scritti di don stefano

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scritti di don stefano
UN SOGNO LUNGO
UNA NOTTE
ANNO 2011
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Un sogno lungo una notte
Un episodio
Non avrei mai immaginato che in vecchiaia mi sarei dato alla
regia riscuotendo anche particolari successi. Lo dimostra la
sacra rappresentazione della Natale del Signore che è stato per
tutti, protagonisti e familiari, un momento magico di gioia e
di canto. Un grazie a chi ha collaborato per quest’opera donando tempo e denaro perché i bambini trascorressero un
momento di sogno.
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Le congratulazioni
Ma quello che è accaduto dopo è tutto da raccontare, perché
mi impone delle durissime scelte. L’altro ieri, lo dico solo ora,
una telefonata alle 11 30 di sera. Una voce di donna molto
sensuale dice: “le passo il maestro Zeffirelli”. Mi sono sentito
preso in giro ma era proprio lui. Si congratulava con me per
la regia e finiva col propormi di collaborare con lui, nella regia,
nel prossimo suo lavoro all’Arena di Verona, “quattro asini
scolpiti in un blocco di farina”. La paga sarebbe stata interessante. Ho lasciato dicendo: ci penserò”.
Ieri mattina i giornali già riportavano la notizia in prima pagina: “un nuovo mostro nel santuario del teatro nazionale”.
Telefonate a tutto campo.
Il cardinale: “pensaci seriamente, se intendi lasciare la parrocchia. Il mondo del teatro non è fatto per te, che sei semplice”.
Telefonate anche da sconosciuti, da attori famosi, anche americani il cui inglese non ho capito. L’unica voce fuori del coro
è il Giornale di Feltri che ben sapendo il mio pensiero politico
su Berlusconi pensa che io possa con interviste e articoli sollevare una rivolta popolare.
Oggi, questa mattina, mi è arrivato attraverso la questura dal
Ministero dell’arte e dello spettacolo, biglietti d’aereo per andare a prender i 10 oscar assegnatomi. Partirò il 1 aprile con
un aereo dell’aviazione militare accompagnato da una decina
di persone, anche il medico personale e una crocerossina, sperando gradevole.
Speriamo che non ci siano attentati.
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Il viaggio
Il primo aprile noi, i ragazzi ed io, previa una telefonata di
augurio del maestro Zeffirelli, siamo partiti per ritirare gli
Oscar guadagnati con perizia nei giorni di Natale. Non vi racconto l’entusiasmo, l’allegria di tutti, anche un poco preoccupati per questo nostro primo volo. L’aereo promesso
dall’aviazione militare non è stato concesso, vi spiegherò poi
il perché. Siamo partiti con un aereo civile della società Paraculense, del Paraguay, denominata Never air. Ad uno Stewart
sull’aereo abbiamo chiesto perché questo strano nome e ci ha
risposo con una punta di orgoglio che si chiama così Never,
mai, perché non atterra quasi mai. Però quando atterra assicura lo Stewart, tutti i pezzi dei passeggeri risultano al loro
posto. La testa sulle spalle, le braccia volteggiano come sempre, le gambe agili desiderose di fuggire corrono più di Speedy
Gonzales al punto che le vedi lontane e solitarie. Per quanto
riguarda l’intimo non ci sono sondaggi che possano attestare
eventuali spostamenti corporei.
Durante la transvolata i ragazzi mi hanno chiesto perché era
stata annullata la decisione di godere dell’aviazione militare.
Con una telefonata al ministro della difesa abbiamo saputo di
un tentativo di attentato alle nostre persone. Durante una
ispezione era stato trovato sulla poltrona a me assegnata un
coccodrillo di peluche. Chi l’avrà mai messo? Facendolo cantare hanno decifrato il canto. Era un messaggio per me di Al
Qaeda: “Maledetto, troverai pane duro per i tuoi enti”. Come
fanno a sapere che ho pochi denti? Questi servizi segreti degli
stati sono meravigliosi, sanno quasi tutto.
