339 Geni di straordinaria follia:Layout 1

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339 Geni di straordinaria follia:Layout 1
n° 339 - marzo 2009
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Geni di straordinaria follia
Un viaggio nella mente umana per indagare il rapporto che esiste tra pazzia e creatività con i mezzi che la scienza e la storia dell’arte ci mettono a disposizione
L’artista riporta ciò che
vede, ciò che ricorda oppure ciò che immagina,
il cervello reagisce di
fronte alla realtà e allo
stesso tempo è capace di
cambiarla, di interpretarla e un cervello “diverso” con un rapporto
insolito con la realtà produce interpretazioni “diverse” e sicuramente originali. Gli studi sulla
creatività fanno notare
come il disagio mentale
possa dimostrarsi un
buon veicolo per la conoscenza degli aspetti
più intimi appartenenti
alla sfera dell’inconscio,
aspetti che “normalmente” resterebbero nascosti, e di come lo stesso
disagio sia importante
per lo sviluppo della capacità di immaginare e
innovare, caratteristiche
proprie della produzione
creativa. I cosiddetti
“geni” sono coloro che
possiedono spiccate capacità di creatività, originalità e anche eccentricità e spesso sono anche particolarmente esposti al pericolo della sofferenza psichica. Il rapporto tra disagio mentale e produzione artistica è il tema che affronta la mostra Arte, Genio, Follia. Il giorno e la
notte dell’artista che si è
aperta a Siena il 31 gennaio scorso e sarà visitabile fino al 25 maggio
prossimo. Con l’esposizione di oltre trecento
opere, tra cui anche quelle
dei protagonisti della
scena artistica moderna
e contemporanea, provenienti da musei di tutta
Europa, si cerca di affrontare l’inquietante
tema della follia nei suoi
rapporti con l’arte e il
genio, di entrare nella
mente degli artisti attraverso l’analisi delle
opere col sostegno dell’indagine scientifica.
Nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi con la collaborazione della Fondazione Antonio Mazzotta, si trova nel Complesso Museale di Santa
Maria della Scala ed è
suddivisa in diverse sezioni, affidate alla cura
di grandi nomi nel
campo della psichiatria
e dell’arte.
La mostra si apre con
la sezione intitolata “La
scena della follia” che affronta l’emarginazione
e il riscatto dei “folli”
iniziando con due opere
fiamminghe di cui una
(Le concert dans l’oeuf) attribuita a Hieronymus
Bosch, per arrivare a una
serie di manufatti realizzati da pazienti in ospedali psichiatrici a dimostrazione di come la creatività non si distribuisca solo fra i “normali”.
La sezione si sviluppa attraverso tappe scandite
cronologicamente: dal
Medioevo, quando i malati di mente venivano
abbandonati su grandi
navi alla deriva verso la
“Mattagonia”, un’isola
Hieronymus Bosch (attr.): Le concert dans l’oeuf - Lille, Musée de Beaux-Arts
Franz Xavier Messerschmidt: Testa di carattere
lontana, reame della follia, per poi ripercorrere
la vita nei manicomi del
XVII secolo, raccontata
con incisioni e strumenti
medici di cura, fino all’avvento della cultura
positivista in cui si mette
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in evidenza l’aspetto biologico della malattia
mentale.
Sicuramente uno degli
artisti che meglio riesce
a rappresentare il binomio genio-follia, è lo
scultore tedesco Franz
Xavier Messerschmidt
presente alla mostra con
alcuni esempi delle sue
Teste di carattere modellate nella seconda metà
del Settecento: una suggestiva galleria di busti
a grandezza naturale raffiguranti esasperate mimiche facciali, espressioni del volto che l’artista riproduceva ponendosi davanti allo specchio e pizzicandosi in
varie parti del corpo.
Tutto ciò per sfuggire
alle minacce dei propri
demoni; egli, infatti, dotato di grande capacità
di scolpire il corpo
umano, si sentiva da questi continuamente minacciato (primo fra tutti
dal “demone delle proporzioni”) e proprio per
sfuggire alla loro ira aveva
escogitato bizzarri stratagemmi come questo.
“Genio e follia al tempo
di Nietzsche” è il titolo
della sezione, forse la più
importante, che presenta
i capolavori di Van Gogh,
Munch, Strindberg e
Kirchner, tutti artisti
sui quali sono stati condotti ampi studi sul rapporto tra problemi psichici e creatività, protagonisti al tempo del filosofo tedesco, simbolo,
lui stesso, del disagio
mentale. Se fino ad allora i filosofi si potevano
permettere di sostenere
anche cose “diverse”, ma
comunque riconducibili
a un ordine razionale che
governa la mente, l’opera
di Nietzsche dimostra,
al contrario, l’ingover-
nabilità della sua mente.
