L`incidente di Linate è stato anche una questione di
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L`incidente di Linate è stato anche una questione di
Commenti su «L'incidente di Linate è stato anche una questione di “manette”?» L’articolo di Giovanni Riparbelli, online su questo sito nell’edizione di luglio 2004, nel quale vengono proposti alcuni aspetti dell’incidente di Linate che non erano stati oggetto dell’analisi della Commissione di inchiesta tecnica, ha provocato reazioni diverse. È opportuno far di nuovo presente che l’articolo era stato pubblicato inizialmente sulla rivista dell’agenzia di stampa aeronautica Air Press - Fascicolo 21 - del 31 maggio 2004 e che il titolo era stato dato dalla redazione della rivista, provocando, tra l’altro, confusione in alcuni lettori non aventi familiarità con il gergo aeronautico riguardo al termine “manette”, che da molti venivano intese come i dispositivi di contenimento usate dalle forze dell’ordine, invece delle leve per la variazione di spinta dei motori. A parte questo equivoco, peraltro favorito da atteggiamenti e dichiarazioni opinabili in relazione al procedimento giudiziario, i pareri dei tecnici erano a favore dell’analisi di Riparbelli, in particolare se si tiene conto che nella compagnia Alitalia la norma a riguardo era ed è molto precisa: Decollo con basse visibilità (LVTO): per low visibility take-off (LVTO) si intende ogni decollo eseguito in condizioni di RVR/VIS inferiori a 400 m. Da cui una serie di prescrizioni e di comportamenti pratici tra i quali: - non sia utilizzata la spinta ridotta; - sia effettuato uno static take-off; - la velocità di rotazione sia la più bassa per l’actual take-off weight che sono fattori atti a rendere minima la permanenza al suolo, un principio unanimemente accettato in aviazione. In seguito alla pubblicazione su questo sito si è levata qualche voce di dissenso che è sempre bene ascoltare e che, in ogni caso, è opportuno considerare per capire se il messaggio sia stato travisato o se, tra coloro che operano in front line, vi siano diverse vedute su argomenti professionali. Una di queste voci è quella del com.te Angelo Pracchi che si manifesta sul Forum di Unione Piloti rivolta al Responsabile Tecnico dell’Associazione, com.te Pierluigi Rossi. Caro Pierluigi, Scrivo in merito all'articolo “quotato” nel mio messaggio. Non mi è piaciuto! Avrei compreso se l'autore si fosse domandato se tale incidente (per pura fortuna!) sarebbe stato evitato applicando delle procedure diverse, quali quelle attualmente in vigore presso altre compagnie, viceversa ho avuto la sensazione che l'articolo trasudasse una certa dose di presunzione. Con un semplice “numero da circo” e con l'assistenza di Mandrake tutto ciò non sarebbe successo! Non so se era questo il “messaggio”: purtroppo è quanto io ho colto. Non ho apprezzato il tono da “Bar dello Sport”, con cui si disserta sull'incidente. E se l'aereo fosse stato più carico? E se ci fosse stato un po' di vento in coda? Quanti “SE”..! Ed anche alcune imprecisioni, a mio avviso. Da quanto mi è dato di sapere la configurazione di Flap 11° è considerata preferenziale dal costruttore dell'aereo coinvolto. Nell'articolo si sostiene che l'uso dell'HUD permette di andare in volo controllando l'assetto continuando a guardare fuori: se è vero per l'MD80 per quanto possa io avere compreso non è altrettanto valido sulla serie Airbus. Spinta ridotta: il più delle volte la limitazione è data sul secondo segmento, non dalla lunghezza di pista come sostenuto. 1 E comunque se pensi a Malpensa ed alla necessità di andare in volo con il peso massimo al decollo dovrai usare flap 3, avrai una V2 di circa 165 kts e nessuno te lo vieta in condizioni di scarsa visibilità! Inoltre, in contraddizione di quanto sostenuto dal Sig. Riparbelli una configurazione ridotta migliora i gradienti di salita, e nel caso appena illustrato la limitazione è proprio data dall'ostacolo. Circa la grande premura di andare in volo rinunciando alla spinta ridotta, beh, lì entriamo nel fattore umano: tanto vale sostenere che è opportuno partire sgommando ai semafori per diminuire la possibilità che qualcuno ci attraversi la strada! Non dimentichiamo inoltre che per gli equipaggi del Nord Europa le operazioni con visibilità scarsa sono sicuramente un fatto più che normale. E restando nel caso umano come si può pensare ad una reazione diversa da quella avuta da quei poveri sfortunati: siamo addestrati ad affrontare una piantata di motore al decollo, non una collisione! Ritengo già una gran prova quella data dal povero collega scandinavo. Ha dato motore... si è accorto che non serviva a niente, ed in condizioni di pressoché totale assenza di visibilità ha comunque tentato riportare in pista e di fermare l'aeroplano! Ha presente il nostro dotto relatore qual è il coefficiente d'attrito sviluppato nel contatto fra metallo e cemento?! Insomma, forse il troppo tempo