Sentieri selvaggi

Transcript

Sentieri selvaggi
2015 | 2016
21 settembre - 7 ottobre | sala Shakesperare
sala Fassbinder e sala Bausch
MILANOLTRE 29ª EDIZIONE
13 - 31 ottobre | sala Shakespeare
Elio De Capitani, Cristina Crippa
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller, regia Elio De Capitani
26 dicembre – 17 gennaio | sala Bausch
Cristina Crippa
IL BAMBINO SOTTOVUOTO
di Christine Nostlinger, regia Elio De Capitani
7 - 10 gennaio | sala Shakespeare
Moni Ovadia
IL NOSTRO ENZO... RICORDANDO
JANNACCI
8 - 10 gennaio | sala Fassbinder
THANKS FOR VASELINA
Carrozzeria Orfeo
3 - 22 novembre | sala Fassbinder
Ferdinando Bruni
SALOME'
di Oscar Wilde, regia Bruni/Frongia
11 - 17 gennaio | sala Fassbinder
ANIMALI DA BAR
Carrozzeria Orfeo
3 - 8 novembre | sala Shakespeare
DRAGPENNY OPERA
Nina's drag queens
12 - 17 gennaio | sala Shakespeare
Stefano Accorsi
DECAMERONE
da Giovanni Boccaccio, regia Marco Baliani
3 - 8 novembre | sala Bausch
ZOMBITUDINE
Compagnia Frosini/Timpano
13 - 22 novembre | sala Bausch
Elena Russo Arman
SHAKESPEARE A MERENDA
regia Elena Russo Arman
23 - 29 novembre | sala Fassbinder
Giulia Lazzarini
GORLA FERMATA GORLA
testo e regia Renato Sarti
24 - 29 novembre | sala Bausch
ADULTO
regia Giuseppe Isgrò, Phoebe Zeitgeist!
30 novembre – 31 dicembre | sala Shakespeare
Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli
MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI
di Bertold Brecht, regia Bruni/Frongia
prima nazionale
1 - 6 dicembre | sala Fassbinder
PER UNA STELLA
Artevox Teatro
8 - 13 dicembre | sala Fassbinder
Antonella Questa, Giuliana Musso, Marta Cuscunà
WONDER WOMAN
10 - 20 dicembre | sala Bausch
AMORE E ANARCHIA
Ravenna Teatro
15 - 20 dicembre | sala Fassbinder
Federica Fracassi
MAGDA E LO SPAVENTO
di Massimo Sgorbani, regia Renzo Martinelli
19 - 31 gennaio | sala Shakespeare
Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli
IL VIZIO DELL'ARTE
di Alan Bennett, regia Bruni/Frongia
26 gennaio - 7 febbraio | sala Bausch
Angelo Di Genio
ROAD MOVIE
di Godfrey Hamilton, regia Sandro Marbellini
2 - 7 febbraio | sala Shakespeare
Alessandro Haber
HABEROWSKI
8 - 14 febbraio | sala Shakespeare
Eros Pagni
IL SINDACO DEL RIONE SANITA'
di Eduardo De Filippo, regia Marco Sciaccaluga
9 febbraio - 6 marzo | sala Fassbinder
Elena Russo Arman, Cristina Crippa
HARPER REGAN
di Simon Stephens, regia Elio De Capitani
prima nazionale
16 - 28 febbraio | sala Shakespeare
Antonio Rezza, Flavia Mastrella
NUOVO SPETTACOLO
18 - 28 febbraio | sala Bausch
IL VICARIO
di Rolf Hochhuth, regia Rosario Tedesco
1 - 13 marzo | sala Shakespeare
Maurizio Lastrico
IL BUGIARDO
di Carlo Goldoni, regia Valerio Binasco
8 - 20 marzo | sala Fassbinder
GYULA
testo e regia Fulvio Pepe, Teatro Due
15 - 23 marzo | sala Shakespeare
TI REGALO LA MIA MORTE, VERONIKA
di Federico Bellini e Antonio Latella, regia Antonio Latella
4 - 17 aprile | sala Fassbinder
Ferdinando Bruni
ROSSO
di John Logan, regia Bruni/Frongia
5 - 10 aprile | sala Shakespeare
Stefano Bollani, Valentina Cenni
LA REGINA DADA
18 - 22 aprile | sala Fassbinder
Ugo Dighero
APOCALISSE
dai racconti di Niccolò Ammaniti, regia Giorgio Gallione
2 - 8 maggio | sala Fassbinder
AMORE
Compagnia Scimone Sframeli
NUOVE STORIE
27 - 31 ottobre | sala Bausch
Animanera
LA MODA E LA MORTE
di Magdalena Barile, regia Aldo Cassano
1 - 6 dicembre | sala Bausch
I CONIGLI NON HANNO LE ALI
testo e regia da Paolo Civati
9 - 14 febbraio | sala Bausch
ORE D'AMORE
di Rosario Lisma
8 - 13 marzo | sala Bausch
Teatro Libero Palermo Onlus
SISSY BOY: LA CONFERENZA
DEL SIG. S.B.
di Franca De Angelis, regia Anna Cianca
2 - 8 maggio | sala Bausch
Giovanni Franzoni
CARO GEORGE
di Federico Bellini, regia Antonio Latella
16 - 23 marzo | sala Bausch
Compagnia Intus
TI AUGURO UN FIDANZATO COME
NANNI MORETTI
scritto e diretto da Livia Ferracchiati
3 - 29 maggio | sala Shakespeare
Ida Marinelli, Elio De Capitani, Federico Vanni
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cecov, regia Ferdinando Bruni
12 - 17 aprile | sala Bausch
Biancofango
PORCO MONDO
di Francesca Macrì e Andrea Trapani, regia Francesca Macrì
9 - 16 maggio | sala Fassbinder, Casa Boschi Di Stefano
IL TEATRO DI DEFLORIAN/TAGLIARINI
Cinque modi per sopravvivere continuando a parlare
9 - 10 maggio REWIND
11 - 12 maggio REALITY
11- 12 maggio CE NE ANDIAMO
13 - 14 maggio COSE
15 - 16 maggio IL POSTO (Casa Boschi di Stefano)
18 - 22 aprile | sala Bausch
Teatro Ma
HARVEST, QUANTO COSTA UN UOMO
AL CHILO?
di Manjula Padmanabhan, adattamento di Matteo Salimbeni
17 - 22 maggio | sala Fassbinder
Corrado Accordino
LA DANZA IMMOBILE
La Danza Immobile/Teatro Binario 7
6 - 10 giugno | sala Shakespeare
Paolo Sasselli, Luciano Scarpa
LA LEGGENDA DEL FAVOLOSO
DJANGO REINHARDT
Gli ipocriti
6 - 10 giugno | sala Bausch
Saverio Marconi
BIANCO O NERO - SUNSET LIMITED
di Cornach MacCarthy, Compagnia della Rancia
PREZZI
intero ! 30,50
convenzioni ! 27,00
coop ! 25,50
ikea ! 25,50
giovani < 25 / anziani > 65 ! 16
martedi' posto unico ! 20
nuove storie posto unico ! 15
ABBONAMENTI
COPPIA 7 spettacoli a scelta per due persone (l'intestatario più un accompagnatore)
• intero ! 196 (! 14 a tagliando)
• ridotto (giovani < 25 e anziani > 65) ! 168 (! 12 a tagliando)
PROMOZIONE COPPIA PIÙ
due omaggi per lo spettacolo Mr Puntila e il suo servo matti per chi acquista l'abbonamento coppia
entro il 1 ottobre 2015
PRIMA SETTIMANA
• ! 70 (! 10 a tagliando)
abbonamento personale per 7 spettacoli a scelta,
valido esclusivamente per le prime 6 repliche, debutto incluso
PRIMA SETTIMANA IN DUE
• ! 140 (! 10 a tagliando)
7 spettacoli a scelta per due persone (l'intestatario più un accompagnatore),
valido esclusivamente per le prime 6 repliche, debutto incluso
PIÙ TRE
• ! 45 (! 15 a tagliando)
abbonamento personale per tre spettacoli nel periodo scelto: ottobre-dicembre, gennaio-marzo, marzo-giugno
CARNET
• ! 171 (! 19 a tagliando)
carnet non nominale da 9 ingressi da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione
CARTA REGALO
• ! 61 (! 30,50 a tagliando)
2 ingressi da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione
UNIVERSITA'
• ! 36 abbonamento personale per 4 ingressi
da utilizzare senza vincoli per tutti gli spettacoli della stagione
Gli abbonamenti sono validi per la stagione 2015/2016 dell'Elfo Puccini e per la rassegna Nuove Storie.
Non sono validi per il 31 dicembre e per repliche speciali.
Per i primi abbonati:
- 80 biglietti a ! 6,50 cad. per la prima del Festival MilanOltre del 21 settembre
- 50 inviti per la proiezione de Il Dolore, ultima interpretazione di Mariangela Melato, organizzata da Agis
Lombardia, nell'ambito della rassegna Cannes e dintorni (Sala Shakespeare, 18 giugno 2015, ore 20.45)
TEATRO ELFO PUCCINI
c.so Buenos Aires 33
www.elfo.org
tel. 02.00.66.06.06
[email protected]
lunedì - sabato 10.30 - 19.00
ORARI ESTIVI
dal 15 giugno al 30 luglio e dal 1 settembre al 6 settembre:
lunedì - venerdì 14.30 /17.30
ACQUISTI TELEFONICI
tel. 02.00.66.06.06
(con carta di credito, senza costi aggiuntivi)
ACQUISTI ONLINE
www.elfo.org
www.vivaticket.it
Per gli acquisti online e telefonici è attivo il servizio print@home: stampati il biglietto a casa ed evita la coda in cassa.
FUORI PROGRAMMA
21 settembre - 7 ottobre, sale Shakespeare, Fassbinder
Festival MilanOltre
29 ªedizione ...La danza continua
www.milanoltre.org
16 ottobre, ore 21, sala Fassbinder
Albanaia
da un romanzo di Augusto Bianchi Rizzi
drammaturgia Tommaso Amadio e Bruno Fornasari, regia Bruno Fornasari
Ricordando Augusto
serata in collaborazione con Teatro Filodrammatici
Sentieri selvaggi in residenza all'Elfo Puccini
Primi Piani stagione 2016
Concerti di musica contemporanea
www.sentieriselvaggi.org
Dopo la fortunatissima stagione 2015 Tempi Moderni, Sentieri selvaggi torna alla carica con una nuova serie
di concerti che mettono a fuoco diverse personalità della musica d’oggi.
Primi Piani, questo il titolo della nuova edizione, presenta delle monografie dedicate ad autori di caratura
internazionale come Luca Francesconi, Fabio Vacchi, David Lang, Louis Andriessen, un doveroso omaggio a
Niccolò Castiglioni nel ventennale della sua scomparsa, nonché una panoramica sulle ultime generazioni di
compositori statunitensi.
Musica ricca di energia, di stimoli provenienti da tendenze stilistiche di molteplici identità, profonda e
divertente al tempo stesso, che metterà in luce come sempre il virtuosismo e la musicalità dell’Ensemble
Sentieri selvaggi.
SOSTENITORI, PARTNER E COLLABORATORI
sostengono l’elfo puccini
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali
Comune di Milano - Cultura/Teatro convenzionato
Fondazione Cariplo
Regione Lombardia - Assessorato alla Culture, Identità e
Autonomie
sponsor
Coop Lombardia
collaborazioni
Provincia di Milano
Associazione Amici del Teatro Puccini
Fondazione Cineteca Italiana
La fabbrica di Olinda Società Cooperativa sociale onlus
Doria Grand Hotel
LE PRODUZIONI DEL TEATRO DELL'ELFO
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
Milano, Elfo Puccini 13 - 31 ottobre
Tour: Piacenza, Pisa, Savona, Roma, Modena, Rimini, Ravenna, Bergamo, Ferrara, Parma
e altre piazze in via di definizione
SALOMÉ
Milano, Elfo Puccini 3 - 22 novembre
SHAKESPEARE A MERENDA
Milano, Elfo Puccini 13 - 22 novembre
Tour in via di definizione
MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI
Milano, Elfo Puccini 30 novembre – 31 dicembre
IL BAMBINO SOTTOVUOTO
Milano, Elfo Puccini 26 dicembre – 17 gennaio
IL VIZIO DELL'ARTE
Milano, Elfo Puccini 19 - 31 gennaio
Tour: Bologna, Lugano, Genova, Pergine, Bolzano e altre piazze in via di definizione
ROAD MOVIE
Milano, Elfo Puccini 26 gennaio - 7 febbraio
Tour in via di definizione
HARPER REGAN
Milano, Elfo Puccini 9 febbraio - 6 marzo
ROSSO
Milano, Elfo Puccini 4 - 17 aprile
LA PALESTRA DELLA FELICITÀ'
Tour: Milano/Teatro Filodrammatici e altre date in via di definizione
IL GIARDINO DEI CILIEGI
Milano, Elfo Puccini 3 - 29 maggio
13 - 31 ottobre, sala Shakespeare
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller traduzione di Masolino d'Amico
regia Elio De Capitani
con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Federico Vanni, Gabriele Calindri,
Alice Redini, Vincenzo Zampa, Marta Pizzigallo/Vanessa Korn
scene e costumi Carlo Sala
luci Michele Ceglia, suono Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell'Elfo
Torna a Milano l’intensa e personale versione del capolavoro di Arthur Miller creata da Elio De Capitani, con il
suo applauditissimo cast e la scenografia mutante di Carlo Sala. Andato in scena nel gennaio 2014 (e in tour
fino al 2017), lo spettacolo ha ricevuto un’accoglienza critica unanimemente favorevole e ha emozionato
migliaia di spettatori, che hanno riconosciuto nel racconto dell’ultimo giorno di vita di Willy Loman (commesso
viaggiatore pronto a tutto per vendere e per vendersi) una storia personale che diventa collettiva e risuona
prepotentemente attuale in questi anni.
Un classico del Novecento - andato in scena per la prima volta nel febbraio del 1949 a New York per la regia
di Elia Kazan - che ha offerto a Elio De Capitani, Premio Hystrio all'interpretazione e Premio Flaiano alla regia
per questo spettacolo, l'occasione per proseguire una personale riflessione sul tema dei rapporti tra giovani e
adulti e sulle contraddizioni sociali del mondo contemporaneo.
Stiamo tornando agli anni Cinquanta? Ogni tanto, per capire a che punto siamo arrivati, conviene spegnere le urla dai
talk show e passare una sera a teatro. Mi incuriosiva per esempio capire perché Elio De Capitani, uno dei nostri migliori
attori e registi di teatro, sempre così attento a raccontare il presente attraverso i classici, avesse deciso di riesumare il
Miller di Morte di un commesso viaggiatore. Altra epoca, altra società, altri mestieri. Il commesso viaggiatore è stato il
lavoro che per anni ha identificato l'avventura sociale del ceto medio e il sogno americano, poi divenuto universale. Il
venditore itinerante che girava di città in città, portando il nuovo modello di vita consumista, il conquistatore, il seduttore,
il messaggero «porta a porta» del verbo neocapitalista. Nell'era di Ebay e Amazon tutto questo suona polveroso. Ma
bastano pochi minuti della versione di De Capitani per capire che in realtà oggi siamo tutti diventati commessi
viaggiatori, qualunque mestiere facciamo, qualunque mezzo di trasporto usiamo, l'auto o l'aereo o internet o la
televisione, siamo ruffianeschi e affabulanti venditori porta a porta di merci e in particolare di una: noi stessi. Gli
etichettatoci delle nostre esistenze lo chiamano personal o self branding. (...) Abbiamo perduto certezze. Dignità. Ora
che molti diritti sono messi in dubbio dalla crisi, ci rendiamo conto di quante lotte nel passato non si spieghino con le
rivendicazioni economiche. Erano battaglie di dignità. (...) Willy Loman si fa prestare ogni mese i soldi da un amico non
perché abbia bisogno di un salario, ma per fingere davanti alla propria famiglia di avere ancora una dignità di lavoratore,
socialmente riconosciuta. Di essere ancora in corsa per diventare «il numero uno». Perché soltanto i primi contano.
Morte di un commesso viaggiatore è stato scritto nel `49 e non è mai stato tanto attuale. Lo spettacolo di Elio De
Capitani, che gira l'Italia, non è soltanto uno dei più belli della stagione, ma un'occasione unica per guardare nel cuore di
tenebra della nostra società.
Curzio Maltese, il Venerdì
La regia di Elio De Capitani con passione e intelligenza ha costruito uno spettacolo importante in cui si mescolano
armoniosamente il piano del presente a quello del passato, in un andare e venire fra realtà e sogno, che la scena
espressionista di Carlo Sala divisa in diversi luoghi deputati, a volte compresenti, evidenzia per dare vita allo spazio
della realtà e a quello del ricordo, dove si svolge questa saga di borghesi piccoli piccoli.
Notevole la prova della numerosa compagnia, un atto di coraggio in questi tempi teatrali così difficili, con una recitazione
sul filo di un vissuto tutto interiore. Elio De Capitani è un Willy Loman commovente, bravissimo nel tenere il suo
personaggio su di una corda tesa molto profonda e umanissima, Cristina Crippa trasmette assonanze inaspettate alla
sua Linda e non si lascia sfuggire il suo doloroso finale.
