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L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 17-18 ottobre 2016 Con le lamiere di una baraccopoli L’ostensorio dei poveri di PIERANGELO SEQUERI Q uesto pastorale della misericordia di Dio, alla sommità visibile della sua impugnatura, porta il pane venuto dal cielo che nutre e sostiene il nostro cammino. Lo spazio e il tempo del regno di Dio saranno segnati dal passag- In dono a Francesco Un ostensorio realizzato con le lamiere della baraccopoli di Kibera, a Nairobi, la più grande dell’Africa sub-sahariana, sarà presentato al Papa mercoledì 19 ottobre durante l’udienza generale. Con la benedizione di Francesco l’ostensorio, montato su un pastorale, viaggerà, in una sorta di staffetta spirituale, nelle diocesi dell’Italia e del mondo per manifestare la presenza viva e autentica di Cristo che diventa “leggibile” proprio attraverso il materiale con cui è costruito: ferraglia povera, di scarto, che simboleggia l’amore di Gesù per i poveri e gli emarginati. A dare vita all’iniziativa è la fondazione della Casa dello spirito e delle arti. «Mercoledì al Pontefice sarà donato il primo di una serie di tabernacoli, realizzati sempre con le stesse lamiere della baraccopoli, che saranno offerti alle parrocchie che accoglieranno il pastorale» anticipa il presidente Arnoldo Mosca Mondadori. «Questo progetto — spiega — completa le iniziative già presentate al Papa dalla fondazione: anzitutto la grande croce costruita con i pezzi dei barconi dei migranti sbarcati a Lampedusa e poi le cosiddette “ostie della misericordia”, fatte a mano dai detenuti del carcere di Opera nell’ambito dell’iniziativa “il senso del pane”». Pubblichiamo una riflessione del preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, scritta per la fondazione, che spiega la simbologia dell’ostensorio e del tabernacolo. gio di questo pane: dove esso arriva, si allestisce il banchetto al quale sono invitati i senza-pane della terra. Il seme evangelico è gettato su ogni terreno, non aspetta che diventi buono. È lui stesso che lo rende buono, impiantandosi nella terra della nostra indigenza e della nostra indifferenza. Quando il seme dell’Eucaristia del Signore è piantato nel terreno, il terreno diventa buono per cominciare a vivere. Il segno della croce, qui, è scivolato discretamente sotto il pane, come un sigillo. E la lancia che ha trafitto il costato del Signore, in cui sono fusi i chiodi che ne hanno straziato la carne, ora serve per impiantare più fermamente il suo perdono nella terra. Il seme porta vita morendo. Impugnato per aprire le acque e indicare la via, questo pastorale scintillerà come la colonna di fuoco dell’Esodo, impiantato nella terra, sarà come lo stelo di un fiore bellissimo, che emoziona il deserto. Il suo passaggio, e la sua sosta, diventano parabola della visitazione di Dio per tutti coloro che sono avvolti dalle ombre della rassegnazione e dell’abbandono. È umile, questo pastorale del Cristo povero, nomade e migrante fin dalla sua tenera infanzia. In effetti, fu ricavato dalle modeste lamiere dei luoghi dell’accoglienza e dell’abbandono che infinitamente si ripetono, anche ora. Poiché porta il pane del cielo, però, è diventato puro e splendente come neppure l’argento migliore potrebbe esserlo. Bisogna arrivare con umiltà a impugnare questo pastorale, che porta la vita del Figlio, arrampicata fin sulla croce per svuotare della sua disperazione la nostra stessa morte. Quando impugneremo questo pastorale, dovremo ricordarcelo: non saremo mai all’altezza di questa purezza e di questa bellezza. Questo pastorale è per chi è capace di commuoversi per il popolo che deve esserne guidato e consolato, spronato e guarito. Questo pastorale della misericordia, che porta il segno della mutazione della croce in pane, è fatto per essere portato insieme con l’arca della generazione e della rigenerazione della presenza: il tabernacolo dell’alleanza. Esso pure è segno di una metamorfosi: scavato come una grotta sepolcrale, accogliente come un grembo materno. Betlemme e il Golgota. La nascita e la morte, abitate da un’identica passione in cui fiorisce la vita. Stessa povertà materiale dell’ospitalità improvvisata e imprevista, stessa tenerezza regale dell’inabitazione terrena di Dio, l’inatteso. Bisogna che gli umani ritrovino il coraggio di esporsi a questa regale povertà della signoria dell’amore di Dio per la vita del mondo. Bisogna che si lascino commuovere dalla tenacia con la quale essa impianta la sua dimora nella nostra carne, per farne germogliare un’anima amante, contro la quale l’odio non può nulla. Bisogna che gli umani aprano la loro mente all’adorazione, e chiudano il loro cuore al disprezzo per il grembo divino nel quale siamo nati, nutriti, custoditi, e iniziati alla vita. D ell’incarnazione del Figlio, che fa fiorire l’aridità della terra e fa risplendere la dimora degli uomini, i segni sono questi. La ferita di fuoco nella carne — quella decisiva, quella dell’amore — che riapre la vita dello Spirito, è già inchiodata al Figlio, nella sua croce la sua ospitalità e la sua offerta, per tutti i figli dell’uomo, le ha già portate la madre, nel suo grembo. La manna del deserto era miracolo e profezia per un giorno. Il pane disceso dal cielo è cammino e casa per ogni giorno. Fino all’ultimo. Il pastorale e il tabernacolo, che ci liberano dal peso insopportabile della nostra indifferenza per i passaggi della misericordia di Dio e della compassione fra gli uomini, sono affidati a noi, ora. Riflessioni