ZAINET MARZO 2012:Layout 1
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ISSN 2035-701X Lo okSm all’int art erno N° 2 - MARZO 2012 G FENOMENI I O V A N I R E P O R T E R “Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 2 Anno 2012”- € 0,70 C’è chi dice no Elena Guerrini: il mio libro per sfidare l’eterno tabù del grasso A pagina 18 TEATRO Colazione da Tiffany Il romanzo-mito sulle scene così com’era A pagina 22 MUSICA Incredibile Ed Ed Sheeran, vincitore ai Brit Awards, ci racconta la sua inaspettata ascesa A pagina 24 INCHIESTA Il diavolo veste Omsa Le operaie licenziate per spostare la produzione in Serbia. Le loro storie, la nostra vergogna A pagina 4 La primavera delle ragazze 2 Marzo 2012 A cura di Greta Pieropan, 18 anni Antispot IL TRIONFO DELLA RETORICA n°2 marzo Direttore responsabile Renato Truce Vice direttore Lidia Gattini In redazione Maria Elena Buslacchi Chiara Falcone Simona Neri Redazione di Torino corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To) tel. 011.7072647 - fax 011.7707005 e-mail: [email protected] Quante volte avete visto una bandiera attorcigliata all’asta a causa del vento? Quante volte avete visto una donna voler provare che Darwin aveva ragione e arrampicarsi come una scimmietta per sbrogliare la suddetta bandiera? Se pensate che non possa mai accadervi nella vita, vi sbagliate. Basta accendere il televisore e imbattersi nello spot che pubblicizza l’aumento di capitale di Unicredit. La musica trionfale di sottofondo dovrebbe già metterci in guardia, ma la telecamera inquadra una giovane che con sguardo sicuro si ferma a guardare la bandiera impigliata, un profondo respiro, la musica in crescendo, si toglie il cappellino, poi le scarpe, si avvicina all’asta, si arrampica e… la bandiera torna a sventolare libera e felice! Non contenti di averci fatto assistere a questo atto eroico, gli autori dello spot inquadrano anche i passanti che si sono fermati ad ammirare l’azione mentre applaudono, orgogliosi della loro connazionale! Ovviamente nel frattempo la musica ha raggiunto l’apice del trionfo, ma lo spot non ancora: manca la voce fuori campo che pronta interviene e dice: “Se avete bisogno di azioni concrete, partecipate all’aumento di capitale…”. Il trionfo della retorica - se crediamo che dietro la frase “azioni concrete” non ci sia una battuta mal riuscita - per uno spot che sembra lanciare il classico messaggio dei cittadini che devono aiutare l’Italia a uscire da una situazione intricata e prendere l’iniziativa, avere coraggio… tutte parole sentite e risentite, che in questo particolare periodo non aiutano molto, anzi, scatenano l’insofferenza degli spettatori. Sarebbe stato meglio uno spot molto più semplice! Redazione di Genova Via Cairoli, 11 - 16124 Genova tel. 010.8936284 - 010.8937769 - 010.261466 e-mail: [email protected] Redazione di Roma via Nazionale, 5 - 00184 Roma tel. 06.47881106 - fax 06.47823175 e-mail: [email protected] Hanno collaborato Dal laboratorio Attualità: Simona Neri (supervisione giornalistica) Marzia Mancuso, Kalliroi, Chiara Gianusso, Michela Ciuffetelli, Michela Eusani, Marta Fabrizi, Alfarida Hoxha, Raffaele Manieri, Chiara Mattei, Flavia Placidi, Evelina Podennikh, Riccardo Risdonne, Manuel Romano Dal laboratorio Giovani Critici: Maria Elena Buslacchi (supervisione giornalistica) Chiara Colasanti, Elena Prati, Giulia Iani, Martina Pi, Davide Ghio, Laura Santi Amantini, Valeria Firriolo, Matteo Franzese, Mattia Marzi, Paolo Nataloni, Beatrice Feudale, Alice Golisano, Federica D’Angelantonio, Maddalena Messeri Dal laboratorio Costume e Società: Chiara Falcone (supervisione giornalistica) Serena Mosso, Andrea Lombardi, Valentina Fazio, Vittoria Nari, Luca Pertuso, Marco Miano, Manuela Storace, Simona Mesiano, Virginia Lupi, Greta Pieropan C’È MINI E MINI Può essere molto rischioso realizzare una pubblicità comparativa, le regole sono molto rigide in questi casi; ma in anni di Antispot abbiamo imparato che i creativi inventano qualcosa di nuovo ogni minuto che passa (nuovo, non sempre buono!). Così, basta usare dei giochi di parole e far scattare nella mente dello spettatore, per associazione di idee, un’immagine ben precisa e diversa da quella proposta, e lasciar fare a chi guarda l’eventuale confronto. Facciamo un esempio: se vi dicessi “mini” e voi foste lettori accaniti di “LookSmart”, pensereste subito a una gonna, ma se subito dopo vi facessi capire che parlo di auto, non cambierebbe l’immagine che avete pensato? Questo è proprio l’inizio dello spot Fiat per la nuova Punto, che propone fotogrammi di ragazze con gonne molto corte e la frase “questa è la mini che amiamo” e poi immagini della Punto, “questa è l’auto che ci piace”. Si continua con esempi di “polo” e “fiesta”, con gli immancabili sombrero sulla testa di alcuni invitati. Il gioco di parole crea un sorrisino complice in chi guarda. È ovviamente uno spot indirizzato ai giovani, ne sono la prova i protagonisti e la colonna sonora. Peccato per l’espediente di aprire lo spot indugiando sulle “gonne” delle ragazze, vecchio come il mondo; ma, nel complesso, l’obiettivo di lasciare agli altri il confronto diretto è raggiunto. Alla fine i giochi di parole funzionano quasi sempre. Bocciati!!! La moglie grassa, l’amante bona. Non è il titolo di un film pecoreccio degli anni Settanta, ma la filosofia che sta dietro alla pubblicità della Ashleymadison.com, portale di incontri extraconiugali, ormai presente anche in Italia. Nel cartellone, segnalato sul sito comunicazionedigenere.wordpress.com - appaiono due figure femminili: una, la supermodella, è indicata come “la tua amante”, la seconda, la signora in carne, è come “tua moglie”. Messaggio che in un colpo solo riesce ad essere offensivo per le mogli e per le signore con qualche chilo in più. Complimenti! Impaginazione Gianni La Rocca Web designer e illustrazioni Giorgia Nobile Fotografie e fotoservizi Valentina Fazio, Circolo di Sophia, Massimiliano T., Fotolia I giovani reporter utilizzano NikonD3100 Sito web: www.zai.net - Francesco Tota Editore Mandragola Editrice società cooperativa di giornalisti via Nota, 7 - 10122 Torino Zai.net Lab Anno XI / n. 2 - marzo 2012 Autorizzazione del Tribunale di Roma n° 486 del 05/08/2002 Abbonamento sostenitore: 25 euro Abbonamento studenti: 7 euro (10 numeri) Servizio Abbonamenti MANDRAGOLA Editrice s.c.g. versamento su c/c postale n° 73480790 via Nazionale, 5 - 00184 Roma Questa testata fruisce dei contributi statali diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250. Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana “Gioca il giusto”, invita la Sisal nell’ultimo spot del Superenalotto. Tralasciando l’ipocrisia della frase, fa indignare il modo diverso di rappresentare le aspirazioni di uomini e donne. Ecco ragazzi che sognano di fondare scuderie, di diventare produttori di vino o di film, presidenti di squadre di calcio, ecc. La donne? Sognano parchi per i figli e “un futuro splendente”, ma sempre per i figli. L’unica che non è ritratta nel solito ruolo di mamma è una ragazza che fa il bagno in una vasca schiumosa e brama champagne. Aspirazioni professionali? Ma de che. W l’Italia! Hanno collaborato a questo numero Stampa San Biagio Stampa S.p.A. via al Santuario N.S. della Guardia, 43P43Q 16162 Genova Concessionaria Pubblicitaria Publirama S.p.A. Foro Buonaparte, 69 - 20121 Milano Luoghi comuni in rosa SERENA MOSSO Studentessa di Storia, che non è mai una cosa savia. Aspirante scrittrice e attrice di teatro con svariati complessi messianici, il che è ancora più sospetto. Letture tipiche: Kerouac, Ende, Orwell e Teoria del Colpo di Stato. Insomma, qualcuno di sovversivo. Adora fare cose strane, per avere poi delle belle storie da raccontare; le piacciono il rock, Chagall e mangiare cose cucinate da altri. Un giorno conquisterà un Nobel, poi il mondo intero. VALERIA FIRRIOLO Valeria, 17 anni, vive a Genova e frequenta il liceo classico “Cristoforo Colombo”. Ha moltissimi interessi tra cui lo sport, viaggiare, la musica e uscire con gli amici. Da grande non sa ancora cosa vorrebbe fare: sicuramente sarà sempre pronta a mettersi in gioco. Crede fortemente nel futuro e la sua filosofia di vita le dice: “Carpe Diem”. Attualmente si sta cimentando nel rendere la redazione di Radio Jeans della scuola più attiva e partecipata. MATTIA MARZI «Criticare vuol dire analizzare tutto, anche se stessi. Mettere in discussione dai dettagli alle scelte importanti, fino al mondo che ci rappresenta, anzi al quale apparteniamo o crediamo di appartenere in un dato momento». È la frase che ha scelto Mattia, 17 anni, per presentarsi. Ha un’unica grande passione: la musica. Canta, scrive canzoni, suona il pianoforte. Si definisce un artista a tutto tondo, spesso incompreso, senza peli sulla lingua. FEDERICA D’ANGELANTONIO Federica, 17 anni, di Roma, è una di quelle persone troppo impulsive a cui tutti consigliano di contare fino a 10 prima di fare qualcosa. Per ora frequenta un liceo scientifico, scelta che definirebbe un errore di gioventù, e poi vorrebbe studiare lettere all’università. La letteratura è la sua passione più grande. La scrittura è ciò che riempie l’altra metà della sua vita. Tiene diari fin dalle elementari e ultimamente ha aperto un blog. 3 Marzo 2012 Attualità Last minute INFOWEB www.eurydice.org Stop ai tagli Il ministro dell’Istruzione Profumo ha tranquillizzato: non sarebbero al momento in vista ulteriori tagli per la scuola. Prof giovani: l’eterna utopia tempo di lettura: 7 minuti Focus. I docenti italiani sono i più anziani d’Europa Non è una scuola per vecchi Quella che prima era solo una sensazione oggi si conferma una realtà: gli insegnanti del nostro Paese sono in assoluto i più “vecchi” d’Europa e il ricambio generazionale si fa attendere. Quali conseguenze per gli studenti? Marzia Mancuso, 19 anni H o pensato a lungo a quale sarebbe stato il miglior approccio per il tema di questo articolo: il dato di partenza viene dall’Unione Europea, che nei giorni scorsi ha presentato a Bruxelles un rapporto intitolato “Dati chiave sull’istruzione in Europa nel 2012”. Sotto la lente d’ingrandimento i sistemi d’istruzione di trentatre Stati europei, quelli coinvolti nel Lifelong Learning Programme 2007-2013, tra i quali rientra l’Italia. Per quanto riguarda il nostro Paese, accanto a dati interessanti, ma anche in parte noti, come l’esiguità delle risorse economiche destinate all’istruzione terziaria o la maggiore percentuale di occupazione per chi consegue il diploma, spicca quello sull’età anagrafica media dei docenti. Il 57,8% dei professori italiani nelle scuole superiori ha più di cinquant’anni. Ora, qui sta la difficoltà: come spiegare con chiarezza perché si tratta di un dato fortemente negativo? Per una volta non voglio analizzare la situazione partendo dal problema del precariato. Su quel fronte la risposta è ovvia: alzare l’età pensionabile e mantenere in servizio un personale già in età avanzata non può che danneggiare chi ancora non ha avuto modo di inserirsi nella scuola e vede come un miraggio posti di lavoro destinati a non liberarsi mai. Ma dal lato degli studenti, perché dovrebbe incidere l’avere in cattedra un docente un po’ in là con gli anni? Quando penso alla questione, l’immagine che mi torna in mente è un pranzo domenicale: una tavolata di parenti tra i quali mi trovavo ad essere l’unica nata dopo gli anni ’70. La conversazione cade inevitabilmente su politica ed elezioni e a me sfugge un commento sarcastico su quei politici che si fanno curare il profilo Facebook da un team di esperti, come se non fosse straordinariamente ridi- colo assumere dieci persone per aggiornare la pagina di un social network. Improvvisamente si rivolgono a me gli occhi incuriositi di tutti i presenti e vengo letteralmente travolta dalle domande più varie su “noi giovani” e le piattaforme virtuali. In quel momento mi sono resa conto di come, sebbene internet esista dagli anni Sessanta, per la maggior parte degli over cinquanta sia ancora fantascienza, magia oscura. Trasponiamo adesso questo gap generazionale nelle scuole: dall’altro lato della cattedra troviamo qualcuno che ignora totalmente ciò che, per le persone che ha di fronte, è il modo più naturale di comunicare, reperire e condividere informazioni. Qualcuno che non può immaginare, per fare un esempio assurdo, che il Bernardo Soares di Pessoa, ai nostri tempi, sarebbe potuto essere un blogger di successo, mentre Ungaretti un ottimo utilizzatore di Twitter. Il nozionismo, che rappresentava, purtroppo, il tratto distintivo dell’insegnamento fino a pochi anni orsono, viene oggi completamente travolto dalla disponibilità di qualsiasi dato in qualsiasi momento: un com- pito in classe in cui si richiedano semplici formule o date verrà svolto senza sforzo con l’ausilio di uno smartphone opportunamente occultato. La nuova sfida dell’insegnamento sta piuttosto nello spronare gli studenti a riflettere, far loro sviluppare uno spirito critico che li renda capaci di selezionare, nell’enorme mole di informazioni cui così facilmente accedono, quelle davvero affidabili ed utili alla loro formazione. Ricercare le fonti, approfondire gli argomenti invece che accontentarsi di raschiarne la superficie (un tipo di approccio, ahimé, molto comune). D’accordo, generalizzare non è mai corretto, e anche tra i docenti con qualche anno in più, e ai quali comunque riconosciamo l’esperienza come dote, c’è chi cerca di restare al passo con i tempi. Qualcuno magari ci riesce anche, qualcuno. Ma nella maggior parte dei casi parliamo di soggetti, tra l’altro, logorati da anni e anni di insegnamento, un mestiere per niente semplice e certo spossante: si può chiedere loro di fare un ulteriore sforzo e acquisire una preparazione La giovine Spagna L’Italia è il Paese che ha la più alta percentuale (57,8%) di professori ultracinquantenni nelle scuole secondarie, segue la Germania con il 50,7%. Contemporaneamente l’Italia ha la percentuale più bassa di docenti under 30 (0,5%), rispetto alla Germania (3,6%), alla Bulgaria (5,5%), ad Austria e Islanda (6%). La Spagna vanta un ottimo 6,8%. da cui sono stati sino ad ora del tutto estranei? Imparare un linguaggio mai usato prima, così da restringere l’abisso che li separa dai ragazzi cui si rivolgono ogni giorno in ogni classe? E se anche non fosse una crudeltà chiederlo, ne sarebbero capaci? Interpellata sulla questione Margherita Oggero, che oltre ad essere scrittrice di libri di successo (nonché dei racconti che hanno ispirato la fiction “Provaci ancora prof”) è stata anche insegnante, ci ha detto: «Certo, il divario d’età troppo largo tra studenti e docenti qualche volta non giova, nel senso che c’è il rischio di una lontananza di vedute e di modo di proporsi che rende difficile il dialogo educativo. D’altra parte i professori meno giovani, magari non tutti, hanno sulle spalle una maggior pratica dell’insegnamento e una capacità consolidata nel tempo e se amano il loro lavoro si adeguano anche sulle tecnologie, pur restando più difficile la comunicazione. Insomma, la verità sta un po’ a metà». E a noi andrebbe già bene avere anche solo una metà di insegnanti giovani. Oggi più che mai la comunicazione rappresenta un aspetto essenziale dell’insegnamento e importante, perché si realizzi al meglio, è la presenza di una base comune; per questo è fondamentale un rinnovamento regolare del personale nelle scuole. Professori più giovani, con alle spalle esperienze simili a quelle dei propri allievi. Per realizzare ciò si passa certo dal dare più dignità alla professione, a partire dal livello degli stipendi: lo stesso rapporto UE svela infatti come il numero di aspiranti insegnanti tra i laureati stia progressivamente scendendo, a causa di retribuzioni evidentemente troppo basse e prospettive di lavoro disarmanti. Non resta che sperare che i legislatori aprano gli occhi e rimedino in fretta all’imbarazzante stato dei fatti, anche se, constatandone l’età media, non è difficile intuire che ci metteranno un po’ a individuare il problema. Come si dice, la speranza è l’ultima a morire, questa però è di certo vicina alla pensione. 4 Marzo 2012 Attualità INFOWEB www.filctemcgil.it Inchiesta 239 Omsa, che scandalo! Le dipendenti Omsa che rischiano di perdere il lavoro senza la riconversione del sito. tempo di lettura: 18 minuti Lavoro. Quando i diritti si sfilano come calze Non siamo golden ladies Viaggio a Faenza, dove la fabbrica Omsa, noto marchio del mondo della calzetteria, chiuderà i battenti per riaprire in Serbia, complice il costo del lavoro bassissimo Kalliroi, 18 anni P ioggia battente a via Pana 92, a Faenza, una strada provinciale piena di stabilimenti e capannoni tra cui si erge, nella sua tipica architettura squadrata, la fabbrica della Omsa, uno dei marchi del gruppo Golden Lady, azienda leader del settore intimo/calze, che insieme a Calzedonia domina il mercato italiano e internazionale. Il cielo è grigio e non solo quello: il futuro delle 237 dipendenti della fabbrica è messo a repentaglio dalle scelte centrifughe del patron - o forse meglio dire padrone - Nerino Grassi, che ha deciso di delocalizzare parte della produzione in Serbia. Peccato che il risultato di questa manovra sia il licenziamento collettivo delle dipendenti di Faenza e la conseguente assunzione di operaie in Serbia, che verranno pagate - se va bene - un terzo. Insomma: lavoratrici mandate a casa di qua per sfruttarne altre di là. L’equazione a noi sembra abbastanza evidente, ma forse non appare così a tutti, dato che le operaie dello stabilimento sono in cassa integrazione da due anni, hanno una lettera di licenziamento in scadenza a metà marzo e ancora nessuna proposta concreta è stata fatta loro. Tra incontri a Roma al Ministero, presidi, sit-in, addirittura rappresentazioni teatrali, la protesta di questo gruppo di donne forti e determinate continua a montare e non avrà fine prima di una soluzione concreta. Abbiamo deciso di incontrarle lì, dove tutto è iniziato per molte di loro e dove, tra poco, potrebbe calare il sipario. «Sono 23 anni che lavoro qui: la mia giornata era fatta di gesti quotidiani sempre uguali, ogni giorno era scandito da movimenti ripetitivi. Certo, non era il lavoro più vario del mondo, ma era un lavoro e tanto basta – ci racconta Angela Cavalli, 45 anni –. Ho fatto vari sacrifici stando qui in tanti anni: mi alzavo la mattina alle 4.00 per i turni e quando facevo il pomeriggio sapevo che non avrei visto i miei bambini per tutto il giorno. Nonostante questo, però, Le operaie fuori dalla fabbrica ero consapevole di essere fortunata, di avere un lavoro che, seppur monotono, facevo con orgoglio. Oggi tutti i miei progetti si sono fermati: non sai nulla, non puoi programmare nulla; la nostra vita ora è in mano ad altri, io non mi considero più padrona della mia vita». Angela tiene in mano un cartello bianco, semplice, con su scritto: “Dicono che sono una cellula che muore, in realtà sono solo una donna che vuole lavorare”. Perché nella corsa al profitto la delocalizzazione è un pullulare di nuove cellule, a scapito delle vecchie da rottamare non perché meno produttive, ma perché costano troppo. Il lato oscuro e diabolico della globalizzazione spinge le aziende a risparmiare sul costo del lavoro per poter rimanere competitivi nel mercato, dove