ZAINET MARZO 2012:Layout 1

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ZAINET MARZO 2012:Layout 1
ISSN 2035-701X
Lo okSm
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erno
N° 2 - MARZO 2012
G
FENOMENI
I
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R E P O R T E R
“Poste Italiane. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Torino n° 2 Anno 2012”- € 0,70
C’è chi dice no
Elena Guerrini: il mio
libro per sfidare l’eterno
tabù del grasso
A pagina 18
TEATRO
Colazione
da Tiffany
Il romanzo-mito sulle
scene così com’era
A pagina 22
MUSICA
Incredibile Ed
Ed Sheeran, vincitore ai
Brit Awards, ci racconta
la sua inaspettata ascesa
A pagina 24
INCHIESTA
Il diavolo
veste Omsa
Le operaie licenziate per
spostare la produzione in
Serbia. Le loro storie, la
nostra vergogna
A pagina 4
La primavera
delle ragazze
2
Marzo 2012
A cura di Greta Pieropan,
18 anni
Antispot
IL TRIONFO DELLA RETORICA
n°2
marzo
Direttore responsabile
Renato Truce
Vice direttore
Lidia Gattini
In redazione
Maria Elena Buslacchi
Chiara Falcone
Simona Neri
Redazione di Torino
corso Allamano, 131 - 10095 Grugliasco (To)
tel. 011.7072647 - fax 011.7707005
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Quante volte avete visto una bandiera attorcigliata all’asta a causa del vento? Quante volte avete visto una donna voler provare che Darwin aveva ragione e arrampicarsi come una scimmietta per sbrogliare la suddetta bandiera? Se pensate che non
possa mai accadervi nella vita, vi sbagliate. Basta accendere il televisore e imbattersi nello spot che pubblicizza l’aumento di capitale di Unicredit.
La musica trionfale di sottofondo dovrebbe già metterci in guardia, ma la telecamera inquadra una giovane che con sguardo sicuro si ferma a guardare la bandiera
impigliata, un profondo respiro, la musica in crescendo, si toglie il cappellino, poi
le scarpe, si avvicina all’asta, si arrampica e… la bandiera torna a sventolare libera
e felice! Non contenti di averci fatto assistere a questo atto eroico, gli autori dello
spot inquadrano anche i passanti che si sono fermati ad ammirare l’azione mentre
applaudono, orgogliosi della loro connazionale! Ovviamente nel frattempo la musica
ha raggiunto l’apice del trionfo, ma lo spot non ancora: manca la voce fuori campo che pronta interviene e dice: “Se avete bisogno di azioni concrete, partecipate all’aumento di capitale…”. Il trionfo della retorica - se crediamo che dietro la frase “azioni concrete” non ci sia una battuta mal
riuscita - per uno spot che sembra lanciare il classico messaggio dei cittadini che devono aiutare l’Italia a uscire da una situazione intricata e prendere l’iniziativa, avere coraggio… tutte parole sentite e risentite, che in questo particolare periodo non aiutano molto, anzi, scatenano l’insofferenza degli spettatori. Sarebbe stato meglio uno spot molto più semplice!
Redazione di Genova
Via Cairoli, 11 - 16124 Genova
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Hanno collaborato
Dal laboratorio Attualità: Simona Neri
(supervisione giornalistica)
Marzia Mancuso, Kalliroi, Chiara
Gianusso, Michela Ciuffetelli, Michela
Eusani, Marta Fabrizi, Alfarida Hoxha,
Raffaele Manieri, Chiara Mattei, Flavia
Placidi, Evelina Podennikh, Riccardo
Risdonne, Manuel Romano
Dal laboratorio Giovani Critici:
Maria Elena Buslacchi
(supervisione giornalistica)
Chiara Colasanti, Elena Prati, Giulia Iani,
Martina Pi, Davide Ghio, Laura Santi
Amantini, Valeria Firriolo, Matteo
Franzese, Mattia Marzi, Paolo Nataloni,
Beatrice Feudale, Alice Golisano,
Federica D’Angelantonio, Maddalena
Messeri
Dal laboratorio Costume e Società:
Chiara Falcone (supervisione
giornalistica)
Serena Mosso, Andrea Lombardi, Valentina
Fazio, Vittoria Nari, Luca Pertuso, Marco
Miano, Manuela Storace, Simona
Mesiano, Virginia Lupi, Greta Pieropan
C’È MINI E MINI
Può essere molto rischioso realizzare una pubblicità comparativa, le regole sono
molto rigide in questi casi; ma in anni di Antispot abbiamo imparato che i creativi inventano qualcosa di nuovo ogni minuto che passa (nuovo, non sempre buono!). Così, basta usare dei giochi di parole e far scattare nella mente dello spettatore, per associazione di idee, un’immagine ben precisa e diversa da quella proposta, e lasciar fare a chi guarda l’eventuale confronto. Facciamo un esempio: se
vi dicessi “mini” e voi foste lettori accaniti di “LookSmart”, pensereste subito a
una gonna, ma se subito dopo vi facessi capire che parlo di auto, non cambierebbe l’immagine che avete pensato? Questo è proprio l’inizio dello spot Fiat per la
nuova Punto, che propone fotogrammi di ragazze con gonne molto corte e la frase “questa è la mini che amiamo” e poi immagini della Punto, “questa è l’auto che
ci piace”. Si continua con esempi di “polo” e “fiesta”, con gli immancabili sombrero sulla testa di alcuni invitati. Il gioco di parole crea un sorrisino complice in chi
guarda. È ovviamente uno spot indirizzato ai giovani, ne sono la prova i protagonisti e la colonna sonora. Peccato per l’espediente di aprire lo spot
indugiando sulle “gonne” delle ragazze, vecchio come il mondo; ma, nel complesso, l’obiettivo di lasciare agli altri il confronto diretto è raggiunto. Alla fine i giochi di parole funzionano quasi sempre.
Bocciati!!!
La moglie grassa, l’amante bona. Non è il titolo
di un film pecoreccio degli anni Settanta, ma la
filosofia che sta dietro alla pubblicità della
Ashleymadison.com, portale di incontri extraconiugali, ormai presente anche in Italia. Nel
cartellone, segnalato sul sito comunicazionedigenere.wordpress.com - appaiono due figure
femminili: una, la supermodella, è indicata come
“la tua amante”, la seconda, la signora in carne,
è come “tua moglie”. Messaggio che in un colpo
solo riesce ad essere offensivo per le mogli e per
le signore con qualche chilo in più. Complimenti!
Impaginazione Gianni La Rocca
Web designer e illustrazioni Giorgia
Nobile
Fotografie e fotoservizi
Valentina Fazio, Circolo di Sophia,
Massimiliano T., Fotolia
I giovani reporter
utilizzano NikonD3100
Sito web: www.zai.net - Francesco Tota
Editore Mandragola Editrice
società cooperativa di giornalisti
via Nota, 7 - 10122 Torino
Zai.net Lab
Anno XI / n. 2 - marzo 2012
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n° 486 del 05/08/2002
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Abbonamento studenti: 7 euro (10 numeri)
Servizio Abbonamenti
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Questa testata fruisce dei contributi statali
diretti della legge 7 agosto 1990, n. 250.
Questo periodico è associato
all’Unione Stampa Periodica Italiana
“Gioca il giusto”, invita la Sisal nell’ultimo spot
del Superenalotto. Tralasciando l’ipocrisia della
frase, fa indignare il modo diverso di rappresentare le aspirazioni di uomini e donne. Ecco ragazzi che sognano di fondare scuderie, di diventare produttori di vino o di film, presidenti di
squadre di calcio, ecc. La donne? Sognano parchi per i figli e “un futuro splendente”, ma sempre per i figli. L’unica che non è ritratta nel solito
ruolo di mamma è una ragazza che fa il bagno in
una vasca schiumosa e brama champagne. Aspirazioni professionali? Ma de che. W l’Italia!
Hanno collaborato a questo numero
Stampa San Biagio Stampa S.p.A.
via al Santuario N.S. della Guardia, 43P43Q
16162 Genova
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Publirama S.p.A.
Foro Buonaparte, 69 - 20121 Milano
Luoghi comuni in rosa
SERENA
MOSSO
Studentessa di Storia, che non è mai
una cosa savia. Aspirante scrittrice e attrice di teatro con svariati complessi
messianici, il che è ancora più sospetto.
Letture tipiche: Kerouac, Ende, Orwell e Teoria del Colpo di Stato. Insomma, qualcuno di sovversivo. Adora
fare cose strane, per avere poi delle
belle storie da raccontare; le piacciono
il rock, Chagall e mangiare cose cucinate da altri. Un giorno conquisterà un
Nobel, poi il mondo intero.
VALERIA
FIRRIOLO
Valeria, 17 anni, vive a Genova e frequenta il liceo classico “Cristoforo Colombo”. Ha moltissimi interessi tra cui
lo sport, viaggiare, la musica e uscire
con gli amici. Da grande non sa ancora
cosa vorrebbe fare: sicuramente sarà
sempre pronta a mettersi in gioco.
Crede fortemente nel futuro e la sua filosofia di vita le dice: “Carpe Diem”.
Attualmente si sta cimentando nel rendere la redazione di Radio Jeans della
scuola più attiva e partecipata.
MATTIA
MARZI
«Criticare vuol dire analizzare tutto,
anche se stessi. Mettere in discussione
dai dettagli alle scelte importanti, fino
al mondo che ci rappresenta, anzi al
quale apparteniamo o crediamo di appartenere in un dato momento». È la
frase che ha scelto Mattia, 17 anni, per
presentarsi. Ha un’unica grande passione: la musica. Canta, scrive canzoni, suona il pianoforte. Si definisce
un artista a tutto tondo, spesso incompreso, senza peli sulla lingua.
FEDERICA
D’ANGELANTONIO
Federica, 17 anni, di Roma, è una di
quelle persone troppo impulsive a
cui tutti consigliano di contare fino a
10 prima di fare qualcosa. Per ora
frequenta un liceo scientifico, scelta
che definirebbe un errore di gioventù, e poi vorrebbe studiare lettere
all’università. La letteratura è la sua
passione più grande. La scrittura è
ciò che riempie l’altra metà della sua
vita. Tiene diari fin dalle elementari
e ultimamente ha aperto un blog.
3
Marzo 2012
Attualità
Last minute
INFOWEB
www.eurydice.org
Stop ai tagli
Il ministro dell’Istruzione
Profumo ha tranquillizzato: non sarebbero al
momento in vista ulteriori tagli per la scuola.
Prof giovani:
l’eterna utopia
tempo di lettura: 7 minuti
Focus. I docenti italiani sono i più anziani d’Europa
Non è una scuola per vecchi
Quella che prima era solo una sensazione oggi si conferma una realtà: gli insegnanti del
nostro Paese sono in assoluto i più “vecchi” d’Europa e il ricambio generazionale si fa
attendere. Quali conseguenze per gli studenti?
Marzia Mancuso,
19 anni
H
o pensato a lungo a quale
sarebbe stato il miglior approccio per
il tema di questo articolo: il dato di
partenza viene dall’Unione Europea,
che nei giorni scorsi ha presentato a
Bruxelles un rapporto intitolato “Dati
chiave sull’istruzione in Europa nel
2012”. Sotto la lente d’ingrandimento i sistemi d’istruzione di trentatre Stati europei, quelli coinvolti
nel Lifelong Learning Programme
2007-2013, tra i quali rientra l’Italia.
Per quanto riguarda il nostro Paese,
accanto a dati interessanti, ma anche
in parte noti, come l’esiguità delle
risorse economiche destinate all’istruzione terziaria o la maggiore
percentuale di occupazione per chi
consegue il diploma, spicca quello
sull’età anagrafica media dei docenti.
Il 57,8% dei professori italiani nelle
scuole superiori ha più di cinquant’anni.
Ora, qui sta la difficoltà: come spiegare con chiarezza perché si tratta di
un dato fortemente negativo?
Per una volta non voglio analizzare la
situazione partendo dal problema del
precariato. Su quel fronte la risposta
è ovvia: alzare l’età pensionabile e
mantenere in servizio un personale
già in età avanzata non può che danneggiare chi ancora non ha avuto
modo di inserirsi nella scuola e vede
come un miraggio posti di lavoro destinati a non liberarsi mai.
Ma dal lato degli studenti, perché dovrebbe incidere l’avere in cattedra un
docente un po’ in là con gli anni?
Quando penso alla questione, l’immagine che mi torna in mente è un
pranzo domenicale: una tavolata di
parenti tra i quali mi trovavo ad essere l’unica nata dopo gli anni ’70. La
conversazione cade inevitabilmente
su politica ed elezioni e a me sfugge
un commento sarcastico su quei politici che si fanno curare il profilo
Facebook da un team di esperti, come
se non fosse straordinariamente ridi-
colo assumere dieci persone per aggiornare la pagina di un social network. Improvvisamente si rivolgono
a me gli occhi incuriositi di tutti i
presenti e vengo letteralmente travolta dalle domande più varie su “noi
giovani” e le piattaforme virtuali. In
quel momento mi sono resa conto di
come, sebbene internet esista dagli
anni Sessanta, per la maggior parte
degli over cinquanta sia ancora fantascienza, magia oscura.
Trasponiamo adesso questo gap generazionale nelle scuole: dall’altro
lato della cattedra troviamo qualcuno
che ignora totalmente ciò che, per le
persone che ha di fronte, è il modo
più naturale di comunicare, reperire e
condividere informazioni. Qualcuno
che non può immaginare, per fare un
esempio assurdo, che il Bernardo
Soares di Pessoa, ai nostri tempi, sarebbe potuto essere un blogger di successo, mentre Ungaretti un ottimo utilizzatore di Twitter.
Il nozionismo, che rappresentava,
purtroppo, il tratto distintivo dell’insegnamento fino a pochi anni orsono, viene oggi completamente travolto dalla disponibilità di qualsiasi
dato in qualsiasi momento: un com-
pito in classe in cui si richiedano
semplici formule o date verrà svolto
senza sforzo con l’ausilio di uno
smartphone opportunamente occultato. La nuova sfida dell’insegnamento sta piuttosto nello spronare
gli studenti a riflettere, far loro sviluppare uno spirito critico che li renda capaci di selezionare, nell’enorme mole di informazioni cui così facilmente accedono, quelle davvero
affidabili ed utili alla loro formazione. Ricercare le fonti, approfondire
gli argomenti invece che accontentarsi di raschiarne la superficie (un
tipo di approccio, ahimé, molto comune).
D’accordo, generalizzare non è mai
corretto, e anche tra i docenti con
qualche anno in più, e ai quali comunque riconosciamo l’esperienza
come dote, c’è chi cerca di restare al
passo con i tempi. Qualcuno magari
ci riesce anche, qualcuno. Ma nella
maggior parte dei casi parliamo di
soggetti, tra l’altro, logorati da anni e
anni di insegnamento, un mestiere per
niente semplice e certo spossante: si
può chiedere loro di fare un ulteriore
sforzo e acquisire una preparazione
La giovine Spagna
L’Italia è il Paese che ha la più alta percentuale (57,8%) di professori ultracinquantenni
nelle scuole secondarie, segue la Germania
con il 50,7%.
Contemporaneamente l’Italia ha la
percentuale più bassa di docenti under 30 (0,5%), rispetto alla Germania (3,6%), alla Bulgaria (5,5%),
ad Austria e Islanda (6%). La Spagna vanta un ottimo 6,8%.
da cui sono stati sino ad ora del tutto
estranei? Imparare un linguaggio mai
usato prima, così da restringere
l’abisso che li separa dai ragazzi cui si
rivolgono ogni giorno in ogni classe?
E se anche non fosse una crudeltà
chiederlo, ne sarebbero capaci?
Interpellata sulla questione Margherita Oggero, che oltre ad essere scrittrice di libri di successo (nonché dei
racconti che hanno ispirato la fiction
“Provaci ancora prof”) è stata anche
insegnante, ci ha detto: «Certo, il divario d’età troppo largo tra studenti e
docenti qualche volta non giova, nel
senso che c’è il rischio di una lontananza di vedute e di modo di proporsi che rende difficile il dialogo
educativo. D’altra parte i professori
meno giovani, magari non tutti,
hanno sulle spalle una maggior pratica dell’insegnamento e una capacità consolidata nel tempo e se amano
il loro lavoro si adeguano anche sulle
tecnologie, pur restando più difficile
la comunicazione. Insomma, la verità sta un po’ a metà». E a noi andrebbe già bene avere anche solo una
metà di insegnanti giovani.
Oggi più che mai la comunicazione
rappresenta un aspetto essenziale dell’insegnamento e importante, perché
si realizzi al meglio, è la presenza di
una base comune; per questo è fondamentale un rinnovamento regolare
del personale nelle scuole. Professori
più giovani, con alle spalle esperienze
simili a quelle dei propri allievi.
Per realizzare ciò si passa certo dal
dare più dignità alla professione, a
partire dal livello degli stipendi: lo
stesso rapporto UE svela infatti come
il numero di aspiranti insegnanti tra i
laureati stia progressivamente scendendo, a causa di retribuzioni evidentemente troppo basse e prospettive di lavoro disarmanti.
Non resta che sperare che i legislatori
aprano gli occhi e rimedino in fretta
all’imbarazzante stato dei fatti, anche se, constatandone l’età media,
non è difficile intuire che ci metteranno un po’ a individuare il problema. Come si dice, la speranza è
l’ultima a morire, questa però è di
certo vicina alla pensione.
4
Marzo 2012
Attualità
INFOWEB
www.filctemcgil.it
Inchiesta
239
Omsa,
che scandalo!
Le dipendenti Omsa
che rischiano di perdere il lavoro senza la
riconversione del sito.
tempo di lettura: 18 minuti
Lavoro. Quando i diritti si sfilano come calze
Non siamo golden ladies
Viaggio a Faenza, dove la fabbrica Omsa, noto marchio del mondo della calzetteria, chiuderà
i battenti per riaprire in Serbia, complice il costo del lavoro bassissimo
Kalliroi,
18 anni
P
ioggia battente a via Pana 92, a
Faenza, una strada provinciale piena di
stabilimenti e capannoni tra cui si erge,
nella sua tipica architettura squadrata,
la fabbrica della Omsa, uno dei marchi
del gruppo Golden Lady, azienda leader del settore intimo/calze, che insieme a Calzedonia domina il mercato
italiano e internazionale. Il cielo è grigio e non solo quello: il futuro delle
237 dipendenti della fabbrica è messo
a repentaglio dalle scelte centrifughe
del patron - o forse meglio dire padrone - Nerino Grassi, che ha deciso di
delocalizzare parte della produzione in
Serbia. Peccato che il risultato di questa manovra sia il licenziamento collettivo delle dipendenti di Faenza e la
conseguente assunzione di operaie in
Serbia, che verranno pagate - se va
bene - un terzo. Insomma: lavoratrici
mandate a casa di qua per sfruttarne altre di là. L’equazione a noi sembra abbastanza evidente, ma forse non appare così a tutti, dato che le operaie
dello stabilimento sono in cassa integrazione da due anni, hanno una lettera
di licenziamento in scadenza a metà
marzo e ancora nessuna proposta concreta è stata fatta loro. Tra incontri a
Roma al Ministero, presidi, sit-in, addirittura rappresentazioni teatrali, la
protesta di questo gruppo di donne forti
e determinate continua a montare e non
avrà fine prima di una soluzione concreta. Abbiamo deciso di incontrarle
lì, dove tutto è iniziato per molte di
loro e dove, tra poco, potrebbe calare il
sipario.
«Sono 23 anni che lavoro qui: la mia
giornata era fatta di gesti quotidiani
sempre uguali, ogni giorno era scandito
da movimenti ripetitivi. Certo, non era
il lavoro più vario del mondo, ma era
un lavoro e tanto basta – ci racconta
Angela Cavalli, 45 anni –. Ho fatto
vari sacrifici stando qui in tanti anni: mi
alzavo la mattina alle 4.00 per i turni e
quando facevo il pomeriggio sapevo
che non avrei visto i miei bambini per
tutto il giorno. Nonostante questo, però,
Le operaie fuori dalla fabbrica
ero consapevole di essere fortunata, di
avere un lavoro che, seppur monotono,
facevo con orgoglio. Oggi tutti i miei
progetti si sono fermati: non sai nulla,
non puoi programmare nulla; la nostra
vita ora è in mano ad altri, io non mi
considero più padrona della mia vita».
Angela tiene in mano un cartello
bianco, semplice, con su scritto: “Dicono che sono una cellula che muore,
in realtà sono solo una donna che vuole
lavorare”.
Perché nella corsa al profitto la delocalizzazione è un pullulare di nuove
cellule, a scapito delle vecchie da rottamare non perché meno produttive,
ma perché costano troppo.
Il lato oscuro e diabolico della globalizzazione spinge le aziende a risparmiare sul costo del lavoro per poter rimanere competitivi nel mercato, dove
l’industria cinese sta prendendo sempre
più piede in virtù (forse sarebbe meglio
dire per colpa) dei salari più bassi e
delle minori tutele dei dipendenti.
