Alle basi del Bioterrorismo: un approccio storico alla Guerra Biologica

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Alle basi del Bioterrorismo: un approccio storico alla Guerra Biologica
Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.a. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003, (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Genova” - n° 38 - Maggio 2006 - Dir. resp.: Sergio Rassu - Editore: Medical Systems S.p.A. Genova - Contiene I.P. - Stampa: Nuova ATA - Genova
www.medicalsystems.it
ISSN 1120-6756
Caleidoscopio
Letterario
Francesco Urbano
Alle basi del
Bioterrorismo: un
approccio storico alla
Guerra Biologica
Direttore Responsabile
Sergio Rassu
38
Direttore Culturale
Maria Teresa Petrini
... il futuro ha il cuore antico
MEDICAL SYSTEMS SpA
Via Rio Torbido, 40 - Genova (Italy) Tel. 010 83.401
Stampato a Genova 2006
Edizione Italiana: Numero 0 - Luglio 2005
Editore:
... il futuro ha il cuore antico
MEDICAL SYSTEMS SpA
Caleidoscopio
Letterario
Francesco Urbano
Alle basi del
Bioterrorismo: un
approccio storico alla
Guerra Biologica
Direttore Responsabile
Sergio Rassu
38
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Francesco Urbano
Premessa
L
a fantasia dell'uomo sia nel bene che nel male non ha
mai avuto limiti e il bioterrorismo costituisce la peggiore applicazione di tale capacità umana. Se qualcuno
ritiene che il bioterrorismo sia solo una conseguenza dello sviluppo che le scienze biologiche e mediche hanno avuto nell'ultimo secolo ed in particolare negli ultimi decenni, compie un
enorme errore. Il dott. Francesco Urbano con il presente lavoro,
che d'altra parte costituisce la sua tesi di specializzazione in
Igiene e Medicina Preventiva, ci ha mostrato un aspetto poco
noto e spesso sottaciuto della guerra, cioè l'uso sin dall'antichità
di un qualcosa che non solo danneggia materialmente i soggetti
colpiti ma che genera ansia e più spesso paura anche nei non colpiti. Causare la malattia era prerogativa delle divinità e l'uomo
ad un certo punto capisce che può sostituirsi alla divinità nel
provocare la malattia. I soggetti colpiti in tal modo non solo si
ammalano ma sentono che hanno il fato contro di loro.
L'avvelenamento dei pozzi con segale cornuta da parte degli
assiri o l'inquinamento dell'acqua con carcasse di animali da
parte degli egiziani, poi dei greci ed infine dei romani sono solo
un esempio di quanto sia antica la guerra biologica. Il lavoro del
dott. Urbano presenta una puntuale, interessante e ampia rassegna dell'uso dei mezzi biologici (veleni naturali, microrganismi
e loro tossine), delle occasioni in cui tali mezzi sono stati utilizzati, dall'antichità ai nostri giorni, e di quanto, negli anni della
Guerra fredda, diversi Paesi, soprattutto le super-potenze,
hanno fatto per dotarsi di armi biologiche. L'autore, che non
dimentica di essere un medico militare e un medico igienista,
sottolinea, tra gli altri, anche alcuni aspetti strettamente connes-
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si sia alla organizzazione della Sanità militare che a quella della
Sanità pubblica soprattutto in relazione agli eventi di bioterrorismo che negli ultimi decenni hanno colpito non solo il mondo
occidentale. Di particolare utilità risultano sia gli allegati relativi alle convenzioni internazionali che la ricchissima bibliografia.
Prof. Nicola Comodo
Direttore Dipartimento di Sanità Pubblica
Direttore Scuola Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva
Università degli Studi di Firenze
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Francesco Urbano
1. Introduzione
1.1. Premessa
La premessa di questo lavoro è costituta dalla convinzione che solo
un approccio storico, in altre parole la pur sintetica conoscenza di
come gli eventi salienti di un determinato processo si siano succeduti, permetta la piena comprensione d'argomenti complessi quali quelli costituenti l'inscindibile binomio guerra biologica/bioterrorismo.
Specialmente il bioterrorismo, come ben noto agli addetti ai lavori,
rappresenta, in maniera fortemente crescente nel corso dell'ultimo
ventennio, un problema angoscioso per la Sanità Pubblica e una sfida
che i Sistemi Sanitari dei paesi più evoluti si trovano ad affrontare,
essendo spesso del tutto impreparati ad essa (1, 2).
La disciplina dell'Igiene e Sanità Pubblica è certo quella, in ambito
medico-scientifico, che più si avvale di un approccio multidisciplinare;
si può anzi affermare che rappresenta essa stessa nient'altro che un
modo per inquadrare organicamente conoscenze e procedure mutuate
da altre discipline con finalità squisitamente pragmatiche e operative.
Sebbene molte altre discipline mediche (Microbiologia Clinica,
Medicina di laboratorio, Infettivologia, Medicina Militare solo per fare
qualche esempio, ma anche Veterinaria (3, 4, 5) e Dermatologia (6, 7, 8)
si siano candidate a vario titolo come leaders negli studi, e altre abbiano semplicemente rivendicato un ruolo, come addirittura l'odontoiatria (9), com'è dimostrato dalla pletora d'articoli specificamente dedicati negli ultimi anni alla loro funzione nel fronteggiare il bioterrorismo, solo l'Igiene (10), come materia intesa alla prevenzione dei problemi sanitari, ci pare la possibile vincitrice in tale metaforica gara.
È per tali tre motivazioni - il fatto che guerra biologica e bioterrorismo siano un problema emergente di Salute Pubblica e che l'Igiene
abbia finalità esplicitamente preventive e dimostri vocazione interdisciplinare - che non ci pare peregrino trattare tale argomento in questo contesto, anche in considerazione del fatto che la materia, come
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vedremo nelle righe successive, è di fatto orfana di una disciplina che
la studi in ogni suo aspetto e ne inquadri i contenuti complessivi.
L'interesse per tale problematica era un tempo appannaggio della
Sanità Militare delle varie Forze Armate; fin tanto che, nell'ottica di
una guerra clausewitzianamente classica, la minaccia di guerra biologica fosse rivolta alle Forze Armate delle nazioni e solo collateralmente alla società civile, tale appannaggio poteva forse risultare giustificato; già con lo svilupparsi drammatico delle vicende belliche del
ventesimo secolo tale limitazione appare del tutto anacronistica e fallace; la nascita, con i due grandi conflitti mondiali, del concetto di
guerra totale (11), non solo volta a minare le capacità operative delle
Forze Armate avversarie ma anche l'intera energia vitale delle nazioni antagoniste, sconvolgendone le risorse produttive, demografiche,
economiche e finanche la volontà e il morale, ha determinato, nel
corso del ventesimo secolo, l'inversione del rapporto fra vittime militari e vittime civili di un conflitto, rimasto per millenni superiore ad
uno e sceso sotto tale soglia per la prima volta nel secondo conflitto
mondiale. Sono poche le “guerre in tempo di pace”, come sono definite quelle del secondo dopoguerra, che non abbiano coinvolto massivamente la popolazione civile degli sfortunati paesi coinvolti dagli
scontri. In tale contesto appare ovvio che la guerra stessa come fenomeno/evento appaia come il più palese pericolo per quel concetto di
salute proclamato dall'OMS ad Alma Ata nel settembre 1978 e inteso
come completo benessere fisico, psichico e materiale. In tale ottica
deve essere interpretata la condanna della guerra e i tentativi, spesso
infruttuosi, d'eradicarla, al pari di una malattia infettiva, che costituiscono il più ambizioso obiettivo del consesso internazionale. A prescindere da tali valutazioni, che esulano dagli scopi di questo lavoro,
bisogna tuttavia riconoscere che guerra biologica e bioterrorismo rappresentano un rischio tale per le popolazioni da dover costituire non
solo per la Sanità Militare, ma anche e soprattutto per la Sanità
Pubblica dei Paesi Sviluppati, argomento di ricerca e studio, oggetto
d'azioni preventive e materia di divulgazione, poiché trascurare quest'ultima e delegarla ad altri equivale a rinunciare a priori ad ogni speranza di serietà e correttezza. Molto si è fatto e si sta facendo in tal
senso: il numero di lavori pubblicati su riviste autorevoli è in aumento
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esponenziale; tuttavia tali argomenti non costituiscono ancora oggetto
di trattazione sistematica né nei corsi di laurea di discipline sanitarie,
né nei corsi post-universitari. Parimenti le strutture del Sistema
Sanitario operanti sul territorio risultano solo parzialmente adeguate a
rispondere alla minaccia: non ne sono state create a hoc e ci si è limitati a delegare la risposta ad altre già esistenti, non specializzate, spesso
già oberate d'attività routinarie e sostenute da personale non specificamente preparato; la delega alle Regioni di potestà decisionali in ambito sanitario, sicuramente auspicabile e foriera di miglioramento in
molti ambiti, ha portato in questo ad una pluralità di provvedimenti,
analizzati nel dettaglio in un lavoro della dott.sa Calderoni (12) - al
quale rimandiamo chi volesse approfondire la questione - spesso non
coordinati fra loro; al di là dall'inaccettabile variabilità dell'efficienza
della risposta, si deve costatare che tale pluralità risulta d'ostacolo alla
prontezza della risposta alla minaccia, elemento considerato unanimemente nel mondo come vitale per minimizzare i danni in caso d'attacco biologico.
Per quanto riguarda la Sanità Militare, invece, almeno in Italia, la
professionalizzazione delle Forze Armate (13), la progressiva riduzione del personale tecnico (medici, infermieri, tecnici di laboratorio etc.)
in servizio e dei fondi stanziati ed il parallelo incremento degli oneri
connessi con le “missioni di pace” condotte in aree di crisi ovunque
nel mondo, hanno determinato una forte limitazione degli studi condotti in tale ambito; nonostante che i nuovi indirizzi strategici nazionali, pubblicizzati dall'attuale governo con grand'enfasi, e che saranno ripresi in apposita sezione di questo lavoro, vedano fra le prime
priorità militari un “sensibile miglioramento nel settore della difesa
biologica”, tale fine è perseguito con la mera duplicazione del reparto
operativo a ciò preposto; misura che, per quanto certamente encomiabile specialmente nel contesto di riduzioni e tagli al bilancio, ci pare
francamente insufficiente, non commisurata all'esigenza e scarsamente appropriata. In sintesi sia la Sanità Pubblica che quella Militare
paiono francamente arretrate rispetto allo svilupparsi degli eventi.
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1.2. Scopo di questo lavoro
Scopo di questo lavoro è fornire il background storico indispensabile tanto per l'operatore di Sanità Pubblica, quanto per il medico militare, per inquadrare correttamente le problematiche connesse a guerra biologica e bioterrorismo: tale background ci pare elemento fondamentale per ogni successiva valutazione dell'importanza e del valore
dei molti lavori recentemente pubblicati sull'argomento: pur rifacendosi nella gran parte dei casi a lavori esplicitamente citati, ci pare
pleonastico, ma non inutile, ricordare che le opinioni espresse in esso
sono frutto di valutazioni personali dell'autore e non rappresentano in
alcun modo quelle d'Istituzioni Pubbliche o della Forza Armata alla
quale l'autore appartiene.
Tale lavoro non ha certamente pretese d'esaustività; rappresenta
solo l'insieme di alcuni degli elementi valutati come salienti, ritenuti
più suggestivi e chiarificatori della complessa problematica.
D'altronde il più che decennale interesse per l'argomento non ci ha
permesso di conoscere opere storiche dedicate ad una trattazione
compiuta della materia; le migliori revisioni critiche sull'argomento a
noi note, alle quali ci siamo abbeverati, utilizzandole quali preziose
basi di partenza e fonti bibliografiche per gli studi, peccano ancor più
di questo studio in tal senso.
1.3. Alcune definizioni
Il notevole vissuto emotivo determinato caratteristicamente dal
bioterrorismo e più genericamente dalla diffusione di malattie infettive, che in gran parte giustifica l'affermazione del bioterrorismo stesso
nell'ultimo decennio, ha determinato il grande interesse da parte dei
mass-media e l'attualità dell'argomento oggetto di questo lavoro, tanto
da permettere di qualificare il bioterrorismo, almeno negli ultimi cinque anni, una vera cover-story, alla quale ricorrere per innalzare l'interesse del pubblico, alimentandone le paure.
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Lungi dal volere deprecare in questo scritto tale interesse, che può
sicuramente risultare foriero d'innegabili vantaggi per l'avanzamento
delle conoscenze scientifiche in ampi settori, non si può tuttavia
nascondersi che esso ha determinato una notevole confusione semantica nella materia. Tale confusione, giustificabile nei non addetti ai
lavori, talvolta alimentata da lavori divulgativi (14) - ed è legittimo il
sospetto che tale azione sia volontaria e finalizzata ad alimentare
paure a fini commerciali - è, parzialmente, riscontrabile anche fra i tecnici: solo pochi fra i ricercatori infatti, a titolo d'esempio, considerano
che se l'uso di tossine biologiche rientra a pieno titolo nella materia
(omicidi con ricino-tossina o attacchi con tossina botulinica), si
dovrebbe includere nello studio anche l'utilizzo, da sempre noto, di
tossine vegetali o animali, da parte di molte popolazioni, talvolta con
finalità francamente terroristiche.
Ritengo pertanto opportuno limitare il campo del lavoro definendo
semplicemente almeno i termini di guerra biologica e bioterrorismo,
sui quali la chiarezza è indispensabile viatico per chi si occupi dell'argomento
Se definire tali parole sembrerebbe semplice tuttavia, ad una più
attenta analisi, tale valutazione risulta avventata: basti pensare ai
fiumi di letteratura versati nel tentativo di definire compiutamente il
concetto di “guerra”: tale definizione esula dai fini di questo lavoro.
Sebbene semplicisticamente, con un margine d'approssimazione
accettabile per i nostri scopi, la guerra biologica può essere definita
come l'uso deliberato e intenzionale d'agenti biologici o di loro portatori o fomiti per danneggiare un nemico. Devono essere considerati
agenti biologici tutte le cause patogene di natura biologica quali
microrganismi, virus, tossine, veleni animali o vegetali.
Il terrorismo, secondo una classica definizione, può essere designato come l'uso sistematico della violenza per condizionare società o
governi nelle loro scelte politiche. Il bioterrorismo non è altro che una
forma di terrorismo mediante l'uso o la minaccia dell'uso d'agenti biologici.
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1.4. Bioterrorismo e guerra biologica
Solo nel 1998 la letteratura scientifica comincia ad interessarsi del
bioterrorismo, utilizzando questo neologismo, e dedicando all'argomento le prime pubblicazioni. Se la storia del bioterrorismo è recente,
quella della guerra biologica è antichissima; non si può comprendere
il bioterrorismo senza conoscere la storia della guerra biologica.
Molteplici sono le motivazioni che impongono di conoscere la seconda per capire bene il primo fenomeno. In primo luogo il fatto che nella
pressoché totalità dei casi gli agenti biologici utilizzati o ipotizzati in
atti bioterroristici sono stati sperimentati, valutati, allestiti o ipotizzati per la guerra biologica. In secondo luogo perché, come spero risulterà chiaro dalla lettura dei seguenti capitoli, a prescindere dalla reale
efficacia di tali agenti, collaudata in guerra, l'effetto psicologico dell'uso d'agenti biologici, perseguito dai terroristi, è il principale di quelli perseguiti in guerra sin dall'antichità. Infine, come ultimo, non trascurabile, aspetto, il fatto che la prevalenza di conflitti molto asimmetrici nel corso dell'ultimo quarantennio (15, 16), unitamente alla riaffermazione di fanatismi religiosi e alla mancata sottoscrizione degli
accordi internazionali in materia da parte di molti dei governi di quelle Nazioni (i cosiddetti stati canaglia) più pesantemente implicate
tanto in conflitti locali quanto nel terrorismo internazionale, ha reso
assai meno certo il confine fra guerra biologica e bioterrorismo.
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2. La guerra biologica e il bioterrorismo:
una breve storia
2.1. La preistoria: frecce avvelenate e guerra batteriologica
2.1.1 Frecce e tossine vegetali
Sin dalle sue origini gli uomini hanno utilizzato tutte le tecnologie
disponibili contro altri esseri umani, oltre che per la propria sopravvivenza. Già le prime fonti documentali storiche testimoniano l'utilizzo d'agenti biologici in guerra (17, 18, 19). L'utilizzo contro altri esseri umani d'agenti biologici è presumibilmente più antico delle prime
fonti documentali stesse.
Curiosamente anche i più approfonditi studi sulla guerra biologica
e più genericamente sull'utilizzo d'agenti biologici contro altri esseri
umani (20, 21, 22, 23) trascurano la preistoria e cominciano ad analizzare le sole fonti storiche. Ciò appare più difficile da capire del più
intuitivamente giustificabile inverso, cioè che pure i saggi di paleopatologia, anche per le caratteristiche intrinseche della disciplina, trascurino completamente la guerra biologica (24).