l’industria cinese sta prendendo sempre più piede in virtù (forse sarebbe meglio dire per colpa) dei salari più bassi e delle minori tutele dei dipendenti. Dopo la Fiat, la sindrome da fuga delocalizzante ha colpito un’altra azienda dal fatturato milionario: sul sito della Golden Lady si legge che il suo successo si fonda sulla “capacità di percepire e tradurre in pratica, in modo rapido, le necessità di cambiamento del mercato”. Detto, fatto: nel 2009 i 350 dipendenti della fabbrica faentina vengono messi in cassa integrazione. «Ad oggi hanno trovato lavoro 6 o 7 persone, 120 se ne sono andate con una buonuscita di 30mila euro, ma sono ancora a casa. Se sono disoccupati loro cosa dobbiamo aspettarci noi?», ci spiega Antonella Valgimigli, 45 anni, da 25 in Omsa. Dopo due anni di cassa arriva la ciliegina sulla torta, anzi lo spumante: poco prima di Capodanno le dipendenti ricevono via fax la notizia della chiusura definitiva dell’azienda e del conseguente licenziamento collettivo il prossimo 14 marzo 2012. Quale alternativa per le operaie? Al momento nessuna: dal mese di gen- naio si sono susseguiti vari incontri con le parti sociali al ministero del Lavoro, in cui si accenna timidamente alla possibilità di una riconversione e di un potenziale compratore, di cui però nessuno conosce l’identità. Lo scorso 22 febbraio si è ottenuta la cassa integrazione in deroga per altri sei mesi ma, nonostante molti lo abbiano definito un successo, si tratta di una magra consolazione. «La cassa integrazione non è il nostro obiettivo: noi vogliamo un lavoro. Io ho lavorato per 30 anni, volevo la mia pensione, e voglio continuare a lavorare, non trovarmi a dover accettare necessariamente un impiego in nero», protesta Nadia Leverani, 48 anni. «Io voglio la riconversione: che si facciano patate o pomodori non mi interessa, voglio un lavoro con i diritti che avevo», incalza Antonella. «Contrariamente alla soddisfazione generale, io rimango sempre più basita perché prima di tutto la proroga della cassa integrazione per me doveva esser abbastanza scontata e non una concessione. In più continuano a dirci cose che ci hanno già detto, parlando vagamente di un progetto che però è ancora in alto mare perché ha bisogno per l’80% di un finanziamento dalle banche. Il sospetto è che intanto Nerino Grassi se ne vada con la sua azienda e noi tra cinque mesi stiamo nella stessa situazione di oggi» commenta Samuela Meci, sindacalista della Filctem-Cgil che da sempre è in prima linea sulla vicenda Omsa. «Ci stanno vendendo fumo – continua – c’è chi canta vittoria perché c’è una possibilità occupazionale in un outlet. Ma prima di tutto è ancora in costruzione, inoltre, si tratta semplicemente di un impegno a far sostenere i colloqui di lavoro alle dipendenti Omsa in via privilegiata, che a casa mia non significa assunzione». E le istituzioni? Come scritto nel verbale dell’incontro fra la Golden Lady, Regione, Provincia, Comune, Mini- 5 Marzo 2012 Bomsa Il movimento nato sulla rete per boicottare tutti i prodotti del marchio Golden Lady, tra cui Omsa e Philippe Matignon. Golden sales Secondo quanto si apprende dal suo sito, la Golden Lady è fra le aziende leader del settore a livello mondiale, in continua espansione e con un fatturato in crescita. Ha 14 stabilimenti, di cui 2 in Serbia, 4 negli Stati Uniti e 8 in Italia. Al momento sono in chiusura lo stabilimento di Faenza e quello di Gissi. simbolo della vicenda si consumi questo macabro rito. «È lo specchio della società di oggi: fin tanto che stai bene, te ne freghi se gli altri non stanno bene come te. Io non auguro che a queste persone capiti quello che è successo a noi, ma certo spererei in un po’ di solidarietà. Qui invece sembra che la crisi dell’Omsa sia avvenuta da un’altra parte», ci racconta Marina Francesconi, 51 anni, che si può dire abbia passato la vita in quella fabbrica. «Io lavoro in Omsa da quando ho diciannove anni. Da quando sono in cassa integrazione, recupero insieme a pochissime altre mie colleghe 15 giorni a rotazione per 4 ore, cosa che è fatta apposta per non farci maturare ferie. La mia vita è cambiata tanto: prima pensavi di avere del tempo, ora non più. Hai rosicchiato tutti i soldi che avevi da parte, devi preoccuparti di ogni singola spesa». Come Angela, Nadia, Antonella e Marina, oltre 200 donne rischiano di non Lo stabilimento di Faenza stero e parti sociali: “Seguono attivamente il confronto in atto ed auspicano una conclusione positiva”. Dopo due anni e nessuna soluzione, giustamente la prima cosa da fare è auspicare. Continua Antonella, che ha grinta da vendere: «La politica non sta facendo nulla per questa crisi di lavoro, anzi permette a questi imprenditori di andare fuori, all’estero, senza pagare nulla. Dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza: li vorrei vedere io se continuerebbero a parlare così con 750 euro al mese. Io ai passatempi come la fabbrica non ho mai creduto: se una donna con famiglia si alza alle 4 per mille euro al mese raggiunti dopo 20 anni di anzianità significa che ha bisogno di lavorare, altrimenti se ne stava a casa a far grandi i propri figli». E grandi aiuti non sembrano arrivare nemmeno dalle istituzioni locali: «Qui sembra che il Comune non guardi di buon occhio queste donne perché hanno fatto casino: invece ne dovrebbe essere orgoglioso perché stanno portando avanti una battaglia di dignità. Il Sindaco dovrebbe essere con loro davanti ai cancelli», continua Samuela. E proprio a Faenza, dove non serve aprire il giornale per leggere della vicenda, le persone sembrano essere più distanti. Accanto allo stabilimento c’è un piccolo prefabbricato, un outlet della Golden Lady in cui le calze si vendono a prezzo scontato. Mentre aspettiamo di fare l’intervista arrivano varie auto di grossa cilindrata, da cui scendono donne dal passo svelto e dallo sguardo basso: entrano nel negozio e ne escono dopo poco cariche di pacchi. Ci colpisce che mentre la campagna di boicottaggio contro i prodotti Golden Lady nata per solidarietà alle operaie fa furore sulla rete, davanti al essere più padrone del loro futuro e devono arrangiarsi con meno di mille euro per mandare avanti la propria famiglia. È questo il risultato di una vita dedicata ad un impiego? È giusto che chi ha utilizzato le risorse - umane e non - di un territorio non debba pagar nulla prima di andare via? A quanto pare sì, perché il money show must go on. Anzi, merita anche di guadagnarci su: all’epoca dell’acquisto Grassi comprò quel territorio come agricolo, pagandolo quindi pochissimo e solo successivamente convertendolo in industriale. Se oggi lo rivendesse come commerciale, potrebbe guadagnarci ancora di più. Pioggia battente a via Pana 92: mentre andiamo verso la stazione ci imbattiamo, proprio in mezzo a una rotatoria, in una serie di piccole croci di legno con attaccati dei pezzi di tessuto verde. Sono i camici delle dipendenti che appendono al chiodo la storia di una vita. Emergenze. Se l’emigrazione si tinge di rosa E le donne dissero: “Goodbye Italia” Chiara Gianusso, 18 anni Il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nella classifica Ocse quanto ad occupazione femminile. Ne sono efficace testimonianza le 27 storie raccontate dal libro Goodbye Italia: donne italiane che per affermarsi professionalmente hanno scelto di vivere negli Stati Uniti. Il saggio è stato scritto, insieme a Silvana Prosperi, da Cinzia Dato, docente universitaria con un passato da parlamentare, a cui abbiamo rivolto qualche domanda. Cosa emerge dalla lettura del vostro libro? «Dallo sguardo consapevole e affettuoso verso le donne che hanno lasciato l’Italia emergono tutti i problemi del Paese. In una parte del libro, a partire da alcune frasi pronunciate dalle nostre intervistate, riflettiamo su tutti gli aspetti della società che in qualche modo sono legati (classe dirigente, etica pubblica, giovani, famiglia, violenza di genere, ruolo della donna). Emerge il tema forte della cittadinanza globale, costituita da persone che non si riconoscono in un solo Paese. È curioso come l’Italia tagli i ponti con quanti si trasferiscono all’estero a lavorare, anziché considerarli come degli avamposti; e pensare che ci sono ricercatori italiani ora luminari ad Harvard o al celebre MIT». Nel libro si sottolinea come la questione femminile non sia solo un problema di donne. In che senso? «Nessuno spiega per quale motivo il lavoro femminile faccia crescere di più la società rispetto a quello maschile. Se lavorano 100 donne non sono solo 100 posti di lavoro, sono almeno 115 o 120, perché si rendono necessari altri posti per i servizi alla persona e alla famiglia utili quando una donna lavora. Sono impieghi non delocalizzabili e tra l’altro nel settore dei servizi, di cui un’economia sviluppata deve essere molto più ricca di quanto non sia quella italiana. Quando trattiamo il tema dell’occupazione femminile parliamo anche del problema del mezzogiorno e del lavoro in nero, argomenti che vedono le donne più colpite». Cos’hanno gli altri Paesi che manca all’Italia? «Tanto per cominciare molti Paesi hanno messo in atto un welfare che non pesa sulle spalle della donna come da noi, ma che è in funzione della donna, con asili nido aperti tutto il giorno, come in Germania, ad esempio». Perché la meta della fuga dei cervelli sono spesso gli Stati Uniti? «Diciamo che, soprattutto analizzando le donne che hanno fatto una carriera accademica, si capisce tutto: il nepotismo italiano, la gerontocrazia, il merito che non è tale. Cosa può essere il merito in una società che non dà pari opportunità a tutti? Il modello ameri- I risultati della nostra indagine cano ci permette di vedere come delle esperienze di vita in condizioni diverse possano portare a risultati o all’impotenza totale. In una società che si basa sulla competitività conviene dare ad ogni persona la possibilità di dimostrare quanto vale. All’università se sei “figlio di”, ma non vali ti fanno fuori perché sei mesi dopo il direttore del dipartimento che ti ha assunto si ritrova senza finanziamento. Noi raccontiamo nel libro di una ragazza che in Italia si è sentita dire dal prof: “Sono io che decido chi fa il dottorato” e poi ad Harvard è diventata direttore di ricerca a meno di trent’anni e seleziona per il Mit chi nel mondo vuole fare ricerca di matematica pura». Che cosa si sentirebbe di dire ai ragazzi e soprattutto alle ragazze che ci leggono: preparate le valigie? «Il problema non è che i giovani vadano all’estero, perché, anzi, ci dovrebbero andare tutti. Il problema è che non si può andar via e non poter ritornare. Non si può perdere il nostro capitale giovanile senza attrarne un altro. Pensate che non è mai stata fatta una grande scoperta scientifica dopo i 30 anni. Ci sono poi città come Berlino che hanno costruito la loro grandezza culturale odierna sui centri sociali, noi invece consideriamo dei delinquenti i giovani che li frequentano. La nostra è una società di vecchi che si vestono da giovani e hanno fastidio a confrontarsi con loro». 6 Attualità Marzo 2012 Cultura INFOWEB www.lidiaravera.it Piccole donne tornano Torna in libreria Bagna i fiori e aspettami, riscrittura del celebre Piccole donne di L.M. Alcott, che Lidia Ravera scrisse nel 1985. Generazioni a confronto tempo di lettura: 9 minuti Vita da donna. La parola alla scrittrice simbolo del femminismo La parità? Solo quando fa comodo “Per la società e le istituzioni siamo uguali solo quando conviene”. Parla Lidia Ravera, che non risparmia critiche ad un tipo di cultura che fatica a scomparire, mentre le scelte politiche non considerano davvero il lavoro delle donne Serena Mosso, 20 anni Più libri, meno seni Non ho mai pensato che le veline fossero la maggioranza delle ragazze, è un gruppo che fa molto rumore, ma sono e restano una minoranza. Io non ho mai demonizzato la civetteria, ma trovo perdente mettere il proprio aspetto al centro della vita perché dura poco. E se sviluppi solo quello vuol dire che non hai nient’altro. Al mondo c’è una grande quantità di capre, maschi e femmine. Sempre più spesso nelle grandi città le madri regalano un intervento estetico alle figlie per i 18 anni. Sono dati, penso, molto legati a sacche di miseria culturale. Quelle madri le metterei in galera. Una madre che fa ritoccare il seno alla figlia è il peggior esempio che mi viene in mente; significa condannarla alla reificazione, relegarla a un destino di oggetto di scambio. Mi sembra una cosa gravissima. Magari una ragazza di 18 anni un po’ sciocca può pensare che la sua vita cambierà se avrà una 4° invece di una 2°; in quel caso il compito della madre è regalarle dei libri per farle capire che il cervello conta di più. Non siamo mozzarelle Le donne non sono ancora considerate persone a pieno titolo ma complementi, funzioni del desiderio dell’uomo e per questo giudicate solo sulla bellezza. Certi uomini, magari attori o registi, sono idolatrati anche da anziani; le donne invece oltre una certa età scadono come mozzarelle. Oggi molte di loro sono di nuovo costrette a scegliere tra la carriera e la maternità, una scelta vergognosa e che grida vendetta. Agli uomini non viene chiesto, alle donne sì e questo non è accettabile. Oggi ci sono leggi che negli anni ’70 non erano pensabili perché gliele avremmo ricacciate in gola, come le dimissioni in bianco da far firmare alle donne all’atto di assunzione; in questo modo se restano incinte la lettera di dimissioni parte immediatamente per occultare un licenziamento. Non ci aiuta il fatto che siamo in un paese laico solo in teoria. Insomma, la cultura in cui viviamo deprezza la donna e non ci aiuta a portare avanti la nostra autoaffermazione. Non credo che le donne vi rinuncino, semplicemente molte ne sono condizionate e non è facile liberarsene. Serve una rivoluzione ancora lunga da portare a termine. Una nuova forma di femminismo è incarnata da “Se Non Ora Quando”, un gruppo intergenerazionale che ha promosso, tra le tante, la manifestazione del 13 febbraio dell’anno scorso. È un comitato di una quarantina di donne di diversi orientamenti politici che hanno ripreso i temi della lotta femminile in visione poco ideologica e molto pratica, anche con incontri col governo. Il femminismo sta vedendo una rinascita politica anche a partire da questo gruppo. Uomini e donne Grazie al cielo non siamo uguali, altrimenti ogni relazione sarebbe noiosa. Però uomini e donne sono di uguale valore, equipollenti. È questo che dovrebbe essere accettato una volta per tutte. Lo sguardo maschile non è più lungimirante, è semplicemente diverso. Gli uomini si sono sempre creduti l’universale, ma sono esseri parziali egualmente come noi. E non hanno ancora capito che avere le donne alla pari è anche più divertente. Fortunatamente ci sono anche uomini collaborativi, che si prodigano per la divisione delle responsabilità. A volte, invece, sembra quasi che si cerchi la parità solo quando fa comodo, come sul tema dell’equiparazione dell’età pensionabile. Le donne si sa che hanno sempre lavorato di più: una lavoratrice arrivata ai 60 anni ha nel frattempo prodotto degli esseri umani, una fatica del corpo non indifferente, li ha cresciuti e accuditi. Oltre questo ha pulito la casa per tutta la vita, è tornata dal lavoro ogni giorno e si è messa a fare il bucato invece di guardare la partita. Per questo l’età della pensione non è equiparabile. Si può dare alle donne la libertà di scegliere di continuare a lavorare; molte magari ne hanno ancora voglia, perché hanno esercitato lavori più leggeri o sono state aiutate nella cura della casa e dei figli. Ritengo miope e vergognoso non considerare che nella maggioranza delle popolazioni le donne che lavorano hanno sempre più occupazioni, gli uomini una sola. Scandalo al liceo Nata a Torino, Lidia Ravera è autrice di romanzi e di alcuni saggi. Ha inoltre collaborato a numerose sceneggiature per il cinema e per alcune serie televisive. Raggiunge la notorietà nel 1976 con il romanzo Porci con le ali, Diario sessuo-politico di due adolescenti, scritto a quattro mani insieme a Marco Lombardo Radice. Il romanzo è considerato l’emblema della generazione del Sessantotto. Narrato in prima persona e a due voci, racconta l’anno scolastico di Rocco e Antonia presso un centralissimo liceo romano. I due ragazzi scoprono la vita e l’amore raccontando in presa diretta le loro emozioni. L’opera, tradotta in molte lingue, suscitò notevole scandalo all’epoca della pubblicazione. Se tutti dicono le stesse cose... Le donne nel governo tecnico sono a capo di ministeri importanti, ma sono solo tre. E io sono per il 50%. Personalmente ho anche trovato simpatica la Fornero quando ha pianto, perché penso che l’emo- tività sia sempre un buon segno. Per il resto questo non è un governo tecnico, è un governo di competenti, che è già un grande passo avanti rispetto a quello che lo ha preceduto, però è un esecutivo che fa scelte politiche. Se toccheranno l’articolo 18 non applaudirò, perché è un pilastro della civiltà e della cultura politica di questi anni, come non applaudirò per l’ICI sulla prima casa, quando servirebbe invece una patrimoniale che tassi i grandi patrimoni. I giovani possono incidere nella politica. Bisogna partire dalla tragedia del precariato e lottare, senza delegare le battaglie ai partiti, ma tornando alla democrazia diretta. È l’anticonformismo, oggi, il vero scandalo. Tutti dicono le stesse cose, l’opportunismo trionfa e si va avanti a mode ed emergenze: chi veramente prova a pensare, ad interrogarsi con serietà su cosa occorre dietro l’apparenza è diventato il vero scandaloso. È la persona veramente libera, che non espone opinioni di comodo, che non ha bisogno di famiglie o protettori ed ha il coraggio del suo pensiero e delle sue azioni. 7 Abruzzo Sotto i venti INFOWEB www.regione.abruzzo.it www.radiojeans.net Pagina realizzata nell’ambito del progetto Young communication, con il sostegno del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale POR-FESR 2007-2013 “Attività VI.I.3” dell’Assessorato alle Politiche Culturali – Servizio Politiche Culturali. L’Aquila è donna tempo di lettura: 9 minuti Flashback. Tutto inizia alle 3.32 Gli occhi non sanno mentire Il ritratto di una donna, che si vergogna del proprio aspetto e si trucca per non mostrare i segni della sua sofferenza. Ma a guardarla bene, dopo 3 anni, si può ancora riconoscere Michela Ciuffetelli, Michela Eusani, Marta Fabrizi, Alfarida Hoxha, Raffaele Manieri, Chiara Mattei, Flavia Placidi, Evelina Podennikh, Riccardo Risdonne, Manuel Romano È gia giorno. La sveglia segna sempre le 3.32, l’ora fatidica che mi ha fatto addormentare senza sapere dov’ero e chi portavo dietro di me. È come se fossi stata derubata della mia vita e di chi viveva con me. Se volete, vi racconto la mia storia. Erano mesi ormai che non dormivo più tranquilla: se non ricordo male era ottobre; avevo degli improvvisi malori, sia di sera che di giorno. Nel tempo cominciarono ad intensificarsi: ero tranquilla a bere una tazza di cioccolata calda insieme alle persone della mia vita e ad un certo punto: BUM! Non ricordo i particolari, ma è stato senza dubbio molto spaventoso: dalla tranquillità di sempre, al cuore che ti sale in gola. Ho chiesto parere ai medici più esperti per capire cosa mi stesse accadendo: la loro risposta? “Non si preoccupi, è una cosa normale alla sua età, meglio pochi malori alla Il doppio volto dell’Aquila volta che tutti assieme!”