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Dopo ore di volo un avviso dalla cabina del comandante: “Signori, si atterra”.
Non posso anzi non sono i grado di raccontare il terrore, la
paura di tutti noi. Volti viola, occhi fuori dalle orbite, mani al
cielo per invocare protezione; Paola e Flora abbracciate piangevano, Roberto e Giuseppe con i giubbotti sulla testa per
non vedere, Elisabetta che dice: “dovevo sentire papà e non
venire”, e l’aereo frattanto sulla pista saltellava come le rane
nel pantano fino a quando passammo in un hangar uscendo
dall’altra parte e poi si fermò.
Io con la corona tra le mani dicevo di non perdere il controllo
della situazione, “sii esempio di fortezza”, e nel frattempo mi
ritrovo bagnato: Non ho mai saputo se era la bottiglia dell’acqua minerale rovesciatasi oppure altro. Poi la calma.
Eravamo atterrati ed integri. Ma molti piangevano ancora.
Abbiamo cercato Alfonso per un quarto d’ora: era andato in
bagno e vi era rimasto chiuso per tutto il tempo dell’atterraggio. Lo abbiamo liberato mediante spallate del personale
dell’aereo. Ma non si era accorto di niente.
Un pullman ci porta all’esterno. E sorpresa: due macchine di
grossa cilindrata ci aspettano per portarci all’albergo prenotato. Chi le guida? Non ci crederete mai. George Clooney e
Brad Pitt.
A George prima di salire in macchina ho chiesto di guardare
nel suo borsone altrimenti non saremo saliti. “Why? Perché?”
“Voglio vedere se hai delle cialde del Nescafè nella borsa.
Non mi và di sentire un pianoforte scendere dal cielo e sfracellarsi su di noi”. OH yes! E aprendo il borsone trovo che
non ha cialde di Nescafè. E allora mi sento sicuro. Saliamo.
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Nell’altra macchina c’è Brad Pitt molto loquace e dice che è
piacevole essere ammirato. Parla del suo successo con le
donne, della propria insuperabile arte amatoria, quando
all’improvviso Vincenzo che è l’unico in età di matrimonio
abbracciando la sua fidanzata, Stefania, gli chiede: “quanti figli
avete?” E lui, Brad Pitt, con orgoglio risponde: “quattro, ma
tutti adottati”. E vai! È il commento di uno che ride, e una
pernacchia violenta, con classe, musicale di Willy. E tutti ridono e non dico altro. In serata siamo in albergo.
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In albergo
L’albergo presso il quale i gentilissimi George e Brad ci conducono si chiama La Torre non solo perché sembra tale
dall’alto ma anche perché consente a chi vuole suicidarsi per
la pesantezza del conto di poterlo fare facilmente, data la sua
struttura gigantesca ed enormi terrazze con comodi trampolini sul vuoto che ti consentono senza sforzi di tuffarti nel
vuoto. La hall è circolare e la reception anche. Ci sono te giovani uomini in divisa ed una donna di mezza età anch’essa in
divisa e molto gentile. Appena ci vede incomincia a piangere
per l’emozione. E’ di Napoli e a Napoli aveva assistito alla
nostra sacra rappresentazione, beautiful, bella e indica Willy e
Chiara, bravi. E piange e piange anche quando sarà in tv per
una intervista. Piange in diretta tv e in diretta renale. La periferia della hall è circolare con otto colonne che a due a due
costeggiano gradinate di marmo di differenti colori. I gradini
di marmo bianco portano alle stanza degli ospiti, quelli di
marmo verde pistacchio alla sala delle conferenze, quelli di
opalina nera al restaurant e locali per divertirsi, la quarta di
opalina rosa alle piscine sopraelevate. Ai ragazzi vengono assegnate stanze singole al primo piano, a me una dependance
all’ottavo piano veramente presidenziale, solo che l’ascensore
quella sera era guasto. Sono salito su una sedia sollevato da
quattro lift in livrea.