Maria Grazia Gregori, l'Unità
3 - 22 novembre, sala Fassbinder
SALOMÉ
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
di Oscar Wilde
con Ferdinando Bruni, Enzo Curcurù, Mauro Bernardi
luci di Nando Frigerio
produzione Teatro dell'Elfo
Ferdinando Bruni e Francesco Frongia riportano in scena la loro personale versione della Salomé di Oscar
Wilde che intreccia al tessuto di questo atto unico, composto nel 1891 a Parigi, altri brani tratti dalle ultime
opere dello scrittore (in particolare dalla Ballata del carcere di Reading e De Profundis) e tratti da
testimonianze, interviste e dichiarazioni.
Tra gioco e rito questa inquietante Salomé, interpretata unicamente da uomini, va in scena nel baraccone di
un circo o di un luna park di periferia. Mavor Parker (personaggio di fantasia che richiama due amanti di Wilde
che divennero suoi accusatori quando fu processato per sodomia) invita il pubblico a entrare “nel serraglio”
dove potrà ammirare un prodigio: il Poeta, “il Gran Sacerdote della Corrente Estetica Moderna che raccolse
tutti i sistemi in una sola frase, tutta la vita in un epigramma”.
In uno spettacolo in cui le identità dei personaggi sono destinate a moltiplicarsi, Ferdinando Bruni si cala
inizialmente nei panni dello scrittore, incatenato in carcere (dove fu effettivamente recluso dal 1895 al 1897),
poi in quelli del profeta Iokanaan, anch’egli prigioniero, e infine dà corpo e voce a Erode, innamorato della
giovane Salomé (che in questa ripresa viene interpretata da Mauro Bernardi). Enzo Curcurù è Mavor Parker, il
Giovane siriano e Erodiade. Tutti personaggi che, tra gli eccessi di lustrini, paillettes e gioielli, ritrovano la loro
dimensione tragica: uomini dallo sguardo di fanciulla, satrapi decadenti, vecchie vogliose, prigionieri da esibire
senza pudore ma capaci di riaffermare la dignità di “un amore che può finalmente dire il suo nome”. E le
parole di dolore che segnano le ultime opere dello scrittore si intrecciano con le loro battute per ricordarci che
“ognuno uccide ciò che ama”.
Al di là dell'opera di Strauss, è sicuramente Carmelo Bene ad aver fissato, con un film del 1972 che molti
giudicano il migliore dei suoi, l'iconografia della danzatrice che ottiene su un vassoio la testa mozzata di
Giovanni Battista. Non è meno visionario, anche se di tutt'altro genere e linguaggio, lo spettacolo della
compagnia milanese.
Il tutto, senza mai rinunciare alla drammaticità paradossale della situazione, ha un andamento ironico e
divertente, che cita il teatro d'antico stile e le contraddizioni di una morale pubblica che continuamente si
rovescia. La vicenda, e le parole di Wilde, ci sono tutte, insieme però all'amara consapevolezza che quelle
contraddizioni e quelle iperboli allignano ancora volentieri nella nostra morale, doppia e tripla.
Il tono D'Origlia-Palmi risulta comico, ma serve anche a rendere «accettabili» i paradossi di una storia d'amore
letale. Mentre i tentativi da parte del monarca Erode di evitare la propria rovina politica, rifiutando di concedere
alla regale escort ballerina quella testa del Battista, sono degni di un grande illusionista della politica di oggi,
tra iperboli e bugie capaci di sfidare ogni tribunale, giudiziario o morale. Quell'estremismo grottesco ci
consente di ridare dignità a quella famiglia sgangherata e di vedere, sotto i sette veli, il niente.
Gianfranco Capitta, il manifesto
Ferdinando Bruni è Wilde, il profeta Jokanaan e un pavido Erode, tutti e tre prigionieri: di un carcere il primo,
della sua intransigenza il secondo e del desiderio per la figlia della moglie Erodiade il terzo. Il volitivo Enzo
Curcurù è l'imbonitore Mavor, il siriano che sorveglia il prigioniero e una gelosa vacua Erodiade. Le identità si
moltiplicano e si fondono e, tra proiezioni di foto erotiche, irruzioni pulsionali di corpi, intesi nella loro
dimensione di significante fluttuante, Eros e Thanatos sembrano danzare insieme in un tempo senza tempo
per irradiarsi nell'ambivalenza irriducibile di uno spazio metaforico. E si compie, in eterno, tra tragico e
grottesco, il dramma dell'amore come ossessione e come unica grande libertà.
Magda Poli, Corriere della Sera
3 - 8 novembre, sala Shakespeare
DRAGPENNY OPERA
liberamente ispirato a The Beggar's Opera di John Gay
regia Sax Nicosia
con Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro, Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò
drammaturgia Lorenzo Piccolo
costumi Gianluca Falaschi
scene Nathalie Deana
coreografie Alessio Calciolari
musiche originali Diego Mingolla
produzione Nina’s Drag Queens
È l’alba. Nel cortile di un carcere, sotto il patibolo, si danno ritrovo alcune figure. Attendono l’esecuzione
capitale del bandito Macheath. Sono le donne della sua vita. Saranno loro a raccontare questa storia: le nozze
segrete di Macheath con Polly, figlia della regina dei mendicanti Peachum; i provvedimenti che questa ha
preso e gli avvenimenti che ne sono seguiti; come il delinquente sia stato arrestato a causa del tradimento di
Jenny, prostituta e sua vecchia amante; come sia stato liberato grazie a Lucy, altra amante... per giungere al
momento dell'esecuzione, al giudizio finale, e forse, all'happy end.
La composizione di questo spettacolo si ispira, nei temi e nella struttura, a The Beggar's Opera di John Gay.
Scritta nel 1728, l'opera nasce come reazione parodistica a un certo teatro lirico dell'epoca: soggetti
inverosimili, messe in scena pompose, spettacoli che rincorrono mode (soprattutto legate alle opere
italiane). The Beggar's in origine era stata concepita per essere cantata a cappella, senza
accompagnamento musicale, opera dichiaratamente e orgogliosamente povera. Povera di mezzi ma ricca di
spirito, operetta satirica e pioniera, sferzante nella sua critica sociale.
La volontà di rompere uno schema precostituito, lo sguardo graffiante sul mondo, la libertà di inventare e
reinventare un linguaggio lavorando su temi musicali esistenti: tutti questi motivi ci hanno portato vicini a
quest'opera. Il linguaggio teatrale delle Nina’s Drag Queens, infatti, è un pastiche di citazioni, affettuose
parodie, brani cantati in playback. Procede per frammenti, accostamenti eccentrici, continui spiazzamenti.
John Gay miscelava la musica colta e la canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più
nera, e soprattutto adattava canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d'opera. Allo stesso modo,
le Nina's Drag Queens attingono al repertorio della musica contemporanea, reinventando (grazie alle
composizioni originali di Diego Mingolla) alcuni riferimenti dell'immaginario pop che ci circonda. E lo
fanno con la stessa allegra ferocia messa in campo da Gay, sotto il segno di un umorismo amaro e
politicamente scorretto.
La scena ricorda un teatro abbandonato: un sipario senza più ragion d'essere, quinte sfondate, frammenti di
specchi, praticabili sghembi. È un mondo che ha ormai perso il suo splendore. I costumi di Gianluca Falaschi
e la scenografia di Nathalie Deana ne conservano solo poche tracce che covano, pronte ad esplodere in un
lieto fine dichiaratamente falso e falsamente liberatorio, fra drappi fucsia e lamé. Un gioco teatrale che sia
un’opera buffa e, insieme, un’opera seria. Un cabaret agrodolce, dai tratti mostruosi e scintillanti.
La compagnia delle Nina’s Drag Queens è composta da attori e danzatori che hanno trovato nel personaggio
Drag Queen la chiave espressiva per portare avanti la loro idea di teatro. Nasce nel 2007 a Milano, presso il
Teatro Ringhiera da un’idea di Fabio Chiesa, sotto la direzione artistica di Francesco Micheli. Partendo dal
genere della rivista e dell’happening performativo, le Nina’s Drag Queens sono approdate sempre più a uno
specifico teatrale, spostando parte della loro ricerca sulla rivisitazione di grandi classici: il primo esperimento in
questo senso è Il Giardino delle Ciliegie rilettura en travesti del capolavoro di Cechov.
3 - 8 novembre, sala Bausch
ZOMBITUDINE
testo, regia, interpretazione Elvira Frosini e Daniele Timpano
scene e costumi Alessandra Muschella
ideazione e realizzazione luci Marco Fumarola e Daniele Passeri
luci Omar Scala, Matteo Selis
produzione Frosini/Timpano - amnesiA vivacE, Kataklisma
coproduzione Teatro della Tosse, Fuori Luogo, Teatro dell'Orologio / Progetto Goldstein
Accademia degli Artefatti
col sostegno del Teatro di Roma nell'ambito del progetto “Perdutamente”
Un uomo e una donna sono rifugiati in un teatro insieme al pubblico. In questo spazio di illusoria salvezza e
resistenza attendono l’arrivo di qualcuno o qualcosa: la fine del mondo? Un nuovo inizio? la Rivoluzione?
Forse arrivano gli zombi.
Gli zombi siamo noi. La zombitudine è la nostra condizione quotidiana. Stretti tra l’emergenza di un evento
imminente e devastante e una quotidianità claustrofobica si fa fatica a riconoscere il pericolo o la salvezza: la
vita da assediati è divenuta normalità. Quella dello zombi allora è l’immagine della nostra fine, ma è anche
un’immagine di speranza, l’unica prospettiva di rinascita, l’unica forma di vita alternativa al dominio di banche,
finanza e multinazionali. L’unico Risorgimento possibile per noi e il nostro paese è un Risorgimento zombi.
zombi di tutto il mondo uniamoci!
La coppia Timpano/Frosini - grandi irregolari del teatro, irridenti, graffianti, volutamente irritanti e politicamente
scorretti - confeziona un testo che dovrebbe sembrare un non testo, aleatorio, magmatico, apparentemente
improvvisato, ma che invece è un testo vero, di stralunata qualità poetica.
Il loro nuovo spettacolo si intitola non a caso Zombitudine, e vuole assumere sarcasticamente la condizione
dei morti-viventi come emblema dell’Italia di oggi, metafora di una fine collettiva, ma anche di una paradossale
speranza di rinascita.
Renato Palazzi, Il Sole 24Ore
Un uomo e una donna, le fedi al dito, sono “rifugiati teatrali” insieme al pubblico. Vestiti con abiti color pastello,
hanno con sé solo una valigia e camminano in lungo e in largo, cercando di (far) prendere una posizione sulla
conquista della nostra Penisola da parte degli Zombi. I due, però, sono co-stretti in proscenio: il grande sipario
acceso di un rosa caramelle, un po’ melodramma zuccheroso un po’ circo decaduto, rimane chiuso. Lì dentro
cova l’epicentro di ciò che non credono possibile, ma per ora la minaccia grava soltanto sulla libertà di
movimento, schiaccia le gambe, non lo spirito. Ci si può quindi battibeccare sulla Loro invasione dell’Italia
come se si trattasse di scegliere il colore della carta da parati per il soggiorno. Questa atmosfera da
apocalisse sospesa ammantata di tocchi anni ’50 (le scene e i costumi sono di Alessandra Muschella) fa di
Zombitudine un Vacanze Romane stravolto da Tim Burton.
Matteo Brighenti, Doppiozero
Davanti ad un sipario chiuso, la coppia Frosini/Timpano, bagnata da luci rossastre, parla direttamente agli
spettatori, comunica di aver scelto di rifugiarsi in teatro per scampare all’ecatombe, luogo sicuro “essendo
vuoto e pieno di morti”, come recita la regola n.13 del prontuario distribuito agli spettatori all’ingresso.
Difendendosi in un luogo della cultura, i due attori, tra monologhi e dialoghi serrati che rasentano l’elenco,
attendono l’arrivo di qualcosa o qualcuno che potrebbe smuovere gli equilibri del rifugio. Perché di nuovi
equilibri ha bisogno il teatro, sembrano denunciare, che anziché vivere riesce solo a non morire.
Dalila D'Amico, Alfabeta2
13 - 22 novembre, Sala Bausch
SHAKESPEARE A MERENDA
scritto diretto e interpretato da Elena Russo Arman
suono di Giuseppe Marzoli
luci di Nando Frigerio
voce registrata Francesco Gagliardi
produzione Teatro dell'Elfo
Shakespeare a merenda è lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Elena Russo Arman, andato in scena
nel 2014 e definito da stampa e pubblico “un vero piacere per bambini e adulti”.
Il testo è ambientato alla corte di Elisabetta I d’Inghilterra dove c’è grande attesa per il nuovo spettacolo di Sir
William Shakespeare in scena al Globe, il famoso teatro di Londra, davanti ad un pubblico variopinto ed
entusiasta. Il più grande interprete del teatro elisabettiano, Mr Goodwin, è appena entrato in scena tra le grida
e le ovazioni del suo pubblico adorante. Dietro le quinte c'è la sua piccola sarta tuttofare, Mary, che ha seguito
ogni prova, cucito ogni abito, pettinato, truccato e sistemato il grande attore affinché egli possa interpretare
magistralmente il ruolo di Giulietta. Questo fa Mary prima di ogni spettacolo e anche se il suo sogno è
interpretare la parte di Giulietta, che ormai conosce a memoria; pur sapendo che non lo potrà mai fare perché
è una donna, e le donne non possono recitare.
Ma Mary ha un segreto: quando si ritrova sola, in camerino, lontana da occhi indiscreti, indossa un costume e
si diverte a dar sfogo alla sua passione. Ben presto il suo gioco è destinato a interrompersi, Mary deve tornare
al lavoro ma continuerà a sognare di poter recitare, e chissà che un giorno non troppo lontano questo sogno
potrà avverarsi...
Attraverso lo sguardo ironico e scanzonato di Mary, Elena Russo Arman offre agli spettatori grandi e piccoli un
modo diverso di scoprire il gioco teatrale, i mestieri di chi sta "dietro le quinte", la magia del palcoscenico. È un
testimone privilegiato che, da un punto di osservazione particolare - un camerino ingombro di costumi,
parrucche, manichini, teschi, spade, pugnali e oggetti di ogni tipo - rievoca i più celebri successi del Bardo, le
scene più commoventi e quelle più divertenti e "spettegola" sui protagonisti della compagnia del Lord
Ciambellano, con cui lavora ogni giorno. Così ripercorre le storie affascinanti ed eterne raccontate da
Shakespeare, storie “da grandi”, che da secoli fanno sognare spettatori di tutto il mondo e di tutte le età.
Shakespeare a misura di bambino. Ma raccontato con tale grazia, arguzia e passione teatrale da essere
vivamente consigliato a tutti. È Shakespeare a merenda spettacolo scritto, diretto e interpretato da Elena
Russo Arman, qui nei panni della giovane Mary, sarta tuttofare nel dietro le quinte del celeberrimo Globe
Theatre, dove assiste Mr Goodwin, star del teatro elisabettiano impegnato nel ruolo di Giulietta.
Ne viene fuori un affresco avvincente e ammaliante che attraverso Shakespeare racconta la magia del teatro,
il suo mistero, il suo artigianato amorevole e senza tempo. Uno spettacolo per bambini ma non da bambini.
Loro se ne vanno felici, portandosi via anche la locandina che sul retro si trasforma in una deliziosa tavola
disegnata con i personaggi, i costumi e alcuni cenni storici, mentre gli adulti, oltre a divertirsi, si fanno anche
un bel ripasso shakespeariano.
Sara Chiappori, TuttoMilano
23 - 29 novembre, sala Fassbinder
GORLA FERMATA GORLA
di Renato Sarti
con Giulia Lazzarini, Federica Fabiani, Matthieu Pastore
regia Renato Sarti
scene e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
produzione Teatro della Cooperativa
Dopo il successo personale a Cannes per la sua interpretazione della Madre nel film di Nanni Moretti, che
commosso il mondo, la grande attrice, maestra e amica Giulia Lazzarini torna all’Elfo con un piccolo
spettacolo dalla grande anima.
Il mattino del 20 ottobre del 1944, alcuni aerei della Air Force, dopo aver bombardato l’area nord di Milano,
scaricarono le bombe residue sulla città. Una di queste, per una tragica combinazione, sfondò il tetto della
Scuola Francesco Crispi di Gorla, si infilò nella tromba delle scale ed esplose nella cantina dove si erano
rifugiati gli alunni, uccidendone 184.
Fu uno degli episodi piu terribili di tutta la Seconda Guerra Mondiale, ma rischia di svanire dalla memoria
della città: oggi, per i più, Gorla è solo una fermata della metropoilitana.
Il drammaturgo e regista Renato Sarti ha rievocato, con linguaggio teatrale, quel tragico evento, basando il
suo lavoro sulle pubblicazioni, i documenti militari, i libri, gli articoli e, soprattutto, sulle testimonianze.