. Mi sono sentita più tranquilla: se a dirlo erano loro, potevo dormire serena la notte. Almeno credevo. Una sera, tre terribili anni fa, ero con i miei amici a divertirmi, volevo svagarmi un po’ per buttarmi alle spalle le preoccupazioni degli ultimi mesi. Erano più o meno le undici di sera: un altro scossone, un altro colpo al cuore, questa volta più forte della settimana precedente. Io rimanevo tranquilla pensando alla diagnosi dei medici; i miei amici però mi dicevano di non dormire sola quella notte. Non seguii il loro consiglio, anche perché non avevo nessun medico a cui rivolgermi: ho voluto sfidare il mio malessere. Tornata a casa intorno all’una di notte: BUM, BUM. Eccolo di nuovo: cosa mi stava accadendo? Alla fine mi addormento lo stesso, pensando alle cose che avrei dovuto fare il giorno dopo, al lavoro, alle persone che avrei incontrato. Ore 3.32: lo ricorderò a vita. Atro che i BUM di sempre! Il mio corpo fu attraversato da un dolore inaudito: la pancia sussultava, il cuore batteva, la testa pulsava, tremavo tutta! Panico, panico più totale: non sapevo cosa fare. Sono riuscita appena a chiamare i soccorsi, e poi? Non ricordo più nulla. Dopo quasi un anno trascorso in coma in ospedale, mi sono risvegliata: distrutta, non riuscivo più a muovermi. A causa della malattia, le mie gambe si sono paralizzate. Ormai da due anni in sala ricovero, i medici continuano a dirmi che ci sono dei “progetti in corso” per l’impianto di protesi che mi permetteranno di muovermi autonomamente. Per il momento ho bisogno di aiuto, tanto aiuto. Non riesco più a guardarmi allo specchio, non mi riconosco più. Cerco allora conforto nei trucchi, almeno mi fanno sembrare bella. Un medico molto importante, per scusarsi di avermi dato una prognosi errata sulla mia malattia, ha deciso di regalarmi una trousse per il make-up nuova di zecca. È ora di apparire bella: comincio dall’occhio, metto un po’ di matita, il mascara, l’ombretto colorato, ed ecco qua: truccata alla perfezione. Ho paura di far vedere la mia malattia, preferisco nasconderla con un po’ di polveri e creme. Questa è la mia vera storia. La storia di me, una donna dal nome reale, dal sangue blu, che ha sofferto per tre anni, e che adesso non ce la fa più. Cerco di mascherare i difetti con il colore, che dall’esterno mi fa sembrare un gioiello, quello che portano al dito tutti quei medici che si ritengono responsabili di tale bellezza per il solo fatto di avermi fatto qualche regalo placando la propria coscienza. Ma è solo pura apparenza: è come se riparassero un vaso di cristallo con pezzetti di vetro. Ora andate oltre il fitto strato di mascara: guardate l’iride, la pupilla, che non possono essere modificate: sarà come un dé jà vu. L’antica meraviglia è diventata una vecchia rovina con pochi fiori qua e là e con qualche colore spruzzato sui sassi, ma non sono realmente io! È ora di prendere coraggio e raccontare tutto. Il mio nome è L’Aquila; non sono realmente così, è soltanto una maschera. Aiutatemi a guarire da questa terribile malattia che viene comunemente chiamata terremoto. Marco di Paolo e Lorenzo Lolli posano per noi C’è qualche rugbista famoso a cui vorreste assomigliare? L. «L’aquilano Andrea Masi!». M.«Per me l’idolo è sempre stato Sergio Parisse, la terza linea della nazionale italiana: spero un giorno di essere come lui». Giocate a rugby per passione o anche l’aspetto economico ha il suo peso? L. «Ovviamente lo faccio per piacere, ma se a fine mese arriva lo stipendio è meglio!». M. «Giocando da quando siamo bambini è naturale che per noi sia prima di tutto una passione, ma quando arrivi alla categoria top ten inizi a capire che può essere anche il tuo mestiere». Campioni. Intervista ai giocatori dell’Aquila Rugby Un, due tre... meta! La squadra di rugby è un vanto per il capoluogo abruzzese: nata nel 1936, l’Aquila Rugby ha all’attivo due coppe Italia e cinque campionati Super 10. Nel 2009, nonostante il terremoto la squadra conquista il terzo posto! Durante l’emergenza l’intero team ha contribuito al salvataggio di adulti e bambini sotto le macerie e ha perso un amico e bravissimo giocatore: Lorenzo Sebastiani. Ma cosa significa per un ragazzo giocare a rugby a livello agonistico? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Lolli e Marco di Paolo, entrambi della squa- dra under 20. Da quanto tempo praticate questo sport? L. «Da quando ho tredici anni, ho cominciato grazie a mio fratello. Sono andato per provare e mi è piaciuto tantissimo». M. «Ho iniziato a otto anni con mio padre: vedendo le partite con lui mi sono appassionato». Gli allenamenti sono pesanti? Riuscite a conciliarli con gli impegni della vita quotidiana? L.«Una volta che li fai tutti i giorni ti abitui e non senti più la fatica; se orga- nizzi la giornata alla fine riesci a fare un po’ tutto, con qualche sacrificio». M. «Da quando abbiamo cambiato categoria ovviamente l’impegno è aumentato, ma non posso dire che è un sacrificio. Certo, ho meno tempo per gli amici e la famiglia, ma è giusto impegnarsi al massimo e non saltare gli allenamenti». Cosa vi ha insegnato questo sport? L. «Il rispetto del prossimo e come relazionarsi con gli altri». M. «Il rugby è uno sport di squadra, ti insegna ad essere disciplinato con te stesso e con gli altri». 8 Marzo 2012 Vivere a... Istanbul INFOWEB www.istanbul.com Il terzo ponte Il governo turco ha annunciato la costruzione di un terzo ponte autostradale sul Bosforo. Sarà lungo 414 chilometri. Tra moschee e Gran Bazaar tempo di lettura: 7 minuti Suggestioni. A cavallo tra Europa e Asia La città che sa di spezie Tra odori e sapori della capitale turca, dove all’ombra delle moschee sorgono bistrot e caratteristici mercati. Impossibile annoiarsi FIVE UP Andrea Lombardi Il costo della vita è veramente basso 1 2 I mezzi pubblici sono efficienti e collegano praticamente tutta la città 3 Un elevato numero di poliziotti pattuglia giorno e notte le zone nevralgiche della città 4 C’è una moltitudine di musei, gallerie d’arte ed eventi. È una città culturalmente dinamica 5 Negozi e supermercati sono aperti tutti i giorni fino alle 10 di sera FIVE DOWN Il traffico è una giungla La lingua può essere un problema. Non tutti capiscono e parlano l’inglese Non sempre si trovano esposti i prezzi dei prodotti e spesso, soprattutto nelle bancarelle del Gran Bazaar, viene applicata una “sovrattassa” per i turisti 1 2 3 I nomi delle vie sono difficilmente identificabili 4 La burocrazia è lenta, costosa e dilagante 5 L a capitale della Turchia è una metropoli da odorare e assaggiare. All’ombra delle magnifiche moschee sorgono bistrot e caratteristiche mete per lo shopping come il celebre Gran Bazaar. E per i giovani non manca una gustosa vita notturna. Durante la compilazione del modulo di richiesta per scrivere la tesi all’estero, arrivato alla voce “destinazione” ho avuto una certa titubanza. Scegliere una tra le mete più comuni come Spagna, Gran Bretagna e Germania oppure una destinazione alternativa, per certi versi impensabile e tutta da scoprire? Alla fine hanno prevalso la mia voglia di viaggiare e la mia curiosità di conoscere il mondo e ho così deciso di scrivere “Turchia”. La scelta è caduta inevitabilmente sulla misteriosa Istanbul, l’unica metropoli che si estende su due continenti. Non sapevo a cosa sarei andato incontro, ma ero entusiasta all’idea di partire alla scoperta di questo luogo sul quale avevo sentito dire tutto e il contrario di tutto. Vivere a Istanbul significa odorare Istanbul e gustare Istanbul. Le spezie qui la fanno da padrone. Ogni quartiere è riconoscibile dall’aroma che si percepisce camminando tra le sue luci e i suoi colori. Il porto e il lungomare, i luoghi che io preferisco, odorano di pesce impanato e cotto nell’olio bollente. Qui si contempla la reale bellezza di questa città. Al tramonto il sole si spegne dietro le cupole e i minareti delle moschee, dalle cui cime gli imam iniziano il richiamo alla preghiera ad orari prestabiliti. Il canto, poco melodico e spesso intonato con voce rauca, parte dalla grande Moschea Blu e si propaga poi attraverso le strade e i ponti, amplificato dalla brezza marina che accarezza il Bosforo tutte le sere. Passeggiando tra le vetrine della scintillante Beyoğlu si viene rapiti dall’odore del çay, il tè nero turco che viene bevuto ad ogni ora. Se non siete amanti del tè, non disperate, troverete sempre La moschea blu una tazza fumante del tipico caffè turco, macinato fresco, che è senza dubbio tra le delizie olfattive che più catturano. Questo sprigiona un aroma forte e pungente che rimane nell’aria a lungo tra i tavolini dei café ai piedi della Torre di Galata (eretta dai genovesi nel 1348) oppure in uno dei tanti bistrot, spesso aperti su ampie terrazze all’ultimo piano di arabeggianti edifici che si affacciano sul Corno d’Oro. L’aroma che di gran lunga contraddistingue Istanbul è però quello del kebap. Il suo odore possente e pe- sante, accentuato da ondate di spezie, sollecita la salivazione e le papille gustative a tutte le ore del giorno e della notte. La cucina turca (che io apprezzo particolarmente), è considerata dai gourmet tra le più varie e raffinate del Mediterraneo. Profumatissima, offre una serie di specialità dove i sapori di carne o pesce convivono con piatti a base di verdura. Istanbul è una città che non dorme mai e lo si capisce bene dalle numerose drogherie e dai tanti ristoranti aperti 24 ore su 24 che consegnano a Una bancarella del Gran Bazaar domicilio anche nel cuore della notte. Difficile annoiarsi qui, soprattutto dopo il tramonto. La nightlife lungo la Istiklal Caddesi, che unisce Piazza Taksim alla già citata Torre di Galata, ha poco o nulla da invidiare a quella delle più celebri e rinomate capitali europee. Durante il weekend più di due milioni di persone affollano i numerosi narghilè bar dove, tra una bottiglia di “Efes” ghiacciata (la birra nazionale), un tiro di tabacco aromatizzato e una sfida alla popolarissima tavla (variante turca del backgammon) aspettano l’ora giusta per spostarsi in uno dei tanti club (tra i quali spicca il Babylon) che spesso vedono in console i top deejays del panorama mondiale. Tanto altro ci sarebbe da scrivere sulle straordinarie opportunità offerte da questa città, che deve essere vissuta tutta d’un fiato. Una metropoli a tutto tondo, ricca di pregi, ma anche di difetti e di profondi contrasti. D’altra parte, la convivenza tra culture e stili di vita tanto differenti tra loro non può che generare delle contraddizioni. Occhi sempre vigili e mente aperta. Istanbul va assaporata e odorata: non c’è spazio per i pregiudizi. 9 Marzo 2012 Vivere a... INFOWEB www.facebook.com/Centro.Giovani.Albenga Albenga Il mare d’inverno, un giorno qualunque Largo ai giovani È stato inaugurato ad Albenga il nuovo Centro Giovani, che ospita anche una postazione di Radio Jeans! tempo di lettura: 7 minuti Vicoli e lungomare. Diario di un pomeriggio La Riviera assopita sogna l’estate Albenga, nel cuore del savonese, vivace e briosa nella stagione estiva, d’inverno rischia di finire in letargo. Ma i suoi giovani non si arrendono! Valentina Fazio, 19 anni Vittoria Nari, 16 anni Luca Pertuso, 16 anni Hanno collaborato: Marco Miano, 16 anni Manuela Storace, 18 anni UP Foto di Valentina Fazio S uona la campanella d’uscita dell’Istituto Agrario “D. Aicardi”, scuola che non poteva mancare nella realtà albenganese, da sempre conosciuta in Italia per i suoi pregiati prodotti agricoli. Vittoria e Samuele percorrono a piedi la discesa che porta da San Bernardino, dove è situata la scuola, verso il centro della città. Devono raggiungere Piazza del Popolo, il cuore di Albenga, dove hanno appuntamento con Luca e Marco, due studenti dell’ITIS “G. Galilei” di Campochiesa, piccola frazione che ospita ormai da decenni l’unico Istituto Tecnico presente nel comune ingauno. Una volta insieme, i quattro si siedono al tavolino di uno dei molti bar del centro storico locale, fra i più belli della penisola, visitato ogni anno da numerosi turisti, italiani e non. Fra le torri, simbolo della città, spiccano la Cattedrale di San Michele, risalente all’XI secolo, e il Battistero, di architettura paleocristiana, del V secolo. È un freddissimo pomeriggio invernale e i ragazzi devono decidere come trascorrerlo. Marco, che vive a Loano, propone di andare al bowling che gli ha consigliato il padre, ma Vittoria lo informa che ormai la struttura è chiusa da anni. Vicino è stato costruito un palazzetto sportivo di cui però usufruiscono solo le squadre locali di basket, pallavolo, ginnastica ritmica e artistica e alcune scuole per le ore di educazione fisica. Samuele, che deve acquistare un regalo per la fidanzata, suggerisce di passeggiare tra i vicoli del centro e lungo il Viale Martiri, dove si possono trovare negozi di ogni genere, che soddisfano i desideri anche dei clienti più esigenti, come scopriamo essere il nostro amico. Ma sono le quattro, e il pomeriggio è FIVE 1 Le ottime piste ciclabili di cui è dotata la città 2 Le imperdibili manifestazioni che si svolgono durante l’estate 3 4 5 Uno scorcio della città ancora lungo… I ragazzi decidono così di coccolarsi con una cioccolata calda: ma dove? C’è veramente l’imbarazzo della scelta: dalle eleganti sale da tè ai più moderni lounge bar. Mentre si dirigono nel locale scelto, i nostri infreddoliti amici non possono non meravigliarsi alla vista di un nutrito gruppo di giovani scout, da sempre fiore all’occhiello di alcune parrocchie cittadine, che sfidano i rigori dell’inverno passeggiando tranquillamente in bermuda. Di velluto, però! Come non rimpiangere l’estate, quando le giornaliere manifestazioni, organizzate dal Comune, ravvivano e rallegrano le vie di Albenga, rendendola una delle cittadine più vivaci della riviera ligure di ponente? Però è inverno, e il pomeriggio è ancora lungo… Escluso il monotono giro al centro commerciale, il quartetto opta per la passeggiata al mare. Anche in un freddo pomeriggio di febbraio non delude, offrendo un fantastico tramonto sullo sfondo dell’isola Gallinara. Si sono fatte le sette e Marco propone di trascorrere la serata al cinema. Purtroppo, però, delle tre sale un tempo presenti nel centro, ne rimane soltanto una, aperta, tra l’altro, solo saltuariamente. La soluzione è il cinema multisala, ubicato fuori città, che offre ben sei sale, oltre a due bar, e propone film per tutti i gusti, dalle tre del pomeriggio fino alle undici di sera. Ma per i più giovani, o per chi è sprovvisto di un’auto, resta un ostacolo: come raggiungerlo? Il servizio pubblico, infatti, non prevede una navetta specifica e i pullman di linea hanno orari limitati. Luca chiede ai propri genitori se possono accompagnarli, ma sfortunatamente la risposta è negativa. Per stasera niente cinema. Vittoria, che deve tornare a casa in pullman, chiede agli amici di accompagnarla alla fermata di Piazza del Popolo e di attendere con lei l’arrivo del mezzo pubblico. Meglio essere prudenti, visti gli spiacevoli episodi che si sono verificati di recente. Salutata l’amica, dopo l’ultimo breve giro in centro, anche i tre ragazzi tornano a casa. Si conclude così un tranquillo sabato pomeriggio trascorso nella nostra accogliente cittadina. Voglia di uno spuntino? D’estate come d’inverno potete sbizzarrirvi fra bar e gelaterie! Per le serate in compagnia, Albenga vanta un’ampia scelta di pizzerie! Il territorio di Albenga ospita validi istituti di istruzione secondaria superiore FIVE DOWN Anche in una piccola cittadina ci sono problemi di sicurezza pubblica Preparatevi a fare chilometri se volete raggiungere una discoteca Terminata la stagione estiva, le manifestazioni per i giovani sono una rarità 1 2 3 4 I parcheggi a pagamento Foto di Valentina Fazio I punti di aggregazione giovanile nella cittadina restano decisamente pochi 5 10 Marzo 2012 Società Melting pot INFOWEB www.regione.toscana.it Migranti e lavoro Secondo il rapporto Cnel sugli indici di integrazione sociale, la Toscana è la regione con il più alto tasso occupazionale degli stranieri. Tutti i colori della Toscana tempo di lettura: 14 minuti Val di Chiana. Dove la scuola ha tante bandiere E tu, ti senti italiano? Quattro ritratti di ragazzi che provengono da vari Paesi. Cominciamo con un’intervista doppia: entrambe romene, Alina e Georgiana hanno due percezioni differenti dell’Italia. Poi, il racconto in prima persona di Violetta e Hamza. Quattro storie di piena integrazione Alina, Tulcea (Romania) Georgiana, Piatra Neamt (Romania) Come e quando sei arrivata in Italia? «Nell’agosto 2008 per motivi di lavoro dei miei genitori. Sono arrivata in pullman, è stato un viaggio lungo e stancante: non ho potuto dormire per due giorni. Quando sono partita ero triste e contenta allo stesso tempo perché venivo qui da mia mamma, ma lasciavo gli amici». Cosa pensavi del nostro Paese prima di arrivare e cosa ne pensi oggi? «Non ho mai avuto un’idea precisa, non ci avevo troppo pensato su perché l’importante è stare con mia madre. Oggi penso che sia un Paese meraviglioso, dove mi trovo meglio che in Romania». Come giudichi la scuola italiana? «La scuola italiana è più leggera rispetto alla Romania: lì è più dura, i professori sono più severi di qui». Una cosa che non ti piace e un pregio degli italiani. «Mi dà fastidio che a volte non sanno cosa significhi l’amicizia vera. Un pregio? La simpatia». Hai mai subito discriminazioni? «No, non sono mai stata discriminata». Un piatto della cucina italiana e uno di quella romena che ami. «La pizza e, per il cibo romeno, le minestre tradizionali di verdura». Tre cose che ti fanno pensare al tuo Paese. «Il Danubio, un porto vicino alla mia città e i castelli». Il primo ricordo della tua infanzia che ti viene in mente. «Quando ci si riuniva tutti dai nonni: si stava in famiglia e mi piaceva moltissimo». Torneresti nel tuo Paese? «Solo per gli amici e per visitare alcuni luoghi. Io qui in Italia ho visto Roma, Firenze, Ravenna, Bologna, Siena. In Romania non ho mai visitato nemmeno Bucarest». Ti senti italiana? «Sì, anche se è poco che sono qui mi sento già italiana!». Come e quando sei arrivata in Italia? «Cinque anni fa perché mi hanno portato i miei genitori. Mia madre già lavorava qui da un po’ di tempo e poi ha deciso di portare anche noi. Sono arrivata in macchina, quindi è stato un viaggio abbastanza lungo». Cosa pensavi del nostro Paese prima di arrivare e cosa ne pensi oggi? «Credevo che fosse totalmente diverso, più moderno». Come giudichi la scuola italiana? «Ritengo che ci sia molta differenza fra i due sistemi scolastici. In Romania i professori erano più comprensivi e meno severi». Una cosa che non ti piace e un pregio degli italiani. «Non mi piace il fatto che molti siano razzisti; un pregio è che come mentalità sono più positivi dei romeni». Hai mai subito discriminazioni? «Sì. Quando andavo a scuola a San Quirico d’Orcia ho visto una grande differenza di trattamento fra alunni italiani e stranieri, differenza che si ripercuoteva naturalmente anche sui voti». Un piatto della cucina italiana e uno di quelle romena che ami. «Per quanto riguarda la cucina italiana direi sicuramente la pizza. In Romania invece adoro le sarmale, un secondo a base di carne molto elaborato, con verza, peperoni e altri ingredienti». Tre cose che ti fanno pensare al tuo Paese. «Mi metti in difficoltà! Forse le feste?». Il primo ricordo della tua infanzia che ti viene in mente. «Io sono di una cittadina vicino a Bucarest, Piatra Neamt, che mi fa venire in mente vari ricordi. I più belli sono di quando andavo a scuola». Torneresti nel tuo Paese? «Sì, volentieri». Ti senti italiana? «No, ad oggi mi sento più romena». Buone pratiche. Una legge regionale per l’integrazione degli stranieri Toscana, terra di civiltà La legge regionale 29/2009 approvata in Toscana ha segnato un grande passo avanti nel processo di integrazione dei migranti nel nostro Paese. Collocandosi in contro tendenza rispetto alle direttive del precedente Governo, che aveva inasprito le norme in tema di immigrazione - vedi Pacchetto sicurezza - la legge in materia di “accoglienza, integrazione partecipe e tutela dei cittadini stranieri in Toscana” nasce con il principale obiettivo di raggiungere una piena integrazione fra cittadini stranieri e italiani. La Regione è stata fra le prime a porre soluzioni concrete alle sfi- de poste dalla presenza sempre crescente di stranieri in Italia. La legge promuove quindi una serie di iniziative per incentivare la partecipazione attiva alla vita pubblica dei cittadini stranieri residenti in Toscana: accoglienza plurilingue nei luoghi di lavoro, insegnamento della lingua italiana, formazione di mediatori culturali sono alcune delle strategie previste. Agli stranieri è inoltre garantita parità di accesso ai bandi per l’assegnazione degli alloggi popolari. Di fondamentale importanza è l’insieme di norme in materia di diritto alla salute: per tutti gli stranieri, immigrati regolari e non, è prevista l’assistenza sanitaria in caso di interventi “urgenti e indifferibili”, nel rispetto dei diritti fon- damentali della persona. La legge prende quindi una posizione netta sul tema dei clandestini: il pacchetto sicurezza aveva infatti introdotto il reato di ingresso e soggiorno il- legale in Italia. Quando però ci sono 700mila persone che hanno diritto di ottenere il permesso perché lavorano e solo 170mila domande vengono accolte, allora ci troviamo di fronte ad una situazione surreale: stranieri che lavorano, ma passibili di reato. Situazione ancora più inaccettabile se pensiamo che nel Paese gli immigrati contribuiscono al nostro sistema fiscale per circa il 4%. Dopo l’approvazione della legge in Toscana, il precedente Governo presentò ricorso alla Corte Costituzionale sostenendo che la materia di immigrazione fosse di esclusiva competenza statale e contrastando la misura che garantiva assistenza sanitaria anche ai clandestini. La Consulta ha poi bocciato il ricorso: la legge non interferisce con la legislazione statale e il diritto alla salute è da considerare come inalienabile. 