Tra le opere presenti in
mostra: Il giardiniere di
Vincent Van Gogh, l’artista “matto” per eccellenza, rappresentato non
a caso da un’opera compiuta durante il ricovero
nella struttura di Saint
Rémy de Provence; il Ritratto di Erna di Ernst
Ludwig Kirchner, un
“matto vero” che però si
rende conto di come l’alterazione mentale possa
giocare a favore della
creatività; Murder di Edward Munch, artista
molto vicino alla pazzia
e suo grande interprete.
In questa sezione si ripercorre un secolo di follia in cui la società borghese e le istituzioni accettano l’esser matto purché associato all’essere
artista, rispondendo a
quella sensibilità bohémienne che riconosce all’arte quella sorta di,
quasi necessaria, diversità, tanto da indurre un
artista come Munch a
comportarsi come folle,
a sfiorare la malattia mentale senza peraltro restarne mai coinvolto veramente, e diventare uno
degli artisti maggiormente legati alla rappresentazione della pazzia
riuscendo a dipingerne
l’incarnazione nelle angoscianti deformazioni
di corpi e paesaggi.
Il ‘900 è stato un secolo
che ha posto inevitabilmente il tema della
guerra al centro dell’opera
per molti artisti e dal
momento in cui la fotografia li aveva liberati
dall’impegno di dover
raccontare in modo descrittivo l’evento, essi si
sono sentiti liberi di concentrarsi sugli aspetti
più intimi e sui risvolti
emotivi raccontando ciò
Vincent Van Gogh: Il giardiniere - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e
Contemporanea
Edvard Munch: Murder - Oslo, Kommunes Kunstsamlinger
Ernst Ludwig Kirchner: Ritratto di Erna - Davos, Kirchner Museum
che non può essere visto, ma che appartiene
all’inconscio. Otto Dix,
Mario Mafai, Renato
Guttuso e Gorge Grosz
interpretano la sezione
dedicata a questo argomento: “Follia collettiva: la guerra nello
sguardo degli artisti”
che, attraverso tormentosi impasti di segno e
di colore esplora e in-
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carna la tragedia bellica
filtrata dagli occhi dell’artista che inevitabilmente vi ha assistito.
Allo stesso tema, fa riferimento anche uno dei
famosi arazzi di Guernica, esposto all’ingresso
della mostra, straordinario nell’esprimere le
reazioni emotive al
dramma collettivo, la
guerra civile spagnola
nello specifico, e che, per
questa sua efficacia, è diventato anche simbolo
della pace.
Dopo aver documentato
il manicomio come luogo
dove si cerca di curare la
malattia, si cerca di esaminare le creazioni artistiche che vengono prodotte all’interno delle
strutture di cura, passando in rassegna la raccolta dello psichiatra
Hans Prinzhorn a Heidelberg e l’Art Brut di
Jean Dubuffet. La Collezione Prinzhorn è la
più ricca raccolta di opere
provenienti dai manicomi di tutta Europa che
prende appunto il nome
dallo psicoterapeuta che
l’ha curata. In questa sezione si vuole fare notare
il punto di vista, decisamente inedito, dello
psichiatra che considera
la malattia come “uno
dei modi possibili di essere uomini” e soprattutto artisti, esponendo
quella parte del lavoro
tesa alla considerazione
delle manifestazioni artistiche psicopatologiche come quelle capaci
anche di svelare i problemi dei pazienti così
da poterli affrontare.
La parte dedicata alla
“Collection de L’Art
Brut”, voluta dal pittore
francese Jean Dubuffet,
racconta, invece, la follia come molla stessa del-
l’invenzione, come uno
stato necessario alla generazione creativa, un
esempio dalla raccolta
di Losanna è costituito
da una selezione dell’opera di Adolf Wölfli,
manovale e contadino
tedesco internato a Berna
per schizofrenia che riversò la propria necessità di esprimersi su qualsiasi cosa, riviste, giornali, fotografie rielaborandole secondo un
suo criterio artistico che
si avvaleva della ripetitività ossessiva di un singolo elemento e dalla sovrapposizione armonica
di motivi diversi.