Dopo la Fiat, la sindrome da fuga delocalizzante ha colpito un’altra azienda
dal fatturato milionario: sul sito della
Golden Lady si legge che il suo successo si fonda sulla “capacità di percepire e tradurre in pratica, in modo rapido, le necessità di cambiamento del
mercato”. Detto, fatto: nel 2009 i 350
dipendenti della fabbrica faentina vengono messi in cassa integrazione. «Ad
oggi hanno trovato lavoro 6 o 7 persone, 120 se ne sono andate con una
buonuscita di 30mila euro, ma sono
ancora a casa. Se sono disoccupati loro
cosa dobbiamo aspettarci noi?», ci
spiega Antonella Valgimigli, 45 anni,
da 25 in Omsa. Dopo due anni di cassa
arriva la ciliegina sulla torta, anzi lo
spumante: poco prima di Capodanno le
dipendenti ricevono via fax la notizia
della chiusura definitiva dell’azienda e
del conseguente licenziamento collettivo il prossimo 14 marzo 2012. Quale
alternativa per le operaie?
Al momento nessuna: dal mese di gen-
naio si sono susseguiti vari incontri
con le parti sociali al ministero del Lavoro, in cui si accenna timidamente
alla possibilità di una riconversione e di
un potenziale compratore, di cui però
nessuno conosce l’identità. Lo scorso
22 febbraio si è ottenuta la cassa integrazione in deroga per altri sei mesi
ma, nonostante molti lo abbiano definito un successo, si tratta di una magra
consolazione. «La cassa integrazione
non è il nostro obiettivo: noi vogliamo
un lavoro. Io ho lavorato per 30 anni,
volevo la mia pensione, e voglio continuare a lavorare, non trovarmi a dover accettare necessariamente un impiego in nero», protesta Nadia
Leverani, 48 anni.
«Io voglio la riconversione: che si facciano patate o pomodori non mi interessa, voglio un lavoro con i diritti che
avevo», incalza Antonella.
«Contrariamente alla soddisfazione generale, io rimango sempre più basita
perché prima di tutto la proroga della
cassa integrazione per me doveva esser
abbastanza scontata e non una concessione. In più continuano a dirci cose
che ci hanno già detto, parlando vagamente di un progetto che però è ancora
in alto mare perché ha bisogno per
l’80% di un finanziamento dalle banche. Il sospetto è che intanto Nerino
Grassi se ne vada con la sua azienda e
noi tra cinque mesi stiamo nella stessa
situazione di oggi» commenta Samuela
Meci, sindacalista della Filctem-Cgil
che da sempre è in prima linea sulla vicenda Omsa. «Ci stanno vendendo
fumo – continua – c’è chi canta vittoria perché c’è una possibilità occupazionale in un outlet. Ma prima di tutto
è ancora in costruzione, inoltre, si tratta
semplicemente di un impegno a far sostenere i colloqui di lavoro alle dipendenti Omsa in via privilegiata, che a
casa mia non significa assunzione».
E le istituzioni? Come scritto nel verbale dell’incontro fra la Golden Lady,
Regione, Provincia, Comune, Mini-
5
Marzo 2012
Bomsa
Il movimento nato sulla
rete per boicottare tutti i
prodotti del marchio Golden Lady, tra cui Omsa e
Philippe Matignon.
Golden sales
Secondo quanto si apprende dal suo sito, la Golden Lady è
fra le aziende leader del settore a livello mondiale, in continua
espansione e con un fatturato in crescita. Ha 14 stabilimenti,
di cui 2 in Serbia, 4 negli Stati Uniti e 8 in Italia. Al momento
sono in chiusura lo stabilimento di Faenza e quello di Gissi.
simbolo della vicenda si consumi questo macabro rito.
«È lo specchio della società di oggi: fin
tanto che stai bene, te ne freghi se gli altri non stanno bene come te. Io non auguro che a queste persone capiti quello
che è successo a noi, ma certo spererei in
un po’ di solidarietà. Qui invece sembra
che la crisi dell’Omsa sia avvenuta da
un’altra parte», ci racconta Marina Francesconi, 51 anni, che si può dire abbia
passato la vita in quella fabbrica. «Io lavoro in Omsa da quando ho diciannove
anni. Da quando sono in cassa integrazione, recupero insieme a pochissime
altre mie colleghe 15 giorni a rotazione
per 4 ore, cosa che è fatta apposta per
non farci maturare ferie. La mia vita è
cambiata tanto: prima pensavi di avere
del tempo, ora non più. Hai rosicchiato
tutti i soldi che avevi da parte, devi preoccuparti di ogni singola spesa».
Come Angela, Nadia, Antonella e Marina, oltre 200 donne rischiano di non
Lo stabilimento di Faenza
stero e parti sociali: “Seguono attivamente il confronto in atto ed auspicano una conclusione positiva”. Dopo
due anni e nessuna soluzione, giustamente la prima cosa da fare è auspicare. Continua Antonella, che ha grinta
da vendere: «La politica non sta facendo nulla per questa crisi di lavoro,
anzi permette a questi imprenditori di
andare fuori, all’estero, senza pagare
nulla. Dovrebbero mettersi una mano
sulla coscienza: li vorrei vedere io se
continuerebbero a parlare così con 750
euro al mese. Io ai passatempi come la
fabbrica non ho mai creduto: se una
donna con famiglia si alza alle 4 per
mille euro al mese raggiunti dopo 20
anni di anzianità significa che ha bisogno di lavorare, altrimenti se ne stava
a casa a far grandi i propri figli».
E grandi aiuti non sembrano arrivare
nemmeno dalle istituzioni locali: «Qui
sembra che il Comune non guardi di
buon occhio queste donne perché
hanno fatto casino: invece ne dovrebbe
essere orgoglioso perché stanno portando avanti una battaglia di dignità. Il
Sindaco dovrebbe essere con loro davanti ai cancelli», continua Samuela.
E proprio a Faenza, dove non serve
aprire il giornale per leggere della vicenda, le persone sembrano essere più
distanti. Accanto allo stabilimento c’è
un piccolo prefabbricato, un outlet
della Golden Lady in cui le calze si
vendono a prezzo scontato. Mentre
aspettiamo di fare l’intervista arrivano
varie auto di grossa cilindrata, da cui
scendono donne dal passo svelto e
dallo sguardo basso: entrano nel negozio e ne escono dopo poco cariche di
pacchi. Ci colpisce che mentre la campagna di boicottaggio contro i prodotti
Golden Lady nata per solidarietà alle
operaie fa furore sulla rete, davanti al
essere più padrone del loro futuro e devono arrangiarsi con meno di mille euro
per mandare avanti la propria famiglia.
È questo il risultato di una vita dedicata
ad un impiego? È giusto che chi ha utilizzato le risorse - umane e non - di un
territorio non debba pagar nulla prima
di andare via? A quanto pare sì, perché
il money show must go on. Anzi, merita
anche di guadagnarci su: all’epoca dell’acquisto Grassi comprò quel territorio
come agricolo, pagandolo quindi pochissimo e solo successivamente convertendolo in industriale. Se oggi lo rivendesse come commerciale, potrebbe
guadagnarci ancora di più.
Pioggia battente a via Pana 92: mentre
andiamo verso la stazione ci imbattiamo, proprio in mezzo a una rotatoria, in una serie di piccole croci di legno con attaccati dei pezzi di tessuto
verde. Sono i camici delle dipendenti
che appendono al chiodo la storia di
una vita.
Emergenze. Se l’emigrazione si tinge di rosa
E le donne dissero: “Goodbye Italia”
Chiara Gianusso,
18 anni
Il nostro Paese è all’ultimo posto in
Europa nella classifica Ocse quanto ad
occupazione femminile. Ne sono efficace testimonianza le 27 storie raccontate dal libro Goodbye Italia:
donne italiane che per affermarsi professionalmente hanno scelto di vivere
negli Stati Uniti. Il saggio è stato
scritto, insieme a Silvana Prosperi, da
Cinzia Dato, docente universitaria con
un passato da parlamentare, a cui abbiamo rivolto qualche domanda.
Cosa emerge dalla lettura del vostro
libro?
«Dallo sguardo consapevole e affettuoso verso le donne che hanno lasciato l’Italia emergono tutti i problemi
del Paese. In una parte del libro, a partire da alcune frasi pronunciate dalle
nostre intervistate, riflettiamo su tutti
gli aspetti della società che in qualche
modo sono legati (classe dirigente,
etica pubblica, giovani, famiglia, violenza di genere, ruolo della donna).
Emerge il tema forte della cittadinanza
globale, costituita da persone che non
si riconoscono in un solo Paese. È curioso come l’Italia tagli i ponti con
quanti si trasferiscono all’estero a lavorare, anziché considerarli come degli avamposti; e pensare che ci sono ricercatori italiani ora luminari ad
Harvard o al celebre MIT».
Nel libro si sottolinea come la questione femminile non sia solo un problema di donne. In che senso?
«Nessuno spiega per quale motivo il
lavoro femminile faccia crescere di più
la società rispetto a quello maschile. Se
lavorano 100 donne non sono solo 100
posti di lavoro, sono almeno 115 o 120,
perché si rendono necessari altri posti
per i servizi alla persona e alla famiglia
utili quando una donna lavora. Sono
impieghi non delocalizzabili e tra l’altro nel settore dei servizi, di cui un’economia sviluppata deve essere molto
più ricca di quanto non sia quella italiana. Quando trattiamo il tema dell’occupazione femminile parliamo anche del problema del mezzogiorno e
del lavoro in nero, argomenti che vedono le donne più colpite».
Cos’hanno gli altri Paesi che manca
all’Italia?
«Tanto per cominciare molti Paesi
hanno messo in atto un welfare che non
pesa sulle spalle della donna come da
noi, ma che è in funzione della donna,
con asili nido aperti tutto il giorno,
come in Germania, ad esempio».
Perché la meta della fuga dei cervelli
sono spesso gli Stati Uniti?
«Diciamo che, soprattutto analizzando
le donne che hanno fatto una carriera
accademica, si capisce tutto: il nepotismo italiano, la gerontocrazia, il merito che non è tale. Cosa può essere il
merito in una società che non dà pari
opportunità a tutti? Il modello ameri-
I risultati della nostra indagine
cano ci permette di vedere come delle
esperienze di vita in condizioni diverse possano portare a risultati o all’impotenza totale. In una società che
si basa sulla competitività conviene
dare ad ogni persona la possibilità di
dimostrare quanto vale. All’università
se sei “figlio di”, ma non vali ti fanno
fuori perché sei mesi dopo il direttore
del dipartimento che ti ha assunto si ritrova senza finanziamento. Noi raccontiamo nel libro di una ragazza che
in Italia si è sentita dire dal prof: “Sono
io che decido chi fa il dottorato” e poi
ad Harvard è diventata direttore di ricerca a meno di trent’anni e seleziona
per il Mit chi nel mondo vuole fare ricerca di matematica pura».
Che cosa si sentirebbe di dire ai ragazzi e soprattutto alle ragazze che
ci leggono: preparate le valigie?
«Il problema non è che i giovani vadano all’estero, perché, anzi, ci dovrebbero andare tutti. Il problema è
che non si può andar via e non poter ritornare. Non si può perdere il nostro
capitale giovanile senza attrarne un altro. Pensate che non è mai stata fatta
una grande scoperta scientifica dopo i
30 anni. Ci sono poi città come Berlino che hanno costruito la loro grandezza culturale odierna sui centri sociali, noi invece consideriamo dei
delinquenti i giovani che li frequentano. La nostra è una società di vecchi
che si vestono da giovani e hanno fastidio a confrontarsi con loro».
6
Attualità
Marzo 2012
Cultura
INFOWEB
www.lidiaravera.it
Piccole donne tornano
Torna in libreria Bagna i
fiori e aspettami, riscrittura del celebre Piccole donne di L.M. Alcott, che Lidia
Ravera scrisse nel 1985.
Generazioni
a confronto
tempo di lettura: 9 minuti
Vita da donna. La parola alla scrittrice simbolo del femminismo
La parità? Solo quando fa comodo
“Per la società e le istituzioni siamo uguali solo quando conviene”. Parla Lidia Ravera,
che non risparmia critiche ad un tipo di cultura che fatica a scomparire, mentre le scelte
politiche non considerano davvero il lavoro delle donne
Serena Mosso,
20 anni
Più libri, meno seni
Non ho mai pensato che le veline fossero la maggioranza delle ragazze, è un
gruppo che fa molto rumore, ma sono
e restano una minoranza. Io non ho mai
demonizzato la civetteria, ma trovo perdente mettere il proprio aspetto al centro della vita perché dura poco. E se sviluppi solo quello vuol dire che non hai
nient’altro. Al mondo c’è una grande
quantità di capre, maschi e femmine.
Sempre più spesso nelle grandi città le
madri regalano un intervento estetico
alle figlie per i 18 anni. Sono dati, penso, molto legati a sacche di miseria culturale. Quelle madri le metterei in galera. Una madre che fa ritoccare il seno
alla figlia è il peggior esempio che mi
viene in mente; significa condannarla
alla reificazione, relegarla a un destino di oggetto di scambio. Mi sembra
una cosa gravissima. Magari una ragazza di 18 anni un po’ sciocca può
pensare che la sua vita cambierà se avrà
una 4° invece di una 2°; in quel caso il
compito della madre è regalarle dei libri per farle capire che il cervello conta di più.
Non siamo
mozzarelle
Le donne non sono ancora considerate persone a pieno titolo ma complementi, funzioni del desiderio dell’uomo
e per questo giudicate solo sulla bellezza. Certi uomini, magari attori o registi, sono idolatrati anche da anziani;
le donne invece oltre una certa età scadono come mozzarelle. Oggi molte di
loro sono di nuovo costrette a scegliere tra la carriera e la maternità, una scelta vergognosa e che grida vendetta. Agli
uomini non viene chiesto, alle donne sì
e questo non è accettabile. Oggi ci sono
leggi che negli anni ’70 non erano pensabili perché gliele avremmo ricacciate in gola, come le dimissioni in bianco da far firmare alle donne all’atto di
assunzione; in questo modo se restano
incinte la lettera di dimissioni parte immediatamente per occultare un licenziamento.
Non ci aiuta il fatto che siamo in un paese laico solo in teoria. Insomma, la cultura in cui viviamo deprezza la donna
e non ci aiuta a portare avanti la nostra
autoaffermazione. Non credo che le
donne vi rinuncino, semplicemente
molte ne sono condizionate e non è facile liberarsene.
Serve una rivoluzione ancora lunga da
portare a termine. Una nuova forma di
femminismo è incarnata da “Se Non
Ora Quando”, un gruppo intergenerazionale che ha promosso, tra le tante, la
manifestazione del 13 febbraio dell’anno scorso. È un comitato di una quarantina di donne di diversi orientamenti
politici che hanno ripreso i temi della
lotta femminile in visione poco ideologica e molto pratica, anche con incontri col governo. Il femminismo sta
vedendo una rinascita politica anche a
partire da questo gruppo.
Uomini e donne
Grazie al cielo non siamo uguali, altrimenti ogni relazione sarebbe noiosa. Però uomini e donne sono di uguale valore, equipollenti. È questo che dovrebbe essere accettato una volta per
tutte. Lo sguardo maschile non è più
lungimirante, è semplicemente diverso. Gli uomini si sono sempre creduti
l’universale, ma sono esseri parziali
egualmente come noi. E non hanno ancora capito che avere le donne alla pari
è anche più divertente.
Fortunatamente ci sono anche uomini
collaborativi, che si prodigano per la divisione delle responsabilità.
A volte, invece, sembra quasi che si cerchi la parità solo quando fa comodo,
come sul tema dell’equiparazione dell’età pensionabile.
Le donne si sa che hanno sempre lavorato di più: una lavoratrice arrivata
ai 60 anni ha nel frattempo prodotto degli esseri umani, una fatica del corpo
non indifferente, li ha cresciuti e accuditi. Oltre questo ha pulito la casa
per tutta la vita, è tornata dal lavoro ogni giorno e si è messa a
fare il bucato invece di guardare
la partita. Per questo l’età della pensione non è equiparabile. Si può dare alle donne la libertà di scegliere di continuare a lavorare; molte magari ne
hanno ancora voglia, perché hanno esercitato lavori più leggeri o
sono state aiutate nella cura della
casa e dei figli. Ritengo miope e vergognoso non considerare che nella
maggioranza delle popolazioni le donne che
lavorano hanno sempre
più occupazioni, gli
uomini una
sola.
Scandalo al liceo
Nata a Torino, Lidia Ravera è autrice di
romanzi e di alcuni saggi. Ha inoltre collaborato a numerose sceneggiature per il cinema e
per alcune serie televisive. Raggiunge la notorietà nel 1976 con il romanzo Porci con le ali, Diario sessuo-politico di due adolescenti, scritto a
quattro mani insieme a Marco Lombardo Radice.
Il romanzo è considerato l’emblema della generazione del Sessantotto. Narrato in prima persona e a
due voci, racconta l’anno scolastico di Rocco e Antonia presso un centralissimo liceo romano. I due ragazzi scoprono la vita e l’amore raccontando in
presa diretta le loro emozioni. L’opera, tradotta
in molte lingue, suscitò notevole scandalo all’epoca della pubblicazione.
Se tutti dicono
le stesse cose...
Le donne nel governo tecnico sono a
capo di ministeri importanti, ma sono
solo tre. E io sono per il 50%. Personalmente ho anche trovato simpatica la
Fornero quando ha pianto, perché penso che l’emo-
tività sia sempre un buon segno.
Per il resto questo non è un governo tecnico, è un governo di competenti, che è
già un grande passo avanti rispetto a
quello che lo ha preceduto, però è un esecutivo che fa scelte politiche. Se toccheranno l’articolo 18 non applaudirò,
perché è un pilastro della civiltà e della cultura politica di questi anni, come
non applaudirò per l’ICI sulla prima casa,
quando servirebbe invece una patrimoniale che tassi i grandi patrimoni.
I giovani possono incidere nella politica. Bisogna partire dalla tragedia
del precariato e lottare, senza delegare
le battaglie ai partiti, ma tornando alla
democrazia diretta.
È l’anticonformismo, oggi, il vero
scandalo. Tutti dicono le stesse cose,
l’opportunismo trionfa e si va avanti a mode ed emergenze: chi veramente prova a pensare, ad interrogarsi con serietà su cosa occorre dietro l’apparenza è diventato il vero scandaloso. È
la persona veramente libera, che non
espone opinioni di comodo, che non
ha bisogno di famiglie o protettori ed ha il coraggio del suo pensiero e delle
sue azioni.
7
Abruzzo
Sotto i venti
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Pagina realizzata nell’ambito del
progetto Young communication,
con il sostegno del Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale POR-FESR
2007-2013 “Attività VI.I.3” dell’Assessorato alle Politiche Culturali –
Servizio Politiche Culturali.
L’Aquila
è donna
tempo di lettura: 9 minuti
Flashback. Tutto inizia alle 3.32
Gli occhi non sanno mentire
Il ritratto di una donna, che si vergogna del proprio aspetto e si trucca per non mostrare i segni
della sua sofferenza. Ma a guardarla bene, dopo 3 anni, si può ancora riconoscere
Michela Ciuffetelli, Michela
Eusani, Marta Fabrizi,
Alfarida Hoxha, Raffaele
Manieri, Chiara Mattei,
Flavia Placidi, Evelina
Podennikh, Riccardo
Risdonne, Manuel Romano
È
gia giorno. La sveglia segna
sempre le 3.32, l’ora fatidica che mi
ha fatto addormentare senza sapere dov’ero e chi portavo dietro di me. È
come se fossi stata derubata della mia
vita e di chi viveva con me. Se volete, vi racconto la mia storia.
Erano mesi ormai che non dormivo più
tranquilla: se non ricordo male era ottobre; avevo degli improvvisi malori,
sia di sera che di giorno. Nel tempo cominciarono ad intensificarsi: ero tranquilla a bere una tazza di cioccolata
calda insieme alle persone della mia
vita e ad un certo punto: BUM!
Non ricordo i particolari, ma è stato
senza dubbio molto spaventoso: dalla tranquillità di sempre, al cuore
che ti sale in gola. Ho chiesto parere
ai medici più esperti per capire cosa
mi stesse accadendo: la loro risposta?
“Non si preoccupi, è una cosa normale
alla sua età, meglio pochi malori alla
Il doppio volto dell’Aquila
volta che tutti assieme!”. Mi sono sentita più tranquilla: se a dirlo erano loro,
potevo dormire serena la notte. Almeno credevo.
Una sera, tre terribili anni fa, ero con
i miei amici a divertirmi, volevo svagarmi un po’ per buttarmi alle spalle
le preoccupazioni degli ultimi mesi.