11 Marzo 2012 Violetta: “Non è importante da dove vieni, ma come sei” Era il 20 agosto 2010: dopo sette ore di aereo - meno male che non ho paura di volare - arrivo in Italia per una breve vacanza. Volevo venire a trovare mia mamma che lavora qui da quasi sedici anni: io a casa ho vissuto sempre con la mi’ nonna. Sono partita con poche cose nella borsa, intenzionata a tornare dopo qualche settimana: invece ho deciso di rimanere, certo con un po’ di paura, ma contenta di poter vivere con mia madre. I primi giorni sono stati terribili: tutto il giorno chiusa in casa davanti a Facebook perché mia madre e il suo compagno, il mi’ babbo, lavoravano tutto il giorno. Per fortuna c’era mia zia, arrivata anche lei in Italia per lavorare tanti anni fa: andavo con lei a fare la spesa. Un giorno mi porta ad una cena dove conosco una ragazza ucraina, arrivata per l’estate a trovare sua madre. Diventiamo subito amiche e insieme, facendoci forza, decidiamo di restare. Abbiamo cominciato insieme la scuola, nella stessa classe: io ero contentissima, lei invece cominciava a non stare bene, non riusciva ad ambientarsi e così a dicembre è tornata in Ucraina. Sono stata malissimo: la mia migliore amica, la prima che mi aveva fatto sentire “a casa” era andata via. Meno male che sono un tipo caparbio: nonostante i miei 19 anni frequento il secondo anno, perché qui in Italia ho dovuto ricominciare daccapo il percorso di studi. L’anno scorso, dopo appena cinque mesi di scuola sono riuscita ad ottenere la sufficienza in tutte le materie tranne una. È stata una grande vittoria perché molti dicevano che dato che ero straniera i prof avevano un occhio di riguardo verso di me. E invece ho convinto tutti del contrario. I miei sono orgogliosi di me: al primo colloquio con i genitori, quando le insegnanti hanno cominciato a parlare del mio andamento, il mi’ babbo si è messo a piangere. In classe mi trovo benissimo, siamo moltissimi stranieri e stiamo davvero bene insieme: ci sono serbi, rumeni, italiani, algerini, ucraini, e ci divertiamo da matti. La scuola italiana è migliore che in Uzbekistan: lì la scuola primaria, che dura otto anni, funziona benissimo; per le superiori, però, la situazione è pessima. Se hai i soldi ti paghi letteralmente il diploma, senza studiare nulla. Tashkent invece è una bellissima capitale: è moderna, piena di servizi e di negozi. Devo dire che vivendo in un paesino piccolo qui in Italia sento la mancanza della città. A Tashkent con un taxi vai dove ti pare, perché costa come un autobus: qui per qualsiasi cosa devi prendere la macchina. A proposito, sto per prendere la patente! Non vedo l’ora, perché così finalmente potrò riprendere la mia passione, la danza del ventre. Quando ero in Uzbekistan andavo a scuola di danza, ma qui ho dovuto smettere: voglio riprendere il prima possibile. Naturalmente devo mettermi prima i soldi da parte: con la primavera proverò a cercare un lavoretto pomeridiano. Ogni tanto vado a Napoli dalle mie amiche e mangio la pizza, che è una cosa divina! Però devo stare attenta, lì mi mettono all’ingrasso con tutte quelle cosa buone: io poi mangio tutto, non sono schizzinosa, quindi meglio non andarci troppo spesso! Ho un sacco di amici italiani: io credo che non dipenda se sei uzbeko, italiano o russo, dipende dalla tua famiglia, da quello che ti hanno insegnato e dal cuore che hai. Ci sono tanti italiani che mi sono simpatici e stranieri insopportabili, al contrario ci sono anche tante italiane maleducate. Questa però è anche questione di cultura e di religione: da noi è rarissimo vedere una ragazza che passeggia fuori nel parco con il suo fidanzato. Di solito le ragazze stanno a casa, studiano, danno una mano in casa: i ruoli sono molto ben definiti. Qui in Italia sono più emancipate, però certe volte esagerano: mi colpisce vederne alcune che urlano e magari bestemmiano per strada. Per fortuna sono solo alcuni casi particolari: in realtà l’Italia non è poi così diversa dall’Uzbekistan. I miei amici uzbeki continuano a ripetermi: “Che bello, sei in Italia, la terra di Gucci, dello shopping, di Milano”, ma qui non c’è questa visione poetica e i problemi ci sono. Nonostante questo, sto benissimo e mi sento italiana a tutti gli effetti: in casa parliamo italiano. Ogni tanto penso a casa: mi viene in mente il caldo, bellissimo perché secco, e soprattutto la mi’ nonna, che è rimasta lì. Hamza: “La scuola è un’occasione da prendere al volo” Ho passato la mia infanzia con gli zii in Algeria: il mi’ babbo era venuto in Italia per lavoro e mi aveva affidato alla nonna, che spesso, però, mi lasciava dagli zii. Non ci andavo molto d’accordo perché da piccolo io ero una peste, sicché mi trattavano male. Poi per il semplice fatto che fossi un bambino non mi prendevano mai in considerazione e questo mi faceva arrabbiare. I miei fratelli erano già in Italia, il babbo li aveva portati subito con sé; io invece sono venuto nel 2001, all’età di sette anni. Sono arrivato in aereo e la mia prima figuraccia per colpa della lingua italiana che ancora non conoscevo è stata proprio all’aeroporto, perché continuavo a chiedere di andare in bagno mentre invece volevo una pasta! Il primo periodo qui non è stato semplice, non mi sentivo a mio agio, ero un po’ un pesce fuor d’acqua; poi pian piano andando a scuola e conoscendo un po’ di gente è andata meglio. Ho imparato presto la lingua: il babbo mi mandava a lezione da una signora che mi aiutava a scrivere e parlare, in tre mesi già mi esprimevo correttamente. A scuola mi sono trovato bene da subito, anche se in undici anni che sono qui posso dire che è cambiata. Fino a poco fa era diversa, veniva presa più seriamente dai ragazzi: oggi spesso se ne fregano, non hanno rispetto per i professori. Dicono: “ma cosa ci fo io con la matematica nella vita?” Secondo me serve un po’ dappertutto, come anche le altre materie, ma non tutti lo capiscono. A scuola ti insegnano cose che devi prendere al volo, ma quando pensi di essere già grande e di non aver bisogno di nulla, è difficile che tu te ne renda conto. I prof fanno il loro lavoro, ma non si possono mettere a costringere le persone. Insomma, la scuola alla fine siamo noi e se continuiamo così non farà che peggiorare la sua condizione. Quest’anno a settembre ho cambiato scuola e nella mia nuova classe ho conosciuto tanti ragazzi stranieri: loro mi hanno aiutato a inserirmi nel gruppo e andiamo molto d’accordo! Già mi sono affezionato a tutti, italiani e non, non faccio differenze. Ogni tanto mi è capitato di avere difficoltà nell’approcciare con gli italiani, perché a volte sono diffidenti, non si aprono subito: ci vuole del tempo per conquistarsi la loro fiducia. Da noi invece è diverso: gli algerini, un po’ come in molti Paesi africani, sono espansivi, appena incontrano qualcuno vogliono subito fare conoscenza. Diciamo che io sono a metà: non a caso ho sia la cittadinanza italiana che quella algerina! Certo, in fondo al cuore la mia anima rimane algerina, e un domani vorrei tornare lì. Ora come ora sto benissimo qua, anche perché la situazione politica non è delle migliori, potrebbero esserci momenti di tensione con le elezioni: insomma non è un buon momento per tornare. Quando penso all’Algeria mi vengono in mente la stella, il cous cous e le feste. Ad esempio adoro la festa che si svolge alla fine del Ramadan quando si pranza tutti insieme. Ciascuno prepara una cosa, si mette tutto in comune e si scambiano i cibi con i vicini, come se fosse una sorta di ringraziamento. Mi piace moltissimo, quasi quanto il cous cous! Lo mangio spesso anche qui, in tutti i modi, ma il mio preferito è di verdure e carne. Della cucina italiana, invece, preferisco gli gnocchi. Prima di arrivare in Italia pensavo che fosse un Paese bellissimo, oggi invece credo che sia... stupendo! Tutte le mie aspettative sono state più che confermate, ho visitato tante città tra cui Milano, Napoli, Catania, Palermo e Roma: le mie preferite sono Roma e Milano. Mi trovo bene qui, anche se ogni tanto mi dà fastidio che gli italiani parlino prima di pensare: è un difetto che ho riscontrato comunque in altre persone non italiane. Vi racconto un aneddoto che mi ha fatto star male: io gioco a calcio, mi alleno durante la settimana e ogni tanto abbiamo le partite. Una volta mentre giocavamo un ragazzo dell’altra squadra mi ha urlato: “Negro di merda, tornatene nel tuo Paese”. Poi evidentemente ha riflettuto sulla cosa che aveva detto e a fine partita mi ha chiesto scusa. Per fortuna non sono tutti così, anzi, dopo che hai superato la diffidenza iniziale, molti si mostrano amichevoli e ti danno tanta fiducia. Sono simpatici e sensibili, se sei in difficoltà ti aiutano e questa è una dote che apprezzo molto. LookSmart Anche la moda ha cervello Bella tutta: quando il grasso non è tabù SEMPLICE COME L’ELEGANZA Ecco perché la bellezza non vuole eccessi LookSmart 14 FLASH MODE Martedì ore 14.00 Costanza, Flavia, Giulia, Liceo Classico “Mamiani”. Roma Ilaria, Maria Chiara, Liceo Classico “Dante”. Roma Giulia, Liceo Classico “Mamiani”. Roma Istantanee di stile Come in un flash mode, ma dedicato alla moda: questo è il nuovo appuntamento organizzato da Looksmart. Veri e propri blitz a caccia di stile nelle strade o davanti alle scuole. Basta farsi trovare all’ora e al luogo indicato e... il flash è pronto! Benedetta, Liceo Classico “Dante”. Roma SCOPRI DOVE SARÀ IL PROSSIMO FLASH MODE NELLA NOSTRA PAGINA FB. IL PROSSIMO VOLTO POTRESTI ESSERE TU! LookSmart 15 SOMMARIO 16 E chi l’ha detto che la moda è fatta di eccessi? Nel mese dedicato alle donne ecco il nostro inno alla femminilità: outifit semplici ma che fanno emergere la vera essenza di una ragazza. 18 Elena Guerrini, attrice, regista e scrittrice, ci parla del suo libro Bella tutta! e di come apprezzare il nostro corpo sin dall’adolescenza. LESS IS MORE Yoshi’s tips questo mese ci ricorda che gli occhi sono uno dei punti di forza delle donne e ci consiglia come valorizzarli: un trucco acquamarina davvero romantico e semplice da fare giocato sui contrasti di luce per un effetto davvero glamour! “L 19 19 Ed infine Crudelia: questo mese l’ironia della nostra scrittrice ha colpito cantanti italiane ed europee e i loro look. Non perdetevi la classifica delle peggiori star. Gaia Ravazzi, 17 anni Cristina Altomare, 16 anni Giorgia Nobile Gianni La Rocca ess is more” è stato il grido di battaglia dell'austera moda anni ‘90, oggi ripresa da alcuni grandi brand, ma a nostro parere, è un concetto sempre attuale: semplicità fa rima con eleganza. Questa idea si trasferisce su un livello più alto: dal piano della moda a quello più totalizzante dello stile di vita. Ebbene sì. In tempi di crisi il troppo storpia; il lusso ostentato non piace più, il logo in evidenza tradisce insicurezza e anche chi si può permettere di acquistare griffe importanti bada al sodo: qualità nei tessuti, linee senza fronzoli destinate a durare nel tempo. Ecco allora nel nostro servizio i capi essenziali e versatili, capaci di sopravvivere alle mode passeggere. Protagonista è il denim, tagliato per valorizzare e sottolineare il fisico e l’attitudine di chi lo indossa. Ai jeans si abbinano magliette e giubbotti o blazer vintage con un tocco di originalità nei dettagli. Per il resto, orecchini importanti, accessori e scarpe aggiungono femminilità e rendono uniche. Nel Talent’s corner abbiamo voluto affrontare un tema che affligge molte ragazze che si sentono troppo grasse per essere considerate belle. Nella nostra intervista Elena Guerrini, autrice di Bella Tutta!, ne parla in modo originale e inedito, riuscendo ad infrangere il tabù del proprio corpo che hanno molte adolescenti insoddisfatte (sic). Last but not least, il nostro flash mode questa volta si è spostato di fronte a due licei di Roma: il “Mamiani” e il “Dante” dove le studentesse si sono sottoposte volentieri agli scatti della nostra fotografa. Le trovate su queste pagine e sul gruppo Fb. Sono tutte bellissime, così come sono! Yoshi, Elena Dardano Vittoria De Benedetti Ciao, siamo Gaia e Cristina, frequentiamo il liceo classico “Dante Alighieri” a Roma. Amiche da una vita, ci siamo "inventate" questo nuovo lavoro coinvolgendo altre ragazze della nostra età. Facmultum e facrestum ci autodefiniamo: foto, testi, vestiti, location sono farina del nostro sacco. 16 FASCINO DELLA SEMPLICITÀ IL CAMBIA LA STAGIONE ED È IL MOMENTO DI RINNOVARE IL LOOK. DI CORSA NEI NEGOZI? PRIMA DATE UN’OCCHIATA ALL’ARMADIO E PENSATE A COME RAVVIVARE I SOLITI JEANS CON NUOVI ACCESSORI O AD INDOSSARE UN CAPO D’AUTUNNO IN MODO DIVERSO. IL NUOVO CHIC È MINIMAL, TENETELO A MENTE L a mitica Coco Chanel diceva: “meglio togliere che aggiungere”, infatti il troppo storpia. Ma a volte anche nella semplicità si può scivolare in outfit sbagliati. La semplicità è tornata di moda: le ragazze di oggi hanno bisogno di “alleggerirsi” per essere grintose, scattanti e potersi dividere ogni giorno tra tanti impegni scolastici e non. Senza rinunciare, però, a una dose di femminilità data da colori e stampe e, ovviamente, dagli accessori. I jewels dalle forme geometriche con un richiamo all’etnico, come le collane e i maxi-orecchini, faranno la differenza. Già, perché minimal non vuol dire lasciare a casa tutto ciò che denota la nostra personalità e fa la differenza, ma scegliere con un occhio di riguardo in più. Vediamo come ha interpretato la semplicità la nostra modella di marzo: una equilibrata mescolanza di istintivo buon gusto, di scelte precise e di minuziosa attenzione a ogni dettaglio. Un’arte a volte innata. Vittoria sceglie un look da giorno molto basic arricchito da pochi dettagli: gli alamari, la collana e il trucco semplice ma luminoso. Il segreto della sua eleganza sta nell’apparente assenza di ricercatezza dell’outfit che risulta così spontaneo ma allo stesso tempo rigorosamente curato. Per la sera predilige un abito nero classico con lo scollo sulla schiena, impreziosito da un bordo di strass e da un bracciale di Swarovski per creare un look minimal e raffinato, ma allo stesso tempo molto femminile. LookSmart LookSmart La semplicità è la gloria dell’espressione 17 Sportivo ricercato Qui gli alamari donano un fascino al tempo stesso raffinato e sportivo al giacchino di cotone leggero. I tagli verticali aiutano a dare al capo un effetto che slancia. Vittoria lo indossa su una semplice T-shirt, abbinato ai jeans e con una collana di legno e argento vintage. (Walt Whitman) VOCABOLARIO FASHION ALAMARO s. m. [dallo spagn. alamar, che a sua volta deriva dall’arabo al amâra, «corda»]. È un tipo di allacciatura realizzata con una striscia di seta, pelle o cordoncino chiusa a cappio a formare un occhiello, dove viene fatto passare un bottone. I primi li vediamo sulle uniformi. Per intravederne l’uso femminile, dobbiamo aspettare gli anni Quaranta, ma è nei ribelli Sessanta che si affermano. Ci sono le giacche tutte alamari del chitarrista Jimy Hendrix, quelle multicolor – verde acido, rosa e turchese – che indossano i Beatles, vestiti da merching band, in una celebre foto a sfondo giallo fluo. E soprattutto, quelle militari con collo alla coreana con cui si esibiscono allo Shea Stadium di New York nel 1965. La griffe francese Balmain e il leader del gruppo inglese dei Coldplay, Chris Martin, rilanciano il genere nel 2009. Un modello molto glam, pieno di alamari e dettagli alla Amadeus Mozart, è un pezzo cult degli anni ‘80 che ritorna in grande stile. LookSmart 18 TALENT’S CORNER SE LA CICCIA NON È TABÙ ELENA GUERRINI, OLTRE CHE AUTRICE E REGISTA, È ATTRICE DI TEATRO E DI CINEMA. NELLA SUA VITA HA PROVATO TUTTE LE DIETE. RACCONTA LA SUA STORIA NEL LIBRO E NEL MONOLOGO TEATRALE CHE HANNO LO STESSO TITOLO: BELLA TUTTA! I MIEI GRASSI GIORNI FELICI. NE PARLIAMO CON LEI IN QUESTA INTERVISTA C i vuoi raccontare qualcosa di questo testo, qualcosa di generico per capire di cosa stiamo parlando? Prima ancora del libro è nato lo spettacolo teatrale. Per scriverlo ho fatto dei laboratori nelle scuole medie e superiori di tutta Italia. È un progetto che prevede anche la lettura sulla visione del corpo attraverso i media e un seminario di scrittura. Cosa ti ha spinto a scegliere questo argomento in una società come la nostra che tende a rifiutarlo? È stata una scelta assolutamente controcorrente. Ogni volta che qualche giornale femminile mi intervista sono molto contenta perché lo ritengo proprio un atto politico: il fatto che si parli di un tabù, perché