Gli strumenti ai quali gli storici ricorrono per ottenere plausibili
informazioni sulla preistoria sono costituiti tanto dai classici studi
paleontologici e paleopatologici quanto, sin dalla nascita dell'antropologia come scienza nel diciannovesimo secolo, dallo studio e dalla
comparazione con quelle società rimaste a livelli di sviluppo più arretrati e ancora prive di quell'elemento, la scrittura, che, costituendo un
efficiente mezzo per trasmettere e tramandare conoscenze, costituisce
il classico spartiacque fra preistoria e storia.
Per quanto riguarda il primo strumento tutti gli storici sono concordi sull'alta probabilità d'utilizzo di frecce avvelenate da parte di
popolazioni primitive (25), sulla base dell'alta frequenza del reperto di
scanalature nelle punte di freccia, il cui unico plausibile fine è rappresentato dal trattenere tossici vegetali o animali. Il primo ad avanzare
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tale ipotesi, successivamente largamente condivisa, fu il paleontologo
Alfred Fontan, che, nel 1858, a seguito del rinvenimento durante scavi
presso la grotta inferiore di Massat nell'Ariége, fra i resti ossei di grossi mammiferi, frammisti a manufatti di un presunto insediamento di
cacciatori della civiltà magdaleniana, individuò tali reperti e ne fornì
in una celebre relazione destinata all'Accademia delle Scienze l'interpretazione tuttora più accreditata (26). Appare quindi plausibile e
ampiamente condiviso che già alla fine della quarta glaciazione, fra il
quattordicesimo ed il decimo millennio avanti Cristo, i cacciatori
magdaleniani, il cui know-how nel maneggiare estratti vegetali c'è
testimoniato dai dipinti su pareti di grotte come quelle d'Altamira o
di Lascaux, utilizzassero abitualmente veleni vegetali sulla punta
delle loro armi acuminate; i numerosi reperti successivi di scanalature su punte di frecce, giavellotti e pugnali sono sempre state interpretati univocamente in tal senso, e il significato di tali scanalature ha trovato conferma, mediante il secondo strumento al quale facevamo riferimento, nella valutazione antropologica d'identiche scanalature utilizzate a tale fine sulle punte d'armi di “selvaggi” in Asia e Africa nel
diciannovesimo secolo.
Anche a livello d'immaginario collettivo è ben noto che i cosiddetti
“selvaggi” sono soliti avvelenare le frecce: tale uso ovviamente si è
conservato anche in periodo storico: a titolo d'esempio, per la sola età
classica, tralasciando le moltissime citazioni possibili nella letteratura
sia greca che romana, relative all'impiego ed agli effetti di frecce avvelenate contro altri esseri umani oltre che nella caccia, basti pensare che
lo stesso termine di “tossico” ed i relativi derivati d'uso medico (“tossicologia” etc.) (27) derivano dall'uso di avvelenare le frecce: infatti tossico deriva dal termine τοξον, arco, e non è altro che l'aggettivo ellittico del sostantivo φαρµακον, rimedio, veleno, colorante: “τοξικον φαρ−
µακον” starebbe quindi ad indicare “veleno per archi” (28).
L'antropologia ci afferma che la maggior parte delle popolazioni
primitive utilizza abitualmente frecce avvelenate e tale uso si è mantenuto costante in età storica. Il rifiuto di tale pratica presente già nelle
prime fonti giuridiche storiche a noi note, lungi dallo smentire tale
affermazione, la corrobora: secondo gli storici del diritto, infatti, il
dover ricorrere alla proibizione di un'azione è conferma della sua relativa frequenza. Se così è, l'avvelenamento di armi doveva essere assai
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frequente: basti citare l'aforisma dei giuristi romani “Armis bella non
venenis geri” (la guerra si fa con le armi e non con i veleni) o la prescrizione brahmanica che un guerriero “quando combatte in battaglia,
non debba uccidere i suoi nemici con armi nascoste o con punte e
lame avvelenate” (29). Il fatto che la detestabilità dell'avvelenamento
di armi in guerra sia stato condannato in realtà lontanissime, ne confermerebbe l'universalità.
La maggior parte dei veleni da freccia proviene dal mondo vegetale e in minor misura animale e pertanto rientrano a pieno titolo nella
definizione d'agenti biologici. La disponibilità di potenziali veleni da
freccia risulta quindi strettamente legata alla ricchezza della vegetazione dell'area geografica ove vive la popolazione in esame: se gli
eschimesi disponevano di una flora velenosa estremamente limitata,
rappresentata da poche varietà d'anemoni tossici, le popolazioni abitanti in regioni tropicali o sub tropicali disponevano di un numero
assai elevato di tossici potenziali. Tuttavia è da notarsi che dell'impressionante arsenale di veleni vegetali disponibili in tali regioni, solo
alcuni, presumibilmente i migliori per efficacia, facilità di preparazione, durata etc., si siano affermati: l'aconito è il più diffuso in Asia; l'upas anthiar di salgariana memoria, è diffuso in tutto il sud est asiatico
e in Malesia ed è forse il più efficace dei veleni da freccia insieme ai
simili tjettek giavanese e upas tieutè indonesiano: variabilmente ricchi
dei due alcaloidi attivi stricnina e brucina, tali tossici sono estratti
l'uno dell'albero dell'Ipoh (Ipoh toxicaria), gli altri dai vegetali della
famiglia Strychnos; strofanto e uabaina, estratti entrambi da piante
della famiglia delle apocinacee, sono i due grandi tossici africani, utilizzati da soli o in associazione con altri veleni in tutto il continente e
anche in Asia; il curaro e i suoi derivati, magistralmente descritti dal
grande Humboldt, in America. Analizzare antropologicamente nel
dettaglio i vari veleni vegetali o animali utilizzati sarebbe d'indubbio
interesse ma esulerebbe dai fini di questo lavoro.
2.1.2 Frecce da guerra batteriologica
Assai più rilevante ci pare il fare cenno ad una vexata quaestio antropologica che c'introduce ad un aspetto dell'uso delle frecce avvelenaCaleidoscopio Letterario
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te che configura non solo l'uso d'agenti biologici ma addirittura batteriologici da parte di popolazioni primitive. La storia dell'antropologia
e più genericamente l'intero immaginario collettivo occidentale è trasversalmente percorsa dal topos letterario Rousseauiano del buon selvaggio: in sintesi secondo tale immagine, per alcuni moderni studiosi
frutto in gran parte dei rimorsi dettati della cattiva coscienza dei colonizzatori occidentali, i cosiddetti selvaggi presenterebbero degli alti
valori morali, superiori a quelli dell'occidente, un rifiuto della violenza fine a se stessa ecc.. Se molti aspetti antropologici comuni a molte
culture primitive, quali la ritualizzazione del combattimento per evitare lo spargimento di sangue, oggi più correttamente inquadrato in
un contesto evoluzionistico, corroborano tale topos, come giustificare
l'utilizzo d'armi avvelenate, da sempre condannato nel mondo occidentale? La giustificazione che per oltre un secolo è stata addotta è la
seguente: l'avvelenamento delle frecce sarebbe stato sviluppato dalle
popolazioni primitive per la caccia e solo occasionalmente tali armi
sarebbero state usate in guerra; solo il contatto con gli aggressori occidentali avrebbe determinato una brutalizzazione degli scontri e la
successiva diffusione di tale utilizzo ad ogni livello. L'ipotesi è suggestiva ed è stata sostenuta con vigore dal diciottesimo fino al diciannovesimo secolo, ma ha infine ceduto di fronte all'analisi antropologica
stringente di tale uso presso alcune popolazioni primitive della
Melanesia. Infatti mentre gli abitanti della Micronesia a sud, fermi
pure essi all'età della pietra, risultavano d'indole pacifica, quelli della
Papuasia, a nord, lo erano assai meno: in particolare i bellicosi papuasi del Nuova Guinea risultavano particolarmente aggressivi utilizzando con perizia arco e frecce; che tali popolazioni avvelenassero le frecce o meno è stata una querelle che ha interessato antropologi e società
geografiche per tutta la seconda metà dell'ottocento e le cause dei
risultati contraddittori ottenuti dagli studi sono state chiarite solo nell'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, con la nascita della moderna batteriologia. Se molti autori infatti sulla base di personali esperienze escludevano l'uso di veleni da freccia, altri ne affermavano
l'uso senza ulteriori dettagli mentre i più descrivevano la gran frequenza d'insorgenza di sepsi o di tetano mortali a seguito di lesioni
anche minime. Nessuno dei medici che si trovarono ad osservare
impotenti le “epidemie” di sepsi o tetano, spesso correttamente etiCaleidoscopio Letterario
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chettate nosograficamente, fra i feriti da freccia negli anni fra il 1825
ed il 1875, intuì possibili avvelenamenti delle loro punte. Si etichettarono così i casi come complicazioni accidentali: alla base della difficoltà diagnostica vi era oltre che la più completa ignoranza dei meccanismi patogenetici tanto del tetano che della sepsi, e il fatto che non
esistessero veleni noti ad azione differita da cinque a sette giorni,
anche la normale alta frequenza di tali complicanze delle ferite in
combattimento: basti ricordare che secondo alcuni studi durante le
guerre napoleoniche oltre il 10% dei feriti in battaglia contraeva il tetano (e di questi il 40% ne moriva), che così rappresentava uno dei più
seri problemi per la Sanità Militare (30); addirittura il corretto inquadramento diagnostico dell'affezione nei feriti, spinse alcuni clinici ad
etichettare come mito la pretesa tossicità delle frecce dei papuasi. Solo
dal 1875 Moresby, lo scopritore della Nuova Guinea, ed altri esploratori gettarono uno spiraglio di luce sull'enigma descrivendo l'uso
rituale di configgere le frecce prima dell'uso in cadaveri umani in
putrefazione o in terreni particolari (31, 32). La commissione di studio
costituita nel 1882 in Nuova Caledonia per dirimere le polemiche non
giunse ai risultati certi che furono, invece, raggiunti fra il 1890 ed il
1892 e pubblicati sugli “Annales de l'Institut Pasteur” dal ricercatore
Felix Le Dantec (33, 34) che dimostrò in loco e in laboratorio la natura
batterica dell'agente biologico usato, arricchendo le prove sperimentali batteriologiche in vitro e su cavia, con un vero studio antropologico, che descriveva compiutamente le tecnologie utilizzate dai primitivi della Nuova Caledonia per ottenere sulla punta delle loro frecce un
inoculo batterico ottimale.
Conviene citare direttamente Jean De Maleissye (35), che nella sua
bella opera sui veleni, per primo, nel capitolo “frecce da guerra batteriologica”, descrive questi studi sulle frecce “contaminate”: “Quel che
precede evidenzia inconfutabilmente che le frecce da guerra melanesiane erano in realtà armi batteriologiche che gli indigeni maneggiavano con perfetta conoscenza di causa. È veramente sconcertante che
l'idea di utilizzare veleni vivi abbia potuto sorgere nel cervello di
uomini completamente all'oscuro dei meccanismi infettivi, […] anche
dal momento che occorrevano parecchie decine di ore o numerosi
giorni prima di poterne valutare gli effetti. D'altra parte l'uso di questi veleni era così insolito che gli europei dovettero dedicare parecchie
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decine di anni e studi e osservazioni, fondate su solide conoscenze
scientifiche, prima di arrendersi all'evidenza. In questo modo, gli
indigeni di alcune isole riuscivano a creare sulla punta delle loro frecce un ambiente di coltura batterica calibrato su misura. Consentivano
così a bacilli mortali di permanervi e forse anche di prosperarvi, almeno per un certo tempo. […] Armi di questo genere non potevano svolgere alcun ruolo nella caccia e neppure potevano essere di aiuto in un
combattimento di breve durata, dal momento che producevano effetti ritardati. Queste armi infatti esplicavano la loro funzione unicamente nell'ambito di quelle guerre tribali di sterminio che potevano
durare settimane mesi o anche anni. […] L'uso di queste armi segna
una scansione nell'utilizzazione del veleno. Se è certo che molto spesso le frecce strofantate sono state adibite ad usi di guerra, il veleno
oceaniano sembra andare più lontano. L'obiettivo a cui si tende è la
messa fuori combattimento differita dell'avversario: è quindi un passo
verso lo sterminio premeditato per mezzo di armi biologiche.”
Quanto descritto ci lascia tuttavia con un dubbio fondamentale: la
prassi di contaminare artatamente le punte di freccia con agenti biologici, pur in assenza di positive conoscenze scientifiche, è da considerarsi esclusiva di un contesto isolato, come quello melanesiano, o si
può accomunare ad esso altre società primitive, eventualmente a noi
più vicine? Sino ad oggi la risposta non avrebbe potuto che essere
nella prima ipotesi; tuttavia in uno scritto divulgativo recentissimo
sul bioterrorismo la dottoressa Isabella Vergara Caffarelli, pur non
documentando l'affermazione, né citandone le fonti, ci dice - citando
letteralmente la fonte - che “nel 400 a.C. gli arcieri sciti immergevano
le loro frecce nel sangue e nel letame oppure nei corpi dei cadaveri in
decomposizione per infettare i nemici” (36).
La notizia, se corrispondente al vero, getterebbe una nuova luce su
tutta la vicenda e l'impressionante somiglianza fra le procedure di due
civiltà antropologicamente così distanti aprirebbe un nuovo scenario:
si potrebbe infatti ipotizzare che tale prassi fosse ampiamente, se non
certo universalmente, diffusa in epoche preistoriche, e che poi sia
andata scomparendo, mantenendosi ed anzi affinandosi nella sola
Melanesia. Mancano tuttavia dati certi che supportino tale ipotesi,
anche se episodi mitici, quale quello di Filottete al quale fa cenno
Omero nell'Iliade, la corroborano, facendo intuitivamente pensare,
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per la cronicità del malanno derivante dalla ferita da freccia avvelenata e per il quadro clinico descritto, proprio ad una contaminazione
biologica.
2.1.3 Pungi-sticks e tempi moderni
Prima di lasciare questo argomento non si può non ricordare che
anche questa tipologia di guerra - quella della contaminazione di armi
destinate a ferire con aggressivi biologici - che potrebbe sembrare,
sulla base di quanto riferito, mera curiosità storico-antropologica, è
ancora invece di attualità nel nostro tempo: si possono in tale ottica
citare i cosiddetti pungi-sticks (37), sorta di trappole capillarmente utilizzate in tutto il sud-est asiatico, e costituite, nella loro versione più
semplice, da bambù appuntiti mediante un taglio a becco di flauto,
disseminati al suolo e dissimulati, eventualmente in buche o abbinati
a fili di inciampo. L'uso di contaminare con escrementi tali punte, fu
portato avanti per tutta la durata del conflitto indocinese: queste booby
traps, come furono definite dai combattenti Americani in Viet-Nam,
costituirono, nella loro semplicità, un importante problema per i servizi sanitari militari campali, ma soprattutto, con un costo risibile, una
potente arma, soprattutto per l'insicurezza e perfino la paura che
erano in grado di determinare nei reparti combattenti. Si potrebbe
obiettare che, trattandosi di un conflitto così palesemente e fortemente asimmetrico, la conoscenza di questo pur importante evento nulla
aggiunga a quanto già detto - anche se noi riteniamo che invece debba
porre in diversa luce il rapporto fra acquisizione scientifica e prassi
bellica -: sempre di popolazioni arretrate si tratterebbe, e niente
dovrebbe far pensare, dopo le convenzioni, ratificate dalle potenze
sviluppate, che proibiscono esplicitamente l'avvelenamento di armi,
ad un utilizzo di armi avvelenate ai giorni nostri.
Per disilluderci in questa convinzione basta considerare, che ancora durante la seconda guerra mondiale, paesi sviluppati hanno pensato di ricorrere massivamente all'uso di proiettili trattati con veleni
biologici: nell'estate del 1944 furono testati su cavie umane, con successo, nei campi di sterminio tedeschi, proiettili per arma individuale
contenenti cristalli di aconitina, un tossico estratto dalla pianta di
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Aconito: fra gli aguzzini responsabili di tale atrocità, vi fu il capitano
medico Ding, responsabile anche, come vedremo, della sperimentazione in vivo del tifo, e suicidatosi durante il suo processo per crimini di guerra. Secondo la sua difesa tali esperimenti furono intrapresi a
seguito del rinvenimento di analoghi proiettili, presumibilmente forniti dai sovietici, nelle mani di partigiani polacchi, dopo che in un
agguato da essi condotto era morto un funzionario nazista con i sintomi di avvelenamento da aconitina (38).
Sarebbe tuttavia fuorviante il ritenere che i sospetti di tali efferati
pratiche gravino solo su nazioni dirette da regimi totalitari: numerosi
dati supportano il sospetto che anche la civilissima e liberal-democratica Gran Bretagna abbia sperimentato e fatto ricorso, durante il
secondo conflitto mondiale, alla contaminazione di armi, almeno
miratamene e per delitti politici: facciamo riferimento alla querelle,
non ancora risolta, relativa all'attentato della resistenza ceca che a
Praga, il 27 maggio 1942, eliminò il gerarca nazista Reynhard
Heydrich, capo del servizio di sicurezza e, forse, designato da Hitler
alla sua successione: questi, ferito da una granata, morì solo dopo una
settimana per una setticemia e una probabile tossiemia determinate
dalle schegge della bomba: il rapporto ufficiale della Gestapo le attribuì alla penetrazione accidentale di crine di cavallo dell'imbottitura
della macchina nelle ferite, ma dal 1971 circola l'ipotesi, basata su soli
indizi, della volontaria contaminazione della granata con botulino, da
parte dei servizi segreti britannici (39).