Due giovani attori, Federica Fabiani e Matthieu Pastore, danno voce ai bambini che quel giorno persero la
vita, mentre a Giulia Lazzarini, attrice di grande sensibilità, che al tempo viveva proprio vicino al quartiere di
Gorla e ricorda perfettamente quei momenti drammatici, è affidata la testimonianza dei sopravvissuti. «Credo
nel valore della memoria», afferma l'attrice. «Ricordare quella strage, simile a tante altre all'ordine del giorno
anche oggi in molti posti del mondo, è importante. Mi piace lavorare con Renato Sarti perché ha un'idea molto
precisa della necessità civile del teatro. Per questo spettacolo ha scovato come un cane da tartufi
testimonianze, documenti, memorie dei sopravvissuti e le ha cucite con un gran lavoro di pazienza, pietà e
amore».
Gorla fermata Gorla è stato presentato per una sola replica nella scorsa stagione - a settant'anni da quel
tragico giorno - e merita di essere riproposto e condiviso con quanti più spettatori possibile.
24 - 29 novembre, sala Bausch
ADULTO
ispirato dai testi finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Dario Bellezza
uno spettacolo di Giuseppe Isgrò
con Dario Muratore
voci Ferdinando Bruni, Ida Marinelli
dramaturg Francesca Marianna Consonni
suono Giovanni Isgro
Phoebe Zeitgeist
in collaborazione con Voci Erranti, Racconigi e TMO Teatro Mediterraneo Occupato, Palermo
Adulto è una ricerca sulla parte maledetta della crescita, quella che non matura, che non si dichiara, che non
si esprime e che non si arresta: un'energia sotterranea e magmatica, devastante quanto generatrice. Lo
sguardo del pubblico è affacciato alla scena come alla rete da cantiere di uno scavo. Qui sono insabbiati gli
oggetti ludici, erotici, i feticci e i travestimenti di un individuo abnorme e delicatissimo, che produce i suoi riti
scabrosi in questo che sembra un luogo periferico, sospeso, tutto autogenerato, autonomo rispetto al resto del
mondo. Linee di led e radio analogiche sono i confini visivi e sonori della scena, un luogo della mente che
restituisce suoni, bagliori, presenze. Questa non è la storia dell'ostilità alla vita o di un arroccamento, ma
quella al contrario di una totale resa, di una spesa oscena di sé, di un'estasi fatale, unita carnalmente al
fallimento. Invece di crescere e divenire solido, l'io si disperde, si sparge, decresce, torna all'origine, fino
all'utero materno. Le trasformazioni a cui è sottoposto il personaggio trascendono il genere sessuale, la
morale, il ruolo sociale, la direzione ordinaria della vita. Tutto il processo è però attraversato da desiderio,
amore, bisogno estremo e abominevole di tenerezza.
Le parole che compongono questa contro oratoria sono tratte dalle opere finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa
Morante e Dario Bellezza, accomunate dall'essere liriche filosofiche, opere pericolose e azzardate, crolli
monumentali che prefigurano la morte e sono assieme capaci di un pensiero visionario e rigenerativo sul
divenire. Da questi testi controversi emerge la possibilità di un procedere diverso, interno alla vita, contrario
all'essere unitari, finiti, coerenti, pienamente adulti. Adulto è infatti una dedica allo spirito che è capace di
osare strumenti di conoscenza impervi e non convenienti, quali il regresso, il percorso a ritroso, l'involuzione, il
ricorso all'infanzia, uscire dal genere e degenerare.
Rimane una omogeneità d'intenti che piace. In un lavoro che gioca sapientemente fra il livello realistico delle
descrizioni e le ramificazioni filosofico-immaginifiche. Ottimo Dario Muratore, la cui formazione performativa
qui si sposa con la precisione interpretativa di un testo difficilissimo, che rimane soprattutto di parola.
L'oggettistica retrò-infantile accentua il gusto e permette un continuo essere dentro e fuori i personaggi, le
situazioni, il teatro. Sempre più tangibili le potenzialità della giovane compagnia milanese. Nuovi orizzonti.
Diego Vincenti, Hystrio
La chiave di lettura dell'attenta e appassionata regia è quella di focalizzarsi sul percorso a ritroso dei
personaggi che trascendono il genere, la morale e il ruolo sociale... Tocca all'ottimo Dario Muratore veicolare
queste difficili istanze. La sua è un'interpretazione che privilegia la componente corporea di cui dimostra
grande padronanza, senza però penalizzare l'aspetto vocale, variando toni e registro a seconda dei passaggi
affrontati.
Mario Cervio Gualersi, Pride
La prova di Muratore, giocata sui registri più del grottesco che del tragico, crea cortocircuiti tra linguaggio e
potere, parole e corpo. Carponi o eretto, con una gestualità icastica mai troppo esibita, Muratore interpreta un
ibrido mezzo animale e mezzo essere umano, bimbo e adulto. Senza trucco né trucchi, anche lo spettatore
vive sfascio e deformazione, integrità e tensione verso l’armonia.
Vincenzo Sardelli, Krapp's Last Post
30 novembre - 31 dicembre, sala Shakespeare
MR PUNTILA E IL SUO SERVO MATTI
di Bertolt Brecht
regia e scene di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni, Luciano Scarpa, Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman, Luca Toracca,
Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo De Mojana, Francesca Turrini, Francesco Baldi, Carolina Cametti
musiche arrangiate ed eseguite dal vivo da Matteo de Mojana
costumi Gianluca Falaschi
luci di Nando Frigerio
suono di Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell'Elfo
prima nazionale
Puntila e il suo servo Matti segna il primo incontro del Teatro dell'Elfo con Brecht, dopo che Bruni e De
Capitani in tandem avevano diretto nel 2009 L'anima buona di Sezuan con Mariangela Melato per Teatro
Stabile di Genova.
Considerata una delle migliori commedie di Brecht, scritta nel 1940 a guerra da poco iniziata, mette in scena
una "variante" del dottor Jeckyll e Mister Hyde. Il ricco possidente Puntila è un personaggio a due volti, come
lo è Shen Te, la protagonista nell'Anima buona, testo di poco precedente: da sobrio è un tiranno che vessa i
suoi dipendenti, sfrutta i suoi operai e vuol dare in moglie la figlia Eva a un diplomatico inetto e a caccia di
dote, mentre, quando è ubriaco diventa amico di tutti e vuol far sposare Eva al suo autista Matti, che tratta su
un piano di parità.
Sfortunatamente le sbronze passano sempre.
Un’allegoria del capitalismo e dei suoi sorrisi da caimano dove Karl Marx incontra suo fratello Groucho. E il
messaggio di Brecht suggerisce che solo un’autentica eguaglianza, piuttosto che uno slancio filantropico
individuale, può davvero colmare il divario fra ricchezza e povertà.
Al tagliente Matti il compito di smontare le false promesse e la falsa bontà del suo padrone, in un rapporto che
a tratti richiama nobili precedenti, che vanno da Don Chisciotte/Sancho Panza a Don Giovanni/Leporello, e a
tratti rimanda alle dinamiche fra il comico e la spalla delle comiche finali.
Brecht aveva definito questo suo testo una "commedia popolare" e questo vuole essere lo spettacolo di Bruni
e Frongia, comico, popolare, oltre che molto musicale, grazie agli interventi live di Matteo de Mojana e a
un'affiatata compagnia di dodici attori di diverse generazioni, impegnata anche in interventi canori. A guidarli
Ferdinando Bruni nel ruolo schizofrenico di Puntila, affiancato dal servo Matti di Luciano Scarpa che torna tra
le file dell'Elfo dove aveva interpretato Orazio nell'Amleto, Elicone nel Caligola, il giovane Eugenio nella
Bottega del caffé. Completano il cast Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Elena Russo Arman e Luca Toracca,
insieme agli "elfi d'adozione" Umberto Petranca, Nicola Stravalaci, Matteo de Mojana, Carolina Cametti e ai
nuovi scritturati Francesca Turrini e Francesco Baldi.
1 - 6 dicembre, sala Fassbinder
PER UNA STELLA
progetto di Marta Galli, Anna Maini e Roberto Rampi
di Anna Maini
regia Stefano De Luca
con Tommaso Banfi e Marta Comerio
adattamento drammaturgico Stefano De Luca
consulenza musicale Marco Mojana
consulenza storica Marco Cimmino
scene e costumi Linda Riccardi
produzione ArteVOX Teatro in collaborazione con LupusAgnus
con il patrocinio di Museo Storico del Trentino e Museo Centrale del Risorgimento di Roma
Drammaturgia originale ispirata ad una storia vera, Per una stella racconta l'incrocio di due destini sullo sfondo
della Grande Guerra: quello di Rosa Anna, figlia del kaiserjäger austriaco Franz, e quello del soldato italiano
Pietro, che combatte la stessa guerra di Franz, ma sul fronte opposto. Tra migliaia di spari, è un colpo solo,
una sola stella, a unire misteriosamente le loro vite.
Uno spettacolo che racconta la guerra e s'interroga sui suoi significati attraverso gli occhi di una bambina che,
come noi, non sa nulla di essa; è grazie a lei, che scopriamo velo dopo velo, quello che la Guerra fa alle
madri, ai figli e ai soldati.
Uno spettacolo che vive la guerra con lo spirito critico di un giovane uomo che insegue con impeto la pace, ne
indaga le strade ma che, messo di fronte alla necessità, alla fine, spara.
Il tema delle celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, in un momento come quello che stiamo vivendo
segnato dalla crisi economica internazionale, è di centrale importanza. Proprio i morsi delle manovre
economiche imposte dalla Comunità Europea vanno giorno dopo giorno indebolendo le motivazioni del
progetto politico di unione continentale, che trovava e trova le sue ragioni più profonde in quell'esigenza di
assicurare la pace internazionale che affiorò con tanta forza al termine del secondo conflitto mondiale. Oltre
sessant'anni di convivenza fra i popoli europei senza conflitti (eccezion fatta per il caso della ex-Jugoslavia)
sembrano aver portato a dimenticare soprattutto tra le nuove generazioni, che non hanno vissuto in prima
persona quegli eventi catastrofici, il portato tragico di ideologie che insanguinarono con due guerre mondiali
l'Europa.
È l'attualità di tale memoria sul piano politico su cui si deve far conto per giustificare la commemorazione del
centenario. In ogni caso, la Grande Guerra non può ritenersi consegnata definitivamente al passato perché le
scosse di tale sisma continuano a propagarsi nel nostro presente.
Ciò che questo progetto teatrale e culturale di “costruzione della memoria” si propone di fare è di ricordare e di
tutelare le vestigia di un conflitto in cui moltissimi uomini hanno perso la vita. La memoria di un evento che ha
segnato la storia nazionale più di qualsiasi altro.
Ed è proprio attraverso la meta-esperienza del teatro che si vuole raccontare, in occasione dell'anniversario
del grande conflitto mondiale, una storia che parte da fatti realmente accaduti e che, nello stesso tempo, tocca
temi universali che la rendono attuale e condivisibile.
Il progetto RADICI NEL PASSATO E SGUARDO NEL FUTURO
Lo spettacolo teatrale Per una stella è collegato allo sviluppo di un progetto più ampio, finanziato da Regione
Lombardia attraverso il bando per la valorizzazione della memoria della Grande Guerra (D.d.s. 8 ottobre 2014,
n. 9226).
8 - 13 dicembre, sala Fassbinder
WONDER WOMAN
donne, denaro e super poteri
di e con Antonella Questa, Giuliana Musso, Marta Cuscunà
produzione La Corte Ospitale
Superman era un giornalista, Batman un miliardario. Le super eroine non sono mai riuscite a fare carriera.
Partendo dall'inchiesta di Silvia Sacchi e Luisa Pronzato, tre attrici esplorano il tema dell'indipendenza
economica femminile con le armi del teatro d'indagine e dell'ironia.
"Il miglior rimedio per valorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di
Superman e in più il fascino della donna brava e bella”. Così scriveva William Moulton Marston, ideatore di
Wonder Woman, la prima eroina femminile dei comics. Eppure, anche se sei forte come Superman, essere
femmina comporta degli svantaggi: mentre si trovano notizie sulla professione e lo status sociale dei super
eroi maschi, della carriera delle loro colleghe donne sappiamo poco o nulla. Forse, pur essendo dotate di
abilità sovrumane, nemmeno alle nostre sorelle bioniche è concesso di rompere il soffitto di cristallo che le
allontana dall'autonomia economica e da una reale parità con gli uomini nel mondo del lavoro.
E poi l’amore... Superman ha una dolcissima fidanzata. Batman è un vero playboy, forse è bisessuale.
Wonder Woman rinunciò ai suoi superpoteri per stare vicino al suo innamorato che però venne ucciso
nell’episodio successivo.
Le super donne in generale sono un po’ sfortunate in amore.
Forse anche per questo il grido di battaglia di Wonder Woman potrebbe essere commovente come una
preghiera: «Being a cute superhero AND a woman is exhausting!».
Wonder Woman è una drammaturgia originale, solo a tratti fumettistica, che indaga un mondo fatto di
stereotipi di genere, spreco di talenti, crisi della coppia, diritti mancati; ma anche popolato da donne e uomini
che, pur non avendo poteri sovrumani, affrontano la quotidianità dell'amore, del lavoro, della famiglia con
voglia di cambiamento.
Da questa suggestione e dal dato, oramai risaputo, che l'occupazione femminile è un potente fattore di
crescita dell'economia, nasce un reading in cui i dati statistici si intrecciano ai racconti biografici e la realtà è
raccontata con l'arma a doppio taglio della satira. Un divertente esercizio teatrale per dare spazio a legittimi
interrogativi sullo stato dell’indipendenza economica delle donne e segnalare una soluzione alla generale
stagnazione economica italiana: l'economia in rosa, womenomics!
Attrice e autrice teatrale, Giuliana Musso è nata a Vicenza nel 1970. Vive a Udine ed è mamma di una bambina. Dal
2001 intraprende un percorso di scrittura per il teatro fondato sull’indagine e la raccolta di testimonianze. I suoi spettacoli
tutt’ora in repertorio sono: Nati in casa, monologo sulla nascita (2001); Sexmachine, sulla sessualità commerciale
(2005); Tanti saluti, sul fine vita (2008), La fabbrica dei Preti, sui seminari pre-conciliari (2012).
Attrice di lunga esperienza, Antonella Questa vive e lavora tra l’Italia e la Francia. In tv è stata tra i protagonisti della
Fattoria dei Comici di Serena Dandini; traduce e promuove per l'Italia testi di drammaturgia contemporanea francese.
Nel 2005 ha fondato la Compagnia LaQ-Prod, con la quale produce spettacoli di impegno civile: Dora Pronobis; Stasera
ovulo (Premio Calandra 2009 Miglior spettacolo e Migliore interprete); Vecchia sarai tu! (Premio Museo Cervi 2012 e
Premi Calandra 2012 Migliore Spettacolo, Migliore Attrice e Migliore Regia).
Nata a Monfalcone, città operaia, Marta Cuscunà studia a Prima del Teatro: Scuola Europea per l’Arte dell’Attore.
Diretta da Joan Baixas lavora con la compagnia Teatro de la Claca di Barcellona. Nel 2009 vince il Premio Scenario
Ustica con È bello vivere liberi!, progetto di teatro civile per un'attrice, 5 burattini e un pupazzo. Nel 2012 vince la
menzione d'onore come attrice emergente al Premio Eleonora Duse e nel 2013 il premio Last Seen come miglior
spettacolo dell'anno con La semplicità ingannata, satira per attrice e pupazze sul lusso d'esser donne.
10 - 20 dicembre, sala Bausch
AMORE E ANARCHIA
di Luigi Dadina e Laura Gambi
regia Luigi Dadina
con Luigi Dadina e Michela Marangoni
scene e luci Pietro Fenati e Elvira Mascanzoni
suoni Alessandro Renda
consulenza e ricerca storica Massimo Ortalli Archivio storico della FAI e Cristina Valenti Università di Bologna
produzione Ravenna Teatro
a partire da Amore e anarchia di Claudia Bassi Angelini
Luigi Dadina racconta una storia a Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani in una trattoria di Ravenna. La storia
è affascinante, densa, avventurosa, antica.
«Dovresti farne uno spettacolo».
«L’ho già fatto…»
Eccolo qua.
Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi: nati entrambi nel centro storico di Ravenna, lui il 30 agosto del 1849,
lei nella notte del 21 giugno del 1852. Da quasi cent'anni abitano, non visti, nella scuola di S. Bartolo, vicino a
Ravenna.
Nella loro infanzia e adolescenza la città, ma l'Italia intera, è attraversata da sconvolgimenti politici e umani: le
imprese garibaldine, l'ideale repubblicano, la caduta del governo dei papi, l'unità d'Italia, l'internazionalismo
anarchico e socialista sono solo alcuni degli elementi che segnano la crescita dei due ravennati. Luisa è sarta
«silenziosa, attenta, bravissima, con tutti quelli spilli tenuti fra le labbra e via via tolti per segnare i difetti, per
stringere, per attillare, pronta a ubbedire, o meglio a rispettare il proprio lavoro di artigiana ineccepibile», così
la immagina Gianna Manzini nel romanzo dedicato al padre anarchico. Francesco è intelligente, sguardo mite
con una luce di collera, di modi gentili e di briosa vivacità; conseguito il diploma di ragioniere viene assunto
alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Giovanissimi si incontrano, si innamorano e si infiammano per l'idea
dell'anarchia, che guiderà le scelte e i pensieri di tutta la loro vita. Tra militanza, fughe, confino e carcere, sono
la coppia che accoglie gli amici anarchici nelle case sempre aperte di Firenze, Lugano, Napoli, Buenos Aires,
Londra. Primi fra tutti Andrea Costa, Anna Kuliscioff ed Enrico Malatesta, che fu anche il terzo nella loro
relazione per qualche anno. Moriranno a Firenze, lei nel 1911, cieca e piegata nella salute dopo il confino a
Orbetello, lui suicida nel 1917, in un boschetto alle Cascine. In un biglietto scrive il disgusto «fino alla nausea
di questo impasto di fango che si chiama mondo e della vigliaccheria degli uomini che lo subiscono».
