: fu un matrimonio felice durato
50 anni, dal quale nacquero 15 figli. Giorgio III era una persona intelligente, uno studioso desideroso di sapere, affascinato
dalle scienze e dalla tecnologia. Supportò con propri fondi
la Royal Academy, appassionato d’arte raccolse una collezione invidiabile di dipinti e fu un avido bibliofilo. Ereditò
molti libri anche dal nonno e durante il suo regno arrivò ad
averne 65.000, che riunì nella “King’s Library”.
Durante il suo regno Giorgio III vide la conclusione della Guerra dei Sette Anni, conosciuta dagli americani come
The French and Indian War (1756-1763), la Rivoluzione Americana (1775-1783), la Ribellione Irlandese del 1798, la Rivoluzione Francese (1789-1799) nonché le battaglie combattute contro Napoleone, fino alla vittoria di Waterloo nel
1815. (Fig. 2-8).
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Fig. 4 – La Declaration of Independence, presentata al Congresso dai cinque firmatari (dipinto di John Trumbull 1756-1843)t
Era un uomo di grande capacità, un grande monarca che,
come dice Trevellian (1941), seppe ben scegliersi i collaboratori imponendoli al parlamento, nei confronti del quale prese un maggior potere, recuperando quello che i suoi predecessori avevano perduto. Apprendiamo dalla Treccani che
«La politica di Giorgio III è stata eminentemente quella dei
suoi grandi ministri, che si alternavano al potere (North, Fox,
Pitt) combattendosi aspramente nelle lotte parlamentari, ma
ispirati tutti da una grande passione per il loro paese».
Ovviamente, il fatto che si fosse saputo scegliere dei ministri di quel livello, e che avesse avuto la forza di volontà
indispensabile per poterli imporre al parlamento, dimostra
quanto fossero notevoli la sua intelligenza e la sua energia
in un periodo tumultuoso della storia inglese.
Dopo il trattato di Parigi del 1783, che toglieva all’Inghilterra
le colonie d’America, gli inglesi lo considerarono il responsabile della sconfitta e per alcuni anni fu impopolare.
Nel periodo successivo, fino a che le condizioni della salute glielo consentirono, favorì un’attenta politica europea indirizzata a contrastare la crescente potenza di Napoleone.
Durante il suo lungo regno la Gran Bretagna si conciliò
con i francocanadesi del Quebec, nella completa tolleranza
della loro religione, dei loro diritti e costumi, in netto contrasto con la politica di supremazia protestante e inglese in
vigore nell’Irlanda di quegli anni.
Nei primi ventotto anni di regno Giorgio godette di uno
stato di salute relativamente buono, tenendosi in forma con
una dieta spartana e molto esercizio fisico. Il re cadde seriamente ammalato nel giugno del 1788, all’età di cinquant’anni. La malattia ebbe inizio con una violenta crisi
biliare, seguita subito dopo da segni di disordine mentale,
per cui si era deciso di trasferirlo a Cheltenham per
due mesi, allo scopo di fargli
praticare una terapia termale. Il programma delle sue
giornate in quella località
era riposante: andava a bere
l’acqua termale e quindi faceva delle passeggiate; dopo
il pranzo passeggiava ancora fino all’ora della cena, infine si ritirava e dormiva per
sei ore. In quel periodo il re
nel complesso si sentiva bene.
È presumibile che ciò avvenisse perché non era esposto
alla causa che gli provocava
il male ed infatti nelle settimane successive, dopo il rientro a Windsor, le sue condizioni peggiorarono. I medici
rilevarono che l’agricoltore
Giorgio (farmer George),
come lo chiamavano affettuosamente i suoi cortigiani
per il suo interesse per l’agricoltura, aveva cercato di
piantare una bistecca, convinto del fatto che la carne
nascesse dagli alberi e che
quindi avrebbe potuto far
crescere un albero che producesse bistecche come frutti. Nello stesso periodo presentò altri gravi segni di
squilibrio mentale, tanto che
qualcuno cominciò a dubitare
che lo si potesse lasciare sul
trono. Gli erano comparse gastralgie e diffuse eruzioni cutanee, sintomi che i medici attribuirono alla gotta, o ai
piselli che aveva mangiato,
dei quali era ghiotto. Gli si
gonfiarono i piedi, gli si ingiallirono gli occhi e l’orina
divenne bruna, segni questi di
compromissione delle vie biliari; comparvero stato con-
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Fig. 5 – La resa del generale inglese John Burgoyne
dopo la sconfitta nella Battaglia di Saratoga (7 ottobre 1777), che risultò decisiva per le sorti della guerra d’indipendenza americana (dipinto di John Trumbull, 1822).
Fig. 6 – Firma dei preliminari del Trattato di Parigi,
il 30 novembre 1782, che sancì la vittoria dei rivoltosi
americani sul Regno Unito (stampa di Morris & Co., da un
fusionale, atteggiamenti stravaganti e facile irritabilità. In una occasione si agitò fino
a perdere il controllo, afferrò il figlio, il Principe di Galles, e lo scaraventò contro un muro.
Lamentava anche insonnia, parlava molto,
con frasi sconnesse, senza accennare a fermarsi su nessun argomento, perse peso e una
volta emise un nuovo suono ad imitazione dell’ululato di un cane. Talvolta implorava i cortigiani di porre fine alla sua vita.
Per questi motivi il re fu considerato malato di mente. Le sue stranezze non rientrano certo nella classificazione dei diversi tipi
di follia descritti con fine ironia da Erasmo
da Rotterdam (1511). È noto che le forme di
follia sono numerose e se alcune manifestazioni possono suscitare negli osservatori indebito sorriso altre fanno inorridire per la loro
tragicità. D’altronde i medici non avevano
idea dei danni che intossicazioni, infiammazioni o altre lesioni possono determinare
sul sistema nervoso.
La medicina del XVIII secolo non disponeva di cure che potessero curare il re con efficacia. All’epoca i medici sostenevano ancora
che il corpo dell’uomo fosse governato da
quattro umori: atrabile (bile nera), bile
(bile gialla), flegma e sangue. Essi ritenevano
che anche la follia, com’è negli scritti ippocratici, fosse dovuta all’ interazione di questi umori, prodotti dalla combinazione di
quattro elementi della natura (caldo, freddo,
umido e secco). Le persone venivano rag-
gruppate in uno dei quattro corrispondenti
temperamenti – sanguigno, collerico, melanconico e flemmatico – secondo una classificazione che si pensava riflettesse il motivo principale della loro inclinazione. Il funzionamento della personalità si svolgeva ad
un livello ottimale quando si raggiungeva la
crasi, cioè l’equilibrio nell’interazione fra forze interne ed esterne. La lotta tra queste forze, detta discrasia, indicava la presenza di un
umore corporeo eccessivo, che doveva essere eliminato con la purificazione.
Il re subì il completo trattamento dell’epoca georgiana per la pazzia: si riteneva
che dovesse essere drastico ed infatti erano
previste procedure tutt’altro che piacevoli,
quali salassi, sudorazioni, bendaggi urticanti
che avevano lo scopo di risucchiare dall’interno dell’organismo gli umori ritenuti cause della malattia, nonché la somministrazione
di sedativi e spaventosi intrugli fatti trangugiare per forza. Fin da Ippocrate era convinzione dei medici che gli umori malefici potessero essere eliminati ricorrendo a sostanze dal potere emetico e purgante come l’elleboro, (Helleborus viridis). Poiché l’elleboro, pianta medicinale molto velenosa sia per
ingestione sia per uso esterno, era molto difficile da dosare, a partire dal Medio Evo si
preferì ricorrere sempre più al tartaro emetico, che ha gli stessi effetti, noto in chimica come tartrato di potassio e antimonio, o
tartrato antimonile di potassio. Questo me-
quadro di Carl Wilhelm Anton Seiler, 1846-1921).
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Fig. 7 – 14 luglio 1789 – La presa della Bastiglia, che
segnò l’inizio della Rivoluzione Francese (Robert Wilde).
dicamento era preparato usando tazze di antimonio puro nelle quali veniva tenuto del
vino per 24 ore cosicché si otteneva una soluzione di tartaro emetico che veniva propinata in piccole dosi fino a raggiungere quella efficace. Il tartaro emetico agisce sia a livello centrale, sul centro del vomito, sia a livello periferico, sulla muscolatura dello stomaco. Infatti Griffth R. Eglesfeld, medico della Facoltà di Medicina di Filadelfia, ma sicuramente di scuola inglese come i curanti
di Giorgio III, nel suo Trattato di Farmacologia del 1854 ci dice che il tartaro emetico
era comunemente somministrato anche per
clistere per curare la stitichezza. Anche l’articolo del medico inglese R.G. Ackerleyun,
pubblicato nel 1837 nella Medical Gazette di
Londra, ci dà un’idea dei protocolli adottati dalla medicina inglese all’epoca di Giorgio
III e del sicuro abuso di tartaro emetico che
veniva somministrato ai poveri pazienti.
Nel dicembre del 1788 la famiglia reale si
trasferì da Windsor a Kew, dove, sconfortata per la mancanza di risultati delle terapie fino
ad allora usate, chiese aiuto a un sacerdote anglicano, il dr. Francis Willis, che dirigeva un
manicomio e godeva di buona reputazione nella cura delle malattie mentali. Willis curava
i malati di mente con i medicamenti del tempo, ma trattandoli con umanità, unendo la fermezza alla gentilezza. Se il paziente era agitato, o se si strappava i bendaggi delle terapie urticanti che gli avevano causato dolorose suppurazioni, o se rifiutava il cibo, continuava a praticargli i metodi contentivi: lo legava a una sedia, lo imbavagliava o gli im-
poneva la camicia di forza, ma se il paziente cooperava, Willis gli dava tutta la libertà
che gli sembrava possibile. Si è pensato che
il dottor Willis avesse ottenuto per il re qualche miglioramento, anche se, dato lo stato in
cui versava la medicina, ciò è poco probabile. Sembra invece opportuno rilevare che anche in questa occasione il paziente potrebbe
aver tratto giovamento già dal solo trasferimento a Kew, avvenuto, come si è detto, nel
dicembre precedente, e che potrebbe averlo
tenuto lontano dalle terapie che gli nuocevano. Infatti Giorgio III cominciò a riprendersi
nel febbraio 1789, e nel marzo successivo continuava a migliorare decisamente. La sua popolarità crebbe sempre più con la convinzione errata che egli fosse guarito: gli inglesi gli
dimostrarono il loro affetto con le preghiere
e le cerimonie di ringraziamento, la più solenne
delle quali si tenne nella cattedrale di St. Paul
nell’aprile 1789. E quando nelle navi da
guerra della flotta al levar delle mense degli
ufficiali arrivava il brindisi «Signori, al Re»,
tutti levavano il calice mormorando con vero
trasporto «Che Dio lo benedica».
Giorgio III stette bene per più di un decennio. La letteratura e la documentazione
pubblicata non forniscono comunque elementi per poter avanzare un’ipotesi valida che
dia ragione del fatto che per un decennio, dal
1788 al 1799, il re non dette segni apparenti della sua malattia, tanto che egli ne fu ritenuto guarito. Si può avanzare l’ipotesi che
in determinati periodi, e per motivi tuttora
sconosciuti, sia stata interrotta la somministrazione di tartaro emetico o di altre sostanze
che scatenavano i sintomi. Tra il 1799 e il 1810
fu colpito da altre cinque crisi di varia gravità, durante le quali passava alternativamente dalla calma a stati di agitazione e soffriva di allucinazioni. Aggredì familiari,
dame di corte, medici e funzionari e parlava a vanvera incessantemente. Francis Willis morì nel 1807 e i suoi due figli, i dottori
John e Robert Willis, continuarono a trattarlo
con lo stesso metodo del padre. Nel 1810 il re
lamentò la crisi che compromise definitivamente il suo equilibrio mentale e non si riprese più. Tutti i tentativi di cura furono vani.
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I fratelli Willis ed altri medici chiamati a consulto diagnosticarono che il re era
malato di mente ormai incurabile, e di conseguenza furono adottati dei provvedimenti coercitivi più severi. A
partire dal 1810 Giorgio III
sprofondò in un inferno privato dal quale non si sarebbe più risollevato durante i
dieci anni di vita che gli rimasero. Si lasciò crescere
una lunga barba e negli ultimi anni perse la vista e l’udito e visse quindi completamente distaccato dal mondo
(Fig. 9). Non fu nemmeno informato della morte dell’amatissima moglie Carlotta, avvenuta nel 1818.
Il Principe di Galles, che
alla morte di suo padre sarebbe stato incoronato re con
il nome di Giorgio IV, fu nominato reggente nel 1811 e con
quella carica prese le redini
della monarchia e del governo. Si trovò così a condurre la
guerra nel 1812 e fu l’artefice
della sconfitta di Napoleone a
Waterloo nel 1815.
Il re Giorgio III decedette
nel 1820, dopo altri anni di
sofferenza e di isolamento.
Anche se egli era stato lontano dal pubblico per un decennio, la nazione ne sentì la
perdita: al suo funerale parteciparono in 30.000. Il popolo, che non era stato mai
informato delle condizioni
del re, avrebbe voluto sapere con precisione che cosa gli
fosse successo, ma era impossibile dare una risposta
certa e ciò diede motivo a
speculazioni che perdurarono nel tempo. In seguito gli
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Fig. 8 – Napoleone (1769-1821) nel 1812, prima della sua caduta definitiva avvenuta anche per merito del Regno Unito regnante Giorgio III (ritratto
di Jacques-Louis David).
studiosi e gli storici non potevano far altro che esaminare le
note dei medici curanti che, come sappiamo, non erano stati in grado di formulare una diagnosi convincente. All’inizio del XIX secolo ancora molti ritenevano che il re fosse affetto da una forma di patologia mentale.
La diagnosi della malattia mentale tornò in auge nella metà
del XX secolo con l’affermarsi della psichiatria, che aveva cominciato a cercare di capire, trattare e curare tale genere di
malattie. Nel 1941 uno psichiatra, il dr. Manfred S. Guttmacher, nel suo libro dal titolo L’ultimo re d’America: una in-
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terpretazione della follia del Re Giorgio III,
avanzò l’ipotesi che il comportamento del re
derivasse da una forma di psicosi maniacodepressiva. Altri esperti sostennero che il re
fosse stato affetto da una psicosi ricorrente.
Nel 1969, gli psichiatri inglesi Ida Macalpine e Richard Hunter prospettarono che
il re fosse stato invece affetto da porfiria variegata, una malattia metabolica rara ed ereditaria causata da deficienza dell’enzima protoporfirinogeno, non identificata fino al XX
secolo. La diagnosi era basata sui dati ritrovati negli archivi storici e sulla controversa
opinione che ne soffrissero anche membri viventi della House of Hanover. Essi non poterono però basare le loro ipotesi su risultati di prove sperimentali, per cui non tutti accettarono le loro conclusioni.
Secondo l’Enciclopedia Medica Italiana
la porfiria è una sindrome clinica determinata da un alterato metabolismo delle porfirine. Si manifesta con sintomi cutanei, addominali e nervosi. Sono state studiate diverse
forme cliniche: la forma congenita si manifesta nella prima infanzia; la forma acuta intermittente si manifesta generalmente nel secondo decennio di vita; la forma cronica tardiva ha carattere familiare e si manifesta nell’età adulta con intense reazioni a tipo di hidroa aestivale nelle regioni cutanee esposte
alla luce. Talvolta si hanno coliche, ittero, disturbi neuromotori e aumento della pressione arteriosa. Non devono essere considerate porfirie quelle forme morbose (saturnismo,
epatiti, intossicazioni da barbiturici, etc.) decorrenti con un’abnorme eliminazione di porfirine, ma senza un quadro clinico ben definito. L’etiologia è ancora molto oscura. Alcuni hanno ammesso una causa infettiva, altri hanno sostenuto un’origine endocrina o
avitaminosica, ma molto più verisimilmente potrebbe essere attribuita ad un fattore tossico che agisca su un organismo costituzionalmente predisposto a turbe del ricambio
porfirinico. In effetti l’arsenico può scatenare
una abnorme perdita di porfirine.
Nel 2005, The Lancet, la rivista medica britannica, pubblicò un rapporto che sosteneva
la diagnosi della porfiria. Avendo riesaminato
la documentazione medica e materiale storico ritrovato di recente, un gruppo di ricercatori
dell’Università di Kent produsse le prove evidenti che le condizioni predisponenti della malattia esistevano anche tra i discendenti di
Giorgio III e nelle casate reali europee e sostenne l’ipotesi che il disordine fosse effettivamente dovuto a un legame genetico. Gli
scritti dei medici curanti testimoniano infatti che altri membri della famiglia furono affetti da malattie caratterizzate dagli stessi sintomi che aveva presentato Giorgio (Cox et al.,
2005). Nell’articolo gli autori riportarono i risultati delle analisi effettuate in alcuni ciuffi di capelli presi dal capo del sovrano alla sua
morte. Essi non riuscirono ad ottenerne il DNA
genomico ma le loro analisi rivelarono alte
concentrazioni di arsenico, elemento che interferisce col metabolismo del sangue, cosa che
potrebbe aver contribuito ai gravi e prolungati attacchi di follia del re. Le sorgenti dell’arsenico furono identificate nei medicamenti
imposti al re dai medici.
The Lancet riferisce che inizialmente nessuno sapeva quale potesse essere l’origine della presenza di arsenico nell’organismo del re,
ma dagli studi d’archivio risultava che Giorgio III era stato trattato dai medici con dosi generose di tartaro emetico, un composto dell’antimonio, elemento che può essere contaminato dal piombo e dall’arsenico ad esso geochimicamente affini, utilizzato non tanto
come emetico ma come lassativo, nella convinzione che il re dovesse essere liberato dagli umori ai quali i medici attribuivano la sua
discrasia. I ricercatori dell’Università di Kent
dedussero quindi che l’origine dell’arsenico rilevato nel campione di capelli doveva essere
il tartaro emetico. I risultati dei loro test sono
stati accettati senza obiezioni. Il prof. Martin
Warren, uno di loro, dichiarò alla British Broadcasting Company (BBC) che «Si spiegherebbero così in modo convincente sia le crisi
che colpirono il re, sia il fatto che in età avanzata egli dovette subirne sempre più gravi». Risulta che nel giugno del 1788, quando Giorgio
III aveva 50 anni, la malattia, ancora prima che
si evidenziassero i sintomi neurologici, aveva
esordito proprio con una violenta crisi bilia-
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re, e poiché questi erano sintomi di una affezione che comunque
interessava il fegato, era normale che fin da allora dovessero
aver cominciato a somministrargli dei lassativi.
Com’è stato possibile dimostrare con i mezzi della medicina moderna, i sintomi dei disturbi neuromotori, che erano stati interpretati dai medici del tempo come segni di una
malattia di mente, con ogni probabilità erano causati da forme di intossicazione variabile nel tempo. È lecito avanzare
l’ipotesi che il re avesse una predisposizione metabolica ereditaria alla porfiria, e che la sintomatologia complessa che
lo aveva afflitto sia stata verisimilmente scatenata di volta
in volta dalle somministrazioni di tartaro emetico propinato al paziente come lassativo in dosi continuate nel tempo.
È un fatto che tutta la sintomatologia di coliche biliari e
disturbi neuromotori scomparve quando Giorgio III si allontanò dai suoi medici curanti per recarsi a Cheltenham, e riapparve quando, presumibilmente dopo il rientro del paziente
a Windsor, i medici dovevano aver ricominciato a trattarlo col
tartaro emetico. Allora comparvero, insieme con i segni di disordine mentale, violente gastralgie, ittero (l’orina divenne bruna) e manifestazioni di intensa reazione cutanea nelle regioni del corpo esposte alla luce. Se si associano i primi segni della malattia (quelli che avevano preceduto il trasferimento a
Cheltenham) a questi ultimi si ottiene un quadro sintomatologico che coincide con quello della porfiria cutanea tardiva.
Nessuno allora fu in grado di fare riferimento alla porfiria. Dato
che i suoi medici avevano ricominciato a trattarlo col tartaro emetico, possiamo ipotizzare che ai sintomi della porfiria
si aggiungessero quelli delle intossicazioni croniche da arsenico. Quelli dell’arsenico dovevano consistere dapprima in coliche biliari, con nausee, vomiti e anoressia, ed inoltre da altri sintomi d’irritazione cutanea e da segni di sofferenza miocardica e renale, e neurite ottica, che spiegherebbero la cecità lamentata negli ultimi anni di vita dal paziente. Per questo motivo in un’intossicazione cronica persistente nel tempo come quella che colpì Giorgio III, la sintomatologia tese ad
aggravarsi progressivamente. Ovviamente non siamo in grado di escludere che abbiano potuto nuocere al paziente anche altri tossici eventualmente contenuti negli intrugli che lo
obbligavano ad ingerire, ovvero la semplice ingestione di determinati alimenti come i piselli, alimento sospettato dai medici di Giorgio III quale responsabile delle crisi. Il pisellismo
è una sindrome nota soltanto da pochi anni, consistente in un
complesso di fenomeni morbosi – emolisi, emoglobinuria – scatenati dall’ingestione di piselli. Nel 1951 Carcassi, Luridiana,
Fancello e Argiolas in base allo studio dei dati clinici, descrissero
per la prima volta alcuni casi di anemia emolitica acuta da
ingestione di piselli. Le loro osservazioni sono state poi confermate nel 1959 da Larizza, Brugnetti e Grignani, i quali, con
29
Fig. 9 – Giorgio III negli ultimi anni
(Incisione di Henry Meyer).
i nuovi test divenuti disponibili, studiavano questi stessi
soggetti documentando in
questi pazienti precedentemente studiati la presenza di
deficit della Glucosio-6fosfato deidrogenasi (G-6Pdh) (Carcassi, 2014).
Gli osservatori sono tutti
d’accordo nel disapprovare i
trattamenti crudeli e inutili,
che nel diciottesimo secolo venivano praticati al paziente
regale; alla metà del XIX secolo il romanziere inglese
William Makepeace Thackeray espresse bene il senso
di perdurante dispiacere causato soprattutto dall’ultimo
decennio di vita del re; infatti
nessuna storia rappresenta
una figura più triste di un povero vecchio cieco, sordo e
privo della ragione, che vaga
per le stanze del suo palazzo,
rivolgendosi a parlamentari
immaginari e passando in
rivista personaggi presenti
solo nella sua mente.