questo è un tabù, il non sottoporsi da parte di una donna a diete o interventi, è un trionfo poli- John Travolta (a destra) e Nikki Blonsky nel film Hairspray, 2007 ini uerr G a n le E Nome: Elena Guerrini Città: Grosseto Passioni: Scrittura e teatro Talento: Scrittura e recitazione Mi trovi: ilblogdielenaguerrini. blogspot.com tico. Bella Tutta è nato quando ero incinta di mio figlio; vedevo che la mia pancia, quella contro cui avevo sempre combattuto con 5 anni di diete, era bella: ho iniziato ad amarla e a sentirla bellissima. Cosa possiamo dire alle ragazze che non amano la loro pancia? Di guardarsi intorno al di là dei modelli stereotipati che ci vengono presentati. La protagonista incontra altre persone che si dissociano dal canone unico di bellezza omologata ed è questo che la fa accettare. Quando va a studiare al liceo artistico incontra la mamma di un’amica che è una cantante lirica molto grassa e bella. Fino a quel momento aveva sempre associato la parola “grassa” all’idea di “brutto” e invece scopre che non è necessariamente così. Quanto siamo influenzati dall’esterno e quanto da noi stesse? Io credo che noi stesse ci creiamo dei problemi; fin da piccolissime siamo influenzate dalle Barbie e dalla televisione. Per scrivere questo libro ho fatto studi di psicoanalisi e antropologia e ho scoperto che la problematica del grasso non esiste nelle isole dove ancora non è arrivata la televisione. Dove non c’è la tv, la parola grasso non è un’offesa. Chi vorresti leggesse il libro? Mi piacerebbe fosse letto da tutti gli adolescenti e anche dalle ragazze che hanno vissuto l’adolescenza negli anni ‘80. Il mio è un libro sulle diversità: non parla solo di grasso, ma anche di un ragazzo gay, di una storia d’amore tra due donne, di diversità che un adolescente si trova ad affrontare. Il messaggio che voglio lanciare è: non omologatevi. Credo che la nuova generazione, passati i vent’anni berlusconiani, abbia delle speranze. Il tuo è un libro femminista? No, non direi. Io vorrei che fosse più vicino al movimento femminile Se Non Ora Quando. Dobbiamo essere grate al femminismo per aver parlato senza tabù della sessualità, della pillola e di tantissime altre cose, ma secondo me non ha mai analizzato a fondo il problema del corpo. L’ironia è la vena portante del libro. Quanto è importante nella vita? Nello spettacolo lei si arrabbia e dice: “Basta, mi sono stancata di essere grassa e simpatica, voglio diventare magra e stronza”. A volte l’ironia aiuta, ma troppa può farti diventare una macchietta: spesso ci sono ragazzi grassottelli che all’esterno fanno i simpaticoni del gruppo e magari hanno dentro una grossa sofferenza. Bisogna far sì che la pancia non sia un capro espiatorio quando il problema è del cuore e dell’animo. Cos’è la bellezza per te? È la bellezza dell’intelligenza, dell’eleganza, della creatività e dell’ironia. Qualcosa che hai dentro e che riesci a diffondere solo quando ti rendi conto di averla, quando ti senti forte e potente senza bisogno di omologarti in qualcun o qualcos’altro. Elena Dardano, 18 anni LookSmart 19 YOSHI’S TIPS UNO SGUARDO DA SIRENA GLI OCCHI SONO IL PUNTO DI FORZA DI QUESTO MAKE-UP. PER SOTTOLINEARE I COLORI DELL’IRIDE, QUI HO GIOCATO SULL’ACQUAMARINA E SUL BIANCO • Acquamarina Colorito radioso e pelle perfetta Crema idratante mischiata ad un po’ di correttore come base. (Per contrastare rossori più o meno diffusi, usate un correttore verde). Fondotinta liquido, dà maggior coprenza, ma è anche il più “pesante”; se il tempo ed il tipo di pelle lo permettono, meglio usare un fondotinta minerale. Importantissima è la tonalità che deve essere il più possibile uguale alla propria perché il risultato sia naturale. Per la modella, ho mischiato due tonalità: una color avorio ed una più scura, dosandole in modo da raggiungere il colore più adatto. Infine cipria, applicata con moderazione, per fissare il tutto. nell’angolo esterno, sfumata sulla palpebra. Per ottenere l’effetto “occhi di gatto”, si va sempre lungo la direttrice immaginaria che parte dalle ciglia inferiori. • Bianco iridescente dall’angolo interno a metà palpebra: illumina, alza la curvatura delle sopracciglia ed alleggerisce lo sguardo, mantenendolo magnetico. Nulla contribuisce a fare il monaco quanto l'abito. V oci potenti, trasgressioni sonore, ritmi da perdere la testa… la musica ci accompagna sempre e i nostri beniamini ci fanno sognare. Quasi sempre. Quando salgono sul palcoscenico di un grande Festival o vengono premiati in una competizione internazionale forse non sanno bene cosa indossare o sono mal consigliati dallo stilista emergente di turno. DA SANREMO... Emma in vacanza. Giacca e shorts bianchi in- 1 IL BLOG DI CRUDELIA LE STAR DELLA MUSICA? BOCCIATE! dossati con canottiera trasparente e zeppe bianche. Aperitivo sul mare un po’ fuori stagione? No, un look, a sentire chi l’ha proposto, “trasgressivo”. Forse la trasgressione sta nell’imbruttire una ragazza piena di grinta. Boh! Arisa o Santuzza? Alla povera Arisa qualcuno ha suggerito il total black con gonnella lunga tipo funerale palermitano. Noi la rimpiangiamo tutta colorata e con i simpatici occhiali da nerd. Esci dal lutto, please! 2 3 5 4 6 L’ortopedico di Dolcenera. Perché la piccola Dolcenera ha indossato scarpe zebrate con plateau altissime e dalla foggia alla gladiatore? L’effetto è curiosamente “ortopedico” e punitivo. Ahia! ... AI BRIT AWARDS Il parchettista di Alexandra Burke. Anziché uno stilista la cantante che ha partecipato ai Brit Awards deve aver ingaggiato un’impresa edile. Eccola infatti nella foto sfoggiare un collare con effetto parquet dotato di bulloni. Anche tu fashion-detective degli orrori! Mandaci le tue segnalazioni (foto o testi) a [email protected] Ade esplosiva. Il pizzo elasticizzato del vestito di Adele le ha fasciato talmente le braccia non proprio filiformi che sembravano esplodere. L’opposto di ciò che si vuole ottenere quando si indossa una mise come questa. Lana Del Rey. La cantante ha invece scelto un look rosso di Vivienne Westwood: l’abito era stupendo, ma non si addiceva molto alla sua carnagione e soprattutto... non si indossa il rosso su un tappeto rosso! Alexandra Burke sfila sul tappeto rosso dei Brit Awards LookSmart 20 BACKSTAGE SUL SET PER UN GIORNO DIVENTA ANCHE TU UNO DEI NOSTRI VOLTI! Iscriviti alla pagina fan LookSmart. Anche la moda ha cervello su Facebook o scrivi all’indirizzo e-mail [email protected] 22 Teatro Marzo 2012 Giro d’Italia INFOWEB www.teatroeliseo.it Il coraggio di Adele Filippo Timi e Teresa Saponangelo ne Il coraggio di Adele, scritto e diretto da Giampiero Rappa. Al piccolo Eliseo dal 6 al 18 marzo. Dalla letteratura al palcoscenico tempo di lettura: 12 minuti Roma. All’Eliseo il capolavoro di Truman Capote Colazione da Tiffany, quella vera Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia interpretano i ruoli resi celebri da Audrey Hepburn e George Peppard nella nota trasposizione cinematografica. Ma lo spettacolo teatrale poco ha a che vedere con il film, restando invece molto più fedele al testo letterario Giulia Iani, 19 anni Foto di Riccardo Ghilardi C ma in parte ho lavorato su Marilyn Monroe (la scelta che avrebbe voluto lo stesso Capote per il film, ndr), non per farne un’imitazione ma per creare qualcosa che somigliasse il più possibile a Holly». Credete che chi ha amato il film potrebbe restare deluso dalla rappresentazione teatrale? «Ma, non saprei. Rischio di sembrare saccente – interviene Lorenzo – ma se ho letto il libro, non resto deluso da cose che conosco. Il film era un bellissimo film, ma non è quello che raccontiamo noi. Spero che la gente non rimanga delusa. Era deluso piuttosto Truman Capote quando lesse la sceneggiatura del film». Perché gli spettatori dovrebbero andare a vedere Colazione da Tiffany? «Beh, non c’è un motivo perché debbano farlo – conclude Lavia – ma se non conoscono il romanzo, noi facciamo Colazione da Tiffany, quella vera». Per chi è Roma, al Teatro Eliseo, per la regia di Piero Maccarinelli, dal 13 marzo al 1 aprile. Dopo la prima. L’Ariosto rovesciato Il cavaliere Accorsi è Furioso Martina Pi, 20 anni Torna nei teatri italiani l’Orlando furioso, interpretato questa volta da Stefano Accorsi. La prima nazionale di “Furioso Orlando - Ballata in ariostesche rime per un cavalier narrante”, per la regia e l’adattamento di Marco Baliani si è tenuta al teatro Ambra Jovinelli di Roma. Accorsi si dimostra come sempre un ottimo attore, recitando quasi da solo per un’ora e mezza e alternando la parte del narratore a quella di Orlando e di altri personaggi, trascinando lo spettatore in un vortice di emozioni legate sia all’interpretazione sia al testo. Meno convincente è stata, invece, la performance di Nina Savary, la bella Angelica, forse troppo impegnata a recitare in un italiano corretto per non risultare un po’ artificiale e robotica. Tuttavia, l’attrice ha dato prova di grandi capacità canore e artistiche; ci sono, infatti, numerose incursioni musicali, con strumenti suonati dal vivo sul palco dalla stessa Nina, partendo dalla più classica chitarra per arrivare a strumenti più particolari che ricordano rumori precisi, come quello del mare o della lotta. L’adattamento del testo è riuscito: a partire dal titolo, si capisce che questo spettacolo vuole essere un rovesciamento del racconto di Ariosto, mettendo al pri- mo posto la furia dell’amore non corrisposto. In certi casi, un po’ scontato l’inserimento di alcune digressioni, cui è affidato il compito di introdurre tematiche di attualità, come la posizione delle donne, che continua a essere subordinata a quella degli uomini, e l’ingiustizia delle guerre, che parla solo dei vincitori e non dei vinti senza nome. Questo non impedisce, però, di riprendere una delle parti più toccanti del poema, quella di Ruggiero e Brada- Foto di Pino Le Pera olazione da Tiffany è un breve romanzo di Truman Capote da cui Samuel Adamson ha tratto una riduzione teatrale. Protagonista ne è Holly Goligthly, una cover girl americana arrivata a New York, una gatta selvatica che affascina tutti, anche il timido scrittore William Parsons, che la considera sua fonte di ispirazione. «Impersonare Holly è stato un regalo meraviglioso – racconta Francesca Inaudi –. È un personaggio che ha cambi continui di emozioni e profondità completamente diverse. Passa da una leggerezza disarmante ad abissi di profondità e di dolore difficilmente contenibili. Poi ci sono le sue “paturnie”; oggi li chiamiamo attacchi di panico, ma fondamentalmente sono un’altra cosa, un senso di vuoto che ha spesso l’essere umano moderno occidentale quando si confronta con la futilità e la volatilità delle cose. E per assurdo lei trova sollievo nella cosa più futile e volatile che esista: una gioielleria e i diamanti. Dietro quell’ordine frivolo, dentro quella bellezza e immutabilità del diamante (che è eterno e sempre uguale) trova forse una forma di sollievo nello smarrimento che ogni tanto la coglie». Holly riesce ad affascinare proprio tutti. Perché? «Il fatto che queste sue caratteristiche si mescolino ad un entusiasmo infantile, disarmante, travolgente. Poi la sua capacità di rivoltare ogni situazione e dentro ogni situazione scoprire una profondità e, al tempo stesso, un divertimento e una leggerezza che nessuno troverebbe. Mi piace pensare che assomigli a un profumo che ti lascia inconsciamente delle sensazioni a un livello molto profondo ma che svanisce nell’aria e ne rimane solo il ricordo, la nostalgia. Però di fatto è già sparito». Lorenzo Lavia invece è William: «William è lo stesso Truman Capote – ci spiega l’attore – un giovane scrittore con un’identità sessuale e un’identità intellettuale ancora non definite. Holly la ama immediatamen- te (come ama immediatamente la madre) nonostante tutti i difetti della donna e della madre stessa. L’unica donna che potrebbe amare Truman Capote è proprio Holly, perché l’unica donna che potrebbe amare Truman Capote è la madre». Insomma, davvero una versione molto differente rispetto a quella diretta al cinema da Blake Edwards. «Beh, innanzitutto l’ambientazione storica è diversa – chiarisce Francesca – il romanzo è ambientato nella metà degli anni Quaranta, mentre il film negli anni Sessanta. Poi, pur restando la rappresentazione teatrale una commedia brillante, ha un velo di cinismo più forte, una crudeltà maggiore da parte dell’autore rispetto ai personaggi. Diciamo che non c’è il buonismo hollywoodiano degli anni Sessanta. Ci siamo concessi un ritorno a un po’ di quella cattiveria che è propria di Truman Capote, più disincantato sulla realtà. Per il mio personaggio non ho considerato la Hepburn, mante, simboli eterni dei conflitti e delle gioie dell’amore. La scenografia è volutamente scarna e funzionale, perché ciò che si deve guardare sono gli attori e ciò che si deve ascoltare sono le loro parole, al massimo la musica e i rumori, che creano i pochi strumenti a disposizione. Per distinguere le parti del racconto si gioca su livelli anche visivi: Accorsi sale a recitare su cubi di legno per raccontare altri personaggi. Lo spettacolo si chiude con un invito al pubblico a leggere l’originale e un lungo e meritato applauso per Stefano Accorsi. Ci è piaciuto? Nel complesso, sì: l’originale non è stato stravolto, è stato piegato alle esigenze attuali senza che gli fosse strappata la sua natura, ha quindi ricoperto il ruolo che tutti i classici degni di questo nome ricoprono. Dopo la Capitale, a marzo, lo spettacolo arriverà a Milano al teatro Elfo Puccini. 23 Marzo 2012 INFOWEB www.archivolto.it www.teatrostabilegenova.it Il diario di Mariapia Il 16 e il 17 marzo in scena all’Archivolto un nuovo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Fausto Paravidino. Al Teatro dell'Archivolto, 29-31 marzo Pro patria Torna a Genova Ascanio Celestini, per raccontare il Paese partendo dalla Repubblica romana e sognando una società senza processi, senza prigioni. Che cosa ne è stato dell’Italia? È ciò che domanda il protagonista, un detenuto dei giorni nostri. E a chi rivolgersi, se non a Mazzini stesso? tempo di lettura: 10 minuti Genova. È stato così in prima nazionale al Teatro della Tosse Confessioni di una moglie omicida Il romanzo di Natalia Ginzburg rivive sul palcoscenico in uno struggente monologo per la regia di Valerio Binasco e l’interpretazione di Sabrina Impacciatore Davide Ghio, 20 anni U no spettacolo introspettivo dedicato all’universo femminile, a paure e ossessioni di una moglie che è prima di tutto una donna. Ritmi serrati, da puro teatro di ricerca. Con È stato così, il Teatro della Tosse di Genova ha inaugurato il nuovo filone che va sotto il titolo “Casa e famiglia”. Lo spettacolo nasce da un’idea di Valerio Binasco: portare sul palcoscenico l’omonimo romanzo che Natalia Ginzburg scrisse nel 1947: «Non ci avevo mai pensato prima d’ora; dai romanzi si ricavano facilmente trasposizioni cinematografiche, ma non teatrali: ho cerca- to una forma scenica che non ne tradisse lo spirito». La prima difficoltà è il ritmo: «È un romanzo quasi senza virgole, un’incessante tortura del personaggio; fu descritto come un convoglio senza più comando, un treno in discesa che va senza controllo». Serve una recitazione velocissima per creare un «luogo interiore dove ci si fida delle immagini che si proiettano nella mente, dove si resta senza respiro, dove, però, c’è il tempo perché possa affiorare qualcosa». L’intero testo è una confessione, schiettamente lucida quanto profondamente tragica, di una moglie dopo l’uccisione del marito, culmine di una storia struggente fatta di incomunicabilità, gelosia, menzogne, delusioni. «Non è una storia di corna, ma di silenzio. Un incolmabile buco che solo un colpo di pistola può riempire». Binasco si è immerso completamente nella psicologia femminile: «Soffro nel vedere le storie d’amore delle donne, sento che c’è ancora del sessismo, sento una rivalsa autodistruttiva delle figure maschili». Ma è Sabrina Impacciatore la protagonista indiscussa del dramma: l’attrice romana ha meditato sul testo in una volontaria clausura in cima ad una torre nel centro storico genovese. «Cerco la forma più giusta per onorare la Ginzburg. È l’esperienza professionale più difficile della mia carriera». Ed è fortissima, confessa, l’identificazione con la protagonista: «È un salto nel buio senza rete, imparo il testo a memoria e ogni giorno lo recito diversamente. Quando sano sul palco spero in un’ispirazione». Ma, ridendo, precisa: «Prometto che non ucciderò nessuno». Dopo Genova, lo spettacolo andrà in scena in altre città italiane. Teatro Duse. Petruzzelli è Mario Rigoni Stern Teatro della Corte. La voce all’umanità La storia di un uomo che incontra la Storia Valeria Firriolo, 17 anni Tönle è un contadino veneto, pastore e contrabbandiere, ma soprattutto è il protagonista del celebre Storia di Tönle, romanzo di Mario Rigoni Stern, pubblicato nel 1978. Pino Petruzzelli porta sul palco il racconto interpretandone lo scrittore, che aveva ambientato l’opera sulle montagne d’Asiago prendendo spunto dalla propria esperienza autobiografica. La vita di Tönle si trasforma in una fuga costante: un’odissea che, tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, lo getta per caso nei grandi eventi della Storia. La vicenda inizia durante gli ultimi anni di potere dell’Impero Astro-Ungarico, quando i terreni appartenevano ancora a Francesco Giuseppe. Tönle ferisce una guardia della Finanza Regia e, costretto a fuggire, comincia a vagare per il mondo, adattandosi a ogni tipo di mestiere. Incrollabile resta però l’affetto per le sue origini: neppure lo scoppio della guerra, la fame, la paura di non farcela riescono a cancellare i suoi anni più lieti, quelli passati con il suo gregge, la sua pipa, i suoi prati erbosi e le sue bianche vette. Questo gli permette di sopravvivere anche nel campo di internamento di Katzenau finché finalmente, vecchio e stanco, Tönle ottiene il condono e può tornare alle sue amate montagne, i cui paesaggi sono però sconvolti dalla guerra. Pur se circondato dalla desolazione, Tönle è finalmente tornato a casa e, sedutosi sotto un ulivo, muore serenamente con una pipa in mano. Rigoni Stern ci mostra come la volontà Platone racconta il presente Laura Santi Amantini, 19 anni di un uomo che ama la sua terra possa contrastare la furia e la violenza della guerra e come sia necessario, pur tre le insidie della vita, non arrendersi mai. Petruzzelli, autore, interprete e regista dello spettacolo, arricchisce la narrazione di rime e musicalità e, vestendo i panni di Mario Rigoni Stern, porta in scena, come ha sottolineato il “Messaggero Veneto”, «un inno al valore delle radici di ciascuno e un grido contro la follia di ogni guerra». Dal 20 al 25 marzo, al Teatro Duse di Genova. Chi ha detto che i classici del pensiero antico non hanno più nulla a che fare con noi, giovani dell’era di Internet? Il ciclo “Grandi parole dell’umanità”, organizzato dal Teatro Stabile di Genova e giunto ormai alla diciassettesima edizione, propone quest’anno la riflessione su temi ancora attualissimi quali Legge e libertà, Amore ed erotismo, Virtù e conoscenza, Il mitico ciclo della vita ed altri ancora, prendendo spunto dalla lettura di alcuni Dialoghi di Platone. A portare sul palco i personaggi del Critone, del Simposio, de La Repubblica e di altri celebri scritti platonici saranno attori di spicco della scena ita- liana, che affiancheranno relatori scelti tra personalità di primo piano del mondo culturale. E sul palco Socrate e compagni non si troveranno certo fuori luogo: Platone, da straordinario scrittore, non solo ha dato voce alle grandi domande dell’umanità, ma ha saputo inserire nei suoi dialoghi emozioni, sentimenti, azioni, creando veri e propri personaggi teatrali. Composti quando la grande stagione della drammaturgia greca era ormai al tramonto, i Dialoghi sono ricchi di suggestioni teatrali, ancora capaci di affascinarci. Il ciclo, che si svolgerà al Teatro della Corte fra marzo e aprile prossimi, non vuole essere dedicato agli specialisti del settore, ma aperto a tutti, ragazzi e adulti, offrendo, insieme alla lettura di testi intramontabili, spunti di riflessione sulla contemporaneità. 