La limpida anarchica e l’infaticabile organizzatore sono ancora assieme oggi, sempre, giorno dopo giorno,
continuano a vivere nella scuola di San Bartolo (dove lo spettacolo ha debuttato nell'ottobre 2014).
Il mondo è filtrato dalle voci dei bambini che la mattina occupano i banchi e i corridoi. Ogni notte sono soli, e
continuano a ripercorrere le vicende di allora e quelle di oggi, in un dialogo mai interrotto in vita, ma ancora
ardente, ancora in cerca di risposte. Continuano a parlare, a discutere, del sindacato dei panettieri di Buenos
Aires e delle pagine arringanti de El Obrero Panadero, delle tetillas de monja, di libero amore, di libertà, di
giustizia, del sacrificio per l’ideale, delle paludi dell’Orbetello, a decifrare i discorsi dei bambini, i suoni del
paese e della strada, che da cent’anni accompagnano le loro giornate.
Luigi Dadina e Laura Gambi
Stanno in equilibrio, con destrezza, tra l'ineludibile qui e ora della (rap)presentazione e la condizione, propriamente
surreale, nella quale ciò di cui resta traccia nella memoria non si sa se sia o meno un prodotto dell'immaginazione. Non
si pensi a fumosi concettualismi: Amore e anarchia è uno spettacolo di robusto teatro d'attore con un impianto
tradizionalmente testocentrico e un copione costruito su basi storiche ben documentate. Dal punto di vista recitativo,
Dadina aggiunge alla consueta rocciosità inedite sfumature di fragile morbidezza, mentre Marangoni dà prova di
maturità dopo un decennio di apprendistato alla bottega artigiana delle Albe: un lento e prezioso allenamento alla
sottrazione.
Michele Pascarella, Hystrio
15 - 20 dicembre, sala Fassbinder
MAGDA E LO SPAVENTO
di Massimo Sgorbani dalla trilogia "Innamorate dello spavento"
regia di Renzo Martinelli
con Milutin Dapcevic e Federica Fracassi
dramaturg Francesca Garolla
suono dal vivo Fabio Cinicola - luci Mattia De Pace
Produzione Teatro i
Teatro i ha presentato Magda e lo spavento, ultima tappa del progetto Innamorate dello spavento, nell'autunno
2014. Nella stagione 2015/16 lo spettacolo arriva sul palcoscenico della sala Fassbinder per incontrare anche il
pubblico dell'Elfo Puccini.
Il dialogo della morte, il dialogo dell’incubo. Il dialogo delle fiabe da raccontare ai bambini per farli stare buoni. Il
dialogo impossibile eppure reale tra la infanticida e il genocida.
Un dialogo pieno di comparse, da Biancaneve ai sette nani, passando per Topolino, con Walt Disney che sorride
sornione alla finestra del bunker.
Magda e lo spavento: in effetti c’è da aver paura, pensando alla storia, la Storia con la esse maiuscola.
Si ride, si scherza, si flirta amabilmente con l’uomo nero e, per farlo, bisogna avere il sangue freddo di Magda
Goebbles, essere capaci di far amabilmente morire sei piccoli cuccioli d’uomo, il freddo del cianuro e il bacio della
buona notte.
A conclusione della trilogia ecco arrivare l’innominabile, l’osceno, Heil Hitler!
Magda e lo spavento è l’unico dei tre testi a vedere in scena proprio Mein Führer, orribile, eppure bellissimo agli
occhi idealizzanti delle sue seguaci, forte, eppure debolissimo, l’uomo di razza dalle origini incerte.
Innamorate dello spavento è un progetto di Teatro i in cui l’autore Massimo Sgorbani cattura le voci di
alcune donne legate al Führer che precipitano inarrestabili verso la fine del Reich.
Tra il 29 aprile e il 1° maggio del 1945, nel bunker sotterraneo del Palazzo della Cancelleria di Berlino, alcuni
dei principali rappresentanti del partito nazionalsocialista si suicidano. Poche ore prima Hitler sposa Eva
Braun. Poche ore dopo Hitler e signora si uccidono con le fiale testate sul pastore tedesco del Führer, Blondi,
il primo a morire. Poche ore dopo Magda Goebbels somministra le fiale ai sei figli addormentati. Ancora poche
ore, e anche Magda e il marito si avvelenano con le stesse fiale.
Innamorate dello spavento si compone di tre testi distinti che Teatro i sta affrontando con la regia di Renzo
Martinelli e l’interpretazione di Federica Fracassi. Il primo, Blondi, è stato prodotto dal Piccolo Teatro di Milano
nella stagione 2012 2013 ed è stato ripreso sul medesimo palco nel maggio 2014. La seconda parte, Eva
(1912-1945), uno spettacolo in site specific le cui tappe hanno portato a molteplici versioni dello realizzate ad
hoc per i luoghi ospitanti, dà voce all’omonima protagonista, Eva Braun che, precipitando ignara verso il
suicidio, intreccia la sua storia con quella di Rossella O’Hara, protagonista di Via col Vento, il suo film
preferito. Infine, la terza parte, che vede in scena Magda Goebbels e lo stesso Führer, ha debuttato
nell’autunno 2014.
Tutta la trilogia è stata presentata all’interno del programma radiofonico Teatri in diretta / Radio3 di Laura
Palmieri e Antonio Audino e in occasione del Festival delle Colline Torinesi 2014.
I testi della trilogia sono editi dalla casa editrice Titivillus.
26 dicembre – 17 gennaio, sala Bausch
IL BAMBINO SOTTOVUOTO
di Christine Nöstlinger traduzione di Clara Beccagli Calamai
adattamento di Cristina Crippa
regia Elio De Capitani
con Cristina Crippa
disegno del fondale di Ferdinando Bruni
luci Rocco Colaianna
copyright Verlag für kindertheater, Adriano Salani Editore nella collana Gl'Istrici
produzione Teatro dell’Elfo
Torna in scena Cristina Crippa con la riduzione teatrale del famoso romanzo per ragazzi Il bambino
sottovuoto, che ha saputo già coinvolgere spettatori grandi e piccini. Un pubblico trasversale e di ogni età
come quello che segue da sempre Christine Nöstlinger, tra le più note autrici di letteratura per l'infanzia
(vincitrice del prestigioso Premio Internazionale Hans C. Andersen). Una scrittrice austriaca scanzonata e
surreale che ama scardinare luoghi comuni e aspettative con l’ironia graffiante di una bambina “cattiva”, ma
anche con intensa partecipazione e solidarietà.
Romanzo dal titolo curioso, è una favola surreale e ipermoderna. Narra la storia di Marius, un bambino
sintetico e liofilizzato che una potente ed efficiente multinazionale produce per soddisfare le richieste di una
clientela di genitori/acquirenti esigenti e frettolosi, con poco tempo da perdere per la procreazione,
l’accudimento e l’educazione dei figli.
Marius è un personaggio che appartiene alla specie dei Pinocchi, dei replicanti, degli esseri magici e diversi, e,
perché no, dei bambini mai adulti come Peter Pan. Anche se dopo qualche pagina, quando si comincia a stare
al gioco, non si ha nessun problema a considerarlo un bambino normalissimo.
Coprotagonista del racconto è la signora Betta Bartolotti. La signora B.B. non è troppo giovane, né troppo
vecchia, è disordinatissima, un po’ anarchica e, sfiorata un tempo dal desiderio di maternità, ormai non ci
pensava più.
Un bel mattino per un errore del sistema viene consegnato un bambino, programmato, istruito e condizionato
ad essere fin esageratamente perfetto, educato, ubbidiente e studioso. Comincia così, tra questo essere
insolito e questa improbabile mamma, un rapporto di grande amore, simpatia ed affetto che sconvolge
totalmente la vita della nostra B.B..
Cristina Crippa, profondamente emozionata e divertita dalla lettura de Il bambino sottovuoto, lo ha trasformato
in un monologo teatrale dove la vicenda è narrata dal punto di vista del suo personaggio preferito, la signora
B.B..
Uno spettacolo per grandi e piccoli che diverte, fa riflettere e racconta un mondo surreale, eppure non
dissimile dalla realtà quotidiana. Una realtà fatta di approssimazione, di superficialità e di fretta, dove è
preferibile essere quello che gli altri vorrebbero piuttosto che quello che si è realmente.
Emergono così i sentimenti veri e i valori – quelli che forse oggi rischiano di perdersi – come il senso della
famiglia, l’amicizia e la correttezza: indispensabili per vincere anche i piu temibili “scagnozzi” della
multinazionale che vuole riprendersi il proprio “prodotto”, quando si accorge di averlo inviato al destinatario
sbagliato.
Diretta da Elio De Capitani, una coloratissima Cristina Crippa – che non smentisce le sue doti sceniche ne
l’affetto del suo calorosissimo pubblico – che vale la pena di non perdere, in uno spettacolo decisamente
intelligente e dal sapore contemporaneo.
Persinsala.it
7 - 10 gennaio, sala Shakespeare
IL NOSTRO ENZO
RICORDANDO JANNACCI
con Moni Ovadia e
Alessandro Nidi al pianoforte
Promomusic
«Come si fa a cadere nel pessimismo quando c’è la musica?», diceva Enzo Jannacci cantautore, cabarettista
e attore ma anche cardiochirurgo, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del Dopoguerra. Fin
dagli anni ‘50, ha lavorato insieme agli amici Dario Fo e Giorgio Gaber, passando dalla canzone dialettale al
rock al jazz, fornendo l’ispirazione anche a personaggi come Renato Pozzetto, Diego Abatantuono, Massimo
Boldi.
Tra i suoi brani più noti: Vengo anch’io. No tu no, El portava i scarp del tennis, Ho visto un re, Quelli che. La
vita l’è bela... Alcune di queste canzoni, diventate oramai dei classici, sono reinterpretate da Moni Ovadia artista versatile e curioso sperimentatore – che le propone in un’inedita veste.
Lo spettacolo ha debuttato al Festival Astiteatro il 2 luglio 2014, in una versione con la musica dal vivo
eseguita dalla Filarmonica Toscanini.
Nella ripresa della stagione 2015/16 le musiche sono eseguite dal vivo da Alessandro Nisi.
Questo l’articolo scritto da Moni Ovadia per la Stampa in occasione della morte di Enzo Jannacci nell’aprile
2013:
Il bardo dei poveri cristi
Il grande, grandissimo Enzo Jannacci ci ha lasciati. Oggi noi milanesi siamo diventati orfani e insieme a noi
l'Italia intera ha perso uno dei suoi figli più autentici. È stato in assoluto, a mio parere, il più originale poeta
della canzone che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e insieme un artista della scena e del cinema
inarrivabile nel suo essere stralunato e surreale. Il suo talento di musicista si esprimeva al meglio nel jazz
come nel rock, ma la fonte più intima della sua prodigiosa ispirazione era l'humus poetico-culturale delle
periferie urbane e specificamente quelle della sua Milano. La "capitale morale", quando Jannacci fece la sua
comparsa sulle scene della canzone e del cabaret, era una metropoli industriale in pieno e impetuoso
sviluppo, dava lavoro, chiamava gli immigrati dalle periferie meridionali orientali ed isolane dello Stivale. Ma la
stessa orgogliosa città, albergava nei suoi interstizi e nei suoi sottofondi, la povera gente, i disperati, i fuori di
testa, gli esclusi, i sognatori senza voce, i terroni, gli abbandonati dall'amore e dalla vita, le puttane navi
scuola da strada e da cinema. Di tutti questi poveri cristi, lui è stato il cantore assoluto. Jannacci ne ha colto,
incarnato e raccontato la storia, le emozioni, i sentimenti e la vita vera. Di quel popolo ha interpretato la
malinconica, maleducata e balorda grazia, ha rivelato che la poesia dei luoghi, fiorisce nei gesti impropri e
sgangherati degli ultimi fra gli ultimi, nella loro grandiosa lingua gaglioffa e sfacciata.
Enzo non era nato povero cristo, aveva fatto ottimi studi in ogni senso, ma quella condizione l'aveva
incorporata con arte alchemica. L'aveva assunta nel volto fisso alla Buster Keaton, nei gesti liricamente
scomposti, nel modo di suonare la chitarra tenuta bloccata sotto il mento, nella fibra e nel canto della lingua
vernacola di cui esprimeva l'anima e di cui aveva trasferito l'umore triste e gagliardo anche nell'italiano. Tutta
questa sapienza confluiva nella sua inimitabile voce sguaiata e sul crinale precario della sua intonazione che
dava vita ad un capolavoro espressivo e stilistico. Jannacci è stato un caposcuola e il caposcuola di se stesso.
Con lui se ne va la Milano più struggente e necessaria. Sarà difficile andare avanti.
8 - 17 gennaio, sala Fassbinder
CARROZZERIA ORFEO
Torna all'Elfo Puccini Carrozzeria Orfeo con un dittico di spettacoli: per soli tre giorni va in scena Thanks for
vaselina, la produzione che li ha resi famosi, poi l'attesa novità, che debutterà a fine agosto al Festival Castel
dei mondi di Andria.
8 - 10 gennaio
THANKS FOR VASELINA
dedicato a tutti i familiari delle vittime e a tutte le vittime dei familiari
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
interpreti Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Beatrice Schiros, Ciro Masella, Francesca Turrini
musiche originali Massimiliano Setti
luci Diego Sacchi, costumi e scene Nicole Marsano e Giovanna Ferrara
produzione Carrozzeria Orfeo, Fondazione Pontedera Teatro (2013)
La Corte Ospitale, Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria
11 - 17 gennaio
ANIMALI DA BAR
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
musiche originali Massimiliano Setti
produzione Fondazione Teatro della Toscana
Un bar abitato da personaggi strani: un vecchio malato, misantropo e razzista che si è ritirato a vita privata nel
suo appartamento; una donna ucraina dal passato difficile che sta affittando il proprio utero ad una coppia
italiana; un imprenditore ipocondriaco che gestisce un’azienda di pompe funebri per animali di piccola taglia;
un buddista inetto che, mentre lotta per la liberazione del Tibet, a casa subisce violenze domestiche dalla
moglie; uno zoppo bipolare che deruba le case dei morti il giorno del loro funerale; uno scrittore alcolizzato
costretto dal proprio editore a scrivere un romanzo sulla grande guerra.
Sei animali notturni, illusi perdenti, che provano a combattere, nonostante tutto, aggrappati ai loro piccoli
squallidi sogni, ad una speranza che resiste troppo a lungo. Come quelle erbacce infestanti e velenose che
crescono e ricrescono senza che si riesca mai a estirparle.
E se appoggiati al bancone troviamo gli ultimi brandelli di un occidente rabbioso e vendicativo, fatto di
frustrazioni, retorica, falsa morale, psicofarmaci e decadenza, oltre la porta c’è il prepotente arrivo di un
“oriente” portatore di saggezze e valori… valori, però, ormai svuotati e consumati del loro senso originario e
commercializzati come qualunque altra cosa.
Tutto è venduto, sfruttato e contrattato in Animali da Bar. La morte e la vita, come ogni altra merce, si
adeguano alle logiche del mercato.
E quando l’alcol allenta un pochettino la morsa e ci toglie la museruola… è un grande zoo la notte… una
confessione biologica dove ognuno cerca disperatamente di capire come ha fatto a insediarsi tutta
quell’angoscia. Giorno dopo giorno. Da anni, da secoli. Come abbiamo fatto a non sentirla entrare? E per
quanto riguarda gli altri... beh, cerchiamo di essere realisti. Possiamo dire di conoscerci appena. Siamo tutti
degli estranei.
D’altronde almeno una mezza dozzina di Cristiani desidera la nostra morte ogni giorno o no? In coda sulla
tangenziale... il lunedì mattina in ufficio… chi non vorrebbe torturare il cane del vicino, o schiacciare qualche
ciclista di tanto in tanto? Se volete provare l’esatta inesistenza di Dio, salite in una metrò affollata di vostri
simili in pieno agosto.
12 - 17 gennaio, sala Shakespeare
DECAMERONE
VIZI, VIRTU, PASSIONI
liberamente tratto dal Decamerone di Giovanni Boccaccio
adattamento teatrale e regia di Marco Baliani
con Stefano Accorsi
e con Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia, Mariano Nieddu, Naike Anna Silipo
drammaturgia Maria Maglietta
scene e costumi Carlo Sala
luci Luca Barbati
produzione Nuovo Teatro in coproduzione con Fondazione Teatro della Pergola
Portare in teatro la lingua di tre grandi italiani Ariosto, Boccaccio, Machiavelli, sfidando la complessità delle
loro opere, per scoprire quanto ancora possiamo nutrirci delle loro invenzioni, dei loro azzardi, delle loro
intuizioni. Questo è il PROGETTO GRANDI ITALIANI di Marco Baliani, Stefano Accorsi, Marco Balsamo che,
dopo l'Orlando furioso, hanno messo in scena il Decamerone (debuttato nel dicembre 2014) e prossimamente
proporranno Il principe.