Erano più o meno le undici di sera: un
altro scossone, un altro colpo al cuore, questa volta più forte della settimana precedente. Io rimanevo tranquilla pensando alla diagnosi dei medici; i miei amici però mi dicevano di
non dormire sola quella notte. Non seguii il loro consiglio, anche perché non
avevo nessun medico a cui rivolgermi: ho voluto sfidare il mio malessere.
Tornata a casa intorno all’una di notte: BUM, BUM. Eccolo di nuovo: cosa
mi stava accadendo? Alla fine mi addormento lo stesso, pensando alle
cose che avrei dovuto fare il giorno
dopo, al lavoro, alle persone che avrei
incontrato.
Ore 3.32: lo ricorderò a vita. Atro che
i BUM di sempre! Il mio corpo fu attraversato da un dolore inaudito: la
pancia sussultava, il cuore batteva, la
testa pulsava, tremavo tutta! Panico,
panico più totale: non sapevo cosa fare.
Sono riuscita appena a chiamare i soccorsi, e poi? Non ricordo più nulla.
Dopo quasi un anno trascorso in coma
in ospedale, mi sono risvegliata: distrutta, non riuscivo più a muovermi.
A causa della malattia, le mie gambe
si sono paralizzate. Ormai da due
anni in sala ricovero, i medici continuano a dirmi che ci sono dei “progetti
in corso” per l’impianto di protesi che
mi permetteranno di muovermi autonomamente. Per il momento ho bisogno di aiuto, tanto aiuto. Non riesco
più a guardarmi allo specchio, non mi
riconosco più.
Cerco allora conforto nei trucchi, almeno mi fanno sembrare bella. Un medico molto importante, per scusarsi di
avermi dato una prognosi errata sulla mia malattia, ha deciso di regalarmi una trousse per il make-up nuova
di zecca.
È ora di apparire bella: comincio
dall’occhio, metto un po’ di matita, il
mascara, l’ombretto colorato, ed ecco
qua: truccata alla perfezione. Ho paura di far vedere la mia malattia, preferisco nasconderla con un po’ di polveri e creme.
Questa è la mia vera storia. La storia
di me, una donna dal nome reale, dal
sangue blu, che ha sofferto per tre
anni, e che adesso non ce la fa più.
Cerco di mascherare i difetti con il colore, che dall’esterno mi fa sembrare
un gioiello, quello che portano al dito
tutti quei medici che si ritengono responsabili di tale bellezza per il solo
fatto di avermi fatto qualche regalo
placando la propria coscienza. Ma è
solo pura apparenza: è come se riparassero un vaso di cristallo con pezzetti di vetro.
Ora andate oltre il fitto strato di mascara: guardate l’iride, la pupilla,
che non possono essere modificate:
sarà come un dé jà vu. L’antica meraviglia è diventata una vecchia rovina
con pochi fiori qua e là e con qualche
colore spruzzato sui sassi, ma non
sono realmente io! È ora di prendere
coraggio e raccontare tutto.
Il mio nome è L’Aquila; non sono realmente così, è soltanto una maschera. Aiutatemi a guarire da questa terribile malattia che viene comunemente chiamata terremoto.
Marco di Paolo e Lorenzo
Lolli posano per noi
C’è qualche rugbista famoso a cui
vorreste assomigliare?
L. «L’aquilano Andrea Masi!».
M.«Per me l’idolo è sempre stato Sergio Parisse, la terza linea della nazionale italiana: spero un giorno di
essere come lui».
Giocate a rugby per passione o anche l’aspetto economico ha il suo
peso?
L. «Ovviamente lo faccio per piacere,
ma se a fine mese arriva lo stipendio
è meglio!».
M. «Giocando da quando siamo bambini è naturale che per noi sia prima
di tutto una passione, ma quando arrivi alla categoria top ten inizi a capire che può essere anche il tuo mestiere».
Campioni. Intervista ai giocatori dell’Aquila Rugby
Un, due tre... meta!
La squadra di rugby è un vanto per il
capoluogo abruzzese: nata nel 1936,
l’Aquila Rugby ha all’attivo due
coppe Italia e cinque campionati Super 10. Nel 2009, nonostante il terremoto la squadra conquista il terzo
posto! Durante l’emergenza l’intero
team ha contribuito al salvataggio di
adulti e bambini sotto le macerie e ha
perso un amico e bravissimo giocatore: Lorenzo Sebastiani.
Ma cosa significa per un ragazzo giocare a rugby a livello agonistico? Lo
abbiamo chiesto a Lorenzo Lolli e
Marco di Paolo, entrambi della squa-
dra under 20.
Da quanto tempo praticate questo
sport?
L. «Da quando ho tredici anni, ho cominciato grazie a mio fratello. Sono
andato per provare e mi è piaciuto
tantissimo».
M. «Ho iniziato a otto anni con mio
padre: vedendo le partite con lui mi
sono appassionato».
Gli allenamenti sono pesanti? Riuscite a conciliarli con gli impegni
della vita quotidiana?
L.«Una volta che li fai tutti i giorni ti
abitui e non senti più la fatica; se orga-
nizzi la giornata alla fine riesci a fare
un po’ tutto, con qualche sacrificio».
M. «Da quando abbiamo cambiato
categoria ovviamente l’impegno è aumentato, ma non posso dire che è un
sacrificio. Certo, ho meno tempo per
gli amici e la famiglia, ma è giusto
impegnarsi al massimo e non saltare
gli allenamenti».
Cosa vi ha insegnato questo sport?
L. «Il rispetto del prossimo e come relazionarsi con gli altri».
M. «Il rugby è uno sport di squadra,
ti insegna ad essere disciplinato con
te stesso e con gli altri».
8
Marzo 2012
Vivere a...
Istanbul
INFOWEB
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Il terzo ponte
Il governo turco ha annunciato la costruzione
di un terzo ponte autostradale sul Bosforo. Sarà
lungo 414 chilometri.
Tra moschee
e Gran Bazaar
tempo di lettura: 7 minuti
Suggestioni. A cavallo tra Europa e Asia
La città che sa di spezie
Tra odori e sapori della capitale turca, dove all’ombra delle moschee
sorgono bistrot e caratteristici mercati. Impossibile annoiarsi
FIVE
UP
Andrea
Lombardi
Il costo della vita è veramente basso
1
2
I mezzi pubblici sono efficienti e collegano praticamente tutta la città
3
Un elevato numero di poliziotti pattuglia giorno e
notte le zone nevralgiche
della città
4
C’è una moltitudine di
musei, gallerie d’arte ed
eventi. È una città culturalmente dinamica
5
Negozi e supermercati
sono aperti tutti i giorni
fino alle 10 di sera
FIVE
DOWN
Il traffico è
una giungla
La lingua può essere
un problema. Non tutti
capiscono e parlano
l’inglese
Non sempre si trovano
esposti i prezzi dei prodotti e spesso, soprattutto nelle bancarelle
del Gran Bazaar, viene
applicata una “sovrattassa” per i turisti
1
2
3
I nomi delle vie sono difficilmente identificabili
4
La burocrazia è lenta,
costosa e dilagante
5
L
a capitale della Turchia è una
metropoli da odorare e assaggiare.
All’ombra delle magnifiche moschee
sorgono bistrot e caratteristiche mete
per lo shopping come il celebre Gran
Bazaar. E per i giovani non manca
una gustosa vita notturna.
Durante la compilazione del modulo
di richiesta per scrivere la tesi all’estero, arrivato alla voce “destinazione” ho avuto una certa titubanza.
Scegliere una tra le mete più comuni
come Spagna, Gran Bretagna e Germania oppure una destinazione alternativa, per certi versi impensabile e
tutta da scoprire? Alla fine hanno prevalso la mia voglia di viaggiare e la
mia curiosità di conoscere il mondo e
ho così deciso di scrivere “Turchia”.
La scelta è caduta inevitabilmente
sulla misteriosa Istanbul, l’unica metropoli che si estende su due continenti. Non sapevo a cosa sarei andato
incontro, ma ero entusiasta all’idea
di partire alla scoperta di questo luogo
sul quale avevo sentito dire tutto e il
contrario di tutto.
Vivere a Istanbul significa odorare
Istanbul e gustare Istanbul. Le spezie
qui la fanno da padrone. Ogni quartiere è riconoscibile dall’aroma che si
percepisce camminando tra le sue luci
e i suoi colori. Il porto e il lungomare, i luoghi che io preferisco, odorano di pesce impanato e cotto nell’olio bollente. Qui si contempla la
reale bellezza di questa città. Al tramonto il sole si spegne dietro le cupole e i minareti delle moschee, dalle
cui cime gli imam iniziano il richiamo
alla preghiera ad orari prestabiliti. Il
canto, poco melodico e spesso intonato con voce rauca, parte dalla
grande Moschea Blu e si propaga poi
attraverso le strade e i ponti, amplificato dalla brezza marina che accarezza il Bosforo tutte le sere. Passeggiando tra le vetrine della scintillante
Beyoğlu si viene rapiti dall’odore del
çay, il tè nero turco che viene bevuto
ad ogni ora. Se non siete amanti del
tè, non disperate, troverete sempre
La moschea blu
una tazza fumante del tipico caffè
turco, macinato fresco, che è senza
dubbio tra le delizie olfattive che più
catturano. Questo sprigiona un aroma
forte e pungente che rimane nell’aria
a lungo tra i tavolini dei café ai piedi
della Torre di Galata (eretta dai genovesi nel 1348) oppure in uno dei tanti
bistrot, spesso aperti su ampie terrazze all’ultimo piano di arabeggianti
edifici che si affacciano sul Corno
d’Oro. L’aroma che di gran lunga contraddistingue Istanbul è però quello
del kebap. Il suo odore possente e pe-
sante, accentuato da ondate di spezie,
sollecita la salivazione e le papille gustative a tutte le ore del giorno e della
notte. La cucina turca (che io apprezzo
particolarmente), è considerata dai
gourmet tra le più varie e raffinate del
Mediterraneo. Profumatissima, offre
una serie di specialità dove i sapori di
carne o pesce convivono con piatti a
base di verdura.
Istanbul è una città che non dorme
mai e lo si capisce bene dalle numerose drogherie e dai tanti ristoranti
aperti 24 ore su 24 che consegnano a
Una bancarella del Gran Bazaar
domicilio anche nel cuore della notte.
Difficile annoiarsi qui, soprattutto
dopo il tramonto. La nightlife lungo la
Istiklal Caddesi, che unisce Piazza
Taksim alla già citata Torre di Galata,
ha poco o nulla da invidiare a quella
delle più celebri e rinomate capitali
europee. Durante il weekend più di
due milioni di persone affollano i numerosi narghilè bar dove, tra una bottiglia di “Efes” ghiacciata (la birra nazionale), un tiro di tabacco
aromatizzato e una sfida alla popolarissima tavla (variante turca del backgammon) aspettano l’ora giusta per
spostarsi in uno dei tanti club (tra i
quali spicca il Babylon) che spesso
vedono in console i top deejays del
panorama mondiale. Tanto altro ci sarebbe da scrivere sulle straordinarie
opportunità offerte da questa città,
che deve essere vissuta tutta d’un
fiato. Una metropoli a tutto tondo,
ricca di pregi, ma anche di difetti e di
profondi contrasti. D’altra parte, la
convivenza tra culture e stili di vita
tanto differenti tra loro non può che
generare delle contraddizioni. Occhi
sempre vigili e mente aperta. Istanbul
va assaporata e odorata: non c’è spazio per i pregiudizi.
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Marzo 2012
Vivere a...
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Albenga
Il mare d’inverno,
un giorno qualunque
Largo ai giovani
È stato inaugurato ad
Albenga il nuovo Centro Giovani, che ospita
anche una postazione
di Radio Jeans!
tempo di lettura: 7 minuti
Vicoli e lungomare. Diario di un pomeriggio
La Riviera assopita sogna l’estate
Albenga, nel cuore del savonese, vivace e briosa nella stagione estiva,
d’inverno rischia di finire in letargo. Ma i suoi giovani non si arrendono!
Valentina Fazio, 19 anni
Vittoria Nari, 16 anni
Luca Pertuso, 16 anni
Hanno collaborato:
Marco Miano, 16 anni
Manuela Storace, 18 anni
UP
Foto di Valentina Fazio
S
uona la campanella d’uscita
dell’Istituto Agrario “D. Aicardi”,
scuola che non poteva mancare nella
realtà albenganese, da sempre conosciuta in Italia per i suoi pregiati prodotti agricoli.
Vittoria e Samuele percorrono a piedi
la discesa che porta da San Bernardino, dove è situata la scuola, verso il
centro della città. Devono raggiungere Piazza del Popolo, il cuore di
Albenga, dove hanno appuntamento
con Luca e Marco, due studenti dell’ITIS “G. Galilei” di Campochiesa,
piccola frazione che ospita ormai da
decenni l’unico Istituto Tecnico presente nel comune ingauno.
Una volta insieme, i quattro si siedono al tavolino di uno dei molti bar
del centro storico locale, fra i più belli
della penisola, visitato ogni anno da
numerosi turisti, italiani e non. Fra le
torri, simbolo della città, spiccano la
Cattedrale di San Michele, risalente
all’XI secolo, e il Battistero, di architettura paleocristiana, del V secolo.
È un freddissimo pomeriggio invernale e i ragazzi devono decidere come
trascorrerlo.
Marco, che vive a Loano, propone di
andare al bowling che gli ha consigliato il padre, ma Vittoria lo informa
che ormai la struttura è chiusa da anni.
Vicino è stato costruito un palazzetto
sportivo di cui però usufruiscono solo
le squadre locali di basket, pallavolo,
ginnastica ritmica e artistica e alcune
scuole per le ore di educazione fisica.
Samuele, che deve acquistare un regalo per la fidanzata, suggerisce di
passeggiare tra i vicoli del centro e
lungo il Viale Martiri, dove si possono trovare negozi di ogni genere,
che soddisfano i desideri anche dei
clienti più esigenti, come scopriamo
essere il nostro amico.
Ma sono le quattro, e il pomeriggio è
FIVE
1
Le ottime piste ciclabili
di cui è dotata la città
2
Le imperdibili manifestazioni che si svolgono
durante l’estate
3
4
5
Uno scorcio della città
ancora lungo…
I ragazzi decidono così di coccolarsi
con una cioccolata calda: ma dove?
C’è veramente l’imbarazzo della
scelta: dalle eleganti sale da tè ai più
moderni lounge bar. Mentre si dirigono nel locale scelto, i nostri infreddoliti amici non possono non meravigliarsi alla vista di un nutrito gruppo
di giovani scout, da sempre fiore all’occhiello di alcune parrocchie cittadine, che sfidano i rigori dell’inverno
passeggiando tranquillamente in bermuda. Di velluto, però!
Come non rimpiangere l’estate,
quando le giornaliere manifestazioni,
organizzate dal Comune, ravvivano e
rallegrano le vie di Albenga, rendendola una delle cittadine più vivaci
della riviera ligure di ponente?
Però è inverno, e il pomeriggio è ancora lungo…
Escluso il monotono giro al centro
commerciale, il quartetto opta per la
passeggiata al mare. Anche in un
freddo pomeriggio di febbraio non
delude, offrendo un fantastico tramonto sullo sfondo dell’isola Gallinara.
Si sono fatte le sette e Marco propone
di trascorrere la serata al cinema. Purtroppo, però, delle tre sale un tempo
presenti nel centro, ne rimane soltanto
una, aperta, tra l’altro, solo saltuariamente.
La soluzione è il cinema multisala,
ubicato fuori città, che offre ben sei
sale, oltre a due bar, e propone film
per tutti i gusti, dalle tre del pomeriggio fino alle undici di sera. Ma per i
più giovani, o per chi è sprovvisto di
un’auto, resta un
ostacolo: come raggiungerlo? Il servizio
pubblico, infatti, non
prevede una navetta
specifica e i pullman
di linea hanno orari
limitati.
Luca chiede ai propri genitori se possono accompagnarli,
ma sfortunatamente
la risposta è negativa.
Per stasera niente cinema.
Vittoria, che deve
tornare a casa in pullman, chiede agli
amici di accompagnarla alla fermata di
Piazza del Popolo e
di attendere con lei
l’arrivo del mezzo
pubblico. Meglio essere prudenti, visti gli spiacevoli episodi che si sono
verificati di recente.
Salutata l’amica, dopo l’ultimo breve
giro in centro, anche i tre ragazzi tornano a casa.
Si conclude così un tranquillo sabato
pomeriggio trascorso nella nostra accogliente cittadina.
Voglia di uno spuntino?
D’estate come d’inverno potete sbizzarrirvi fra bar e gelaterie!
Per le serate in compagnia, Albenga vanta
un’ampia scelta di pizzerie!
Il territorio di Albenga
ospita validi istituti di
istruzione secondaria
superiore
FIVE
DOWN
Anche in una piccola
cittadina ci sono
problemi di sicurezza
pubblica
Preparatevi a fare
chilometri se volete
raggiungere una
discoteca
Terminata la stagione
estiva, le manifestazioni per i giovani sono
una rarità
1
2
3
4
I parcheggi a
pagamento
Foto di Valentina Fazio
I punti di aggregazione
giovanile nella
cittadina restano
decisamente pochi
5
10
Marzo 2012
Società
Melting pot
INFOWEB
www.regione.toscana.it
Migranti e lavoro
Secondo il rapporto Cnel
sugli indici di integrazione
sociale, la Toscana è la regione con il più alto tasso
occupazionale degli stranieri.
Tutti i colori
della Toscana
tempo di lettura: 14 minuti
Val di Chiana. Dove la scuola ha tante bandiere
E tu, ti senti italiano?
Quattro ritratti di ragazzi che provengono da vari Paesi. Cominciamo con un’intervista
doppia: entrambe romene, Alina e Georgiana hanno due percezioni differenti dell’Italia.
Poi, il racconto in prima persona di Violetta e Hamza. Quattro storie di piena integrazione
Alina, Tulcea (Romania)
Georgiana, Piatra Neamt (Romania)
Come e quando sei arrivata in Italia?
«Nell’agosto 2008 per motivi di lavoro dei miei genitori. Sono arrivata in pullman, è stato un viaggio lungo e stancante: non ho potuto dormire per due giorni. Quando sono partita ero triste e contenta allo stesso tempo perché venivo qui da mia mamma, ma lasciavo gli amici».
Cosa pensavi del nostro Paese prima di arrivare e cosa ne pensi oggi?
«Non ho mai avuto un’idea precisa, non ci avevo troppo pensato su perché l’importante è stare con
mia madre. Oggi penso che sia un Paese meraviglioso, dove mi trovo meglio che in Romania».
Come giudichi la scuola italiana?
«La scuola italiana è più leggera rispetto alla Romania: lì è più dura, i professori sono più severi di qui».
Una cosa che non ti piace e un pregio degli italiani.
«Mi dà fastidio che a volte non sanno cosa significhi l’amicizia vera. Un
pregio? La simpatia».
Hai mai subito discriminazioni?
«No, non sono mai stata discriminata».
Un piatto della cucina italiana e uno di quella romena che ami.
«La pizza e, per il cibo romeno, le minestre tradizionali di verdura».
Tre cose che ti fanno pensare al tuo Paese.
«Il Danubio, un porto vicino alla mia città e i castelli».
Il primo ricordo della tua infanzia che ti viene in mente.
«Quando ci si riuniva tutti dai nonni: si stava in famiglia e
mi piaceva moltissimo».
Torneresti nel tuo Paese?
«Solo per gli amici e per visitare alcuni luoghi. Io qui
in Italia ho visto Roma, Firenze, Ravenna, Bologna,
Siena. In Romania non ho mai visitato nemmeno
Bucarest».
Ti senti italiana?
«Sì, anche se è poco che sono qui mi sento già italiana!».
Come e quando sei arrivata in Italia?
«Cinque anni fa perché mi hanno portato i miei genitori. Mia madre già lavorava qui da un po’ di
tempo e poi ha deciso di portare anche noi. Sono arrivata in macchina, quindi è stato un viaggio abbastanza lungo».
Cosa pensavi del nostro Paese prima di arrivare e cosa ne pensi oggi?
«Credevo che fosse totalmente diverso, più moderno».
Come giudichi la scuola italiana?
«Ritengo che ci sia molta differenza fra i due sistemi scolastici. In Romania i professori erano più
comprensivi e meno severi».
Una cosa che non ti piace e un pregio degli italiani.
«Non mi piace il fatto che molti siano razzisti; un pregio è che come
mentalità sono più positivi dei romeni».
Hai mai subito discriminazioni?
«Sì. Quando andavo a scuola a San Quirico d’Orcia ho visto una
grande differenza di trattamento fra alunni italiani e stranieri, differenza che si ripercuoteva naturalmente anche sui voti».
Un piatto della cucina italiana e uno di quelle romena che ami.
«Per quanto riguarda la cucina italiana direi sicuramente la pizza. In Romania invece adoro le sarmale, un secondo a base di
carne molto elaborato, con verza, peperoni e altri ingredienti».
Tre cose che ti fanno pensare al tuo Paese.