Ci siamo ritrovati a sera nella sala pranzo ed abbiamo scambiato le nostre impressioni. Avreste dovuto vedere la gioia dei
ragazzi. Nella sala enorme trecento tavoli occupati da turisti
multimiliardari. Tovaglie finissime e servizio di porcellana,
posate d’argento, bicchieri di cristallo e dietro un cameriere
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per versare il vino.
Qualcuno ci guarda, qualcuno sorride. Aragoste e champagne
ed altro ancora. Durane il pranzo chiacchiero con i ragazzi
dando loro dei consigli. “Quando domani saremo intervistati
badate di non presentarvi con il vostro nome italiano e come
buoni ragazzi di famiglie perbene perché qui amano gli avventurieri e dissoluti. Tu per esempio, Flora, dirai di essere polacca di origine e ti chiami Wajassakosky. Dirai che per la miseria anni fa ti hanno venduta a un vecchio italiano che ti ha
portato in Italia e che sei riuscita a sfuggirgli trovando alloggio
nella nostra comunità. Mi raccomando piangi. Tu Roberto dirai di essere romano e di chiamarti Rob er Palo. Dici di aver
conosciuto la droga già all’età di un anno col ciucciotto amorevolmente dato da una madre affettuosa e già in quell’età
avevi progetti di fantastiche avventure che ti hanno portato in
riformatorio. Hai trovato noi e ti sei salvato. Tu Willy potresti
dire di aver vissuto nelle strade strette dei vicoli di Napoli con
la sola compagnia del cane. Willy e il cane preoccupazione costante della polizia per essere ladri di macchine fuoriserie. Tu
le aprivi e il cane le guidava”. E agli altri parlo con enfasi
quando due cose mi colpiscono. Stefania che incomincia a
piangere ed Emilio Fede con due brasiliane che spuntano
dall’ingresso e che si seggono ad un tavolo in prossimità del
nostro. “Stefania perché piangi”, dice Vincenzo con affetto.
“Ho vergogna a dirtelo: mi sono innamorata di Brad Pitt”. Un
pugno sul tavolo e una parolaccia di Vincenzo e un mio
sguardo severo. I ragazzi sono attenti, Maria Chiara. “Come
corri, Stefania!” La cena sembrerebbe rovinata se non fosse
per i ragazzi che hanno portato giù gli strumenti musicali e
incominciano a suonare attirando l’attenzione dei presenti. A
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un certo momento saltano sulle rispettive sedie e suonano Bolero, che è una musica molto sensuale forse erotica. E quando
l’hanno imparata? Non l’avessero mai fatto. Su un tavolo lontanuccio, con salto su di esso, Angelina Jolie incomincia a volteggiare in maniera osè mentre gli altri commensali si alzano
in piedi per ritmare con le mani il pezzo musicale e per imitazione molte altre belle donne la imitano. Bolero incalza e la
confusione cresce. E allora sono tentato anch’io. Mi alzo,
metto sulle mani dei piatti e dico ad Elisabetta: “prendine altri”. Poi mi volto e li lancio in lontananza cercando di colpire
gli avventori. Cadono sui tavoli, qualcuno su persone. Uno
con mia grande soddisfazione sulla testa di Emilio Fede che
sbatte il naso nel piatto ritirandolo sporco di sangue o di salsa.
Interviene il servizio d’ordine e torna la calma. Il ristorante è
un campo di battaglia, ma siamo soddisfatti. Questa è vita.
Stefania nel frattempo piange guardando una foto di Brad
mentre torna Vincenzo con una foto di Angelina Jolie. Tieh!