Per concludere questo capitolo giova ricordare che l'uso di avvelenare proiettili o armi da taglio con veleni biologici è ben lontano dall'essersi estinto col progredire della civiltà, e dal rimanere come residuo del passato nelle società primitive o comunque arretrate, per riaffiorare solo sporadicamente con la bestialità dell'uomo, in determinati, isolati contesti, come durante la barbarie nazista o stalinista. Infatti,
come vedremo nel capitolo riferito al dopoguerra, tale uso è ancora
assai attivo, e proprio con la nascita del bioterrorismo ha avuto nuovo
impulso la selezione e la produzione dei tossici vegetali, quali la ricino-tossina, utilizzabili su proiettili o armi da punta e da taglio.
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2.2. L'evo-antico: pozzi contaminati e astuti espedienti
2.2.1 Della contaminazione delle acque superficiali
Numerosi sono gli esempi di guerra biologica nell'evo antico. L'uso
di rendere indisponibili riserve idriche avvelenandole con tossici è
ipotizzabile già per popolazioni primitive, sulle base di studi antropologici. Tuttavia è solo in epoca storica che esso è documentato con
certezza. L'uso da parte degli Assiri di avvelenare i pozzi dei nemici
con segale cornuta, vero e proprio esempio di guerra biologica, è
riportato da numerosi scritti (40, 41); tale pratica è riferita anche
durante la guerra peloponnesiaca: durante l'assedio di Krissa Solone
avrebbe avvelenato con l'Elleboro le riserve idriche della città (42).
Secondo pubblicazioni, scarsamente documentate, la pratica dei
romani di inquinare i pozzi con carcasse di animali sarebbe stata
mutuata dai Greci, che a loro volta l'avrebbero appresa dall'Egitto dei
faraoni (43). Sarebbe arduo ricercare nella storia militare tutti i casi di
inquinamento doloso di risorse idriche: si può egualmente affermare
con ragionevole certezza che tale prassi si è mantenuta dalla preistoria fino al ventesimo secolo: solo per fare qualche esempio relativo
all'età moderna e contemporanea si possono citare le memorie del
comandante unionista W.T. Sherman, che, riguardo alla guerra di
secessione Americana (1860-1865), riferisce, anche a scopo di propaganda e di giustificazione degli orrori della campagna di Atlanta, dei
numerosi tentativi dei confederati in ritirata di infettare i pozzi gettandovi carogne di animali, secondo procedure già sperimentate largamente in Europa durante le campagne napoleoniche ed ancor
prima (44). Come per molte altri usi di guerra ritenuti “odiosi” per le
nazioni civilizzate, l'inclusione dell'inquinamento intenzionale di
acque superficiali fra i crimini di guerra previsti e sanzionati dalla
Convenzione dell'Aja del 1899 costituisce la più certa documentazione dell'universalità di tale pratica. È rimarchevole, e certo indice della
sua capillare diffusione, il fatto che proprio questa pratica sia fra i
primi espedienti di guerra biologica ad essere esplicitamente condannata, pressoché in contemporaneamente alla nascita dello jus in bello,
così come noi lo conosciamo: infatti mentre lo jus ad bellum è ben più
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antico, la nascita di questa branca del diritto bellico moderno è fatta
risalire proprio a tale convenzione, tanto che esso è anche comunemente detto “diritto dell'Aja”.
Nonostante tale proibizione, e la rigida aderenza alle convenzioni
sottoscritte da parte del Terzo Reich, ribadita dall'esplicito ordine da
parte di Hitler di non sviluppare ed impiegare armi biologiche, di cui
parleremo più estesamente in seguito, è proprio tale pratica di avvelenamento di acque superficiali a costituire, ancora, l'unico caso noto di
vera guerra biologica da parte dei Nazisti: questi infatti al termine
della seconda guerra mondiale, nel maggio del 1945, contaminarono
intenzionalmente le riserve idriche nella Boemia nord occidentale con
reflui di fognature (45). Ma la contaminazione di scorte idriche non
rimane, come pure questo moderno ma disperato episodio ed i precedenti più antichi farebbero pensare, retaggio dell'epoca pre-batteriologica: anche successivamente, non mediante il mero utilizzo di fomiti o
carcasse di animali, ma usando ceppi virulenti, eventualmente selezionati in laboratorio, la contaminazione delle acque manterrà la sua
piena efficacia, eventualmente accresciuta: basti ora citare eventi di cui
parleremo in seguito quali il cosiddetto “incidente di Namonhan”,
avvenuto nel 1939, durante gli attriti sul confine russo-giapponese, o
episodi di sospetto bioterrorismo degli anni settanta (46).
Tuttavia, fra i molti sistemi con cui l'uomo ha asservito germi e tossine per la guerra, quello di avvelenare le acque è forse uno dei meno
promettenti per dei terroristi. Tale affermazione è supportata da almeno due valutazioni principali di natura del tutto diversa: la prima
squisitamente pratica, la seconda di ordine psicologico, dal momento
che l'avvelenamenti di acque è meno “terrorizzante” di altri sistemi.
Per descrivere la prima valutazione possiamo citare letteralmente le
sintetiche parole sull'argomento nella citata opera di Barnaby (47): “le
scorte di acqua, nelle città dei paesi sviluppati, sono meno vulnerabili
alla contaminazione di quanto si possa pensare. Anche se in teoria i
depositi contaminati con agenti epidemici potrebbero avvelenare un
gran numero di persone, in realtà essi sono protetti non solo dalla clorina e dai filtri, ma anche dal puro e semplice volume d'acqua della riserva idrica. Qualsiasi agente risulterebbe talmente diluito da causare probabilmente ben poco danno. Le riserve idriche di più piccole dimensioni sono più vulnerabili e così le scorte d'acqua non trattate ed i pozzi”
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Per quanto concerne il secondo punto, nella nostra breve analisi
non si vogliono certamente trascurare gli effetti psicologici determinati dall'inquinamento dei pozzi; basti pensare allo spirito col quale
una forza militare colpita in tal guisa si sarebbe avvicinata successivamente ad acque superficiali, rinunziando a fruirne ove vi fosse
anche solo il sospetto di avvelenamento: tale ovvia conseguenza costituisce probabilmente uno degli aspetti ricercati con tale pratica, poiché rappresenta un potente fattore moltiplicativo al danno logistico
inflitto al nemico, specialmente in contesti poveri di acqua, come sono
la più gran parte di quelli ove tale azione fu attuata. Tuttavia l'avvelenamento/inquinamento dei pozzi è precipuamente pratica strumentale all'interdizione di aree e di itinerari. Tale pratica, in contesti ricchi
di acqua, da sempre, e in quelli poveri di risorse idriche, almeno da
quando si acquisì la certezza che bollendo l'acqua si poteva prevenire
molti degli avvelenamenti con agenti biologici, ottiene la sua massima
efficacia quando è condotta nascostamente e surrettiziamente, senza
indurre alcun vissuto psicologico, in modo tale da determinare consequenzialmente il maggior numero possibile di vittime fra i nemici.
Diametralmente opposto è l'effetto psicologico di indurre panico
nel nemico: è certo che tale effetto sia stato artatamente ricercato sin
dall'antichità, essendone l'importanza bellica ben nota potenzialmente sin da allora. Gli agenti biologici sono in larga misura degli eccellenti mezzi per ottenere tale effetto. Appare intuitivo quanto diverso
sia il timore indotto dalle lesioni prodotte con armi convenzionali
rispetto a quello di un avvelenamento o di malattie spesso in passato
dette “ripugnanti”, che avrebbero determinato l'isolamento sociale
della vittima per paura del contagio. Sarebbe interessante in tale contesto ricordare che nel mondo classico la gran parte delle malattie con
manifestazioni cutanee possono essere state interpretate come “lebbra”, e quindi contagiose e tali da determinare l'isolamento del malato: in tal senso si dovrebbe interpretare la lepra biblica (48): orbene
alcuni degli agenti da guerra batteriologica o risultavano palesemente contagiosi, quali la peste bubbonica, o implicavano manifestazioni
cutanee: non casualmente alcuni storici hanno recentemente interpretato anche la quinta e la sesta piaga d'Egitto della Bibbia come carbonchio (49). Non si può, a tal proposito non pensare che molti episodi riportati nella Bibbia rientrano a pieno titolo nei concetti di
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Bioterrorismo e Guerra Biologica: la Bibbia stessa ne è strumento, poiché pur non configurandosi mai l'uso di agenti biologici, essa rappresenta il mezzo col quale il Popolo di Israele minaccia i propri nemici
di catastrofi biologiche: la minaccia dell'uso, anche se da parte della
divinità immanente, e non materialmente da parte di uomini, di flagelli che tutti rientrano nella fattispecie “biologica” - dai serpenti, alle
pestilenze di greggi e di uomini - per condizionare positivamente scelte politiche di terzi - gli egizi ad esempio nell'”Esodo” - rappresenta
certamente esempio prototipico di bioterrorismo: tuttavia esulerebbe
dai nostri fini approfondire ulteriormente questo particolare, pur suggestivo, aspetto.
2.2.2 Annibale e la sua inventiva
Pertanto ci converrà tornare ad un episodio storico, documentato,
che, nell'ambito dell'uso, e non della mera minaccia dell'uso, di armi
biologiche, sottolinea marcatamente la piena consapevolezza, sin dall'antichità, della grande efficacia del panico indotto dalla guerra biologica in generale e da certe sue applicazioni in particolare. L'episodio
al quale faccio riferimento è occorso all'inizio del secondo secolo
avanti Cristo, più precisamente nel 184 a.C., nel corso delle guerre che
videro il progressivo affermarsi dell'egemonia romana nel
Mediterraneo, dopo che, al termine della seconda guerra punica, la
minaccia cartaginese ere stata definitivamente ridimensionata.
Doviziosamente descritto dagli storici, da alcuni narrato come mero
aneddoto, da altri correttamente inquadrato come risolutivo dello
scontro tattico durante il quale si verificò, è tuttavia considerato prevalentemente fino ai giorni nostri come mero espediente, e la correlazione con la guerra biologica, nella quale rientra a pieno titolo, è stata
individuata solo recentemente.
La battaglia durante la quale si verificò è del tutto secondaria, e citata dai più esclusivamente perché fu, probabilmente, l'unico combattimento navale diretto in prima persona dal grande Annibale, il quale,
pur duce di una Nazione marinara, che proprio sulle acque aveva gettato le basi per il controllo del Mediterraneo, era noto quale tattico
geniale nelle campagne terrestri: proprio per tale unicità gli storici miliCaleidoscopio Letterario
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tari tendono a indicarcelo, sottolineando la molteplicità di risorse dell'ormai anziano condottiero cartaginese. Sarà pertanto sufficiente solo
un brevissimo cenno al contesto storico: sconfitto nella seconda guerra
punica, con la battaglia di Zama del 202 a.C., totale disfatta dei cartaginesi, “uno dei momenti decisivi della storia che portò il popolo romano
oltre la soglia dell'Italia unita sino al dominio del mondo” - per citare le
parole del Fuller (50)-, dopo pochi anni di magistratura nella sua città,
il generale andò in volontario esilio, per evitare ad essa il sospetto di
quelle trame che Roma gli attribuiva: al contempo Roma conduceva
una politica di espansione nel Mediterraneo orientale, continuamente
diviso fra lotte fra i vari regni ellenistici, piccoli e grandi, appoggiandosi ora all'uno ora all'altro. In tale contesto Annibale offrì la propria
spada ad Antioco III, il Grande, (223-187 a.C.), re di Siria, nemico del
momento di Roma, che invece si appoggiava a Eumene II, re di
Pergamo. Tale contrapposizione campale, iniziatasi nel 192 a.C., ebbe
termine con la decisiva vittoria romana di Magnesia presso Efeso, combattutasi fra la fine del 190 e l'inizio del 189 a.C.: Annibale, fuggito presso Prusia, re di Bitinia, un altro dei piccoli monarchi ellenistici, per non
essere consegnato nelle mani dei suoi storici nemici, offrì a questi la sua
spada. In tale contesto Prusia, che era riuscito a mantenersi neutrale
durante la guerra “siriana” contro Antioco, si sentì stavolta minacciato
direttamente da Eumene, uscito estremamente rafforzato dalla vittoria
di Magnesia. Al comando della flotta di Prusia, nel 184 a.C., come dicevamo, Annibale impegnò e sconfisse la flotta di Eumene.
Accadde così che Roma, che continuava a considerare, e a piena
ragione, una minaccia Annibale, minacciasse un intervento diretto se
questi non fosse stato consegnato nelle sue mani: Annibale, paventando questa possibilità, si tolse la vita col veleno nel 183 a.C..
Nella battaglia navale contro Eumene, nella quale guidava la flotta
di Prusia, Annibale fece scagliare sulle navi nemiche vasi di coccio,
pieni di serpenti. Tale artificio, che determinò panico e gran confusione, aiutò lo stratega cartaginese a vincere lo scontro, che tuttavia si
sarebbe rivelato inutile per il prevalere, sulla lunga distanza, delle
armi romane.
Tale episodio ci mostra un esempio paradigmatico di guerra biologica: i cocci pieni di serpenti, per altro non si sa in che misura velenosi, rappresentano un'arma a pieno titolo biologica: essi presumibilCaleidoscopio Letterario
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mente sono da considerarsi assai meno efficaci, sia come lesività che
come letalità, di molti dei proiettili disponibili al tempo per gli strumenti balistici imbarcabili. Sebbene il cosiddetto “fuoco greco” sia
invenzione sicuramente assai più tarda, ancorché proprio di quell'area
geografica, anche se non con miscele così efficaci e con strumenti,
quali il caratteristico sifone, così complessi, tuttavia l'uso di proiettili
incendiari scagliati mediante apparati meccanici (elastici o a torsione
di matassa) doveva essere ampliamente diffuso già in età ellenistica
(basti pensare che proprio quelli sono gli anni di Demetrio Secondo
detto “poliorcete”). Orbene i vasi di coccio pieni di rettili non sono
sicuramente più dannosi, su navi lignee, di ordigni incendiari, ma,
rispetto a questi ultimi, sono in grado di determinare panico in misura largamente maggiore, sfruttando fobie ancestrali. Questo episodio
è importante, pertanto, perché dimostra che uno degli aspetti che
caratterizzano a tutt'oggi la guerra biologica, la sua grande potenzialità nel conseguire obiettivi mediante le paure indotte, e che conseguentemente hanno reso gli agenti biologici quali armi ottimali per il
terrorismo di ogni natura, era noto sin dall'età classica.
2.3. Il medio evo: assedi, carestie e pestilenze
2.3.1 Assedi e malattie infettive
È opinione largamente diffusa che l'importanza della guerra biologica, o più semplicisticamente dell'intenzionale diffusione di malattie
infettive in popolazioni, sia largamente sottostimata da parte degli
storici della Medicina nello studio della diffusione delle malattie che
hanno determinato il corso della storia. La cosa non stupisce oltre
modo, dal momento che, oltre tale omissione, anche - cosa ben più
grave - il ruolo stesso delle malattie infettive nel determinismo, non
solo di complessi fenomeni storico-demografici, ma anche più semplicemente di singoli eventi puntuali, è largamente misconosciuto,
almeno fra gli storici che non si siano dedicati specificamente alla
Storia della Medicina. Basti pensare che nessuno, se non recentemenCaleidoscopio Letterario
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te, degli storici militari (51) che si sono occupati delle “stupefacenti
cannonate di Valmy”, abbia pensato a valutare motivi sanitari fra
quelli che sono stati citati per giustificare la vittoria delle improvvisate armate rivoluzionare francesi sull'esercito professionale considerato il migliore del suo tempo, quello prussiano, nella battaglia del 1791
che diede l'avvio a quel ventennio di scontri che cambiarono radicalmente la storia delle nazioni e delle società, permettendo la sopravvivenza della Francia rivoluzionaria e impedendo la restaurazione
dell'Ancien Régime: sono stati citate motivazioni logistiche, sociologiche, morali e quant'altro (52, 53), ma nessuno ha pensato che la dissenteria, pur sporadicamente citata da alcuni autori (54), abbia potuto giocare un ruolo determinante; eppure essa paralizzava l'esercito
prussiano - affliggendone oltre i due terzi degli effettivi, resi così non
idonei al combattimento - ed è documentata storicamente in maniera
certa ed attendibile. Numerosissimi sono altri esempi certi o probabili di quanto affermato, o più precisamente del complesso rapporto bidirezionale fra lo sviluppo di eventi storico-politici e diffusione di
malattie infettive, che percorrono tutta la storia dell'umanità, ed esula
dai nostri intenti citarli tutti: basti pensare, solo per nominarne qualcuno di quelli la cui importanza è stata a pieno valutata dagli storici,
al ruolo della pestilenza del 430-429 a.C., presumibilmente un'affezione gastro-intestinale descritta da Tucidide ne “La guerra del
Peloponneso”, quella che uccise Pericle, nel por fine all'egemonia ateniese sulle altre πολεισ greche nel quinto secolo avanti Cristo, o al
ruolo della malattia nel frustrare i propositi strategici di Napoleone:
peste durante la campagna d'Egitto (55) e tifo petecchiale durante
quella di Russia del 1812 (56). Altri sono tuttora del tutto da indagare:
quale sia stato il ruolo dello spostamento di masse di uomini delle
armate degli stati repressori durante la restaurazione ed il loro accantonamento, spesso di fortuna, nel diffondere le epidemie di colera del
1831 non ci è dato di sapere, anche se probabilmente esso sia stato non
trascurabile: per certo il colera stesso, che giova ricordare ebbe come
vittime illustri proprio alcuni dei comandanti di tali armate, quali
Gneisenau e Clausewitz (57), ha giocato un ruolo primario nel favorire i moti insurrezionali, decimando gli eserciti occupanti.
Nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad una più attenta valutazione dell'importanza del fenomeno “malattia”, basti pensare alla fonCaleidoscopio Letterario
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damentale opera divulgativa recente, la prima a carattere ampiamente inter-disciplinare, “Armi, acciaio, malattie: breve storia dell'umanità negli ultimi 13.000 anni” di Diamond (58), dove egli afferma, a
parer nostro correttamente: “Nelle guerre fino alla seconda guerra
mondiale, le epidemie facevano molte più vittime delle armi, e le cronache che esaltano la strategia dei grandi generali, dimenticano una
verità ben poco lusinghiera: gli eserciti vincitori non erano sempre
quelli meglio armati e con i migliori strateghi, ma spesso quelli che
diffondevano le peggiori malattie con cui infettare il nemico.
L'esempio più tristemente famoso viene dalla conquista dell'America
seguita al viaggio di Colombo.”
Tuttavia, fino a tempi recentissimi, la gran parte degli storici della
Medicina, nelle loro opere, pur talvolta assai attente a fattori del tutto
estranei al mero sviluppo tecnico-scientifico dell'arte medica, trascura
il potenziale ruolo della guerra biologica. Basti pensare, a titolo di
esempio, alle pur datate opere di Shryock, il padre della moderna
“Storia sociale della medicina”(59) o alle accurate ricerche di Mirko D.
Grmek, che nello studio della “patocenosi” - concetto ora di uso
comune ma coniato e definito per la prima volta da tale autore (60)delle varie società nelle varie epoche, pur sottolineando molteplici
aspetti estrinseci della diffusione delle malattie, non menzionano il
ruolo della guerra biologica, se non con un breve cenno (61).
Non è tuttavia il caso della “peste nera”, oggetto di questa sezione
di questo lavoro: infatti la diffusione di tale pandemia e i suoi rapporti
con la guerra biologica, da sempre noti, e sottolineati già dalla prima
metà dell'ottocento in opere di storia della Medicina come quella classica di Hecker (62), sono stati ampiamente indagati sin dagli anni sessanta del secolo scorso in classici della Medicina quali “La peste nella
storia” di O'Neill (63).
La peste nera, che si diffuse attraverso Vicino Oriente, Africa settentrionale ed Europa alla metà del quattordicesimo secolo, rappresenta
probabilmente il più grande disastro sanitario della storia e uno dei
più drammatici esempi di malattia infettiva emergente o riemergente.
Infatti, al di là del ruolo assunto nell'immaginario collettivo occidentale, basti pensare alle molteplici opere letterarie che traggono materia
dalla “peste”, dal “Decamerone” di Boccaccio in riferimento alla pandemia summenzionata ai “Promessi Sposi” del Manzoni o “La peste di
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Londra” del De Foe, in riferimento alla pandemia del diciassettesimo
secolo, fino a “La Peste” di Camus, solo per fare alcuni esempi, essa ha
rivestito un ruolo di primissimo piano nel determinare il corso della
storia: basti pensare che stime prudenti valutano che la sola Europa
perse per essa, durante la pandemia del quattordicesimo secolo, circa
trenta milioni di abitanti, da un quarto ad un terzo della sua intera
popolazione, come pure il vicino oriente e l'Africa settentrionale, mentre non esistono stime dell'impatto avuto su Cina, e Estremo Oriente,
che pure deve essere stato terrificante. Sebbene molto di essa si sia
scritto, e molti aspetti siano stati largamente chiariti, quali i percorsi
seguiti nel diffondersi di villaggio in villaggio, o le implicazioni sociali, o gli effetti demografici localistici, altri rimangono tuttora largamente da indagare: basti pensare che, sebbene la quasi totalità dei
medici e degli storici concordino nel riconoscerne agente etiologico la
Yersinia pestis, identificandola con la moderna peste bubbonica, ancora
recentemente medici e storici della Medicina mettono in dubbio tale
identificazione, che appunto non giustificherebbe gli aspetti più controversi, ipotizzando per la “peste nera” altri agenti etiologici, quali un
virus simile all'Ebola (64): se tale ipotesi può apparire suggestiva, tuttavia non aiuta a risolvere i quesiti dai quali è stata generata, ponendone addirittura di nuovi, e generando una sorta di principio di indeterminatezza che non pare foriero di ulteriori acquisizioni scientifiche.
Molti storici, sin dal diciannovesimo secolo (65), imputano la diffusione di tale pestilenza all'Europa ad un episodio di guerra biologica
precisamente documentato, occorso nel 1346 durante l'assedio di
Caffa, antico nome della moderna città di Feodossja, sul Mar Nero.
Tale interpretazione ci pare semplicistica: la diffusione della malattia
in Europa si deve ad un reticolo di fattori e cofattori causali storici,
demografici, sociali ben più complessi, che vanno, per citare semplicisticamente solo due di quelli storici, dall'esistenza di stretti rapporti
fra occidente ed oriente fortemente aumentati nel basso medioevo
rispetto all'alto - senza i quali neppure l'assedio di Caffa sarebbe giustificabile - alla crescita demografica e susseguente espansione centrifuga, dalle steppe dell'Asia, delle popolazioni nomadi ivi residenti. La
complessità dei rapporti fra tali fattori è stata ampiamente analizzata
in molte opere di ricerca o divulgative e rimandiamo ad esse per eventuali approfondimenti.
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2.3.2 De Mussi e l’assedio di Caffa del 1348
L'assedio di Caffa costituisce uno dei primi casi documentati di uso
di agenti biologici durante un assedio, e pertanto ne analizzeremo nel
dettaglio alcuni aspetti. Gli assedi, nella storia dell'arte militare, per
molteplici cause, rappresentano una delle circostanze più favorevoli
all'utilizzo di agenti biologici e, presumibilmente, una delle circostanze
in cui il loro utilizzo risultasse più intuitivo. Fra i motivi di quanto affermato alcuni non richiedono ulteriori approfondimenti: l'alta concentrazione di individui in spazi ristretti, frequente tanto fra gli assediati
quanto fra gli assedianti, le condizioni di promiscuità coabitativa necessitata da tale concentrazione, come pure lo stato di deprivazione alimentare che caratterizza la gran parte degli assedi, giustificano ampiamente la naturale diffusione di malattie infettive tanto fra gli assedianti quanto fra gli assediati; a tali fenomeni possono essere aggiunti in casi
particolari la necessità di ricorrere a risorse idriche non sicure o di
accamparsi, soprattutto per gli assedianti, in posizioni malsane.
Pare doveroso sottolineare un aspetto che supporta pesantemente
tali ipotesi. L'alto medioevo rappresenta probabilmente il periodo
d'oro degli assedi. Lo sviluppo della società feudale, unitamente alla
perdita delle conoscenze di tecnica ossidionale acquisite dal mondo
classico, trasformano l'arte della guerra rendendo frequenti gli assedi
dei castelli, spesso di lunga durata (66, 67): tuttavia tali assedi non
paiono drammaticamente influenzati dalla diffusione di malattie
infettive; sebbene non si possa escludere con certezza cha tale peculiarità sia determinata dall'incompletezza e dalla carenza di fonti storiografiche attente alla problematica, appare più verosimile che sia la
tipologia stessa degli assedi in questione a determinare la scarsa
importanza di malattie contagiose: si tratterebbe infatti nella gran
parte dei casi di assedi a strutture permanenti progettate e predisposte per sostenere tale eventualità: le rocche ed i castelli alto-medioevali sorgevano nella gran parte dei casi in luoghi forti e salubri, spesso difficilmente conquistabili per attacco diretto, calibrate per un
numero determinato e spesso limitato di difensori, ai quali rendevano
disponibili alloggi confortevoli, magazzini di viveri e riserve idriche
igienicamente adeguate, non costituivano il pabulum ottimale per l'insorgenza di epidemie, come pure le caratteristiche intrinseche delle
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forze assedianti, costituite da eserciti feudali “professionali” di scarsa
consistenza numerica; bene diverso è il discorso degli assedi a città,
rari nell'alto medioevo e sempre più frequenti col passare dei secoli,
dal momento che in esse erano raccolti grandi quantità di individui,
in spazi e con risorse inadeguati, e che costringevano gli attaccanti,
per la natura e l'estensione stessa delle opere difensive, a ricorrere a
contingenti notevolmente numerosi.
Non è un caso pertanto che le storie degli assedi a città siano state
pesantemente influenzate dal diffondersi di malattie infettive: dall'assedio di Pavia da parte di Carlo Magno (68) a quello di San Giovanni
d'Acri da parte di Napoleone (69), innumerevoli sono stati gli assedi
tolti per l'imperversare di malattie infettive (la peste bubbonica in
entrambi i casi citati, e non casualmente).
L'insorgenza di un'epidemia dall'una o dall'altra parte ha da sempre costituito un tale svantaggio tattico da imporre nella gran parte
dei casi la sconfitta. Non stupisce pertanto che, una volta verificatosi
tale evento, pur in assenza di positive conoscenze scientifiche sulla
diffusività della malattia, sulla sola base della intuizione empirica del
concetto di “contagio”, proprio per alcune malattie, come la peste,
acquisito sin dai primordi della Storia, si sia tentato di pareggiare i
conti con l'avversario, provocando artatamente fra le sue fila il diffondersi dell'epidemia.
Dobbiamo la descrizione degli eventi dell'assedio di Caffa del 1346
alla cronaca scritta in latino del notaio piacentino Gabriele De Mussi
(70, 71, 72) della cui vita è noto assai poco: nato verso il 1280 e morto
verso il 1356, attivo come notaio fra il 1300 ed il 1349, è addirittura
controverso che sia stato testimone oculare dell'assedio, come sostenuto da alcuni, o meno, come si evincerebbe da tratti dello stesso
testo. Assai chiara e dettagliata è tuttavia la descrizione degli eventi, a
noi pervenutaci non in originale, scritto a ridosso degli eventi descritti, fra 1l 1348 ed il 1349, ma in una copia manoscritta miscellanea del
1367: essa sembra lasciare assai poco spazio all'immaginazione e costituisce pertanto uno dei più importanti documenti storici dell'epoca.
Caffa costituiva sin dal 1266, a seguito di accordi col Khan dell'Orda
d'Oro, un'importantissima colonia e base commerciale per Genova, che
col suo porto apriva per le navi della Repubblica marinara le vie commerciali sia con la Russia centrale che con l'estremo oriente; i rapporti
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con i mongoli erano già stati assai tesi in più occasioni: persa e distrutta dopo un anno di assedio da parte di Toqtai, Khan dell'Orda d'Oro,
dal 1307 al 1308, fu interdetta ai Genovesi fino alla morte di quest'ultimo nel 1312, quando il di lui successore Ozbeg aprì nuovamente rapporti commerciali con la città ligure; nel 1340 era nuovamente una base
attivissima, cosmopolita, pesantemente fortificata con due cinte murarie concentriche, la cui interna conteneva oltre 6.000 edifici e l'esterna
11.000. Nel 1343 Janibeg, che nel 1340 era succeduto a Ozbeg, aprì nuovamente le ostilità contro le potenze mercantili straniere; pose l'assedio, esclusivamente da terra, alla città; che fu liberata solo nel febbraio
del 1344 da una forza genovese che uccise oltre 15.000 mongoli
distruggendone tutte le macchine d'assedio. L'assedio fu ripreso nel
1345 ma entro un anno si esaurì a causa del diffondersi della peste nera
fra gli assedianti. Fin qui nihil sub sole novum: la parte iniziale della cronaca del De Mussi ci descrive sinteticamente un copione già interpretato nella storia da altri eserciti assedianti: “[…] In questo momento l'epidemia colpì i tartari. L'intero loro esercito fu colto dal panico ed ogni
giorno erano in migliaia a morire. Agli assediati sembrò come se dal
cielo fossero scagliati dardi di vendetta che tenessero a freno la spavalderia dei nemici. Dopo poco tempo questi mostravano nei loro
corpi proprio i sintomi caratteristici, vale a dire umori raggrumati alle
giunture ed agli inguini. Quando a tutto ciò faceva seguito la febbre
della putrefazione morivano, ed i medici non erano in grado di offrire
loro né consiglio né aiuto […]”.
Pur risentendo della classica interpretazione ippocratica della
malattia intesa come squilibrio umorale, la pur sintetica descrizione
non lascia adito a dubbi sulla entità nosologica in questione: peste
bubbonica: non una generica pestilenza, ma la “peste bubbonica” da
Yersinia pestis.
La novità è data da quel che avvenne dopo, ovvero il fatto che i tartari, prima di togliere l'assedio, catapultarono i cadaveri degli appestati all'interno delle mura, nella speranza che l'epidemia devastasse la
città, primo episodio di tal genere di guerra biologica, di cui esista
documentazione storica. Sebbene, come già accennato, esistano legittimi dubbi sulla reale presenza in Caffa del cronachista, egli doveva
disporre quanto meno di fonti di prima mano per poter così dettagliatamente e convincentemente - tanto che nessuno ha mai messo in dubCaleidoscopio Letterario
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bio la veridicità di quanto narrato - descrivere i fatti: “Quando i tartari, indeboliti dalla battaglia e dalla peste, sgomenti e completamente
allibiti, dovettero prendere atto che il loro numero si faceva sempre più
esiguo, e riconobbero di essere in balia della morte senza speranza
alcuna di salvezza, legarono i cadaveri su catapulte e li lanciarono
all'interno della città di Caffa, perché tutti morissero di quella peste
insopportabile. Si vedeva come i cadaveri che avevano lanciato si
ammucchiavano gli uni sugli altri fino a formare delle montagne. I cristiani non potevano portarli via né fuggire davanti a loro. La salvezza
sembrava possibile solo gettando nelle acque del mare i cadaveri che
precipitavano. Tuttavia l'aria fu ben presto ammorbata e così anche
l'acqua, ammorbata da quella putrefazione pestilenziale […]”.
La descrizione sintetica è chiarissima, e da sola è in grado di fugare l'ipotesi, recentemente riproposta, che, sminuendo il ruolo dell'attacco biologico, vede il contagio non come interumano, frutto dell'inalazione o inoculazione accidentale di Yersinia liberata dai cadaveri,
giudicati vettori inadeguati, ma frutto del noto, complesso, rapporto
microrganismo ospite (73): la peste sarebbe stata secondo tale ipotesi
importata in Caffa da roditori selvatici (al seguito dei tartari) che
avrebbero scambiato le proprie pulci con quelli urbani, certamente
numerosissimi in una vasta città portuale e commerciale, a causa dell'assedio strapiena di abitanti, con derrate alimentari mal custodite ed
in precarie condizioni igieniche. Fanno propria tale lettura alcuni dei
più quotati storici della Medicina, come il già citato McNeill, che nella
sua fondamentale opera, nel passo relativo all'episodio, non menziona neppure l'attacco batteriologico (74). Per quanto non si possa escludere a priori tale ipotesi, una vera lectio difficilior, essa cede sicuramente a quella, intuitiva, del De Mussi, almeno sul piano della logica formale: il “rasoio di Occam” ci spinge a prediligere francamente l'idea
del contagio diretto da cadaveri, secondo una modalità confermataci
come possibile dalla scienza moderna.
Di questo evento e del successivo diffondersi della malattia nella
città il De Mussi fornisce una magistrale, sintetica descrizione: sebbene parli di avvelenamento delle acque - non si deve dimenticare che
fino al XIX secolo la concezione etiopatogenetica imperante del contagio fosse quella miasmatica ippocratica - è in lui ben chiara la possibilità di contagio interumano, come dimostrato dalla successiva
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descrizione del diffondersi del morbo, relativa al malato di peste:
“Bastava che qualcuno lo vedesse perché il morbo contagiasse luoghi
e persone”.
Se tali elementi emergono chiaramente dalla cronaca, più volte
vagliata in tal senso da storici e storici della Medicina, essa continua
ad avvincerci poiché ascoltando direttamente le parole del De Mussi,
pur tradotte dal latino, si può apprezzare, meglio che da ogni possibile glossa, il senso di panico e di impotenza determinato dalle vicende sinteticamente ma esaustivamente descritte.