«Mi metti in difficoltà! Forse le feste?».
Il primo ricordo della tua infanzia che ti viene in mente.
«Io sono di una cittadina vicino a Bucarest, Piatra Neamt, che mi fa venire in mente vari ricordi. I più belli sono di quando andavo a scuola».
Torneresti nel tuo Paese?
«Sì, volentieri».
Ti senti italiana?
«No, ad oggi mi sento più romena».
Buone pratiche. Una legge regionale per l’integrazione degli stranieri
Toscana,
terra di civiltà
La legge regionale 29/2009 approvata in Toscana ha segnato un
grande passo avanti nel processo
di integrazione dei migranti nel
nostro Paese. Collocandosi in
contro tendenza rispetto alle direttive del precedente Governo,
che aveva inasprito le norme in
tema di immigrazione - vedi Pacchetto sicurezza - la legge in materia di “accoglienza, integrazione partecipe e tutela dei cittadini
stranieri in Toscana” nasce con il
principale obiettivo di raggiungere una piena integrazione fra
cittadini stranieri e italiani.
La Regione è stata fra le prime a
porre soluzioni concrete alle sfi-
de poste dalla presenza sempre crescente di stranieri in Italia. La legge promuove quindi una serie di iniziative per incentivare la partecipazione attiva alla vita pubblica
dei cittadini stranieri residenti in Toscana: accoglienza plurilingue nei
luoghi di lavoro, insegnamento della lingua italiana, formazione di
mediatori culturali sono alcune delle strategie previste. Agli stranieri è
inoltre garantita parità di accesso ai
bandi per l’assegnazione degli alloggi
popolari. Di fondamentale importanza è l’insieme di norme in materia di diritto alla salute: per tutti gli
stranieri, immigrati regolari e non,
è prevista l’assistenza sanitaria in
caso di interventi “urgenti e indifferibili”, nel rispetto dei diritti fon-
damentali della persona. La legge
prende quindi una posizione netta
sul tema dei clandestini: il pacchetto sicurezza aveva infatti introdotto il reato di ingresso e soggiorno il-
legale in Italia. Quando però ci sono
700mila persone che hanno diritto di
ottenere il permesso perché lavorano e solo 170mila domande vengono accolte, allora ci troviamo di
fronte ad una situazione surreale: stranieri che lavorano, ma
passibili di reato. Situazione ancora più inaccettabile se pensiamo
che nel Paese gli immigrati contribuiscono al nostro sistema fiscale per circa il 4%.
Dopo l’approvazione della legge in
Toscana, il precedente Governo
presentò ricorso alla Corte Costituzionale sostenendo che la materia di immigrazione fosse di
esclusiva competenza statale e
contrastando la misura che garantiva assistenza sanitaria anche
ai clandestini. La Consulta ha poi
bocciato il ricorso: la legge non interferisce con la legislazione statale
e il diritto alla salute è da considerare come inalienabile.
11
Marzo 2012
Violetta: “Non è importante da dove vieni, ma come sei”
Era il 20 agosto 2010: dopo sette ore
di aereo - meno male che non ho
paura di volare - arrivo in Italia per
una breve vacanza. Volevo venire a
trovare mia mamma che lavora qui
da quasi sedici anni: io a casa ho vissuto sempre con la mi’ nonna. Sono
partita con poche cose nella borsa, intenzionata a tornare dopo qualche
settimana: invece ho deciso di rimanere, certo con un po’ di paura, ma
contenta di poter vivere con mia madre. I primi giorni sono stati terribili:
tutto il giorno chiusa in casa davanti
a Facebook perché mia madre e il
suo compagno, il mi’ babbo, lavoravano tutto il giorno. Per fortuna c’era
mia zia, arrivata anche lei in Italia per
lavorare tanti anni fa: andavo con lei
a fare la spesa. Un giorno mi porta ad
una cena dove conosco una ragazza
ucraina, arrivata per l’estate a trovare sua madre. Diventiamo subito
amiche e insieme, facendoci forza,
decidiamo di restare. Abbiamo cominciato insieme la scuola, nella
stessa classe: io ero contentissima,
lei invece cominciava a non stare
bene, non riusciva ad ambientarsi e
così a dicembre è tornata in Ucraina.
Sono stata malissimo: la mia migliore
amica, la prima che mi aveva fatto
sentire “a casa” era andata via. Meno
male che sono un tipo caparbio: nonostante i miei 19 anni frequento il
secondo anno, perché qui in Italia ho
dovuto ricominciare daccapo il percorso di studi. L’anno scorso, dopo
appena cinque mesi di scuola sono riuscita ad ottenere la sufficienza in tutte
le materie tranne una. È stata una
grande vittoria perché molti dicevano
che dato che ero straniera i prof avevano un occhio di riguardo verso di
me. E invece ho convinto tutti del contrario. I miei sono orgogliosi di me: al
primo colloquio con i genitori, quando
le insegnanti hanno cominciato a parlare del mio andamento, il mi’ babbo si
è messo a piangere.
In classe mi trovo benissimo, siamo
moltissimi stranieri e stiamo davvero
bene insieme: ci sono serbi, rumeni,
italiani, algerini, ucraini, e ci divertiamo da matti. La scuola italiana è
migliore che in Uzbekistan: lì la
scuola primaria, che dura otto anni,
funziona benissimo; per le superiori,
però, la situazione è pessima. Se hai
i soldi ti paghi letteralmente il diploma, senza studiare nulla.
Tashkent invece è una bellissima capitale: è moderna, piena di servizi e di
negozi. Devo dire che vivendo in un
paesino piccolo qui in Italia sento la
mancanza della città. A Tashkent con
un taxi vai dove ti pare, perché costa
come un autobus: qui per qualsiasi
cosa devi prendere la macchina. A
proposito, sto per prendere la patente!
Non vedo l’ora, perché così finalmente potrò riprendere la mia passione, la danza del ventre. Quando
ero in Uzbekistan andavo a scuola di
danza, ma qui ho dovuto smettere:
voglio riprendere il prima possibile.
Naturalmente devo mettermi prima i
soldi da parte: con la primavera proverò a cercare un lavoretto pomeridiano.
Ogni tanto vado a Napoli dalle mie
amiche e mangio la pizza, che è una
cosa divina! Però devo stare attenta,
lì mi mettono all’ingrasso con tutte
quelle cosa buone: io poi mangio
tutto, non sono schizzinosa, quindi
meglio non andarci troppo spesso!
Ho un sacco di amici italiani: io credo
che non dipenda se sei uzbeko, italiano o russo, dipende dalla tua famiglia, da quello che ti hanno insegnato
e dal cuore che hai. Ci sono tanti italiani che mi sono simpatici e stranieri
insopportabili, al contrario ci sono
anche tante italiane maleducate. Questa però è anche questione di cultura
e di religione: da noi è rarissimo vedere una ragazza che passeggia fuori
nel parco con il suo fidanzato. Di solito le ragazze stanno a casa, studiano,
danno una mano in casa: i ruoli sono
molto ben definiti. Qui in Italia sono
più emancipate, però certe volte esagerano: mi colpisce vederne alcune
che urlano e magari bestemmiano per
strada. Per fortuna sono solo alcuni
casi particolari: in realtà l’Italia non è
poi così diversa dall’Uzbekistan. I
miei amici uzbeki continuano a ripetermi: “Che bello, sei in Italia, la terra
di Gucci, dello shopping, di Milano”,
ma qui non c’è questa visione poetica
e i problemi ci sono. Nonostante questo, sto benissimo e mi sento italiana
a tutti gli effetti: in casa parliamo italiano. Ogni tanto penso a casa: mi
viene in mente il caldo, bellissimo
perché secco, e soprattutto la mi’
nonna, che è rimasta lì.
Hamza: “La scuola è un’occasione da prendere al volo”
Ho passato la mia infanzia con gli zii in
Algeria: il mi’ babbo era venuto in Italia per lavoro e mi aveva affidato alla
nonna, che spesso, però, mi lasciava
dagli zii. Non ci andavo molto d’accordo perché da piccolo io ero una peste, sicché mi trattavano male. Poi per
il semplice fatto che fossi un bambino
non mi prendevano mai in considerazione e questo mi faceva arrabbiare. I
miei fratelli erano già in Italia, il babbo
li aveva portati subito con sé; io invece sono venuto nel 2001, all’età di
sette anni.
Sono arrivato in aereo e la mia prima
figuraccia per colpa della lingua italiana che ancora non conoscevo è stata
proprio all’aeroporto, perché continuavo a chiedere di andare in bagno
mentre invece volevo una pasta!
Il primo periodo qui non è stato semplice, non mi sentivo a mio agio, ero
un po’ un pesce fuor d’acqua; poi pian
piano andando a scuola e conoscendo
un po’ di gente è andata meglio.
Ho imparato presto la lingua: il
babbo mi mandava a lezione da una
signora che mi aiutava a scrivere e
parlare, in tre mesi già mi esprimevo
correttamente.
A scuola mi sono trovato bene da subito, anche se in undici anni che sono
qui posso dire che è cambiata. Fino a
poco fa era diversa, veniva presa più
seriamente dai ragazzi: oggi spesso se
ne fregano, non hanno rispetto per i
professori. Dicono: “ma cosa ci fo io
con la matematica nella vita?” Secondo me serve un po’ dappertutto,
come anche le altre materie, ma non
tutti lo capiscono. A scuola ti insegnano cose che devi prendere al volo,
ma quando pensi di essere già grande
e di non aver bisogno di nulla, è difficile che tu te ne renda conto. I prof
fanno il loro lavoro, ma non si possono
mettere a costringere le persone. Insomma, la scuola alla fine siamo noi e
se continuiamo così non farà che peggiorare la sua condizione.
Quest’anno a settembre ho cambiato
scuola e nella mia nuova classe ho conosciuto tanti ragazzi stranieri: loro
mi hanno aiutato a inserirmi nel
gruppo e andiamo molto d’accordo!
Già mi sono affezionato a tutti, italiani e non, non faccio differenze.
Ogni tanto mi è capitato di avere difficoltà nell’approcciare con gli italiani,
perché a volte sono diffidenti, non si
aprono subito: ci vuole del tempo per
conquistarsi la loro fiducia. Da noi invece è diverso: gli algerini, un po’
come in molti Paesi africani, sono
espansivi, appena incontrano qualcuno
vogliono subito fare conoscenza. Diciamo che io sono a metà: non a caso
ho sia la cittadinanza italiana che
quella algerina! Certo, in fondo al
cuore la mia anima rimane algerina, e
un domani vorrei tornare lì. Ora come
ora sto benissimo qua, anche perché la
situazione politica non è delle migliori,
potrebbero esserci momenti di tensione con le elezioni: insomma non è
un buon momento per tornare.
Quando penso all’Algeria mi vengono
in mente la stella, il cous cous e le feste. Ad esempio adoro la festa che si
svolge alla fine del Ramadan quando
si pranza tutti insieme. Ciascuno prepara una cosa, si mette tutto in comune e si scambiano i cibi con i vicini,
come se fosse una sorta di ringraziamento. Mi piace moltissimo, quasi
quanto il cous cous! Lo mangio spesso
anche qui, in tutti i modi, ma il mio
preferito è di verdure e carne. Della
cucina italiana, invece, preferisco gli
gnocchi. Prima di arrivare in Italia
pensavo che fosse un Paese bellissimo,
oggi invece credo che sia... stupendo!
Tutte le mie aspettative sono state più
che confermate, ho visitato tante città
tra cui Milano, Napoli, Catania, Palermo e Roma: le mie preferite sono
Roma e Milano.
Mi trovo bene qui, anche se ogni
tanto mi dà fastidio che gli italiani
parlino prima di pensare: è un difetto
che ho riscontrato comunque in altre
persone non italiane. Vi racconto un
aneddoto che mi ha fatto star male: io
gioco a calcio, mi alleno durante la
settimana e ogni tanto abbiamo le
partite. Una volta mentre giocavamo
un ragazzo dell’altra squadra mi ha
urlato: “Negro di merda, tornatene
nel tuo Paese”.
Poi evidentemente ha riflettuto sulla
cosa che aveva detto e a fine partita
mi ha chiesto scusa. Per fortuna non
sono tutti così, anzi, dopo che hai superato la diffidenza iniziale, molti si
mostrano amichevoli e ti danno tanta
fiducia. Sono simpatici e sensibili, se
sei in difficoltà ti aiutano e questa è
una dote che apprezzo molto.
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Anche la moda ha cervello
Bella tutta: quando il grasso non è tabù
SEMPLICE
COME
L’ELEGANZA
Ecco perché
la bellezza
non vuole
eccessi
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FLASH MODE
Martedì ore 14.00
Costanza, Flavia, Giulia, Liceo Classico “Mamiani”. Roma
Ilaria, Maria Chiara,
Liceo Classico “Dante”. Roma
Giulia, Liceo Classico “Mamiani”. Roma
Istantanee di stile
Come in un flash
mode, ma dedicato
alla moda: questo è
il nuovo appuntamento organizzato
da Looksmart. Veri e
propri blitz a caccia
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Basta farsi trovare all’ora e al luogo indicato e... il flash è
pronto!
Benedetta, Liceo Classico “Dante”. Roma
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SOMMARIO
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E chi l’ha detto che la moda è fatta di eccessi? Nel mese dedicato alle donne
ecco il nostro inno alla femminilità: outifit semplici ma che fanno emergere la
vera essenza di una ragazza.
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Elena Guerrini, attrice, regista e scrittrice, ci parla del suo libro Bella tutta!
e di come apprezzare il nostro corpo sin dall’adolescenza.
LESS IS MORE
Yoshi’s tips questo mese ci ricorda che gli occhi sono uno dei punti di
forza delle donne e ci consiglia come valorizzarli: un trucco acquamarina
davvero romantico e semplice da fare giocato sui contrasti di luce per un
effetto davvero glamour!
“L
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19
Ed infine Crudelia: questo mese l’ironia della nostra scrittrice ha colpito
cantanti italiane ed europee e i loro look. Non perdetevi la classifica
delle peggiori star.
Gaia Ravazzi, 17 anni
Cristina Altomare, 16 anni
Giorgia Nobile
Gianni La Rocca
ess is more” è stato il grido di battaglia dell'austera moda anni
‘90, oggi ripresa da alcuni grandi brand, ma a nostro parere,
è un concetto sempre attuale: semplicità fa rima con eleganza.
Questa idea si trasferisce su un livello più alto: dal piano della
moda a quello più totalizzante dello stile di vita. Ebbene sì. In
tempi di crisi il troppo storpia; il lusso ostentato non piace più, il logo in evidenza tradisce insicurezza e anche chi si può permettere di acquistare griffe importanti bada al sodo: qualità nei tessuti, linee senza fronzoli destinate a durare
nel tempo.
Ecco allora nel nostro servizio i capi essenziali e versatili, capaci di sopravvivere alle mode passeggere. Protagonista è il denim, tagliato per valorizzare e
sottolineare il fisico e l’attitudine di chi lo indossa. Ai jeans si abbinano magliette e giubbotti o blazer vintage con un tocco di originalità nei dettagli. Per
il resto, orecchini importanti, accessori e scarpe aggiungono femminilità e rendono uniche.
Nel Talent’s corner abbiamo voluto affrontare un tema che affligge molte ragazze che si sentono troppo grasse per essere considerate belle. Nella nostra
intervista Elena Guerrini, autrice di Bella Tutta!, ne parla in modo originale e
inedito, riuscendo ad infrangere il tabù del proprio corpo che hanno molte adolescenti insoddisfatte (sic).
Last but not least, il nostro flash mode questa volta si è spostato di fronte a due
licei di Roma: il “Mamiani” e il “Dante” dove le studentesse si sono sottoposte
volentieri agli scatti della nostra fotografa. Le trovate su queste pagine e sul
gruppo Fb. Sono tutte bellissime, così come sono!
Yoshi, Elena Dardano
Vittoria De Benedetti
Ciao, siamo Gaia e Cristina, frequentiamo il liceo classico “Dante Alighieri” a Roma.
Amiche da una vita, ci siamo "inventate" questo nuovo lavoro coinvolgendo altre
ragazze della nostra età. Facmultum e facrestum ci autodefiniamo: foto, testi,
vestiti, location sono farina del nostro sacco.
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FASCINO DELLA
SEMPLICITÀ
IL
CAMBIA LA STAGIONE ED È IL
MOMENTO DI RINNOVARE IL
LOOK. DI CORSA NEI NEGOZI?
PRIMA DATE UN’OCCHIATA
ALL’ARMADIO E PENSATE A COME
RAVVIVARE I SOLITI JEANS CON
NUOVI ACCESSORI O AD
INDOSSARE UN CAPO
D’AUTUNNO IN MODO DIVERSO.
IL NUOVO CHIC È MINIMAL,
TENETELO A MENTE
L
a mitica Coco Chanel diceva: “meglio
togliere che aggiungere”, infatti il troppo
storpia. Ma a volte anche nella semplicità si può scivolare in outfit sbagliati.
La semplicità è tornata di moda: le ragazze di oggi hanno bisogno di “alleggerirsi” per essere grintose, scattanti e potersi
dividere ogni giorno tra tanti impegni scolastici e non. Senza rinunciare, però, a una
dose di femminilità data da colori e stampe e,
ovviamente, dagli accessori. I jewels dalle
forme geometriche con un richiamo all’etnico,
come le collane e i maxi-orecchini, faranno
la differenza. Già, perché minimal non vuol
dire lasciare a casa tutto ciò che denota la
nostra personalità e fa la differenza, ma scegliere con un occhio di riguardo in più.
Vediamo come ha interpretato la semplicità
la nostra modella di marzo: una equilibrata
mescolanza di istintivo buon gusto, di scelte
precise e di minuziosa attenzione a ogni dettaglio. Un’arte a volte innata.
Vittoria sceglie un look da giorno molto
basic arricchito da pochi dettagli: gli alamari, la collana e il trucco semplice ma luminoso. Il segreto della sua eleganza sta
nell’apparente assenza di ricercatezza dell’outfit che risulta così spontaneo ma allo
stesso tempo rigorosamente curato.
Per la sera predilige un abito nero classico
con lo scollo sulla schiena, impreziosito da
un bordo di strass e da un bracciale di Swarovski per creare un look minimal e raffinato,
ma allo stesso tempo molto femminile.
LookSmart
LookSmart
La semplicità è la
gloria dell’espressione
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Sportivo ricercato
Qui gli alamari donano un fascino
al tempo stesso raffinato e sportivo
al giacchino di cotone leggero. I
tagli verticali aiutano a dare al
capo un effetto che slancia. Vittoria
lo indossa su una semplice
T-shirt, abbinato ai jeans e con una
collana di legno e argento vintage.
(Walt Whitman)
VOCABOLARIO FASHION
ALAMARO s. m. [dallo spagn. alamar, che a sua volta deriva dall’arabo al
amâra, «corda»].
È un tipo di allacciatura realizzata con una striscia di seta, pelle o cordoncino
chiusa a cappio a formare un occhiello, dove viene fatto passare un bottone. I
primi li vediamo sulle uniformi. Per intravederne l’uso femminile, dobbiamo aspettare gli anni Quaranta, ma è nei ribelli Sessanta che si affermano. Ci sono le giacche tutte alamari del chitarrista Jimy Hendrix, quelle multicolor – verde acido,
rosa e turchese – che indossano i Beatles, vestiti da merching band, in una celebre foto a sfondo giallo fluo. E soprattutto, quelle militari con collo alla coreana con
cui si esibiscono allo Shea Stadium di New York nel 1965. La griffe francese Balmain e il leader del gruppo inglese dei Coldplay, Chris Martin, rilanciano il
genere nel 2009. Un modello molto glam, pieno di alamari e dettagli alla Amadeus Mozart, è un pezzo cult degli anni ‘80 che ritorna in grande stile.
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TALENT’S
CORNER
SE LA CICCIA NON È TABÙ
ELENA GUERRINI, OLTRE CHE AUTRICE E
REGISTA, È ATTRICE DI TEATRO E DI CINEMA.
NELLA SUA VITA HA PROVATO TUTTE LE DIETE.
RACCONTA LA SUA STORIA NEL LIBRO E NEL
MONOLOGO TEATRALE CHE HANNO LO
STESSO TITOLO: BELLA TUTTA! I MIEI GRASSI
GIORNI FELICI. NE PARLIAMO CON LEI IN
QUESTA INTERVISTA
C
i vuoi raccontare
qualcosa di questo
testo, qualcosa di
generico per capire
di cosa stiamo parlando?
Prima ancora del libro è nato
lo spettacolo teatrale. Per scriverlo ho fatto dei laboratori
nelle scuole medie e superiori
di tutta Italia. È un progetto che
prevede anche la lettura sulla
visione del corpo attraverso i
media e un seminario di scrittura.
Cosa ti ha spinto a scegliere questo argomento
in una società come la nostra che tende a rifiutarlo?