Il caso di Giorgio III solleva ancora oggi simpatia ed
è stato esaminato da scienziati, medici e commediografi.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
L’immortale Giovanni Lilliu
Sardus
Pater
Mauro Manunza
e non avesse ceduto due anni prima di
compierli, Giovanni Lilliu avrebbe oggi
cento anni. Era nato a Barumini il 13
marzo 1914, e al suo paese è rimasto strettamente legato per tutta la vita: certo perché
su quelle pietre ha giocato
da bambino,
ma soprattutto
perché sbucciandosi le ginocchia
su
quelle pietre ha
intuito – e poi
portato alla
luce – uno dei
più straordinari e importanti
luoghi archeologici del mondo. Partendo
dalla “Reggia
nuragica” ha
aperto percorsi
scientifici e
umanistici che
hanno imposto la Sardegna all’attenzione internazionale e condotto lui all’immortalità:
il suo segno nella cultura non potrà mai scomparire.
Sedeva infatti tra gli “immortali” del tempio della cultura italiana: l’Accademia del
Lincei, che difatti lo ha commemorato a
Roma in un summit degli accademici d’Italia. Hanno parlato di lui (unico linceo sardo) illustri studiosi, da Anna Maria Sestrieri a Giuseppe Tanda, da Albero Moravetti a
Michel Gras e Mario Torelli. Venne accolto a
S
Palazzo Corsini nel 1990 e vi andava spesso
anche nell’ultima parte della sua vita, ultraottantenne, viaggiando da solo. Lì parlava nel religioso silenzio di quanti lo ascoltavano; così come sempre avveniva negli anni
trascorsi nelle
aule delle università e in
quelle dell’Assemblea regionale sarda e del
Consiglio comunale di Cagliari, quando
sedeva fra i
banchi democristiani.
Nella solenne celebrazione del 3 marzo
scorso a Roma
era rappresentato dalla figlia
Caterina. L’altra figlia, Cecilia, durante le
stesse ore era invece a Cagliari dove nel Museo archeologico nazionale Maria Assunta
Lorrai (direttrice per i Beni culturali della Sardegna) e Marco Edoardo Minoja (soprintendente per i Beni archeologici) presentavano
un’importane mostra celebrativa: “L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”, inaugurata negli spazi della Torre di
San Pancrazio (Cittadella dei Musei). Ricche
di reperti selezionati ed esposti lungo un percorso specificamente organizzato, le sale
continuano a ricevere il pubblico e resteranno
giugno 2014 —
così per un anno; poi la mostra sarà trasferita a Roma dove (dal 15 marzo 2015) sarà
evento di lusso nel prestigioso Museo preistorico nazionale etnografico “Pigorini”. È
una sintesi dell’archeologia sarda, che i soci
del RC Cagliari hanno visitato di giovedì, considerando quella serata un appuntamento
straordinario del club: un modo concreto per
ricordare quell’eccezionale personalità che per
tanti anni ha frequentato le nostre riunioni
nobilitandole prima come socio effettivo e poi
come socio onorario.
Anche Barumini, ovviamente, ha reso
omaggio al suo immortale cittadino nel Palazzo Zapata, intitolandogli una specifica sezione del rinnovato Museo archeologico e prorogando la mostra celebrativa “Stratigrafie di una vita”
nel Centro di
comunicazione
e promozione
del patrimonio
culturale “Giovanni Lilliu”:
un’esauriente,
decisiva e anche commovente esposizione su vita
privata e attività pubblica del
“Sardus Pater”.
Semplice e
s tra vagante,
modesto e autorevolissimo, gentile e determinato, contenuto eppure ribelle, intellettuale senza ricercatezza, Lilliu ci lascia un patrimonio
d’inestimabile valore culturale. La sintesi
della sua opera omnia – a carattere esclusivamente archeologico – è raccolta in sei volumi, pubblicati cinque anni fa sotto il titolo
“Sardegna e Mediterraneo” (2600 pagine,
Ed. Delfino), che contengono 71 contributi
dalla più remota preistoria all’alto medioevo: testimonianza di un’attività appassionata, instancabile e dotta che ha proiet-
Rotary Club Cagliari
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tato a livello internazionale la ricerca archeologica nell’isola.
Ma Giovanni Lilliu non era soltanto eccelso archeologo, paletnologo, pubblicista,
studioso, docente, lo scopritore di “Su Nuraghe” e il rivelatore della civiltà nuragica:
era anche la coscienza civica dei sardi di oggi,
e non per caso lo si definiva “Babbu Mannu”.
Strenuo sostenitore di un’autonomia isolana
sostanziale e robusta, in rispettosa ma critica posizione rispetto alle istituzioni nazionali,
sino in fondo si è battuto perché alla Sardegna sia riconosciuta una Storia, un’identità,
una lingua peculiari nell’ambito mediterraneo ed europeo, un patrimonio culturale specifico nel contesto internazionale. A cominciare proprio
dalla tutela della lingua, che
«è l’anima del
popolo», diceva: espressione
di valori, tradizioni, costumi, civiltà, «tottu cussu chi
rappresentaiat
su coru de sa
sardidade».
Quel soffio del
sentimento che
definiva “sentidu de libbertade”: sentidu
come capire,
consapevolezza, memoria,
sentir dentro: «sa idea sarda, sa cussentzia
de su propriu essiri etnicu e sa storia profunda, sa dignidadi e s’orgogliu de s’intendi populu...». Così parlava il protagonista della nostra cultura, l’uomo della “costante resistenziale sarda”. E ancora lo dice, perché
è immortale.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
La fotografia del 35 mm
Dalla lastra
al digitale
Gianni Campus
l 1925 fu fondamentale per la Neue Sachlichkeit, celebrata in quell’anno con una
mostra a Mannheim: si trattava di una
nuova tendenza artistica, indirizzata a coniugare le esigenze di percezione “oggettiva”,
con quelle di una rappresentazione impegnata
della realtà. Di quella ricerca, la fotografia
sarebbe stata parte essenziale.
In una Germania in profonda crisi economica e sociale, ma piena di slanci e iniziative culturali, si ponevano in effetti le basi
per ciò che nel tempo sarebbe apparsa in tutta la sua pregnanza: l’era del 35 mm e della fotografia popolare e universale. Se pensiamo, infatti, al Ventesimo Secolo in chiave di fotografia, è forse possibile dividere quei
cent’anni proprio in base al 1925, quando
cambiarono molte cose rilevanti per l’evoluzione della fotografia stessa sia come disciplina artistica, sia come prodotto tecnologico, sia quindi come fattore di crescita economica, sociale e culturale.
Ciò che succedeva in quei giorni in Germania non è molto semplice da riassumere,
per ragioni derivanti proprio dalla quantità
di eventi che vi si producevano e che erano
compartecipi di cambiamenti; basterà però,
fra tanti, citarne tre: la scuola del Bauhaus
si spostava da Weimar a Dessau, Oskar Barnack si apprestava a mettere la Leica sul mercato, stava per nascere la Zeiss Ikon.
Il disegno industriale – o, se si preferisce,
la progettazione artistica per l’industria – era
uno dei cavalli di battaglia di László Moholy Nagy, che nel Bauhaus operava anche come
specialista di fotografia. In quei giorni, e nella percezione culturale di quella straordinaria comunità, della fase arcaica della rivo-
I
luzione industriale era rimasta l’immagine
della crescita esplosiva dei numeri, fossero essi
riferiti agli addetti alle fabbriche o a quanto era in esse prodotto, a beneficio dei consumatori, dei loro bisogni e dei loro desideri, espressi o potenziali che fossero. Ciò che
appariva radicalmente cambiato, era lo stimolo a rendere quei prodotti industriali
veicolo di diffusa evoluzione estetica e, più
in generale, culturale. La macchina – qualunque macchina, fosse essa destinata a
produrre altre macchine, a muoversi, ad abitare – cessava di essere un mero strumento
funzionale, per acquistare dal riconoscimento espressivo di tale ruolo una nuova capacità di offrire risposte gratificanti a consumi estetici mai ipotizzati prima né concettualmente né quantitativamente.
A Dessau si apriva, infatti, una nuova fase
del pensiero creativo, dopo le esperienze del
Werkbund e dello Staatliche Bauhaus di Weimar. In estrema sintesi, dall’esperienza di De
Stijl e del Neoplasticismo si andava ormai
evolvendo una tendenza, diffusa e internazionalista, intesa a rivisitare i princìpi fondativi dell’estetica della produzione industriale
con una radicale semplificazione e razionalizzazione dei rapporti formali, concepiti in
chiave geometrica e astratta.
In tutto questo la fotografia giocava un duplice ruolo, sia riguardo ai principi ordinatori
del suo essere strumento automatico e geometrico – e quindi intrinsecamente “astratto” – per la produzione d’immagini, sia per
la sua capacità di proporsi – in tale ruolo –
come “protesi” dell’attività creativa e funzionale di un essere umano, ampliandone la
capacità di percezione, d’interpretazione, di
giugno 2014 —
racconto, di documentazione.
Inoltre, dall’industria fotografica sarebbero stati generati degli autentici gioielli
della progettazione, destinati a restare parte esemplare
nella storia dell’industrial design d’ogni tempo.
La Leitz di Wetzlar, attraverso l’intuizione di Barnack, aveva operato una sintesi fra cinematografia e fotografia, semplicemente creando la possibilità dell’esistenza di una fotografia autenticamente “veloce”, in senso quasi futurista, perché in
grado di essere usata sempre
e ovunque senza particolari
accorgimenti, capacità o condizioni ambientali. Un’ergonomia totale, estesa alla forma funzionale ed estetica,
sostanzialmente intesa a ribaltare un paradigma sino a
quel momento in concreto
indiscusso: quello di un apparecchio fotografico munito
di un operatore, che diventava invece con la Leica quello di una persona in grado di
portare in tasca – e poi al collo – un comodo strumento per
scattare fotografie. Con ciò,
nei bisogni di Barnack in
persona e nei limiti imposti
dal suo fisico fragile, si specchiava una condizione statistica di basso profilo, a suo
modo espressione dell’existenz minimum, dell’uomo
modulare e della stessa filosofia del less-is-more che aveva caratterizzato il Bauhaus.
La Zeiss Ikon, invece, era
qualcosa di più complesso:
rappresentava, infatti, l’urgenza di un’intrinseca razionalizzazione della com-
Rotary Club Cagliari
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László Moholy Nagy, Fotogramas, 1922.
plessità dell’intero universo della fotografia. Con l’accorpamento della capacità progettuale e produttiva di diversi
storici interpreti, si accorciava perciò radicalmente la filiera dell’evoluzione tecnologica nel settore fotografico, che in
Germania trovava a quel punto una straordinaria stagione
di sintesi creativa, non più basata sull’invenzione o la produzione di un singolo elemento, anche d’eccellenza, ma sul
perseguimento della massima qualità possibile come scelta
concettuale, economica ed etica a un tempo.
In pratica, in quegli anni critici e tormentati, si gettavano le basi perché diventasse possibile concepire e realizzare
non più obiettivi, otturatori o apparecchi ma interi sistemi fotografici; ma, soprattutto, si proponevano nuovi orizzonti culturali ed economici, e perfino nuovi paradigmi sociologici.
In tutto questo, la visione razionalista emergeva imperiosamente, secondo una filosofia che sino a poco tempo prima poteva essere soltanto parte di un sogno degli intellettuali d’avanguardia: quello che proponeva – e addirittura
imponeva – la qualità alla base dei più diffusi consumi sociali. E, almeno in questo caso, il sogno si esprimeva in una
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
sorta di miracolo: la qualità in gioco non era
quella economicamente possibile, una qualità relativa; essa era, incredibilmente ma indiscutibilmente, una qualità assoluta.
Nei tre quarti di secolo che conducono da
allora al nuovo millennio, la fotografia, la nostra fotografia si è evoluta, ma non è cambiata, mentre cambiavano le attrezzature;
oggi, però, l’immagine digitale ha nel suo intimo una parte eversiva che azzera le premesse che avevano affidato all’Occhio dell’Aquila, al mitico Tessar, il compito di interpretare l’urgenza di precisione che la
Neue Sachlichkeit richiedeva, e che obiettivamente andava realizzata. L’immagine digitale è, infatti, sintetica; essa non deriva
esclusivamente da una proiezione pressoché
diretta e immediata, ma tale proiezione è solo
il primo, primissimo stimolo per un processo poi potenzialmente interattivo quasi senza limiti. La realtà automatica è finita, sostituita dalla iperrealtà costruita, dove i punti sono infinitesimamente tali, e non circoli
di confusione, ammiccanti alla nostra umana soggettività; un nuovo mondo dove l’immagine non dev’essere più scovata come un
diamante, tagliata come un brillante e in-
castonata come un gioiello mentale, ma
può essere – in modo drammaticamente falso, ma totalmente credibile – la documentazione di ciò che abbiamo saputo concepire e scrivere, con la luce.
La foto-grafia, come scrittura-con-laluce, rappresenta intrinsecamente una parte del mondo dei segnali e dei linguaggi che
ne regolano i rapporti; suggerisce quindi – nel
suo ambito, in generale e in particolare – i
princìpi e i caratteri che vengono ai linguaggi
attribuiti, soprattutto rispetto alla loro capacità di corroborare o, al contrario, corrompere la capacità percettiva umana. La fotografia, infatti, dal suo nascere ha creato un
altro mondo rispetto a quelli linguisticamente
e iconograficamente esistenti; partecipa della vita reale, dalla quale trae spunto, ma codifica icone e linguaggi altrimenti inesistenti, che sul reale proietta, condizionandone
molti caratteri attraverso le suggestioni che
è in grado di proporre.
Nel tempo dei miti, com’è stato quello della fotografia del secolo scorso, la mitologia
fotografica si è spesso espressa attraverso icone, fossero esse quelle di una Leica a telemetro, di una Rollei biottica, di una Nikon
giugno 2014 —
F o dell’Hasselblad lunare. Molte di quelle icone si accompagnano – nell’integrare i termini
del mito – con nomi a loro volta dotati di
grande capacità evocativa; alcuni di questi
hanno costituito interessanti sintagmi, voluti
o nati da sé, come Leica-M, Rolleiflex, NikonF, Zeiss-Ikon, Conta...x.
Di questi due miti, della Zeiss-Ikon e delle sue macchine fotografiche Con-la-x, vale
la pena di parlare in particolare, sia perché
esse sono state (e forse ancora sono) al vertice dell’Olimpo mitologico della fotografia,
sia perché la loro storia ha, nei particolari stessi, dei caratteri di universalità che illustrano in termini esemplari il modo d’essere di
quelli che si potrebbero chiamare come gli
anni del 35 mm.
Fra gli apparecchi che hanno contribuito a consolidare il successo di quelle pellicole
– oltre alla capostipite Leica – ricorderemo
come – nei primi quarant’anni di diffusione
fotografica di quello stesso 35 mm – il nome
Conta...x sia stato assegnato non solo a diversi modelli di uno stesso tipo di fotocamera
Zeiss, ma anche a tipologie di macchine profondamente diverse. La prima di queste nacque nel 1932, l’ultima (salvo successivi ripensamenti nipponici) scomparve dalla produzione dopo il 1971 – come tutti gli apparecchi fotografici Zeiss Ikon.
Il perché di tale progressione critica si deve
certamente allo sviluppo esplosivo della
produzione Giapponese, ma anche al ruolo
giocato – nel dopoguerra – da parte degli Stati Uniti.
Furono proprio gli Stati Uniti a gettare un
ponte – col garantire ragionevoli opportunità
di mercato alle aziende che tentavano di riprendersi dalla crisi, immediatamente dopo
la guerra – fra la consolidata esperienza tecnologica tedesca e quella giapponese emergente. Nel primo caso lo smembramento della Germania rese le cose molto più difficili,
giacché bisognava anche ricostruire le premesse logistiche e non solo; in pratica, i tedeschi non potevano fare tutto da sé nemmeno sotto il profilo meramente industriale, poiché bisognava rifondare e reintegrare
buona parte delle aziende e delle fabbriche,
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spostando e riunendo mezzi e persone, cosa
per niente semplice in una Germania divisa
e controllata a vista.
L’atteggiamento alleato nei confronti del
destino dei Paesi sconfitti – nei primi anni del
dopoguerra – non fu sempre indirizzato
nello stesso modo, sia per quanto riguardava le diverse zone geografiche sia, per conseguenza, i corpi sociali interessati e le relative attività produttive. La necessità di abbandonare un’idea di destrutturazione industriale della Germania, pensata in origine per limitarne ogni futura propensione bellica, si accreditò facilmente quando si percepì appieno la portata problematica di
una convivenza spalla a spalla fra l’Europa
Occidentale e il Blocco Sovietico: una Germania Ovest troppo debole avrebbe presentato un ben fragile fianco alle aggressive politiche dell’URSS.
La ripartenza giapponese – impressionante
in quanto a determinazione e celerità, anche
prima del cambiamento di rotta da parte degli occupanti – non fu ostacolata più che tanto dai fattori critici derivanti dalla sconfitta,
ma, invece, certamente accelerata dalle prospettive commerciali intravviste per il dopoguerra. I tempi della ripresa produttiva parlano chiaro, se si prendano ad esempio le posizioni assunte dalla Nippon Kogaku e dalla
Zeiss occidentale, due grandi marche legate da
decenni anche per ragioni militari: l’accelerazione impressa della prima fu quasi folgorante, poiché sin dall’ottobre del 1945 si studiarono strategie da perseguire e soluzioni da
adottare per una radicale revisione della produzione, con esiti percettibili già dalla metà
del 1946; quella della seconda – pur con le agevolazioni americane – relativamente più lenta, anche per l’ambiguo rapporto con la produzione di vetri e obiettivi ancora localizzata a Jena, che era finita nelle mani dei Russi.
Durante l’occupazione dagli Americani, la
Nippon Kogaku di Tokyo – quindi la Mitsubishi, che ne aveva il controllo e che a causa della sconfitta aveva subito un fortissimo
shock come importante produttore d’armamenti – si rivolse anch’essa all’esperienza tedesca come riferimento per quanto avrebbe
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
caratterizzato l’evoluzione della propria produzione. Questa fu orientata verso il settore delle fotocamere civili, mai trattato direttamente in precedenza, ma nel quale
avrebbe rapidamente raggiunto un ruolo tanto rilevante da produttore e quindi come nuovo marchio. Quello scelto fu Nikon (NIkon), con un chiaro e forse strumentale riferimento alla Zeiss, già storica partner
perché magistrale e formidabile produttrice
di materiale ottico d’ogni tipo. Altra opinione
sull’origine del nome prende le mosse da Nippon Ko-gaku, con l’aggiunta di una n finale
eufonica; se anche le cose fossero andate in
questo modo, nell’immaginario collettivo il
nome puzza (o profuma) di Zeiss Ikon.
Così, per le nuove produzioni, l’occhio cadde un po’ più sulla Contax II che sulla Leica, peraltro diffusamente copiata un po’ da
tutti e in ogni continente, anche per l’azzeramento dei brevetti tedeschi.
In quel drammatico momento, nel quale
ancora rilevante era l’esigenza di por fine alla
mancanza di cibo e vestiario, in Oriente come
in Europa, bisognava tuttavia produrre ed
esportare; questo imperativo era dettato
anche dagli accordi che avevano regolato la
resa, e che andavano evolvendosi in tal senso, ma non era facile da osservare per chi fino
a quel momento avesse accumulato conoscenze e capacità senz’altro utili, ma da convertire immediatamente verso differenti
orizzonti tipologici e di mercato.
Nonostante i bombardamenti, anche la
Canon aveva visto le proprie fabbriche
scampare in larga misura ai danneggiamenti
bellici, cosa che le consentì una rapida ripresa:
sin dal 1946, infatti, diede il via a nuovi modelli, indirizzando all’innovazione i futuri destini dell’azienda e contribuendo a convalidare, con la Nikon e altre case d’indiscutibile valore, un’immagine della fotografia
mondiale ancora totalmente orientata verso
la migliore tradizione germanica d’anteguerra, ma con qualcosa di nipponico ormai
potentemente percettibile.
Gli Americani di stanza nei due Paesi occupati furono però, materialmente, i migliori
sostenitori di quel nuovo slancio internazio-
nale: essi volevano ricordare e documentare la loro personale avventura, e questo aveva bisogno di una macchina fotografica. Per
un militare o un civile americano – in quel
momento, ma poi ancora a lungo – un apparecchio fotografico di fabbricazione tedesca o giapponese non costituiva solo un ricordo da riportare in patria: era anche un ottimo affare, poiché negli USA in quel momento non si produceva qualcosa di confrontabile; così, a quei facili clienti americani
si rivolsero sia la Germania sia il Giappone.
In quest’ultimo i negozi riservati agli occupanti (PX Store) furono riforniti con apparecchi specificamente destinati alla franchigia doganale, marcati con le lettere «EP»
racchiuse in un rombo, probabilmente a significare proprio Export Production; i loro acquirenti furono, al ritorno a casa, degli ottimi testimonial. Come lo furono, ancor più
autorevolmente, i fotografi professionisti di
passaggio nei viaggi per documentare la guerra in Corea, i quali non mancarono di scoprire le nascenti virtù ottiche del Giappone,
magari montate sulle loro Leica o Contax.
Ciò che avvenne per il Giappone si era verificato anche in Europa, ma con sostanziali differenze, a causa della complessità dei
rapporti fra le diverse parti in azione su tale
scacchiere.
Quanto gli assetti territoriali fossero critici in quei giorni, si può percepire soprattutto
dal confronto fra la distribuzione geografica assegnata agli Alleati sul suolo tedesco nel
1946, e quella che era evidenziata dai limiti
raggiunti dalle truppe americane al momento
del VE Day: un’estesa superficie, comprendente fra le altre le città di Leipzig, Erfurt,
Weimar e Jena era destinate a passare in pochi mesi dal controllo USA a quello URSS;
con essa, risorse di grande valore, che sarebbero andate ad aggiungersi a quelle già
sotto il controllo delle truppe sovietiche.
Il 25 aprile 1945, con il congiungimento avvenuto presso Torgau sull’Elba, le truppe alleate avevano isolato da Berlino il territorio
più a Sud, fra Chemnitz e Dresden, città che
era stata oggetto di devastanti bombardamenti perché valutata come un potenziale nu-
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cleo di resistenza all’avanzata delle truppe sovietiche, e non solo. Quell’area, infatti, era
considerata come un plesso strategico per la
produzione d’equipaggiamenti d’uso generale,
come i binocoli, o le attrezzature militari indirizzate a sistemi d’arma che prevedessero
il loro impiego, come tutti gli strumenti di
puntamento e di telerilevamento.
Tale capacità di produzione, ancora consistente fino agli ultimi mesi di guerra, era
già stata la causa di violentissimi bombardamenti, come quelli del 13 e del 14 febbraio, ma anche la ragione di una profonda attenzione verso tutti gli stessi apparati produttivi, i materiali e le risorse umane che ne
avevano costituita l’ossatura.