sull’evoluzione delle parole Per una lingua viva come modello assoluto, come cano- in Francia dopo la promulgazione ne immutabile nel tempo. della riforma ortografica attuata dal Richiamando l’esaltazione leopar- ministero dell’Educazione nazionale: diana dell’italiano come lingua «li- essa prevede, tra l’altro, la semplifibera e ardita», l’autore oppone alla cazione grafica di circa 2400 parole tentazione rigorista la peculiarità e la scomparsa parziale dell’accento storica italiana, mosaico di registri e circonflesso. dialetti diversi, rispetto ad altre linCome era prevedibile, la società gue europee — tra cui il francese, ci- civile, gelosa custode della lingua di tato come archetipo dell’accademismo, dal Grand siècle in poi — ritenute più rigide. Pur constatando l’innegabile diffusione di una certa ignoranza letteraria che non risparmia gli ambiti colti, il linguista prende tuttavia le distanze con gli «alti Le considerazioni sull’italiano lai» delle Cassandre del filologo Beccaria che condannano l’italiano a un impoveririmandano alla recente mento e a un inquipolemica scoppiata in Francia namento definiti esidopo la riforma ortografica ziali. Beccaria appare infatti decisamente voluta dal ministero più ottimista confidando pienamente nell’istinto autoregolatore di chi usa la italiana — anche a causa del fre- lingua, nella capacità quente impiego e conseguente assi- naturale di porre limilazione di termini stranieri — l’au- miti agli eccessi protore pone al centro della propria ri- pri delle diverse epoflessione la problematica della liber- che. L’uso è il tà in ambito linguistico, mettendo a legislatore più legitticonfronto due orientamenti: puri- mo di una lingua sosmo accademico e sovranità di una vrana, e la letteratura lingua viva. il suo custode più auLa prima prende le mosse dal torevole. classicismo rinascimentale, contesto Di fronte alla decaVictor Hugo in una foto di Edmond Bacot (1862) nel quale nacque il primo vocabola- denza del sapere, la rio europeo della Crusca, nel 1612, lettura assidua e con l’obiettivo di fissare norme che l’istruzione rimangoarginassero il disordinato flusso de- no gli unici baluardi validi, asserisce Molière, ha poco gradito l’idea di gli stilemi derivanti dai dialetti re- il filologo: dall’amore per la lettera- vedere le sue parole spogliate dei fagionali. Questa concezione, precisa tura scaturiscono naturalmente mosi “cappelli” e delle sue leggenBeccaria, scaturisce dalla convinzio- un’attenzione e una cura maggiori darie irregolarità. Tanto che davanti ne che i grandi scrittori del Trecen- nei confronti delle regole grammati- alla levata di scudi nazionale, l’Acto, primi fra tutti Dante e Petrarca, cali e ortografiche. cademia francese si è pubblicamente avevano raggiunto un livello di perAl riguardo è di particolare inte- schierata dalle parti dell’uso, contro fezione linguistica tale da assumerlo resse la recente polemica scoppiata la riforma, o piuttosto contro ogni forma di regolamentazione imposta dall’alto. C’è da scommettere che la riforma verrà abbandonata, come del resto è già avvenuto in passato. L’evoluzione naturale compirà la propria opera, come sempre ha fatto. In ogni modo, l’ode alla libertà della lingua cantata da Beccaria nelIl portale della lingua italiana nel mondo è uno la sua opera trova un’eco clamorosa dei progetti presentati in occasione del convegno nella vicenda transalpina. La logica che si tiene lunedì 17 e martedì 18 a Firenze sul dell’istinto si è naturalmente impotema «La Farnesina e gli Stati generali della sta di fronte alle proposte unilaterali lingua italiana nel mondo 2016. Italiano lingua — e, anche un po’ barocche — del viva». Illustrato da Vincenzo De Luca, legislatore. della Farnesina, direttore generale «Le parole vengono e vanno senper la promozione del sistema Paese, il sito Due particolari za chiedere il permesso», avverte www.linguaitaliana.esteri.it nasce dall’esigenza di del dono al Papa ancora il filologo. Monito che rirendere accessibile al pubblico tutte le chiama quello di Victor Hugo nella informazioni sullo studio della lingua italiana nei prefazione dell’opera teatrale Cromcinque continenti. Tale strumento è composto da well (1827): avvalendosi del racconto una parte statica ad aggiornamento periodico, biblico di Giosuè, che per proteggecontenente i dati relativi all’insegnamento re il popolo d’Israele intimò al sole dell’italiano all’estero nei diversi contesti di di fermarsi, Hugo giudica vano ogni apprendimento, e da una parte dinamica ad sforzo volto a mantenere ferma la aggiornamento continuo, che offre informazioni lingua: Les langues ni le soleil — scrisui principali eventi e notizie attinenti al mondo ve il poeta — ne s’arrêtent plus. Le della promozione culturale e linguistica. Nella jour où elles se fixent, c’est qu’elles sezione multimediale, video interviste a meurent! («Né le lingue né il sole si personalità illustri che parlano italiano e che fermeranno più. Il giorno in cui si promuovono in questo modo lo studio della lingua di Dante. fissano, muoiono!»). di SOLÈNE TADIÉ E siste un apice di purezza che segna la soglia insuperabile della perfezione linguistica? E se così fosse, a chi spetterebbe il compito di sancirne i principi inderogabili? Sono le domande che solleva il filologo e critico letterario Gian Luigi Beccaria nel libro L’italiano che resta. Le parole e le storie (Torino, Einaudi, 2016, pagine 224, euro 17,50). Di fronte all’ineluttabile e sempre più rapida evoluzione della lingua Nuovo portale dell’italiano