trascorso in ufficio ha trasformato il Nostro in un eroe da salotto. Toppo facile indicare gli errori degli altri quando si hanno settimane per pensare invece che pochi istanti per agire! Sono veramente seccato! amerei pertanto che Tu valutassi l'ipotesi di “girare” questa mia in lista ed ai diretti interessati. Io non l'ho fatto (sebbene a malincuore!) perché sull'onda dell'emozione potrei essere più dannoso che utile. Un caro saluto. Angelo E. Pracchi Questa la risposta di Giovanni Riparbelli che dovrebbe contribuire a chiarire il suo pensiero. Trovo opportuno rispondere al commento del com.te Pracchi, anche se con qualche imbarazzo, dato il tono non propriamente corretto per un dibattito tecnicoprofessionale. Ciò non tanto per confutare i singoli aspetti tecnici (“imprecisioni”, come vengono chiamate) sollevati, a mio giudizio tecnicamente non validi, la cui trattazione peraltro richiederebbe parecchio spazio e assomiglierebbe molto ad una lezione, ma per chiarire lo scopo di fondo del mio articolo. Innanzi tutto tengo a chiarire che il titolo «L'incidente di Linate è stato anche una questione di manette?» non è mio, ma è stato aggiunto dalla redazione di Air Press; forse questo ha sviato qualche lettore e può averlo invitato ad una lettura in una ottica che non era da me voluta. L'intento del mio intervento era esattamente quello indicato come accettabile dal com.te Pracchi stesso, e cioè di domandarsi “se tale incidente sarebbe stato evitato applicando delle procedure diverse, quali quelle attualmente in vigore presso altre compagnie”. Altro obbiettivo dichiarato era quello di invitare le commissioni di inchiesta ad essere più complete nelle loro indagini. 2 Ciò mi pareva ben chiarito nel capoverso finale dell'introduzione, ove raccomando di “estendere l'analisi alle tecniche di impiego ed alle procedure operative...nonché alle tecnologie del cockpit che avrebbero potuto evitare l'incidente o attenuarne le conseguenze”. Quanto alla affermazione che “è troppo facile indicare gli errori degli altri quando si hanno settimane per pensare invece che pochi istanti per agire”, debbo invitare ad una rilettura più attenta di quello che ho scritto. Il testo recita : «La decisione iniziale di proseguire il volo era quella migliore? (non ho usato volutamente il termine “giusta” in contrapposizione a “sbagliata”, vocaboli che in questo contesto non hanno senso).» Non mi pare di aver accennato ad errori, e di aver anzi chiarito bene che non si può parlare di errori in quel contesto operativo. Il mio intento era quello di richiamare le commissioni di inchiesta a porsi tutti i quesiti rilevanti ad un incidente: le risposte possono essere diverse, ma i quesiti devono essere posti, e tra questi non possono non essere compresi quelli operativi. Compito delle indagini non è certo quello di individuare colpe e colpevoli (apportion blame), ma è quello di analizzare nella maniera più completa possibile tutti i fatti relativi all'incidente stesso, per individuare eventuali correzioni a procedure, norme operative, addestramento, impianti e quanto altro possa essere rilevante. E per far ciò è necessario essere sgombri da qualsiasi pregiudizio, compreso quello di temere di offendere la memoria di coloro che comunque hanno cercato di fare del loro meglio. Mi auguro di aver sgombrato il campo da questo tipo di polemica che è assolutamente estranea al mio pensiero. Saluti Com.te Giovanni Riparbelli Un commento finale mi pare opportuno ed è la considerazione su come l’uso dei forum, e un uso improprio di Internet, abbia alterato i criteri per comunicare. Ricordo che oltre un quarto di secolo fa, quando il Notiziario dell’ANPAC era un riferimento di elevato livello professionale e l’ANPAC era la «sola associazione professionale di riferimento» per i piloti dell’aviazione commerciale, Giovanni Riparbelli ed io dissentivamo spesso, a colpi di articoli, sul modo di considerare certe condizioni operative o sul come accostarsi a norme e modalità di impiego. L’incontro di windshear, i decolli e gli atterraggi su piste contaminate, la terrain awareness e il GPWS, l’imbarco di carburante, le tecniche di decollo in bassa visibilità, furono argomenti di dibattito ed anche di aspre discussioni. Però, ben sapendo che i destinatari dei messaggi erano i colleghi e che una grande attenzione a quanto pubblicato veniva dedicata anche dalla compagnia e da enti istituzionali, abbiamo sempre cercato di attenerci ad una sequenza logica di presentazione mettendo in risalto nell’ordine i fatti, poi le argomentazioni e in ultimo, eventualmente, le opinioni. Per far questo ci vuole pazienza nello scrivere ma anche nel leggere perché la comunicazione tecnica non può essere fatta con messaggi “zippati”, anche se la tecnologia della comunicazione li ha resi possibili; la brevità va sempre a scapito della chiarezza. Ed è la ragione che da oltre cinque anni fa vivere airmanshiponline.com acp 3