Fra le cose scampate alla recente distruzione – forse deliberata, e da qualcuno probabilmente già deprecata – che gli USA si accaparrarono, ci fu una parte di quanto della Zeiss Ikon era ormai destinato a restare nella zona d’influenza dell’URSS. Dresden entrò immediatamente sotto l’occupazione Sovietica, ma ciò non avvenne altrettanto celermente per Jena, dove gli Americani erano entrati per primi il 13 aprile 1945; pertanto,
molte cose e centinaia di persone furono trasferite in tutta fretta prima che i Sovietici le
reclamassero per competenza territoriale.
Nei tre mesi successivi, infatti, i Russi presero possesso anche di Jena, e delle fabbriche che, quasi miracolosamente, erano ancora relativamente in buone condizioni. La
Carl Zeiss divenne così il fulcro delle iniziative sovietiche; nei suoi stabilimenti di Jena
si localizzò quindi la ripresa delle attività produttive, prima che i Sovietici trasferissero la
fabbrica delle fotocamere a Kiev, e a Krasnogorsk quella degli obiettivi, come avvenne
nel 1948. A quel punto, Dresden usciva dalla scena, almeno per la Contax a telemetro,
ma sarebbe rimasta interprete in un’altra parte di storia della fotografia.
Con la rinascita della Zeiss si pose quindi, quasi inevitabilmente, il problema dell’appartenenza del marchio stesso, che fu rivendicato a lungo fra Est e Ovest in una controversia che terminò legalmente solo nel 1971,
con un accordo che assegnava il titolo alla
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parte Occidentale, ma proprio quando questa stava per porre fine alla sua gloriosa storia di produttore di fotocamere.
La Leitz, dal canto suo, era riuscita a sopravvivere ai controlli nazisti negli anni
Trenta, nascondendo l’abile azione umanitaria sviluppata dal 1933 al 1939 col concorso diretto della famiglia Leitz, che si era impegnata materialmente per la rischiosa salvezza di numerosi ebrei, trasferendoli all’estero come dipendenti e costituendo quello che fu chiamato “il treno Leica della libertà”.
In termini strategici, nonostante la perdita
dei brevetti sancita dopo la WWII, la Leitz
era stata abbastanza dinamica da non restare
imbrigliata – come rapidamente dimostrò con
il modello M3 e, in seguito, con le reflex – in
un’azione industriale basata sulla contemplazione tecnologica di quello che si avviava rapidamente a divenire storia passata.
L’esplosione di copie, alla fin fine, celebrava l’immagine della Leica stessa, consolidandone il mito e il ruolo di archetipo irraggiungibile.
Peraltro, la lezione giapponese nel dopoguerra aveva espresso il principio che la qualità sarebbe stata possibile e perfino necessaria, ma solo se sostenuta da grandi produzioni e, pertanto, dalla più rigorosa organizzazione industriale e commerciale.
Ancora una volta, si dimostravo realistico il messaggio del Bauhaus: paradossalmente, solo i numeri della produzione di massa sarebbero stati in grado di consentire la
maggiore qualità, quando questa si fosse voluta perseguire come obiettivo umanamente accessibile; dunque, il mercato doveva puntare alla massa e orientare i bisogni dei consumatori, abituandoli a pretendere, salvo snobismi comunque inarrestabili, che tale qualità fosse intrinsecamente garantita come parte stessa del processo industriale e dell’evoluzione sociale.
Conquistare quella qualità non fu facile,
a partire dalla necessità di garantire quella
delle immagini prodotte nonostante l’assunzione del nuovo formato “miniatura”: il
35 mm.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Negli anni Trenta la riduzione delle scelte circa il formato della pellicola e le dimensioni dell’immagine negativa appariva decisiva. Infatti, le fotocamere che usavano pellicole a nastro si affermavano progressivamente, in Europa, come valida e comoda scelta rispetto ai più impegnativi apparecchi per
l’uso di pellicole piane o lastre di medio e
grande formato; in America, apparecchi
molto più popolari e semplici di Leica e Contax, come l’Argus A, realizzata in Bakelite,
facevano altrettanto.
Tuttavia, il 35 mm – che pure sembrava
aprire ampie strade alle più disparate attività fotografiche – era in quei momenti al centro di un dubbio, poi destinato a risolversi nel
tempo: se un negativo così ridotto fosse effettivamente in grado di garantire una sufficiente qualità dell’immagine, cosa questa
che restava evidentemente il più importante aspetto da tenere in considerazione per
qualunque possibilità.
Il 35 mm, però, dopo la guerra interpretò una svolta soprattutto per l’emergere di un
nuovo modello di fotocamera: la reflex monobiettivo, la cosiddetta SRL. Questa, effettivamente, era già stata concepita e brevettata da parte dell’architetto tedesco Kurt Staudinger sin dal 1932, anno nel quale la Zeiss
aveva immesso nel mercato la sua prima Contax. L’innovazione tecnica prospettata da Staudinger – nel bel mezzo del braccio di ferro fra
Leica e Contax, che aveva polarizzato ogni attenzione – finì per essere trascurata, almeno
in quel momento. Tuttavia, non molti anni
dopo – e precisamente nel 1938, quando erano già apparse le nuove Contax, la Tenax e
la Nettax, tutte a telemetro – Hubert Nerwin,
che di quella fase di evoluzione tecnica era stato il fondamentale propulsore nella Zeiss, si
propose lo studio di una SLR con prisma pentagonale, come quella del brevetto di Staudinger: era la Syntax (Syn-tesi + Con-tax),
un’altra Zeiss-con-la-X.
Le condizioni imposte dallo scoppio della guerra limitarono in modo decisivo gli sviluppi, poiché tutte le energie dovevano essere
concentrate sulla produzione; tuttavia, la ricerca sulla reflex a pentaprisma non fu ab-
bandonata se, nel bel mezzo del conflitto (era
il 1941), si poté richiedere il brevetto per un
modello di quel tipo, la cui produzione fu riservata al dopoguerra, percepito ancora
come ricco di prospettive. Come ben sappiamo, le cose andarono diversamente: anche se Hubert Nerwin continuò ad avere un
ruolo molto importante nella Zeiss Ikon del
dopoguerra, non fu dalla sua parte che furono ripresi gli studi per la produzione di una
SRL; o almeno non subito, dato che la prima Contax SRL apparve nella Germania Est.
Con gli anni Cinquanta, Zeiss percepì l’urgenza di un’evoluzione tecnologica in grado
di spostare in avanti non solo il livello qualitativo delle realizzazioni industriali, ma le
prospettive stesse della strumentazione fotografica. Ciò fu pensato con particolare riferimento al rilancio del 35 mm in un ambito professionale ormai incline ad assumere
come base la pellicola 120 e il formato quadrato, lasciando progressivamente la pellicola
perforata al settore amatoriale e a quello dei
grandi amanti dell’immediatezza stile Leica,
come Cartier Bresson e altri, presenti e operanti anche come testimonial, ma certamente
meno rilevanti nei settori più commerciali.
Si dovette attraversare ancora un decennio, infatti, perché il progressivo affermarsi della Nikon F nella foto creativa della moda
e, soprattutto, nel reportage di una guerra documentata in tempo reale come avvenne per
quella del Vietnam – come efficacemente rappresentato da Blow Up di Antonioni, e da Full
Metal Jacket di Kubrik o da Apocalypse Now
di Coppola – facesse percepire appieno i vantaggi di un sistema efficiente, affidabile e molto più rapido nell’uso di qualunque altro mai
proposto prima, come appariva ormai essere quello basato su una reflex 35 mm, con
esposimetro e obiettivi intercambiabili. Perfino la NASA, nel documentare i suoi successi
spaziali, non si limitò all’Hasselblad – anche
se questa finì per diventare un’interprete per
eccellenza, e un’icona a sua volta – ma utilizzò i migliori prodotti Nikon e Zeiss, anche
se paradossalmente penalizzati dalle loro ridotte dimensioni, almeno quando nelle mani
guantate degli astronauti.
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Un elemento caratterizzante quel mondo
era l’avvento del colore; forse, perfino, lo stesso eccesso di colore: tutto era colorato nelle
brochure, mentre certo così non era stato nelle pubblicità d’anteguerra. Soprattutto, però,
quell’abbondanza ammiccava al colore reso
possibile per il fotografo: se gli anni Trenta
avevano dato il via alla fotopiccola, all’ingrandimento e alla camera oscura, gli anni
Cinquanta assegnavano alla pellicola 35
mm il compito di tradursi in slide o di veicolare stampe a colori. Tutto questo escludeva
– salvo rare eccezioni – un ruolo dopo lo scatto da parte dei dilettanti, relativamente abbandonati a un’offerta di servizi forse più attenta ai numeri che alla qualità, ma comunque evocata nella comunicazione e affidata all’imponenza dei procedimenti industriali.
L’industria fotografica richiedeva a gran
voce di fotografare tutto, sempre e comunque, e scattare molte foto dello stesso soggetto,
provando diverse inquadrature e pellicole.
Una politica che avrebbe gonfiato i profitti
per qualche decennio, ma che avrebbe poi
spazzato via tutto, aprendo la strada al digitale e alla sua caratteristica immaterialità
e volatilità, lasciando – di tutto quel massiccio
fotografare – cassetti colmi di piccole stampe di pessima qualità, dai colori resi improbabili dal progressivo e inarrestabile decadimento fisico e chimico. Paradossalmente,
la negazione della storia della fotografia di
qualità, con tutte le sue migliorie post belliche, e un assist poderoso alla cultura dell’immagine usa e getta.
Inoltre, la fine degli anni Cinquanta vedeva compiersi il destino delle macchine 35
mm a telemetro, con la sola esclusione della Leica, che nella storia di qual tipo di macchina continuò a mantenere un ruolo particolare: Leitz, infatti, si limitò ad aprire un canale parallelo per la Leicaflex e la futura linea “R”, mentre un po’ tutti gli altri produttori decidevano d’abbandonare il settore delle rangefinder. Fra questi, la Zeiss, che
chiuse nel 1959 la produzione delle Contax,
pur continuando a tenerla a listino per
qualche tempo, e la Nikon, che abbandonò
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quella delle sue “tipo S”, salvo riproporre in
seguito un ultimo modello definito S3 Olympic, dedicato appunto alle Olimpiadi di Tokyo del 1964.
Indicativo appare il fatto che, mentre la
Zeiss e la Nikon facevano tale scelta – producendo e commercializzando ottime fotocamere come quelle citate, ma non traendone
soddisfazioni commerciali sufficienti a tenerle
in vita negli anni Sessanta – la Leitz aveva,
di fatto, realizzato il passaggio di consegne
fra i suoi modelli con attacco a vite e quelli
con la nuova baionetta. Contemporanea
della Contaflex fu così la Leica M3: una splendida macchina, le cui innovazioni non sfioravano neanche da lontano quelle introdotte dalla piccola reflex Zeiss, ma che aveva dalla sua un mercato – quello delle rangefinder
d’alta qualità – destinato a restare sostanzialmente nelle mani della sola casa di Wetzlar nonostante i successivi travagli di quest’ultima.
Nel campo delle reflex con otturatore a
tendina, il decennio degli anni Cinquanta aveva esposto un quadro abbastanza confuso. Infatti, accanto all’italiana Rectaflex – nata per
essere un prodotto innovativo, d’alto livello
sia sotto il profilo funzionale che costruttivo, ma limitata da problemi aziendali – restavano in campo solo le tedesche orientali,
eredi delle nobili tradizioni di Dresden, ma
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
allora emarginate da un mercato molto
orientato dalle politiche commerciali americane, poco inclini a cedimenti verso quanto provenisse d’oltre cortina. Ciò indusse a
sottostimare qualitativamente la Contax S,
e a relegare la storica Exakta Ihagee in una
sorta di limbo.
Negli ultimi anni Cinquanta, le esigenze determinate dalla domanda di più alto profilo
avevano invece trovato risposta in una maggiore complessità dell’offerta, riassunta però
in un punto fermo: il sistema. La qualità non
poteva essere una discriminante: essa doveva esserci, ed essere totale; ma tale qualità non
poteva restare attributo di un apparecchio o
di un marchio, per quanto importante potesse
essere: essa doveva comprendere l’estensione
alla più piccola parte col contributo della quale fosse possibile soddisfare ogni esigenza funzionale immediata o potenziale. Tale sistema,
a sua volta, non poteva che costituire il mezzo stesso per la crescita modulare di qualcosa che divenisse via via sempre meno identificabile in un modello, e sempre più in una famiglia – talvolta in una dinastia – di corpi, di
obiettivi e di accessori.
Di tale evoluzione, negli anni Sessanta furono interpreti la Zeiss con la Contarex, e la
Nikon con la sua “F”. Con gli anni Settanta, il quadro cambiò ancora.
Ancora prima di arrivare alle EOS, la vera
scala per i vertici del mercato, la Canon diede una forte scossa allo stesso, puntando direttamente a fare concorrenza alla Nikon, ormai quasi senza rivali sulla scena professionale, specie dopo l’abbandono da parte di
Zeiss. Nel 1972, infatti, la Canon immetteva
sul mercato la sua prima professionale a sistema; il nome era quello già dato dalla concorrente più diretta: “F”, al quale si aggiungeva – tanto per aumentare la confusione,
poiché la Nikon stava commercializzando la
sua “F2” – la ben augurante cifra da sempre espressione di un inizio o di un primato, il numero “1”. Così, la Nikon continuò la
serie fino alla F6, ma non fece mai una F1:
ci pensò la Canon. Quest’ultima, alla quale
era evidentemente piaciuto quel magico richiamo, ribadì il peso della sua presenza tec-
nica e commerciale con il varo della A1: una
macchina semiprofessionale ad alte prestazioni, destinata a precedere nell’uso esteso dell’elettronica la nuova Nikon F3, che qualche
anno dopo si sarebbe sostituita alla Nikon F2,
che era stata più simile alla Nikon F soprattutto nelle caratteristiche generali del sistema esposimetrico, ancora basato sul principio modulare rappresentato dal Photomic.
La F3 fu studiata con particolare attenzione all’aspetto estetico ed ergonomico;
per meglio approfondire quei temi, la Nikon
ritenne di avvalersi delle capacità di Giorgetto
Giugiaro, un valente specialista italiano al
quale avrebbe da allora attribuito un ruolo
importante nel processo evolutivo delle sue
produzioni, sposandone una filosofia abbastanza riconoscibile anche formalmente:
una firma percettibile.
Un simile fiore all’occhiello – con l’esplicito riconoscimento delle qualità espressive
del design europeo – aveva marcato la Contax orientale, prodotta dalla Yashica dopo
l’abbandono della produzione di fotocamere da parte della Zeiss Ikon. Tale fotocamera, infatti, non solo aveva potuto avvalersi del
know-how della casa tedesca – compreso il
nuovo trattamento T* degli obiettivi tradizionali Zeiss che le erano stati resi disponibili come punto di forza e a supporto del
nome – ma aveva potuto godere di un notevole apporto di qualità e di immagine derivante dal progetto formale prodotto dal
settore design della Porsche.
Per tutto quanto si è detto, appare abbastanza chiaro come la forma del corpo macchina abbia risentito fortemente dei passaggi
rappresentati. Per arrivare ai giorni nostri,
possiamo facilmente dire che le grandi impugnature attuali, che confermano l’utilità
d’avere una solida presa con la mano destra,
non sarebbero possibili – almeno in tali esasperate proporzioni – se fosse ancora necessario il caricamento con la leva rapida. Se osserviamo, infatti, la Nikon F3 – in pratica l’ultima macchina di quella marca nella quale
il caricamento fosse ancora manuale, in assenza di motore – possiamo renderci conto
di come il designer Giugiaro abbia solo
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agevolato la presa da parte della mano, inserendo nel corpo
macchina un modesto rigonfiamento, ben diverso da quanto successivamente realizzato soprattutto a partire dalla F5,
per continuare con le digitali professionali. Le impugnature più recenti, infatti, impongono – o agevolano, se si preferisce – una torsione del polso in avanti. Questa impedisce al pollice d’esercitare la rotazione possente
di una volta, e induce la punta delle dita ad
assumere una posizione più perpendicolare al corpo macchina che parallela a
questo, com’era invece su tutte le Zeiss,
e com’è tuttora sulla Leica digitale, che
continua a mantenere un assetto ergonomico quasi identico a quello previsto da Barnack: noblesse oblige,
per una Leica a forma di Leica.
La forma caratteristica degli
oggetti prodotti dall’uomo, in
generale, ha subito evoluzioni
importanti nel tempo. Le ragioni
sono state diverse: oltre al gusto,
l’introduzione di nuovi materiali
mandi stessi, dato che quee, soprattutto, di nuovi bisogni,
sti erano comunque governati da
funzioni e tecnologie.
impulsi digitali. Per essere più chiari:
Con la discesa dell’Uomo sulla Luna nel l’astronauta si trovò a gestire – e ne andava
1969 è avvenuta, oltre alla conquista scien- della vita – i primi comandi analogico/digitifica e politica, un’altra cosa straordinaria- tali concretamente usati nella storia, almemente importante; eppure questa è sfuggita no con tale livello di complessità, e realizzava
ai più. Non è colpa della Luna, naturalmente, ciò che oggi avviene comunemente, senza che
o della stessa gara spaziale e della necessa- neppure ce ne rendiamo conto. Si era interria segretazione di molti importanti dettagli rotto il comando meccanico delle funzioni –
che l’hanno riguardata; e non ha colpa nep- ma perfino quello semplicemente servo aspure la NASA, che ha certamente contribui- sistito e a distanza, come quelli pneumatici,
to a sviluppare e diffondere molti eventi tec- idraulici, elettrici o misti – per far posto a conologici innovativi, talvolta anche con qual- mandi digitali e logici.
che squillo di tromba e importanti ritorni ecoCon la rottura del paradigma di causa ed
nomici e d’immagine. Quella cosa importante, effetto analogici, a un impulso non corrimolto importante, non era allora facilmen- spondeva pertanto un mero evento fisico, ma
te interpretabile nelle implicazioni, che han- un complesso segnale logico: così il grande
no richiesto del tempo per essere percepite balzo per l’Umanità rappresentato dall’alnella loro reale misura: tutto qui.
lunaggio diventava ancora più imponente, ma
Quando il modulo lunare si avvicinò alla pressoché invisibile, senza che una traccia sulsuperficie della Luna, i computer avrebbe- la polvere lo rimarcasse.
ro dovuto governare discesa e allunaggio; per
Al tempo stesso la forma, nel cercare la
un malfunzionamento del sistema, ciò non fu funzione, scopriva che questa si era smatepossibile, e il pilota dovette assumere il co- rializzata, diventando, da percettibile aziomando, integrando in modo interattivo l’at- ne e reazione com’era stata, codifica e detività del computer. Computer il quale, pe- codifica di un segnale sostanzialmente imraltro, controllava contemporaneamente i co- materiale.
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Negli smartphone, dove strumenti di
output e input coincidono, la cosa raggiunge ormai l’ultimo livello prima della smaterializzazione totale, e non lascia alcuno spazio al rapporto forma/funzione, ormai morto e sepolto salvo sporadici casi di rancidi comandi metaforici. L’estrema resipiscenza è costituita da un certo numero di accessori – nei
quali forma e funzione sembrano riapparire – quali tastiere aggiuntive su scala umana, auricolari, teleobiettivi ottici, docking station, astucci vari, catenelle da polso e da collo, e chi più ne ha più ne metta, in generale con la percettibile mediazione del corpo
umano e dei suoi naturali moduli antropometrici. Naturalmente, ognuna di queste cose,
ritrovando una forma – anche se spesso inadeguata – concorre a creare formalmente il
sistema molto più di quanto non avesse fatto lo stesso cellulare “base”.
Ai tempi delle Leica e delle Contax,
quando nascevano i rispettivi sistemi, alcune regole sembravano essere state applicate
appieno: le cose erano dove e come dovevano essere, e assomigliavano perfettamente a
come ci si aspettava che dovessero apparire (dopo
averle viste). Non
che non ci fosse
un’esplosione evolutiva quasi biologica, con specie
in continua effervescenza e possibili binari morti;
ma tanta tensione
al cambiamento
esaltava le percettibili cause dello stesso, senza
negare le ragioni
del modello precedente, ma anzi
rimarcandone le
qualità preconizzatrici e l’illuminante coerenza
del processo evolutivo. Così, le Leica erano fatte a forma di
Leica, e le Zeiss (giacché erano diverse) a forma di Zeiss; il tutto davvero in modo assai
verisimile e, in fondo, poetico, aristotelicamente parlando.
Che dire, in conclusione?
Forse che la saga del 35 mm, durata almeno settantacinque anni, non è mai finita.
Non casualmente, infatti, la fotografia professionale si avvale ancora, quasi miracolosamente, di apparecchi straordinariamente
simili – anche se digitali – a quelli che possono considerarsi come il limite estremo delle macchine per pellicola. Allo stesso modo,
la dimensione dei sensori e la focale degli
obiettivi assegnano ancora al “24 x 36”
un’attualità straordinaria. Fra mille cambiamenti, infine, dietro il mirino c’è ancora
un occhio umano, connesso – sempre che voglia – a un cervello. Analogico, probabilmente,
con qualche sfumatura digitale.
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Un piccolo segreto?
Si è concluso
un anno splendido
Paolo Ritossa
i chiude uno splendido anno rotariano
e la nostra bella rivista, fresca di stampa, sarà certamente ricolma di lodi e riconoscimenti per l’operato del nostro Presidente e del suo staff.
Francesco Birocchi è stato esemplare
nella sua saggia sobrietà e affabilità, con la
quale ha proposto belle e forti iniziative, e nella sua capacità di coinvolgere, in un clima di
amabile cordialità, soci e personalità esterne in dotte e interessanti relazioni.
D’altra parte i nuovi soci, tutti di grande attendibilità professionale, hanno già manifestato
la loro propensione ad una più che amichevole
integrazione all’interno di un Club che li ha accolti con calore. Francesco ha lanciato anche
all’esterno un forte segnale di vitalità di cui ospiti e relatori hanno dato ampia conferma.
Nessuna paura quindi che il Club possa
aver intrapreso una deriva verso la sua decadenza ma, anzi, la constatazione che oggi
possa sostenere, a buon diritto, il confronto
con i più illuminati e fecondi periodi della sua
storia. D’altronde non è solamente la presenza
di grandi nomi a formare un buon club ma
occorre sempre una
giusta composizione
di donne ed uomini,
anziani e giovani,
personaggi illustri
o più modesti, sempre coesi nel perseguire gli obiettivi
del Rotary.
Una buona percentuale di nonni è
sempre garanzia di
saggezza e bontà.
S
È questa l’immagine che si può avere ponendosi per un attimo al tavolo della presidenza, guardare verso la sala e percepire non
solo una composita e qualificata rappresentanza della nostra società ma anche donne ed
uomini sorridenti e attenti, disposti a condividere gioie e dispiaceri, decisi a perseguire
gli obiettivi del servizio verso i più bisognosi in un clima di sincera amicizia.
