scritti di don stefano
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scritti di don stefano
UN SOGNO LUNGO UNA NOTTE ANNO 2011 313 Un sogno lungo una notte Un episodio Non avrei mai immaginato che in vecchiaia mi sarei dato alla regia riscuotendo anche particolari successi. Lo dimostra la sacra rappresentazione della Natale del Signore che è stato per tutti, protagonisti e familiari, un momento magico di gioia e di canto. Un grazie a chi ha collaborato per quest’opera donando tempo e denaro perché i bambini trascorressero un momento di sogno. 314 Le congratulazioni Ma quello che è accaduto dopo è tutto da raccontare, perché mi impone delle durissime scelte. L’altro ieri, lo dico solo ora, una telefonata alle 11 30 di sera. Una voce di donna molto sensuale dice: “le passo il maestro Zeffirelli”. Mi sono sentito preso in giro ma era proprio lui. Si congratulava con me per la regia e finiva col propormi di collaborare con lui, nella regia, nel prossimo suo lavoro all’Arena di Verona, “quattro asini scolpiti in un blocco di farina”. La paga sarebbe stata interessante. Ho lasciato dicendo: ci penserò”. Ieri mattina i giornali già riportavano la notizia in prima pagina: “un nuovo mostro nel santuario del teatro nazionale”. Telefonate a tutto campo. Il cardinale: “pensaci seriamente, se intendi lasciare la parrocchia. Il mondo del teatro non è fatto per te, che sei semplice”. Telefonate anche da sconosciuti, da attori famosi, anche americani il cui inglese non ho capito. L’unica voce fuori del coro è il Giornale di Feltri che ben sapendo il mio pensiero politico su Berlusconi pensa che io possa con interviste e articoli sollevare una rivolta popolare. Oggi, questa mattina, mi è arrivato attraverso la questura dal Ministero dell’arte e dello spettacolo, biglietti d’aereo per andare a prender i 10 oscar assegnatomi. Partirò il 1 aprile con un aereo dell’aviazione militare accompagnato da una decina di persone, anche il medico personale e una crocerossina, sperando gradevole. Speriamo che non ci siano attentati. 315 Il viaggio Il primo aprile noi, i ragazzi ed io, previa una telefonata di augurio del maestro Zeffirelli, siamo partiti per ritirare gli Oscar guadagnati con perizia nei giorni di Natale. Non vi racconto l’entusiasmo, l’allegria di tutti, anche un poco preoccupati per questo nostro primo volo. L’aereo promesso dall’aviazione militare non è stato concesso, vi spiegherò poi il perché. Siamo partiti con un aereo civile della società Paraculense, del Paraguay, denominata Never air. Ad uno Stewart sull’aereo abbiamo chiesto perché questo strano nome e ci ha risposo con una punta di orgoglio che si chiama così Never, mai, perché non atterra quasi mai. Però quando atterra assicura lo Stewart, tutti i pezzi dei passeggeri risultano al loro posto. La testa sulle spalle, le braccia volteggiano come sempre, le gambe agili desiderose di fuggire corrono più di Speedy Gonzales al punto che le vedi lontane e solitarie. Per quanto riguarda l’intimo non ci sono sondaggi che possano attestare eventuali spostamenti corporei. Durante la transvolata i ragazzi mi hanno chiesto perché era stata annullata la decisione di godere dell’aviazione militare. Con una telefonata al ministro della difesa abbiamo saputo di un tentativo di attentato alle nostre persone. Durante una ispezione era stato trovato sulla poltrona a me assegnata un coccodrillo di peluche. Chi l’avrà mai messo? Facendolo cantare hanno decifrato il canto. Era un messaggio per me di Al Qaeda: “Maledetto, troverai pane duro per i tuoi enti”. Come fanno a sapere che ho pochi denti? Questi servizi segreti degli stati sono meravigliosi, sanno quasi tutto. 316 Dopo ore di volo un avviso dalla cabina del comandante: “Signori, si atterra”. Non posso anzi non sono i grado di raccontare il terrore, la paura di tutti noi. Volti viola, occhi fuori dalle orbite, mani al cielo per invocare protezione; Paola e Flora abbracciate piangevano, Roberto e Giuseppe con i giubbotti sulla testa per non vedere, Elisabetta che dice: “dovevo sentire papà e non venire”, e l’aereo frattanto sulla pista saltellava come le rane nel pantano fino a quando passammo in un hangar uscendo dall’altra parte e poi si fermò. Io con la corona tra le mani dicevo di non perdere il controllo della situazione, “sii esempio di fortezza”, e nel frattempo mi ritrovo bagnato: Non ho mai saputo se era la bottiglia dell’acqua minerale rovesciatasi oppure altro. Poi la calma. Eravamo atterrati ed integri. Ma molti piangevano ancora. Abbiamo cercato Alfonso per un quarto d’ora: era andato in bagno e vi era rimasto chiuso per tutto il tempo dell’atterraggio. Lo abbiamo liberato mediante spallate del personale dell’aereo. Ma non si era accorto di niente. Un pullman ci porta all’esterno. E sorpresa: due macchine di grossa cilindrata ci aspettano per portarci all’albergo prenotato. Chi le guida? Non ci crederete mai. George Clooney e Brad Pitt. A George prima di salire in macchina ho chiesto di guardare nel suo borsone altrimenti non saremo saliti. “Why? Perché?” “Voglio vedere se hai delle cialde del Nescafè nella borsa. Non mi và di sentire un pianoforte scendere dal cielo e sfracellarsi su di noi”. OH yes! E aprendo il borsone trovo che non ha cialde di Nescafè. E allora mi sento sicuro. Saliamo. 