È stata una scelta assolutamente controcorrente. Ogni
volta che qualche giornale femminile mi intervista sono molto
contenta perché lo ritengo proprio un atto politico: il fatto che
si parli di un tabù, perché questo è un tabù, il non sottoporsi
da parte di una donna a diete
o interventi, è un trionfo poli-
John Travolta (a destra) e Nikki Blonsky
nel film Hairspray, 2007
ini
uerr
G
a
n
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E
Nome: Elena Guerrini
Città: Grosseto
Passioni: Scrittura e teatro
Talento: Scrittura e recitazione
Mi trovi: ilblogdielenaguerrini.
blogspot.com
tico. Bella Tutta è nato quando
ero incinta di mio figlio; vedevo
che la mia pancia, quella contro
cui avevo sempre combattuto
con 5 anni di diete, era bella:
ho iniziato ad amarla e a sentirla bellissima.
Cosa possiamo dire alle
ragazze che non amano la
loro pancia?
Di guardarsi intorno al di là dei
modelli stereotipati che ci vengono presentati. La protagonista
incontra altre persone che si dissociano dal canone unico di bellezza omologata ed è questo
che la fa accettare. Quando va
a studiare al liceo artistico incontra la mamma di un’amica
che è una cantante lirica molto
grassa e bella. Fino a quel momento aveva sempre associato
la parola “grassa” all’idea di
“brutto” e invece scopre che non
è necessariamente così.
Quanto siamo influenzati
dall’esterno e quanto da
noi stesse?
Io credo che noi stesse ci creiamo dei problemi; fin da piccolissime siamo influenzate dalle
Barbie e dalla televisione. Per
scrivere questo libro ho fatto
studi di psicoanalisi e antropologia e ho scoperto che la problematica del grasso non esiste
nelle isole dove ancora non è arrivata la televisione. Dove non
c’è la tv, la parola grasso non è
un’offesa.
Chi vorresti leggesse il
libro?
Mi piacerebbe fosse letto da tutti
gli adolescenti e anche dalle ragazze che hanno vissuto l’adolescenza negli anni ‘80. Il mio è
un libro sulle diversità: non parla
solo di grasso, ma anche di un
ragazzo gay, di una storia
d’amore tra due donne, di diversità che un adolescente si
trova ad affrontare. Il messaggio
che voglio lanciare è: non omologatevi. Credo che la nuova generazione, passati i vent’anni
berlusconiani, abbia delle speranze.
Il tuo è un libro femminista?
No, non direi. Io vorrei che
fosse più vicino al movimento
femminile Se Non Ora Quando.
Dobbiamo essere grate al femminismo per aver parlato senza
tabù della sessualità, della pillola e di tantissime altre cose,
ma secondo me non ha mai
analizzato a fondo il problema
del corpo.
L’ironia è la vena portante
del libro. Quanto è importante nella vita?
Nello spettacolo lei si arrabbia
e dice: “Basta, mi sono stancata
di essere grassa e simpatica, voglio diventare magra e stronza”.
A volte l’ironia aiuta, ma troppa
può farti diventare una macchietta: spesso ci sono ragazzi
grassottelli che all’esterno fanno
i simpaticoni del gruppo e magari hanno dentro una grossa
sofferenza. Bisogna far sì che la
pancia non sia un capro espiatorio quando il problema è del
cuore e dell’animo.
Cos’è la bellezza per te?
È la bellezza dell’intelligenza,
dell’eleganza, della creatività e
dell’ironia. Qualcosa che hai
dentro e che riesci a diffondere
solo quando ti rendi conto di
averla, quando ti senti forte e
potente senza bisogno di omologarti in qualcun o qualcos’altro.
Elena Dardano, 18 anni
LookSmart
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YOSHI’S TIPS
UNO SGUARDO DA SIRENA
GLI OCCHI SONO IL PUNTO DI FORZA DI QUESTO MAKE-UP. PER SOTTOLINEARE
I COLORI DELL’IRIDE, QUI HO GIOCATO SULL’ACQUAMARINA E SUL BIANCO
• Acquamarina
Colorito radioso
e pelle perfetta
Crema idratante mischiata ad un
po’ di correttore come base. (Per
contrastare rossori più o meno diffusi,
usate un correttore verde).
Fondotinta liquido, dà maggior
coprenza, ma è anche il più “pesante”; se il tempo ed il tipo di pelle
lo permettono, meglio usare un fondotinta minerale.
Importantissima è la tonalità che
deve essere il più possibile uguale
alla propria perché il risultato sia naturale. Per la modella, ho mischiato
due tonalità: una color avorio ed una
più scura, dosandole in modo da
raggiungere il colore più adatto.
Infine cipria, applicata con moderazione, per fissare il tutto.
nell’angolo esterno,
sfumata sulla palpebra. Per ottenere l’effetto “occhi di gatto”,
si va sempre lungo la
direttrice immaginaria
che parte dalle ciglia
inferiori.
• Bianco iridescente dall’angolo
interno a metà palpebra: illumina, alza la
curvatura delle sopracciglia ed alleggerisce lo sguardo,
mantenendolo magnetico.
Nulla
contribuisce a
fare il monaco
quanto l'abito.
V
oci potenti, trasgressioni
sonore, ritmi da perdere
la testa… la musica ci
accompagna sempre e i
nostri beniamini ci fanno
sognare.
Quasi
sempre.
Quando salgono sul palcoscenico di un grande Festival o
vengono premiati in una competizione internazionale forse
non sanno bene cosa indossare
o sono mal consigliati dallo stilista emergente di turno.
DA SANREMO...
Emma
in
vacanza.
Giacca e shorts bianchi in-
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IL BLOG DI CRUDELIA
LE STAR DELLA MUSICA? BOCCIATE!
dossati con canottiera trasparente e zeppe bianche. Aperitivo sul mare un po’ fuori stagione? No, un look, a sentire
chi l’ha proposto, “trasgressivo”. Forse la trasgressione sta
nell’imbruttire una ragazza
piena di grinta. Boh!
Arisa o Santuzza?
Alla povera Arisa qualcuno ha suggerito il total
black con gonnella lunga tipo
funerale palermitano. Noi la
rimpiangiamo tutta colorata e
con i simpatici occhiali da
nerd. Esci dal lutto, please!
2
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4
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L’ortopedico di Dolcenera. Perché la piccola
Dolcenera ha indossato scarpe
zebrate con plateau altissime
e dalla foggia alla gladiatore?
L’effetto è curiosamente “ortopedico” e punitivo. Ahia!
... AI BRIT AWARDS
Il parchettista di Alexandra Burke. Anziché
uno stilista la cantante che ha
partecipato ai Brit Awards deve
aver ingaggiato un’impresa
edile. Eccola infatti nella foto
sfoggiare un collare con effetto
parquet dotato di bulloni.
Anche tu fashion-detective degli orrori! Mandaci le tue
segnalazioni (foto o testi) a [email protected]
Ade esplosiva. Il pizzo
elasticizzato del vestito di
Adele le ha fasciato talmente
le braccia non proprio filiformi
che sembravano esplodere.
L’opposto di ciò che si vuole ottenere quando si indossa una
mise come questa.
Lana Del Rey. La cantante ha invece scelto un
look rosso di Vivienne Westwood: l’abito era stupendo,
ma non si addiceva molto
alla sua carnagione e soprattutto... non si indossa il rosso
su un tappeto rosso!
Alexandra Burke sfila sul
tappeto rosso dei Brit Awards
LookSmart
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BACKSTAGE
SUL SET PER UN GIORNO
DIVENTA ANCHE TU UNO DEI NOSTRI VOLTI! Iscriviti alla pagina fan
LookSmart. Anche la moda ha cervello su Facebook o scrivi all’indirizzo e-mail [email protected]
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Teatro
Marzo 2012
Giro d’Italia
INFOWEB
www.teatroeliseo.it
Il coraggio di Adele
Filippo Timi e Teresa Saponangelo ne Il coraggio di
Adele, scritto e diretto da
Giampiero Rappa. Al piccolo Eliseo dal 6 al 18 marzo.
Dalla letteratura
al palcoscenico
tempo di lettura: 12 minuti
Roma. All’Eliseo il capolavoro di Truman Capote
Colazione da Tiffany, quella vera
Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia interpretano i ruoli resi celebri da Audrey Hepburn e George
Peppard nella nota trasposizione cinematografica. Ma lo spettacolo teatrale poco ha a che
vedere con il film, restando invece molto più fedele al testo letterario
Giulia Iani,
19 anni
Foto di Riccardo Ghilardi
C
ma in parte ho lavorato su Marilyn
Monroe (la scelta che avrebbe voluto
lo stesso Capote per il film, ndr), non
per farne un’imitazione ma per creare
qualcosa che somigliasse il più possibile a Holly». Credete che chi ha amato il film potrebbe restare deluso dalla
rappresentazione teatrale? «Ma, non
saprei. Rischio di sembrare saccente –
interviene Lorenzo – ma se ho letto il
libro, non resto deluso da cose che conosco. Il film era un bellissimo film,
ma non è quello che raccontiamo noi.
Spero che la gente non rimanga delusa. Era deluso piuttosto Truman Capote quando lesse la sceneggiatura del
film». Perché gli spettatori dovrebbero andare a vedere Colazione da Tiffany? «Beh, non c’è un motivo perché
debbano farlo – conclude Lavia – ma
se non conoscono il romanzo, noi facciamo Colazione da Tiffany, quella
vera». Per chi è Roma, al Teatro Eliseo, per la regia di Piero Maccarinelli,
dal 13 marzo al 1 aprile.
Dopo la prima. L’Ariosto rovesciato
Il cavaliere Accorsi è Furioso
Martina Pi,
20 anni
Torna nei teatri italiani l’Orlando furioso, interpretato questa volta da Stefano Accorsi. La prima nazionale di
“Furioso Orlando - Ballata in ariostesche rime per un cavalier narrante”, per
la regia e l’adattamento di Marco Baliani si è tenuta al teatro Ambra Jovinelli di Roma.
Accorsi si dimostra come sempre un ottimo attore, recitando quasi da solo per
un’ora e mezza e alternando la parte del
narratore a quella di Orlando e di altri
personaggi, trascinando lo spettatore in
un vortice di emozioni legate sia all’interpretazione sia al testo. Meno
convincente è stata, invece, la performance di Nina Savary, la bella Angelica, forse troppo impegnata a recitare
in un italiano corretto per non risultare un po’ artificiale e robotica. Tuttavia,
l’attrice ha dato prova di grandi capacità canore e artistiche; ci sono, infatti, numerose incursioni musicali, con
strumenti suonati dal vivo sul palco dalla stessa Nina, partendo dalla più classica chitarra per arrivare a strumenti più
particolari che ricordano rumori precisi,
come quello del mare o della lotta.
L’adattamento del testo è riuscito: a partire dal titolo, si capisce che questo spettacolo vuole essere un rovesciamento
del racconto di Ariosto, mettendo al pri-
mo posto la furia dell’amore non corrisposto. In certi casi, un po’ scontato
l’inserimento di alcune digressioni,
cui è affidato il compito di introdurre
tematiche di attualità, come la posizione
delle donne, che continua a essere subordinata a quella degli uomini, e l’ingiustizia delle guerre, che parla solo dei
vincitori e non dei vinti senza nome.
Questo non impedisce, però, di riprendere una delle parti più toccanti del
poema, quella di Ruggiero e Brada-
Foto di Pino Le Pera
olazione da Tiffany è un breve romanzo di Truman Capote da cui
Samuel Adamson ha tratto una riduzione teatrale. Protagonista ne è Holly
Goligthly, una cover girl americana
arrivata a New York, una gatta selvatica che affascina tutti, anche il timido
scrittore William Parsons, che la considera sua fonte di ispirazione. «Impersonare Holly è stato un regalo meraviglioso – racconta Francesca Inaudi –. È un personaggio che ha cambi
continui di emozioni e profondità
completamente diverse. Passa da una
leggerezza disarmante ad abissi di
profondità e di dolore difficilmente
contenibili. Poi ci sono le sue “paturnie”; oggi li chiamiamo attacchi di panico, ma fondamentalmente sono
un’altra cosa, un senso di vuoto che ha
spesso l’essere umano moderno occidentale quando si confronta con la futilità e la volatilità delle cose. E per assurdo lei trova sollievo nella cosa più
futile e volatile che esista: una gioielleria e i diamanti. Dietro quell’ordine
frivolo, dentro quella bellezza e immutabilità del diamante (che è eterno
e sempre uguale) trova forse una forma di sollievo nello smarrimento che
ogni tanto la coglie». Holly riesce ad
affascinare proprio tutti. Perché? «Il
fatto che queste sue caratteristiche si
mescolino ad un entusiasmo infantile,
disarmante, travolgente. Poi la sua capacità di rivoltare ogni situazione e
dentro ogni situazione scoprire una
profondità e, al tempo stesso, un divertimento e una leggerezza che nessuno troverebbe. Mi piace pensare che
assomigli a un profumo che ti lascia
inconsciamente delle sensazioni a un
livello molto profondo ma che svanisce nell’aria e ne rimane solo il ricordo, la nostalgia. Però di fatto è già sparito». Lorenzo Lavia invece è William: «William è lo stesso Truman Capote – ci spiega l’attore – un giovane
scrittore con un’identità sessuale e
un’identità intellettuale ancora non
definite. Holly la ama immediatamen-
te (come ama immediatamente la madre) nonostante tutti i difetti della donna e della madre stessa. L’unica donna
che potrebbe amare Truman Capote è
proprio Holly, perché l’unica donna
che potrebbe amare Truman Capote è
la madre». Insomma, davvero una
versione molto differente rispetto a
quella diretta al cinema da Blake Edwards. «Beh, innanzitutto l’ambientazione storica è diversa – chiarisce
Francesca – il romanzo è ambientato
nella metà degli anni Quaranta, mentre il film negli anni Sessanta. Poi, pur
restando la rappresentazione teatrale
una commedia brillante, ha un velo di
cinismo più forte, una crudeltà maggiore da parte dell’autore rispetto ai
personaggi. Diciamo che non c’è il
buonismo hollywoodiano degli anni
Sessanta. Ci siamo concessi un ritorno
a un po’ di quella cattiveria che è propria di Truman Capote, più disincantato sulla realtà. Per il mio personaggio non ho considerato la Hepburn,
mante, simboli eterni dei conflitti e delle gioie dell’amore.
La scenografia è volutamente scarna e
funzionale, perché ciò che si deve
guardare sono gli attori e ciò che si deve
ascoltare sono le loro parole, al massimo la musica e i rumori, che creano
i pochi strumenti a disposizione. Per distinguere le parti del racconto si gioca
su livelli anche visivi: Accorsi sale a recitare su cubi di legno per raccontare
altri personaggi.
Lo spettacolo si chiude con un invito
al pubblico a leggere l’originale e un
lungo e meritato applauso per Stefano
Accorsi.
Ci è piaciuto? Nel complesso, sì: l’originale non è stato stravolto, è stato piegato alle esigenze attuali senza che gli
fosse strappata la sua natura, ha quindi ricoperto il ruolo che tutti i classici
degni di questo nome ricoprono. Dopo
la Capitale, a marzo, lo spettacolo arriverà a Milano al teatro Elfo Puccini.
23
Marzo 2012
INFOWEB
www.archivolto.it
www.teatrostabilegenova.it
Il diario di Mariapia
Il 16 e il 17 marzo in
scena all’Archivolto un
nuovo spettacolo scritto,
diretto e interpretato da
Fausto Paravidino.
Al Teatro dell'Archivolto, 29-31 marzo
Pro patria
Torna a Genova Ascanio Celestini, per raccontare il Paese
partendo dalla Repubblica romana e sognando una società
senza processi, senza prigioni. Che cosa ne è stato dell’Italia? È ciò che domanda il protagonista, un detenuto dei
giorni nostri. E a chi rivolgersi, se non a Mazzini stesso?
tempo di lettura: 10 minuti
Genova. È stato così in prima nazionale al Teatro della Tosse
Confessioni di una moglie omicida
Il romanzo di Natalia Ginzburg rivive sul palcoscenico in uno struggente monologo per la
regia di Valerio Binasco e l’interpretazione di Sabrina Impacciatore
Davide Ghio,
20 anni
U
no spettacolo introspettivo
dedicato all’universo femminile, a
paure e ossessioni di una moglie
che è prima di tutto una donna. Ritmi serrati, da puro teatro di ricerca.
Con È stato così, il Teatro della
Tosse di Genova ha inaugurato il
nuovo filone che va sotto il titolo
“Casa e famiglia”.
Lo spettacolo nasce da un’idea di
Valerio Binasco: portare sul palcoscenico l’omonimo romanzo che
Natalia Ginzburg scrisse nel 1947:
«Non ci avevo mai pensato prima
d’ora; dai romanzi si ricavano facilmente trasposizioni cinematografiche, ma non teatrali: ho cerca-
to una forma scenica che non ne
tradisse lo spirito». La prima difficoltà è il ritmo: «È un romanzo
quasi senza virgole, un’incessante
tortura del personaggio; fu descritto
come un convoglio senza più comando, un treno in discesa che va
senza controllo». Serve una recitazione velocissima per creare un
«luogo interiore dove ci si fida delle immagini che si proiettano nella
mente, dove si resta senza respiro,
dove, però, c’è il tempo perché possa affiorare qualcosa».
L’intero testo è una confessione,
schiettamente lucida quanto profondamente tragica, di una moglie
dopo l’uccisione del marito, culmine di una storia struggente fatta di
incomunicabilità, gelosia, menzogne, delusioni. «Non è una storia di
corna, ma di silenzio. Un incolmabile buco che solo un colpo di pistola può riempire». Binasco si è
immerso completamente nella psicologia femminile: «Soffro nel vedere le storie d’amore delle donne,
sento che c’è ancora del sessismo,
sento una rivalsa autodistruttiva
delle figure maschili».
Ma è Sabrina Impacciatore la protagonista indiscussa del dramma: l’attrice romana ha meditato sul testo in
una volontaria clausura in cima ad
una torre nel centro storico genovese. «Cerco la forma più giusta per
onorare la Ginzburg. È l’esperienza
professionale più difficile della mia
carriera». Ed è fortissima, confessa,
l’identificazione con la protagonista:
«È un salto nel buio senza rete, imparo il testo a memoria e ogni giorno lo recito diversamente. Quando
sano sul palco spero in un’ispirazione». Ma, ridendo, precisa: «Prometto che non ucciderò nessuno». Dopo
Genova, lo spettacolo andrà in scena
in altre città italiane.
Teatro Duse. Petruzzelli è Mario Rigoni Stern
Teatro della Corte. La voce all’umanità
La storia di un uomo
che incontra la Storia
Valeria Firriolo,
17 anni
Tönle è un contadino veneto, pastore
e contrabbandiere, ma soprattutto è il
protagonista del celebre Storia di
Tönle, romanzo di Mario Rigoni
Stern, pubblicato nel 1978. Pino Petruzzelli porta sul palco il racconto interpretandone lo scrittore, che aveva
ambientato l’opera sulle montagne
d’Asiago prendendo spunto dalla propria esperienza autobiografica. La vita
di Tönle si trasforma in una fuga costante: un’odissea che, tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, lo getta per caso nei grandi
eventi della Storia.
La vicenda inizia durante gli ultimi
anni di potere dell’Impero Astro-Ungarico, quando i terreni appartenevano
ancora a Francesco Giuseppe. Tönle
ferisce una guardia della Finanza Regia e, costretto a fuggire, comincia a
vagare per il mondo, adattandosi a
ogni tipo di mestiere. Incrollabile resta però l’affetto per le sue origini:
neppure lo scoppio della guerra, la
fame, la paura di non farcela riescono
a cancellare i suoi anni più lieti, quelli
passati con il suo gregge, la sua pipa,
i suoi prati erbosi e le sue bianche
vette. Questo gli permette di sopravvivere anche nel campo di internamento di Katzenau finché finalmente,
vecchio e stanco, Tönle ottiene il condono e può tornare alle sue amate
montagne, i cui paesaggi sono però
sconvolti dalla guerra. Pur se circondato dalla desolazione, Tönle è finalmente tornato a casa e, sedutosi sotto
un ulivo, muore serenamente con una
pipa in mano.
Rigoni Stern ci mostra come la volontà
Platone racconta
il presente
Laura Santi
Amantini, 19 anni
di un uomo che ama la sua terra possa
contrastare la furia e la violenza della
guerra e come sia necessario, pur tre le
insidie della vita, non arrendersi mai.
Petruzzelli, autore, interprete e regista
dello spettacolo, arricchisce la narrazione di rime e musicalità e, vestendo
i panni di Mario Rigoni Stern, porta in
scena, come ha sottolineato il “Messaggero Veneto”, «un inno al valore
delle radici di ciascuno e un grido contro la follia di ogni guerra». Dal 20 al
25 marzo, al Teatro Duse di Genova.