Paul Harris nel fondare il primo club scelse come compagni un commerciante di carbone, illuminato nel condurre la sua attività, il fondatore di una società commerciale,
pare di cultura limitata, un sarto ed uno stampatore. Uomini di diversa estrazione, professione, religione ed opinioni politiche che
si riunivano nel segno dell’amicizia.
Ora io, semplice sarto nel nostro Rotary,
mi accorgo, veramente e sinceramente, della mia modestia nel confrontarmi con le grandi persone del club, ma allo stesso tempo, so
di godere della loro amicizia e sono felice di
poter dar loro la mia. E questo è per me, il
sentirmi cioè tra amici sinceri, fonte di
grande serenità e
di determinazione
nel condividere il
mio tempo e gli
obiettivi comuni.
Che sia nel saper creare questo
stato d’animo il
piccolo segreto di
un grande club?
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La fotografa giramondo
Daniela Zedda
M. M.
o iniziato a fotografare perché
non sapevo disegnare... Allora
le macchine erano solo analogiche e le stampe si facevano in camera oscura. Ancora oggi, nell’adoperare le digitali, conservo lo stesso approccio rigoroso. Non ho mai
letto un manuale di fotografia. Ho sempre
pensato che la fotografia non riproduce la realtà, ma ne rappresenta uno dei possibili significati. Non si tratta di cogliere l’attimo, ma
di elaborare il pensiero che conduce allo scatto, ed è l’istinto a scegliere l’attimo...».
In questi pochi concetti – enunciati nella sua conversazione in una interessantissima riunione del Club nel febbraio scorso –
si racchiude la movimentata professione di
Daniela Zedda, fotografa d’arte e di spettacolo, ritrattista, giornalista, giramondo.
Quando studiava al liceo scientifico era determinata a diventare architetto, ma nel diciottesimo compleanno le venne regalato un
oggetto che – ancora non lo sapeva – avrebbe condizionato l’intera sua vita. Si trovò ad
armeggiare con una macchina fotografica
Pentax K1000 reflex, tutta manuale.
Andò a frequentare l’Istituto superiore di
educazione fisica, ma quella Pentax l’allontanava dalla prospettiva di insegnare ginnastica nelle scuole. Cominciò a scoprire suggestive inquadrature di spettacoli musicali,
dal Festival del jazz agli eventi dell’Estate cagliaritana; era corteggiata, non c’era chi non
le chiedesse uno scatto d’obiettivo. Un bravo giornalista della RaiTv le propose di collaborare con la rivista culturale Altair, poi le
si concretizzò uno stipendio da parte de L’Altro Giornale, quotidiano cagliaritano che però
ebbe brevissima vita. Ormai era conosciuta,
«H
e come fotoreporter free-lance cominciò a lavorare per L’Unione Sarda; ma a lei non piaceva la fotografia su strada, e del resto era
chiaro che la sua vera potenza espressiva si
manifestasse nello scenario dello spettacolo:
dal rock alla lirica, dalla chitarra elettrica al
pianoforte a coda, non c’è artista che non sia
stato fermato dal suo obiettivo; né è ormai
possibile contare le immagini degli attori colte sui palcoscenici teatrali della Sardegna.
Daniela Zedda non ha raccontato tutto
questo ai soci del Rc Cagliari: ha preferito rivelare l’anima della sua professione. L’ha fatto con convinzione, passione e parole semplici, lasciandosi capire anche nelle parti più
tecniche. Era stata invitata soprattutto sull’eco di un suo successo di qualche mese prima: la pubblicazione di un volume di sue inedite fotografie che ha riscosso grande favore di pubblico e ha dato spunto ad una frequentatissima mostra di pannelli fotografici. S’intitola Aldiladelmare e presenta 88 ritratti di personaggi sardi – alcuni noti, altri
del tutto sconosciuti – che hanno portato il
proprio ingegno nel continente: al di là del
mare, appunto. Una pubblicazione molto diversa da quella, non meno affascinante, edita nel 2006 (Solitude, personaggi del jazz colti all’opera, tutto in bianco e nero).
Non è stato facile realizzare questo libro
di indubbia qualità: assieme alla giornalista
Maria Paola Masala (autrice dei testi), la fotografa cagliaritana è andata in giro per l’Italia e per l’Europa nella ricerca di figure significative. Ci son voluti quasi due anni. Ha
spiegato: «Il libro è pensato per “raccontare” la capacità dei sardi di integrarsi in qualsiasi contesto e situazione, di farsi valere e di-
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mostrare che siamo persone serie, rigorose,
stimabili e stimate. Caratteristiche tutt’altro
che stereotipate e che in Sardegna non vengono riconosciute. Ho cercato di mettere in
risalto le personalità individuali e collocarle in relazione con i luoghi dove vivono. Il loro
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pensiero sardo non è il nuraghe ma il mare;
e al di là del mare è la loro condizione attuale
di vita». Del resto, la casa è dove si sta bene,
anche se la testa è fra le coste isolane.
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Una figura scomparsa
Su bandidori
Mariangela Zedda
er secoli il “giornale del mattino” era
il bando pubblico: una persona fornita di buona voce comunicava sulle strade ciò che poteva interessare la comunità.
L’incaricato di urlare le informazioni sulle
strade era il “banditore”, anticamente (ma
anche in tempi recenti) definito anche “gridatore” perché doveva gridare; infatti nel medioevo gli ordini dei governanti rivolti alla popolazione si chiamavano “grida”. Anche le
condanne all’esilio venivano proclamate con
il bando, perché la gente sapesse chi era considerato fuori della legge e non poteva rimanere nella comunità; un uomo “messo al
bando” era quindi un “bandito”. In Sardegna, fino alla metà del secolo scorso, “su bandidòri” era chiamato anche “su gridadòri”.
Chi svolgeva questa attività era in genere un uomo privo di risorse o inabile al lavoro, la cui unica occupazione consisteva appunto nel far conoscere alla gente le disposizioni di chi amministrava il Comune. Era
importante che il banditore fosse persona onesta, e soprattutto avesse non solo forte voce
ma anche buona memoria; non sapendo leggere né scrivere, doveva ricordare bene quel
che aveva da dire, per non divulgare informazioni sbagliate. Armato di una trombetta (ma prima fornito di tamburo, o di un corno di bue) percorreva le strade del paese, lanciava alcuni squilli e cominciava a urlare: «Si
’èttat custu bandu...». L’amministrazione civica gli dava un limitato compenso mensile:
tanto insufficiente che, a un certo punto, su
bandidori cominciò ad arrangiarsi come
“libero professionista”, aggiungendo alle
comunicazioni ufficiali tutta una serie di piccole notizie di carattere privato commissio-
P
nategli dai compaesani commercianti. Così,
dopo avere inaugurato l’era della comunicazione pubblica, il banditore è stato anche
il primo pubblicitario.
Il lavoro del banditore è stato utile sino agli
anni Cinquanta del Novecento; poi il progredire dell’alfabetizzazione e dei sempre più
moderni mezzi di comunicazione (i fogli
stampati, i ciclostilati, l’altoparlante, la radio) ha mandato definitivamente in archivio
lo storico uomo con la trombetta. Dopo decenni dalla scomparsa, la sua figura è ancora
viva nella memoria delle persone meno giovani.
Di questo ancestrale professionista dell’informazione pubblica si è parlato pochi
mesi fa nel nostro club rotariano: su proposta del presidente Birocchi, mio marito
(Mauro Manunza) ed io abbiamo presentato un documentario dal titolo “Sulle strade
di su bandidori”. Poi mi è stato chiesto dal
pdg Artizzu di spiegare su questa rivista semestrale il contenuto e l’origine del docufilm.
Il dvd fu realizzato quattro anni fa attraverso una faticosa gestazione. In quell’anno
scolastico (insegno materie letterarie nella
scuola media di Sinnai, il mio paese) avevo
incaricato i miei allievi di svolgere una ricerca
appunto sulla figura banditore, e il risultato era stato incoraggiante: un volumetto ricco di storia locale, informazioni, interviste alle
persone anziane. Fu quell’esperienza a fornirci l’idea di un’indagine più approfondita
e matura.
Mauro, giornalista, mise in campo la sua
professione e insieme cercammo e ottenemmo notizie, qualche vecchio filmato e immagini d’ambiente, documenti d’archivio, te-
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stimonianze, interviste. Praticamente impossibile trovare fotografie: ne procurammo
solo un paio. Ma avevamo una carta importante da giocare: si trattava di Antonino Grifagno, ex forestale, nipote di uno degli ultimi banditori sinnaesi, che quand’era bambino
accompagnava il nonno cieco (Amadeddu
Gulleri, poeta dialettale, maestro di cantadas
estemporanee) lungo il percorso urbano.
Ed è stato Antonino, custode geloso dell’autentica trombetta di ottone che per anni
aveva accompagnato su gridadori sino alla
metà dei Cinquanta, a farsi protagonista del
documentario: grazie a lui è stata possibile
una fedele ricostruzione del lungo itinerario
e di quel che avveniva dopo i tre squilli di richiamo. La gente si fermava, le massaie uscivano di casa, qualcuno chiedeva precisazioni che difficilmente su bandidori era in grado di fornire. Così tutti venivano a conoscenza
non solo delle informazioni comunali ma anche delle comunicazioni “pubblicitarie” di ortolani, fruttivendoli, bottegai vari, vendito-
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ri di carne e di pesce. «Oi si ’èttat custa grida... Anti pottàu pisci friscu de Casteddu,
giarrèttus, sardina, conch’e pischèra, pisc’e
cassòla, tottu bellu friscu...». I negozianti erano soddisfatti e ricompensavano il banditore prevalentemente con generi alimentari della propria bottega: c’era chi gli dava unu soddu, chi 50 centesimi, chi tres arriàlis, chi un
paio di giarrètus rimasti invenduti, o resti di
carne, un pezzo di formaggio, un po’ di pasta, frutta. I gridadoris arrotondavano il compenso anche portando le notizie a domicilio.
«Ita c’esti?». «Est’arribàu su pisci friscu anch’e Assunta ’e su pisci: bai immòi, poìta si
spàcciara». Dalle case delle persone benestanti non usciva senza niente in mano: una
bottiglia di vino, una pagnotta, legumi.
Certo, il banditore doveva avere una
buona memoria. Non poteva sbagliare. C’è a
Sinnai una pagina di storia che ricorda un clamoroso e drammatico episodio. Avvenne nel
gennaio del 1793, quando la flotta francese era
in rada per tentare la conquista di Cagliari.
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Il Viceré piemontese pubblicò disposizioni anti-francesi e subito anche le autorità sinnaesi ne disposero la diffusione. In
quel momento in paese mancava il banditore e venne incaricato il gridatore di Selargius, che – lasciando tutti esterrefatti – proclamò un bando anti-piemontese. Al suono del tamburo, infatti, andava dicendo in sostanza che il viceré si era
accordato con i francesi; e che chiunque lo dichiarasse avrebbe avuto in premio cinquecento scudi. Nel paese ci fu una
grande confusione che ebbe immediati riflessi a Cagliari. Il
banditore selargino fu arrestato e condannato alla galera per
tutta la vita. Fu torturato perché rivelasse i nomi di eventuali
complici. Non si è mai capito se il poveretto avesse capito male
il messaggio o si fosse espresso malamente nella traduzione
dall’italiano al sardo; se fosse un pasticcione o un impudente
spiritoso; o se invece fosse un rivoluzionario come tanti altri che facevano propaganda anti-Savoia in quel periodo (proprio a Sinnai non mancavano i cospiratori contro i piemontesi, che di lì a poco sarebbero stati scacciati da Cagliari nel
giorno ricordato come Sa die de sa Sardigna). Negli anni successivi all’ultima guerra i bandidoris pian piano cedettero il
passo alle nuove forme di comunicazione di massa. Nella maggior parte dei paesi sardi vennero sostituiti da un altoparlante
che dava le notizie dall’alto del campanile (accadeva anche
che le campane suonassero
atrupelliàras, a storno, quando c’era un incendio vicino all’abitato, e la gente doveva
correre ad aiutare a spegnere le fiamme). Col tempo
l’analfabetismo si ridusse e le
“gride” cominciarono a trovar posto nelle bacheche del
Municipio. Arrivò il telefono,
si ascoltava la radio, si leggevano i giornali. Giunse il
momento della televisione, e
via via si sono succeduti sempre nuovi ed efficaci mezzi
d’informazione sociale. Poi la
rete globale di Internet ha rivoluzionato l’interscambio di
rapporti personali e collettivi.
La vecchia trombetta di su
gridadori sembra uno strumento antidiluviano, e per
fortuna c’è Antonino che può
ancora mostrare lo strumento storico del nonno.
Ringraziamo Antonino per
il suo ruolo di autentico primattore; e anche Italo Orrù
(fotografo e documentarista
che opera anche per il nostro
Club) per le riprese della ricostruzione filmata, l’attore
Simeone Latini per avere
prestato la sua bella voce al
documentario; il chitarrista
Luca Tiddia per l’accompagnamento musicale molto
“sardo”. E ringraziamo i sinnaesi per l’aiuto e l’entusiasmo con cui hanno accolto il
documentario nel teatro di
Sinnai quattro anni fa. E –
ovviamente – ringraziamo i
soci del Club pazientemente
presenti alla serata rotariana
del 20 marzo scorso.
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Rotary Club Cagliari
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La sperimentazione terapeutica con le cellule staminali
Emotività e razionalità:
il caso Stamina
Carlo Carcassi
a “terapia” Stamina nota anche come
metodo Stamina, è una discussa alternativa a trattamenti medici regolarmente autorizzati e registrati, inventata da
un ex professore italiano di psicologia presso l’Università degli Studi di Udine, Davide
Vannoni, fondatore e presidente della Stamina
Foundation, un’organizzazione
no-profit creata nel 2009, e
proprietario di una società di ricerche di
mercato.
Questa “terapia”, finalizzata principalmente a malattie neurodegenerative, sarebbe basata sulla
conversione delle
cellule staminali mesenchimali in neuroni
ed è tutt’ora tenuta segreta dai suoi promotori e priva di
validazione scientifica capace di dimostrare
una qualsiasi efficacia terapeutica. Non
sembra, inoltre, che Vannoni abbia mai
pubblicato alcun articolo sulla terapia Stamina su riviste scientifiche sottoponendo in
tal modo la sua “terapia” alla comune valutazione internazionale tra esperti.
Nel mondo sono oltre 500 le strutture in
cui è possibile sottoporsi a trattamenti con staminali, non validati da nessuna sperimentazione clinica. Un business veicolato attraverso siti web e strategie pubblicitarie spesso ingannevoli e che in alcune nazioni è finito sotto indagine della magistratura.
L
Il metodo Stamina è sotto i riflettori dei media, dopo una trasmissione del popolare programma televisivo italiano Le Iene, andato in
onda nel febbraio 2013, che mostra alcuni bambini con varie malattie neuro-degenerative. Viene sostenuto che l’infusione di cellule staminali avrebbe portato a miglioramenti rilevanti
in poche settimane, e viene suggerito, senza alcuna prova, che
possa modificare il decorso fatale. Il programma televisivo è
accusato da molti di disinformazione scientifica.
Il Governo italiano nel maggio del 2013 ha
deciso di iniziare
a testare la terapia
Stamina, dopo forti
pressioni da parte dei
media e delle sempre più
insistenti manifestazioni di piazza pro-Stamina, tra le forti proteste della comunità scientifica italiana e internazionale.
Il metodo proposto comprende la conversione di cellule staminali mesenchimali
(cellule normalmente destinate alla generazione di ossa e tessuto adiposo) in neuroni,
dopo una breve esposizione ad acido retinoico
diluito in etanolo.
La terapia consiste nel rimuovere le cellule dal midollo osseo di pazienti, la loro manipolazione in vitro e infine la reinfusione nei
pazienti stessi.
Vannoni ha ripetutamente rifiutato di rivelare i dettagli del suo metodo perché inclusi
50
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
nella sua domanda di brevetto, non ha mai
prodotto prove scientifiche sull’efficacia del
metodo, ma ha sempre sostenuto la sua validità. Questi presunti benefici sono evidenziati da video multipli, spesso auto-prodotti, alcuni dei quali sono stati trasmessi in televisione, riguardanti prevalentemente i
bambini. Dalle indagini della Procura di Torino (che ha sentito diversi esperti in materia), i benefici mostrati nei video non sono
stati misurati scientificamente e oggettivamente, ma sono il risultato di esagerazioni o terapie adiuvanti
alle quali sono stati sottoposti
questi bambini.
Tra il 2007 e il 2009 la “terapia” comincia ad essere
somministrata a pazienti senza alcun controllo o
autorizzazione da parte
del sistema sanitario nazionale, mentre è pubblicizzato in diversi ospedali da volantini che proclamavano «più di mille
casi trattati, un recupero dei danni del 70-100%,
una serie di venti malattie trattate», e da un video che mostra una presunta guarigione miracolosa ottenuta con le
cellule staminali. In questo lasso di tempo, 68 persone (tre erano minorenni) sono state sottoposte al presunto trattamento; quattordici di
loro hanno effettuato pagamenti da 4.000 a
55.000 euro.
Nel 2009 il magistrato Raffaele Guariniello
ha avviato un’indagine dopo un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. L’indagine mirava a chiarire la posizione Vannoni sull’impiego di cellule staminali di fuori dei protocolli sperimentali previsti dalla legge. Alla
fine del 2009, numerosi articoli di giornale
sono apparsi sulla stampa sulle attività di Davide Vannoni. La stampa riferisce che Vannoni ha promesso il suo trattamento per molte malattie neurodegenerative, ricevendo i pa-
gamenti che vanno da 20.000 a 50.000
euro, con metodi poco chiari e danni che a
volte hanno procurato conseguenze indesiderate. L’inchiesta di Guariniello coinvolge
anche il centro di bellezza di San Marino, che
non è autorizzato a trattamenti medici.
Brescia è una tappa importante in questa
storia: grazie al pediatra Marino Andolina,
un collaboratore di Vannoni e ora vice-presidente della Stamina Foundation, la terapia
Stamina è stata praticata, pur senza autorizzazione ministeriale, come
accesso allargato negli Ospedali Civili di Brescia, importante ospedale generale italiano, su pazienti (compresi diversi
bambini) affetti da
gravi malattie neurodegenerative.
Nei primi mesi
del 2012, il Gruppo
dei Carabinieri AntiSofisticazione e
l’Agenzia Italiana
del Farmaco hanno
iniziato un controllo presso gli Ospedali Civili di Brescia che ha rivelato
la non conformità
ai requisiti di sicurezza e d’igiene e mancanza di documenti richiesti dalla legge.
È stato constatato che le preparazioni di cellule non contengono quantità rilevanti di cellule staminali mesenchimali, e che non erano in grado di differenziarsi in neuroni, e contenevano una notevole quantità di inquinanti
pericolosi. Secondo l’analisi delle cartelle cliniche di 36 pazienti, non vi era alcun miglioramento nei pazienti, tranne che in tre casi
(due figli minorenni e un adulto), ma solo sulla base di valutazioni soggettive. Dopo questo intervento, il trattamento Stamina effettuato presso l’ospedale di Brescia è stato sospeso.
Il caso Stamina, diventato sia mediatico
che scientifico, viene analizzato e criticato,
giugno 2014 —
tra gli altri, dall’Accademia dei Lincei, dalla rivista scientifica Nature e dall’Agenzia Europea per i Medicinali. Nel maggio 2013, tredici scienziati pubblicano sul EMBO Journal
(una importante rivista scientifica competente
in materia) un’analisi critica del metodo, mettendo in evidenza le loro preoccupazioni circa l’inconsistenza di prove scientifiche, le carenze metodologiche e la mancanza di pubblicazioni. Il Premio Nobel per la Medicina
2012 Shinya Yamanaka ha pubblicato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per
l’autorizzazione alla sperimentazione da
parte delle autorità italiane di un metodo del
quale non è conosciuta la sicurezza e senza
alcuna prova di efficacia.
Nel maggio 2013 il governo italiano ha approvato all’unanimità l’avvio di una sperimentazione clinica del metodo sviluppato da
Vannoni, anche assegnando 3 milioni di
euro per gli anni 2013-2014, e ha identificato due strutture sanitarie in Abruzzo e in Sicilia, dove l’inizio del trattamento è stato autorizzato.
L’11 luglio 2013, la rivista scientifica Nature ha pubblicato un editoriale nel quale
chiede al governo italiano di non procedere
con la sperimentazione, in quanto questa non
è giustificata da alcuna ragione scientifica,
definendo Vannoni come «psicologo tra-
Rotary Club Cagliari
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sformato in imprenditore dottore», mentre definisce la terapia Stamina come «basata su
dati falsi».
Nel 2013 il premio Nobel per la Medicina
Randy Schekman è stato citato da alcune famiglie pro-stamina come un sostenitore della terapia; il ricercatore aveva pubblicato un
articolo critico delle politiche editoriali delle principali riviste scientifiche e ha fermamente negato di sostenere Stamina, definendo
Vannoni un ciarlatano.
Nel luglio 2013 Vannoni ha registrato il
marchio Stamina, nonostante la sua Fondazione Stamina sia stata dichiarata come
«organizzazione senza scopo di lucro». È importante notare che la Stamina Foundation
non è ufficialmente registrata in Italia come
organizzazione senza scopo di lucro, nello
stesso periodo, Stamina Foundation ha firmato per 2 milioni di euro un accordo commerciale con Medestea Biotech, una società
farmaceutica multinazionale interessata al business delle cellule staminali.
Nel mese di settembre 2013, il comitato
scientifico istituito dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha elaborato una relazione consultiva, secondo cui il metodo non
avrebbe alcuna coerenza scientifica; il rapporto ha anche evidenziato un elevato rischio
di trasmissione di malattie come l’AIDS e la
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
BSE (morbo della mucca pazza). Il Ministero
della Salute, il 10 ottobre 2013 respinge definitivamente terapia Stamina come «pericoloso per la salute dei pazienti».
Nella relazione del ministero è anche chiaro che le dosi di cellule staminali mesenchimali nel protocollo di Vannoni sono minime
«adatte per i topi, non per gli esseri umani».
Sarebbe stato anche scoperto che il protocollo
consegnato agli Ospedali Civili di Brescia sarebbe diverso da quello consegnato al ministero.
Nel gennaio 2014 il personale medico degli Ospedali Civili di Brescia ha ufficialmente
dichiarato che la terapia Stamina non è più
praticata in ospedale.
Nel febbraio 2014 Vannoni è stato accusato di tentata truffa alla Regione Piemonte, per la richiesta di un prestito di 500.000
euro, per un laboratorio sulle cellule staminali.