Sulla scena è parcheggiato un carro-furgone, “casa” e teatro viaggiante della compagnia che si appresta a
mettere in scena l’opera. La modularità del carro favorirà la messa in scena di sette novelle del Decamerone,
permettendo di volta in volta la creazione degli spazi e delle suggestioni necessarie alle storie che si vanno a
narrare.
Una grande passione anima la compagnia, ma non altrettanto grandi sono le loro risorse materiali, gli attori si
alterneranno quindi in un susseguirsi di ruoli e vicende, forti della loro arte teatrale.
Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta
faticosamente vivendo. Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo, l’alito della morte. Finché si
racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo.
Per questo nel Decamerone ci si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città è
appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici, furiosi, storie grottesche, paurose,
purché siano storie, e raccontate bene, perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda.
Abbiamo scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad essere appestato è
il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e
l’impudenza dei potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare.
In questa progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far risuonare la voce del Boccaccio
attraverso le nostre voci di teatranti. Per ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori
paesaggistici e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta giornaliera con la quale la
peste ci avvilisce.
Per raccontarci storie che ci rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality in cui ci
ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande Fratello. Perché anche se le storie sembrano
buffe, quegli amorazzi triviali, quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano poi,
sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che risveglia di colpo la coscienza. Potremmo
così scoprire che il re è nudo e che, per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e
debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti.
Marco Baliani
19 – 31 gennaio, sala Shakespeare
IL VIZIO DELL'ARTE
di Alan Bennett traduzione di Ferdinando Bruni
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña,
Vincenzo Zampa, Michele Radice, Matteo de Mojana
luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli
musiche dal vivo Matteo de Mojana
costumi di Saverio Assumma
voce registrata Giorgio Gaddi
produzione Teatro dell'Elfo
«Pensavamo che Alan Bennett non fosse in grado di ripetere il successo di The History Boys, ma con The
Habit of Art è senza ombra di dubbio riuscito di nuovo a fare il botto. The Habit of Art è sicuramente un grande
successo». (The Telegraph). Bruni e De Capitani non potevamo che condividere l’entusiasmo con cui la
stampa inglese ha accolto questo testo che ha inaugurato la stagione 2014/2015 dell'Elfo Puccini il 21
novembre scorso. Dopo la lunga e felice esperienza di The History Boys, i registi dell'Elfo hanno fatto
conoscere al pubblico italiano anche Il vizio dell'arte, bissando il successo del precedente spettacolo.
Il vizio dell'arte è un esilarante gioco di "teatro nel teatro". Assistiamo alla prova di una nuova produzione del
National Theater, intitolata Il giorno di Calibano: cuore del play è l’incontro tra Wystan Hugh Auden e Benjamin
Britten, che si rivedono, ormai anziani, dopo vent'anni di lontananza. Bruni, che firma anche traduzione e regia
con Francesco Frongia, è in scena nella parte del poeta inglese e De Capitani in quella del compositore.
Completano il cast Ida Marinelli, Alessandro Bruni Ocaña, Umberto Petranca, Michele Radice, Vincenzo
Zampa e Matteo de Mojana (al pianoforte).
Con la maturità gli Elfi hanno trovato la loro età dell'oro. Coerenti nella scelta di testi e autori, per lo più di provenienza
angloamericana, da qualche stagione non sbagliano un colpo. Il vizio dell'arte di Alan Bennett lo conferma. Tra
l'entusiasmo di un pubblico che si lascia stregare ma non blandire.
Agile e curatissima, la regia di Bruni e Francesco Frongia è in felice sintonia con il testo, i suoi dentro e fuori, il suo
umorismo colto. Sul palco tutto aperto dell'Elfo si mescolano gli attrezzi della sala teatrale e la scenografia della
disordinata stanzetta di Auden, i piani si intrecciano, ma la visione resta: nitida. Anche nei song, quando a cantare sono i
mobili o le rughe.
Sara Chiappori, la Repubblica
Che alla fine arrivi un pizzico di commozione è vero. A commuovere invece è proprio l'altrettanto vetusto meccanismo
metateatrale, che qui ha una funzione catartica. Ma poi a esser bello è lo spettacolo, non solo perché dà vita. È bello per
come la dà. Ida Marinelli, la regista, è in ombra e però in grado di salire alla ribalta dei sentimenti come sempre le
accade. Elio De Capitani, con il suo parrucchino, sembra un omosessuale inglese più omosessuale di Britten: a volte ci
fa ridere, a volte tocca corde più segrete. L'interpretazione memorabile è di Ferdinando Bruni: per come si è invecchiato
(con pancia e spalle cadenti), per come trascina i piedi nelle pantofole; per come si tira giù il golf ogni minuto; per come
irride ed è ben lontano dal temere la morte che verrà. Con loro, Umberto Petranca, il biografo; Tim, il prostituto; e
Michele Radice, l'autore del testo nel testo che si deve rappresentare, di cui è eroe Calibano, l'uomo che niente altro
vuole se non la conoscenza.
Franco Cordelli, Corriere della Sera
Con la messinscena del Vizio dell'arte di Alan Bennett il Teatro dell'Elfo conferma la felice vena creativa che sta
esprimendo da qualche anno, e centra ancora l'obiettivo dopo un'impressionante serie di successi. Al di là dei singoli
risultati, colpisce l'irriducibile costanza del cammino intrapreso: sottovalutare l'unicità di un simile percorso vuol dire non
comprendere come questa compagnia abbia saputo adattare la propria storia alle esigenze di un nuovo pubblico, di un
nuovo spazio, di una nuova forma di consumo culturale, senza snaturarsi, ma incarnando un profondo impulso di
cambiamento. Al crocevia di queste fortune c'è, non a caso, ancora Bennett, che col suo History boys è assurto, nel
2010, a vero nume tutelare dei primi passi nella "multisala" milanese. L'autore inglese, per gli attori e i registi dell'Elfo, si
sta rivelando un importante punto di riferimento, un po' come lo era stato Fassbinder negli anni Novanta: le sue pièce
sono brillanti, provocatorie, intelligenti, elegantemente trasgressive. Si riallacciano a una tradizione, ma la loro scrittura
appartiene inequivocabilmente al nostro tempo.
Renato Palazzi, Il sole 24 ore
26 gennaio - 7 febbraio sala Bausch
ROAD MOVIE
di Godfrey Hamilton traduzione Gian Maria Cervo
regia Sandro Mabellini
con Angelo Di Genio
produzione Teatro dell’Elfo
Angelo Di Genio si sta rivelando uno dei più bravi attori della sua generazione. Dopo History Boys, che è valso
a lui e agli otto giovani attori il premio UBU, ha ottenuto un successo personale come interprete di Biff in Morte
di un commesso viaggiatore. Road Movie, un piccolo gioiello, ha confermato il suo talento.
Si tratta di un testo profondamente commovente che ci parla della paura dell'amore, della perdita e della
morte, sentimenti spesso inscindibilmente legati. Scritto per la compagnia angloamericana Starvig Artist
Theater, Road Movie ha vinto nel 1995 il Fringe First Award al festival di Edimburgo ed è stato rappresentato
negli Stati Uniti e in molti paesi europei.
Nell’allestimento curato da Sandro Mabellini, Angelo Di Genio interpreta tutti i personaggi, dialogando in scena
con un musicista. Al debutto nella rassegna Nuove Storie nell’autunno 2014, lo spettacolo ha convinto senza
riserve pubblico e stampa,!tanto che il Teatro dell’Elfo ha scelto di ammetterlo nel suo repertorio di produzioni.
Ambientato negli Stati Uniti degli anni Novanta, racconta di Joel, gay trentenne, e della sua avventura coast to
coast durata cinque giorni per rincontrare “il suo amore”, Scott. Un viaggio interiore costellato da incontri che
lo porteranno ad infrangere paure ed accorciare la distanza dagli altri e da se stesso, trasformandolo
profondamente.
Allacciate le cinture di sicurezza, annullate paure e tabù , si parte coast to coast sulle strade dell'anima.
Il testo di Godfrey Hamilton, già definito monumentale per la bellezza del linguaggio e l'intensità emotiva dal
Times, fluisce in cadenza perfetta attingendo a piene mani da trame esistenziali, innamoramenti, incontri,
ribellioni, malattia che nessun incantesimo sconfigge, in continuità tra passato e presente plasmando un
piccolo miracolo drammaturgico che parla di morte per aggrapparsi con forza alla vita.
Angelo Di Genio, annotatevi il nome, da tempo non si vedeva sulla scena un giovane di pari talento.
Joel randagio attraversa gli States da New York a San Francisco, cinque giorni e mezzo di catarsi per
guardare dritto nelle pupille la paura e gli spettatori, riempire la valigia vuota di piccoli oggetti necessari,
simboli di incontri salvifici, ridere, piangere, imprecare, stupirsi, sentire finalmente il flusso delle emozioni
scorrere nelle vene.
Francesca Motta, ilsole24ore.it
Un monologo sull’Hiv, ma anche su di una solitudine estremamente affollata, popolata di personaggi estremi
che racconta l’amore altrettanto estremo fra Joel e Scott.
Sandro Mabellini firma una regia asciutta e incisiva. A reggere questo viaggio che è – almeno così a me pare
– una sorta di presa di coscienza, del mutare dello sguardo di Joel sui sentimenti e dunque punto di partenza
della sua crescita esistenziale, è un bravissimo Angelo Di Genio che si dona al proprio personaggio con una
totalità disarmante, vivendo in scena anche situazioni non facili. Provocatorio e dolce, inquieto e disarmato,
cattura, senza mai compiacerlo, il pubblico che lo segue con grande tensione, in una storia lontana dal
paradiso, disperatamente vitale, che ci riguarda.
Maria Grazia Gregori, delteatro.it
Angelo di Genio è al suo primo spettacolo da solista e riesce a reggere magistralmente la sfida. Non solo è
capace di interpretare con abilità sia la parte di Joel che la parte di Scott, ma dà forza ed intensità anche ai
ruoli minori, plasmando sia personaggi maschili che femminili ed interpretando una variegata schiera di figure
grazie ad un’espressione, una fisicità e un’intonazione di grandissimo livello. Piero Salvatori, impeccabile
violoncellista, completa l’opera con le musiche in scena eseguite con contrabbasso e pianoforte.
Daniele Giacari, Cultweek.it
2 - 7 febbraio, sala Shakespeare
HABEROWSKY
Alessandro Haber è Charles Bukovsky
regia Tonino Zangardi
musica a cura di Alfaromeo
produzione Atalante
Haberowski nasce dall’incontro di Alessandro Haber, Manuel Bozzi, Tonino Zangardi e il produttore Angelo
Calculli. Come spesso accade alle più accattivanti e vincenti sinergie, in un caldo pomeriggio lucano
nell’estate 2014 prende forma una nuova visione, un “remix” come amano chiamarlo gli autori, di una celebre
performance di Haber. Una nuova veste per uno spettacolo di grande successo, andato in scena ormai più di
dieci anni fa (e visto anche al Teatro dell'Elfo di via Menotti).
Gli ingredienti di questo remix: Alessandro Haber interpreta, recita, canta ma soprattutto vive i testi e le poesie
originali di Charles Bukowski, accompagnato dalla musica elettronica di Alfa Romero e da un visual ideato da
Manuel Bozzi e Madlene India Sabin, in una continua interazione con il pubblico. Un’esperienza sonora e
visiva coinvolgente e di grande qualità artistica.
Tecnologia, recitazione, musica, amore si fondono in un progetto ad alto impatto emotivo.
Un live, perché di un vero e proprio LIVE si tratta, che arriva dritto al cuore, che fa emozionare, soffrire,
sorridere e divertire il pubblico che assapora Bukowski sotto una nuova luce, dove le parole si uniscono alla
musica elettronica e alle immagini in un’unica incalzante danza “coreografata” dal regista Tonino Zangardi.
Tonino Zangardi cura la regia di questa pièce. Dopo aver diretto lo stesso Haber più volte, oltre a nomi illustri
come Monica Guerritore, Adriano Giannini, Valeria Golino, si cimenta in questo nuovo viaggio ai confini della
poesia avanguardista e del teatro interattivo. Nell’attesa dell’imminente uscita del suo nuovo film L’esigenza di
unirmi ogni volta con te con Claudia Gerini e Marco Bocci, vi accompagna in questo percorso multisensoriale.
Alfa Romero è il nome del duo composto da Marzio Aricò e Lorenzo Bartoletti, Dj di fama internazionale e
producer di grande levatura della scena techno italiana che hanno accettato la sfida di accompagnare i
dissacranti testi di Bukowski magicamente interpretati da un grande Haber. Il duo propone tracce originali,
appositamente editate per lo spettacolo.
A Manuel Bozzi, designer orafo di fama mondiale, che vanta collaborazioni con le piu grandi maison di moda,
artista preferito di molte star e a sua volta musicista e visual artist, spetta la direzione artistica del progetto.
Accompagnato dalla talentuosa Madlene India Sabin, completa l’opera di Alessandro Haber e Alfa Romero
offrendo al pubblico la parte interattiva dello show unendo ai testi e alla musica una videoproiezione
interattiva.
8 - 14 febbraio, sala Shakespeare
IL SINDACO DEL RIONE SANITÀ
di Eduardo De Filippo
regia Marco Sciaccaluga
con Eros Pagni,
Maria Basile Scarpetta, Federico Vanni, Gennaro Apicella, Massimo Cagnina, Angela Ciaburri,
Orlando Cinque, Gino De Luca, Dely De Majo, Francesca De Nicolais, Rosario Giglio, Luca Iervolino,
Marco Montecatino, Gennaro Piccirillo, Pietro Tammaro
scene Guido Fiorato
costumi Zaira de Vincentiis
musiche Andrea Nicolini
luci Sandro Sussi
produzione Teatro Stabile di Genova, Teatro Stabile di Napoli
Presentato al Napoli Teatro Festival in occasione del trentesimo anniversario della morte del suo autore, Il
sindaco del Rione Sanità con Eros Pagni protagonista ha superato, raccogliendo un grande esito di pubblico,
la scommessa di portare “in casa” di Eduardo De Filippo un testo di Eduardo interpretato da un attore non
napoletano.
L’azione si svolge per i primi due atti nella residenza di campagna di Don Antonio Barracano e nel terzo nella
sua casa di città, al Rione Sanità. In entrambi i luoghi, Don Antonio esercita, con il trentennale appoggio del
sempre più disincantato dottor Fabio della Ragione, la sua personale idea della legge. Fa estrarre pallottole e
ricucire ferite dal corpo di giovanotti troppo animosi; concede “udienze” giornaliere a chi si rivolge a lui per
avere giustizia e protezione. Lo spettatore fa così la conoscenza di una curiosa fauna umana, composta da
piccoli delinquenti, usurai e bottegai poco accorti. Per tutti Don Antonio ha la soluzione giusta. Ma quando
davanti a lui si presentano Rafiluccio e Rituccia, sua compagna in avanzato stato di gravidanza, le cose si
complicano. Rafiluccio, infatti, non chiede aiuto o protezione, vuole solo comunicargli che ucciderà suo padre,
Arturo Santaniello, ricco panettiere, che lo ha diseredato e cacciato di casa, non riconoscendolo più come
figlio. Prima di dare il suo parere, Don Antonio vuole però sentire “l’altra campana” e convoca pertanto il
padre, al quale dapprima confida la storia vera del suo primo delitto contro i soprusi di un arrogante
prepotente, invitandolo poi a riconciliarsi con i figlio. Ma il panettiere rifiuta e lo invita di fatto a farsi gli affari
suoi, dando così inizio a un tragico precipitare degli eventi.
Scritta e rappresentata nel 1960, Il sindaco del Rione Sanità è una commedia che lo stesso Eduardo amava
definire «simbolica e non realistica», una commedia che «affonda le proprie radici nella realtà, ma poi si
sgancia da essa, si divinizza, per dare una precisa indicazione alla giustizia», perché «Don Antonio è
qualcosa di assai diverso da quel capo camorra che all’inizio sembrerebbe che fosse: egli è un visionario che
cerca di ristabilire nel mondo un ordine andato fuori sesto».
La regia di Sciaccaluga lascia parlare il copione e questo s'impone sia con l'impagabile dialettica degli episodi
sia con la magnifica teatralità del loro svolgimento, a partire dal celebre, irresistibile, inizio con la famiglia di
don Antonio Barracano che senza parlare, in pigiami e pantofole, allestisce in piena notte una camera
operatoria per un ferito di arma da fuoco.
Con qualche inflessione napoletana tra virgolette, Eros Pagni fa di Barracano un uomo stanco, curvo, che
spesso si astrae per colloquiare tra sé e sé, canterellandosi qualcosa o ridacchiando per qualche ricordo
personale da cui gli altri sono esclusi.