Chi ha detto che i classici del pensiero
antico non hanno più nulla a che fare
con noi, giovani dell’era di Internet? Il
ciclo “Grandi parole dell’umanità”, organizzato dal Teatro Stabile di Genova
e giunto ormai alla diciassettesima edizione, propone quest’anno la riflessione
su temi ancora attualissimi quali Legge
e libertà, Amore ed erotismo, Virtù e
conoscenza, Il mitico ciclo della vita ed
altri ancora, prendendo spunto dalla lettura di alcuni Dialoghi di Platone.
A portare sul palco i personaggi del
Critone, del Simposio, de La Repubblica e di altri celebri scritti platonici
saranno attori di spicco della scena ita-
liana, che affiancheranno relatori scelti
tra personalità di primo piano del
mondo culturale. E sul palco Socrate e
compagni non si troveranno certo fuori
luogo: Platone, da straordinario scrittore, non solo ha dato voce alle grandi
domande dell’umanità, ma ha saputo
inserire nei suoi dialoghi emozioni,
sentimenti, azioni, creando veri e propri personaggi teatrali. Composti
quando la grande stagione della drammaturgia greca era ormai al tramonto,
i Dialoghi sono ricchi di suggestioni
teatrali, ancora capaci di affascinarci.
Il ciclo, che si svolgerà al Teatro della
Corte fra marzo e aprile prossimi, non
vuole essere dedicato agli specialisti
del settore, ma aperto a tutti, ragazzi e
adulti, offrendo, insieme alla lettura di
testi intramontabili, spunti di riflessione sulla contemporaneità.
24
Marzo 2012
Musica
Outsiders
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edsheeran.com
www.giardinidimiro.com
Giorgia in tour
Ritorna sui palchi di
tutta Italia una delle artiste più amate di sempre: controllate online
la data più vicina a voi!
Progetti musicali
da intenditori
tempo di lettura: 9 minuti
Cantautori. L’artista scala le classifiche con il suo album “+”
Nessuno ama la gente triste
Vincitore di due Brit Awards, l’inglese Ed Sheeran racconta il suo incredibile successo che lo
ha portato alla ribalta in pochi mesi: preparatevi, ne vorrete sapere di +!
Matteo Franzese,
20 anni
S
ono le tre del pomeriggio quando
Ed Sheeran, grande rivelazione del mercato musicale britannico, entra in sala
stampa. Dalla grande finestra dello stanzone dà un occhiata veloce al panorama
milanese, che in questo periodo ha l’aria
un po’ romantica e assonnata, con tante
nuvole che la fanno assomigliare ad una
città inglese. Prima di rispondere alle
domande sorride: forse quest’atmosfera
lo fa sentire a casa.
Negli ultimi mesi hai avuto un
grande successo. Come reagisci a una
simile situazione?
«Sto cercando di tenere tutto ciò che riguarda la mia nuova dimensione pubblica al di fuori della sfera privata. Ho
scoperto che il successo porta con sé
tanti momenti positivi, ma altrettanti
negativi. Al momento sto cercando di
concentrarmi sul mio lavoro, so cosa
sto facendo e sono molto felice perché
è anche la mia passione».
Momenti negativi come?
«Beh, i media inglesi sono particolari,
amano parlare degli outsiders: nel mio
caso il 90% della stampa mi ama, ma
gli altri fanno di tutto per farmi capire
il loro odio!».
Quali sono i tuoi idoli musicali?
«Van Morrison, Beatles, Bob Dylan. I
miei genitori, quando ero un bambino,
non ascoltavano mai la radio, ma mettevano cd di questi artisti in continuazione».
Parliamo dell’album: come mai hai
scelto un simbolo matematico, “+”,
per il titolo?
«Mi piace prendere scelte personali,
credo che sia quello il maggiore motivo
che mi ha spinto a scegliere un simile
titolo. Inoltre, ho voluto trasmettere un
senso di positività».
Hai un legame speciale con tutte le
tue canzoni, che hai ammesso essere
autobiografiche: con Drunk?
«Anche quella è autobiografica.
Quando suonavo nei pub di Londra è
capitato che bevessi anche una bottiglia
di vodka a sera. Comunque non mi è
mai capitato di suonare ubriaco, bevevo sempre dopo aver finito! Ora ho
smesso».
Il video del tuo ultimo singolo, Lego
house, mostra un tuo fan accanito
che arriva a diventare uno stalker. Ti
è mai capitato qualcosa di simile
nella realtà?
«Non credo di avere mai incontrato
fan realmente strani. Ho conosciuto
fan particolari, che si tagliavano i capelli per assomigliare il più possibile a
me, altri un po’ invadenti che mi chiedevano un appuntamento, ma non mi
hanno mai spaventato simili compor-
tamenti,
perché
dopo
l’emozione
iniziale
spesso
queste
persone
scoprono
che sono un
ragazzo normale e posso
avere una normale
conversazione con
loro».
D o v ’ e r i
quando hai
sentito per
la prima
volta
u n a
t u a
canz o n e
alla radio?
«È una storia
piuttosto divertente! Ero nella
macchina
della mia ex ragazza: mi stava accompagnando alla stazione, non mi ero reso
conto che la canzone fosse veramente
la mia! Quando l’ho detto alla mia ex,
lei aveva già spento la macchina e la radio. Io l’ho riaccesa ma ho dovuto cercare di nuovo la stazione, quando l’ ho
ritrovata la canzone era appena finita!».
Parliamo del futuro: ti piacerebbe
suonare con qualche artista in particolare?
«Vorrei collaborare con Stevie Wonder: c’è una canzone che avrei sempre
voluto scrivere, la sua They won't go
when I go. Stevie l’ha suonata al funerale di Michael Jackson: è una canzone
stupenda e al tempo stesso complessa».
Come definiresti il tuo genere musicale?
«Sinceramente, non credo che nell’era
di Youtube esistano più le barriere dei
generi musicali: voglio dire, quando si
clicca su un mio video si apre una finestrella che pubblicizza un video di
Lady Gaga, poi ancora di Eminem o di
Aloe Blacc... ormai la gente ascolta
una canzone solo perché la trova bella,
non perché è fan di un particolare genere musicale».
Se non vi foste incuriositi abbastanza
leggendo le sue risposte, guardate il
video di Lego house: troverete uno tra
i più famosi ragazzi dai capelli rossi
degli ultimi anni e sicuramente, una
volta ascoltata la canzone, ne vorrete
sapere sempre di “+”!
Novità. In uscita il nuovo disco de I giardini di Mirò
La buona volontà dell’indie rock italiano
Good Luck, in tutti i negozi di dischi
dal 23 marzo, è l’ultimo nato di questa storica band del rock italiano. Un
disco pieno di speranza e di cambiamenti: a raccontarcelo è Corrado Nuccini, chitarra e voce del gruppo.
Considerando la vostra esperienza
di tour all’estero è inutile chiedere
se ce ne sarà uno: piuttosto quando
e dove sarà?
«Noi abbiamo sempre avuto un rapporto particolare con la Germania,
dove siamo stati molto seguiti, e tutte
le aree limitrofe: Belgio, Svizzera,
Lussemburgo. Ora faremo un tour in
Italia, in cui manchiamo da molto
tempo».
Proprio a proposito dell’esperienza
tedesca, quanto vi ha insegnato in
termini creativi per questo disco?
«Di per sé, il viaggiare e il confrontarsi
con realtà diverse dalla nostra sono
sempre i migliori serbatoi da cui trarre
ispirazione. A noi piace dire che siamo
molto legati alla nostra terra, ma questa nostra terra, a partire dall’autostrada
del Brennero che apre all’Europa, ci
spinge anche a soddisfare quel desiderio di allontanamento e di viaggio».
Sono passati circa dodici anni dal
vostro primo album. Siete diventati
chi volevate essere?
«Noi non abbiamo mai legato l’idea di
fare musica a quella di voler diventare
qualcuno, anzi crediamo che sia un
po’ un limite per un musicista. È una
domanda molto difficile, ma pensiamo
che come gruppo, sì, siamo diventati
chi volevamo essere».
Good Luck: per cosa vorreste augurare buona fortuna agli italiani?
Abbiamo scelto questo titolo perché è
una sorta di sincero augurio: buona
fortuna perché in questo momento
dobbiamo tutti quanti ricostruire sia
uno spazio comune sia uno spazio privato. Al pessimismo della ragione va
sempre unito l’ottimismo della buona
volontà e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare la nostra parte».
Elena Prati, 20 anni
Credit Daniele Sarti
25
Marzo 2012
Musica
Piccole donne
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Rivelazioni. Un’Incognita poesia da Sanremo
Facciamoci valere di più!
Parola di Giordana Angi, diciottenne con le idee ben chiare, un discreto numero di sogni nel
cassetto e tanta voglia di imparare per poter portare all’estero la sua musica
Mattia Marzi, 17 anni
Paolo Nataloni, 21 anni
Q
uando incontriamo Giordana
rimaniamo molto colpiti dalla sua
ferma volontà di arrivare lontano con
la sua musica che le sta dando modo di
farsi conoscere su larga scala, grazie
alla partecipazione a Sanremo Giovani: chissà dove la vedremo arrivare
in futuro!
Il tuo rivale nella fase eliminatoria è
stato Alessandro Casillo, quindicenne proveniente da Io canto, che
ha poi vinto. Al giorno d’oggi il talent show è un termine che fa discutere e dibattere: parteciperesti
mai a uno di questi programmi?
«Non amo i talent-show perché non
amo la competizione. Il mio è un approccio costruttivo: voglio fare arte e
nell’arte non c’è competizione. Vincere, per me, vuol dire arrivare alla
gente. Ho provato a fare un provino
per X Factor, ma ho capito che non
sono adatta per quel genere di format,
anche se dai talent show emergono dei
veri talenti, come Noemi ad esempio».
Hai portato a Sanremo una canzone
che si discosta molto da ciò che i giovani, al giorno d’oggi, ascoltano. Cosa
vuoi realmente trasmettere attraverso
le note della tua Incognita poesia?
«È una canzone che ho scritto a 15
anni; quell’anno arrivò in classe un
nuovo compagno, e sin da quando lo
vidi per la prima volta capii il motivo
per cui la gente perde la testa per qualcuno. Lo amavo, ma al tempo stesso lo
odiavo perché i miei sentimenti non
erano ricambiati. Nella canzone dico:
“perché soldati i brividi mi attraversano, tormentano senza fine”. È una
canzone particolarmente importante
per me: rappresenta il mio passato, il
anni di esperienza
alle spalle».
A proposito di
Sanremo: come
è nata l’idea di
partecipare e
qual è il ricordo
più
bello di questa avventura?
«Ho sempre
pensato in
negativo al
Festival di
Sanremo,
ma sono
una persona
che
ama mettersi
alla prova. Così
ho registrato questa canzone al
pianoforte di casa
per poi iscriverla al
concorso. Dopo
mio primo amore. Sola con la mia
voce sono passata dal niente al
tutto, e senza l’aiuto di nessuno;
ecco perché quello che voglio trasmettere è un messaggio di
speranza per
quei giovani che ambiscono a questa professione. Incognita poesia è costruita
interamente su un intreccio tra pianoforte ed archi, registrata con 33
elementi dell’orchestra di Ennio Morricone. È stato bellissimo poter condividere dei momenti di musica assieme a professionisti
c o n
cinque giorni ho ricevuto una chiamata da parte di un numero privato:
era la Rai che mi convocava per l’audizione del 12 gennaio, il giorno dei
miei 18 anni. Durante la mia esibizione tutto era incredibilmente surreale: c’era un silenzio assurdo, ma
soprattutto c’era Gianni Morandi che
ascoltava la mia canzone. È stata una
grandissima emozione».
Suoni il pianoforte. Come prendono
vita le tue canzoni? Prima i testi o
prima le note?
«Di solito tutto insieme: quando torno
a casa dopo una giornata intensa, la
prima cosa che faccio è sedermi al
pianoforte: è come scrivere un diario!
Le parole vengono fuori contemporaneamente agli accordi, poi in un secondo momento penso a revisionare il
tutto: sono molto istintiva per quel che
riguarda la genesi delle mie canzoni».
Cosa ti viene in mente se pronuncio
la parola “musica”?
«La musica è una modalità di espressione utile a capirmi meglio, la chiave
per tutti i miei problemi».
Per quando è fissata l’uscita del tuo
primo album di inediti?
«Fino a poche settimane fa ero senza etichetta, ora so che il mio disco uscirà tra
fine aprile ed inizio maggio. È successo
tutto così all’improvviso! I pezzi sono
pronti, sono tutti miei, dobbiamo solo
trovare l’arrangiatore e i produttori».
Qualche sogno nel cassetto?
Portare all’estero la musica italiana: ne
ho abbastanza dei cantanti americani
che invadono le nostre radio. Dobbiamo farci valere un po’ di più, in
tutti i campi. Il nostro è un paese che,
storicamente, è oggetto di invidia.
Credo che la Francia sia un buon territorio d’esame per il mio genere: la
mia massima aspirazione è quella di
confrontarmi con il meglio. Ma al momento ho ancora tutto da costruire e
tutto da imparare».
L’anticonvenzionale. Dalla Francia arriva la giovane e maledetta SoKo
Ho pensato di essere un’aliena
SoKo, all’anagrafe Stéphanie Sokolinski, è una cantautrice francese di
origini polacche che ha appena pubblicato il suo primo album di inediti,
I Thought I Was An Alien, per Because / Warner, ricco di testi schietti
e diretti e di atmosfere musicali intime e suggestive. La giovane cantante ha aperto la data romana del tour
di Peter Doherty, dove l’abbiamo intervistata per voi.
La tua carriera artistica si divide
tra la musica ed il cinema. Ti senti più una cantante o un’attrice?
«Non mi considero una vera attrice:
in realtà ho recitato in pochissimi
film ed in maniera del tutto occasionale. Preferisco definirmi una cantante».
Nel gennaio del 2009 hai pensato
di lasciare il mondo della musica.
Pochi mesi più tardi, tuttavia, sei
tornata sui tuoi passi. Perché avevi preso quella drastica decisione?
«Durante quel periodo volevo scappare, sparire e nascondermi da tutto
e da tutti, lasciare la mia vita. Volevo cambiare ogni cosa, ripartire da
zero e, semplicemente, godermi
l’esistenza».
Di cosa è composta la tua preparazione musicale?
«Quando un giornalista mi pone
questo genere di domande è come se
volesse sapere tutti i nomi dei cantanti presenti nel mio iPod!».
Dici che scrivi in modo più prolifico quando hai una musa ispiratrice. Chi sono le tue muse?
«Quando scrivo le mie canzoni penso spesso agli amori che ho vissuto,
a ciò che mi accade durante il giorno e agli amici di sempre».
Il tuo primo album di inediti si
intitola I Thought I Was An Alien.
Pensi veramente di essere
un’aliena?
«Penso di essere piuttosto distruttiva con me stessa, vivo come una reclusa dentro casa. Quando ho una
casa!».
M.M., 17 anni
26
Musica
Marzo 2012
Band
INFOWEB
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tempo di lettura: 7 minuti
Rock. Torna Il Teatro degli orrori
Il “mondo nuovo” dipende da noi
A tu per tu con Pierpaolo Capovilla, che ci parla di immigrazione, critica al sistema e poesia,
in un’intervista che merita di essere attentamente meditata
Beatrice Feudale,
19 anni
U
n’intervista molto attesa e
voluta, quella con Il teatro degli orrori, che hanno da poco pubblicato il
loro ultimo album, Il mondo nuovo.
Pierpaolo Capovilla, leader della
band, ci racconta con il suo inconfondibile stile la sua idea di mondo
nuovo. Il tutto in un clima molto rilassato, quasi una conversazione tra
compagni di scuola che non si vedono da molto tempo.
È da poco uscito il vostro ultimo
album: cosa possiamo aspettarci?
«Questa volta è quello che possiamo definire un disco a concetto, come si faceva una volta. È una raccolta di piccole immagini biografiche di immigrazione. Persone, uomini e donne, cittadini del mondo
che lasciano il proprio Paese d’origine per cercare una vita diversa, il
mondo nuovo in un altro Paese. È
un disco fatto di speranza e di piccole e grandi disperazioni, anche
molto “politico”, non nel senso di
una militanza per un partito, ma della critica sociale».
Quello dell’immigrazione è un tema caldo in Italia. Secondo te
T
ALENTI
quello che accade nel nostro Paese
è più un problema politico, nel
senso che dipende da chi ci governa, o sociale, nel senso che sono gli
italiani a non essere aperti?
«È una questione dialettica
tra società civile, che siamo
noi, e società politica che sono loro. Io sono convinto che
la società politica sia
ormai, da tantissimo
tempo, insufficiente e inadeguata.
Nella società civile credo che ci
siano tutti gli
anticorpi necessari e sufficienti per poter
combattere la xenofobia e il razzismo. Peraltro viviamo in un Paese in
cui c’è un partito
che ha governato
fino all’altro ieri
che di razzismo e
xenofobia ha fatto la propria bandiera».
Nelle tracce c’è molta
poesia che si sposa, a nostro avviso egregiamente, con il vostro sound.
Come definireste il
vostro rapporto tra
poesia e musica, tra poesia e rock?
«Ci tengo molto a questa cosa perché credo che la poesia possa avere
un ruolo anche nella musica leggera. Mi sorge spontanea una considerazione un po’ buffa: mi piace pensare che io faccio
rock e al
tempo
stesso
sono un possibile diffusore della
grande poesia del ‘900. Io amo la
poesia, la considero l’arte più raffinata di descrivere il mondo, le nostre esistenze».
Com’è il vostro rapporto con i
fan e qual è la
vostra idea
di live?
Credit Edward Smith
«Coloro che ci seguono più attentamente sanno che il nostro è un progetto di valore e ascoltano la nostra
musica coscientemente. I concerti
per me sono importantissimi: il palcoscenico è la vita, quella vera, il
momento apicale, il più importante
del nostro mestiere, ma anche il
momento in cui ti senti veramente
vivo e soddisfatto della tua vita. Insomma, è la cosa più bella che facciamo».
Come ci si sente ad essere un po’ il
portabandiera di una musica impegnata in un momento in cui invece il disinteresse generale sembra un po’ prevalere?
«Ti dico la verità: io non mi sento il
portabandiera di niente e di nessuno».
I ragazzi ti danno questa etichetta…
«Sono lusingato da tanta benevolenza nei miei confronti. Sono convinto
che anche il rock possa dare un vero
aiuto per il progresso della comunità
e del Paese, perché contribuisce alla
modulazione dell’immaginario collettivo, che è forse la categoria più
importante della vera politica nella
post modernità».
Non resta che ascoltarli live: il tour
tocca molte città tra cui Roma il 17
marzo, Milano il 29 e Torino il 30;
controllate le altre sul loro sito!
Esordi
Un disco d’oro
Il testimone pubblica il suo primo album omonimo
prodotto da Farmstudiofactory con la direzione artistica
di Paolo Benvegnù. Un disco che si ispira alla grande tradizione pop rock italiana dei CSI e dei Marlene Kuntz e
che cerca di sondare l’individuo con brani molto intensi.
Quarta fatica per i Nobraino, band folk rock che pubblica questo mese un album arricchito dalla lavorazione
in studio, a cui il gruppo non era abituato. Il disco d’oro
si colloca idealmente sulla stessa linea del White Album
beatlesiano e del Black Album dei Metallica.
In vetrina
“El cuento de la chica
y la tequila”!
Non stiamo parlando di un film
di Tarantino, ma di un progetto
musicale, caratterizzato proprio
dalla personalità caliente, sanguigna, estrema che avete potuto intuire leggendo il loro nome. Un progetto nato quando Stefano Silenzi,
Ivan Prevedello, Andrea Ghion e
Roberto Parolin si incontrano e decidono di creare insieme qualcosa
di unico e vibrante, con suoni inusuali che sapranno catapultarvi in
un’altra dimensione. Un omaggio
alla femminilità intesa nel senso più
ampio possibile: nelle atmosfere
che creano si percepisce un’eco di
sensibilità, fascino e ispirazione
prettamente femminile.
27
Marzo 2012
Libri
INFOWEB
www.zai.net
Libero chi legge
Da leggere, da dimenticare,
da spizzicare
Educazione sessista. Se la scuola non aiuta
Non siamo principesse
A
vete mai fatto caso che sin
da piccoli leggiamo libri dove i maschietti sono audaci esploratori e nel
migliore dei casi le femminucce sono leggiadre principesse vergognose? Ad analizzare gli stereotipi che i
libri di scuola non hanno saputo cancellare ci ha pensato Irene Biemmi,
ricercatrice alla facoltà di Scienze
della formazione presso l’Università
degli studi di Firenze, autrice del libro Educazione sessista. Stereotipi
di genere nei libri delle elementari.
Com’è nato il libro?
«Dalla considerazione che spesso
quando si parla degli stereotipi di
genere si tende ad escludere la scuola dagli ambienti problematici perché si dà per scontato che almeno in
quell’ambito le discriminazioni di
questo tipo siano terminate, ma avevo il sentore che non fosse così».