Vannoni ha ripetutamente affermato che
le cure mediche fornite dal suo metodo
sono «assolutamente gratuite», e che i soldi
che ha ricevuto sarebbero «donazioni». Parecchi ex-pazienti, o parenti di ex pazienti,
hanno sostenuto che esiste un preciso listino prezzi.
I sospetti sono stati sollevati dallo stile di
vita di Vannoni, che possiede una Porsche 911
Sito internet del club:
E-mail del club:
registrata in Svizzera e vive in una villa di lusso nei pressi di Torino.
Considerazioni personali:
Come italiani abbiamo fatto una pessima
figura a livello internazionale con perdita di
credibilità e affidabilità, alquanto minata negli ultimi anni. Abbiamo la memoria corta in
quanto erano note vicende precedenti su “terapie miracolose” come l’utilizzo del “Siero
Bonifacio” nel 1969 e il Metodo Di Bella tra
il 1999 e il 2005, entrambe dimostratesi non
solo inefficaci ma potenzialmente nocive o interferenti nei confronti di terapie riconosciute
efficaci dalla comunità scientifica internazionale e dal Ministero della Salute.
Temi riguardanti la salute, soprattutto se
riguardano patologie per le quali non esiste
una terapia ufficiale efficace andrebbero meglio gestiti dal sistema sanitario, dalla Magistratura Ordinaria e Amministrativa e dai
media.
L’aspetto più grave e triste di questa vicenda risiede nel fatto che la “terapia” proposta da Stamina Foundation ha generato
false aspettative e ha alimentato speranze in
genitori, mariti e mogli alla ricerca disperata
di una terapia per delle patologie per le quali, oggi, non esiste una terapia valida.
■
www.rotarycagliari.org
[email protected]
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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Un medico cagliaritano volontario in Africa
Missione sanitaria
in Togo
Giovanni Peretti
n un Paese in cui la vegetazione è ricca di
ottima frutta, il mare è ricco di pesci saporiti ed il sottosuolo è ricco di fosfati, la
gente è estremamente povera.
Vediamo la povertà scolpita sul viso de
bambini che giocano per le strade o nei cortili e delle madri che li accudiscono ed allattano i loro figli fino a 2-3 anni per essere
sicure che vengano nutriti, la vediamo negli
operai che lavorano per guadagnare meno di
50 euro al mese, e la vediamo soprattutto nelle strutture delle scuole e dalle abitazioni, costruite con mattoni di fango e paglia, fabbricate artigianalmente da chi le abita e coperte con lamiere o con frasche, costituite da
I
un’unica o poche stanze, senza una cucina né
un bagno.
Fra la gente di un piccolo villaggio come
Afagnan, si avverte la sensazione di essere ben
voluti, e per noi è facile ricambiare questo
sentimento: chi non vorrebbe bene ad un
bambino con gravi malformazioni mai curate
o ai ragazzi che trasportano grossi carichi sulla testa, o ai pazienti che affrontano l’intervento senza un lamento e senza mai una protesta? E chi non vorrebbe bene alle decine di
bambini che, vedendoci passare, ci apostrofano in tono canzonatorio ma benevolo: Yovoo! Yovoo! “Bianco, Bianco!” e poi si avvicinano per ricevere una carezza o una frit-
Tre sardi nella missione in Togo: l’infermiere gessista Tullio Cuccuru, il sottoscritto, Fra Pascal, ora consigliere
dei Fatebenefratelli, e mio figlio Giuseppe, anche lui Primario ortopedico.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
tella, che le donne preparano per la strada,
che costano pochi centesimi, ma che loro non
possono comprare?
Il primo impatto con le gravi patologie locali si ha negli ambulatori, dove vediamo
bambini che camminano appoggiando il
piede sul dorso, ricoperto da una cute callosa
e ispessita, perché affetti da piede torto, ragazze che camminano sulle ginocchia, a causa di gravi malformazioni o per gli esiti della poliomielite, pazienti con deformità degli
arti in conseguenza di infezioni dello scheletro o per esiti di fratture o da tumori ossei
mai trattati. Arrivano da tutto il Paese, informati della nostra presenza, sapendo che
verranno visitati gratuitamente, ricoverati ed
operati con spese esigue o coperte in pieno
dai nostri benefattori.
Abbiamo operato una ragazza con varismo delle ginocchia superiore a 90°, che era
stata presa in cura dallo stregone, il quale aveva applicato alle gambe due anelli di rame,
che avrebbero dovuto stimolare la progressiva correzione delle deviazioni. Nei villaggi l’unico medico è ancora lo stregone la cui
funzione è molto importante perché cura pazienti affetti da qualsiasi malattia, e li assiste fino alla guarigione o fino alla morte, accettata come normale evoluzione della vita;
noi riteniamo che sia molto utile ed appoggiamo il suo operato, non ritenendoci in concorrenza, ma in collaborazione.
In una giornata visitiamo in media più di
40 pazienti, osservando malattie da noi rarissime; vediamo tanti giovani con esiti di
osteomielite o di fratture mai trattate e consolidate in modo scorretto o da malformazioni
congenite evolute in modo non più curabile. Tra gli altri ricordo un bambino con infezioni tubercolari multiple, alla colonna cervicale e dorsale ed alla spalla destra.
È triste constatare che la causa di queste
deformità, curabili se trattate precocemente, è dovuta alla carenza di terapie per la
mancanza di un’assistenza sanitaria gratuita, per cui vengono applicate solo a chi ha i
mezzi economici per pagarle, quindi a pochissimi. Lo Stato è povero perché non ha la
forza di organizzare un servizio sanitario ed
Uno dei tantissimi piedi torti, da noi corretti con interventi chirurgici.
i cittadini sono poveri perché non guadagnano
tanto da potersi curare; la vaccinazione antipolio è gratuita, ma non obbligatoria, e la
gente non vi si sottopone perché non capisce
la necessità di farlo e dovrebbe recarsi in ambulatori talvolta molto lontani.
Non è mancato il caso commovente di un
bambino gravemente ustionato, morto dopo
alcuni giorni di sofferenze, attenuate soltanto
dalle medicazioni e non da farmaci inesistenti;
è triste assistere alle prime fasi del funerale, che inizia nell’abitazione del defunto, sia
egli cattolico o musulmano o animista. Per
il trasporto, i genitori non potevano prendere
in affitto una autovettura, né usare una moto
taxi per cui il padre si è seduto su una bicicletta, il bambino gli è stato fasciato sul dorso e quindi, pedalando, si è recato nella sua
abitazione, distante forse anche 20, 40 o più
chilometri.
Dei pazienti visitati, la maggior parte è
stata sottoposta ad altrettanti interventi
chirurgici. La sala operatoria dell’Ospedale
St. Jean de Dieu, ad Afagnan, dove si svolge
l’attività chirurgica, è bene attrezzata, per
gran parte con materiale ricevuto dalle nostre donazioni, ed ora ha anche l’aria condizionata che, negli ultimi anni, ci ha
consentito di lavorare fino a 8–10 ore al
giorno, anche se frequentemente manca la
giugno 2014 —
Ragazza con grave varismo delle ginocchia. Gli anelli
alle tibie sono stati applicati dallo stregone per stimolare la correzione spontanea.
luce ed anche se non possiamo disporre
degli strumentari che siamo abituati ad
adoperare in Italia. Sappiamo di doverci
arrangiare, cioè fare tutto il possibile utilizzando il materiale, gli strumenti ed il
personale a disposizione: se manca il trapano o la sega elettrici, usiamo quelli manuali; se mancano la placche e le viti,
inventiamo altri sistemi di osteosintesi,
come facevano i nostri vecchi maestri.
Gli anestesisti sono infermieri capaci di
praticare anestesie locali, generali o spinali,
che hanno acquisito una grande pratica per
la numerosa quantità di interventi a cui ormai hanno partecipato da protagonisti.
Rotary Club Cagliari
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L’assistenza al paziente ricoverato è delegata in gran parte ai parenti che li accompagnano, silenziosi, tanto che non ci accorgiamo che convivano pacificamente persone di diversa etnia, che professano culti religiosi molto diversi, spesso in lotta in altri
Paesi del mondo, come quelli cattolico, animista e musulmano.
Sorprende, di questa popolazione, la
grande umiltà e si avverte un senso di rispetto
per i medici e gli infermieri ed un rispetto reciproco; ne è un segno evidente il fatto che,
passando davanti alla gente in attesa in ambulatorio, non si senta vociare, e neppure un
brusio.
È ammirevole, in questa gente, il modo di
manifestare il dolore, sia quello fisico, che
quello psichico; mai un lamento da parte di
un adulto e raramente un pianto di ribellione da parte di un bambino; anche il dolore
della madre per la sofferenza del proprio caro
è vissuto in silenzio e con rispetto per il prossimo: mai grida di dolore, ma soltanto un
pianto soffocato e pudicamente nascosto al
pubblico.
Negli otto anni di frequentazione di Afagnan abbiamo operato centinaia di pazienti, utilizzando materiale di sintesi o protesi
interne, o materiale di tutela esterna, tutti portati da noi in valigia o spediti con i container, restituendo a tanti la possibilità di
camminare in autonomia; ai tanti bambini
orfani, abbiamo portato scarpe, borse per la
scuola e vestiario; abbiamo costruito alcuni
pozzi nei villaggi più poveri; abbiamo istruito il personale locale della sala operatoria, della sala gessi e dei reparti; abbiamo tenuto
qualche lezione per i medici e per gli infermieri. Inoltre abbiamo stretto una convenzione tra l’Ospedale di Afagnan e la Scuola
di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Milano, offrendo
cure per i pazienti e vantaggi per la preparazione dei nostri specializzandi, che imparano a districarsi nelle difficoltà diagnostiche e terapeutiche, a muoversi in sale operatorie poco attrezzate ed a prendere decisioni
immediate anche in carenza di mezzi diagnostici e terapeutici.
56
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Ripensando a tutto questo e facendo un
bilancio tra quanto abbiamo dato e quanto
abbiamo ricevuto, devo riconoscere che la bilancia pende dalla parte di quanto abbiamo
ricevuto. È una grande soddisfazione constatare che il materiale che abbiamo portato è stato bene utilizzato, ma la più grande
ricompensa al nostro lavoro è la constatazione
che siamo riusciti a suscitare un sorriso a
bambini che da noi aspettavano soltanto un
sostegno morale, che abbiamo potuto correggere le deformità degli arti di molti bambini e che abbiamo potuto recuperare ad una
vita normale alcuni adulti destinati ad una
cattiva sorte.
Anche la convenzione dell’Ospedale di
Afagnan con la nostra Scuola di Specializzazione, si è rivelata vantaggiosa soprattutto per noi, che possiamo vedere e curare patologie da noi molto rare.
Senza dubbio, il più grande insegnamento
lo abbiamo ricevuto dai nostri pazienti;
questi ci hanno insegnato ad affrontare con
coraggio le difficoltà della malattia e a non
lamentarci per la sofferenza fisica, soprattutto
se questa è determinata dalle nostre cure. E
ci hanno insegnato cose che un tempo facevano parte del nostro bagaglio culturale, ma
ormai sono perse dalle nostre abitudini,
come il senso di gratitudine per chi ha cura
di noi, anche se non riesce a realizzare in pieno il progetto terapeutico. Abbiamo imparato
ad affrontare con umiltà la malattia e le difficoltà della vita ed abbiamo imparato la generosità verso i più deboli e verso chi è rimasto
solo, specie se bambino.
Alla nostra insufficienza, agli errori che abbiamo sempre commesso in misura più o meno
importante, alla incapacità di poter dare tutto quello che avremmo voluto, ci consola il ricordo di quanto è stato scritto su un sasso nascosto in un angolo del giardino e che è di monito per noi e per chi arriverà dopo di noi: Rien
n’est petit de ce qui est fait par Amour. Se riteniamo di aver agito con amore per i nostri
vicini neri siamo convinti che le nostre missioni in Togo non sono state inutili.
■
ei giorni scorsi, Papa Francesco, parlando allo stadio
olimpico di Roma ad una folla di fedeli di tante nazioni e,
con i media, a tutto il mondo, ha esaltato, invitando al
massimo rispetto, la indispensabile funzione di educazione morale
dei NONNI. Messaggio che certamente suscita echi di felice
consenso nell’animo di Gianni e Mirella Campus diventati nonni
per la seconda volta il 27 maggio. La loro figlia Alessandra,
sposata con Giulio Concas, ha
dato al mondo un bambino:
Alessandro. A lui, ai genitori ed ai
nonni un affettuosissimo augurio.
N
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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Democrazia e verità
La maggioranza
ha sempre ragione?
Rafaele Corona
– Divorzio, aborto, matrimoni omosessuali, riproduzione in provetta,
manipolazioni genetiche, eutanasia.
Nel mondo occidentale, queste innovazioni,
che hanno trasformato radicalmente la mentalità e il costume, sono state introdotte da
parlamenti eletti democraticamente e con deliberazioni votate a maggioranza: approvate cioè con metodo democratico. Quindi vincolano tutti i cittadini. Nondimeno, permane un dissenso diffuso e convinto. Negli Stati Uniti, gli scontri susseguenti all’introduzione
dell’aborto, per l’intensità e la violenza,
sono stati paragonati alle secentesche guerre di religione in Europa.
Al quesito se la maggioranza abbia sempre ragione, fanno seguito una serie di domande importanti, afferenti alla concezione del
mondo e al modus vivendi di tutti i giorni. L’approvazione democratica impone ubbidienza,
ma si dubita che l’approvazione democratica
dimostri la ragionevolezza della decisione e elimini, siccome irrazionale ed inutile, ogni ulteriore dibattito. Ancora, si dubita che il principio maggioritario, cui spetta l’ultima parola sempre e indipendentemente dai contenuti, si giustifichi di per se stesso e rappresenti
necessariamente il criterio definitivo.
Il sottotitolo – la contrapposizione tra democrazia e verità – forse esprime meglio la
questione di fondo: ovverosia se il metodo democratico racchiuda in sé medesimo le ragioni
della sua esistenza, oppure debba fare riferimento a premesse di ordine superiore e indipendenti dalla forza dei numeri. La verità assoluta per molti non esiste. In ogni caso,
raggiungere la verità è estremamente difficile, se non proprio impossibile, per cui bi-
1.
sogna accontentarsi della maggioranza. Il
punto è se tutto ciò che viene approvato a
maggioranza e secondo le regole della democrazia, abbia sempre valore di verità.
Su questi temi è arduo dare risposte. Per
la verità, non si intende dare risposte, né svolgere una dissertazione accademica: poiché il
tema riguarda la vita di tutti, cui tutti hanno interesse, si intende soltanto sollevare alcuni interrogativi intorno ai limiti della
maggioranza; al fastidio cagionato da talune scelte maggioritarie; al superamento dell’idea tolemaica della centralità dell’individuo, che potrebbe essere sopravanzata dall’idea copernicana del bene comune.
– L’accusa non superata contro la democrazia resta il “crucifige”.
Quando il Sinedrio di Gerusalemme, la
massima autorità ebraica, gli presentò Gesù,
Ponzio Pilato, il procuratore romano della
Giudea, avrebbe potuto liberarlo con un atto
d’imperio, con un atto d’autorità nell’esercizio del potere legittimo conferitogli da
Roma. D’altra parte, la liberazione gli era stata sollecitata dalla moglie, la quale lo aveva
ammonito di non avere nulla a che fare con
quel “giusto”. Piuttosto che esercitare l’autorità, Pilato preferì ricorrere al metodo democratico ed appellarsi al popolo.
Nessuno contesta che la risposta democratica “crucifige” fu scandalosamente ingiusta.
Il responso del popolo “crucifige!” e la
condanna di un innocente dimostrano di certo l’errore del responso popolare; più in generale dimostrano che la democrazia può sbagliare. Non soltanto, ma che la democrazia,
sbagliando, può macchiarsi dei crimini più
2.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
gravi, fino alla condanna del Figlio di Dio.
Anche per i non credenti, l’ingiusta condanna
di un innocente raffigura una colpa gravissima ed una accusa insuperabile.
– Al principio del ventesimo secolo, nel
clima culturale e politico, contrassegnato
dall’avvento delle masse, la democrazia –
come concetto e come metodo – fu sottoposta a critiche rigorosissime. Acquisirono
fama europea politologi italiani quali Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, concordi nel denunciare gli inganni del
potere democratico. Gaetano Mosca, Sulla
teorica dei governi e sul governo parlamentare, mise in luce la corruzione dei Parlamenti, dominati dalla supremazia del numero
e della ricchezza rispetto all’intelligenza ed
alla dedizione al bene comune. Per Vilfredo
Pareto – il grandissimo Vilfredo Pareto, i cui
studi su I sistemi socialisti ispirarono i maggiori sociologi successivi, da Talcott Parson
a Jean Piaget, da Raymond Aron a Josef
Schumpeter – per Vilfredo Pareto la supremazia delle elites conseguita democraticamente relegava il popolo in un posizione di
secondo piano ai margini della storia. Infine, Roberto Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, sottolineò che in democrazia comandano le oligarchie, le quali impediscono il ricambio.
L’idea comune è che il popolo non decide nulla, ma che i problemi, da cui il suo destino dipende, sono normalmente decisi da
altri; che il cittadino non ha il potere di controllare le decisioni prese dai leader politici,
i quali sono i veri artefici della volontà popolare.
Tuttavia, agli errori della democrazia fecero seguito – in numerosi paesi d’Europa,
in Russia, in Germania, in Italia e in altri –
gli errori e gli eccessi ben più gravi, talora inumani, delle dittature. In seguito a questi disastri, per oltre mezzo secolo la democrazia,
come concetto e come metodo, è andata immune da ogni ripensamento. Per oltre mezzo secolo, la democrazia e il metodo democratico sembrano raffigurare il destino ineluttabile dei popoli progrediti.
3.
– Trascorso il Novecento, le critiche alla
democrazia vengono riproposte contestualmente alla critica al relativismo, che raffigura la concezione del mondo più diffusa
nel nostro tempo e che della democrazia costituisce il presupposto.
Secondo il notissimo giurista Hans Kelsen, «il relativismo è quella concezione del
mondo che l’idea democratica suppone».
Continua Kelsen: «La democrazia è relativismo filosofico».
Notoriamente, la regola fondamentale
dell’ordinamento democratico è il principio
di maggioranza, in quanto permette la formazione delle decisioni, essendo praticamente
impossibile conseguire l’unanimità. Nei consigli di amministrazione delle società, nelle
assemblee del condominio, nei collegi giudiziari. Le critiche alla democrazia ed al principio di maggioranza, che alla democrazia indissolubilmente è legato come strumento operativo, in estrema sintesi si sviluppano su due
piani. Il profilo storico e quello filosofico.
4.
– Sul piano storico, contro il relativismo
si adducono i principi fondanti della civiltà europea. In modo specifico, il convincimento che i sistemi legali, compresi i sistemi
democratici, non sempre si conformano pienamente alle esigenze della natura e della ragione: in una parola, alla verità.
Ha preceduto il cristianesimo la consapevolezza che leggi positive non riflettono necessariamente la natura e la ragione dell’uomo: ovverosia la verità. Ha preceduto il
cristianesimo la consapevolezza che le norme fondate sulla natura e sulla ragione, cioè
sulla verità, debbano prevalere sulle leggi predisposte dall’uomo.
La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra le grandi civiltà di Gerusalemme, Atene e Roma: dall’incontro tra la fede nel Dio
di Israele, la ragione filosofica dei Greci ed il
pensiero giuridico di Roma. Da questo triplice
incontro è scaturita l’identità dell’Europa.
Hanno preceduto l’idea circa la possibile ingiustizia delle leggi emanate dall’uomo, anzitutto, la concezione di un solo Dio, creatore ed ordinatore del mondo; quindi, la do-
5.
giugno 2014 —
manda filosofica dell’origine delle leggi, resa
immortale da Platone: nelle prime righe dei
Nomoi si legge: «dimmi o straniero, a chi si
devono le vostre leggi, a un uomo o ad un
Dio»; infine, il convincimento del diritto
come recta ratio propria del pensiero giuridico romano. Queste grandi correnti di pensiero concordano nel riconoscimento che
l’ordine naturale e razionale dell’universo precede l’intervento dell’uomo; che l’ordine naturale e razionale dell’universo deve essere riconosciuto dal potere politico, il quale non si
accontenti dell’esercizio brutale di esso. Il re
Salomone chiede al Dio d’Israele «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male». Nel
mondo greco, Antigone va incontro alla morte perché rifiuta di ubbidire alle leggi degli uomini contrarie alle leggi stabilite dagli déi: Antigone è diventata così il simbolo perenne del
contrasto tra le leggi umane e le leggi di natura, in virtù delle quali il singolo ha il diritto di ribellarsi alle statuizioni ingiuste. Il broccardo romano summum ius summa iniuria (il
diritto perfetto può essere un’assoluta ingiustizia) esprime al meglio la concezione giuridica della Roma repubblicana, secondo cui il
diritto non si esaurisce nella legalità, ma con
la legalità può porsi in contrasto.
Da queste basi si sono sviluppati i princìpi fondanti della civiltà europea: la coscienza
della dignità sacrosanta di ogni persona, l’idea
dei suoi diritti inviolabili, la convinzione della uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla
legge, la coscienza della responsabilità di ciascuno per il proprio agire.
La giustizia ridotta alla sola legge, intesa come decisione della maggioranza, rischia
di produrre danni incalcolabili. Oggi, la
dittatura della maggioranza torna ad essere lo spettro che si aggira per l’Europa. Un
esempio per tutti: in Belgio, il Parlamento discute se introdurre l’eutanasia per i minorenni: discute se riconoscere ai minorenni il
diritto di chiedere ai genitori, che gliela hanno data, di togliere loro la vita.
– Sul piano filosofico, la critica al relativismo muove da una osservazione di
6.
Rotary Club Cagliari
59
comune buon senso: il comune buon senso si
ribella all’idea che tutto sia relativo, perché
l’ingiustizia non può mai diventare giustizia
e, viceversa, la giustizia non può mai diventare una cosa ingiusta. La condanna di
un innocente o, viceversa, l’assoluzione di un
colpevole non diventano giustizia per decisione della maggioranza.
La democrazia non è un ideale fumoso, ma
un metodo per giungere a decisioni politiche,
legislative, amministrative, giudiziarie, un metodo che tuttavia non è fine a se stesso, a prescindere dai contenuti e dagli effetti, ovverosia
dalla sostanza e da ciò che le decisioni producono nella realtà storica. Donde la necessità di valutare i contenuti e gli effetti. È risaputo il paradosso delle due donne lesbiche
audio lese, le quali, utilizzando per la fecondazione artificiale il seme di un amico sordo,
hanno fatto volontariamente nascere un figlio
sordo: «vogliamo che sia come noi».