La successiva descrizione della diaspora nei vari porti europei dei
bastimenti occidentali e dei marinai, che vedevano nella fuga l'unica
possibilità di scampare all'epidemia, giustifica appieno il diffondersi
rapido della pandemia nel Mediterraneo: Costantinopoli fu investita
nella primavera del 1347, Alessandria d'Egitto con Trebisonda e
Baghdad nel settembre 1347, Messina nell'ottobre dello stesso anno;
Venezia, Genova e Marsiglia, tra i principali porti europei, furono
accomunati dal destino di essere raggiunti dalla peste nel Gennaio
1348; Tunisi lo fu nell'Aprile, Barcellona nel Maggio e Almeira nel
Giugno, mentre entro la fine del 1348 furono colpite La Mecca e
Damasco. Tuttavia ci pare ragionevole affermare che l'episodio di
guerra biologica, contrariamente a quanto affermato dal cronachista e
dalla gran parte degli storici a lui successivi che della sua auctoritas di
testimone oculare si fanno scudo, sia epifenomeno determinante della
pandemia ma non causa primitiva. Infatti, pur non contestando il
ruolo nella diffusione della peste delle navi in fuga da Caffa, che, non
per altro, risponde pienamente almeno al criterio del “post hoc”, pare
di poter affermare che anche senza l'episodio narrato la peste nera si
sarebbe diffusa in Europa grazie al commercio col levante che proprio
a causa di essa ebbe un tracollo. La risonanza che la narrazione logicamente stringente del cronachista piacentino ebbe fra i contemporanei e i posteri è in gran parte da ricercarsi nell'umano tentativo di giustificare moralmente l'inumana catastrofe come conseguenza di
bestiali procedure, in modo di costituire per le future generazioni un
monito, esorcizzando al tempo stesso la possibile ripetizione di una
tragedia così vasta da essere tutt'oggi interpretata come l'evento
determinante la fine del medioevo e l'affermazione del rinascimento.
Ben viva nell'immaginario rimane l'ipotesi di un nesso causale fra
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guerra biologica e peste nera se nella pur brevissima conclusione dell'ampia opera divulgativa contemporanea che chiarisce quest'ultima
interpretazione, il Bergoldt, nel sottolineare succintamente i dubbi che
tuttora circondano la pandemia, ci ricorda che “Inquietante resta il
fatto che i moderni microbiologi non possono in nessun modo escludere per il futuro il verificarsi di catastrofi come quella del 1348-1351.
Mutazioni o l'impiego di armi batteriologiche avrebbero anche oggi
conseguenze disastrose” (75).
2.3.3 Altri assedi e altre pestilenze
È il caso di abbandonare tale affascinante questione per tornare al
tema di questa sezione, ovvero l'uso di agenti biologici durante gli
assedi: dopo l'episodio di Caffa l'efficacia dell'azione rimase ben nota
nel mondo occidentale e si provò a rinnovarne gli effetti, mettendo da
parte remore morali, ogni qual volta fosse possibile; a dire il vero,
pochi altri episodi risultano documentati come quello del XIV secolo:
a parte le vicende relative alle guerre indiane del XVIII secolo, che
saranno narrate nella successiva sezione del lavoro, solo pochi altri
episodi, almeno fino alla nascita della moderna batteriologia, appaiono sufficientemente documentati.
Alcuni di essi appaiono del tutto sovrapponibili alle vicende narrate sull'assedio di Caffa: meno di un secolo dopo, nel 1422, nel pieno
delle guerre ussite, divampate dopo la condanna al rogo per eresia del
riformatore religioso ceco Jan Hus nel 1415, la formidabile fortezza
reale boema di Karlstein, costruita a protezione del tesoro, fu investita e assediata invano dalle milizie guidate dall'abile condottiero Jan
Ziska, che pur essendo completamente cieco dal 1421, aveva più volte
sconfitto sul campo, durante l'anno, il re Sigismondo di Boemia.
Sebbene accurate ricostruzioni storico-militari delle guerre ussite non
menzionino il fatto (76, 77) in molti saggi (78) sulla guerra biologica è
narrato che durante tale assedio furono scagliati fra gli assediati i
corpi dei propri soldati morti di peste e gli escrementi dei moribondi.
Tali affermazioni si basano su resoconti dell'assedio successivi alle
vicende e di parte cattolica: considerando che si trattò di una vera crociata, proclamata formalmente già il 1° marzo 1420, il sospetto che la
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realtà dei fatti paghi un pesante tributo alle intenzioni denigratorie
dei cronachisti è alto.
Un secondo episodio, di oltre tre secoli successivo, è relativo alla
grande guerra nordica che dal 1700 al 1721 vide contrapposta una coalizione formata dall'impero russo di Pietro il Grande, e dai regni
polacco e danese, agli svedesi di Carlo XII per porre fine all'egemonia
svedese sul Baltico (79, 80). Successivamente alla sconfitta svedese
sulla Poltava del 1709, mentre i Danesi sbarcavano in Svezia e Danesi
e Polacchi invadevano la Pomerania, i russi invasero Carelia, Livonia,
Estonia ed Ingria: la città-fortezza baltica di Reval, la moderna Tallinn,
capitale dell'Estonia, nel 1710 si trovò così investita e assediata dai
russi, che furono accusati di aver gettato oltre le mura cadaveri di
appestati nel tentativo di contagiare gli svedesi contrapposti (81).
L'episodio narrato è desumibile da cronache assai più fedeli di quelle
relative all'assedio di Karlstein. Infatti anche se permane il sospetto
che si tratti di propaganda bellica ante litteram col tentativo di screditare i russi dello Zar riformatore Pietro il Grande, come “barbari e selvaggi”, anche forse a parziale giustificazione della di poco successiva
alleanza della Svezia con l'infedele ottomano, l'episodio pare credibile, sebbene la fase della guerra, con il netto prevalere della coalizione
su tutti i fronti, deponga in senso contrario.
2.3.4 Napoleone e Mantova
Ben più interessante appare l'episodio aneddotico riferito da molti
storici militari e relativo alla prima campagna d'Italia dell'allora semplice generale, comandante dell'armata, Napoleone Bonaparte. Il 4
giugno 1796, dopo l'occupazione della Lombardia e la fulminea campagna che in poco più di due mesi, per prima, dimostrò il genio militare del Còrso, l'armata d'Italia investì la città di Mantova e si trovò
immobilizzata nel suo blocco. Mantova era allora la principale piazzaforte austriaca nella penisola ed era praticamente imprendibile con
un attacco diretto per le formidabili fortificazioni perfettamente integrate con un sistema lacustre avvolgente la città. Tale piazzaforte, normalmente difesa da una guarnigione di oltre 12.000 uomini e non
meno di trecentosedici cannoni, costituì una spina nel fianco dell'arCaleidoscopio Letterario
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mata francese per tutto il resto della campagna. Si possono citare le
parole del principale storico militare moderno del periodo napoleonico, il Chandler (82), dalla sua fondamentale opera “Le campagne di
Napoleone”: “La piazzaforte era quasi imprendibile per la presenza
dei tre laghi che la proteggevano a settentrione e ad oriente e delle
paludi malariche che la chiudevano a sud e ad occidente. A questa
situazione naturale si doveva aggiungere una serie complessa di fortificazioni, protette da numerose ed imponenti opere esterne […]. Una
serie di interruzioni avrebbe ritardato la presa della fortezza di
Mantova per più di otto mesi”. La fortezza, circondata dall'armata
rivoluzionaria con un'aliquota appena sufficiente allo scopo e tuttavia
tale da indebolire le già deboli forze repubblicane, impose una battuta d'arresto a Napoleone, il cui genio rifulgeva nelle azioni dinamiche
e aveva minor agio di splendere in quelle statiche dell'assedio tradizionale - e non basta l'agiografica ricostruzione del ruolo di
Napoleone nella presa di Tolone per compensare gli episodi di San
Giovanni d'Acri, abbandonata, come già accennato, per la peste e per
le deficienze nella artiglieria d'assedio, o delle molte città il cui assedio fu delegato a subordinati, quali Graz o Danzica, la cui conquista
fu affidata dal Còrso al metodico Lefébvre (83, 84) che le prese solo
dopo mesi di assedio sistematico. Napoleone fu costretto ad abbandonare l'assedio due volte e due volte a riprenderlo per far fronte alla
multipla minaccia di armate nemiche discese dal Brennero e dalla
Carinzia in soccorso della piazza, in almeno 4 scoordinati tentativi
principali: solo dopo una serie di nuove brillanti vittorie campali della
portata di Castiglione, Arcole, Bassano e Rivoli fu possibile prendere
la piazzaforte. Infatti la città si arrese solo il 2 febbraio del 1797, anche
per il palese errore strategico degli Austriaci, che riempiendo la città
con i resti delle armate di soccorso sconfitte, resero del tutto insufficienti le scorte di derrate alimentari, altrimenti sufficienti ed oculatamente programmate per la normale, pur cospicua guarnigione. Dei
30.000 austriaci arresisi in essa solo 16.000 erano in grado di camminare e furono avviati alla prigionia.
Durante l'assedio, riferiscono gli storici anglosassoni, anche in questo caso con malcelati intenti denigratori nei confronti del loro acerrimo nemico, Napoleone tentò, non si sa con quali esiti e con quali
mezzi, di forzare la resa della piazzaforte infettandone i difensori con
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la swamp fever (85). Della vicenda, che ci sia dato di sapere, non fanno
menzione i vari biografi contemporanei continentali dell'Epopea
napoleonica. Per molti aspetti tale evento non pare verisimile: in
primo luogo permane il dubbio nella moderna letteratura sia storica
che medica sulla reale entità della malattia alla quale si ricorse per tale
tentativo, erede diretta della incertezza nosografica della Medicina del
tempo. Infatti con il termine swamp fever, letteralmente febbre delle
paludi o febbre degli acquitrini, si possono intendere varie patologie,
tanto veterinarie, certamente da escludere in tale caso, quali la “anemia infettiva equina”, virale, quanto e soprattutto umane, quali la
malaria e la leptospirosi. Che sia l'armata francese repubblicana che la
guarnigione imperiale austriaca fossero fortemente provate dalle febbri è fuor di dubbio, come dimostrato da quanto narratoci e dai dati
prima citati. La malaria era allora già ben inquadrata nosograficamente, anche se nulla se ne sapeva dell'etiopatogenesi; certamente era
endemica nell'area dell'assedio; pare non del tutto convincente che gli
storiografi inglesi abbiano utilizzato esclusivamente tale termine per
indicare l'affezione dei due eserciti. Inoltre, a causa del fatto che la
malaria era endemica in ampie regioni dell'Europa e delle Americhe,
solo recentemente si è sottolineato l'importanza militare da essa rivestita nel contribuire a determinare singole campagne o episodi bellici
dell'epoca, come quello di Walcheren, di poco successivo (86). Assai
meno definita era la leptospirosi. Tuttavia non si deve escludere a priori la possibilità che si trattasse di tale patologia per alcuni motivi che
illustrerò brevemente. In primo luogo si può pensare che i francesi
assedianti, costretti a permanere in una piana malsana, fittamente
canalizzata ed al tempo in gran parte paludosa, fossero stati pesantemente colpiti dalla leptospirosi, potenzialmente letale nell'era preantibiotica: tuttora, nonostante le massicce opere di bonifica e canalizzazione effettuate e le derattizzazioni sistematiche condotte, quella della
ampia presenza di roditori costituisce uno dei problemi maggiori che
gli amministratori locali e la Rete Sanitaria periodicamente si trovano
ad affrontare; inoltre dalle statistiche sanitarie correnti costruite sulle
denunce di malattia infettiva (dati ISTAT), per quanto presumibilmente viziate da un difetto sistematico, si desume che a tutt'oggi la
leptospirosi sia da considerarsi endemica, per quanto a basso livello,
in tale area. La querelle sulla reale entità della malattia pare al momenCaleidoscopio Letterario
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to, nell'attesa di nuove acquisizioni, difficilmente risolvibile: ben ci
pare facciano gli storici moderni a rimanere nel vago in proposito, ed
in tal senso ci pare che le parole del Chandler “…paludi malariche…”
non sarebbero da interpretare sensu strictiori. Storici contemporanei
francesi (87) invece non valutano nemmeno l'affascinante ipotesi che
si tratti di leptospirosi; non si limitano, infatti, ad interpretare come
malaria la swamp fever traducendo letteralmente nella propria lingua
col termine paludisme, che, come ben noto, c'identifica modernamente
in tale idioma l'infestione da plasmodio, ma vanno oltre: interpretano
infatti l'inondazione della piana a sud ovest di Mantova con le acque
del Po, condotta dai genieri francesi nel 1797, come il non meglio precisato tentativo d'attacco biologico, ipotizzando così l'intenzionalità
del rendere più “miasmatiche” per gli austriaci le già malsane basse
mantovane. Tale ipotesi ci pare difficilmente sostenibile, poiché l'inondazione d'aree basse può anche avere, e assai più facilmente, finalità meramente riconducibili all'interdizione d'area e d'itinerari,
secondo una pratica già adottata sin dall'antichità e perdurante fino ai
giorni nostri (si pensi all'Olanda ed alla Normandia nel secondo conflitto mondiale). Questa seconda ipotesi ci pare più credibile se inserita nel preciso contesto tattico-militare, poiché l'inondazione, condotta
per ostacolare infiltrazioni nemiche per sortita dalla piazza o tentativi
di soccorso ad essa, fu condotta allorquando le forze assedianti,
decurtate, come già accennato, per le esigenze della campagna militare, d'importanti aliquote, maggiormente si potevano avvantaggiare di
tal espediente.
Per quanto concerne l'ipotesi della leptospirosi, la completa ignoranza al tempo sia di una precisa identificazione nosologica della
malattia, sia della sua eziologia sia soprattutto dei complessi meccanismi di propagazione, ci fanno dubitare di quest'ultima. In tal senso
depone anche la scarsità di dettagli relativi al modo del tentativo, che
corroborino la veridicità dei fatti.
In conclusione due unici elementi ci pare sostengano le ipotesi di
guerra biologica relative all'assedio di Mantova. In primo luogo il
fatto che nell'armata napoleonica militavano alcune fra le più brillanti e innovative menti mediche del tempo (88): se presumibilmente i
chirurghi militari dell'esercito austriaco erano più legati alle dottrine
etio-patogenetiche “classiche”, non altrettanto si può dire di quelli
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delle armate napoleoniche, assetati non solo d'uguaglianza, fraternità
e libertà, ma anche di nuove procedure conoscitive e innovazioni
mediche tecniche (89). Sotto Napoleone, per citare solo nomi forse
secondari ma italiani, militavano figure del calibro dell'Assalini e del
Rima (90)1, le cui ben note “intuizioni” ben avrebbero potuto fornire
all'allora solo generale Bonaparte le certezze necessarie a sviluppare i
propri piani.
In secondo luogo si deve considerare che il desiderio di pareggiare
lo svantaggio tattico determinato dalle numerose perdite nelle forze
assedianti svernanti nel fango, rispetto agli austriaci comodamente
accasermati in città, deve essere stato vivo nello stato maggiore francese; né ci si possono aspettare remore morali estranee ai tempi, basti
pensare che lo stesso Napoleone, l'anno successivo, durante la campagna d'Egitto, avrebbe brutalmente e ferocemente eliminato migliaia
di prigionieri mamelucchi caduti in suo potere, e con lo stesso fine di
non appesantire logisticamente i propri movimenti, avrebbe richiesto
l'eutanasia dei più gravi, difficilmente trasportabili, fra i 2.300 propri
feriti e malati durante la campagna di Siria, evitata solo per la ferma
opposizione del chirurgo capo dell'Armata, il Desgenettes (91), e questo fu un episodio tanto noto che neppure i più agiografici fra i biografi, quali il Laurent de L'Ardeche (92) si poterono esimere dal riportarlo, ancorché tentando di sminuirlo (“…sette o otto malati sì gravemente che non la potevan certo durare in vita un altro dì..”) o modificarlo in maniera assolutamente incredibile.
Ma torniamo nuovamente alla tematica principale di questa sezione: abbiamo citato solamente i pochi esempi che i più considerano prototipici di guerra batteriologica durante gli assedi, trascurando quelli
per i quali non esistono evidenze. Non si deve tuttavia essere tratti in
inganno pensando che il fenomeno si sia limitato a questi soli episodi,
né che essi siano da ricercare esclusivamente in periodi storici antecePaolo Assalini, nato nel 1759 e morto nel 1840, avrebbe accompagnato, in qualità di medico
militare, alle dipendenze del Desgenettes, la spedizione in Egitto, e le sue brillanti osservazioni sulla già citata epidemia di peste bubbonica sarebbero confluite nella magistrale
descrizione, pubblicata nel 1812 col titolo “Observations sur la maladie appellée la peste”.
Tommaso Rima, nato nel 1775 e morto nel 1843, anche egli medico militare, allievo
dell'Assalini, si sarebbe distinto come artefice delle misure contumaciali per il controllo degli
episodi di febbre gialla importata a Livorno dai reduci di Haiti nel 1802 e per quello dell'oftalmia contagiosa divampata nel presidio militare francese di Ancona nel 1812.