317 Nell’altra macchina c’è Brad Pitt molto loquace e dice che è piacevole essere ammirato. Parla del suo successo con le donne, della propria insuperabile arte amatoria, quando all’improvviso Vincenzo che è l’unico in età di matrimonio abbracciando la sua fidanzata, Stefania, gli chiede: “quanti figli avete?” E lui, Brad Pitt, con orgoglio risponde: “quattro, ma tutti adottati”. E vai! È il commento di uno che ride, e una pernacchia violenta, con classe, musicale di Willy. E tutti ridono e non dico altro. In serata siamo in albergo. 318 In albergo L’albergo presso il quale i gentilissimi George e Brad ci conducono si chiama La Torre non solo perché sembra tale dall’alto ma anche perché consente a chi vuole suicidarsi per la pesantezza del conto di poterlo fare facilmente, data la sua struttura gigantesca ed enormi terrazze con comodi trampolini sul vuoto che ti consentono senza sforzi di tuffarti nel vuoto. La hall è circolare e la reception anche. Ci sono te giovani uomini in divisa ed una donna di mezza età anch’essa in divisa e molto gentile. Appena ci vede incomincia a piangere per l’emozione. E’ di Napoli e a Napoli aveva assistito alla nostra sacra rappresentazione, beautiful, bella e indica Willy e Chiara, bravi. E piange e piange anche quando sarà in tv per una intervista. Piange in diretta tv e in diretta renale. La periferia della hall è circolare con otto colonne che a due a due costeggiano gradinate di marmo di differenti colori. I gradini di marmo bianco portano alle stanza degli ospiti, quelli di marmo verde pistacchio alla sala delle conferenze, quelli di opalina nera al restaurant e locali per divertirsi, la quarta di opalina rosa alle piscine sopraelevate. Ai ragazzi vengono assegnate stanze singole al primo piano, a me una dependance all’ottavo piano veramente presidenziale, solo che l’ascensore quella sera era guasto. Sono salito su una sedia sollevato da quattro lift in livrea. Ci siamo ritrovati a sera nella sala pranzo ed abbiamo scambiato le nostre impressioni. Avreste dovuto vedere la gioia dei ragazzi. Nella sala enorme trecento tavoli occupati da turisti multimiliardari. Tovaglie finissime e servizio di porcellana, posate d’argento, bicchieri di cristallo e dietro un cameriere 319 per versare il vino. Qualcuno ci guarda, qualcuno sorride. Aragoste e champagne ed altro ancora. Durane il pranzo chiacchiero con i ragazzi dando loro dei consigli. “Quando domani saremo intervistati badate di non presentarvi con il vostro nome italiano e come buoni ragazzi di famiglie perbene perché qui amano gli avventurieri e dissoluti. Tu per esempio, Flora, dirai di essere polacca di origine e ti chiami Wajassakosky. Dirai che per la miseria anni fa ti hanno venduta a un vecchio italiano che ti ha portato in Italia e che sei riuscita a sfuggirgli trovando alloggio nella nostra comunità. Mi raccomando piangi. Tu Roberto dirai di essere romano e di chiamarti Rob er Palo. Dici di aver conosciuto la droga già all’età di un anno col ciucciotto amorevolmente dato da una madre affettuosa e già in quell’età avevi progetti di fantastiche avventure che ti hanno portato in riformatorio. Hai trovato noi e ti sei salvato. Tu Willy potresti dire di aver vissuto nelle strade strette dei vicoli di Napoli con la sola compagnia del cane. Willy e il cane preoccupazione costante della polizia per essere ladri di macchine fuoriserie. Tu le aprivi e il cane le guidava”. E agli altri parlo con enfasi quando due cose mi colpiscono. Stefania che incomincia a piangere ed Emilio Fede con due brasiliane che spuntano dall’ingresso e che si seggono ad un tavolo in prossimità del nostro. “Stefania perché piangi”, dice Vincenzo con affetto. “Ho vergogna a dirtelo: mi sono innamorata di Brad Pitt”. Un pugno sul tavolo e una parolaccia di Vincenzo e un mio sguardo severo. I ragazzi sono attenti, Maria Chiara. “Come corri, Stefania!” La cena sembrerebbe rovinata se non fosse per i ragazzi che hanno portato giù gli strumenti musicali e incominciano a suonare attirando l’attenzione dei presenti. A 