Due casi rappresentativi
del rapporto fra arte e
follia sono presentati nel
segmento dedicato a
Carlo Zinelli e Antonio
Ligabue. Il primo, che
rappresenta pienamente
la concezione di Dubuffet della valorizzazione
di opere realizzate in contesti assolutamente estranei agli ambienti artistici tradizionali, è presentato con una serie di
dipinti dallo stile che ricorda quello dei primitivi e dei bambini, ma
con un’armonia compositiva da autentiche opere
d’arte, opere concepite
fuori dalle norme convenzionali, ma dotate
della spontaneità che lascia spazio alla libera
espressione dell’inconscio. Altro maestro che
spesso e frettolosamente
è definito naïf, è colui
che incarna il mito del
“buon selvaggio”: Antonio Ligabue in mostra
con una serie di tredici
tele a olio, dagli autoritratti, in cui si specchia
un uomo triste e sfiduciato, che lasciano leggere tutte le sue paure e
la totale mancanza di au-
tostima, alle opere che
rappresentano la natura
con raffigurazioni di animali e belve feroci che
riportano un’immagine
della realtà crudele e
piena di conflitti. Proprio nei confronti degli
animali che raffigurava,
Ligabue cercava una sorta
di identificazione, egli
provava infatti a immedesimarvisi completamente cercando di riprodurne versi, atteggiamenti e movenze.
La sezione conclusiva
della mostra, che affronta
“La lucida follia nell’arte
del XX secolo”, si articola in tre sottosezioni.
Una sottosezione fa riferimento al Surrealismo, movimento fondato agli inizi degli anni
’20 del secolo scorso dallo
scrittore André Breton,
in omaggio a Freud, padre della psicoanalisi. A
seguito della pubblicazione de “L’interpretazione dei sogni” dello
psicoanalista austriaco,
Breton sostiene l’importanza dell’espressione
onirica nel complesso
della natura umana e la
necessità di liberare nell’uomo le forze dell’inconscio anche nello stato
di veglia. I surrealisti si
proiettano, infatti, nell’irrazionale dell’inconscio che, nella dimensione del sogno, trova la
completa espressione
poiché libero da qualsiasi vincolo di ordine
morale, etico o culturale.
In mostra sono presenti
opere di autori come André Masson, Max Ernst
e Victor Brauner che aiutano la lettura del movimento nelle sue caratteristiche peculiari: l’instabilità, la mutevolezza,
la deformazione della
forma e dello spazio e
Otto Dix: Menschen in Trümmern - Vaduz, Otto
Dix Stiftung
Franz Karl Bühler: Das Selbst - Heidelberg,
Sammlung Prinzhorn
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tutti gli artifici necessari per ricreare quello
stato di percezione onirica nella più totale mancanza di regole propria
dell’inconscio.
In un’altra sottosezione
si affrontano le considerazioni sul disegno inteso come la prima forma
di espressione dell’inconscio e di come si provi
a ottenerlo “artificialmente”, cercando di perdere ogni controllo razionale del gesto, anche
attraverso l’assunzione
di sostanze stupefacenti.
Viene presa in esame
l’opera di Henri Michaux, che lavorava principalmente sotto l’effetto
della mescalina e di altri allucinogeni così da
ampliare i campi della
propria coscienza e l’opera
di Unica Zürn, compagna del surrealista Hans
Bellmer, che affiancava
in queste sperimentazioni Michaux nei confronti del quale dimostrava una notevole complicità artistica e affinità
psichica. L’ultima sottosezione, che indaga la
“lucida follia” del secolo
scorso, osserva quel movimento viennese che a
partire dagli anni ’60 ha,
più di ogni altro, affrontato il tema della follia:
il Wiener Aktionismus.
Attraverso l’appropriazione dei tratti più cupi
di una teatralità violenta,
Carlo Zinelli: “Ballerine” nere su sfondo giallo Verona, Collezione privata
Antonio Ligabue: Autoritratto con sciarpa rossa - Parma, Centro Studi
& Archivio Antonio Ligabue
spettacolare e tragica,
passando dal masochismo alla pura crudeltà,
considera il corpo come
l’estensione della superficie pittorica per farlo
divenire opera stessa in
tutte le sue possibili trasformazioni.
Ecco che si conclude questo viaggio tra creatività
e follia compiuto attraverso l’indagine storicoscientifica dell’evoluzione del rapporto fra la
pazzia e la società oltre
ai suoi vari modi di manifestarsi: quando questa è vissuta, la malattia
mentale vera e propria;
quando è subita, la follia collettiva della guerra;
quando addirittura è cercata o indotta, l’alterazione portata da sostanze
stupefacenti, un viaggio
che si conclude in questa sede, ma che affronta
un dibattito che rimane
sicuramente sempre
aperto.
francesca bardi
Victor Brauner: Le ver luisant - Paris, Musée d’Art
Moderne, Centre Pompidou