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denti allo sviluppo delle moderne scienze biomediche. Le condizioni
favorenti l'utilizzo di armi biologiche hanno infatti caratterizzato tutti
gli assedi, da quelli di piazzeforti medievali ad oggi: ancora durante
l'assedio di Stalingrado del 1943, come vedremo in una parte successiva dell'opera, si è convincentemente ipotizzato l'uso di agenti biologici a scopi bellici, stavolta però, rispetto al passato ed agli esempi fatti,
non tramite fomiti o cadaveri, ma direttamente con i ceppi patogeni di
germi ottenuti e moltiplicati in laboratorio, resi disponibili proprio da
quella scienza che si era adoperata a combatterli.
2.4. L'evo moderno: malattie infettive e genocidi
2.4.1 Le malattie infettive nella storia
Solo nel corso del XX secolo, gli studiosi hanno avuto piena consapevolezza dell'importanza delle malattie infettive sia in singoli processi storici, per ampi e complessi che essi siano, sia, più genericamente, nel prevalere dell'uno o dell'altra etnia nel corso dei secoli.
Sebbene studi su episodi storici puntuali siano stati condotti dagli
anni quaranta dello scorso secolo, solo dagli anni sessanta, con opere
fondamentali già citate in questa sede (93, 94), si è cominciato ad
inquadrare sistematicamente la complessa problematica.
L'esempio più lampante del ruolo delle malattie infettive nella
sorte dei popoli, quello relativo alla conquista da parte dei bianchi
europei del “Nuovo Mondo” nei secoli dal sedicesimo al diciannovesimo, è anche quello che c'interessa maggiormente nello studio della
guerra biologica, perché è la circostanza ove essa ebbe un ruolo più
certo.
Passiamo pertanto a valutare, seppur sommariamente, l'assunto
del paragrafo precedente: possiamo fare nostre le parole del McNeill
(95), per sintesi ed icasticità: “prima della seconda guerra mondiale gli
studiosi sottovalutavano sistematicamente la consistenza delle popolazioni amerindie, facendole ammontare complessivamente ad una
cifra variabile fra gli otto ed i quattordici milioni di individui all'epoCaleidoscopio Letterario
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ca in cui Colombo sbarcò ad Hispaniola. Ma le valutazioni recenti,
basate su una campionatura tratte dalle liste dei contribuenti, sulle
cronache di missionari e su complesse argomentazioni statistiche,
hanno moltiplicato per dieci volte e più le valutazioni iniziali, facendo ammontare le popolazioni amerindie all'inizio della conquista a
circa cento milioni di individui, dei quali venticinque-trenta milioni
vengono attribuiti al Messico ed un numero approssimativamente
uguale alla civiltà andina. […] Partendo da livelli di questo genere il
crollo demografico fu catastrofico. Con il 1568, meno di cinquant'anni
dopo che Cortés aveva dato l'avvio allo scambio epidemiologico, oltre
che di altra natura, fra le popolazioni amerindie ed europee, la popolazione del Messico centrale si era ridotta a tre milioni circa di individui, vale a dire a quasi un decimo della sua consistenza all'epoca dello
sbarco. Lo sfacelo continuò, sebbene con percentuali inferiori […]”.
Sebbene altre cause possano essere considerate corresponsabili del
crollo demografico così impressionante da costituire una catastrofe
difficile da immaginare in un'epoca di crescita demografica pressoché
universale, “il ruolo più distruttivo fu certamente quello delle malattie epidemiche”. Fra esse ebbe un ruolo principe per importanza e
precocità il vaiolo, malattia affatto sconosciuta nelle americhe, stimata responsabile di oltre un terzo dei decessi per malattia. Ad essa
seguirono in rapida successione, sia cronologica sia di importanza,
altri flagelli, alcuni dei quali endemici e non solitamente gravi in occidente, quali per esempio morbillo e parotite epidemica, altri endemici nel vecchio mondo ma non così letali come nel nuovo, quali difterite e tubercolosi, altri infine sviluppatisi a seguito di altrettanto gravi
epidemie occorse nella vecchia Europa, quali il tifo addominale del
1546, che già aveva devastato l'Inghilterra uccidendone non meno del
20% dell'intera popolazione (96).
In estrema sintesi, anche senza impelagarsi nelle dotte disquisizioni
relative al ruolo delle malattie portate in America dall'Africa, e se
malaria e febbre gialla fossero assenti dalle Americhe o vi siano state
importate dai conquistadores, o sull'importazione o meno di altre malattie dal Nuovo Mondo, si può essere certi, come la gran parte degli storici, che senza le malattie infettive la conquista delle Americhe non
sarebbe stata così facile e rapida, e senza giungere a conclusioni opposte diametralmente, negandone affatto la possibilità, si può ragioneCaleidoscopio Letterario
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volmente affermare che essa si sarebbe verificata, ma più progressivamente e con esiti meno drastici. Chi sostiene questa tesi cita ad esempio l'Africa, ove, al di là dei fattori ambientali, le malattie infettive giocarono un ruolo inverso, risultando protettive per i nativi, rispetto ai
quali i colonizzatori, difettando di immunità, risultavano svantaggiati.
Essa fu infine colonizzata, ma le sue genti non andarono incontro ad
un genocidio delle proporzioni di quello americano.
Già i contemporanei, accecati talvolta dall'integralismo della loro
fede, non mancarono di rilevare né l'importanza degli eventi, poi
negletti dagli storici di professione, né il portato psicologico, un misto
di sconforto, panico e rassegnazione fatalistica alla sconfitta, che essi
determinavano, come si evince da numerose cronache (97).
2.4.2 Guerra biologica e conquiste delle Americhe
Alcuni studi riportano che la guerra biologica ebbe un importante
ruolo già nelle prime fasi di diffusione delle malattie infettive nel
nuovo mondo.
Secondo l'U.S.A.M.R.I.D. (98), un'istituzione pubblica Americana
che si occupa istituzionalmente di guerra biologica, forse la più autorevole e completa fonte sull'argomento, ed inoltre una delle più facilmente accessibili, che ritroveremo più volte in seguito, lo svilupparsi
delle prime epidemie di vaiolo nella fase precoce della conquista delle
civiltà andine ebbe il contributo della guerra biologica. Tale fonte
infatti riferisce come “voce”, senza documentarlo più dettagliatamente, il fatto che già Pizarro, nel sedicesimo secolo, avrebbe regalato ai
nativi del vestiario appartenuto a vaiolosi, nella speranza di danneggiarli e di facilitare così la conquista.
Numerose perplessità sorgono a tale affermazione, e ad esse si contrappone un solo elemento favorevole. Analizziamo prima le perplessità, brevemente, per poi più estesamente valutare quest'ultimo. In
primo luogo, dunque, come già in altri casi, la scarsità di dettagli, da
quelli classici circostanziali - dove, come, quando, chi, se non il perché, che è l'unica cosa certa - ad altri, più tecnici - cosa era noto del
vaiolo ai conquistadores del sedicesimo secolo? - depone a sfavore della
tesi. In secondo luogo la vicenda ricalca troppo da vicino altri episodi
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analoghi, successivi, certamente documentati e ricchi di dettagli, tanto
da farci pensare a un'invenzione - nel senso positivo del termine posteriore. Sarebbe forse più corretto parlare non di invenzione di
qualche ricercatore, ma di un più legittimo, se dichiarato - e non è il
nostro caso - processo induttivo: il vaiolo in altri casi certi posteriori
ha determinato, come vedremo, l'esito di campagne di conquista contro altre popolazioni amerindie: in tali campagne posteriori fu condotta una feroce guerra di sterminio biologica tramite fomiti; anche
durante le campagne dei conquistadores il vaiolo giocò il ruolo del protagonista; come non essere indotti a pensare che anche in esse furono
adottati gli stessi espedienti? Tale ragionamento, che avrebbe potuto
essere foriero di un avanzamento della conoscenza storico-scientifica,
ove dichiarato, avesse fornito stimolo alla ricerca di nuove fonti ed
alla reinterpretazione storica di documenti già noti, risulta invece sterile, se pronunciato apoditticamente, in assenza di ogni vaglio critico,
quale mero aneddoto. A suo favore si può soltanto valutare che per
Pizarro e per le sue soldataglie doveva essere ben fresco il ricordo del
ruolo del Vaiolo nella precedente spedizione di Cortes. Per fini di
completezza possiamo presentare il complesso della vicenda con le
parole del già citato McNeill (99), che pure, e a nostro parere a ragione, non menziona neppure in essa il ruolo della guerra biologica: “Il
primo incontro avvenne nel 1518, quando il vaiolo raggiunse
Hispaniola ed aggredì le popolazioni indiane, così violentemente che
secondo Bartolomè de Las Casas non sopravvisse che un migliaio di
individui. Da Hispaniola il vaiolo si spostò verso il Messico, dove
giunse nel 1520 con la spedizione di soccorso che si unì alle truppe di
Cortés. Come risultato, nei momenti cruciali della conquista, quando
Montezuma fu assassinato, e gli aztechi iniziarono a preparare un
attacco contro gli spagnoli, il vaiolo esplose a Tenochtitlàn. Colui che
aveva guidato l'assalto, assieme a moltissimi di quelli che lo avevano
seguito, morì poche ore dopo aver costretto gli spagnoli a ritirarsi
dalla città. Invece di inseguirli, approfittando del successo iniziale, e
di scacciare dal paese l'esigua banda di spagnoli, come ci sarebbe stato
da aspettarsi se il vaiolo non avesse annullato l'efficacia dell'azione,
gli aztechi piombarono nell'apatia. Cortés poté quindi raccogliere le
proprie forze, riunire alleati fra le popolazioni soggette agli aztechi e
far ritorno per assediare e distruggere definitivamente la capitale”.
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“Evidentemente, se il vaiolo non si fosse manifestato in quel preciso momento, gli spagnoli non sarebbero riusciti a conseguire la vittoria in Messico. Lo stesso si può dire della spedizione degli avventurieri guidati da Pizarro in Perù, poiché l'epidemia di vaiolo scoppiata in
Messico non si era limitata ad infuriare nel territorio degli aztechi. Essa
anzi si diffuse in Guatemala, dove comparve nel 1520, e proseguì verso
il sud, penetrando nel territorio degli inca, nel 1525 o 1526. Colà le conseguenze furono drastiche quanto fra gli aztechi. L'inca regnante morì
di questa malattia mentre si trovava lontano dalla capitale in una campagna militare a nord. Morì anche il suo erede designato, senza lasciare successori legittimi. Ne seguì una guerra civile, e fu nel bel mezzo
del crollo della struttura politica dell'Impero Incaico che Pizarro e la
sua banda si fecero strada verso Cuzco e ne saccheggiarono i tesori.
Egli non incontrò alcuna vera e propria resistenza militare”.
“A questo riguardo ci sembra particolarmente importante sottolineare due punti. Innanzitutto, spagnoli ed indiani furono pronti a
convenire che la malattia epidemica era una forma di punizione divina particolarmente temibile e inequivocabile. L'interpretazione della
pestilenza come segno del corruccio divino faceva parte dell'eredità
spagnola, gelosamente custodita nell'antico testamento ed in tutta la
tradizione cristiana […]. In secondo luogo gli spagnoli erano pressoché immuni dalla terribile malattia che infuriava così spietatamente
fra gli indiani.”.
Vale la pena di analizzare brevemente quanto chiaramente descritto: infatti la concezione della malattia come flagello divino, adottata
da entrambe le parti, non esclude la possibilità che gli spagnoli provocassero artatamente il contagio, dal momento che in tal guisa avrebbero assunto il ruolo, certamente confacente al loro fanatismo, di artefici della volontà divina, nei confronti di pagani, considerati subumani, almeno dai più se non da tutti.
Per quanto detto, sebbene l'ipotesi del genocidio doloso mediante
arma biologica sia lungi dall'essere dimostrata, ci pare poco corretto il
rinunciare aprioristicamente ad essa, come pure fanno molti autori contemporanei: basti citare il bel saggio francese del Ruffié e del Sournia
(100), che, nel capitolo relativo alle vicende, pur analizzate compiutamente e correttamente, non prendono in considerazione l'ipotesi, e sembrano già rifiutarla nel titolo stesso di “Genocidi senza premeditazione”.
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Prima di lasciare la descrizione di questi genocidi possiamo fare
cenno a un'opera recente, già citata, quella del Diamond, che risponde esaurientemente seppur succintamente al più importante degli
interrogativi che sorgono da queste vicende, quesito che solo ad una
lettura superficiale non è correlato alla problematica della guerra biologica. Riportiamo, per porlo, le sue parole (101): “Gli indiani che caddero sotto le armi dei feroci conquistadores furono molto meno di quelli che rimasero vittime degli altrettanto feroci bacilli spagnoli. Perché
la storia è così sbilanciata a favore degli europei? Perché nessun germe
portato dagli indiani sterminò gli invasori, arrivò in Europa e spazzò
via il 95% dei bianchi? La stessa domanda si pone per molti altri casi
in cui gli indigeni furono decimati dalle malattie portate dai coloni, e
- al contrario - per le perdite subite dagli europei in alcune zone tropicali dell'Asia e dell'Africa a causa delle malattie locali?”
La risposta a tale quesito è da ricercarsi nell'origine animale di alcune malattie, come Diamond ci dimostra brillantemente, nell'illuminante capitolo della sua opera “il dono fatale del bestiame”. Le civiltà
del bacino del Mediterraneo, in sintesi, avrebbero avuto due vantaggi
fondamentali su tutte le altre, in seguito assoggettate: in primo luogo
l'aver sviluppato l'agricoltura, in secondo l'aver addomesticato il
bestiame, in entrambi i casi per prime e più estesamente delle altre.
Tale primato è derivato loro da una maggior disponibilità di specie di
piante coltivabili e di animali domesticabili, determinata da complesse motivazioni geografiche e climatiche, convincentemente analizzate
nell'opera. Che tali vantaggi si siano tradotti in un maggiore sviluppo
demografico e conseguentemente sociale e tecnologico, è da qualche
tempo ben noto agli antropologi ed agli storici ed anche facilmente
intuibile per i non addetti ai lavori; meno chiaro era il fatto che la
domesticazione del bestiame e la conseguente intimità fra armenti e
uomo abbiano forse giocato un ruolo determinante nella nascita delle
malattie contagiose, poi sviluppatesi anche grazie alla maggiore densità demografica.
Ma lasciamo questo pur suggestivo argomento per tornare alla
guerra biologica.
Come accennato, che l'ipotesi dell'attacco biologico non risulti
accettabile, dipenderebbe da altre conoscenze, di natura storica, non
in nostro possesso. Abbandoniamo quindi per evitare inutili strascichi
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del discorso, quest'argomento, per affrontare invece quegli eventi ove
l'uso di armi biologiche sia più compiutamente noto.
Gli episodi più certi si sono verificati durante le cosiddette “guerre
indiane” del diciottesimo secolo, che, a seguito del conflitto franco-inglese, videro contrapporsi le rispettive truppe regolari, appoggiate da scouts
e da irregolari reclutati fra i coloni, nel Nuovo Mondo. Entrambe le parti
si appoggiarono, in più occasioni, alle diverse tribù indiane, e, secondo
alcuni storici, nel loro contesto vi fu l'unico episodio, quello della lega
guidata dal carismatico capo Pontiac (102), che ebbe una qualche speranza di modificare il destino delle popolazioni Americane del Nord
America, destinate, nel corso del secolo successivo non solo a vedersi
privare della terra, ma anche a estinguersi, sia perché decimate da una
spietata guerra di sterminio e dalle malattie, sia perché private di quel
sistema di valori che tuttora affascina molti appassionati e che da questi
ultimi è tuttora ritenuto superiore al nostro.
Si tratta di quelli scontri, svoltisi dal 1754 al 1769 che, descritti già
da Jaques Fenimore Cooper nel secolo successivo, hanno da allora
continuato a fornire soggetto per innumerevoli opere narrative e cinematografiche: l'interesse da essi rivestito è giustificato dal fatto che
essi rappresentarono una notevole innovazione bellica rispetto alla
coeva guerre en dentelles settecentesca, avendo come bersagli non solo
le Forze Armate contrapposte, ma anche i coloni della parte avversa,
e le tribù alleate, essendo il limite fra civile e militare combattente
alquanto sfumato: essi pertanto furono dominati da una ferocia ancestrale e moderna al tempo stesso e gettarono le basi per la moderna
guerriglia, riuscendo a formare, per altro, quelle milizie e quei comandanti che, meno di vent'anni dopo, avrebbero ottenuto, con la rivoluzione Americana, l'indipendenza dalla madre patria.
Durante tale conflitto, infine vinto dagli Inglesi, con successo effimero sul piano politico ma importante e duraturo per quanto concerne l'influenza culturale, fu proprio la potenza insulare a macchiarsi, in
maniera documentata, di genocidio condotto deliberatamente
mediante l'uso di malattie diffuse dolosamente.