320 un certo momento saltano sulle rispettive sedie e suonano Bolero, che è una musica molto sensuale forse erotica. E quando l’hanno imparata? Non l’avessero mai fatto. Su un tavolo lontanuccio, con salto su di esso, Angelina Jolie incomincia a volteggiare in maniera osè mentre gli altri commensali si alzano in piedi per ritmare con le mani il pezzo musicale e per imitazione molte altre belle donne la imitano. Bolero incalza e la confusione cresce. E allora sono tentato anch’io. Mi alzo, metto sulle mani dei piatti e dico ad Elisabetta: “prendine altri”. Poi mi volto e li lancio in lontananza cercando di colpire gli avventori. Cadono sui tavoli, qualcuno su persone. Uno con mia grande soddisfazione sulla testa di Emilio Fede che sbatte il naso nel piatto ritirandolo sporco di sangue o di salsa. Interviene il servizio d’ordine e torna la calma. Il ristorante è un campo di battaglia, ma siamo soddisfatti. Questa è vita. Stefania nel frattempo piange guardando una foto di Brad mentre torna Vincenzo con una foto di Angelina Jolie. Tieh! Mentre accompagnavo i ragazzi al primo piano mi hanno chiesto di uscire per vedere qualcosa della città. E’ tardi, dico, ma insistono e allora raccomando loro di stare insieme, non abbandonare il corso principale per vicoli stretti e bui e poi di segnare sulla carta il percorso fatto per non smarrirsi al ritorno. Salutati tutti e affidando i più giovani ai grandi sono salito nel mio appartamento all’ottavo piano. 321 La doccia Vorrei fare una doccia, penso, ma come fare, da solo non ne sono capace. Mi reco nel bagno e trovo due docce e una vasca con idromassaggio che escludo immediatamente. Poi leggo: “doccia per abili, doccia per disabili” ed è qui che sono entrato: tre pulsanti. Quale premere visto che non conosco la lingua e allora seguo l’ordine sul muro. Premo il primo pulsante e dalle pareti si staccano due braccia metalliche provviste di spugne insaponate e si sente un sottile e gradevole profumo e una voce calda che dice: “si avvicini di qualche decina di centimetri” e quando hai obbedito ti insaponano le spalle e altro, poi, “si volti verso lo specchio” e ti insaponano il davanti, un passaggio sul collo e sui talloni. Premo il secondo pulsante e sono innaffiato da moltissimi getti d’acqua. Infine il terzo pulsante permette la fuoriuscita di vapore che ti asciuga lentamente. Mi sembra di essere entrato in una lavatrice ultramoderna. Uscito dalla doccia mi metto sul letto. E’ proprio tardi. Improvvisamente il porti ere di notte chiede se posso ricevere George Clooney. Non posso rifiutare, l’incontro avviene nello studio attiguo. “Ciao George, è stata una giornata stupenda e piena di sorprese. Sono contento di vederti”. “Anch’io. Sai ti ho portato un regalo perché ti trovo intelligente, molto, e simpatico”. Ed estraendo dalla borsa una moka express mi procura un volto verde e l’inizio della paura. E mentre mette delle cialde sul tavolo dice: “qui, caffè mai come a Napoli, ma domani potrai assaggiare un caffè degno di Napoli per vivere bene un’altra giornata. Domani c’è l’intervista. Saranno in molti ad essere presenti”. E nel vedere le cialde inorridisco. 322 So già cosa accadrà. E prima di ogni mio pensiero un boato, e dal cielo, squarciando tutto un pianoforte colpisce George che cade a terra, forse morto. L’urto sbalza anche me lontano che cado battendo fortemente la testa sul pavimento tanto forte da perdere coscienza. E mi par di sentire una voce lontana che dice:” ehi George, l’hai voluto tu, te l’avevo detto non dargliele”. 323 L’elogio della pazzia Silvana e Svetlana sono appena uscite dal Cardarelli quando i ragazzi si appressano per chiedere informazioni. “Come sta?” “Da poco ha ripreso conoscenza e trovandosi in un reparto su una lettiga ha incominciato a sbraitare: Perché sono qui? Gli abbiamo raccontato che Svetlana questa mattina l’ha trovato nel bagno, a terra, da molte ore, privo di conoscenza e con una ferita alla testa. Nella notte era scivolato ferendosi e perdendo i sensi. Come ci ha visto non ci ha riconosciute e quando l’abbiamo chiamato parroco si è infuriato. Nero in volto. Sono padre di cinque figli e non sono un prete. Sono il premier, e volete farmi passare per pazzo. Siete due donne manipolate dall’opposizione o due pazze. Ma non riuscirete ad eliminarmi dalla vita politica, il popolo mi ha eletto e non vado via. Chiamatemi Ghedini, deve querelare queste due pazze. Quando l’infermiera ha chiesto: chi è Ghedini, signore? Mi chiami Signor presidente o anche Silvio. Ghedini è il mio avvocato”. I ragazzi sono sbigottiti. “Silvana, che dici, guarirà?” “Non lo so, sarebbe un vero guaio. Uno è troppo, due una catastrofe.” 324