Superbo allestimento di grande castità visiva, scena quasi inesistente ma personaggi molto vivi e plausibili,
eccellentemente resi da una compagnia numerosa.
Masolino d'Amico, La Stampa
9 febbraio - 6 marzo, sala Fassbinder
HARPER REGAN
di Simon Stephens traduzione di Lucio De Capitani
regia di Elio De Capitani
scene e costumi Calo Sala
con Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Camilla Semino Favro, Marco Bonadei e altri tre attori
luci di Nando Frigerio
suono di Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell'Elfo
prima nazionale
Simon Stevens (Manchester 1971) ha scritto una trentina di testi, rappresentati da importanti teatri del Regno
Unito e di altri paesi del Commonwealth, negli Usa e nel Canada, in Olanda, in Germania, nell’est Europa.
Autore già premiatissimo, con la sua ultima pièce è in corsa per i Tony Awards 2015. L’Elfo e Elio De Capitani,
grande appassionato dei suoi testi, hanno pensato che non si poteva aspettare a farlo conoscere anche in
Italia.
Il titolo scelto è Harper Regan, un'opera in due atti, che ha debuttato al National Theatre nel 2008. Una storia
coinvolgente e spiazzante che procede a ritmi serrati, portando in scena una splendida figura protagonista, la
quarantunenne Harper Regan (interpretata da Elena Russo Arman), e nove personaggi, tutti magistralmente
definiti nella brevità e nella concentrazione dei dialoghi.
Harper abbandona improvvisamente il lavoro, il marito e la figlia adolescente per andare a trovare un'ultima
volta il padre morente e il viaggio di andata e ritorno di soli due giorni, da Uxbridge (nei sobborghi di Londra)
verso Stockport e Manchester, diventa un percorso di presa di coscienza lungo il quale emergono i nodi
irrisolti della sua vita, le sue difficoltà personali e famigliari.
Il confronto con la malattia, gli incontri con uomini molto più giovani e più anziani di lei, il ritorno ai luoghi
dell'infanzia trasformano rapidamente il viaggio della donna in una violenta e a tratti comica esplorazione della
morale del sesso e della morte, delle relazioni con i genitori, con la figlia, il marito e prima di tutto con se
stessa.
Il drammaturgo inglese Simon Stephens (1971) dopo avere insegnato per alcuni anni al Royal Court Theater,
nel corso per Young Writers, è diventato "artista associato" del Lyric Hammersmith di Londra, dove hanno
debuttato le sue pièce Morning e Tree Kindoms (2012) e della Step Theatre Company di Chicago che ha
portato in scena le prime statunitensi di Harper Regan e Motortown. La sua ultima pièce, un adattamento del
romanzo di Mark Haddon Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ha vinto sette Olivier Award e ha
ricevuto sei nomination ai Tony Awards 2015 tra cui quello per il miglio testo.
16 - 28 febbraio, sala Shakespeare
NUOVO SPETTACOLO
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista
mai scritto da Antonio Rezza
habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Mattia Vigo
produzione Fondazione TPE - Teatro Vascello la Fabbrica dell’attore - RezzaMastrella
Il nuovo spettacolo della coppia più anarchica del teatro italiano: Flavia Mastrella crea sculture
sceniche, Antonio Rezza le abita con il suo corpo ipercinetico, smontando inesorabilmente la
rappresentazione.
In uno spazio privo di volume, il muro piatto chiude alla vista la carne rituale che esplode e si
ribella. In uno spazio privo di volume, il muro piatto chiude alla vista la carne rituale che
esplode e si ribella.
Non c’è dialogo per chi si parla sotto.
18 - 28 febbraio sala Bausch
IL VICARIO
di Rolf Hochhuth
progetto e lettura di Matteo Caccia, Marco Foschi, Nicola Bortolotti,
Enrico Roccaforte, Cinzia Spanò e Rosario Tedesco
luci di Giuliano Almerighi
coordinamento Cinzia Spanò
adattamento e Regia di Rosario Tedesco
si ringrazia l’associazione culturale PIANOINBILICO
Ospitato il 27 gennaio 2015, per il Giorno della Memoria (la ricorrenza internazionale celebrata ogni 27
gennaio in ricordo delle vittime dell'Olocausto), la mise en espace de Il vicario, frutto del lavoro gruppo di
bravissimi attori che dopo le comuni esperienze di spettacoli con Latella, entra nella nuova stagione dell’Elfo
Puccini.
"Un testo teatrale deve essere breve e aggressivo come una dichiarazione di guerra".
Queste le parole che Hochhuth ci ha rivolto quando siamo andati a trovarlo nella sua casa di Berlino, e ha
accettato l'invito a parlarci del suo testo, qui in Italia pressoché sconosciuto, ma che in Germania ha venduto
un milione di copie e viene letto nelle scuole. Un'opera che ha sollevato aspre e mai sopite polemiche, che
hanno costretto la Chiesa ad aprire gli archivi vaticani e a fare luce sull'atteggiamento di Pio XII nei confronti
dell'eccidio ebraico.
2 divise 2 uomini
La storia, i suoi orrori, il silenzio e la responsabilità. Un soldato tedesco e un prete italiano, s'incontrano nel
teatro della storia. Di fronte alle atrocità del lager, scoprono tutta l'ipocrisia delle loro esistenze, la follia del
mondo. Così intraprendono la missione di portare al Papa notizia dell'olocausto. Spogliandosi dalle loro divise,
scoprono che è possibile essere uomini, soltanto accettando le proprie responsabilità. Nonostante questa
dolorosa acquisizione, la Chiesa rimarrà muta davanti al sacrificio degli innocenti.
Il progetto che ha preso spunto dal testo di Hochhuth, è una mise en espace delle scene più significative del
testo. Le parole vengono offerte nella loro nudità, invito alla riflessione sulle conseguenze del silenzio.
Assumersi la responsabilità del proprio tempo. Scegliere: silenzio o grido.
Il gruppo
Artefice di questo lavoro è un gruppo di attori che fin dagli inizi ha partecipato e contribuito in maniera
determinante ai progetti e spettacoli di Antonio Latella, affrontando autori come Genet e Pasolini,
Shakespeare e Marlowe, Goldoni e Kafka.
1 - 13 marzo, Sala Shakespeare
IL BUGIARDO
di Carlo Goldoni
con Maurizio Lastrico, Michele di Mauro
e Popular Shakespeare Kompany
regia Valerio Binasco
musiche originali Arturo Annecchino
scene e Costumi Carlo de Marino
luci Pasquale Mari
produzione Oblomov Films Srl in collaborazione
con il Festival Estate Teatrale Veronese e la Versiliana Festival
È una commedia celeberrima, ricca di gag e di fulminanti trovate comiche: gli equivoci che danno vita alla
storia. Goldoni è un autore moderno, con lampi di vera contemporaneità. Il Bugiardo offre molte occasioni per
una regia ispirata dal gioco del teatro, che si avvale di un gruppo di attori formidabili, capaci di trascinare il
pubblico e di sorprenderlo continuamente. Il Bugiardo è un punto di arrivo importante per la nostra Kompany,
Tratteremo Goldoni così come abbiamo trattato Shakespeare: cercando di evidenziarne al massimo la forza
poetica e i sentimenti più coinvolgenti.
Valerio Binasco
Il bugiardo di Goldoni diretto da Valerio Binasco è da apprezzarsi per più ragioni, tra cui la conferma di una compagnia
giovane e affiatata. Proprio come nel football, anche a teatro le star possono offrire momenti di estasi, ma quando tutta
la squadra funziona l'astante prova un senso di impagabile relax. Ovviamente perché ciò si dia c'è anche bisogno di un
buon copione, e questo Bugiardo, per cui il grande veneziano rielaborò genialmente una vecchia farsa spagnola ripresa
anche da Corneille, è mirabile nel crescendo di bugie, o come famosamente le definisce il protagonista, di spiritose
invenzioni, con cui costui preso nel proprio gioco di non arrendersi davanti all'evidenza, riesce a mandare avanti i suoi
imbrogli solo a patto di caricare continuamente la dose, fino all'assurdo e a un parossismo di comicità.
Maurizio Lastrico dà un'allegria autoreferenziale nervosa e sotto sotto insicura, ma superficialmente irresistibile, alla
quale momentaneamente tutti si arrendono volentieri, malgrado le riserve del disincantato Arlecchino di Sergio Romano.
In una scenografia deliberatamente dimessa, con vestiti trasandatamente modernoidi, tutti reggono il gioco a meraviglia;
tra i più meritevoli ricorderò Fabrizio Contri e Michele Di Mauro come i vecchi.
Masolino d’Amico, La Stampa
Poesia pura tra i pieni e i vuoti della scenografia: finestre aperte sulla sconfinata tristezza di esistere. E poi la vera forza
dello spettacolo. Gli attori al servizio di una costruzione contemporanea. Il Lelio di Maurizio Lastrico è uno straordinario
lucifero traballante, accartocciato sulla sua fame atavica di spiritose invenzioni. Mangiato dalla paura dell'ombra che gli
disegna mirabilmente il volto, a perenne distanza di sicurezza dai suoi interlocutori, più affamato dell'Arlecchino (un
cinico Sergio Romano) che gli fa da pubblico, sguscia e s'insinua intrappolato tra le maglie delle sue stesse bugie.
Attorno a lui gesticola una Beatrice (Elena Gigliotti) più provinciale e meglio costruita di quanto fece Goldoni e poi le altre
donne: Deniz Özdogan, una Rosaura così ironica sulle sue svenevolezze d'amore da render inutili le stucchevoli
rappresentazioni goldoniane. Maria Sofia Alleva non è più la Colombina ossequiosa del suo ruolo ma già al primo
quadro appare con il suo lato B. E poi gli uomini, a partire dalla forza classica di Michele di Mauro, un Pantalone che
scava nella paternità con una sofferenza moderna. La caratterizzazione di Fabrizio Contri ci ricorda la precedente
operazione di Binasco nella Tempesta. Nicola Pinelli è uno spaurito Brighella, Andrea Di Casa un tronfio Ottavio,
Roberto Turchetta un esagerato Florindo e Ivan Zerbinati un poliedrico caratterizzatore.
Simone Azzoni, l’Arena
Valerio Binasco ha allestito uno spettacolo molto interessante, abbigliando gli interpreti in abiti vagamente anni sessanta
e facendo di Lelio una sorta di disadattato che si crea un mondo parallelo edificato con i mattoncini delle sue bugie come
fosse un gigantesco Lego colorato, che crollerà messo alle strette dal grigio conformismo e dalla banalità del reale.
Molto ritmo nella seconda parte e bella la scena finale con quelle copie “regolari” tristi e già rassegnate a un avvenire di
noia garantita, priva delle spiazzanti invenzioni dello spirito dell’intruso Lelio.
Rita Cirio, L’Espresso
8 - 20 marzo, sala Fassbinder
GYULA
UNA PICCOLA STORIA D’AMORE
scritto e diretto da Fulvio Pepe
con Ilaria Falini, Orietta Notari, Gianluca Gobbi, Enzo Paci, Alberto Astorri, Nanni Tormen,
Ivan Zerbinati, Alessia Bellotto, Nicola Pannelli, Tania Rocchetta, Massimiliano Sbarsi
spazio scenico Mario Fontanini
luci Pasquale Mari
realizzazione costumi Simone Jael Hofer, Chiara Teggi
produzione Fondazione Teatro Due
Gyula è quasi una favola, immersa in un clima immaginifico, povero e puro. In un paese lontano, sospeso nel
tempo e nello spazio, vive un ragazzo diverso, amorevolmente cresciuto e protetto da mamma Eliza; il vicinato
è raccolto intorno a poche strade, un bar e una vecchia falegnameria. I personaggi di questa storia, divisi fra
personalità pragmatiche, terrigne e caratteri eterei, poetici, conducono una vita semplice: Bogdan e Adi sono
operai, Messi è capo cantiere, Yury fa il tranviere, Viku il barista, Nina l’ubriacona, il Maestro Jani è un
violinista con l’artrite alle mani, sposato con Tania.
Complici una serie di prodigiose coincidenze, Gyula, personaggio di lacerante purezza e di tenera ingenuità,
riuscirà a incidere la grevità della realtà che lo circonda, divenendo l’artefice di un piccolo, grande miracolo
che convincerà tutti che è possibile librarsi in alto e credere che esista sempre un’altra possibilità.
Con questi elementi, Fulvio Pepe mette in scena le piccolissime avventure della vita quotidiana di una
comunità: le speranze, i timori, le gioie, persino l’amore si raccolgono in una storia popolare, nel senso più alto
del termine, in una favola minima e poetica che riesce a parlare agli spettatori, rivelando in pochi tratti un
intero universo.
Protagonista assoluta di questo vivace racconto corale è la piccola storia d’amore del sottotitolo, quella fra la
madre e il figlio disabile, ma anche quella fra l’autore del testo e la musica, elemento che attraversa la
narrazione e permea di sé lo spettacolo.
Fulvio Pepe, attore di solida esperienza teatrale e cinetelevisiva, ha saputo convincere anche in questo suo
debutto come autore e regista. Diplomato al Teatro Stabile di Genova, ha lavorato fra gli altri con Peter Stein (I
demoni), Giuseppe Patroni Griffi (Il Vizietto), Valerio Binasco (Noccioline, Romeo e Giulietta, Il mercante di
Venezia e La Tempesta), Jurij Ferrini (Cymbeline), Marco Sciaccaluga. Ha interpretato il commissario Rizzo
nella serie Tv Romanzo Criminale.
Dice del suo spettacolo: «C’è qualcosa nella musica che mi ricorda l’amore. La sua capacità di aggirare la mia
sfera cosciente le permette di far emergere delle parti di me profonde e sconosciute soprattutto, delle parti
dell’io talmente pure da essere spudorate. Ecco, credo che la spudoratezza sia la prima caratteristica
dell’amore, come la verità. Di entrambe le cose io ho estrema paura, eppure so che entrambe (non so come,
non saprei spiegare in che modo) sono intimamente legate al testo messo in scena.
Gyula richiama la struttura narrativa di una favola, una sorta di grammatica infantile che trova il suo culmine in
un lieto fine nato quasi involontariamente».
Al suo esordio da regista e autore Fulvio Pepe ha creato con Gyula un piccolo gioiello, un racconto delicato, mai
stucchevole, grazie al giusto equilibrio tra grandi sentimenti, miserie umane e umorismo. La storia scorre senza ostacoli,
il pubblico ride, partecipa, si entusiasma; quel piccolo mondo attrae semplicemente al suo interno, nel cuore dei
personaggi ai quali ci si affeziona già dalle prime battute, perché ognuno di loro ha una personalità compiuta, mai
approssimativa, e ottima è la prova degli undici attori in scena. Si vede il mestiere di Fulvio Pepe, è chiara la scelta di
costruire ogni personaggio e l’intera drammaturgia sul singolo interprete, come lui stesso spiega, ognuno col suo ruolo
cucito addosso, su misura, in una idea di teatro come arte dell’attore.
Giulia Foschi, la Repubblica
15 - 23 marzo, sala Shakespeare
TI REGALO LA MIA MORTE, VERONICA
di Federico Bellini e Antonio Latella
liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano
regia Antonio Latella
con Monica Piseddu, Annibale Pavone, Valentina Acca, Candida Nieri, Caterina Carpio, Nicole Kehrberger,
Fabio Pasquini, Maurizio Rippa, Massimo Arbarello, Sebastiano Di Bella, Fabio Bellitti
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
musiche Franco Visioli luci Simone de Angelis
ombre Altretracce
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione nell'ambito del Progetto Prospero
Il lavoro di indagine sulla drammaturgia contemporanea, che Emilia Romagna Teatro Fondazione persegue da
anni, segna oggi una nuova tappa grazie al nuovo allestimento di Antonio Latella. Latella consolida il suo
rapporto con lo stabile regionale dell’Emilia Romagna dirigendo Ti regalo la mia morte, Veronika, lavoro che il
regista di origine napoletana ha riscritto con il drammaturgo Federico Bellini ispirandosi liberamente - come
esplicitamente dichiarato nel sottotitolo - alla poetica del cinema fassbinderiano.
Ecco allora che, dopo il pluripremiato Un tram che si chiama desiderio, Latella prosegue la propria analisi
nell’universo femminile con uno spettacolo che rilegge i miti del cinema occidentale e ne indaga le icone che
essi hanno regalato alla memoria collettiva, senza dimenticare Francamente me ne infischio, personale
rilettura di Via col vento che ha recentemente impegnato il regista nel confronto con un film chiave della storia
popolare del cinema occidentale.