24 Marzo 2012 Musica Outsiders INFOWEB edsheeran.com www.giardinidimiro.com Giorgia in tour Ritorna sui palchi di tutta Italia una delle artiste più amate di sempre: controllate online la data più vicina a voi! Progetti musicali da intenditori tempo di lettura: 9 minuti Cantautori. L’artista scala le classifiche con il suo album “+” Nessuno ama la gente triste Vincitore di due Brit Awards, l’inglese Ed Sheeran racconta il suo incredibile successo che lo ha portato alla ribalta in pochi mesi: preparatevi, ne vorrete sapere di +! Matteo Franzese, 20 anni S ono le tre del pomeriggio quando Ed Sheeran, grande rivelazione del mercato musicale britannico, entra in sala stampa. Dalla grande finestra dello stanzone dà un occhiata veloce al panorama milanese, che in questo periodo ha l’aria un po’ romantica e assonnata, con tante nuvole che la fanno assomigliare ad una città inglese. Prima di rispondere alle domande sorride: forse quest’atmosfera lo fa sentire a casa. Negli ultimi mesi hai avuto un grande successo. Come reagisci a una simile situazione? «Sto cercando di tenere tutto ciò che riguarda la mia nuova dimensione pubblica al di fuori della sfera privata. Ho scoperto che il successo porta con sé tanti momenti positivi, ma altrettanti negativi. Al momento sto cercando di concentrarmi sul mio lavoro, so cosa sto facendo e sono molto felice perché è anche la mia passione». Momenti negativi come? «Beh, i media inglesi sono particolari, amano parlare degli outsiders: nel mio caso il 90% della stampa mi ama, ma gli altri fanno di tutto per farmi capire il loro odio!». Quali sono i tuoi idoli musicali? «Van Morrison, Beatles, Bob Dylan. I miei genitori, quando ero un bambino, non ascoltavano mai la radio, ma mettevano cd di questi artisti in continuazione». Parliamo dell’album: come mai hai scelto un simbolo matematico, “+”, per il titolo? «Mi piace prendere scelte personali, credo che sia quello il maggiore motivo che mi ha spinto a scegliere un simile titolo. Inoltre, ho voluto trasmettere un senso di positività». Hai un legame speciale con tutte le tue canzoni, che hai ammesso essere autobiografiche: con Drunk? «Anche quella è autobiografica. Quando suonavo nei pub di Londra è capitato che bevessi anche una bottiglia di vodka a sera. Comunque non mi è mai capitato di suonare ubriaco, bevevo sempre dopo aver finito! Ora ho smesso». Il video del tuo ultimo singolo, Lego house, mostra un tuo fan accanito che arriva a diventare uno stalker. Ti è mai capitato qualcosa di simile nella realtà? «Non credo di avere mai incontrato fan realmente strani. Ho conosciuto fan particolari, che si tagliavano i capelli per assomigliare il più possibile a me, altri un po’ invadenti che mi chiedevano un appuntamento, ma non mi hanno mai spaventato simili compor- tamenti, perché dopo l’emozione iniziale spesso queste persone scoprono che sono un ragazzo normale e posso avere una normale conversazione con loro». D o v ’ e r i quando hai sentito per la prima volta u n a t u a canz o n e alla radio? «È una storia piuttosto divertente! Ero nella macchina della mia ex ragazza: mi stava accompagnando alla stazione, non mi ero reso conto che la canzone fosse veramente la mia! Quando l’ho detto alla mia ex, lei aveva già spento la macchina e la radio. Io l’ho riaccesa ma ho dovuto cercare di nuovo la stazione, quando l’ ho ritrovata la canzone era appena finita!». Parliamo del futuro: ti piacerebbe suonare con qualche artista in particolare? «Vorrei collaborare con Stevie Wonder: c’è una canzone che avrei sempre voluto scrivere, la sua They won't go when I go. Stevie l’ha suonata al funerale di Michael Jackson: è una canzone stupenda e al tempo stesso complessa». Come definiresti il tuo genere musicale? «Sinceramente, non credo che nell’era di Youtube esistano più le barriere dei generi musicali: voglio dire, quando si clicca su un mio video si apre una finestrella che pubblicizza un video di Lady Gaga, poi ancora di Eminem o di Aloe Blacc... ormai la gente ascolta una canzone solo perché la trova bella, non perché è fan di un particolare genere musicale». Se non vi foste incuriositi abbastanza leggendo le sue risposte, guardate il video di Lego house: troverete uno tra i più famosi ragazzi dai capelli rossi degli ultimi anni e sicuramente, una volta ascoltata la canzone, ne vorrete sapere sempre di “+”! Novità. In uscita il nuovo disco de I giardini di Mirò La buona volontà dell’indie rock italiano Good Luck, in tutti i negozi di dischi dal 23 marzo, è l’ultimo nato di questa storica band del rock italiano. Un disco pieno di speranza e di cambiamenti: a raccontarcelo è Corrado Nuccini, chitarra e voce del gruppo. Considerando la vostra esperienza di tour all’estero è inutile chiedere se ce ne sarà uno: piuttosto quando e dove sarà? «Noi abbiamo sempre avuto un rapporto particolare con la Germania, dove siamo stati molto seguiti, e tutte le aree limitrofe: Belgio, Svizzera, Lussemburgo. Ora faremo un tour in Italia, in cui manchiamo da molto tempo». Proprio a proposito dell’esperienza tedesca, quanto vi ha insegnato in termini creativi per questo disco? «Di per sé, il viaggiare e il confrontarsi con realtà diverse dalla nostra sono sempre i migliori serbatoi da cui trarre ispirazione. A noi piace dire che siamo molto legati alla nostra terra, ma questa nostra terra, a partire dall’autostrada del Brennero che apre all’Europa, ci spinge anche a soddisfare quel desiderio di allontanamento e di viaggio». Sono passati circa dodici anni dal vostro primo album. Siete diventati chi volevate essere? «Noi non abbiamo mai legato l’idea di fare musica a quella di voler diventare qualcuno, anzi crediamo che sia un po’ un limite per un musicista. È una domanda molto difficile, ma pensiamo che come gruppo, sì, siamo diventati chi volevamo essere». Good Luck: per cosa vorreste augurare buona fortuna agli italiani? Abbiamo scelto questo titolo perché è una sorta di sincero augurio: buona fortuna perché in questo momento dobbiamo tutti quanti ricostruire sia uno spazio comune sia uno spazio privato. Al pessimismo della ragione va sempre unito l’ottimismo della buona volontà e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare la nostra parte». Elena Prati, 20 anni Credit Daniele Sarti 25 Marzo 2012 Musica Piccole donne INFOWEB www.myspace.com/570884103 tempo di lettura: 7 minuti Rivelazioni. Un’Incognita poesia da Sanremo Facciamoci valere di più! Parola di Giordana Angi, diciottenne con le idee ben chiare, un discreto numero di sogni nel cassetto e tanta voglia di imparare per poter portare all’estero la sua musica Mattia Marzi, 17 anni Paolo Nataloni, 21 anni Q uando incontriamo Giordana rimaniamo molto colpiti dalla sua ferma volontà di arrivare lontano con la sua musica che le sta dando modo di farsi conoscere su larga scala, grazie alla partecipazione a Sanremo Giovani: chissà dove la vedremo arrivare in futuro! Il tuo rivale nella fase eliminatoria è stato Alessandro Casillo, quindicenne proveniente da Io canto, che ha poi vinto. Al giorno d’oggi il talent show è un termine che fa discutere e dibattere: parteciperesti mai a uno di questi programmi? «Non amo i talent-show perché non amo la competizione. Il mio è un approccio costruttivo: voglio fare arte e nell’arte non c’è competizione. Vincere, per me, vuol dire arrivare alla gente. Ho provato a fare un provino per X Factor, ma ho capito che non sono adatta per quel genere di format, anche se dai talent show emergono dei veri talenti, come Noemi ad esempio». Hai portato a Sanremo una canzone che si discosta molto da ciò che i giovani, al giorno d’oggi, ascoltano. Cosa vuoi realmente trasmettere attraverso le note della tua Incognita poesia? «È una canzone che ho scritto a 15 anni; quell’anno arrivò in classe un nuovo compagno, e sin da quando lo vidi per la prima volta capii il motivo per cui la gente perde la testa per qualcuno. Lo amavo, ma al tempo stesso lo odiavo perché i miei sentimenti non erano ricambiati. Nella canzone dico: “perché soldati i brividi mi attraversano, tormentano senza fine”. È una canzone particolarmente importante per me: rappresenta il mio passato, il anni di esperienza alle spalle». A proposito di Sanremo: come è nata l’idea di partecipare e qual è il ricordo più bello di questa avventura? «Ho sempre pensato in negativo al Festival di Sanremo, ma sono una persona che ama mettersi alla prova. Così ho registrato questa canzone al pianoforte di casa per poi iscriverla al concorso. Dopo mio primo amore. Sola con la mia voce sono passata dal niente al tutto, e senza l’aiuto di nessuno; ecco perché quello che voglio trasmettere è un messaggio di speranza per quei giovani che ambiscono a questa professione. Incognita poesia è costruita interamente su un intreccio tra pianoforte ed archi, registrata con 33 elementi dell’orchestra di Ennio Morricone. È stato bellissimo poter condividere dei momenti di musica assieme a professionisti c o n cinque giorni ho ricevuto una chiamata da parte di un numero privato: era la Rai che mi convocava per l’audizione del 12 gennaio, il giorno dei miei 18 anni. Durante la mia esibizione tutto era incredibilmente surreale: c’era un silenzio assurdo, ma soprattutto c’era Gianni Morandi che ascoltava la mia canzone. È stata una grandissima emozione». Suoni il pianoforte. Come prendono vita le tue canzoni? Prima i testi o prima le note? «Di solito tutto insieme: quando torno a casa dopo una giornata intensa, la prima cosa che faccio è sedermi al pianoforte: è come scrivere un diario! Le parole vengono fuori contemporaneamente agli accordi, poi in un secondo momento penso a revisionare il tutto: sono molto istintiva per quel che riguarda la genesi delle mie canzoni». Cosa ti viene in mente se pronuncio la parola “musica”? «La musica è una modalità di espressione utile a capirmi meglio, la chiave per tutti i miei problemi». Per quando è fissata l’uscita del tuo primo album di inediti? «Fino a poche settimane fa ero senza etichetta, ora so che il mio disco uscirà tra fine aprile ed inizio maggio. È successo tutto così all’improvviso! I pezzi sono pronti, sono tutti miei, dobbiamo solo trovare l’arrangiatore e i produttori». Qualche sogno nel cassetto? Portare all’estero la musica italiana: ne ho abbastanza dei cantanti americani che invadono le nostre radio. Dobbiamo farci valere un po’ di più, in tutti i campi. Il nostro è un paese che, storicamente, è oggetto di invidia. Credo che la Francia sia un buon territorio d’esame per il mio genere: la mia massima aspirazione è quella di confrontarmi con il meglio. Ma al momento ho ancora tutto da costruire e tutto da imparare». L’anticonvenzionale. Dalla Francia arriva la giovane e maledetta SoKo Ho pensato di essere un’aliena SoKo, all’anagrafe Stéphanie Sokolinski, è una cantautrice francese di origini polacche che ha appena pubblicato il suo primo album di inediti, I Thought I Was An Alien, per Because / Warner, ricco di testi schietti e diretti e di atmosfere musicali intime e suggestive. La giovane cantante ha aperto la data romana del tour di Peter Doherty, dove l’abbiamo intervistata per voi. La tua carriera artistica si divide tra la musica ed il cinema. Ti senti più una cantante o un’attrice? «Non mi considero una vera attrice: in realtà ho recitato in pochissimi film ed in maniera del tutto occasionale. Preferisco definirmi una cantante». Nel gennaio del 2009 hai pensato di lasciare il mondo della musica. Pochi mesi più tardi, tuttavia, sei tornata sui tuoi passi. Perché avevi preso quella drastica decisione? «Durante quel periodo volevo scappare, sparire e nascondermi da tutto e da tutti, lasciare la mia vita. Volevo cambiare ogni cosa, ripartire da zero e, semplicemente, godermi l’esistenza». Di cosa è composta la tua preparazione musicale? «Quando un giornalista mi pone questo genere di domande è come se volesse sapere tutti i nomi dei cantanti presenti nel mio iPod!». Dici che scrivi in modo più prolifico quando hai una musa ispiratrice. Chi sono le tue muse? «Quando scrivo le mie canzoni penso spesso agli amori che ho vissuto, a ciò che mi accade durante il giorno e agli amici di sempre». Il tuo primo album di inediti si intitola I Thought I Was An Alien. Pensi veramente di essere un’aliena? «Penso di essere piuttosto distruttiva con me stessa, vivo come una reclusa dentro casa. Quando ho una casa!». M.M., 17 anni 26 Musica Marzo 2012 Band INFOWEB www.ilteatrodegliorrori.com tempo di lettura: 7 minuti Rock. Torna Il Teatro degli orrori Il “mondo nuovo” dipende da noi A tu per tu con Pierpaolo Capovilla, che ci parla di immigrazione, critica al sistema e poesia, in un’intervista che merita di essere attentamente meditata Beatrice Feudale, 19 anni U n’intervista molto attesa e voluta, quella con Il teatro degli orrori, che hanno da poco pubblicato il loro ultimo album, Il mondo nuovo. Pierpaolo Capovilla, leader della band, ci racconta con il suo inconfondibile stile la sua idea di mondo nuovo. Il tutto in un clima molto rilassato, quasi una conversazione tra compagni di scuola che non si vedono da molto tempo. È da poco uscito il vostro ultimo album: cosa possiamo aspettarci? «Questa volta è quello che possiamo definire un disco a concetto, come si faceva una volta. È una raccolta di piccole immagini biografiche di immigrazione. Persone, uomini e donne, cittadini del mondo che lasciano il proprio Paese d’origine per cercare una vita diversa, il mondo nuovo in un altro Paese. È un disco fatto di speranza e di piccole e grandi disperazioni, anche molto “politico”, non nel senso di una militanza per un partito, ma della critica sociale». Quello dell’immigrazione è un tema caldo in Italia. Secondo te T ALENTI quello che accade nel nostro Paese è più un problema politico, nel senso che dipende da chi ci governa, o sociale, nel senso che sono gli italiani a non essere aperti? «È una questione dialettica tra società civile, che siamo noi, e società politica che sono loro. Io sono convinto che la società politica sia ormai, da tantissimo tempo, insufficiente e inadeguata. Nella società civile credo che ci siano tutti gli anticorpi necessari e sufficienti per poter combattere la xenofobia e il razzismo. Peraltro viviamo in un Paese in cui c’è un partito che ha governato fino all’altro ieri che di razzismo e xenofobia ha fatto la propria bandiera». Nelle tracce c’è molta poesia che si sposa, a nostro avviso egregiamente, con il vostro sound. Come definireste il vostro rapporto tra poesia e musica, tra poesia e rock? «Ci tengo molto a questa cosa perché credo che la poesia possa avere un ruolo anche nella musica leggera. Mi sorge spontanea una considerazione un po’ buffa: mi piace pensare che io faccio rock e al tempo stesso sono un possibile diffusore della grande poesia del ‘900. Io amo la poesia, la considero l’arte più raffinata di descrivere il mondo, le nostre esistenze». Com’è il vostro rapporto con i fan e qual è la vostra idea di live? Credit Edward Smith «Coloro che ci seguono più attentamente sanno che il nostro è un progetto di valore e ascoltano la nostra musica coscientemente. I concerti per me sono importantissimi: il palcoscenico è la vita, quella vera, il momento apicale, il più importante del nostro mestiere, ma anche il momento in cui ti senti veramente vivo e soddisfatto della tua vita. Insomma, è la cosa più bella che facciamo». Come ci si sente ad essere un po’ il portabandiera di una musica impegnata in un momento in cui invece il disinteresse generale sembra un po’ prevalere? «Ti dico la verità: io non mi sento il portabandiera di niente e di nessuno». I ragazzi ti danno questa etichetta… «Sono lusingato da tanta benevolenza nei miei confronti. Sono convinto che anche il rock possa dare un vero aiuto per il progresso della comunità e del Paese, perché contribuisce alla modulazione dell’immaginario collettivo, che è forse la categoria più importante della vera politica nella post modernità». Non resta che ascoltarli live: il tour tocca molte città tra cui Roma il 17 marzo, Milano il 29 e Torino il 30; controllate le altre sul loro sito! Esordi Un disco d’oro Il testimone pubblica il suo primo album omonimo prodotto da Farmstudiofactory con la direzione artistica di Paolo Benvegnù. Un disco che si ispira alla grande tradizione pop rock italiana dei CSI e dei Marlene Kuntz e che cerca di sondare l’individuo con brani molto intensi. Quarta fatica per i Nobraino, band folk rock che pubblica questo mese un album arricchito dalla lavorazione in studio, a cui il gruppo non era abituato. Il disco d’oro si colloca idealmente sulla stessa linea del White Album beatlesiano e del Black Album dei Metallica. In vetrina “El cuento de la chica y la tequila”! Non stiamo parlando di un film di Tarantino, ma di un progetto musicale, caratterizzato proprio dalla personalità caliente, sanguigna, estrema che avete potuto intuire leggendo il loro nome. Un progetto nato quando Stefano Silenzi, Ivan Prevedello, Andrea Ghion e Roberto Parolin si incontrano e decidono di creare insieme qualcosa di unico e vibrante, con suoni inusuali che sapranno catapultarvi in un’altra dimensione. Un omaggio alla femminilità intesa nel senso più ampio possibile: nelle atmosfere che creano si percepisce un’eco di sensibilità, fascino e ispirazione prettamente femminile. 