Una democrazia non funziona senza valori e, quindi, non può essere neutrale sui
valori. Se i princìpi morali, che sostengono
il processo democratico, si fondano su
niente di più solido della maggioranza, vale
a dire sulla forza del numero, allora la fragilità del procedimento democratico si mostra con evidenza. Emerge che la
democrazia si regge su premesse, che non è
in grado di garantire.
Certamente, nella gran parte delle materie da regolare, quello della maggioranza sembra un criterio sufficiente. L’ordine politico
e l’ordine giuridico appartengono alla sfera
delle cose umane e, come tali, non sono un
assoluto. Non esiste una opzione politica che
sia l’unica giusta. Crederlo fu l’errore storico del marxismo e dei totalitarismi del Novecento. Nell’ambito delle scelte umane,
che attengono alla vita della politica e del diritto, il criterio della maggioranza resta apprezzabile. Del resto, una società libera è una
società almeno in parte relativista e questo
presupposto le permette di rimanere libera
e aperta ad un ulteriore cammino.
Dopo la seconda guerra mondiale, poiché
le peggiori ingiustizie avevano assunto la forma legale e l’ingiustizia legale aveva dimostrato
60
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
quali aberrazioni potessero produrre le leggi
ingiuste, in numerosi Stati d’Europa sono stati costituiti i giudici delle leggi: l’istituzione delle Corti Costituzionali, per porre le persone a
riparo dalla imprevedibile volontà della maggioranza, dimostra la possibilità non astratta
di leggi bisognose di controllo siccome ingiuste. D’altra parte, le situazioni afferenti alla dignità umana devono essere rispettate non perché possono farsi valere mediante gli strumenti
predisposti dal legislatore, ma perché sono
espressione di una giustizia superiore, scaturita dalla natura e dalla ragione: dalla verità.
Stabilito che il principio maggioritario ed
il relativismo, che lo sottende, non sono assoluti; che le leggi non possono essere il risultato del vento, che spira in un certo momento, «nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali sono in gioco la dignità e i
diritti fondamentali dell’uomo (in definitiva,
è in gioco il destino di una comunità), il principio maggioritario non basta. Nel processo
di formazione del diritto, ogni persona che
ha responsabilità deve cercare in se stessa i
criteri del proprio orientamento». Di certe situazioni il relativismo non viene a capo. La
giustizia e l’ingiustizia non dipendono da
maggioranze mutevoli e incostanti.
Diventa scontata la risposta alla domanda se le decisioni, politiche e giuridiche concernenti la dignità delle persone e i relativi
diritti – il destino di una comunità – possano essere regolate solamente secondo il principio di maggioranza o, al contrario, debbano
essere aperte alla verità; quindi, se le decisioni pubbliche importanti debbano essere
sensibili alla verità. In sintesi, se per ogni legge sia sufficiente l’approvazione a maggioranza, ovvero quando sono in gioco la dignità
degli uomini e il destino delle comunità, le
leggi debbano essere attente alla natura ed
alla ragione: alla verità.
– Dalle insufficienze del relativismo e dai
limiti del principio di maggioranza
scaturisce la necessità di un ripensamento,
anche a costo di gravi scontri nell’ambito della comunità e di fastidiose divisioni al suo interno.
7.
Anzitutto le divisioni e la loro incidenza
nella pace sociale.
La pace non è l’assenza di guerra: considerata sul piano dei rapporti umani, la
pace è una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla
giustizia. Per contro, la guerra significa
conflitto, contrasto: significa appunto divisione. Guerra vuol dire divisione.
La religione, in particolare la religione cattolica, persegue la pace, promuove la pace,
propaga un messaggio di pace. Le testimonianze in proposito sono numerosissime fin
dai primi tempi: fin dagli esordi. «Va’ in pace»
disse Cristo alla peccatrice pentita e «pace a
voi» fu il saluto del Cristo risorto rivolto agli
apostoli. Per S. Paolo (Lettera ai Romani,
15,33), la pace è il dono del Dio della pace,
concepita in modo ben diverso dalla pax romana, che l’impero di Roma imponeva con
la forza. Le preghiere per la pace non si contano. Un esempio per tutti: le perorazioni del
Papa Giovanni Paolo II contro la guerra del
golfo. Tutti i cristiani e tutti i governi sono
sollecitati a perseguire la pace, come bene prezioso da ricercare e da difendere. Accanto alla
pace individuale, i cristiani ed i governi sono
invitati a perseguire la pace nella comunità
e la pace tra le comunità.
Alla luce di questi indirizzi lascia perplessi
il brano del Vangelo di Luca (12,49), in cui
il Cristo afferma: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra. No, io vi dico,
ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi
tre contro due e due contro tre; si divideranno
padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlio e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
A prima vista, la pagina appare sconvolgente.
Perché nel Vangelo Cristo annunzia la divisione? Al suo tempo, Cristo non accettava
la lapidazione dell’adultera, che Egli perdonava; non ammetteva la pratica della schiavitù, essendo per Lui gli uomini tutti eguali, in quanto creati ad immagine e somiglianza
di Dio. Rispetto al suo tempo, il Vangelo è certamente annunzio di divisione.
giugno 2014 —
Oggi la Chiesa parla di pace e talora sorvola sulla divisione, Per la verità, la divisione non ha scoraggiato Papa Benedetto XVI.
Il Papa teologo non ha esitato a portare la divisione affermando, in radicale contrasto con
il nostro tempo, la indissolubilità del matrimonio contro la pratica del divorzio. Non ha
esitato a portare la divisione sostenendo, in
radicale contrasto contro il nostro tempo, la
sacralità della vita contro la pratica dell’aborto o dell’eutanasia. Non ha esitato a portare la divisione insistendo, in radicale contrasto contro il nostro tempo, sul matrimonio tradizionale, configurato dall’unione tra
l’uomo e la donna e indirizzato alla procreazione della prole in contrasto con la prospettiva dell’unione tra gli omosessuali. Non
ha esitato a portare la divisione contrastando, in radicale conflitto contro il nostro tempo, la pratica delle manipolazioni genetiche
e di certi tipi di procreazione artificiale.
– Le premesse alla divisione sono inattese. Il cristianesimo – ha sottolineato il
Papa teologo – non propone, e non ha mai
imposto alla società ed allo Stato, un ordinamento giuridico derivante dalla Rivelazione; ha considerato come vere fonti del diritto la natura e la ragione. Le norme, che governano il retto agire umano, si fondano sulla natura e sono accessibili alla ragione, prescindendo dalla Rivelazione. La Chiesa cattolica, intervenendo nei dibattiti pubblici, non
si appella al principio di autorità, all’ipse dixit che vanificherebbe ogni dialogo con gli altri e, vanificando il dialogo, snaturerebbe la
dinamica democratica.
Il pensiero di Benedetto XVI soddisfa anche i non credenti. Se il Dio dei cristiani, come
logos, è anzitutto razionalità, la verità si incontra con la ricerca razionale: pertanto, le
fonti ultime del diritto sono da ricercare non
in un comando autoritario – ipse dixit – ma
nella natura e nella ragione. L’aforisma
susseguente, invece, può scontentare i credenti. Il contributo dei cristiani al dibattito
politico è proficuo, sempre che l’intelligenza della fede si accompagni all’intelligenza
della realtà.
8.
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– Infine, un luogo comune consolidato
e politicamente corretto: il potere dell’uomo di fare tutto quello che gli riesce.
L’affermazione arrogante che l’uomo
possa fare tutto quello che vuole e, quindi,
adulterare la natura, comincia ad essere contestata.
Il potere degli uomini è cresciuto immensamente: il potere di distruggere e il potere di creare. Un potere molto più penetrante
ed incisivo di quello, che fino ad oggi è stato esercitato. Il che solleva la questione dei
controlli politici e giuridici. Non tutto ciò che
tecnicamente è fattibile merita di essere
fatto, giacché possono opporsi insuperabili
ragioni morali. Nel Novecento, del resto, è stata posta sotto sorveglianza la ricerca intorno alle armi atomiche o di distruzione di massa.
La questione del controllo si pone, per
esempio, per gli embrioni. È inaccettabile non
soltanto per i credenti, che li considerano
creature umane, che gli embrioni eccedenti
le esigenze della fecondazione vengano destinati alla estinzione o alla ricerca. Sempre
a proposito delle manipolazioni genetiche, la
questione del controllo si pone per gli organismi umani, i quali vengono modificati per
potenziare le loro forze e le capacità: per renderli adatti agli sport estremi, alla guerra o
ai lavori rischiosi per la salute. Per non parlare delle terapie geniche germinali, che arrivano a stabilire l’identità dei nascituri, il sesso, il colore dei capelli, la voce, l’udito e magari il grado dell’intelligenza. Per arrivare,
magari, alla perfetta razza ariana.
Per la verità, certe contraddizioni sono
sconcertanti. Il movimento ecologista afferma il valore insopprimibile del dato naturale;
il valore della terra, dell’aria, dell’acqua, degli esseri animali e vegetali e del loro equilibrio, che l’uomo non può adulterare a piacimento. La dignità intangibile della natura e del suo equilibrio – si dice – vanno oltre la capacità tecnica dell’uomo. Eppure il
movimento ecologista non insiste sull’ecologia dell’uomo. L’uomo ha messo sotto sorveglianza la ricerca intorno agli strumenti distruttivi di massa, quali la bomba atomica ed
9.
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i gas letali, ma tarda a recepire l’idea che lo
stravolgimento dei suoi caratteri e delle sua
funzioni naturali possa essere vietato. Eppure
anche l’uomo possiede una sua natura, una
sua ecologia, che deve rispettare e non manipolare.
– Divorzio, aborto, matrimoni omosessuali, riproduzione in provetta,
manipolazioni genetiche, eutanasia. Alla
luce degli orientamenti esposti, questi istituti
meritano una riflessione: non alla stregua del
sacro, ma secondo i parametri laici della natura e della ragione.
A iniziare dal divorzio. L’aumento del numero di scioglimenti del matrimonio è continuo. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si
contavano 80 divorzi; nel 2011 per ogni
1.000 matrimoni i divorzi sono diventati 180.
Il punto è se l’incremento del numero dei figli disadattati, drogati, criminali costituisca
un fatto meramente statistico, o l’effetto causale dipendente dalla dissoluzione delle famiglie.
Si esamini l’aborto, intorno al quale non
esistono dubbi. All’aborto si ascrive la sensibile diminuzione delle nascite. Nel 2012 per
ogni 1.000 gravidanze le interruzioni volontarie sono state 200. Il vero e proprio suicidio demografico del nostro paese determina
l’assenza di ricambio generazionale, disastroso
e per la produzione e per la previdenza, non
essendo sufficienti i giovani e gli immigrati
per sostituire gli anziani nei lavori tecnologici e nelle contribuzioni assicurative.
A proposito dei matrimoni omosessuali.
Talune società occidentali accettano la maternità delegata (l’affitto dell’utero), l’anonima donazione del seme, la donazione di
ovuli che consente la gravidanza dopo la menopausa, l’uso ritardato di ovuli o semi congelati, l’esistenza dei figli monogenitoriali.
Tutti i giorni la cronaca si occupa di gravissimi inconvenienti. Uomini e donne nati da
inseminazione eterologa, ormai maturi e
sposati, scoprono di essere consanguinei. Oggi
si profila la modifica del genoma, dell’intero corredo dei cromosomi e dei relativi geni.
Si discute se sia giusto che gli esseri umani
10.
vengano programmati da altri, mediante la
modifica del proprio patrimonio genetico. Il
punto è se talune “libertà individuali” siano
compatibili con una società civile, ordinata
e responsabile.
Per finire l’eutanasia. A parte l’assurdo di
permettere l’eutanasia ai minori, esistono
esempi di risveglio dal comma ritenuto irreversibile. Ciò nonostante, si accetta la
soppressione degli essere viventi: soprattutto dei più deboli, svantaggiati, handicappati, psichicamente labili, depressi: ovverosia
di coloro i quali avrebbero più bisogno di
cure. Di cure, non di accanimento terapeutico.
– In conclusione, prese le distanze
dall’onnipotenza delle assemblee
parlamentari e dall’assolutismo democratico, è ragionevole mettere in dubbio, anche a
costo di laceranti divisioni, che la maggioranza abbia sempre ragione.
È tempo di rifiutare la omologazione al politicamente corretto e riesaminare il fondamento di istituti già approvati, o in via di approvazione, a maggioranza, ma che la natura
e la ragione disapprovano. È tempo di superare il sistema tolemaico e di passare al sistema copernicano. La rivoluzione copernicana ha chiarito che al centro del sistema solare non sta la terra: fuori di metafora, che
tutto l’universo non ruota intorno all’individuo singolo, ai desideri, alle pretese, alle rivendicazioni del singolo. La nuova rivoluzione
copernicana deve mettere al centro non
l’individuo singolo, ma il bene comune e gli
interessi generali della comunità. Per quello che specificamente ci riguarda, il bene e
gli interessi generali della nazione, della Patria, dell’Italia.
11.
b) La visione positivista non è l’unica concezione scientifica del sapere. È importante,
ma nel suo insieme non corrisponde ad una
cultura capace di comprendere l’essere umano in tutti i suoi risvolti ed in tutta la sua ampiezza. La scienza non può produrre un’etica e la morale non si rinnova come conseguenza dei progressi scientifici.
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Per la verità, limitare il concetto di scienza alle sole discipline in grado di provare le
tesi, che sostengono, con gli esperimenti – vale
a dire a dire, con le prove sperimentali – non
è corretto. In effetti un approccio siffatto
esclude dall’ambito della scienza tutte le discipline che studiano non la composizione della materia, ma il senso di essa. La tentazione permanente di certo scientismo è costringere la ragione all’interno del misurabile
(pondere, numero vel mensura). È riduttivo
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ritenere che la scienza si esaurisca in un sistema, in cui le affermazioni siano verificabili e possano essere confermate da un esperimento. Vi sono scienze che non traggono
fondamento dalle prove sperimentali. La giurisprudenza e la stessa filosofia non si avvalgono dei criteri consueti della misurabilità (pondere, numero vel mensura), né ricorrono agli esperimenti. Eppure, nessuno dubita del carattere razionale e scientifico dei
relativi studi.
■
Ricordo di un’amica
na comunità, come quella del nostro Club, per il vincolo di unione che
lega chi la compone, è partecipe dei momenti felici e di quelli tristi che
ciascuno dei soci gode o soffre, congratulandosi per gli uni e condolendosi
per gli altri. La tristezza è maggiore quando cessa la vita terrena di uno dei
componenti o di una persona a lui cara. Se questa era legata al Club da un vivo
legame di stretta amicizia e di assidua partecipazione alle sue attività, appaiono ancor più intenso il rimpianto e commosso il ricordo. Sensazioni sorte nell’animo di tutti i soci per la scomparsa di Giulietta Rolando, moglie adorata
di Beppe Cascìu.
Era una splendida amica del Club, talmente felice che Beppe fosse socio da
tantissimi anni, sempre promotore o partecipe di attività di successo, che, anche quando, dopo una breve ripresa in cui non aveva mancato di tornare alle
nostre riunioni, l’aggravarsi del male glielo aveva impedito, si era quasi imposta a lui perché continuasse frequenza e partecipazione come per il passato. Questo suo sentire era, anche in questo campo , un segno della sua personalità così aperta al dialogo, pronta a creare legami di simpatia, estroversa e
brillante che, sin da ragazza, aveva fatto sorgere intorno a sé un coro di consensi, di stima, di ammirazione e, tanto spesso, di sincera amicizia.
Sposa felice, madre affettuosa di tre magnifici figli, nonna impegnata e premurosa, ospite amabile, apprezzata professionista, traeva piacere nell’incontrare gli altri e ne trasmetteva altrettanto.
A Beppe, ai figli e a tutti i familiari, la stima ed il caro ricordo che ne serbano tutti quanti hanno avuto la fortuna di conoscerla siano conforto e segno
di fraterna solidarietà.
U
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Un passaggio generazionale
Dal Rotaract
al Rotary
Francesco Danero
l Rotary, a livello mondiale, acquisisce circa centomila
nuovi soci ogni anno,
ma ne perde altrettanti
nello stesso periodo.
Come risultato, il numero totale dei soci è fermo da molti anni intorno al milione e duecentomila unità. Alcuni dei
nuovi soci rimangono tali
solo per circa tre anni. L’età
media, specie in alcune aree,
è elevata. Il Distretto 2080 segue
le medesime tendenze (con un numero di soci in leggero calo).
In questo contesto, appare naturale focalizzare l’attenzione sui programmi giovanili
patrocinati dal Rotary per trovare “nuove
leve”. L’Interact (dai dodici ai diciotto anni)
è un investimento sul futuro a lungo termine. Il RYLA e lo Scambio Giovani possono intercettare giovani promesse. Ma il Rotaract,
che è l’unico tra i programmi giovanili ad essere strutturato con una sua notevole organizzazione interna e autonomia, e che abbraccia giovani dai diciotto fino ai trenta anni
di età, dovrebbe per sua natura costituire la
migliore fucina di futuri Rotariani.
Non più di un paio d’anni fa, il nuovo Segretario Generale del Rotary International
John Hewko commissionò, per la prima
volta, una sorta di censimento del Rotaract
a livello mondiale. Il risultato fu sconvolgente:
poco meno della metà dei Club Rotaract che
si credevano attivi sono risultati in realtà in
stato di inattività e sono quindi stati chiusi:
dei quasi 10.000 Club Rotaract che si cre-
I
devano attivi solo circa 5.800
sono risultati esserlo veramente (o almeno abbastanza da dare un cenno di
vita rispondendo al censimento). L’Italia, tuttavia, è un’oasi abbastanza felice come quinto Paese al mondo per
numero di Club Rotaract oggi attivi (circa 430),
ed è il primo se rapportiamo tale numero alla popolazione.
Ma può davvero il Rotaract essere
considerato oggi il vivaio del Rotary? Se guardiamo alla percentuale di Rotaractiani che
passano al Rotary, è legittimo chiedersi se invece non si stia perdendo l’occasione di cogliere appieno le potenzialità del Rotaract. La
percentuale di chi “passa al Rotary” non è
mai stata calcolata esattamente, ma a mio
giudizio si attesta oggi nel nostro Distretto intorno al 2-3%. In altre parole, in un Club Rotaract composto mediamente da poco meno
di 20 soci, è già tanto se anche solo uno (uno!)
di essi, annualmente passa al Rotary. In realtà, è piuttosto frequente che vi siano anni
nei quali non si registri nessun passaggio.
Chiunque abbia a cuore il buon andamento del Rotary dovrebbe chiedersi se non si possa fare di meglio. Ma quali sono i fattori che
influenzano l’andamento dei passaggi dal Rotaract al Rotary?
Un primo elemento da considerare è la
qualità intrinseca del programma Rotaract,
così come sviluppato in ciascun Club. Fare il
“governatorino” del Rotaract mi ha permes-
giugno 2014 —
so di farmi un’idea piuttosto precisa della situazione dei 43 Club Rotaract della Sardegna
e del Lazio. Un Club Rotaract efficiente, oltre a curare l’ordinaria amministrazione
(lettere del mese, verbali, tesoreria, etc.), dovrebbe essere in grado di fare tre cose: I) sviluppare un programma di sviluppo professionale; II) promuovere un progetto di azione di pubblico interesse rivolto alla comunità locale; III) sostenere un progetto di azione
internazionale. Alla luce di questi tre, fondamentali criteri, i Club davvero efficienti sui
43 del nostro Distretto si contano sulle dita di
una mano. Poiché questa non sembra una situazione episodica, e poiché le linee guida per
il Rotaract recitano che il buon andamento del
Club Rotaract dipende dalla partecipazione
attiva e personale del Club Rotary Sponsor,
c’è quindi da chiedersi se c’è una vera cultura
delle nuove generazioni nel Rotary?
Sovente i Rotariani, anche quelli delegati ad occuparsi del Rotaract, non hanno una
sufficiente conoscenza dei princìpi che regolano il Rotaract stesso, né una visione strategica del programma. Nell’incapacità di sviluppare i tre obiettivi sopra menzionati,
tale ignoranza spesso non consente lo sviluppo
soprattutto della prima finalità (lo sviluppo
professionale) che è non solo quella che rende il Rotaract stesso più attraente per i giovani, ma alla lunga – se non efficacemente
perseguita – ha l’effetto di scoraggiare proprio i giovani più promettenti dalla frequenza,
poiché il contesto sconfina non di rado nella mediocrità.
Da una parte, dunque, occorrerebbe guidare con maggiore perizia il programma Rotaract, e dall’altra valorizzare le migliori risorse già presenti assicurandosi che si elevino a leader Rotaractiani possibilmente coloro
i quali hanno già le carte in regola per diventare Rotariani, anche in termini di classifica professionale, ponendo così le basi per
una continuità Rotaract-Rotary. Inoltre, una
maggiore attenzione (ed eventuale regolamentazione) riguardo la selezione e ammissione dei Rotaractiani, se attuata con intelligenza, potrebbe portare buoni risultati. Occorre cioè riflettere sul taglio che si vuol dare
Rotary Club Cagliari
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John Hewko, Segretario Generale del Rotary International.
al programma Rotaract: un programma
aperto a tutti o un programma più elitario
aperto solo a chi si presume avrà a trent’anni
le carte in regola per passare al Rotary? Il
buon senso suggerisce che la virtù sta nel mezzo. Supponendo ad esempio che metà della
compagine sociale nella fascia di età tra i 25
e i 30 anni (post lauream) sia formata da giovani professionisti o imprenditori già avviati, la platea di potenziali Rotariani si ridurrebbe già al 50% del totale dei soci Rotaract.
Naturalmente, la finalità principe del
Rotaract non è trovare nuovi Rotariani ma
la crescita personale e professionale dei
Soci, che si realizza attraverso il Servizio.
“Motivare i giovani a diventare Rotariani” è
solo il quinto dei cinque obiettivi del programma Rotaract. Quindi la bontà di un Club
Rotaract, proprio in virtù della sua autonomia, non si può valutare certamente solo sulla percentuale di “passaggi al Rotary”: in altre parole, per un Club Rotary, patrocinare
un Club Rotaract può essere un investimento
meritevole anche in mancanza di un ritorno
immediato in termini di nuove cooptazioni.