Latella ritrova qui la poetica di Rainer Werner Fassbinder a distanza di quasi dieci anni: era infatti del 2006 la
sua rilettura teatrale di Le lacrime amare di Petra von Kant. La base di questo nuovo lavoro non è però un
testo teatrale dell’autore bavarese, ma parte dell’opera cinematografica che Fassbinder ha dedicato alla
rappresentazione e all’analisi della donna. Partendo dalla rievocazione della vicenda di Veronika Voss, ultima
tra le protagoniste del suo cinema, lo spettacolo incontra alcune tra le figure femminili grazie alle quali il
regista ha consegnato forse una grande, unica opera, una lavoro il cui sguardo cinematografico e biografia
personale tendono inevitabilmente a coincidere. Una corsa folle, senza protezioni, una prolungata
allucinazione dove realtà e finzione diventano quasi indistinguibili. Entriamo così nella mente di Veronika, diva
sul viale del tramonto e vittima della morfina somministrata da medici senza scrupoli, dove i ricordi e i
personaggi rievocati diventano apparizioni in bianco e nero, il nero come forma perfetta che fagocita gli altri
colori e il bianco della purezza ma anche del lutto. E, inevitabilmente, il bianco della morfina che trasforma le
memorie in gratificazioni, deforma ogni percezione fino a rendere accettabile la morte come possibilità, o
liberazione. Un viaggio in cui Veronika e le altre eroine del cinema fassbinderiano regalano il proprio sacrificio
al loro ideatore, il regista, il medico ma anche il carnefice Fassbinder, a sua volta, probabilmente, personaggio
del suo stesso dramma.
4 - 17 aprile, sala Fassbinder
ROSSO
di John Logan traduzione di Matteo Colombo
regia, scene e costumi di Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña
luci di Nando Frigerio
produzione Teatro dell'Elfo
Uno dei successi più sorprendenti del Teatro dell'Elfo: tra il maggio 2012, quando ha debuttato a Milano, e la
tournée del 2013 ventimila spettatori hanno applaudito Rosso. A grande richiesta torna in scena all'Elfo
Puccini.
Red negli Stati Uniti era stato un caso: dopo il successo al Golden Theater di Brodway e al Donmar
Warehouse di Londra, si era aggiudicato 6 Tony Award nel 2010. John Logan è noto come sceneggiatore di
molti capolavori cinematografici: dai film di Scorsese The Aviator (soggetto e sceneggiatura) e Hugo Cabret
(nomination per l'Oscar 2012), a Sweeney Todd di Tim Burton fino agli ultimi due episodi di 007, Skyfall e
Spectre (in uscita in autunno), diretti da Sam Mendes.
La pièce è ispirata alla biografia del pittore americano Mark Rothko, maestro dell’espressionismo astratto, che
alla fine degli anni Cinquanta ottenne la più ricca commissione della storia dell’arte moderna, una serie di
murali per il ristorante Four Season di New York. Puntando i riflettori proprio su quel periodo, Rosso mette in
scena lo scontro tra generazioni di artisti: tra Rothko, un uomo maturo che fa i conti con se stesso, e Ken,
giovane allievo alla ricerca di un "padre". «Il figlio deve scacciare il padre. Rispettarlo, certo, ma anche
ucciderlo» - sostiene Rothko ripercorrendo la propria storia - «Abbiamo distrutto il cubismo, io e de Kooning e
Barnett Newman». Dopo due anni di lavoro febbrile per realizzare i dipinti murali, sarà inevitabilmente Ken a
mettere in discussione il maestro in uno scontro teso e feroce che lo spinge alla scelta radicale (ma
intimamente coerente) di disattendere gli impegni con il Four Season.
Firmato da uno che lavora per il cinema, e si sente, ma che conosce bene anche l'arte del dialogo teatrale (e
le sue furbizie). Buon punto di partenza, ma non sufficiente a garantire la riuscita dello spettacolo. Cosa che
invece accade a questa versione diretta con puntuale intelligenza da Francesco Frongia. Sua anche la scena
che ricostruisce con amorevole cura lo studio di Rothko: le grandi tele che fanno esplodere il rosso, l'amaranto
e la voragine del nero, i pennelli, il giradischi, i pastelli, gli schizzi, i cavalletti.
Il resto lo fa Bruni, a suo agio nel ruolo, un Rothko arrogante e irrequieto, sprezzante e fragile, perché «è una
tragedia diventare irrilevanti quando si è ancora vivi». Teorizza, pontifica, dissacra, si tormenta combattuto tra
mercato e sacralità dell'arte. Andy Warhol e compari lo incalzano alle spalle e nel confronto con Ken si
consuma il conflitto tra generazioni. Feroce, perché i figli devono uccidere i padri, ma non necessariamente
destinato al fallimento. Come dimostra un finale che riesce anche a commuovere, a chiusura di uno spettacolo
cavalcato da Bruni (e dal suo giovane compagno) con agilità, precisione e il tocco sensibile di chi sa fare del
teatro una festa del pensiero senza essere saccente e dell'emozione senza essere retorico.
Sara Chiappori, la Repubblica
Serrato, intenso e anche spiritoso com'è, si avvale di un'eccellente regia di Francesco Frongia, autore anche
di scena e costumi, coronata dalla superba interpretazione di Ferdinando Bruni, adeguatamente coadiuvato da
Alejandro Bruni Ocaña. Il successo incondizionato della serata dimostra, quando c'è la qualità, la disponibilità
del pubblico davanti a proposte meno scontate di quelle consuete ai nostri prudenti cartelloni. Il Teatro
dell'Elfo compie così un altro passo lungo questa benemerita strada.
Masolino D’Amico, La Stampa
5 - 10 aprile, Sala Shakespeare
LA REGINA DADA
con Stefano Bollani e Valentina Cenni
scritto e interpretato da Stefano Bollani e Valentina Cenni
musiche Stefano Bollani
sound design Francesco Giomi
regia del suono Francesco Canavese/Tempo Reale
light design Luigi Biondi
scenografie Andrea Stanisci
produzione Stefano Bollani, Pierfrancesco Pisani in collaborazione con Infinito srl
«Piu in alto che l’amore per l’uomo io pongo l’amore per i fantasmi».
Dopo le sue celebri incursioni nei territori radiofonici e televisivi, il sempre piu poliedrico Stefano Bollani si
lancia questa volta in un’avventura teatrale e debutta come autore e attore al fianco di Valentina Cenni, con
uno spettacolo surreale, intessuto di musica, che esplora i territori della creatività, al di fuori dagli schemi
oppressivi del senso comune. Nel testo una regina di fiaba, frenetica e assorta al tempo stesso, si inoltra nel
bosco delle avanguardie, dove incontrerà un Dio Pan depresso e intristito e altre creature fantastiche, frutto
della sua stessa immaginazione, con cui dialogherà su passato, presente, futuro, vita, morte.
La grazia e la fisicità di Valentina Cenni, il panorama sonoro creato da Francesco Giomi di Tempo Reale, le
musiche composte e eseguite dal vivo dallo stesso Bollani, le luci di Luigi Biondi evocano impalpabilmente le
stranianti follie dell’universo Dada.
La regina Dada cerca il centro della terra e al tempo stesso i confini della propria testa. È inciampata in una
realtà e con grande entusiasmo prova a ritrovarsi e a ricostruirsi. Senza nessun altro?. Senza nessun altro.
Tanto tutto è uno.
La Regina Dada ha debuttato nel luglio 2014 al Mittelfest di Cividale del Friuli.
Stefano Bollani comincia a suonare il pianoforte a sei anni e a quindici esordisce professionalmente. Da allora
si esibisce nei contesti musicali più disparati, dal jazz con Enrico Rava, Chick Corea, Martial Solal, Gato
Barbieri, Richard Galliano, Lee Konitz e tanti altri fino alla musica classica con Riccardo Chailly, Daniel Harding,
Kristjan Jarvi e al pop-rock.
Ha condotto programmi radiofonici (Il dottor Djembè, radio3) e televisivi (Sostiene Bollani, Rai3).
Ha scritto alcuni libri (tra cui il romanzo La sindrome di Brontolo e Parliamo di musica).
Fra i numerosi dischi a suo nome, l'incisione della Rapsodia in Blu di Gershwin insieme alla Gewandhaus
Orchester di Lipsia (più di 80.000 copie vendute solo in Italia) e i suoi due lavori più recenti, Joy in spite of
everything con Bill Frisell, Mark Turner, Jesper Bodilsen e Morten Lund e Sheik yer Zappa, un live-tributo alla
musica di Frank Zappa.
Valentina Cenni, nasce a Riccione nel 1982, studia danza classica/contemporanea per 18 anni. Si diploma della
Royal Academy of Dancing di Londra. Nel 2007 si diploma all' Accademia nazionale d' Arte Drammatica Silvio
D'Amico. Artista poliedrica è interprete di molti spettacoli tra i quali Il compleanno di Pinter per la regia di Fausto
Paravidino; Antigone di Sofocle per la regia di Cristina Pezzoli. Inoltre è protagonista in Aggiungi un posto a tavola
di Garinei & Giovannini accanto a Gianluca Guidi. Nel 2011 è Rossana nel Cyrano di Bergerac di e con Alessandro
Preziosi e nel 2014 è Desdemona nell'Otello di e con Luigi Lo Cascio.
Per Rai3 è protagonista di Babele di Letizia Russo, per il progetto di teatro in televisione Atto unico. È Micol nel
nuovo film di Sergio Castellitto Nessuno si salva da solo e da una decina d'anni inventa e porta in scena spettacoli
di danza col fuoco. Di recente insieme al violoncellista Enrico Melozzi forma il duo I fuochi di Bach. Come
fotografa, ha realizzato copertine di libri (Mondadori) e dischi (Universal, ECM).
18 - 22 aprile, sala Fassbinder
APOCALISSE
da Niccolò Ammaniti
regia Giorgio Gallione
con Ugo Dighero
produzione Teatro dell’Archivolto
L’Apocalisse, senza trombe del giudizio ad annunciarla, è arrivata! Dai racconti di Niccolò Ammanniti una
parodia a tinte fosche e grottesche della nostra società.
I racconti di Niccolò Ammaniti sono commedie grottesche, al limite dell'inverosimile, che utilizzano spesso un
linguaggio senza ipocrisie, duro, spudorato e vorace; vicende paradossali dove il delirio comico e
l'immaginario sfrenato convivono ed esplodono sulla pagina.
Apocalisse monta e incrocia in palcoscenico due racconti scritti in tempi molto diversi: Lo zoologo (tratto da
Fango) e Sei il mio tesoro (nel volume Crimini). Queste due storie si innestano nella vicenda di un uomo
colpito da un morbo misterioso contratto con l'avvicinarsi di una sorta di Apocalisse globale, arrivata senza
trombe del giudizio ad annunciarla. Ma ormai per lui e - teme - per tutti, qualsiasi processo biologico provoca
disagio, dolore: dal camminare alla crescita della barba, dal sorridere al fare all’amore. Allora, barricato in una
devastata casa/hangar, con le ultime forze scrive e racconta storie simbolo di questo progressivo disfacimento
dell'umanità e del mondo. Vengono così evocati sulla scena zombie che prendono la laurea e folli chirurghi
plastici, poliziotti antidroga dal grilletto facile, ultras demenziali e violenti, cabarettisti cialtroni e starlette
formose dal dubbio talento.
Ne viene fuori uno spettacolo che è una perfida parodia di una società alla deriva, un po' operetta a/morale e
un po’ favola nera. Ma, lo sappiamo, nel tempo dell’Apocalisse le favole sono cambiate e «nella bocca dei
poeti anche la bellezza è terribile».
In Apocalisse i testi di Ammaniti e la regia consentono a Dighero di esprimere il massimo, passando attraverso
diversi personaggi e accompagnando il tutto con una fisicità interpretativa ai limiti dello sfoggio atletico, da
gran saltimbanco della gestualità, oltre che della parola.
Silvana Zanovello, Il Secolo
La grande abilità del regista, con il contributo determinante dell’attore Ugo Dighero, è di avere collegato le due
storie in modo da ricavarne un unico quadro, coerente e terribile a un tempo. Uno spettacolo che tocca tutte le
corde della rappresentazione teatrale, dalla comicità al dramma, dal virtuosismo fisico alla modulazione della
recitazione. Il risultato è ottimo.
Umberto Rossi, Cinema e Teatro
Ugo Dighero, volto noto al pubblico televisivo per la sua partecipazione a trasmissioni e fiction televisive – da
Mai dire Gol ai Ris a Un medico in famiglia – è un attore di solida formazione teatrale. Diplomato alla Scuola di
recitazione dello Stabile di Genova, ha dato vita insieme a Maurizio Crozza, Carla Signoris, Marcello Cesena e
Ugo Pirovano ai Broncoviz, protagonisti per diversi anni degli spettacoli del Teatro dell’Archivolto. Una volta
terminata l’esperienza Broncoviz, Dighero ha continuato a collaborare con l’ensemble diretto da Giorgio
Gallione, prendendo parte in tempi recenti a spettacoli come Italiani, italieni, italioti (insieme alla Banda Osiris),
La nonna e Ciò che vide il maggiordomo (coprodotti dall’Archivolto con il Teatro Stabile di Genova). Tra i suoi
ultimi spettacoli teatrali: Servo per due di Richard Bean, diretto e interpretato da Pierfrancesco Favino, Il
matrimonio del Signor Mississippi di Frederick Durrenmatt, diretto da Marco Sciaccaluga e prodotto dal Teatro
Stabile di Genova (2015).
2 - 8 maggio, sala Fassbinder
AMORE
di Spiro Scimone
regia di Francesco Sframeli
con Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Gianluca Cesale e un interprete in via di definizione
scenografia di Lino Fiorito
produzione compagnia Scimone Sframeli
Dai, amore, dammi un bacio sulle labbra!
Dammi un bel bacio sulle labbra!...(pausa)
Come da giovani, amore... Come quando eravamo giovani, amore!
Amore è l'ottava commedia di Spiro Scimone, la quarta con la regia di Francesco Sframeli (dopo La Busta,
Pali e Giù) messa in scena dalla compagnia Scimone Sframeli. Il debutto in prima assoluto è previsto
nell’estate 2015.
In scena due coppie: il vecchietto e la vecchietta, il comandante e il pompiere. Quattro figure che non hanno
nome. Si muovono tra le tombe. La scena è, infatti, un cimitero.
Il tempo è sospeso, forse, stanno vivendo l'ultimo giorno della loro vita. Dialoghi quotidiani e surreali, ritmi
serrati che intercettano relazioni, attenzioni e richieste fisiche che celano necessità sul limite tra la verità e la
tragedia del quotidiano.
Spiro Scimone prosegue il suo percorso drammaturgico ai bordi dell'umanità, all'interno di non luoghi, dove i
personaggi non hanno nome e sono “tutti vecchietti”.
L' Amore è una condizione estrema e, forse, eterna.
Partiti come "allievi" del grande Carlo Cecchi, Spiro Scimone, scrittore e autore, e Francesco Sframeli sono
una delle poche compagnie realmente indipendenti, che, senza teatri riconosciuti alle spalle, hanno inventato
una narrazione del presente, dell'io contemporaneo surreale e visionaria, forte di una rielaborazione in chiave
originale delle esperienze letterarie e drammaturgiche che hanno segnato il Novecento, da Beckett a Pinter, e
forti di un linguaggio che ha radici nel dialetto siciliano a sua volta rielaborato in una lingua teatrale anche
quando è "italiano" come negli ultimi testi. Non solo: Scimone e Sframeli hanno collaborato con il meglio della
regia italiana da Carlo Cecchi a Valerio Binasco e Gianfelice Imparato, con gli scenografi più "artisti" come
Titina Maselli, Lino Fiorito, Sergio Tramonti, Barbara Bessi, attori come Nicola Rignanese, Salvatore Arena,
Gianluca Casale per non parlare della collaborazione con la Comédie Française che ha voluto i loro testo nel
proprio repertorio.
Dicono Scimone e Sframeli: «speriamo di dare un segnale forte per promuovere il teatro in un altro modo.
Siamo una delle poche compagnie che hanno in vita il loro intero repertorio, cosa rara in Italia dove c'è una
scarsissima considerazione per gli autori. Che fare? Secondo noi bisogna partire dal pubblico, avvicinarlo in
altro modo, coltivare la sua attenzione attraverso incontri, con una formazione universitaria adeguata a partire
dai giovani. Vuol dire per noi artisti andare nelle scuole e nelle università a far conoscere i percorsi creativi».
Anna Bandettini, larepubblica.it
2 - 8 maggio, sala Bausch
CARO GEORGE
di Federico Bellini
regia Antonio Latella
con Giovanni Franzoni
costumi Graziella Pepe
musiche Franco Visioli
luci Simone De Angelis
produzione stabilemobile - compagnia Antonio Latella
Nell’ottobre del 1971, a Parigi, una retrospettiva consacra Francis Bacon come uno dei più grandi pittori del
suo tempo. Alla vigilia della mostra, George Dyer, amante e modello dell’artista irlandese, si suicida nella
stanza d’albergo che ospitava entrambi. Davanti ai dipinti che raffigurano George, Bacon rivive la relazione
con il compagno, in un momento in cui trionfo artistico e fallimento esistenziale si confondono, diventando
anch’essi, inevitabilmente, materia del dipingere.
Federico Bellini
Franzoni percorre con chirurgica nettezza e sorprendente trasporto emotivo gli stati d'animo dell'artista
intimamente devastato da questa perdita, in uno straniante intersecarsi tra l'acclamazione pubblica a lui
tributata e l'abisso senza fine in cui è repentinamente precipitato il suo vissuto più intimo. Gli innumerevoli
dipinti in cui aveva immortalato Dyer si tramutano pertanto in specchi deformanti ad imperitura testimonianza
del suo fallimento umano, in una roulette russa al massacro che si traduce in un'eruzione verbale rabbiosa ed
incontenibile, un soliloquio che sotto il manto della venefica invettiva cela un rimorso che non potrà mai
conoscere balsamo lenitivo. Ecco che però, avviandosi verso l'epilogo dell'opera, Bellini e Latella disvelano
repentinamente l'altra faccia della medaglia dando voce agli ultimi strazianti vaneggiamenti di George, in un
rallentamento progressivo del concitato ritmo sino a sprofondare in un silenzio che è mutismo, contorsione,
smorfia disumana ed agonizzante che condurrà il suicida a riverberare le distorte sembianze che più e più
volte aveva assunto sulle tele baconiane.