27 Marzo 2012 Libri INFOWEB www.zai.net Libero chi legge Da leggere, da dimenticare, da spizzicare Educazione sessista. Se la scuola non aiuta Non siamo principesse A vete mai fatto caso che sin da piccoli leggiamo libri dove i maschietti sono audaci esploratori e nel migliore dei casi le femminucce sono leggiadre principesse vergognose? Ad analizzare gli stereotipi che i libri di scuola non hanno saputo cancellare ci ha pensato Irene Biemmi, ricercatrice alla facoltà di Scienze della formazione presso l’Università degli studi di Firenze, autrice del libro Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari. Com’è nato il libro? «Dalla considerazione che spesso quando si parla degli stereotipi di genere si tende ad escludere la scuola dagli ambienti problematici perché si dà per scontato che almeno in quell’ambito le discriminazioni di questo tipo siano terminate, ma avevo il sentore che non fosse così». Cosa è emerso dall’analisi dei materiali didattici? «Intanto che per ogni 10 protagoniste femminili delle storie nei libri ce ne sono 16 maschili. Questa disparità è già una spia di una certa discriminazione a livello più profondo. Ho poi scoperto che gli uomini hanno un ventaglio di possibilità enorme rispetto al futuro professionale: esercitano ben 50 diverse professioni, alcune anche molto qualificate come il medico, l’architetto, l’esploratore, il direttore d’orchestra; le donne, invece, solo 15, tra cui quelle più stereotipate, come la maestra in primis e poi le improbabili streghe e principesse». E come vengono caratterizzati i vari protagonisti? «Anche con aggettivi che sono già degli stereotipi. Nella mia ricerca ho preso come spunto gli studi della linguista Alma Sabatini che negli anni Ottanta scrisse Il sessismo nella lingua italiana, notando che anche gli aggettivi hanno un genere; per consuetudine e prassi linguistica alcuni sono banditi dall’uso al maschile: ad esempio, ci può sembrare ridicolo attribuire ad un maschio l’aggettivo leggiadro. Ho controllato se fosse così anche nei libri di testo e ho verificato che in effetti gli aggettivi più utilizzati per i bambini sono: sicuro, coraggioso, deciso, audace. Mentre le bambine sono vergognose, docili, disperate, innocenti, silenziose... Quelli “femminili” sono spesso squalificanti, i “maschili” sono molto più positivi». È un problema solo per le bambine o anche per i bambini? «Il danno per lo sviluppo delle bambine è piuttosto ovvio, ma gli stereo- Alta classifica Al primo posto tra i libri più venduti La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009) di Szymborska Wislawa. Storie di donne nel mondo LA MANO CHE TENEVA LA MIA avvincente Maggie O’Farrell Due storie di donne che si intrecciano dalla Londra degli anni Cinquanta a quella di oggi: quella di una giovane giornalista e di un’artista. Nel romanzo, vincitore del Costa Book Awards for fiction 2012, c’è l’amore romantico ben descritto e la tensione dei legami familiari che si sciolgono in una sorprendente sorpresa finale. Una narrazione serrata che coinvolge, un atto d’amore per la magnifica Londra dove tutto sembra possibile. INÈS E L’ALLEGRIA passionale Almudena Grandes Una scrittrice che ha sempre descritto il mondo delle donne in modo acuto e ironico qui si cimenta con una storia d’amore. I comunisti spagnoli esuli in Francia progettano di instaurare un governo repubblicano in Catalogna alla fine della seconda guerra mondiale; Inès si farà coinvolgere appoggiando la causa e vivendo una passione stupenda. LE NOTTI SEMBRAVANO DI LUNA tipi sono pericolosi anche per i bambini, intanto perché si creano un’immagine distorta del sesso femminile, e poi perché, tornando agli aggettivi di cui abbiamo parlato, se tutti i maschi sono descritti come forti e avventurosi, un bambino alle elementari che magari è timido e introverso non troverà un modello di riferimento adatto e rischierà di sentirsi inadeguato rispetto a quello virile che nella vita quotidiana in realtà non esiste». Terre senza pace L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo Difficilmente in casa mancherà un atlante geografico. Noi vi consigliamo di aggiungerne anche un altro nella vostra libreria: l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Al suo interno non trovate schede-Paese, ma schede-conflitto, che indicano gli Stati dove sono in corso attualmente guerre, con carte geografiche, articoli di approfondimento e ottima documentazione fotografica. Le schede sono 35, ognuna di 4 pagine. «È un lavoro quanto più possibile giornalistico – ha dichiarato alla presentazione del testo il direttore responsabile Raffaele Crocco – L’informazione e la conoscenza rendono i cittadini più liberi, liberi quindi anche di sapere da che parte vogliono stare». La pubblicazione si rivolge soprattutto ai giovani e l’idea di utilizzare l’atlante come forma del testo è legata anche a questo. La scelta di dedicare 4 pagine per ciascun conflitto non è casuale: è una scelta di uguaglianza perché nessun conflitto sia considerato più importante di un altro. La pubblicazione è prodotta dall’associazione 46° parallelo ed edita da Terra Nuova edizioni. Per informazioni www.atlanteguerre.it. inaspettato Laura Bosio Racconta di una bambina di dieci anni, Caterina, che ha un grande sogno: quello di correre in bicicletta come i campioni del Giro. Si trova a vivere nell’Italia degli anni Sessanta, in un luogo piccolo e pieno di contraddizioni. Lei non sa ancora che in quegli anni per le donne è impossibile diventare un corridore, o forse lo capisce, ma preferisce non pensarlo, perché la bicicletta è la sua unica e vera passione e solo in sella si sente davvero felice. Due ore sul sofà geniale PERCHÉ NON DIAMO AL CRISTIANESIMO UN’OPPORTUNITÀ George Bernard Shaw Gesù, per l’autore, va letto come uomo politico, un rivoluzionario, e andava ascoltato come tale. Invece è stato elevato a Dio. Da lì è nato il potere della Chiesa ed è morto il messaggio di Gesù. Cento pagine argute, esplosive come dinamite del grande premio Nobel Bernard Shaw per la prima volta tradotte in italiano. LA DIETA DUKAN inutile Pierre Dukan La dieta che è diventata un fenomeno mondiale e che ha fatto vendere al Dottor Dukan oltre 13 milioni di copie. Il segreto è l'approccio semplice e “antifrustrazione”, basato su quattro step che assicurano un dimagrimento rapido e definitivo. Nella prima fase di attacco consente di spaziare, senza limiti di quantità né vincoli di orario, tra 78 alimenti ricchi di proteine. E nient’altro. Che dire? Utilizzare un libro per dimagrire può essere dannoso; le diete iperproteiche senza controllo del medico provocano più danni che fisici invidiabili! Attente. L'AMORE È UNA COSA SEMPLICE scorrevole Tiziano Ferro Tiziano Ferro è tornato all’attacco con un altro libro, dopo Trent’anni e una chiacchierata con papà. Adesso entriamo nei ricordi annotati in questi ultimi due anni, in cui il mondo attorno a Tiziano è cambiato in maniera radicale, portandolo a vivere la vita che aveva sempre sognato. Una lettura scorrevole, costellata di momenti che offrono seri spunti di riflessione sul mondo; però Tiziano, più che come scrittore, lo preferiamo come cantante con il suo dono vocale unico. 28 Marzo 2012 Cinema INFOWEB www.labas-film.com Giovani critici Ti stimo fratello Da Zelig al grande schermo: arriva il film d’esordio di Vernia (alias Jonny Groove): sarà all’altezza delle aspettative? La parola ai registi tempo di lettura: 14 minuti Nelle sale. Là-Bas, un film contro gli stereotipi Brutti, sporchi e cattivi Il regista Guido Lombardi ci racconta la vita difficile degli immigrati africani a Castel Volturno, noto alle cronache per la strage camorrista in cui persero la vita sei innocenti. Tra sfruttamento e povertà, la via del crimine può diventare la più razionale per vivere Federica D’Angelantonio, 17 anni testimonianze inizia a pensare di trasformare quella realtà in un film. La sceneggiatura di La-Bàs quindi, come dice lo stesso Lombardi, «è stata immaginata e scritta su di loro, ho ideato battute che loro avrebbero potuto dire, insomma si può dire che i personaggi che interpretano glieli ho un po’ cuciti addosso». Il resto del cast, a parte Eshter Elisha e Salvatore Ruocco, rispettivamente nei ruoli della prostituta Suad e del camorrista Giuseppe Setola, è composto da attori non professionisti: «lavorare con loro non è stato semplice, essendo alle prime armi non si rendevano conto nemmeno delle distanze tecniche da mantenere rispetto alla telecamera. Inoltre la naturalezza, la spontaneità non sono state un punto di partenza, ma di arrivo: al nono ciak, quando si è allo stremo, non si pensa più a come dire la battuta e viene finalmente naturale!», spiega Lombardi. Al centro della storia è Youssouf, un giovane africano che arriva a Castel Volturno in cerca di uno zio che ha “fatto fortuna” e che può aiutarlo a V incitore del premio “Leone del futuro” al 68° Festival del Cinema di Venezia, Là-Bas - Educazione criminale è un film che racconta l’immigrazione dalla parte di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, con gli occhi di chi si avventura dall’Africa verso l’Europa, questa terra conosciuta come “là-bas”, “laggiù”. L’idea nasce nel 2005, quando il regista e documentarista Guido Lombardi conosce alcuni ragazzi africani della comunità di Napoli e provincia. All’epoca faceva il cameraman e gli venne chiesto più volte di filmare alcune feste della comunità africana locale, per poi farne un dvd che sarebbe stato conservato come ricordo. È qui che conosce due degli attori principali, Kader Alassane (il protagonista Youssouf) e Moussa Mone (lo zio Moses): dopo aver ascoltato le loro Incontri. Dal Neorealismo al Cinéma nôvo Due maestri del grande schermo a confronto Maddalena Messeri, 20 anni Metti una sera con Ettore Scola e Nelson Pereira Dos Santos: due mostri sacri del cinema italiano e brasiliano. Non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di chiacchierare con loro di film, macchine da presa, set e ciak. Chi è il regista? E.S. «Dare una definizione è piuttosto difficile, diciamo che sul set è quella persona a cui tutti fanno delle domande, a cui bisogna rispondere anche se non si sa cosa. Il regista mette insieme il lavoro di tutta la troupe, ed è un mestiere che non per- mette di essere atei: bisogna avere fede e credere nei miracoli!». N.P. «Quando camminiamo vediamo una troupe, il traffico e poi uno che inizia a dare ordini: questo è il regista, è un mestiere autoritario. Il problema è che magari il cineasta ha una famiglia, nel fare cinema si sente un dio sul set, anche se poi si rende conto di essere un uomo normale a casa». Dietro la macchina da presa: si osserva la società o si cerca un modo per entrare nel mercato? N.P. «Se devo essere sincero io voglio entrare nel mercato, devo pagare le bollette! Scherzi a parte, il mio cinema è di nicchia, mentre i film per il mercato cercano sempre la violenza: è una scelta estetica. Inoltre, il regista deve fare i conti con il pubblico: quanti film brasiliani vengono trasmessi all'anno? Solo cinque». E.S. «Prima lo scopo non era quello di vendere il film: eravamo più liberi. La prima grande censura è stata l’era del box office! Questa ipoteca che si mette sul film - deve incassare perché altrimenti rischia di non essere girato - è la fine del cinema italiano». Cosa fate la mattina appena arrivate sul set? E.S. «Tu vorresti una risposta precisa, ma è più facile dire cosa non si fa! Per esempio ci sono registi che cercano prima di tutto gli attori, altri il direttore della fotografia. Io non ho mai cercato gli attori anche perché non li trovavo, Tognazzi arrivava con quattro ore di ritardo! Non ho mai avuto il problema della macchina da presa, ho sempre scelto io dove e come posizionarla, cosa volevo esprimere». N.P. «Ho avuto la fortuna di lavorare con persone di grande talento, molto preparate, che mi hanno aiutato: sceglievo subito dove collocare la cinepresa. Il mio direttore della fotografia confermava e mi aiutava a seconda della luce, ma l’inquadratura l’avevo già scelta io. Credo che il direttore della fotografia sia come una moglie: ci discuti sempre ma alla fine ci stai bene». È fondamentale dove posizionare 29 Marzo 2012 INFOWEB www.zai.net 17 ragazze Alcune adolescenti decidono di avere un figlio in contemporanea per dimostrare la loro indipendenza. Detenuti d’oro Dopo aver vinto a Berlino, Cesare deve morire dei fratelli Taviani arriva al cinema. Il film, interpretato dai detenuti del carcere di Rebibbia di Roma è una rappresentazione nella rappresentazione. Mettendo in scena il Giulio Cesare shakesperiano, i protagonisti raccontano loro stessi. trovare lavoro in Italia. Al suo arrivo, però, si mostra l’altra faccia della medaglia: il lavoro che Moses propone a Yossouf non è quello onesto di artigiano, come lui immaginava, ma di spacciatore, lavoro illegale ma che porta grande guadagno. «Dopo essersi spaccato la schiena per 50 centesimi a cassetta di pomodori, dopo essere stato sfruttato, Moses si stanca e vede che in un altro modo, appunto criminale, può guadagnare 100 euro in un’ora invece che 20 in tutta la giornata. E fa la scelta che purtroppo appare come più razionale per vivere», racconta il regista. Una realtà che può apparire cinica, ma che non lascia molte alternative: l’Italia, la terra dell’oro, l’ignoto “laggiù” che tutti decantano non è il paradiso, ma anzi un luogo spesso di sfruttamento e di facili tentazioni criminali. Una realtà che spesso supera l’immaginazione di una sceneggiatura: è il 18 settembre 2008 quando sei giovanissimi ragazzi - 31 anni il più grande, 25 il più piccolo - vengono uccisi a sangue freddo da una gragnola di colpi da un gruppo di camorristi. È la strage di “San Gennaro”, che accese i riflettori dei media su Castel Volturno per la brutalità della vicenda. Le vittime furono solo un mezzo, uno strumento che la camorra locale ha usato per dare un avvertimento ai clan criminali africani, colpendo però persone del tutto innocenti, che avevano solo la colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per Lombardi, che lo ha inserito nel film, questo avvenimento è molto emblematico: la cruda uccisione da parte degli uomini di Giu- seppe Setola di sei immigrati qualunque, che non hanno per chi li uccide né un volto né un nome, è metafora di ciò che accade quotidianamente nel nostro paese. «Ciò che emerge dal gesto, da questo modus operandi, anche se in modo estremo, è il fatto che gli italiani quando vedono un immigrato non sanno dargli una individualità, non la macchina? E.S. «Dipende, quello che resta è quello che il regista vuole dirci, cosa le sue emozioni gli hanno suggerito per l’inquadratura. Il film è una proposta, il pubblico poi deve decidere. Alla fine ognuno si inventa il suo film, lo spettatore sogna in sala. Il movimento nella sua mente è fondamentale, è libero e anzi chi vede deve fabbricarsi il suo film». Com’è il vostro rapporto con gli attori invece? N.P. «Io ammiro moltissimo gli attori che, nonostante abbiano i loro sentimenti, diventano qualcun altro; devono fare cose strane e difficili davanti a sconosciuti, insomma sono persone molto particolari. Cerco sempre un momento di relax con gli attori dopo aver girato, ci beviamo un drink e parliamo del girato, diventiamo amici». E.S. «Nelson ha partecipato a film con produzioni molto più ricche delle mie; io non avevo tempo di parlare con tutti: sette, otto settimane sono poche, non bastano mai. Ma è importante conoscere i propri attori, impari a capire cosa puoi chiedergli ancora. Mastroianni, simbolo del latin lover, mi sembrava invece timido, era contento quando gli ho chiesto di interpretare un gay. Ne Una giornata particolare la Loren diventa una moglie spenta. L’importante è che l’attore impari la parte, poi il regista gli fa vedere come farebbe. L’attore è insicuro, dubbioso e ha bisogno di una guida, non c’è spazio per l’improvvisazione». Parliamo di identità: quanto è importante fare un film italiano (e brasiliano)? E.S. «Credo che il Neorealismo e il Cinéma nôvo, come anche la Nou- pensano che anche lui abbia una personalità: per molti sono tutti uguali nel solo essere migranti, africani». E questo atteggiamento si vede anche lì, a Castel Volturno, dove di ragazzi onesti come Kwadwo, Ibrahim, Karim, Kuame, Justice ed Eric li puoi incontrare tutti i giorni. Gli abitanti del comune casertano, come testimonia il regista, sono scontenti del grande afflusso di immigrati perché secondo loro diminuisce l’attrattiva turistica del paese. Ma in realtà si conta che gli africani residenti a Castel Volturno e comuni vicini siano più o meno 20000: un numero di persone che muove l’economia molto più di quanto possano farlo i turisti a luglio e agosto. «Quando percorri la Domiziana, la via litoranea per arrivare a Castel Volturno, ti sembra di stare in Africa: la maggior parte delle persone che incontri è di colore. Tantissimi africani abitano qui; dopo la strage si sono un po’ allontanati a nord, ma sono rimasti comunque in Italia. Molti sono clandestini, ma non delinquenti: dobbiamo smetterla di fare automaticamente questa equazione. Nella maggior parte dei casi sono persone che si arrangiano, cercando di vivere alla giornata, ma non per questo commettendo atti criminali. Le persone del luogo auspicano che prima o poi se ne vadano da qui, come se questa fosse la panacea di tutti i mali», racconta Lombardi. E se la presenza della comunità africana appare oggi scomoda, lo è stata ancor più a ridosso della strage: all’inizio non è stato facile ottenere tutti i permessi per girare, anche il sindaco di allora non si era mostrato del tutto disponibile. «Dopo i fatti del 18 settembre 2008, la polizia intensificò i controlli: capitava non di rado di essere fermati, soprattutto se in auto si trovavano contemporaneamente una persona bianca e una di colore - continua Lombardi -. Quando ho cominciato a girare il film, ero spesso in compagnia di ragazzi africani che mi aiutavano a trovare le location: molti di loro mi dicevano che, nel caso in cui ci avessero fermato, non avrei mai dovuto dire di essere un giornalista. Le forze dell’ordine, infatti, “gli avrebbero fatto passare un guaio”. Da lì ho capito che chi era lì per raccontare la verità dei fatti non era visto di buon occhio». Meglio tacere, far passare sotto silenzio una verità scomoda: è questo l’atteggiamento più diffuso, forse per paura o forse per allontanare l’etichetta di cittadina pericolosa. E spesso proprio sull’insicurezza si fonda parte della propaganda politica che, «per raccogliere voti punta sull’allarmismo, amplificando un atteggiamento spesso italiano di generalizzazione e spersonalizzazione dell’immigrato, considerato come massa e non come individualità. È un passo indietro per la nostra società, considerando anche la nostra storia: a mio parere non c’è molta differenza tra l’africano che viene qui e l’italo-americano raccontato in tanti film di Scorsese», commenta il regista. Con questo film Lombardi vuole spingerci a guardare gli immigrati prima di tutto come individui e non come fenomeno sociale collettivo, a chiederci che storia abbia o cosa sogni il senegalese che incontriamo per strada o se l’ivoriano che prende il nostro stesso autobus sia simpatico o no. Riempiono cassette di pomodori, dipingono le pareti dei nostri appartamenti, si spaccano la schiena per due soldi, spesso sfruttati dagli stessi italiani, nel paese là-bas in cui avevano riposto la loro speranza. velle vague, abbiano in comune l’amore per il proprio paese: una delle cause della decadenza del cinema contemporaneo è la mancanza di affezione per il proprio paese. Dire ad un giovane “devi amare l’Italia” oggi sembra una follia. Bisogna pensare a chi andrà il proprio lavoro, devi amare il pubblico perché così lui amerà te». N.P. «Chiaramente il mio cinema è sempre inserito nel contesto storico e culturale del mio paese. In Rio 40° ci sono tutte le classi sociali, è come la letteratura che lascia scritto il modo di vivere della nostra società. La cen- sura è stata così potente che è difficile spiegare cosa c’è stato: il film è stato vietato dalla polizia perché facevo vedere solo gli aspetti negativi di Rio, fu considerato un film “di parte”. Invece il successo che ebbe all’estero ha permesso di farlo vedere anche in Brasile». Nelson, si può dire che il Cinéma nôvo è stato ispirato dal Neorealismo? «Certo, moltissimo. La lezione del Neorealismo non è arrivata solo in Brasile, ma anche in India e in America. In Brasile abbiamo discusso molto sulla costruzione di una sorta di Cinecittà, ma il Neorealismo era camera alla mano e strada. Il dopoguerra italiano somigliava molto alla realtà brasiliana del tempo: il Neorealismo ci ha ispirati perché avevamo già gli ingredienti di base nella nostra realtà di strada». Al cinema a Roma e a Rio Diamo i numeri Oltre 200 milioni: questo l’incasso prodotto nel 2011 dai film italiani, che hanno registrato nell’ultimo anno anche un aumento del 10% delle presenze di mercato. Un buon risultato a favore delle pellicole nostrane, prova che l’impegno dei nuovi attori e registi comincia ad essere premiato. E in Brasile? Negli ultimi anni il pubblico è aumentato, la sensibilità verso la cultura cinematografica sembra crescere sempre di più: ad oggi sono circa 10 milioni gli spettatori che frequentano regolarmente le sale. Al tempo stesso, però, l’industria cinematografica brasiliana non riesce ancora ad imporsi nel panorama internazionale. 