Tuttavia, se si instaura un circolo virtuoso
come sopra descritto, è del tutto ragionevole attendersi un incremento della percentuale
di “passaggi al Rotary”. Solo così il Rotaract
potrà essere vivaio per il Rotary.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Un secondo elemento che influenza i
“passaggi al Rotary” è la propensione degli
stessi Rotary a cooptare giovani, tra qualche
equivoco e falso mito. Il Rotary ha recentemente rinnovato la comunicazione del messaggio rotariano, sintetizzandolo e rendendolo
più chiaro e accattivante anche per una platea più giovane. Oggi, nei principali canali
di comunicazione rotariani campeggia il
messaggio: “Join Leaders, Exchange Ideas,
Take Action” (unisciti ai leader, scambia idee,
agisci). Non a caso la prima delle tre sottolineature rimarca l’identità del Rotary, ciò che
lo distingue da altre organizzazioni: essere il
luogo ove si ritrovano i leader per scambiare idee con l’ambizione di cambiare in meglio lo status quo. È dunque la parola “leader” la chiave di volta.
Il Rotary italiano, dalla fondazione al Cova
in giù, ha originariamente interpretato il concetto di “leader” assimilandolo in sintesi con
quello di “numero uno”. Ma questo poteva
andar bene quando c’era solo il Rotary di Milano e anche le più grandi aziende erano direttamente riconducibili al territorio. Il prof.
Jeffrey A. Charles dell’Università dell’Illinois,
nel suo “Service Clubs in American Society”,
che rimane studio sociologico principe sul Rotary, sostiene che il Rotary assunse ben presto il ruolo storico di aiutare le elite delle tradizionali middle-class locali americane ad
adattarsi di fronte ai cambiamenti sociali e
in particolare alle sollecitazioni di un’economia dove invece cresceva il peso delle aziende “corporate”. Tale ruolo storico sembrerebbe ben attagliarsi anche ai giorni nostri,
poiché se è vero che tra i soci Rotary mediamente si incontrano esponenti di spicco
di affari e professioni, raramente vi sono esponenti “corporate” di spicco, soprattutto nella stragrande parte dei Club che non ha sede
nelle metropoli dove invece hanno sede le più
grandi aziende.
A tal proposito si può confrontare (vedi:
http://cl.ly/442R132A0g18) l’elenco aggiornato al 2013 che Confindustria ha redatto
delle prime 100 imprese sarde (per fatturato) per constatare che talune non hanno proprietà e management sardi e tutto somma-
to abbastanza pochi esponenti di esse sono
tra i Soci Rotary, che invece sono maggiormente numerosi negli ambienti accademici
e delle professioni (relativamente meno rilevanti economicamente, seppur di tutto rispetto e primaria importanza).
Pur auspicando di vedere accrescere il numero di Rotariani tra coloro che sono nell’elenco di cui sopra, appare conforme alla
tradizione sociologica rotariana ricercare i giovani soci, dunque, che incarnino il concetto
di leader non tanto sotto il profilo dei “numeri uno” ma tra professionisti e imprenditori “rappresentativi”, ovvero certamente ottimi elementi di ciascun settore ma che abbiano anche desiderio e tempo per dedicarsi al Servizio nelle cinque Vie d’Azione anche attraverso una assiduità superiore al 60%.
Il motto internazionale di qualche anno
fa recitava “Rotary Shares” (Il Rotary è condivisione). Senza condivisione, che si ottiene giustappunto con l’assiduità nel Servizio,
non c’è possibilità che si costituisca l’Amicizia
Rotariana, appunto fondata sul Servizio inteso come motore e propulsore di ogni attività umana. Il giudizio sulla adeguatezza dei
potenziali nuovi Rotariani sta naturalmente ai singoli Club, che quindi potranno modulare il livello richiesto anche per garantire un buon amalgama con i soci già presenti, ma è importante avere ben presente una
idea comune di leader nei processi di cooptazione, soprattutto nel caso dei giovani.
In altre parole, nella selezione e ammissione
di giovani Rotariani bisognerebbe tenere
sempre presenti le parole di Claudio Widmann
(autore de Rotary Ideale), secondo cui il nuovo Socio «entra nel sodalizio in virtù del fatto che gli vengono riconosciute caratteristiche
di spicco, con cui egli interpreta aspetti dell’umanità migliore. Queste caratteristiche
comportano autorevolezza e rappresentatività nell’ambito professionale, ma comprendono
anche la maturazione di categorie etiche che
improntano tanto la vita privata che la pratica professionale, la propensione relazionale a rapporti d’amicizia e a interazioni attive
nel gruppo, la disponibilità a mettere a disposizione proprie capacità e conoscenze in
giugno 2014 —
operazioni di servizio, la convinta adesione a
una visione planetaria fondata sull’interazione
fra nazioni, sulle relazioni amichevoli fra popoli, sui valori di libertà e tolleranza fra singoli e gruppi». È quindi evidente che sono molteplici gli aspetti che concorrono alla qualificazione di un leader e dei quali dunque occorrerà tenere conto nelle cooptazioni.
Per risolvere i problemi di effettivo sopra
menzionati, il principale orientamento di
Evanston sembra essere quello di favorire la
costituzione dei cosiddetti New Generations
Clubs, ovvero nuovi Club Rotary nei quali i
soci fondatori siano all’incirca di età inferiore
ai quaranta anni. Va però rilevato che se si
riuscisse a dar corso ad un armonico ricambio generazionale all’interno dei Club tradizionali esistenti il problema non si porrebbe,
e dunque il rinnovamento dei club tradizionali rimane la soluzione di scelta. I New Generations Clubs, infatti, corrono il rischio di
morire dello stesso male per curare il quale
son nati: se il gruppo fondatore, che è per definizione tutto di un medesimo delta di età
(tra i 30 e i 40 anni), non si rinnovasse, l’età
media aumenterebbe inesorabilmente fino a
Rotary Club Cagliari
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che l’eccessivo divario con i “giovani” ne ostacolerebbe la cooptazione e darebbe per risultato la morte lenta ma inesorabile del Club.
Peraltro, chi cresce nei programmi giovanili
rotariani, dovrebbe sviluppare un più spiccato
senso dell’istituzione rotariana ed essere pertanto indotto a sacrificare in qualche misura l’ego per accettare di servire in un Club di
pari, più grande, piuttosto che cedere alla tentazione di fondare nuovi Club più piccoli (dove
è più facile primeggiare) rivendicando l’impossibilità di far coesistere le generazioni.
In aggiunta, la peculiare interpretazione
dei New Generations Clubs che talvolta viene data consiste nel consentire l’ingresso nel
Rotary a chi non è stato cooptato nei Club
tradizionali, e potrebbe prefigurare la ghettizzazione in una sorta di Club di seconda
scelta. Naturalmente, laddove sia davvero impossibile far coesistere le generazioni nello
stesso Club, e laddove sia davvero serio il processo di selezione, ben vengano i New Generations Clubs, con l’augurio che possano
via via rinnovarsi e non a discapito dei Club
già esistenti monopolizzando gli ingressi
dei giovani, ciò che decreterebbe l’accelera-
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Rotary Club Cagliari — giugno 2014
zione della chiusura dei Club tradizionali con
una grave perdita per la comunità.
Altro aspetto rilevante è la formazione dei
nuovi cooptati che, soprattutto nei casi in cui
essi non provengano da una solida esperienza
nei programmi patrocinati dal Rotary, dovrebbe essere molto più efficace. A tale riguardo, interessante è lo spunto proposto anche in occasione dell’ultima Assemblea Distrettuale dalla PDG Daniela Tranquilli
Franceschetti di implementare la figura del
Membro Associato, che solo dopo un certo periodo di tempo (ad esempio sei mesi) diverrebbe socio ordinario.
Infine, oggi non appare opportuno seguitare in una moltiplicazione di Club che di-
sperderebbe energie e risorse, ma apparirebbe
più razionale potenziare (o, se impossibile, addirittura fondere) taluni Club esistenti per
massimizzare l’impatto nella società. Il Rotary, infatti, sarà attrattivo (soprattutto per
i giovani) solo nella misura in cui saprà restare centrale nella società. Come fare a restare centrali nella società? Evitando l’autoreferenzialità, rispondendo a reali bisogni e
istanze dei Soci e servendo reali necessità materiali e sociali dei Soci e delle Comunità. E
per fare questo occorre anche fare massa. Solo
così il Servizio metterà in luce la vera Leadership e crescerà l’Amicizia Rotariana che
sul Servizio e sulla Leadership è fondata.
■
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
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Laurea e Premio a Enrico Ferro
Tornar
di laudi cinto
Marcello Marchi
osì canta Radames sperando di essere messo a capo dell’esercito del Faraone inviato contro gli Etìopi; avveratosi il sogno, tornato vittorioso in patria,
viene onorato con un magnifico trionfo.
Ovviamente senza far vibrare le lunghe
trombe con le squillanti note verdiane, noi soci
del Club, legati a Salvatore e Pietrina da sincero affetto, che consideriamo Enrico come
un “nostro ragazzo”, siamo felici per la corona che gli cinge il capo e vogliamo festeggiarla esprimendo vivo compiacimento e sentita stima per il suo successo.
In tempi come quelli che viviamo, il riconoscimento di valori morali e culturali di
alto livello, tanto più se provenga da fonte di
indiscusso prestigio mondiale, che investe uno
studente italiano, figlio di amici e amico egli
stesso, impegnato nel Rotary, soddisfa le attese e alimenta le speranze di un più diffuso risveglio di studi e cultura.
Il 19 maggio Enrico si è laureato negli Stati Uniti nella Yale University.
Il conseguimento del titolo in un così rinomato Ateneo costituirebbe di già un lodevole risultato. Ma Enrico, durante la cerimonia di laurea, è stato designato come vincitore del premio Alpheus Henry Snow, assegnato allo studente distintosi per una
combinazione di eccellenti risultati accademici, carattere e personalità.
Appare opportuno riportare testualmente la motivazione letta dal Rettore del College di Yale al momento del conferimento del
premio.
«Enrico Ferro è stato eletto alla società
americana degli onori accademici Phl Beta
Kappa ed ha conseguito la laurea, summa cum
C
laude e con onori, in Biologia Cellulare, Molecolare ed Evolutiva. La sua passione medica
ha radici profondamente personali: suo fratello maggiore Leonardo è infatti affetto da
cardiopatia congenita, e questa condizione ha
alimentato in Enrico il desiderio di aiutare il
prossimo. Questa passione, unita ad una superlativa etica di lavoro, ha prodotto un record accademico con nessun voto inferiore ad
“A-” e 34 dei 36 crediti del corso di laurea con
voto massimo di “A”.
Come studente internazionale proveniente dalla Sardegna, Mr. Ferro ha lavorato per rimuovere le barriere alle cure mediche su scala globale. In Lima, Perù, egli ha
investigato come l’uso dell’alcol e lo stigma
sociale che coinvolge gli uomini omosessuali possono compromettere il loro accesso alle
cure mediche per l’HIV. Ha poi presentato i
suoi risultati alla Conferenza Internazionale della AIDS Society. Successivamente, egli
ha lavorato in Kuala Lumpur, Malaysia, per
esaminare come l’abuso di droghe e la discriminazione sociale possono ostacolare il
trattamento contro l’HIV per i consumato-
70
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
ri di droghe iniettabili. In Togo, Mr. Ferro ha
sviluppato un programma di educazione sanitaria che è stato introdotto nelle scuole locali. Infine, nella sua più recente attività di
ricerca a Yale, egli ha analizzato i meccanismi di segnalazione cellulare che regolano la
regressione di alcuni tumori della pelle. A
marzo, questi risultati sono stati pubblicati
dalla rivista Nature Communications. Il
prossimo autunno, egli continuerà i suoi studi nella facoltà di medicina ad Harvard Medical School.
Per il suo record di risultati accademici e
sociali, per il suo amore della conoscenza, e
per la sua energia e compassione senza con-
fini, Yale College è orgoglioso di conferire il
premio Alpheus Henry Snow ad Enrico
Giuseppe Ferro».
Enrico è rientrato a Cagliari ma non è
TORNATO...: infatti, lo ha scritto il Rettore di Yale ed egli stesso lo ha detto, alla riunione del 5 scorso, nella conversazione,
coinvolgente e simpatica, come tutte le altre
proposte in più occasioni, ora i suoi studi proseguiranno nella Facoltà di Medicina di
Harvard. Certamente con altrettanti successi.
Questo auguriamo di cuore ad Enrico, Salvatore, Pietrina e Leonardo.
■
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
71
In biblioteca
Le ultime fatiche editoriali
di Ugo Carcassi
Marcello Marchi
i è il rischio di ripetere riflessioni comuni e quasi ovvie quando, riferendoci al carissimo amico Ugo Carcassi, affermiamo che egli non cessa di stupirci con l’entusiasmo che lo sorregge nel dedicare il suo tempo a nuovi scritti ricchi del
suo sapere. Egli sa trarre dalle molteplici, profonde conoscenze culturali preziosi contributi
anche in campi non legati alla Medicina ma
propri della storia con saggi e ricerche di alto
rilievo.
Da ultimo ha pubblicato con l’editore Carlo Delfino due libri:
uno completa i suoi studi su Garibaldi
(Ugo Carcassi con la collaborazione di Leandro Mais e Tiziana Puxeddu, Giuseppe
Garibaldi: il destino della salma);
l’altro (Ugo Carcassi con la collaborazione
di Francesca Trois, Un medico in Sardegna)
propone la sua vita di medico con particolare riguardo a quanto da lui operato nella
nostra isola.
Il saggio storico su Garibaldi, anche in base
a «documenti e dati in parte inediti», ha potuto chiarire l’enigma sulla presenza della salma nella tomba che lo stesso autore non aveva potuto fugare completamente nel libro, sempre edito da Delfino nel 2010 (Giuseppe Garibaldi: la salma imbalsamata o bruciata?) che
è stato presentato da Mauro Manunza nel numero 1-2 del dicembre 2011 di questa rivista.
Ora, una lettera olografa di Enrico Albanese garibaldino, amico e medico di Garibaldi, diretta alla moglie chiarisce definitivamente il caso.
(Chi scrive ha avuto occasione, da ragazzo, di leggere in casa di un nipote ex
filio, anche omonimo, coniugato con An-
V
dreina Cao-Pinna, cognata di Raimondo Orrù,
un libro scritto dal nostro
medico: La ferita di Garibaldi ad Aspromonte.
Diario inedito della
cura... edito postumo nel
1907, circa vent’anni
dopo la sua morte, in cui
si raccontano cura ed
estrazione della pallottola
che aveva colpito un malleolo di Garibaldi in quel
triste scontro).
Tornando all’elemento
che fuga ogni perplessità,
(ma Carcassi era certo
che la salma fosse inumata nella tomba) sta questa lettera in cui
Albanese si scusa con la moglie del suo ritardo nel tornare a Palermo per le difficoltà
incorse nel modellare il lastrone di granito
che doveva essere posto a coprire la tomba.
Il secondo libro offre una lunga avvincente esposizione dei ricordi di questo benemerito dell’insegnamento, curatore assiduo della
pubblica salute, impegnato con tutta l’energia
che nasceva dalla cultura e dal vivo proposito di combattere contro mali che ci affliggevano
come il paratifo e soprattutto la malaria.
Emergono dai suoi ricordi figure di medici ma anche di infermieri, tecnici, degli stessi pazienti ai quali con il suo deciso impulso di progresso, con la dedizione intensa al
lavoro, con la sete di ricerca, con l’amore per
lo studio, sapeva infondere lo stesso spirito
di iniziativa, di scienza e di cura.
■
72
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
Benvenuto ai nuovi soci
Domenico PORCU
Nato a Cagliari l’11 maggio 1959.
Laureato in Economia e Commercio
nella Università di Cagliari. Imprenditore commerciale, ha iniziato l’attività
lavorativa sin dal 1980 nell’azienda
familiare, fondata dal padre, Mondino
Porcu, Sanifarma S.r.l., di cui è ora
Amministratore Unico.
La società si sviluppa come azienda commerciale e di distribuzione nel mercato dei dispositivi medici ed apparecchiature elettromedicali e, per la eccellenza della professionalità e dell’affidabilità
riconosciute, diventa leader del settore in Sardegna. Negli anni Novanta
si attua una definitiva evoluzione: «muore l’immagine del prodotto fine
a sé stesso e nasce il concetto di servizio».
La società con crescente e costante impegno culturale acquisisce
un importante ruolo nella progettazione e realizzazione di servizi
“chiavi in mano”. Un indubbio successo lo raggiunge impiantando una
nuova sala operatoria di altissimo livello tecnologico nella Clinica Ginecologica ed Ostetrica, diretta dal prof. Gian Benedetto Melis, nel Policlinico Universitario di Monserrato.
La sala è dotata di strumenti che consentono il collegamento in
video conferenza con le aule degli studenti e con qualsiasi altra struttura del mondo di analoga tecnologia, rendendo possibile non solo un
costante fine didattico ma anche, e soprattutto, lo scambio di conoscenze scientifiche e di eventuali sperimentate tecniche per la immediata risoluzione di problemi insorti, contattando i più eminenti
specialisti.
La rilevante e riconosciuta capacità scientifica e professionale della
Sanifarma trova sostegno ed incremento nell’attività svolta nella organizzazione e sponsorizzazione di Convegni Medici con intervento di
qualificati professionisti, e nella assidua frequenza del nostro socio di
incontri e seminari attinenti l’attività della sua azienda che, a sua volta,
organizza corsi orientati all’utilizzazione ed impiego delle attrezzature
da essa commercializzate.
Bruno Carboni impiega il tempo libero praticando il golf e, da buon
cagliaritano, amando il mare.
Ma, ancor prima di diventare, entrando nel nostro club, un rotariano effettivo, egli lo era già e non solo di spirito ma anche di fatto.
Sua moglie ,Vanda Mulliri, è socia di Cagliari Anfiteatro ed il loro figlio
Alberto è interactiano del Club Sella del Diavolo. Con loro e con altri
amici rotariani ha partecipato attivamente a varie iniziative rotariane.
Queste qualità e queste esperienze sono sicura premessa di un valido inserimento nel nostro Club.
Massimiliano MASIA
Nato a Cagliari il 12 maggio 1965.
Laureato nel 1993 nella Università di
Cagliari in Giurisprudenza, con tesi in
diritto internazionale. Collabora con
l’avvocato Cesare Oliveti, nostro rimpianto consocio, negli studi legali di
Roma e Cagliari e, nel 1998, si
iscrive nel locale Ordine Professionale.
Nel 1994 partecipa al Seminario “Diritto penale militare, abilitazione all’esercizio della professione forense davanti al Tribunale Militare”.
Dal 2001 è titolare di un proprio studio sviluppando attività, consulenze e assistenza in diritto internazionale, penale, penale militare,
commerciale e societario.
Frequenta un seminario di diritto comunitario. Nel 2006 si impegna, con profitto, nel corso annuale di lingua cinese presso la Università di Cagliari. L’anno successivo, a Bologna presso il Praxis Sviluppo
e Informazione Institute partecipa al seminario sulla emersione della
Cina e le opportunità per i professionisti e le aziende italiane. L’attività
svolta, le conoscenze acquisite e l’indubbio interesse per un settore particolarmente rilevante in campo internazionale determinano il suo nuovo
impegno. Nel 2011 è nominato, con il grado di Maggiore del ruolo di
Commissariato, Ufficiale dell’Esercito Italiano (proposto poi al grado di
Tenente Colonnello per meriti professionali). Frequenta il XIX Corso
della Riserva Selezionata presso il Comando per la Formazione e Scuola
di Applicazione di Torino; qualificato “Funtional Specialist NATO”; impiegato come Legal Military Assistance nello Special Staff Commander
del Gen. Lops al Ministero della Difesa; frequenta presso lo Stato Maggiore Esercito e Comando Operativo Interforze il corso di Special Staff
per l’indottrinamento e l’impiego in teatro fuori area (ESTERO).
Dall’agosto 2013 al febbraio 2014 opera nell’Afghanistan come
Legal Advisor Chief nello Special Staff del Regional Comand West NATO
ISAF MISSION.
Ha la qualifica di Consulente Legale agli alti Comandi Militari.
Ha diverse onorificenze ed encomi per le attività svolte per le operazioni nazionali e per quelle a forte connotazione interforze e internazionali.
Conosce la lingua inglese e la cinese.