Mentre accompagnavo i ragazzi al primo piano mi hanno
chiesto di uscire per vedere qualcosa della città. E’ tardi, dico,
ma insistono e allora raccomando loro di stare insieme, non
abbandonare il corso principale per vicoli stretti e bui e poi di
segnare sulla carta il percorso fatto per non smarrirsi al ritorno. Salutati tutti e affidando i più giovani ai grandi sono
salito nel mio appartamento all’ottavo piano.
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La doccia
Vorrei fare una doccia, penso, ma come fare, da solo non ne
sono capace. Mi reco nel bagno e trovo due docce e una vasca
con idromassaggio che escludo immediatamente. Poi leggo:
“doccia per abili, doccia per disabili” ed è qui che sono entrato: tre pulsanti. Quale premere visto che non conosco la
lingua e allora seguo l’ordine sul muro. Premo il primo pulsante e dalle pareti si staccano due braccia metalliche provviste di spugne insaponate e si sente un sottile e gradevole profumo e una voce calda che dice: “si avvicini di qualche decina
di centimetri” e quando hai obbedito ti insaponano le spalle e
altro, poi, “si volti verso lo specchio” e ti insaponano il davanti, un passaggio sul collo e sui talloni. Premo il secondo
pulsante e sono innaffiato da moltissimi getti d’acqua. Infine
il terzo pulsante permette la fuoriuscita di vapore che ti
asciuga lentamente. Mi sembra di essere entrato in una lavatrice ultramoderna.
Uscito dalla doccia mi metto sul letto. E’ proprio tardi. Improvvisamente il porti ere di notte chiede se posso ricevere
George Clooney. Non posso rifiutare, l’incontro avviene nello
studio attiguo. “Ciao George, è stata una giornata stupenda e
piena di sorprese. Sono contento di vederti”. “Anch’io. Sai ti
ho portato un regalo perché ti trovo intelligente, molto, e simpatico”. Ed estraendo dalla borsa una moka express mi procura un volto verde e l’inizio della paura. E mentre mette delle
cialde sul tavolo dice: “qui, caffè mai come a Napoli, ma domani potrai assaggiare un caffè degno di Napoli per vivere
bene un’altra giornata. Domani c’è l’intervista. Saranno in
molti ad essere presenti”. E nel vedere le cialde inorridisco.
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So già cosa accadrà. E prima di ogni mio pensiero un boato,
e dal cielo, squarciando tutto un pianoforte colpisce George
che cade a terra, forse morto. L’urto sbalza anche me lontano
che cado battendo fortemente la testa sul pavimento tanto
forte da perdere coscienza. E mi par di sentire una voce lontana che dice:” ehi George, l’hai voluto tu, te l’avevo detto
non dargliele”.
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L’elogio della pazzia
Silvana e Svetlana sono appena uscite dal Cardarelli quando i
ragazzi si appressano per chiedere informazioni. “Come sta?”
“Da poco ha ripreso conoscenza e trovandosi in un reparto
su una lettiga ha incominciato a sbraitare: Perché sono qui?
Gli abbiamo raccontato che Svetlana questa mattina l’ha trovato nel bagno, a terra, da molte ore, privo di conoscenza e
con una ferita alla testa. Nella notte era scivolato ferendosi e
perdendo i sensi. Come ci ha visto non ci ha riconosciute e
quando l’abbiamo chiamato parroco si è infuriato. Nero in
volto. Sono padre di cinque figli e non sono un prete. Sono il
premier, e volete farmi passare per pazzo. Siete due donne
manipolate dall’opposizione o due pazze. Ma non riuscirete
ad eliminarmi dalla vita politica, il popolo mi ha eletto e non
vado via. Chiamatemi Ghedini, deve querelare queste due
pazze. Quando l’infermiera ha chiesto: chi è Ghedini, signore?
Mi chiami Signor presidente o anche Silvio. Ghedini è il mio
avvocato”.
I ragazzi sono sbigottiti. “Silvana, che dici, guarirà?” “Non lo
so, sarebbe un vero guaio.
Uno è troppo, due una catastrofe.”
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