I fatti sono registrati accuratamente e sono disponibili sia resoconti che prove documentali. Secondo esse, di tale crimine contro l'umanità si rese responsabile niente meno che Sir Jeffrey Amherst, al tempo
comandante delle forze britanniche in Nord America, e successivaCaleidoscopio Letterario
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mente lord e uomo politico di spicco dei tory, e zio del più celebre
diplomatico che contribuì a fondare ed espandere in oriente l'egemonia britannica. Sir Jeffrey Amherst (103), come dicevamo, suggerì l'uso
deliberato del vaiolo per ridurre all'ubbidienza le tribù ostili alla Gran
Bretagna. Tale barbara esortazione ai propri subordinati fu probabilmente determinata dalla constatazione dei micidiali effetti del vaiolo
su popolazioni che, non avendolo mai incontrato, erano affatto non
immuni nei suoi confronti: tutto fa pensare infatti che quanto visto per
l'America centrale e meridionale, fosse specularmene valido anche per
la settentrionale. Pur alla presenza di condizioni sociali affatto diverse
e in completa assenza di inurbazione, di forme di governo centralizzato e di quant'altro fosse tipico, invece, delle grandi civiltà atzeche e
inca, anche gli indiani del Nord America presentavano un bersaglio
ottimale per questa malattia virale: almeno le tribù implicate nelle
guerre indiane, quelle abitanti negli stati orientali e nella regione dei
grandi laghi, dimostravano una densità demografica e caratteristiche
di stanzialità tali da giustificare epidemie devastanti di vaiolo.
Attribuire ad Amherst valutazioni di tal genere sarebbe antistorico:
ci si deve limitare a pensare che egli abbia semplicemente potuto
osservare, empiricamente, de visu, gli enormi danni arrecati dal vaiolo ai nativi non immuni, fors'anche appartenenti a tribù amiche, quando si fossero trovate coinvolte, non intenzionalmente, in epidemie,
che pure con una certa frequenza colpivano i coloni, seppur con tassi
di letalità assai minori. Il pensare di danneggiare in tal modo le tribù
ostili, deve essere stato un tutt'uno con la valutazione sopra esposta.
Purtroppo, in questo caso, proprio in quegli anni, e proprio nel
mondo anglosassone al quale Amherst apparteneva, molto sul vaiolo
veniva chiarito: ad esempio era ben nota la contagiosità del contenuto, fresco o disseccato, delle lesioni vescicolose, e conseguentemente
dei capi di vestiario e degli effetti letterecci da esso contaminati.
Avvenne così che le esortazioni di Amherst, come è storicamente
provato, non siano restate lettera morta me abbiano trovato esecuzione. Un'epidemia di vaiolo esplosa a Fort Pitt fornì l'occasione per eseguire il piano prospettato da Amherst.
Il 24 giugno del 1763, il capitano Ecuyer dei “Royal Americans”, uno
dei subordinati di Amherst, regalò agli indiani coperte e fazzoletti usati,
provenienti dal lazzaretto dei vaiolosi del Forte. In questo caso la fonte
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non è viziata dalla malevola denigrazione da parte di avversari sul
campo, dal momento che essa è costituita dalla confessione che emerge
da quanto egli ci ha lasciato scritto nel suo diario: tale documento, oltre
alla veridicità dei fatti testimonia anche l'intenzionalità del provocare
un'epidemia fra gli indiani, ed è quindi il caso di riportarne le esatte
parole: “Data la considerazione che abbiamo per loro, abbiamo donato
loro due coperte ed un fazzoletto provenienti dal sanatorio dei vaiolosi. Spero che questo determini l'effetto desiderato” (104, 105).
Sebbene a tale mostruoso artificio sia certamente seguita una spaventosa epidemia fra le popolazioni indiane della valle dell'Ohio (106),
che contribuì decisamente alla vittoria inglese ed alla conquista di Fort
Carillon, non si può escludere, anche in questo caso, come sempre
quando si analizzano eventi complessi come il diffondersi di epidemie,
che altri contatti, stavolta incidentali, fra coloni malati e nativi, siano
stati altrettanto determinanti (107). A favore di tale ruolo gioca la constatazione che la trasmissione aerogena del vaiolo (mediante droplets) è
estremamente più efficiente di quella mediante fomiti.
Nel chiudere il capitolo relativo a questa pagina nera della storia
dell'umanità, lo sterminio mediante la diffusione intenzionale di
malattie infettive di popolazioni primitive da parte di colonizzatori
bianchi, possiamo ricordare che esso non è rimasta prerogativa del
diciottesimo secolo, ma che forse si è protratto anche al diciannovesimo e forse al ventesimo. Facciamo riferimento ad eventi che videro
protagonista, paradossalmente, proprio quella spirocheta pallida,
agente etiologico della sifilide, che, secondo l'ipotesi più accreditata,
fu l'unica malattia infettiva del nuovo continente, sconosciuta
all'Europa ed al resto del mondo, ad essere importata nel Vecchio
dopo la conquista delle Americhe. Infatti nel diciannovesimo secolo
sempre gli inglesi avrebbero dolosamente diffuso la sifilide fra i maori
della Nuova Zelanda mandando loro prostitute affette da tale malattia, per aprire la strada alla colonizzazione (108). L'episodio, da inquadrarsi nello stesso contesto di guerra biologica empirica e pre-batteriologica, dal momento che l'identificazione da parte di Schaudinn del
Treponema pallidum era ancora di là da venire, se provato e documentato, costituirebbe l'unico esempio di utilizzo di tale agente patogeno,
certamente non fra i più promettenti per la guerra biologica, in considerazione sia del modo di trasmissione che delle caratteristiche di croCaleidoscopio Letterario
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nicità del quadro indotto: infatti a tutt'oggi non è mai stato incluso
nelle liste degli agenti potenzialmente utilizzabili in guerra. Il fatto
che la finalità della diffusione del contagio della sifilide non possa
avere altra finalità che il genocidio ci darebbe inoltre la dimostrazione
che la brutalità umana ha risorse illimitate.
2.5. Gli anni della Prima Guerra Mondiale ed il primo
dopoguerra: la scienza moderna al servizio della guerra;
spionaggio, economia e accordi internazionali
2.5.1 Scienza moderna e guerra biologica
La nascita della moderna microbiologia è da collocarsi storicamente nella seconda metà del diciannovesimo secolo, con la scoperta di
numerosi agenti etiologici quali responsabili delle più importanti
patologie infettive (109): Pasteur (110) identifica gli agenti etiologici di
carbonchio e rabbia mentre Koch (111) quelli di tubercolosi e colera e
formula i propri celebri postulati. Nei decenni successivi sono identificati con certezza i microbi responsabili di peste, difterite, tifo esantematico, tifo addominale e di molte altre malattie infettive batteriche.
Nel breve lasso di tempo che intercorre fra le prime ricerche di
Pasteur e il primo decennio del novecento, l'umanità acquisisce la certezza che la Medicina moderna e più genericamente la scienza miglioreranno le condizioni dell'umanità, fino a livelli sino allora impensabili, in quell'imponente movimento di pensiero detto Positivismo. È
paradossale che proprio tale vertiginoso progresso in ambito biomedico, determini le basi della moderna guerra batteriologica, ben prima
che tale edificio sia minato dai dubbi e dalle contraddizioni del ventesimo secolo. Infatti, parallelamente alla capacità di identificare agenti etiologici, la nascente microbiologia fornisce la capacità di isolare
agenti patogeni, moltiplicarli in vitro, e crearne stocks pressoché illimitati. Le due nazioni che furono all'avanguardia nelle scoperte batteriologiche, come ben noto a tutti gli storici, furono la Francia repubblicana di Pasteur e l'Impero Germanico di Koch.
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2.5.2 La Germania guglielmina e la guerra biologica economica
La moderna storiografia ci dice che numerose evidenze suggeriscono che proprio l'Impero Germanico, sin dallo scoppio del primo
conflitto mondiale, abbia sviluppato un ambizioso programma di
guerra batteriologica. Rimane il legittimo sospetto che di tali evidenze sia rimasta traccia solo perché la Germania risultò sconfitta da tale
ecatombe e pare assai improbabile, sebbene la storia non ne faccia
menzione, che analoghi programmi non siano stati sviluppati, almeno con finalità difensive, nella Nazione che diede la luce alla disciplina e che, almeno fino al primo conflitto mondiale, ma anche dopo, se
pur in misura meno egemonica, costituì il centro di riferimento per la
gran parte dei microbiologi del mondo.
Ma lasciamo le supposizioni non sostenute da dati e limitiamoci ai
meri fatti. Nel 1924 l'insospettabile “Commissione mista temporanea”
della “Lega delle Nazioni”, ente incaricato di vagliare criticamente le
colpe della Germania a riguardo dell'uso di “armi non convenzionali”,
termine coniato proprio in quegli anni e delle cui fortune parleremo in
seguito, riconosce il Reich guglielmino colpevole dell'aver scatenato la
guerra chimica, ma considera insufficienti le prove a suo carico di aver
sviluppato ed utilizzato agenti biologici. Tale assoluzione, condotta in
un clima molto ostile all'imperialismo militarista prussiano, sembrerebbe assolvere con formula piena gli scienziati tedeschi; peraltro,
nonostante la propaganda bellica, tesa più volte a denunciare le “atrocità degli unni”, alla Germania è universalmente riconosciuto un fondamentale rispetto degli impegni assunti con trattati; il fatto è che,
anche se l'avvelenamento di acque superficiali e l'uso di armi avvelenate era formalmente proibito dalla citata convenzione dell'Aja del
1898, sino alla fine della prima guerra mondiale nessun trattato regolava altre forme di guerra batteriologica. Tuttavia l'assoluzione del
1924 sembrerebbe tacitare le numerose voci propagandistiche che avevano accusato la Germania di ripetuti misfatti di tal genere fra il 1914
ed il 1917, quali i mai dimostrati tentativi di diffondere la peste a San
Pietroburgo, di lanciare bombe biologiche sulla Gran Bretagna dai
celebri Zeppelin, e di diffondere il colera in Italia (112).
Solo il successivo interesse per la problematica ha portato gli storici a valutare appieno nella sua importanza un nuovo tipo di guerra
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biologica che proprio la Germania in quegli anni sviluppò, inaugurò
e perseguì con teutonica precisione ed efficacia: la guerra biologica
rivolta alle risorse economiche ed in particolare al patrimonio zootecnico delle nazioni avversarie o di quelle pure solo economicamente di
supporto ai propri nemici. Numerose e non meramente aneddotiche
sono le evidenze in tal senso. La gran parte di esse è relativa a operazioni di sabotaggio “coperte”, condotte per lo più non nelle nazioni
belligeranti, ma in nazioni neutrali impegnante a rifornire di animali
gli avversari: infatti l'economia di guerra determinava la necessità e
l'opportunità per le nazioni dell'Intesa di approvvigionarsi presso
terzi non solo di animali da trazione (cavalli, muli etc.) ma anche di
capi di bestiame da macellazione. I primi infatti avevano costituito
una delle principali necessità logistiche sin dagli albori della guerra:
basti pensare al ruolo determinante della loro penuria nel fallimento
della campagna di Russia del 1812, che, pur sottovalutato dalla storiografia classica a causa dei tentativi di minimizzarlo dello stesso
Bonaparte e dei suoi sostenitori, a favore della rigidità climatica (la
seconda imprevedibile e determinata dalla sorte, rispetto al primo,
frutto di imperizia della pianificazione logistica e avventatezza in
quella strategica), è stato appieno sottolineato dai moderni storici
militari. Gli animali da trazione, in un conflitto come il primo mondiale, vera guerra di materiali e di logoramento, caratterizzata dalla
nascita della motorizzazione militare, che tuttavia si sviluppò soprattutto nella seconda parte, senza mai affermarsi definitivamente, rappresentarono una risorsa di importanza strategica, e come tale legittimo obiettivo bellico. Durante la grande guerra, le nazioni belligeranti
risentirono tutte di penuria alimentare, che solo quelle dell'Intesa, non
paralizzate da blocchi commerciali, poterono in parte sanare con le
importazioni. Il fatto che gli imperi centrali abbiano sviluppato una
risposta a questo handicap basata sulla guerra biologica è dimostrato,
ma la reale portata di tale azione, probabilmente oltremodo efficace,
non è mai stata valutata sistematicamente. I tedeschi ricorsero per la
prima volta non a fomiti o ad animali infetti, ma direttamente agli
agenti di malattie veterinarie, isolati e stoccati in quantità, scegliendo
fra quelli più promettenti perché capaci di determinare notevoli danni
nel patrimonio zootecnico, sia per la loro gravità che per la facilità di
utilizzo. Ulteriore vantaggio dato dall'utilizzo di alcuni di essi era
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costituito dalla notevole difficoltà per le nazioni vittime di tali attacchi non solo di stabilire con certezza, ma anche di pensare alla possibilità di tale azione, in considerazione della relativamente elevata
endozoozia di tali patologie in numerose aree; tale difficoltà sarebbe
stata ulteriormente esacerbata nelle nazioni belligeranti avversarie,
acquirenti, che impegnate nel conflitto avrebbero forzatamente dovuto ridurre i livelli di controllo veterinario e sarebbero state confortate
nel tranquillizzarsi dalla legittima ipotesi di una maggiore prevalenza
di casi nella Nazione esportante, celata per fini commerciali.
Con tali fini furono utilizzati particolarmente Bacillus anthracis,
agente etiologico del carbonchio, e Pseudomonas mallei (germe oggi più
correttamente inquadrato tassonomicamente come appartenente al
genere Burckholderia), agente etiologico della Morva o mal farcino: in
entrambi i casi si trattava di patologie potenzialmente devastanti per le
greggi e col non secondario, ma forse non ricercato, vantaggio di essere trasmissibili anche all'uomo e molto letali in era preantibiotica (113).
Il primo episodio noto è relativo al 1915 ed accadde negli Stati
Uniti, Nazione allora neutrale, ma molto legata alla Gran Bretagna per
la quale, con le sue esportazioni, rappresentava uno dei più importanti partners commerciali: si trattò dell'arresto per sabotaggio del Dr.
Anton Dilger, oriundo tedesco, accusato di aver facilitato un'epidemia
di queste malattie fra gli animali, che avrebbe determinato anche
diverse centinaia di casi fra i militari. Secondo l'accusa egli avrebbe
coltivato a casa sua, a Washigton D.C., avendone il know-how, B. anthracis e P. mallei, forniti, sempre secondo l'accusa - questa non dimostrata - dal governo tedesco, e li avrebbe forniti ad un portuale di
Baltimora affinché li inoculasse in oltre 3.000 capi di cavalli, muli e
bovini destinati al fronte europeo (114).
Il secondo episodio, nel quale il coinvolgimento del governo tedesco appare più certo, è relativo a una Nazione continentale: fino a
tutto il 1916 sabotatori al soldo dei tedeschi operarono in Romania,
con relativa tranquillità, utilizzando B. anthracis e P. mallei per infettare i greggi di pecore destinati all'esportazione verso l'Impero Russo; a
supportare la tesi dell'implicazione della Germania nelle gravi epidemie di tali malattie che devastarono in quegli anni il patrimonio zootecnico rumeno vi è il rinvenimento, presso la legazione tedesca in
Romania, avvenuto nel 1916, di colture microbiche, che successivaCaleidoscopio Letterario
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mente furono identificate con certezza presso l'Istituto di Batteriologia
e di Patologia dell'Università di Bucarest, proprio come contenenti B.
anthracis e P. mallei (115), gli agenti etiologici delle epidemie occorse.
Nessuna altra ipotesi parve compatibile con tale evidenza se non la
peggiore: quella di un attacco intenzionale (116).
Numerosi altri altri episodi descritti con l'utilizzo degli stessi agenti batteriologici, dimostrano l'ampiezza del disegno tedesco, tale da
poter essere considerato di valenza strategica: sabotatori tedeschi
avrebbero inoculato con P. mallei in Mesopotamia oltre 4.500 muli
destinati alla logistica ed in Francia cavalli destinati alla cavalleria; fra
il 1917 ed il 1918, in Argentina sarebbero state infettate con entrambi i
germi citati numerose mandrie con oltre 200 muli uccisi in tal modo.
Analoghe vicende si sarebbero verificate anche in Scandinavia: nel
gennaio del 1917 fu arrestato a Karasjok, in Norvegia, il barone Otto
Karl von Rosen con i suoi compagni: oltre a altri strumenti da sabotatore, quali esplosivi abilmente dissimulati, per i quali era stato arrestato, furono rinvenuti nel suo bagaglio solo dopo l'estradizione in
Svezia anche zollette di zucchero contenenti fiale di B. anthracis. Due
di esse furono rinvenute integre nel 1998 dal curatore del museo della
polizia a Trondheim e furono analizzate (117).
Da quanto riportato e da altre evidenze risulta che l'assoluzione
dubitativa della Germania dall'accusa di guerra biologica può essere
accettata per quanto riguarda l'intenzionalità degli attacchi a esseri
umani, ma che essa non deve certo includere attacchi contro gli animali, ed essi rientrano appieno nella definizione di guerra biologica.