Cosa è emerso dall’analisi dei materiali didattici?
«Intanto che per ogni 10 protagoniste femminili delle storie nei libri ce
ne sono 16 maschili. Questa disparità è già una spia di una certa discriminazione a livello più profondo.
Ho poi scoperto che gli uomini hanno un ventaglio di possibilità enorme rispetto al futuro professionale:
esercitano ben 50 diverse professioni, alcune anche molto qualificate
come il medico, l’architetto, l’esploratore, il direttore d’orchestra; le
donne, invece, solo 15, tra
cui quelle più stereotipate,
come la maestra in primis
e poi le improbabili streghe e principesse».
E come vengono caratterizzati i vari protagonisti?
«Anche con aggettivi che
sono già degli stereotipi.
Nella mia ricerca ho preso
come spunto gli studi della linguista Alma Sabatini
che negli anni Ottanta
scrisse Il sessismo nella
lingua italiana, notando
che anche gli aggettivi
hanno un genere; per consuetudine e prassi linguistica alcuni sono banditi
dall’uso al maschile: ad
esempio, ci può sembrare
ridicolo attribuire ad un
maschio l’aggettivo leggiadro. Ho controllato se
fosse così anche nei libri di testo e
ho verificato che in effetti gli aggettivi più utilizzati per i bambini sono:
sicuro, coraggioso, deciso, audace.
Mentre le bambine sono vergognose, docili, disperate, innocenti, silenziose... Quelli “femminili” sono
spesso squalificanti, i “maschili” sono molto più positivi».
È un problema solo per le bambine o anche per i bambini?
«Il danno per lo sviluppo delle bambine è piuttosto ovvio, ma gli stereo-
Alta classifica
Al primo posto tra i
libri più venduti La
gioia di scrivere. Tutte
le poesie (1945-2009) di
Szymborska Wislawa.
Storie di donne nel mondo
LA MANO CHE
TENEVA LA MIA
avvincente
Maggie O’Farrell
Due storie di donne che si intrecciano dalla Londra degli anni
Cinquanta a quella di oggi: quella di una giovane giornalista e
di un’artista. Nel romanzo, vincitore del Costa Book Awards for
fiction 2012, c’è l’amore romantico ben descritto e la tensione
dei legami familiari che si sciolgono in una sorprendente sorpresa finale. Una narrazione serrata che coinvolge, un atto
d’amore per la magnifica Londra dove tutto sembra possibile.
INÈS E L’ALLEGRIA
passionale
Almudena Grandes
Una scrittrice che ha sempre descritto il mondo delle donne in
modo acuto e ironico qui si cimenta con una storia d’amore. I
comunisti spagnoli esuli in Francia progettano di instaurare un
governo repubblicano in Catalogna alla fine della seconda
guerra mondiale; Inès si farà coinvolgere appoggiando la causa
e vivendo una passione stupenda.
LE NOTTI
SEMBRAVANO DI LUNA
tipi sono pericolosi anche per i bambini, intanto perché si creano un’immagine distorta del sesso femminile,
e poi perché, tornando agli aggettivi
di cui abbiamo parlato, se tutti i maschi sono descritti come forti e avventurosi, un bambino alle elementari che magari è timido e introverso
non troverà un modello di riferimento adatto e rischierà di sentirsi inadeguato rispetto a quello virile che nella vita quotidiana in realtà non esiste».
Terre senza pace
L’Atlante delle guerre
e dei conflitti del mondo
Difficilmente in casa mancherà un atlante geografico. Noi vi
consigliamo di aggiungerne anche un altro nella vostra libreria:
l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. Al suo interno non
trovate schede-Paese, ma schede-conflitto, che indicano gli Stati
dove sono in corso attualmente guerre, con carte geografiche,
articoli di approfondimento e ottima documentazione fotografica. Le schede sono 35, ognuna di 4 pagine. «È un lavoro
quanto più possibile giornalistico – ha dichiarato alla presentazione del testo il direttore responsabile Raffaele Crocco –
L’informazione e la conoscenza rendono i cittadini più liberi,
liberi quindi anche di sapere da che parte vogliono stare». La
pubblicazione si rivolge soprattutto ai giovani e l’idea di utilizzare l’atlante come forma del testo è legata anche a questo.
La scelta di dedicare 4 pagine per ciascun conflitto non è casuale: è una scelta di uguaglianza perché nessun conflitto sia
considerato più importante di un altro. La pubblicazione è prodotta dall’associazione
46° parallelo ed edita da Terra Nuova edizioni. Per informazioni www.atlanteguerre.it.
inaspettato
Laura Bosio
Racconta di una bambina di dieci anni, Caterina, che ha un
grande sogno: quello di correre in bicicletta come i campioni
del Giro. Si trova a vivere nell’Italia degli anni Sessanta, in un
luogo piccolo e pieno di contraddizioni. Lei non sa ancora che
in quegli anni per le donne è impossibile diventare un corridore,
o forse lo capisce, ma preferisce non pensarlo, perché la bicicletta è la sua unica e vera passione e solo in sella si sente davvero felice.
Due ore sul sofà
geniale
PERCHÉ NON DIAMO AL
CRISTIANESIMO UN’OPPORTUNITÀ
George Bernard Shaw
Gesù, per l’autore, va letto come uomo politico, un rivoluzionario, e andava ascoltato come tale. Invece è stato elevato a Dio.
Da lì è nato il potere della Chiesa ed è morto il messaggio di Gesù.
Cento pagine argute, esplosive come dinamite del grande premio Nobel Bernard Shaw per la prima volta tradotte in italiano.
LA DIETA DUKAN
inutile
Pierre Dukan
La dieta che è diventata un fenomeno mondiale e che ha fatto
vendere al Dottor Dukan oltre 13 milioni di copie. Il segreto è
l'approccio semplice e “antifrustrazione”, basato su quattro step
che assicurano un dimagrimento rapido e definitivo. Nella prima
fase di attacco consente di spaziare, senza limiti di quantità né
vincoli di orario, tra 78 alimenti ricchi di proteine. E nient’altro.
Che dire? Utilizzare un libro per dimagrire può essere dannoso;
le diete iperproteiche senza controllo del medico provocano più
danni che fisici invidiabili! Attente.
L'AMORE È
UNA COSA SEMPLICE
scorrevole
Tiziano Ferro
Tiziano Ferro è tornato all’attacco con un altro libro, dopo Trent’anni e una chiacchierata con papà. Adesso entriamo nei ricordi annotati in questi ultimi due anni, in cui il mondo attorno
a Tiziano è cambiato in maniera radicale, portandolo a vivere la vita che aveva sempre sognato. Una lettura scorrevole,
costellata di momenti che offrono seri spunti di riflessione sul
mondo; però Tiziano, più che come scrittore, lo preferiamo
come cantante con il suo dono vocale unico.
28
Marzo 2012
Cinema
INFOWEB
www.labas-film.com
Giovani critici
Ti stimo fratello
Da Zelig al grande
schermo: arriva il film
d’esordio di Vernia (alias
Jonny Groove): sarà all’altezza delle aspettative?
La parola
ai registi
tempo di lettura: 14 minuti
Nelle sale. Là-Bas, un film contro gli stereotipi
Brutti, sporchi e cattivi
Il regista Guido Lombardi ci racconta la vita difficile degli immigrati africani a Castel Volturno,
noto alle cronache per la strage camorrista in cui persero la vita sei innocenti. Tra
sfruttamento e povertà, la via del crimine può diventare la più razionale per vivere
Federica
D’Angelantonio,
17 anni
testimonianze inizia a pensare di trasformare quella realtà in un film. La
sceneggiatura di La-Bàs quindi, come
dice lo stesso Lombardi, «è stata immaginata e scritta su di loro, ho ideato
battute che loro avrebbero potuto dire,
insomma si può dire che i personaggi
che interpretano glieli ho un po’ cuciti
addosso». Il resto del cast, a parte
Eshter Elisha e Salvatore Ruocco, rispettivamente nei ruoli della prostituta Suad e del camorrista Giuseppe
Setola, è composto da attori non professionisti: «lavorare con loro non è
stato semplice, essendo alle prime
armi non si rendevano conto nemmeno delle distanze tecniche da mantenere rispetto alla telecamera. Inoltre
la naturalezza, la spontaneità non sono
state un punto di partenza, ma di arrivo: al nono ciak, quando si è allo
stremo, non si pensa più a come dire la
battuta e viene finalmente naturale!»,
spiega Lombardi.
Al centro della storia è Youssouf, un
giovane africano che arriva a Castel
Volturno in cerca di uno zio che ha
“fatto fortuna” e che può aiutarlo a
V
incitore del premio “Leone del
futuro” al 68° Festival del Cinema di
Venezia, Là-Bas - Educazione criminale è un film che racconta l’immigrazione dalla parte di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, con gli occhi
di chi si avventura dall’Africa verso
l’Europa, questa terra conosciuta
come “là-bas”, “laggiù”.
L’idea nasce nel 2005, quando il regista e documentarista Guido Lombardi
conosce alcuni ragazzi africani della
comunità di Napoli e provincia. All’epoca faceva il cameraman e gli
venne chiesto più volte di filmare alcune feste della comunità africana locale, per poi farne un dvd che sarebbe
stato conservato come ricordo. È qui
che conosce due degli attori principali, Kader Alassane (il protagonista
Youssouf) e Moussa Mone (lo zio
Moses): dopo aver ascoltato le loro
Incontri. Dal Neorealismo al Cinéma nôvo
Due maestri del grande schermo a confronto
Maddalena
Messeri, 20 anni
Metti una sera con Ettore Scola e Nelson Pereira Dos Santos: due mostri
sacri del cinema italiano e brasiliano.
Non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di chiacchierare con loro di
film, macchine da presa, set e ciak.
Chi è il regista?
E.S. «Dare una definizione è piuttosto difficile, diciamo che sul set è
quella persona a cui tutti fanno delle
domande, a cui bisogna rispondere
anche se non si sa cosa. Il regista
mette insieme il lavoro di tutta la
troupe, ed è un mestiere che non per-
mette di essere atei: bisogna avere
fede e credere nei miracoli!».
N.P. «Quando camminiamo vediamo
una troupe, il traffico e poi uno che
inizia a dare ordini: questo è il regista, è un mestiere autoritario. Il problema è che magari il cineasta ha una
famiglia, nel fare cinema si sente un
dio sul set, anche se poi si rende
conto di essere un uomo normale a
casa».
Dietro la macchina da presa: si osserva la società o si cerca un modo
per entrare nel mercato?
N.P. «Se devo essere sincero io voglio entrare nel mercato, devo pagare le bollette! Scherzi a parte, il
mio cinema è di nicchia, mentre i
film per il mercato cercano sempre la
violenza: è una scelta estetica. Inoltre, il regista deve fare i conti con il
pubblico: quanti film brasiliani vengono trasmessi all'anno? Solo cinque».
E.S. «Prima lo scopo non era quello
di vendere il film: eravamo più liberi.
La prima grande censura è stata l’era
del box office! Questa ipoteca che si
mette sul film - deve incassare perché
altrimenti rischia di non essere girato - è la fine del cinema italiano».
Cosa fate la mattina appena arrivate sul set?
E.S. «Tu vorresti una risposta precisa, ma è più facile dire cosa non si
fa! Per esempio ci sono registi che
cercano prima di tutto gli attori, altri
il direttore della fotografia. Io non
ho mai cercato gli attori anche perché
non li trovavo, Tognazzi arrivava con
quattro ore di ritardo! Non ho mai
avuto il problema della macchina da
presa, ho sempre scelto io dove e
come posizionarla, cosa volevo
esprimere».
N.P. «Ho avuto la fortuna di lavorare
con persone di grande talento, molto
preparate, che mi hanno aiutato: sceglievo subito dove collocare la cinepresa. Il mio direttore della fotografia confermava e mi aiutava a
seconda della luce, ma l’inquadratura l’avevo già scelta io. Credo che
il direttore della fotografia sia come
una moglie: ci discuti sempre ma alla
fine ci stai bene».
È fondamentale dove posizionare
29
Marzo 2012
INFOWEB
www.zai.net
17 ragazze
Alcune adolescenti decidono di avere un figlio in contemporanea
per dimostrare la loro
indipendenza.
Detenuti d’oro
Dopo aver vinto a Berlino, Cesare deve morire dei fratelli
Taviani arriva al cinema. Il film, interpretato dai detenuti del
carcere di Rebibbia di Roma è una rappresentazione nella
rappresentazione. Mettendo in scena il Giulio Cesare shakesperiano, i protagonisti raccontano loro stessi.
trovare lavoro in Italia. Al suo arrivo,
però, si mostra l’altra faccia della medaglia: il lavoro che Moses propone a
Yossouf non è quello onesto di artigiano, come lui immaginava, ma di
spacciatore, lavoro illegale ma che
porta grande guadagno.
«Dopo essersi spaccato la schiena per
50 centesimi a cassetta di pomodori,
dopo essere stato sfruttato, Moses si
stanca e vede che in un altro modo, appunto criminale, può guadagnare 100
euro in un’ora invece che 20 in tutta la
giornata. E fa la scelta che purtroppo
appare come più razionale per vivere»,
racconta il regista.
Una realtà che può apparire cinica, ma
che non lascia molte alternative: l’Italia, la terra dell’oro, l’ignoto “laggiù”
che tutti decantano non è il paradiso,
ma anzi un luogo spesso di sfruttamento e di facili tentazioni criminali.
Una realtà che spesso supera l’immaginazione di una sceneggiatura: è il
18 settembre 2008 quando sei giovanissimi ragazzi - 31 anni il più grande,
25 il più piccolo - vengono uccisi a
sangue freddo da una gragnola di colpi
da un gruppo di camorristi. È la strage
di “San Gennaro”, che accese i riflettori dei media su Castel Volturno per la
brutalità della vicenda. Le vittime furono solo un mezzo, uno strumento
che la camorra locale ha usato per dare
un avvertimento ai clan criminali africani, colpendo però persone del tutto
innocenti, che avevano solo la colpa di
trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per Lombardi, che
lo ha inserito nel film, questo avvenimento è molto emblematico: la cruda
uccisione da parte degli uomini di Giu-
seppe Setola di sei immigrati qualunque, che non hanno per chi li uccide né
un volto né un nome, è metafora di ciò
che accade quotidianamente nel nostro paese. «Ciò che emerge dal gesto,
da questo modus operandi, anche se in
modo estremo, è il fatto che gli italiani
quando vedono un immigrato non
sanno dargli una individualità, non
la macchina?
E.S. «Dipende, quello che resta è
quello che il regista vuole dirci, cosa
le sue emozioni gli hanno suggerito
per l’inquadratura. Il film è una proposta, il pubblico poi deve decidere.
Alla fine ognuno si inventa il suo
film, lo spettatore sogna in sala. Il
movimento nella sua mente è fondamentale, è libero e anzi chi vede deve
fabbricarsi il suo film».
Com’è il vostro rapporto con gli
attori invece?
N.P. «Io ammiro moltissimo gli attori
che, nonostante abbiano i loro sentimenti, diventano qualcun altro; devono fare cose strane e difficili davanti a sconosciuti, insomma sono
persone molto particolari. Cerco
sempre un momento di relax con gli
attori dopo aver girato, ci beviamo un
drink e parliamo del girato, diventiamo amici».
E.S. «Nelson ha partecipato a film
con produzioni molto più ricche delle
mie; io non avevo tempo di parlare
con tutti: sette, otto settimane sono
poche, non bastano mai. Ma è importante conoscere i propri attori, impari a capire cosa puoi chiedergli ancora. Mastroianni, simbolo del latin
lover, mi sembrava invece timido,
era contento quando gli ho chiesto di
interpretare un gay. Ne Una giornata
particolare la Loren diventa una moglie spenta. L’importante è che l’attore impari la parte, poi il regista gli
fa vedere come farebbe. L’attore è
insicuro, dubbioso e ha bisogno di
una guida, non c’è spazio per l’improvvisazione».
Parliamo di identità: quanto è importante fare un film italiano (e
brasiliano)?
E.S. «Credo che il Neorealismo e il
Cinéma nôvo, come anche la Nou-
pensano che anche lui abbia una personalità: per molti sono tutti uguali
nel solo essere migranti, africani».
E questo atteggiamento si vede anche
lì, a Castel Volturno, dove di ragazzi
onesti come Kwadwo, Ibrahim, Karim, Kuame, Justice ed Eric li puoi incontrare tutti i giorni. Gli abitanti del
comune casertano, come testimonia il
regista, sono scontenti del grande afflusso di immigrati perché secondo
loro diminuisce l’attrattiva turistica
del paese. Ma in realtà si conta che gli
africani residenti a Castel Volturno e
comuni vicini siano più o meno
20000: un numero di persone che
muove l’economia molto più di quanto
possano farlo i turisti a luglio e agosto.
«Quando percorri la Domiziana, la via
litoranea per arrivare a Castel Volturno,
ti sembra di stare in Africa: la maggior
parte delle persone che incontri è di colore. Tantissimi africani abitano qui;
dopo la strage si sono un po’ allontanati
a nord, ma sono rimasti comunque in
Italia. Molti sono clandestini, ma non
delinquenti: dobbiamo smetterla di fare
automaticamente questa equazione.
Nella maggior parte dei casi sono persone che si arrangiano, cercando di vivere alla giornata, ma non per questo
commettendo atti criminali. Le persone del luogo auspicano che prima o
poi se ne vadano da qui, come se questa fosse la panacea di tutti i mali»,
racconta Lombardi.
E se la presenza della comunità africana appare oggi scomoda, lo è stata
ancor più a ridosso della strage: all’inizio non è stato facile ottenere tutti
i permessi per girare, anche il sindaco
di allora non si era mostrato del tutto
disponibile. «Dopo i fatti del 18 settembre 2008, la polizia intensificò i
controlli: capitava non di rado di essere fermati, soprattutto se in auto si
trovavano contemporaneamente una
persona bianca e una di colore - continua Lombardi -. Quando ho cominciato a girare il film, ero spesso in
compagnia di ragazzi africani che mi
aiutavano a trovare le location: molti
di loro mi dicevano che, nel caso in cui
ci avessero fermato, non avrei mai dovuto dire di essere un giornalista. Le
forze dell’ordine, infatti, “gli avrebbero fatto passare un guaio”. Da lì ho
capito che chi era lì per raccontare la
verità dei fatti non era visto di buon
occhio».
Meglio tacere, far passare sotto silenzio una verità scomoda: è questo l’atteggiamento più diffuso, forse per
paura o forse per allontanare l’etichetta
di cittadina pericolosa.
E spesso proprio sull’insicurezza si
fonda parte della propaganda politica
che, «per raccogliere voti punta sull’allarmismo, amplificando un atteggiamento spesso italiano di generalizzazione e spersonalizzazione dell’immigrato, considerato come massa e
non come individualità. È un passo
indietro per la nostra società, considerando anche la nostra storia: a mio
parere non c’è molta differenza tra
l’africano che viene qui e l’italo-americano raccontato in tanti film di
Scorsese», commenta il regista.
Con questo film Lombardi vuole spingerci a guardare gli immigrati prima di
tutto come individui e non come fenomeno sociale collettivo, a chiederci
che storia abbia o cosa sogni il senegalese che incontriamo per strada o se
l’ivoriano che prende il nostro stesso
autobus sia simpatico o no. Riempiono
cassette di pomodori, dipingono le pareti dei nostri appartamenti, si spaccano la schiena per due soldi, spesso
sfruttati dagli stessi italiani, nel paese
là-bas in cui avevano riposto la loro
speranza.
velle vague, abbiano in comune
l’amore per il proprio paese: una
delle cause della decadenza del cinema contemporaneo è la mancanza
di affezione per il proprio paese. Dire
ad un giovane “devi amare l’Italia”
oggi sembra una follia. Bisogna pensare a chi andrà il proprio lavoro,
devi amare il pubblico perché così lui
amerà te».
N.P. «Chiaramente il mio cinema è
sempre inserito nel contesto storico e
culturale del mio paese. In Rio 40° ci
sono tutte le classi sociali, è come la
letteratura che lascia scritto il modo
di vivere della nostra società. La cen-
sura è stata così potente che è difficile spiegare cosa c’è stato: il film è
stato vietato dalla polizia perché facevo vedere solo gli aspetti negativi
di Rio, fu considerato un film “di
parte”. Invece il successo che ebbe
all’estero ha permesso di farlo vedere anche in Brasile».
Nelson, si può dire che il Cinéma
nôvo è stato ispirato dal Neorealismo?
«Certo, moltissimo. La lezione del
Neorealismo non è arrivata solo in
Brasile, ma anche in India e in America. In Brasile abbiamo discusso
molto sulla costruzione di una sorta
di Cinecittà, ma il Neorealismo era
camera alla mano e strada. Il dopoguerra italiano somigliava molto alla
realtà brasiliana del tempo: il Neorealismo ci ha ispirati perché avevamo già gli ingredienti di base nella
nostra realtà di strada».