Appare chiaro da quanto pur succintamente esposto, che Massimiliano Masia ha doti e capacità professionali tali da inserirsi validamente nel nostro club collaborando, tra l’altro, nei contatti con rotariani
stranieri per creare ottimi rapporti.
giugno 2014 —
Rotary Club Cagliari
73
COMMISSIONI ANNO 2014–2015
AZIONE INTERNA
AMMINISTRAZIONE DEL CLUB
Presidente coordinatore:
Rafaele CORONA
FORMAZIONE
E ISTRUZIONE ROTARIANA
Presidente: Angelo CHERCHI
[email protected]
COMPONENTI: Lucio Artizzu, Salvatore Fozzi
PROGRAMMI
Presidente: Francesco BIROCCHI
[email protected]
COMPONENTI: Guido Chessa Miglior,
Alberto Cocco Ortu, Alfonso Dessì,
Pasquale Mistretta, Nicola Porcu
ASSIDUITÀ, AFFIATAMENTO
ED EVENTI
Presidente: Luigi PUDDU
[email protected]
COMPONENTI: Paolo Ciani,
Angelo Deplano, Antonio Lenza,
Margherita Mugoni, Alessandro Palmieri
AMMISSIONI, CLASSIFICHE
E SVILUPPO DELL’EFFETTIVO
Presidente: Enzo PINNA
[email protected]
COMPONENTI: Marcello Caletti,
Ugo Carcassi, Piergiorgio Corrias,
Salvatore Ferro, Pasquale Mistretta
COMUNICAZIONE, IMMAGINE
E SITO WEB
Presidente: Michele ROSSETTI
[email protected]
COMPONENTI: Riccardo Lasic,
Roberto Nati, Pier Francesco Staffa
RIVISTA DEL CLUB
Presidente: Lucio ARTIZZU
[email protected]
COMPONENTI: Francesco Birocchi, Salvatore
Fozzi, Caterina Lilliu, Mauro Manunza,
Marcello Marchi, Giovanni Sanjust di Teulada
COMPONENTI: Christian Cadeddu,
Alfonso Dessì, Salvatore Ferro,
Alberto Lai, Giuseppe Masnata
COMPONENTI: Vincenzo Cincotta,
Caterina Lilliu, Cecilia Onnis,
Pier Francesco Staffa
AZIONE SOCIALE
Presidente: Guido CHESSA MIGLIOR
[email protected]
COMPONENTI: Antonio Lenza,
Gian Paolo Piras, Marco Rodriguez
RYLA
Presidente: Roberto NATI
[email protected]
COMPONENTI: Michele Bajorek, Paola Dessì,
Giuliano Frau, Andrea Lixi
OASI SAN VINCENZO
Presidente: Gian Paolo RITOSSA
[email protected]
COMPONENTI: Marcello Caletti, Gaetano
Giua Marassi, Giovanni Sanjust di Teulada
PROGETTI DI SERVIZIO
Presidente coordinatore:
Gian Paolo RITOSSA
[email protected]
SOLIDARIETÀ CON
LE FASCE DISAGIATE
Presidente: Maria Pia LAI GUAITA
[email protected]
COMPONENTI: Gaetano Giua Marassi,
Antonio Lenza, Maria Luigia Muroni,
Luigi Puddu, Michele Rossetti
AZIONE INTERNAZIONALE
Presidente coordinatore:
Giovanni BARROCU
[email protected]
RAPPORTI INTERNAZIONALI
Presidente: Angelo ARU
[email protected]
COMPONENTI: Ginevra Balletto,
Maurizio Boaretto, Angelo Deplano
ROTARY FOUNDATION
Presidente: Alberto COCCO ORTU
[email protected]
COMPONENTI: Ginevra Balletto, Francesco
Danero, Caterina Lilliu, Massimiliano Masia,
Enzo Pinna, Domenico Porcu
NUOVE GENERAZIONI
Presidente coordinatore:
Maria Luigia MURONI
[email protected]
AZIONE PROFESSIONALE
Presidente coordinatore:
Giorgio LA NASA
[email protected]
ROTARACT
Presidente: Francesca COZZOLI
[email protected]
COMPONENTI: Riccardo Lasic,
Roberto Nati
AZIONE SANITARIA
Presidente: Carlo CARCASSI
[email protected]
SCAMBIO GIOVANI
Presidente: Francesco DANERO
[email protected]
ANTICHE ARTI
GIOVANI INNOVATORI
Presidente: Maurizio BOARETTO
[email protected]
COMPONENTI: Lucia Pagella, Michele Rossetti
ARCHEOTOUR
Presidente: Antonio CABRAS
[email protected]
COMPONENTI: Giuseppe Cascìu,
Francesco Danero, Giancarlo Deidda,
Paola Giuntelli, Caterina Lilliu,
Margherita Mugoni, Alessandro Palmieri,
Giovanni Sanjust di Teulada
NANIUKI
Presidente: Francesco BIROCCHI
[email protected]
COMPONENTI: Michele Bajorek,
Paola Giuntelli
ACIDO FOLICO - MUSIKARALIS
Presidente: Giuseppe MASNATA
[email protected]
COMPONENTI: Efisio Baire,
Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Salvatore
Lostia di Santa Sofia, Luigi Puddu
ROTARY PER LA CITTÀ
Presidente: Giovanni Maria CAMPUS
[email protected]
COMPONENTI: Ercole Bartoli, Marinella
Ferrai Cocco Ortu, Alessio Grazietti,
Stefano Liguori, Lucia Pagella
74
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
LE RIUNIONI DEL CLUB
5 DICEMBRE 2013
ASSEMBLEA DEI SOCI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ettore Atzori, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Francesco Birocchi,
Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giovanni
Cascìu, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Paolo
Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano
Costa, Francesca Cozzoli, De Gesu Gianfranco, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Paola Dessì, Marinella
Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo
Lasic, Stefano Liguori, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria
Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni,
Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Luigi
Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele
Rossetti, Andrea Rusconi, Antonio Scrugli, Pier Francesco Staffa.
12 DICEMBRE 2013
“LA SARDEGNA NELLO SPAZIO”
Relatore: professor GIACOMO CAO, ordinario di
Princìpi di Ingegneria Chimica presso l’Università di
Cagliari
Sono presenti
I soci: Ginevra Balletto, Francesco Birocchi, Antonio
Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu,
Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano Costa, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco
Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois,
Gaetano Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic,
Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi,
Pasquale Mistretta, Maria Luigia Muroni, Larry Pagella, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa.
Sono presenti in sala le signore: Paola Dessì.
Ospiti dei soci: di Salvatore Ferro il dr. Francesco
Danero.
19 DICEMBRE 2013
“CENA DEGLI AUGURI DI FINE ANNO”
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Efisio Baire, Berto Balduzzi, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Christian Cadeddu, Marcello
Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Guido Chessa Miglior,
Paolo Ciani, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario
Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Riccardo Lasic, Antonio
Lenza, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza,
Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini
Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Franco Passamonti, Enzo Pinna, Luigi Puddu,
Marco Rodriguez, Mauro Rosella, Michele Rossetti,
Giovanni Sanjust di Teulada, Giulia Vacca Cau.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Giulia Baire, Mariuccia Balduzzi, Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Laura Cadeddu, Maria
Gabriella Caletti, Mirella Campus, Maria Vittoria Carcassi, Haydee Cascìu, Antonella Cherchi, Luisella
Chessa Miglior, Franca Cincotta, Maria Rosaria Corona, Paola Deplano, Paola Dessì, Pietrina Ferro, Antonella Figus, Lina Fois, Franca Fozzi, Rossana
Grazietti, Luisanna Giua Marassi, Maria Rosaria
Lenza, Lia Lixi, Tiziana Masnata, Carola Oddini Carboni, Giovanna Passamonti, Barbara Pinna, Diana
Rodriguez, Maria Grazia Rosella, Elisabetta Sanjust
di Teulada.
Ospiti del Club: padre Morittu, il Governatore del
Distretto 2080 avv. Pier Giorgio Poddighe, l’Assistente del Governatore avv. Italo Doglio, il Presidente del Rotaract dr. Antonello Fiori ed i soci Davide
Rossetti, Silvia Pasquini, Francesca Manca.
Ospiti dei soci: di Marcello Caletti il dr. Giovanni
Caria e gentile signora, il dr. Carlo Spano e gentile
signora, di Salvatore Ferro, la dr.ssa Maria Cristina
Biggio, l’avv. Oreste Bencardino, il dr. Alessandro
Fasciolo, il dr. Giuseppe Tondini, la dr.ssa Sarah
Hirsch, il dr. Carlo Pinna, l’ing. Luca Baltolu, il figlio
Enrico, di Riccardo Lasic la madre Paola, di Marcello
Marchi la sorella Cecilia, di Mauro Rosella il colonnello Marco Torchiani e gentile signora.
9 GENNAIO 2014
“I CONTRATTI DI CONVIVENZA”
Relatore: il socio VITTORIO GIUA MARASSI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Ettore Atzori, Giovanni Barrocu, Ercole Bartoli, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo
Carcassi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu,
Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias, Silvano Costa,
Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro,
Mario Figus, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua Marassi,
Vittorio Giua Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Marcello
Marchi, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni,
Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo
Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Mirella Campus, Maria Rosaria Corona, Maria Corrias,
Giuseppina Giua Marassi.
16 GENNAIO 2014
“IL RINNOVAMENTO SCOLASTICO NEL
TESSUTO SOCIALE DELLA SARDEGNA”
Relatore: professoressa VALENTINA SAVONA,
dirigente scolastico del liceo Dettori e dell’istituto
Tuveri di Cagliari
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Lucio Artizzu, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Carlo Carcassi, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesco Danero, Angelo
Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore
Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi,
Giorgio La Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu,
Mauro Manunza, Marcello Marchi, Cecilia Onnis,
Larry Pagella, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Michele
Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Maria
Rosaria Corona, Paola Deplano, Lina Fois.
23 GENNAIO 2014
“L’8 SETTEMBRE 1943 IN SARDEGNA
TRA CRONACA E STORIA”
Relatore: il socio UGO CARCASSI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu,
Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria
Campus, Carlo Carcassi, Ugo Carcassi, Giovanni Cascìu, Guido Chessa Miglior, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore
Ferro, Mario Figus, Gaetano Giua Marassi, Giorgio La
Nasa, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale
Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis,
Larry Pagella, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo
Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Teresa Lostia di Santa Sofia, Tiziana Masnata.
Ospiti del Club: i giovani del Rotaract Club Cagliari col Presidente dr. Antonello Fiori, il socio onorario prof. Eugenio Lazzari.
Ospiti dei soci: di Ugo Carcassi il dr. Piero Loriga,
la signora Tiziana Pusceddu, il dr. Carlo Figari e gentile consorte, di Francesco Birocchi il signor Bepi Anziani e la signora Flavia Corda.
30 GENNAIO 2014
“LA SCIENZA TRA PASSATO E FUTURO”
Relatore: professor MICHELE CAMEROTA, docente
di Storia della Scienza all’Università di Cagliari
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi,
Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Rafaele
Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Angelo
Deplano, Paola Dessì, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Alberto Lai, Riccardo
Lasic, Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis, Larry Pagella,
Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi
Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Luisella Chessa Miglior, Rita Cocco Ortu.
Ospiti del Club: il dr. Gabriele Andria Segretario
Distretto 2080 Sardegna.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu Vanda
Porcu, la signora Teresa Cortese Porcu, il signor Luciano Porcu e la dr.ssa Rossella Ricciardi.
giugno 2014 —
6 FEBBRAIO 2014
ASSEMBLEA DEI SOCI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Giovanni
Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu,
Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero,
Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai
Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore
Fozzi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi,
Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele
Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu.
13 FEBBRAIO 2014
“ALDILÀDELMARE”
Relatore: DANIELA ZEDDA, fotografa
I soci: Angelo Aru, Efisio Baire, Giovanni Barrocu,
Francesco Birocchi, Giovanni Maria Campus, Carlo
Carcassi, Giuseppe Cascìu, Paolo Ciani, Alberto Cocco
Ortu, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Alfonso
Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Gaetano Giua
Marassi, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni,
Larry Pagella, Franco Passamonti, Enzo Pinna, Gianpaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele
Rossetti, Pier Francesco Staffa.
Sono presenti in sala le signore: Maria Vittoria Carcassi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Lenza,
Tiziana Masnata, Giovanna Passamonti.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Enrico
Salone e signora.
20 FEBBRAIO 2014
“NIENTE È PICCOLO DI CIÒ CHE È FATTO
PER AMORE”
Relatore: professor GIOVANNI PERETTI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni Maria Campus, Carlo
Carcassi, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias, Silvano Costa, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Francesca Cozzoli, Angelo Deplano,
Marinella Ferrai Cocco Ortu, Mario Figus, Salvatore
Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua Marassi,
Riccardo Lasic, Salvatore Lostia di santa Sofia,
Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni, Larry Pagella, Enzo Pinna, Luigi Puddu,
Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Andrea Rusconi.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu,
Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Rita Dedola, Maria Rosaria Corona, Maria Corrias, Paola Deplano,
Paola Dessì, Luisanna Giua Marassi, Giuseppina Giua
Marassi.
Ospiti dei soci: di Rafaele Corona la figlia avv. Elisabetta Corona col marito avv. Enrico Salone ed il
fratello ing. Giovanni Corona e gentile signora dr.ssa
Rotary Club Cagliari
Fernanda Levanti, di Riccardo Lasic l’ing. Anna Maria
Corona.
Ospiti del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari, l’ing. Gabriele Peretti.
27 FEBBRAIO 2014
“IL CASO STAMINA”
Relatore: il socio CARLO CARCASSI
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu,
Ercole Bartoli, Francesco Birocchi, Antonio Cabras,
Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Guido
Chessa Miglior, Rafaele Corona, Piergiorgio Corrias,
Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero,
Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Giorgio La Nasa, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Andrea Lixi,
Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni,
Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Domenico Porcu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez,
Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu,
Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Vittoria Carcassi, Maria Rosaria Corona, Lia Lixi, Vanda Porcu,
Maura Rossetti.
Ospiti del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari.
6 MARZO 2014
“L’AVVOCATO CON LE STELLETTE”
Relatore: avv. MASSIMILIANO MASIA del Foro di
Cagliari, maggiore dell’Esercito Italiano
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Angelo Aru, Giovanni Barrocu,
Francesco Birocchi, Guido Chessa Miglior, Alberto
Cocco Ortu, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Giancarlo Deidda, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco
Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro,
Mario Figus, Giuseppe Fois, Riccardo Lasic, Antonio
Lenza, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza,
Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Giampaolo
Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Lenza.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu il cognato
avv. Giovanni Maria Dedola.
13 MARZO 2014
“PAGARE LE TASSE È BELLO”
Relatore: professor FRANCO PICCIAREDDA
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni
Maria Campus, Carlo Carcassi, Giovanni Cascìu, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Vincenzo Cincotta, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco
Danero, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu,
Salvatore Ferro, Mario Figus, Giuseppe Fois, Alessio
Grazietti, Giorgio La Nasa, Alberto Lai, Riccardo
Lasic, Stefano Liguori, Andrea Lixi, Mauro Manunza,
75
Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo
Pinna, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez, Michele Rossetti, Giovanni
Sanjust di Teulada, Pier Francesco Staffa.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Luisella Chessa Miglior, Franca Cincotta.
Ospiti del club: i giovani del Rotaract, il Procuratore Generale della Repubblica e Presidente della
Commissione Tributaria Regionale dr. Ettore Angioni,
l’avv. Italo Doglio rappresentante del Governatore
distretto Rotary 2080.
Ospiti dei soci: di Margherita Mugoni Contini la
sorella dr.ssa Maria Giovanna Mugoni.
20 MARZO 2014
“SU BANDIDORI”
Relatore: il socio MAURO MANUNZA
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Giovanni Barrocu, Francesco
Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus,
Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Paolo Ciani, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco
Danero, Angelo Deplano, Marinella Ferrai Cocco
Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Gaetano Giua
Marassi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Margherita Mugoni Contini,
Maria Luigia Muroni, Cecilia Onnis, Larry Pagella,
Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Domenico Porcu,
Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Marco Rodriguez,
Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Rita
Cocco Ortu, Mariangela Manunza, Vanda Porcu.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia.
27 MARZO 2014
“LA PENA DETENTIVA OGGI. PROBLEMI
E PROSPETTIVE”
Relatore: dott. CARLO RENOLDI
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Angelo Cherchi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco
Ortu, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Giorgio La
Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni,
Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo
Pinna, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Mauro Rosella,
Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Antonella Cherchi, Luisella Chessa Miglior,
Rita Cocco Ortu, Maria Grazia Rosella.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia.
76
Rotary Club Cagliari — giugno 2014
3 APRILE 2014
Cittadella dei Musei di Cagliari:
“L’ISOLA DELLE TORRI. GIOVANNI
LILLIU E LA SARDEGNA NURAGICA”
Visita guidata alla mostra
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Carlo Carcassi, Giulia Casula, Rafaele Corona, Salvatore Ferro, Giuseppe Fois,
Gaetano Giua Marassi, Giorgio La Nasa, Maria Pia
Lai Guaita, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi,
Mauro Manunza, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Alessandro
Palmieri, Giampaolo Piras, Gianpaolo Ritossa, Marco
Rodriguez, Michele Rossetti, Giulia Vacca Cau.
Sono presenti le signore: Maria Luisa Barrocu,
Marina Birocchi, Maria Vittoria Carcassi, Maria Rosaria Corona, Lina Fois, Lia Lixi, Patrizia Palmieri,
Loredana Piras, Giuseppina Ritossa, Diana Rodriguez.
Ospiti del club: i giovani del Rotaract.
La visita è stata apprezzata anche da numerosi
amici e parenti dei soci.
10 APRILE 2014
“DALLE LASTRE AL DIGITALE”
Relatore: il socio GIOVANNI MARIA CAMPUS
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus,
Giuseppe Cascìu, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Paolo Ciani, Vincenzo Cincotta, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Silvano Costa, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus,
Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Salvatore Lostia di Santa Sofia, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale
Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia
Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Antonella
Cherchi, Franca Cincotta, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria Corona, Paola Dessì, Maria Teresa Lostia di
Santa Sofia, Maria Grazia Rosella,
Ospite del Club: il socio onorario Eugenio Lazzari.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Enzo Pinna il dr. Maurizio Corona.
24 APRILE 2014
“SPLENDORI DELLE CORTI ITALIANE:
GLI ESTE ALLA REGGIA DELLA VENARIA
REALE”
Relatore: dottor STEFANO CASCÌU, Soprintendente
per i Beni Storici ed Artistici di Modena e Reggio Emilia
Sono presenti
I soci: Michele Bajorek, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Giuseppe Cascìu, Giovanni Cascìu, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano Costa,
Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Marinella Fer-
rai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Andrea Lixi, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Cecilia
Onnis, Alessandro Palmieri, Larry Pagella, Domenico
Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Haydee Cascìu, Antonella Cherchi, Maria Rosaria Corona, Lia Lixi, Elisabetta Sanjust.
Ospiti dei soci: di Marcello Marchi la sorella Cecilia, di Marinella Ferrai Cocco Ortu il figlio avv. Francesco Cocco Ortu.
8 MAGGIO 2014
“L’ITALIANO CE LA FARÀ?”
Relatore: professoressa CRISTINA LAVINIO,
docente di Linguistica Educativa nella Facoltà di
Lettere dell’Università di Cagliari
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio
Cabras, Carlo Carcassi, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Francesco Danero, Salvatore Ferro, Mario
Figus, Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita, Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Giuseppe Masnata, Pasquale Mistretta,
Roberto Nati, Giampaolo Piras, Paola Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro
Rosella, Michele Rossetti.
Sono presenti in sala le signore: Maria Vittoria Carcassi, Antonella Cherchi, Maria Rosaria
Lenza, Giuseppina Ritossa, Maria Grazia Rosella.
Ospiti del club: Marinella Fanti.
Ospiti dei soci: di Michele Bajorek il sig. Antonio
Facci, di Marcello Marchi la sorella Cecilia.
15 MAGGIO 2014
“AIUTARE I GENITORI AD AIUTARE I
FIGLI”
Relatore: dottoressa GIUSEPPINA FINOCCHIARO,
pediatra e psicoterapeuta
Sono presenti
I soci: Lucio Artizzu, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Marcello Caletti, Carlo Carcassi, Angelo Cherchi, Rafaele Corona, Silvano
Costa, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro,
Alessio Grazietti, Gaetano Giua Marassi, Vittorio Giua
Marassi, Alberto Lai, Riccardo Lasic, Giuseppe Masnata, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni,
Cecilia Onnis, Larry Pagella, Enzo Pinna, Domenico
Porcu, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Franco Staffa.
Sono presenti in sala le signore: Maria Artizzu, Marina Birocchi, Maria Gabriella Caletti, Antonella Cherchi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria
Corona, Rossana Grazietti, Tiziana Masnata, Carola
Oddini Carboni, Vanda Porcu, Giuseppina Ritossa,
Maria Grazia Rosella.
Ospiti del club: la dr.ssa Teresa Vodret, la dr.ssa
Enrica Casu, I giovani del Rotaract.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Domenico Porcu la signora Gloriana Sollai, di Vittorio Giua Marassi il dr. Michele
Musio e gentile signora.
22 MAGGIO 2014
“LA MAGGIORANZA HA SEMPRE
RAGIONE?”
Relatore: il socio RAFAELE CORONA
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Marcello Caletti, Giovanni
Campus, Giovanni Cascìu, Giuseppe Cascìu, Angelo
Cherchi, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu,
Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Alfonso Dessì,
Marinella Ferrai Cocco Ortu, Mario Figus, Salvatore
Fozzi, Gaetano Giua Marassi, Maria Pia Lai Guaita,
Riccardo Lasic, Antonio Lenza, Caterina Lilliu, Andrea
Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Cecilia Onnis, Larry Pagella,
Franco Passamonti, Enzo Pinna, Luigi Puddu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di
Teulada.
Sono presenti in sala le signore: Marina Birocchi, Elia Maria Cabras, Maria Gabriella Caletti, Antonella Cherchi, Rita Cocco Ortu, Maria Rosaria
Corona, Maria Rosaria Lenza Mariella Mistretta, Giovanna Passamonti, Tiziana Masnata, Carola Oddini
Carboni, Vanda Porcu, Giuseppina Ritossa, Maria
Grazia Rosella.
Ospiti del club: Il dr. Antonello Fiori presidente
del Rotaract Club Cagliari.
Ospiti dei soci: di Alberto Cocco Ortu l’avv. Massimiliano Masia, di Rafaele Corona i figli Maurizio
ed Elisabetta, il genero avv. Enrico Salone ed i nipoti.
29 MAGGIO 2014
“L’ACQUA COME SIMBOLO”
Relatore: il socio onorario EUGENIO LAZZARI
Sono presenti
I soci: Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Campus, Giuseppe Cascìu, Angelo Cherchi, Rafaele Corona,
Francesca Cozzoli, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Maria Pia Lai Guaita,
Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro
Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta,
Maria Luigia Muroni, Cecilia Onnis, Larry Pagella,
Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti.
Sono presenti in sala le signore: Antonella
Cherchi, Maria Rosaria Corona.
Ospiti del club: l’ing. Andrea Lazzari e gentile signora.
Ospiti dei soci: di Marcello Marchi la sorella Cecilia.
ROTARY INTERNATIONAL – DISTRETTO 2080 ITALIA
ROTARY CLUB CAGLIARI
ORGANIGRAMMA DEL CLUB
Anno Rotariano 2014 / 2015
Presidente
Mario FIGUS
E-mail: [email protected]
Presidente
uscente
Francesco BIROCCHI
E-mail: [email protected]
Presidente
eletto
Stefano
ODDINI CARBONI
E-mail: [email protected]
Vice Presidenti
Salvatore FOZZI
Michele ROSSETTI
E-mail: [email protected]
E-mail: [email protected]
Segretario
Cecilia ONNIS
E-mail: [email protected]
Tesoriere
Salvatore FERRO
E-mail: [email protected]
Prefetto
Riccardo LASIC
E-mail: [email protected]
Consiglieri
Ettore ATZORI
E-mail: [email protected]
Ginevra BALLETTO
E-mail: [email protected]
Giorgio LA NASA
E-mail: [email protected]
Maria Luigia MURONI E-mail: [email protected]
I
l portone in bronzo donato dal nostro Rotary alla chiesa di San Lucifero, parrocchia
della Beata Vergine del Rimedio, è opera
dell’artista Piergiorgio Gometz di Dorgali, alto
4 metri e 24 cm e largo 2 metri e 40 cm è stato fuso
nel Laboratorio artistico di Augusto Mascia.
Al centro della parte alta è rappresentata, in bassorilievo, la Beata Vergine del Rimedio che offre una
borsa con dei denari a san Giovanni de Matha, fondatore dei Trinitari (che officiarono la chiesa per lungo tempo). L’Ordine, nato per liberare i cristiani
schiavi dei saraceni, era posto sotto la protezione
della Beata Vergine del Rimedio.
Alla sinistra della Vergine è rappresentato san
Lucifero con i paramenti vescovili.
Nelle due ante, suddivise in 12 formelle, sono rappresentati i santi Pietro e Paolo, Cosma e Damiano,
Domenico, Fulgenzio e le sante Cecilia e Barbara (lato
sinistro). Efisio e Saturnino, Lussorio, Cesello e Camerino, Eusebio, Giacomo e le sante Caterina e Lucia (lato destro). Le maniglie rappresentano i quattro evangelisti.
Si ringrazia la F ONDAZIONE B ANCO DI S ARDEGNA
per il contributo concesso.