30 Marzo 2012 Società Consumi INFOWEB www.agcm.it Cosmesi alla milanese La Lombardia guida la classifica delle regioni italiane dove si consuma la maggior quantità di prodotti cosmetici. La pubblicità ti fa bella tempo di lettura: 7 minuti Cosmetici. La verità oltre il messaggio Con il trucco e con l’inganno Ciglia che sfidano le leggi della fisica, rossetti ipervolumizzanti e creme che cancellano ogni segno di cellulite. Possiamo crederci? Quando le promesse dei prodotti possono essere mantenute e quanta finzione c’è invece dietro gli accattivanti messaggi pubblicitari? Simona Mesiano, 16 anni T est clinici lo dimostrano. Ok, allora fateci vedere le prove. Dimostrateci che il vostro prodotto è davvero in grado in pochi giorni di diminuire il giro coscia di 2 centimetri, che la vostra crema mi farà dire addio alla cellulite e che uscirò dalla doccia – naturalmente senza aver lavato via l’abbronzatura – magari con due taglie in più di reggiseno. Possiamo davvero credere ai vari “mangi e non ingrassi” o “dimagrisci mentre dormi”? Possiamo fidarci, quando i vari prodotti sono “clinicamente testati”? «In realtà per la legge l’azienda cosmetica non ha bisogno di provare le promesse pubblicitarie – spiega Laura Bruzzaniti, autrice del libro Il trucco della bellezza –. Le prove possono essere tirate fuori solo nel caso in cui ci sia un’accusa di pubblicità ingannevole. Le aziende testano i prodotti come vogliono e, spesso, sono loro stesse ad eseguire i controlli; altre volte i test vengono eseguiti solamente su alcuni principi e non sull’intero prodotto, infine, il risultato che si reclamizza può essere riferito al gradimento del trattamento e non alla sua efficacia». Che non è proprio la stessa cosa. Ci sono spesso case produttrici anche note che vantano di essere in grado di ridurre il giro coscia di un centimetro in breve tempo, «ma non esiste alcun cosmetico con questo potere. La cellulite è un problema medico, originato da vari fattori; la crema tutt’al più può avere il potere di lisciare un po’ la pelle». Siamo quindi completamente indifesi contro le insidie della pubblicità? In realtà esistono due organismi preposti al controllo sull’ingannevolezza del messaggio trasmesso. Innanzitutto c’è l’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria (Iap), composto dagli addetti ai lavori della comunicazione pubblicitaria, che ha la funzione di verificare che gli operatori rispettino il codice di autodisciplina che si sono dati. Generalmente quando blocca una réclame lo fa su segnalazione di aziende concorrenti. Poi c’è l’Antitrust, che può chiedere all’azienda di fornire le prove delle qualità promesse anche su indicazione dei consumatori. Se le prove non arrivano o non sono sufficienti, l’Autorità può bloccare il messaggio, obbligare l’azienda ad ammettere l’inganno – pubblicando l’annuncio sui giornali a proprie spese – e affibbiare ai furbetti una sostanziosa multa. Grande soluzione a parole, ma molto meno nei fatti, perché anche la san- zione più onerosa è ben poca cosa contro il budget delle varie aziende, che nel frattempo hanno fatto passare il loro messaggio ai potenziali clienti per mari e per monti. Inoltre, «la cosiddetta “smentita” molto spesso è contenuta in diciture piccole, quasi illeggibili. Bisognerebbe invece obbligare le aziende a smentire con gli stessi metodi ed enfasi utilizzati nella campagna pubblicitaria», continua Bruzzaniti. Invece sfogliamo le riviste e troviamo continuamente pagine dedi- cate a creme super snellenti, anticellulite, prodotti miracolosi contro le smagliature, ma anche, per passare al make-up, rossetti effetto silicone e mascara in grado di far diventare le tue ciglia lunghe, anzi lunghissime. In Gran Bretagna, ad esempio, qualche anno fa fu bacchettata l’immagine di Penelope Cruz che prometteva l’allungamento del 60% delle ciglia grazie ad una nota marca di mascara. Peccato si scoprì che le suddette ciglia fossero finte. E poi ci sono le pillole della meravi- glia, come quelle in grado di trasformare un seno piccolo in un esuberante décolleté, più grande, più alto, più sodo e tonico, insomma “più”, mixando giusto qualche erba. «Il pericolo non arriva tanto dai trucchi, che non penetrano nel derma – chiarisce ancora Bruzzaniti – quanto da integratori e compresse varie, come quelle per dimagrire. Molte aziende infatti si stanno specializzando nell’alimentare. Ci sono pillole, anche se naturali al 100 per cento, contenenti sostanze che limitano l’assorbimento di determinate medicine o vitamine oppure possono contenere sostanze eccitanti. E il consumatore si fa suggestionare e attrarre spendendo anche cifre assurde nella speranza di ottenere effetti miracolosi». Del resto ormai la case produttrici puntano a “risolvere” tutti i problemi, diversificando l’offerta di cosmetici e trattamenti in base alle più svariate esigenze. Pensate che negli Stati Uniti si sono inventati una crema specifica per i capelli delle bambine nate da un genitore caucasico e uno afro-americano. Vabbè, anche il marketing ha le sue regole e la sua ragion d’essere, almeno fin quando si resta nell’ambito delle promesse mantenibili. Io che ho il capello crespo, continuo a fare i semplici impacchi di olio d’oliva. Perché io valgo. Curiosità. I rimedi che non ti aspetti Quella vipera di vostra madre Virginia Lupi, 17 anni Una delle creme antiacne più ricercate negli ultimi mesi è quella alla bava di lumaca, dagli effetti (dicono) miracolosi su cicatrici, macchie e smagliature. Non capisci se ti prendono in giro oppure se è una cosa seria. Digiti su Internet ed ecco alcuni forum che esaltano o distruggono un certo prodotto. Enorme è la confusione e contagia un po’ tutte, preda di quel mito che ci vuole lisce come bambole e ci avvisa che le prime rughe insorgono, pensate, già a 26 anni. Insomma, smetti di lottare contro l’acne e, zac, arrivano le rughe! Ecco una galleria di trattamenti dei quali ultimamente si proclamano le virtù seguendo il detto materno: “chi bella vuole apparire un po’ deve soffrire”. Cominciamo con una star come Victoria Beckham che ci svela il suo segreto di bellezza: la cacca di usignolo. Sembra che durante una visita in Giappone abbia scoperto questo trattamento che ringiovanisce la pelle e rende la carnagione luminosa. Questa maschera di bellezza (un po’ repellente) veniva usata dalle geishe per struccarsi. Quello della cacca di usignolo, però, non è un caso isolato, ci sono altre “secrezioni” di animali da cui nascono cosmetici unici, come nel caso dello sperma del toro, ingrediente per nutrire i capelli e renderli più luminosi, mentre la scia un po’ gelatinosa della lumaca è antiossidante e ringiovanisce la pelle umana, così come l’animaletto ringiovanisce il suo guscio. Il veleno della vipera, poi, viene inserito in molte creme antinvecchiamento ed ha effetti simili al botulino (da consigliare alle madri un po’ fissate). Il nostro consiglio? Tenete conto che la bellezza è soprattutto business. Quindi, quando acquistate un cosmetico per prima cosa controllate l’Inci, ovvero l’etichetta degli ingredienti e verificate che non contenga derivati petroliferi, conservanti rilascianti formaldeide o comedogeni (vi riempirete di puntini neri!). Vi sarà di aiuto il celeberrimo “Biodizionario” (on-line), che consente di cercare gli ingredienti e affibbia pallini verdi, gialli o rossi a seconda della dannosità. Se conoscete l’inglese, invece, c’è il famoso Skin Deep. Infine verificate che il prezzo sia proporzionato alla qualità: la trasparenza verso i consumatori è meglio di tante false promesse! 31 Marzo 2012 Giochi Tempo Libero INFOWEB www.zai.net L’oroscopo Test 21/3 - 20/4 Ariete La primavera comincia a farsi sentire e voi non vedete l’ora di godervi i primi giorni di sole... pazientate: il vostro momento sta arrivando. Feeling con: Pesci e Sagittario Stai lontano da: Acquario e Scorpione Giorno fortunato: il 13 marzo Mimose all’antica o in carriera? Come tutti sappiamo l’otto marzo è la giornata dedicata alle nostre amiche femminucce (o A VOI femminucce, dipende dal caso!). Oggi le donne hanno ormai conquistato (quasi) la loro sacrosanta emancipazione. Rispetto ai tempi dei nostri genitori, le cose sono cambiate parecchio e decisamente in meglio per il gentil sesso. Ovviamente, per contro, è cambiato in gran parte anche il ruolo che la tradizione ha da sempre riservato alla donna (e che ancora esercita un certo fascino su una buona fetta di maschietti più all’antica). Scoprite perciò chi siete – o per chi tenete – con il nostro fantasmagorico test! Mimose all’antica o in carriera? La Festa della Donna! a La mia mamma l’ha sempre celebrata sontuosamente... cucinando il doppio per tutti! E con gli anni “tutti” sono diventati sempre di più: i miei compagni di classe, i colleghi di papà, i fidanzati intercambiabili di mia sorella... b Per femminucce e maschietti, è una scusa sempre valida per marinare la scuola – YUHUUUUUUU! c La passerò facendo qualcosa di noioso, tipo marce di solidarietà per le donne o altre menate simili... ma poi la sera si va con le amiche a vedere bonazzi muscolosi che fanno la lap-dance! Una donna, un modello di vita! a La Vergine Maria – un autentico evergreen! b Sicuramente non certe delle nostre “Ministre” presenti o passate... Lady Gaga. Eh... sì, Lady Gaga, c che c’è? Si veste con le bistecche, ma ha un sacco di soldi e mica va a rubare! Perché non può essere un modello positivo? Tanto per fantasticare... e se un giorno dovessi scegliere tra famiglia e carriera? a b c a b c Beh, una bella famiglia allegra e numerosa è sempre una scelta apprezzabile... ma anche la carriera come suora di clausura può essere allettante! Certo non ci sarebbe niente di male ad occuparsi della famiglia ricoprendo il ruolo più tradizionale di donna, ma siamo ancora studenti delle superiori, abbiamo tutta una vita davanti a noi per fare certe scelte! Quando mi troverò su una splendida spiaggia caraibica a sorseggiare sontuosi cocktail ai frutti tropicali nel lusso che solo una brillante carriera ti può concedere, allora me lo direte voi se avrò fatto la scelta giusta! Una canzone per noi donne! Ave Maria (tanto per rimanere in tema). Girl just want to have fun di Cindy Lauper – un classicone valido per tutte le epoche! Lasciateci (e lasciamole) divertire! Rebel Girl delle Bikini Kill, che ovviamente il 99% di voi non avrà nemmeno mai sentito nominare... quindi perché, mi chiedo io, vi atteggiate a femministe se non conoscete neanche una delle bandiere del movimento Toro Riot Grrrl? Documentatevi, giovinastre! Una serata tra amiche... Perché non passarla recitando il a rosario tutte assieme dopo cena? b Ehi, ma per che razza di aliene ci avete preso? La passerei come tutte le ragazze normali, che sia in casa con loro o in discoteca... o perché no, nel locale coi tipi muscolosi di cui si parlava prima! c Se non sono nel locale con gli ormai famosi tipi muscolosi, mi trovate sul cubo in discoteca! O a scelta, se più vi aggrada la situazione, in un palloso centro sociale a lamentarci dei maschi! Un proposito o un augurio per il tuo futuro. Cucinare manicaretti per la mia a famiglia, rendere la casa linda e splendente, nascondere sempre e a tutti la mia depressione e alcolismo segreti! b Non prendere quattro alla prossima verifica di latino che... è ora? A parte gli ovvi soldi e successo c a palate, mi auguro che in futuro la Redazione di Zai.net decida di trovare un nuovo autore (un po’ più decente) per i test! 21/4 - 21/5 Si avvicinano i vostri mesi preferiti e affrontare gli strascichi dell’inverno non fa decisamente per voi. Le stelle dicono di lottare: c’è qualcosa all’orizzonte! Feeling con: Gemelli e Capricorno Stai lontano da: Leone e Bilancia Giorno fortunato: il 18 marzo A cura di Cassandra Bilancia 23/9 - 22/10 Sembrate sempre più convinti che il mondo si stia coalizzando contro di voi, ma dovete solo mettervi un paio di occhiali puliti... e ci vedrete molto più chiaro. Feeling con: Pesci e Gemelli Stai lontano da: Scorpione e Cancro Giorno fortunato: il 9 marzo Scorpione 23/10 - 22/11 Questo mese si prospetta assolutamente fantastico per i nati sotto il vostro segno e dovete approfittare del momento per brillare come sapete fare! Feeling con: Toro e Acquario Stai lontano da: Leone e Capricorno Giorno fortunato: il 22 marzo Gemelli 23/11 - 21/12 Marzo non è solo il mese della primavera: si parla di rinascita e di serenità dalle vostre parti. Le prime gemme sapranno commuovervi: continuate così! Feeling con: Leone e Gemelli Stai lontano da: Bilancia e Vergine Giorno fortunato: il 25 marzo Cancro 22/6 - 22/7 Finalmente tornate a vedere il vostro sole interiore che si era un po’ oscurato... qualcuno vi attende: prendete una decisione! Feeling con: Leone e Toro Stai lontano da: Pesci e Ariete Giorno fortunato: il 27 marzo Capricorno 22/12 - 20/1 Quest’atmosfera non vi piace proprio e probabilmente se ne stanno accorgendo tutti dal muso che avete messo su... sorridete ogni tanto! Ricordate come si fa? Feeling con: Gemelli e Acquario Stai lontano da: Cancro e Vergine Giorno fortunato: il 15 marzo Leone 23/7 - 22/8 Non sarà un mese propriamente facile, lo sapevate da ancor prima che iniziasse, ma ricordatevi che siete i re della savana. Pettinate bene la criniera, su! Feeling con: Cancro e Vergine Stai lontano da: Toro e Gemelli Giorno fortunato: il 29 marzo Acquario 21/1 - 18/2 Sono passati i vostri mesi preferiti e non vedete l’ora che arrivi l’estate. Non siate troppo impazienti e date tempo al tempo: vi tornerà utile saper aspettare! Feeling con: Leone e Ariete Stai lontano da: Cancro e Toro Giorno fortunato: il 31 marzo 22/5 - 21/6 Siete sempre più delusi dal mondo e non avete la forza di reagire, ma dovreste solo tirarvi su le maniche. Fate un po’ pace con voi stessi, poi ne riparliamo. Feeling con: Toro e Ariete Stai lontano da: Leone e Capricorno Gorno fortunato: il 24 marzo Vergine 23/8 - 22/9 Questi primi mesi del 2012 stanno andando un po’ al rallentatore, ma secondo le stelle è solo una vostra impressione. Preparatevi a un grande evento! Feeling con: Leone e Sagittario Stai lontano da: Cancro e Acquario Giorno fortunato: il 16 marzo Sagittario Pesci 19/2 - 20/3 Questo è decisamente il vostro periodo d’oro... auguri a tutti i pesciolini! Datevi alla pazza gioia guizzando di qua e di là: mettete da parte energia positiva. Feeling con: Ariete e Gemelli Stai lontano da: Sagittario e Bilancia Giorno fortunato: il 4 marzo Scopri il tuo profilo La foto del mese Da 7 a 12 punti Umana Il profilo mediano, quello che ogni mese ci si arrampica sugli specchi per trovare qualcosa di spiritoso da dire al riguardo! Vi ho definite “Umane” proprio per la “normalità” del vostro approccio, cosa che denota un certo equilibrio. Possiamo quindi sostenere che siete a metà tra la donna che non rinuncia alla famiglia - se la vuole - e quella che punta alla carriera - quando glielo consentono. Uhm, tutte ‘ste persone equilibrate però puzzano: non è che avete barato? Da 1 a 6 punti Marge Simpson Per i maschietti: probabilmente l’unica femmina che avete conosciuto è la mammina; per le ragazze, due possibilità: o veramente vi riconoscete nel ruolo di angelo del focolare dedito ai piccoli e ai fornelli (che poi, che c’è di male?) oppure siete arrivate ai giorni nostri con una macchina del tempo direttamente dagli anni ‘50! Buona festa della donna, e ragazzi... mi raccomando le mimose per la mamma! Punteggio per ogni risposta A: 1 punto per ogni risposta B: 2 punti per ogni risposta C: 3 punti Foto di Melusina Da 13 a 18 punti Rampante In redazione mi hanno suggerito di non farvi sembrare troppo delle panterone arriviste, perciò questo lo lasceremo pensare ai mammoni del primo profilo. A parte ciò, vi facciamo i complimenti per la vostra intraprendenza e spregiudicatezza, doti che sicuramente vi aiuteranno a farvi strada. Solo poi non lamentatevi se anche il prossimo San Valentino lo passerete da sole a ingurgitare gelato davanti alla TV! Ps: chissà se in redazione me la faranno passare... ma io ci metto una bella pezza augurando a tutte (e tutti) buona festa della donna! Praga, piazza della Città vecchia: in che direzione dovremmo andare? BE Zai.net in pillole Donne e lavoro: diritti sfilati Alla ribalta delle cronache per una discussa vicenda di delocalizzazione che mina i loro posti di lavoro, le donne impiegate allo stabilimento Omsa di Faenza non si arrendono e fanno sentire la loro voce. Le abbiamo incontrate all’uscita della fabbrica per raccoglierne le testimonianze. (Alle pagg. 4 e 5) YOURSELF AND La “vecchia” scuola Siamo il Paese europeo con il maggior numero di docenti ultracinquantenni e la più bassa percentuale di professori under 30. Un primato che, oltre a danneggiare gli aspiranti giovani insegnanti, non è un bene neanche per gli studenti, che chiedono una didattica più “vicina” al loro mondo. (A pag. 3) Lidia Ravera: da donna a donne Nel numero di marzo, dedicato alle donne, non potevamo non coinvolgere Lidia Ravera, scrittrice simbolo del femminismo. Ai ragazzi di Zai.net spiega cosa manca alla nostra cultura e alla nostra politica per superare, una volta per tutte, la disparità tra i generi. (A pag. 6) Una marcia in “+” Un titolo positivo – il “più”- per un album che ha tutte le carte in regola per restare un bel po’ ai vertici delle classifiche. Una scelta fatta per invocare la buona sorte? Lo abbiamo chiesto direttamente al giovane interprete, Ed Sheeran, reduce dal doppio successo ai Brit Awards. (A pag. 24) La Inaudi tra Marilyn e Audrey A Colazione da Tiffany sarebbe dovuta andarci Marilyn Monroe, secondo Truman Capote, autore del testo da cui fu tratto il celebre film. E proprio alla Monroe si è ispirata Francesca Inaudi per interpretare il ruolo che fu della Hepbrun in una rappresentazione teatrale molto più fedele al libro. (A pag. 22) Cose turche a Istanbul Questo mese Zai.net vi porta nell’affascinante Istanbul, l’unica capitale al mondo che si estende tra due continenti. E le particolarità della metropoli turca non finiscono qui. Gustate e odorate il nostro reportage, tra antiche moschee e caratteristici bistrot! (A pag. 8) LookSmart Zai.net Lab, il più grande laboratorio giornalistico d’Italia, è realizzato anche grazie al contributo di In collaborazione con