Al cinema a Roma e a Rio
Diamo i numeri
Oltre 200 milioni: questo l’incasso prodotto nel 2011 dai film
italiani, che hanno registrato nell’ultimo anno anche un aumento
del 10% delle presenze di mercato. Un buon risultato a favore
delle pellicole nostrane, prova che
l’impegno dei nuovi attori e registi comincia ad essere premiato.
E in Brasile? Negli ultimi anni il
pubblico è aumentato, la sensibilità verso la cultura cinematografica sembra crescere sempre di più:
ad oggi sono circa 10 milioni gli
spettatori che frequentano regolarmente le sale. Al tempo stesso,
però, l’industria cinematografica
brasiliana non riesce ancora ad imporsi nel panorama internazionale.
30
Marzo 2012
Società
Consumi
INFOWEB
www.agcm.it
Cosmesi alla milanese
La Lombardia guida la
classifica delle regioni italiane dove si consuma la
maggior quantità di prodotti cosmetici.
La pubblicità
ti fa bella
tempo di lettura: 7 minuti
Cosmetici. La verità oltre il messaggio
Con il trucco e con l’inganno
Ciglia che sfidano le leggi della fisica, rossetti ipervolumizzanti e creme che cancellano ogni
segno di cellulite. Possiamo crederci? Quando le promesse dei prodotti possono essere
mantenute e quanta finzione c’è invece dietro gli accattivanti messaggi pubblicitari?
Simona Mesiano,
16 anni
T
est clinici lo dimostrano. Ok, allora fateci vedere le prove. Dimostrateci che il vostro prodotto è davvero in
grado in pochi giorni di diminuire il
giro coscia di 2 centimetri, che la vostra crema mi farà dire addio alla cellulite e che uscirò dalla doccia – naturalmente senza aver lavato via
l’abbronzatura – magari con due taglie
in più di reggiseno. Possiamo davvero
credere ai vari “mangi e non ingrassi”
o “dimagrisci mentre dormi”? Possiamo fidarci, quando i vari prodotti
sono “clinicamente testati”? «In realtà
per la legge l’azienda cosmetica non
ha bisogno di provare le promesse
pubblicitarie – spiega Laura Bruzzaniti, autrice del libro Il trucco della
bellezza –. Le prove possono essere tirate fuori solo nel caso in cui ci sia
un’accusa di pubblicità ingannevole.
Le aziende testano i prodotti come vogliono e, spesso, sono loro stesse ad
eseguire i controlli; altre volte i test
vengono eseguiti solamente su alcuni
principi e non sull’intero prodotto, infine, il risultato che si reclamizza può
essere riferito al gradimento del trattamento e non alla sua efficacia». Che
non è proprio la stessa cosa. Ci sono
spesso case produttrici anche note che
vantano di essere in grado di ridurre il
giro coscia di un centimetro in breve
tempo, «ma non esiste alcun cosmetico con questo potere. La cellulite è
un problema medico, originato da vari
fattori; la crema tutt’al più può avere il
potere di lisciare un po’ la pelle».
Siamo quindi completamente indifesi
contro le insidie della pubblicità? In
realtà esistono due organismi preposti
al controllo sull’ingannevolezza del
messaggio trasmesso. Innanzitutto c’è
l’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria (Iap), composto dagli addetti
ai lavori della comunicazione pubblicitaria, che ha la funzione di verificare
che gli operatori rispettino il codice di
autodisciplina che si sono dati. Generalmente quando blocca una réclame
lo fa su segnalazione di aziende concorrenti. Poi c’è l’Antitrust, che può
chiedere all’azienda di fornire le prove
delle qualità promesse anche su indicazione dei consumatori. Se le prove
non arrivano o non sono sufficienti,
l’Autorità può bloccare il messaggio,
obbligare l’azienda ad ammettere l’inganno – pubblicando l’annuncio sui
giornali a proprie spese – e affibbiare
ai furbetti una sostanziosa multa.
Grande soluzione a parole, ma molto
meno nei fatti, perché anche la san-
zione più onerosa è ben poca cosa contro il budget delle varie aziende, che
nel frattempo hanno fatto passare il
loro messaggio ai potenziali clienti per
mari e per monti. Inoltre, «la cosiddetta “smentita” molto spesso è contenuta in diciture piccole, quasi illeggibili. Bisognerebbe invece obbligare
le aziende a smentire con gli stessi
metodi ed enfasi utilizzati nella campagna pubblicitaria», continua Bruzzaniti. Invece sfogliamo le riviste e
troviamo continuamente pagine dedi-
cate a creme super snellenti, anticellulite, prodotti miracolosi contro le
smagliature, ma anche, per passare al
make-up, rossetti effetto silicone e mascara in grado di far diventare le tue ciglia lunghe, anzi lunghissime. In Gran
Bretagna, ad esempio, qualche anno fa
fu bacchettata l’immagine di Penelope
Cruz che prometteva l’allungamento
del 60% delle ciglia grazie ad una nota
marca di mascara. Peccato si scoprì
che le suddette ciglia fossero finte.
E poi ci sono le pillole della meravi-
glia, come quelle in grado di trasformare un seno piccolo in un esuberante
décolleté, più grande, più alto, più
sodo e tonico, insomma “più”, mixando giusto qualche erba. «Il pericolo
non arriva tanto dai trucchi, che non
penetrano nel derma – chiarisce ancora
Bruzzaniti – quanto da integratori e
compresse varie, come quelle per dimagrire. Molte aziende infatti si
stanno specializzando nell’alimentare.
Ci sono pillole, anche se naturali al
100 per cento, contenenti sostanze che
limitano l’assorbimento di determinate medicine o vitamine oppure possono contenere sostanze eccitanti. E il
consumatore si fa suggestionare e attrarre spendendo anche cifre assurde
nella speranza di ottenere effetti miracolosi». Del resto ormai la case produttrici puntano a “risolvere” tutti i
problemi, diversificando l’offerta di
cosmetici e trattamenti in base alle più
svariate esigenze. Pensate che negli
Stati Uniti si sono inventati una crema
specifica per i capelli delle bambine
nate da un genitore caucasico e uno
afro-americano. Vabbè, anche il marketing ha le sue regole e la sua ragion
d’essere, almeno fin quando si resta
nell’ambito delle promesse mantenibili. Io che ho il capello crespo, continuo a fare i semplici impacchi di olio
d’oliva. Perché io valgo.
Curiosità. I rimedi che non ti aspetti
Quella vipera di vostra madre
Virginia Lupi,
17 anni
Una delle creme antiacne più ricercate negli ultimi mesi è quella alla
bava di lumaca, dagli effetti (dicono)
miracolosi su cicatrici, macchie e smagliature. Non capisci se ti prendono in
giro oppure se è una cosa seria. Digiti
su Internet ed ecco alcuni forum che
esaltano o distruggono un certo prodotto. Enorme è la confusione e contagia un po’ tutte, preda di quel mito
che ci vuole lisce come bambole e ci
avvisa che le prime rughe insorgono,
pensate, già a 26 anni. Insomma,
smetti di lottare contro l’acne e, zac,
arrivano le rughe! Ecco una galleria di
trattamenti dei quali ultimamente si
proclamano le virtù seguendo il detto
materno: “chi bella vuole apparire un
po’ deve soffrire”.
Cominciamo con una star come Victoria Beckham che ci svela il suo segreto
di bellezza: la cacca di usignolo. Sembra che durante una visita in Giappone
abbia scoperto questo trattamento che
ringiovanisce la pelle e rende la carnagione luminosa. Questa maschera di
bellezza (un po’ repellente) veniva
usata dalle geishe per struccarsi.
Quello della cacca di usignolo, però,
non è un caso isolato, ci sono altre “secrezioni” di animali da cui nascono
cosmetici unici, come nel caso dello
sperma del toro, ingrediente per nutrire i capelli e renderli più luminosi,
mentre la scia un po’ gelatinosa della
lumaca è antiossidante e ringiovanisce
la pelle umana, così come l’animaletto
ringiovanisce il suo guscio.
Il veleno della vipera, poi, viene inserito in molte creme antinvecchiamento
ed ha effetti simili al botulino (da consigliare alle madri un po’ fissate).
Il nostro consiglio? Tenete conto che la
bellezza è soprattutto business. Quindi,
quando acquistate un cosmetico per
prima cosa controllate l’Inci, ovvero
l’etichetta degli ingredienti e verificate
che non contenga derivati petroliferi,
conservanti rilascianti formaldeide o
comedogeni (vi riempirete di puntini
neri!). Vi sarà di aiuto il celeberrimo
“Biodizionario” (on-line), che consente di cercare gli ingredienti e affibbia pallini verdi, gialli o rossi a seconda della dannosità. Se conoscete
l’inglese, invece, c’è il famoso Skin
Deep. Infine verificate che il prezzo sia
proporzionato alla qualità: la trasparenza verso i consumatori è meglio di
tante false promesse!
31
Marzo 2012
Giochi
Tempo Libero
INFOWEB
www.zai.net
L’oroscopo
Test
21/3 - 20/4
Ariete
La primavera comincia a farsi
sentire e voi non vedete l’ora di godervi
i primi giorni di sole... pazientate: il vostro momento sta arrivando.
Feeling con: Pesci e Sagittario
Stai lontano da: Acquario e Scorpione
Giorno fortunato: il 13 marzo
Mimose all’antica o in carriera?
Come tutti sappiamo l’otto marzo è la giornata dedicata alle nostre amiche femminucce (o A VOI femminucce, dipende dal caso!). Oggi le donne hanno ormai conquistato (quasi) la loro sacrosanta emancipazione.
Rispetto ai tempi dei nostri genitori, le cose sono cambiate parecchio e decisamente in meglio per il gentil sesso. Ovviamente, per
contro, è cambiato in gran parte anche il ruolo che la tradizione ha
da sempre riservato alla donna (e che ancora esercita un certo fascino su una buona fetta di maschietti più all’antica). Scoprite perciò chi siete – o per chi tenete – con il nostro fantasmagorico test! Mimose all’antica o in carriera?
La Festa della Donna!
a La mia mamma l’ha sempre celebrata sontuosamente... cucinando il doppio per tutti! E con
gli anni “tutti” sono diventati
sempre di più: i miei compagni
di classe, i colleghi di papà, i fidanzati intercambiabili di mia
sorella...
b Per femminucce e maschietti, è
una scusa sempre valida per marinare la scuola – YUHUUUUUUU!
c La passerò facendo qualcosa di
noioso, tipo marce di solidarietà
per le donne o altre menate simili... ma poi la sera si va con le
amiche a vedere bonazzi muscolosi che fanno la lap-dance!
Una donna, un modello di vita!
a La Vergine Maria – un autentico
evergreen!
b Sicuramente non certe delle nostre “Ministre” presenti o passate...
Lady Gaga. Eh... sì, Lady Gaga,
c
che c’è? Si veste con le bistecche, ma ha un sacco di soldi e
mica va a rubare! Perché non
può essere un modello positivo?
Tanto per fantasticare... e se un
giorno dovessi scegliere tra famiglia e carriera?
a
b
c
a
b
c
Beh, una bella famiglia allegra e
numerosa è sempre una scelta
apprezzabile... ma anche la carriera come suora di clausura può
essere allettante!
Certo non ci sarebbe niente di
male ad occuparsi della famiglia
ricoprendo il ruolo più tradizionale di donna, ma siamo ancora
studenti delle superiori, abbiamo tutta una vita davanti a noi
per fare certe scelte!
Quando mi troverò su una
splendida spiaggia caraibica a
sorseggiare sontuosi cocktail ai
frutti tropicali nel lusso che solo
una brillante carriera ti può concedere, allora me lo direte voi se
avrò fatto la scelta giusta!
Una canzone per noi donne!
Ave Maria (tanto per rimanere
in tema).
Girl just want to have fun di
Cindy Lauper – un classicone
valido per tutte le epoche! Lasciateci (e lasciamole) divertire!
Rebel Girl delle Bikini Kill, che
ovviamente il 99% di voi non
avrà nemmeno mai sentito nominare... quindi perché, mi chiedo io, vi atteggiate a femministe
se non conoscete neanche una
delle bandiere del movimento
Toro
Riot Grrrl? Documentatevi, giovinastre!
Una serata tra amiche...
Perché
non passarla recitando il
a
rosario tutte assieme dopo cena?
b Ehi, ma per che razza di aliene
ci avete preso? La passerei come
tutte le ragazze normali, che sia
in casa con loro o in discoteca...
o perché no, nel locale coi tipi
muscolosi di cui si parlava prima!
c Se non sono nel locale con gli
ormai famosi tipi muscolosi, mi
trovate sul cubo in discoteca! O
a scelta, se più vi aggrada la situazione, in un palloso centro
sociale a lamentarci dei maschi!
Un proposito o un augurio per il
tuo futuro.
Cucinare manicaretti per la mia
a
famiglia, rendere la casa linda e
splendente, nascondere sempre
e a tutti la mia depressione e alcolismo segreti!
b Non prendere quattro alla prossima verifica di latino che... è
ora?
A parte gli ovvi soldi e successo
c
a palate, mi auguro che in futuro
la Redazione di Zai.net decida di
trovare un nuovo autore (un po’
più decente) per i test!
21/4 - 21/5
Si avvicinano i vostri mesi preferiti e affrontare gli strascichi dell’inverno
non fa decisamente per voi. Le stelle dicono
di lottare: c’è qualcosa all’orizzonte!
Feeling con: Gemelli e Capricorno
Stai lontano da: Leone e Bilancia
Giorno fortunato: il 18 marzo
A cura di Cassandra
Bilancia
23/9 - 22/10
Sembrate sempre più convinti che
il mondo si stia coalizzando contro di voi,
ma dovete solo mettervi un paio di occhiali
puliti... e ci vedrete molto più chiaro.
Feeling con: Pesci e Gemelli
Stai lontano da: Scorpione e Cancro
Giorno fortunato: il 9 marzo
Scorpione 23/10 - 22/11
Questo mese si prospetta assolutamente fantastico per i nati sotto il vostro segno e dovete approfittare del momento per brillare come sapete fare!
Feeling con: Toro e Acquario
Stai lontano da: Leone e Capricorno
Giorno fortunato: il 22 marzo
Gemelli
23/11 - 21/12
Marzo non è solo il mese della primavera: si parla di rinascita e di serenità
dalle vostre parti. Le prime gemme sapranno commuovervi: continuate così!
Feeling con: Leone e Gemelli
Stai lontano da: Bilancia e Vergine
Giorno fortunato: il 25 marzo
Cancro
22/6 - 22/7
Finalmente tornate a vedere il vostro sole interiore che si era un po’ oscurato... qualcuno vi attende: prendete
una decisione!
Feeling con: Leone e Toro
Stai lontano da: Pesci e Ariete
Giorno fortunato: il 27 marzo
Capricorno 22/12 - 20/1
Quest’atmosfera non vi piace proprio e probabilmente se ne stanno accorgendo tutti dal muso che avete messo su...
sorridete ogni tanto! Ricordate come si fa?
Feeling con: Gemelli e Acquario
Stai lontano da: Cancro e Vergine
Giorno fortunato: il 15 marzo
Leone
23/7 - 22/8
Non sarà un mese propriamente
facile, lo sapevate da ancor prima che iniziasse, ma ricordatevi che siete i re della savana. Pettinate bene la criniera, su!
Feeling con: Cancro e Vergine
Stai lontano da: Toro e Gemelli
Giorno fortunato: il 29 marzo
Acquario 21/1 - 18/2
Sono passati i vostri mesi preferiti
e non vedete l’ora che arrivi l’estate. Non
siate troppo impazienti e date tempo al
tempo: vi tornerà utile saper aspettare!
Feeling con: Leone e Ariete
Stai lontano da: Cancro e Toro
Giorno fortunato: il 31 marzo
22/5 - 21/6
Siete sempre più delusi dal mondo e non avete la forza di reagire, ma dovreste solo tirarvi su le maniche. Fate un
po’ pace con voi stessi, poi ne riparliamo.
Feeling con: Toro e Ariete
Stai lontano da: Leone e Capricorno
Gorno fortunato: il 24 marzo
Vergine
23/8 - 22/9
Questi primi mesi del 2012 stanno andando un po’ al rallentatore, ma secondo le stelle è solo una vostra impressione. Preparatevi a un grande evento!
Feeling con: Leone e Sagittario
Stai lontano da: Cancro e Acquario
Giorno fortunato: il 16 marzo
Sagittario
Pesci
19/2 - 20/3
Questo è decisamente il vostro periodo d’oro... auguri a tutti i pesciolini! Datevi alla pazza gioia guizzando di qua e
di là: mettete da parte energia positiva.
Feeling con: Ariete e Gemelli
Stai lontano da: Sagittario e Bilancia
Giorno fortunato: il 4 marzo
Scopri il tuo profilo
La foto del mese
Da 7 a 12 punti
Umana Il profilo mediano, quello che ogni mese ci si arrampica
sugli specchi per trovare qualcosa di spiritoso da dire al riguardo! Vi ho
definite “Umane” proprio per la “normalità” del vostro approccio, cosa
che denota un certo equilibrio. Possiamo quindi sostenere che siete a metà
tra la donna che non rinuncia alla famiglia - se la vuole - e quella che
punta alla carriera - quando glielo consentono. Uhm, tutte ‘ste persone
equilibrate però puzzano: non è che avete barato?
Da 1 a 6 punti
Marge Simpson Per i maschietti: probabilmente l’unica
femmina che avete conosciuto è la mammina; per le ragazze, due possibilità: o veramente vi riconoscete nel ruolo di angelo del focolare dedito ai
piccoli e ai fornelli (che poi, che c’è di male?) oppure siete arrivate ai giorni
nostri con una macchina del tempo direttamente dagli anni ‘50! Buona
festa della donna, e ragazzi... mi raccomando le mimose per la mamma!
Punteggio
per ogni risposta A: 1 punto
per ogni risposta B: 2 punti
per ogni risposta C: 3 punti
Foto di Melusina
Da 13 a 18 punti
Rampante In redazione mi hanno suggerito di non farvi sembrare troppo delle panterone arriviste, perciò questo lo lasceremo pensare
ai mammoni del primo profilo. A parte ciò, vi facciamo i complimenti
per la vostra intraprendenza e spregiudicatezza, doti che sicuramente vi
aiuteranno a farvi strada. Solo poi non lamentatevi se anche il prossimo
San Valentino lo passerete da sole a ingurgitare gelato davanti alla TV!
Ps: chissà se in redazione me la faranno passare... ma io ci metto una
bella pezza augurando a tutte (e tutti) buona festa della donna!
Praga, piazza della Città vecchia: in che direzione dovremmo andare?
BE
Zai.net in pillole
Donne e lavoro:
diritti sfilati
Alla ribalta delle cronache
per una discussa vicenda di
delocalizzazione che mina i
loro posti di lavoro, le donne
impiegate allo stabilimento
Omsa di Faenza non si arrendono e fanno sentire la loro
voce. Le abbiamo incontrate
all’uscita della fabbrica per
raccoglierne le testimonianze.
(Alle pagg. 4 e 5)
YOURSELF
AND
La “vecchia”
scuola
Siamo il Paese europeo con
il maggior numero di docenti
ultracinquantenni e la più
bassa percentuale di professori under 30. Un primato che,
oltre a danneggiare gli aspiranti giovani insegnanti, non è
un bene neanche per gli studenti, che chiedono una didattica più “vicina” al loro
mondo.
(A pag. 3)
Lidia Ravera:
da donna a donne
Nel numero di marzo, dedicato alle donne, non potevamo non coinvolgere Lidia
Ravera, scrittrice simbolo del
femminismo. Ai ragazzi di
Zai.net spiega cosa manca alla
nostra cultura e alla nostra
politica per superare, una
volta per tutte, la disparità tra
i generi.
(A pag. 6)
Una marcia
in “+”
Un titolo positivo – il
“più”- per un album che ha
tutte le carte in regola per restare un bel po’ ai vertici delle
classifiche. Una scelta fatta
per invocare la buona sorte?
Lo abbiamo chiesto direttamente al giovane interprete,
Ed Sheeran, reduce dal doppio successo ai Brit Awards.
(A pag. 24)
La Inaudi tra
Marilyn e Audrey
A Colazione da Tiffany sarebbe dovuta andarci Marilyn
Monroe, secondo Truman Capote, autore del testo da cui fu
tratto il celebre film. E proprio alla Monroe si è ispirata
Francesca Inaudi per interpretare il ruolo che fu della
Hepbrun in una rappresentazione teatrale molto più fedele
al libro.
(A pag. 22)
Cose turche
a Istanbul
Questo mese Zai.net vi
porta nell’affascinante Istanbul, l’unica capitale al mondo
che si estende tra due continenti. E le particolarità della
metropoli turca non finiscono
qui. Gustate e odorate il nostro reportage, tra antiche moschee e caratteristici bistrot!
(A pag. 8)
LookSmart
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