La simbiosi tra la ricercata drammaturgia di Federico Bellini, la possente direzione registica di Antonio Latella
e la vivida interpretazione profusa da Giovanni!Franzoni, capace di avvolgere progressivamente lo spettatore
in una spirale ineluttabile di amore annientato dalla devastazione della morte, costruiscono un frammento di
grande verità e pregiata arte teatrale.
Andrea Cova, saltinaria.it
3 - 29 maggio, sala Shakespeare
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Cechov
italiano di Ferdinando Bruni (supervisione di Rosa Molteni Grieco)
uno spettacolo di Ferdinando Bruni
con Ida Marinelli, Elio De Capitani, Federico Vanni
Elena Russo Arman, Angelica Leo, Luca Toracca, Cristina Crippa, Nicola Stravalaci, Corinna Agustoni,
Carolina Cametti, Fabiano Fantini, Vincenzo Giordano
musiche di Filippo Del Corno, eseguite da Sentieri Selvaggi
luci di Nando Frigerio
una produzione Teatro dell'Elfo
Premio Persefone 2008 a Ferdinando Bruni (Miglior scenografia e Miglior attore coprotagonista)
Un’enorme tenuta che va alla malora, un frutteto che una volta all’anno, nel mese di maggio, si copre di fiori
bianchi e diventa “giardino”, simbolo di rimpianti, speranze e sogni. Ogni anno il ciclo delle stagioni si compie,
e ogni anno il giardino ritorna giovane, ricomincia la sua vita. A contemplare questo miracolo per l’ultima volta,
riuniti nella grande casa dell’infanzia, i personaggi della commedia non possono che scorgere su di sé,
ognuno nell’altro, i segni del tempo che passa, il miracolo che su di loro non si compie, l’approssimarsi di una
resa dei conti col proprio destino.
Uno spettacolo del 2006 che torna in scena con quasi tutti gli interpreti che l'hanno portato al successo: in
primo luogo Ida Marinelli nel ruolo protagonista, Elio De Capitani in quello di suo fratello Gaev ed Elena Russo
Arman nel ruolo di Varja, oltre a Corinna Agustoni, Cristina Crippa, Luca Toracca, Angelica Leo, Nicola
Stravalaci, Fabiano Fantini, Vincenzo Giordano. Lopachin sarà in questa nuova edizione Federico Vanni
(apprezzato interprete di Charlie nella Morte di un commesso viaggiatore). E si unisce alla compagnia anche
Carolina Cametti.
Dodici attori, sotto l’attenta direzione di Bruni, mettono in gioco la coralità, la sensibilità e la maturità di un
gruppo e delle sue singole personalità, nell’allestimento di questa commedia rarefatta, buffa e disperata che
ha per protagonista il tempo e il suo trascorrere nella vita degli individui e del mondo.
La regia colloca i quattro atti del Giardino dei ciliegi in una specie di limbo, l’antica stanza dei bambini, che è
simbolicamente punto di ritrovo per la famiglia di Ljuba, fra oggetti concreti, ma carichi di valenze evocative: la
lavagna con l’alfabeto cirillico-europeo, i tabelloni illustrati per imparare il francese (la lingua dell’aristocrazia,
la lingua dell’esilio), gli uccelli impagliati, prigionieri di una vita artificiale, oggetti che piano piano andranno
sparendo, recidendo legami col passato, fragili e malati, lasciando spazio alla durezza impietosa del presente
o alle utopie luminose del futuro.
L'ascolto della voce di Cechov è possibile fino allo spasimo, fino a cogliere, nei suoi silenzi, il respiro, e, di
essi, il ritmo. Come accade tutto ciò? È Cechov a offrirne l'evenienza non con un trucco ma, ancora una volta,
con l'ascolto (della vita). (...) Davvero mirabile l'interpretazione di Ida Marinelli, un'attrice piuttosto
sottovalutata. Ma è svagato, bravissimo anche Elio De Capitani e, con lui, ricordo Elena Russo Arman,
Angelica Leo, Fabiano Fantini e Corinna Agustoni.
Franco Cordelli, Corriere della Sera
Una compagnia della seconda generazione come quella dell'Elfo ci sforna un’edizione del Giardino dei ciliegi
del tutto degna degli antichi livelli ma capace di leggere nel grande testo un’atmosfera non di riporto. (...)
I giorni passano nell’antica stanza dei bambini percorsa da personaggi nostalgici e irresoluti, in preda ai loro
tic di bislacchi che la regia passionale e rigorosa di Ferdinando Bruni sa rendere ritmicamente espressiva di
un frastagliato accumulo di stati d’animo. (...) Degna delle storiche primedonne la splendida prova di Ida
Marinelli accanto al maniacale fratello Elio De Capitani e alla sensitiva Elena Russo Arman nella ricca
collezione di caratteri di un grande emozionante spettacolo.
Franco Quadri, la Repubblica
9 - 16 maggio, sala Fassbinder e casa Boschi Di Stefano
IL TEATRO DI
DEFLORIAN/TAGLIARINI
CINQUE MODI PER SOPRAVVIVERE CONTINUANDO A PARLARE
Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, Reality, rzeczy/cose
Rewind - omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch, Il posto
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono autori, registi e performer. Dal 2008 cominciano un’assidua
collaborazione dando vita a una serie di importanti progetti: il primo lavoro è Rewind, omaggio a Cafè Müller di
Pina Bausch che ha debuttato al Festival Short Theatre di Roma. Nel 2009 hanno portato in scena al Teatro
Palladium un lavoro liberamente ispirato alla filosofia di Andy Warhol, from a to d and back again.
Tra il 2010 e il 2011 hanno iniziato a lavorare al Progetto Reality che, a partire dai diari di una casalinga di
Cracovia, ha dato vita a due lavori: l’installazione/performance czeczy/cose (2011) e lo spettacolo teatrale
Reality nel 2012, lavoro per il quale Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu 2012 come miglior attrice
protagonista. L’anno successivo, il 2013, ha debuttato al Romaeuropa Festival Ce ne andiamo per non darvi
altre preoccupazioni, spettacolo che vede in scena insieme a Daria e Antonio anche Monica Piseddu e
Valentino Villa (Premio Ubu 2014 come novità italiana o ricerca drammaturgica).
Tre dei loro testi sono stati raccolti in un volume, Trilogia dell’invisibile (Titivillus, 2014). Con il medesimo titolo
hanno presentato a novembre 2014 al Teatro India una retrospettiva dei loro lavori. Tra settembre e ottobre
2015 presenteranno Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni e Reality al Festival d’Automne di
Parigi.
Nel portare a compimento un percorso cominciato nel 2008, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini si sono posti
programmaticamente l’obiettivo di formare un nuovo metodo di recitazione, lontano da Stanislavskij ma stranamente non
anti-stanislavskiano.
Ripensando il percorso nel suo complesso si coglie bene che Rewind. Omaggio a Café Müller è stato l’origine, la fonte
d’ispirazione, la spinta iniziale senza la quale esso non avrebbe potuto avere luogo. Ma si trattava eminentemente della
dichiarazione di una poetica, del geniale manifesto di un teatro dell’anti-rappresentazione. Il suo nucleo portante era uno
spettacolo che non veniva mostrato, ma discusso, commentato, assunto a emblema di un’epoca e di una generazione.
Lo stesso andamento trasversale caratterizzava, grosso modo, il successivo e più articolato “dittico” sui diari in cui una
donna polacca, Janina Turek, aveva annotato per oltre quarant’anni i dettagli più insignificanti delle sue giornate:
rzeczy/cose e Reality costituivano un vertiginoso, doppio esercizio poetico su un’insussistenza, su un testo che non è un
testo ma una raccolta di labili tracce della quotidianità dell’autrice, uno squarcio di vita che di fatto tale non è, giacché in
quelle pagine si trovano solo le impassibili indicazioni di cibi consumati o di telefonate ricevute.
Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni spezza radicalmente il cerchio chiuso di questi sfuggenti equilibrismi
sul filo sottile della meta-realtà: qui c’è uno spunto drammaturgico forte, urgente come la vicenda – mai avvenuta, ma
credibile – delle quattro pensionate greche che si suicidano per non pesare sulle casse dello stato. Ancora una volta
viene rifiutata qualunque modalità narrativa, anzi gli attori si presentano alla ribalta per annunciare che non sono pronti,
che una materia così complessa non può tradursi in una mera azione scenica: ma proprio quest’ammissione di
impotenza diventa una tecnica straniante grazie alla quale il tema della crisi può essere evocato in modo ben più
efficace di quanto non facciano tanti spettacoli che l’affrontano direttamente.
Renato Palazzi, delteatro.org
Con Il posto Deflorian-Tagliarini proseguono la loro peculiare ricerca sulla rappresentabilità del reale, facendosi
attraversare e, in un certo senso, “possedere” dai luoghi (casa Boschi Di Stefano) in cui scelgono di esibirsi. Dopo aver
“abitato” personaggi come l’ossessiva elencatrice di dettagli apparentemente futili Janina Turek o le pensionate greche
che decidono di suicidarsi, i due artisti si confrontano con l’immanenza di luoghi impregnati di vita, cercano di carpirne i
segreti che palpitano ancora, celati solo da un sottile velo di polvere.
Enzo Fragassi, delteatro.org
17 - 22 maggio, sala Fassbinder
LA DANZA IMMOBILE
da Manuel Scorza
regia Corrado Accordino
con Corrado Accordino, Riccardo Buffonini, Federica Castellini, Roberta Lanave, Giancarlo Latina
scene e costumi Maria Chiara Vitali
spettacolo sostenuto nell'ambito del progetto NEXT 2014
Il romanzo è un contrappunto fra un guerrigliero e un ex-guerrigliero. Sotto un altro punto di vista, un conflitto
fra due uomini che devono scegliere fra l’Amore e la Rivoluzione.
Manuel Scorza
Una storia che parla di amore e amicizia, gioia e dolore. Una storia che pone il dubbio della scelta. L'impegno
politico da una parte e l'amore per una donna dall'altra. Due uomini, le cui vite s'inseguono, condizionandosi
l'uno con l'altro. Fino all’ultimo incontro, fino alla resa dei conti, per un finale di partita che non lascia superstiti.
Lo spettacolo prende forma dal lavoro di riscrittura drammaturgica dell’omonimo romanzo di Manuel Scorza,
uno degli scrittori latinoamericani più letti in tutto il mondo, noto soprattutto per il suo impegno politico.
Tante domande aleggiano in questo spettacolo. I rivoluzionari Santiago e Nicolàs operano scelte contrastanti.
Nicolàs sceglie la rivoluzione, lascia Parigi e Francesca, la donna amata. Santiago resta, rinunciando alle
armi. Ma scopre che Marie-Claire era innamorata proprio della sua identità di guerrigliero. L’amore tradisce, la
causa politica pure. Una scelta vale l’altra. Forse. Le medesime parole significano cose diametralmente
opposte. Le parole sono formule vuote senza l’efficacia del gesto. I personaggi lottano con le proprie
maschere. Ognuno è alla ricerca di un volto autentico.
Si cammina su travi di legno, quaranta centimetri sul pavimento. Qua e là le travi si ammucchiano, a formare
una zattera o un’isola. Un gigantesco specchio deformante sul fondo riflette le molteplici anime del nostro
essere.
Un’opera forse anacronistica: i nostri sembrano anni acquiescenti, refrattari alla ribellione. Ma i lavori di
Accordino hanno un’onestà di fondo che li rende interessanti. Nascono da una riflessione personale autentica
e appassionata, in genere autobiografica. Non sono mai perfettamente inquadrabili in un codice.
Valorizzano gli attori, che svelano nuovi lati di sé. Pongono interrogativi forti, che avviano nel pubblico il
dialogo interiore, di là da ogni banale schematismo.
Vincenzo Sardelli, klpteatro.it
6 - 10 giugno, sala Shakespeare
LA LEGGENDA DEL FAVOLOSO
DJANGO REINHARDT
adattamento Bianca Melasecchi, Paolo Sassanelli, Luciano Scarpa
regia Paolo Sassanelli
con Luciano Scarpa, Margherita Vicario, Eleonora Russo, Anna Ferzetti, Marit Nissen, Paolo Sassanelli
orchestra MUSICA DA RIPOSTIGLIO
Luca Pirozzi (chitarra e banjo), Luca Giacomelli (chitarra)
Raffaele Toninelli (contrabbasso), Ruben Chaviano (violino)
produzione Gli ipocriti
Django Reinhardt è una leggenda, una vera leggenda della musica swing, del Jazz.
Django è anche un mito per tutti gli zingari europei ed è diventato la storia della tradizione musicale
Manouche, un’etnia di zingari che si muove tra la Francia, il Belgio e la Spagna.
Django è un mito per tutti i giovani che si affacciano alla scoperta della chitarra Jazz, ne ascoltano i dischi, ne
narrano le storie, si appendono le sue foto in stanza; è anche un mito per i cinquantenni che, come me, lo
hanno ascoltato da giovani e riscoperto più in là, come colonna sonora del cinema di Woody Allen.
Django è qualcosa di più di quello che si sa, sempre e comunque. Se solo ci si avvicina alla sua biografia ci
sembra di leggere le avventure di un eroe… Un eroe!
«In questo spettacolo noi raccontiamo le gesta di un eroe che con sole tre dita cambiò la storia della
musica…». Mi sembra un buon inizio. Certo di mezzo c’è anche la storia di Parigi, dell’Europa, della guerra, di
sua madre Negros - la donna zingara per eccellenza - di deportazioni e scommesse, fumo, donne, balli,
fiamme, ecc. Ci saranno le canzoni di un ventennio francese e non solo, musica cantata e suonata dal vivo,
ballata e raccontata.
Insomma, accomodatevi nel circo che narra la storia del favoloso Django, le sorprese saranno tante!
Paolo Sassanelli
6 - 10 giugno, sala Bausch
BIANCO O NERO
THE SUNSET LIMITED
romanzo in forma drammatica di Cormac McCarhty
regia di Gabriela Eleonori
con Saverio Marconi e Rufin Doh Zéyénovin
produzione Compagnia della Rancia
Dio esiste? Esiste una vita, di qualsiasi specie, dopo la morte? Il cammino terreno determinerà la condizione
dell'anima nell'aldilà? O, forse, la nostra esistenza è una straordinaria realizzazione di nessi causa-effetto delle
scienze che governano la riproduzione e la morte di corpi organici?
Domande eterne di una ricerca ineffabile dell'essere umano.
Nella dilaniante incertezza del vivere si muovono i personaggi di Sunset Limited di Cormac McCarthy. Senza
estremismi categorici, anzi, con la crudezza del vivere quotidiano di uomini contemporanei in una realtà
descritta iper-realisticamente.
Personaggi mitici già dalla scelta dei nomi: Bianco e Nero, in riferimento al colore della propria pelle. Il Bianco
è professore ed ateo, il Nero un ex carcerato per omicidio e credente. Il bianco tenta il suicidio gettandosi sotto
il Sunset Limited, un treno che attraversa gli Stati Uniti, dalla California verso Est, ma viene fortuitamente
salvato dal nero. Questi lo porta nel suo appartamento e da lì prende il via tutta la vicenda. I nostri protagonisti
si affrontano come se volessero superare l'uno le certezze dell'altro, come in una specie di duello, dove i colpi
sono le parole. Ma non può esserci un vincitore. Così come nella realtà ciascuno di noi si scontra con il
mistero del "libero arbitrio" e con la micidiale evidenza che la decadenza del corpo umano porterà alla fine del
tutto.
Il dubbio... La speranza di una beatitudine ultraterrena riesce a fare superare "i dardi del destino" di
shakespeariana memoria? Oppure, la certezza dell'esistenza di Dio riesce a dare al tempo presente una
vivida intensità, un modo sublime del vivere qui e ora?
La necessità della realizzazione scenica di questo che McCarthy definisce un “romanzo in forma drammatica”
sta nell'urgenza del tentativo di determinare i contorni dello scontro di certezze. Certezze che non sono mai
tali perché siamo sempre in piene indagini esistenziali.
Lo spettatore viene messo davanti ad una terribile indeterminatezza, una sospensione pericolosa che è il
costrutto intrinseco del vivere.
Il dubbio, come è ovvio, non verrà sciolto. La realtà ha dei confini molto più complicati e ruvidi della
disquisizione accademica. E nella fatica del sopravvivere è sempre più difficile trovare prove dell'esistenza di
Dio o della supremazia dell'uomo sul proprio destino.
Non conosciamo chi sia l'ospite che bussa alla nostra porta.
Sarà il Salvatore o il killer che, come in Questo non è un paese per vecchi, vuole mettere fine al nostro
desiderio di godere il gusto della vita?
Gabriela Eleonori