Riteniamo che sebbene alcuni autori considerino trascurabile l'impatto complessivo di tali azioni che possono rientrare di diritto tanto
nella definizione di guerra biologica che di bioterrorismo, la loro reale
portata sia in realtà stata non trascurabile. Di tale avviso era anche il
colonnello medico tedesco Winter, che dopo aver lavorato per la riuscita delle azioni sopra descritte, ancora durante il secondo conflitto
mondiale cercava di convincere il Governo nazista dell'efficacia di tali
azioni: dai suoi scritti relativi a tali tentativi, emergono ulteriori dettagli, interessanti, non tanto su quello che era stato fatto, già a noi noto
e pertanto qui omesso, quanto per quello che si era pensato di fare, e,
che, fortunatamente, non era stato attuato: “Nell'aprile del 1916,
quando ero medico al Quartier Generale del 21° Corpo d'Armata, sotCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
toposi al Ministero della Guerra un memorandum sulla guerra batteriologica, e suggerii un attacco su Londra e sui porti inglesi con l'arma più efficace e terrorizzante: il bacillo della peste […]. Mi recai dall'aggiunto del Direttore del Servizio di Sanità dell'Esercito. Dopo aver
ascoltato in silenzio, mi congedò dicendo che se avessimo preso simili misure non saremmo più stati degni di esistere come Nazione.”(118)
2.5.3 Il dopoguerra e il protocollo di Ginevra del 1925 (119)
La “percezione” della gravità degli effetti di una guerra biologica
da parte delle Nazioni uscite duramente provate dal primo conflitto
mondiale - basti pensare alla crisi demografica successiva alla guerra
ed alla pandemia postbellica di spagnola - non deve essere stata molto
dissimile dalla nostra valutazione, se, per la prima volta nella storia,
la guerra biologica fu allora inclusa fra quanto proibito dalle convenzioni internazionali.
Successivamente alla guerra la neonata Società delle Nazioni si era
trovata a regolamentare le armi non convenzionali, emerse prepotentemente durante il conflitto: in primo luogo quelle chimiche, che, sui
campi delle Fiandre, avevano mostrato per la prima volta le proprie
orripilanti potenzialità. L'atto conclusivo dell'opera diplomatica volta
a proibirle fu rappresentato dal Protocollo di Ginevra, redatto nella
sua forma definitiva il 17 giugno del 1925, che proibiva l'uso di armi
chimiche. Su iniziativa della Polonia furono aggiunte alle forme belliche proibite quelle relative alla guerra batteriologica. Il trattato proibiva il mero uso di armi biologiche, ma non altre azioni correlate all'uso; in particolar modo esso non proscriveva la ricerca di base su
potenziali agenti di guerra biologica né la produzione, il possesso e lo
stoccaggio di armi biologiche; di conseguenza non prevedeva la possibilità di effettuare controlli e ispezioni né precise sanzioni. Inoltre
molte Nazioni ratificarono il protocollo solo ribadendo contestualmente la legittimità del diritto di ritorsione (retaliation), il che ne limitava fortemente l'efficacia. Infatti, se ben nota è la difficoltà nel determinare l'aggressore in contesti relativi a scontri convenzionali - basti
pensare ai paradigmatici tentativi, forse oggi, a posteriori, considerabili maldestri, ma allora certamente valutati dai più come credibili, di
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
attribuire alla Polonia l'inizio delle ostilità nei confronti del Terzo
Reich all'inizio del secondo conflitto mondiale - tale difficoltà è potentemente esasperata ove si parli di epidemie e agenti non convenzionali. Si può segnalare che delle molte nazioni che lo ratificarono, con
la sola eccezione dell'Unione Sovietica, della quale parleremo estesamente in seguito, per nessuna esistono evidenze convincenti di una
palese violazione. Infatti, sebbene alcune di esse, quali Belgio,
Canada, Francia, Olanda, Polonia e Italia abbiano sviluppato programmi di ricerca di base nell'ambito della ricerca di armi biologiche
(120), e altre, quali Gran Bretagna, non si siano limitate a ciò, ma
abbiano anche prodotto, collaudato e stoccato tali armi in quantità,
nessuna di esse pare abbia realmente utilizzato tali armi in guerra, e
pertanto sembra che tutte abbiano rispettato quanto ratificato, come
vedremo in sezioni successive del lavoro. Tuttavia alcune importanti
nazioni, fra le più avanzate nella ricerca scientifica, non aderirono ad
esso. Il Giappone, all'avanguardia in batteriologia grazie a figure del
calibro del Kitasato2 e Shiga, rifiutò di aderire al bando. Gli Stati Uniti
d'America, che pure erano stati con la figura del presidente Woodrow
Wilson, fra i principali fautori della nascita della Società delle Nazioni
e della possibilità di regolare pacificamente gli attriti internazionali, e
che al contempo erano da anni all'avanguardia negli studi su agenti
virali - basti pensare ai ricercatori militari del calibro di Walter Reed,
che aveva contribuito in modo determinante a chiarire l'etiopatogenesi della febbre gialla, o ai ricercatori della “Casetta rossa”, che avevano effettuato fondamentali studi sulle febbri emorragiche trasmesse
da vettori - rifiutarono di ratificare il trattato al quale pure avevano
cooperato, e, come vedremo poi, non avrebbero ratificato convenzioni internazionali in materia fino al 1975.
Tuttavia l'importanza del protocollo non è svalutabile sulla base di
tali rilievi. Infatti, come ben noto a tutti gli studiosi di diritto e di relazioni internazionali, le basi sulle quali si fonda il diritto internazionale
stesso possono essere classificate in consuetudinari e pattizie; la principale origine della consuetudine è rappresentata proprio dalla universalità dell'accettazione di un determinato principio. Onde poter
Premio Nobel per la Medicina insieme al medico militare tedesco Emil von Behring per
gli studi sulla tossina difterica e sulla relativa immunizzazione.
2
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
giustificare l'asserzione di universalità si è fatto spesso ricorso proprio
all'esistenza di trattati ampiamente sottoscritti. È in conformità a tale
ragionamento che proprio sulla base del protocollo del 1925 si potette,
al termine del secondo conflitto mondiale, come vedremo, adottare
sanzioni verso coloro che avevano condotto azioni di guerra biologica.
2.6. La Seconda Guerra Mondiale: esperimenti, biological counter intelligence, atrocità varie e crimini di guerra
2.6.1 Il Giappone e l’unità 731
La seconda guerra mondiale ha rappresentato non solo per la guerra in generale, con l'introduzione dell'arma atomica sul suo finire, ma
anche per la guerra biologica, un punto di svolta significativo. Fra le
Nazioni belligeranti, come abbiamo visto, molte svilupparono ricerca
o produssero e stoccarono armi biologiche, ma solo per una di esse, il
Giappone, esistono forti evidenze per un reale utilizzo di esse.
Tratteremo quindi le vicende relative all'impero del Sol Levante per
poi occuparci delle altre Nazioni: la potenza insulare asiatica, che di lì
a pochi anni si sarebbe scontrata per tali motivi con il colosso economico americano, stava già attuando da un cinquantennio una politica
espansionistica; per l'oculata azione diplomatica dei propri governi
era uscita formalmente vincitrice dal primo conflitto mondiale: tuttavia, come accennato, essa rifiutò di sottoscrivere il protocollo di
Ginevra del 1925. Le basi di tale scelta sono complesse e probabilmente non univoche e il loro studio esula dalla nostra ricerca: potremmo limitarci a includere tale rifiuto in quello più generico di ogni altra
convenzione, che caratterizzò come ben noto la nuova politica estera
dell'impero asiatico (per motivazioni che vanno da quelle antropologiche, quali la convinta superiorità etica, dalle fortissime connotazioni razziste, della propria civiltà sulle altre, a quelle storiche quali la
fine della ricerca del consenso internazionale caratteristica del
momento). Altri vedono alla base di un tale rifiuto la piena consapevolezza della necessità del riarmarsi che era propria dei fautori di una
Caleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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politica aggressiva, rappresentati soprattutto dai vertici dell'esercito,
che avrebbero prevalso nel decennio successivo. La seconda ipotesi
appare perfettamente compatibile con il grande interesse che il
Giappone, una Nazione che era riuscita in meno di un cinquantennio
ad emergere da un'arretratezza tecnologica secolare, riponeva nello
sviluppo scientifico tecnologico: infatti le cause della sua arretratezza
ottocentesca, che l'aveva inizialmente messa in balia delle potenze
occidentali e segnatamente degli Stati Uniti, era da ricercarsi proprio
nella chiusura volontaria allo sviluppo degli armamenti (forse l'unico
caso storico con una reale regressione e non una mera pausa nella progressione) che il vertice dello Stato si era imposto al termine delle
guerre civili per lo Shogunato del sedicesimo secolo e della pacificazione nazionale. In tale contesto va inquadrato l'impressionante piano
di sviluppo messo in atto con certezza sin dai primi anni trenta: si
potrebbe anzi ipotizzare che il rifiuto di limitazioni testimoni l'esistenza di tali piani, anche se a noi oggi ignoti, già alla metà degli anni
venti, con forte anticipo sulle altre Nazioni. Ma lasciamo le facili speculazioni e limitiamoci a esporre i fatti certamente appurati. Il
Giappone, sin dall'occupazione della Manciuria nel 1932, e successivamente fino agli ultimi giorni del secondo conflitto mondiale, avrebbe sviluppato armi biologiche. La direzione delle ricerche per tale sviluppo fu affidata al medico militare Shiro Ishii dal 1932 al 1942 e dal
1942 al 1945, termine della guerra, al dottor Kitano Misaji (121).
Sebbene programmi di sviluppo di guerra batteriologica fossero
portati avanti dal Giappone, con certezza, come sopra accennato, già
nel 1932, il culmine di tali programmi è rappresentato dalla celeberrima unità 731, fondata nel 1936. Tale unità, situata in Manciuria, territorio occupato militarmente con feroce durezza, era costituita da uno
staff di oltre tremila fra scienziati e tecnici, e rappresenta forse il più
grande centro per lo sviluppo di guerra batteriologica di cui si abbiano notizie dettagliate. La sede principale era localizzata nei pressi
della città di Pingfan, ed era alloggiata in un complesso di oltre centocinquanta edifici; oltre tale sito principale ne esistevano anche di
accessori, presso le città di Mukden, Nanking e Changchun, ove era
localizzata un'altra unità, parzialmente indipendente, l'unità 100. Tale
programma di sviluppo costituisce una delle pagine più nere della
storia delle Sanità Militari di tutti gli Eserciti, paragonabile per atroCaleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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cità, efficienza e determinazione nella condotta alle efferatezze condotte dai medici nazisti nei campi di sterminio europei, ma estremamente meno nota all'opinione pubblica mondiale, per motivi che
dopo vedremo brevemente. Il principale metodo sperimentale era
rappresentato dall'infezione, con vari metodi, per saggiarne il migliore, di cavie umane, tratte da prigionieri cinesi, sia civili che militari: fra
i principali patogeni saggiati in tal modo sono da includere Bacillus
anthracis, Neisseria meningitidis, Shigella spp. Vibrio cholerae e Yersinia
pestis. Oltre diecimila prigionieri trovarono la morte nei campi sovra
menzionati a seguito di infezioni sperimentali o di esecuzioni successive alla sperimentazione, per evitare di lasciare scomodi testimoni
delle atrocità compiute (122). Gli edifici sede dell'unità 731 furono fatti
saltare nel 1945 dai giapponesi nel tentativo, fallito, di nascondere
quello che anche ai loro occhi doveva apparire quale un palese crimine di guerra: nelle indagini che seguirono, condotte dagli americani,
emersero indizi che deponevano per l'uso come cavie umane non solo
di cinesi, ma anche di oltre tremila prigionieri di guerra fra americani, britannici, australiani, sovietici e coreani. La gran parte degli studi
su prigionieri occidentali sarebbe stata condotta nel Campo di
Mudken. Le ipotesi relative sostengono che la finalità di questi studi
fosse di individuare la diversa reattività ai patogeni nelle varie razze:
tuttavia, il più autorevole storico di tali vicende, l'Harris, dubita,
nonostante l'alta mortalità per malattie infettive quali dissenteria e
colera fra gli internati e le testimonianze di atti medici (iniezioni ed
analisi varie) di dubbia finalità, che emergono dai resoconti dei prigionieri, di tale ipotesi: infatti, al termine del conflitto i giapponesi
non tentarono di eliminare tutti i prigionieri di tale campo, come avevano invece fatto negli altri campi dove tali esperimenti sono stati certamente compiuti (123). Fra i numerosi agenti patogeni studiati è da
annoverare anche la Francisella tularensis.
Ma il programma di ricerca non si limitò a quella “di base”, se pur
su cavie umane. Numerose incontrovertibili evidenze dimostrano
infatti che furono condotti anche, per la prima volta nella storia, trials
sul campo.
Tali trials, i cui precisi dettagli sono stati acquisiti solo a posteriori,
per quanto ci è noto, si sono limitati ad un periodo più ristretto rispetto a quello dell'intero programma di sperimentazione di guerra bioloCaleidoscopio Letterario
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gica, che come già detto va certamente dal 1932 al 1945. Infatti, sebbene in sede processuale, al termine del conflitto, gli scienziati giapponesi abbiano ammesso di aver condotto almeno undici grandi trials
sul campo, questi sono tutti compresi fra il 1939 ed il 1942, quando
furono sospesi (124, 125). Il primo noto è costituito dal già citato cosiddetto “incidente di Namonhan”. Numerosi casi di tifo addominale
occorsi fra le truppe sovietiche di guarnigione sul confine mongolo,
furono addebitati dal controspionaggio sovietico ad un attacco biologico da parte dei giapponesi, senza che tuttavia si potesse provare tale
sospetto. Solo al termine del conflitto si poté appurare che essi erano
dovuti alla contaminazione intenzionale di scorte idriche sovietiche,
da parte dei giapponesi, con Salmonella tiphi.
Ma i grandi trials sul campo sono almeno di un anno successivi a
questo episodio: essi furono condotti sperimentando i vari sistemi
ipotizzati come efficaci, di diffusione dei germi patogeni testati: uno
di essi era rappresentato dalla diffusione da aeromobili di grano, o
altre derrate alimentari, mischiate a pulci, raccolte, allevate, selezionate e infettate in laboratorio con Yersinia pestis: si calcola che in tal
modo siano state disseminate sul territorio cinese oltre 15 milioni di
pulci infettate in laboratorio, per innescare foci epidemici che innescassero una vera epidemia: il meccanismo di diffusione ipotizzato e
saggiato era il seguente: si pensava che i ratti locali, attratti dal grano,
sarebbero stati infettati dalle pulci, diventando così serbatoi per la
Yersinia, capaci di introdurla nelle sovrappopolate aree urbane cinesi.
Il 4 ottobre del 1940 i giapponesi attaccarono in tal modo con Yersinia
pestis la città di Chuhsien, determinando almeno ventuno vittime. Il
29 ottobre dello stesso anno, sempre per via aerea e con le stesse
modalità, attaccarono la città di Nimpo, provocando novantanove
decessi. Il 29 novembre dello stesso anno sempre un attacco aereo su
Chinhua non avrebbe provocato alcuna vittima. Finalmente, nel 1941,
presumibilmente a seguito di attacchi condotti in tal modo dai giapponesi, si sarebbero sviluppate gravi epidemie nelle province di
Suiyan e Ninghsia. Sebbene non siano disponibili per tale epidemia
dati epidemiologici e batteriologici rigorosi, secondo il dott. P. Z.
King, direttore generale del “Chinese National Health Administration”
tale epidemia di peste è attribuibile agli attacchi biologici aerei condotti dai giapponesi (126, 127).
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Alle basi del Bioterrorismo:
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Francesco Urbano
Ma le sperimentazioni sul campo non si limitarono a questi episodi: l'unità 731 sperimentò anche la contaminazione di acque e di derrate alimentari con colture pure di Bacillus anthracis, Salmonella spp.,
Shigella spp. Vibrio cholerae e Yersinia pestis. Si sperimentò pure la diffusione diretta mediante aereo di Neisseria meningitidis e Yersinia pestis su
centri abitati nemici.
Come già detto, a prescindere dalla dimostrata efficacia bellica di
tali azioni, la sperimentazione sul campo - per utilizzare l'eufemismo
giustificatorio utilizzato dagli imputati nei processi al termine del
conflitto, poiché in realtà di vero utilizzo si trattò - fu interrotta nel
1942 da Misaji, che si limitò, da allora fino al termine del conflitto, a
far condurre sperimentazioni di base. Tale interruzione non deve essere interpretata come determinata dal prevalere di remore morali. La
realtà, assai più cruda, è che, al di là del grande sforzo effettuato con
l'allestimento dell'unità 731, le stesse truppe operanti in teatro dell'esercito giapponese non erano adeguatamente preparate, addestrate
ed equipaggiate per fronteggiare i rischi della guerra batteriologica. Il
condurre operazioni di guerra biologica in tali condizioni equivaleva
ad esporre gratuitamente queste truppe, fiore dell'imperialismo militarista del Sol Levante, al rischio di forti perdite. Nel 1941 infatti l'unità 731 condusse uno dei più efficaci attacchi biologici contro
Changteh: vi furono oltre diecimila vittime di agenti biologici, ma
furono registrati pure oltre millesettecento morti fra le truppe giapponesi operanti nell'area, prevalentemente determinate dal colera (128).
Nella cruda e brutale logica della guerra, il determinare un pur alto
numero di vittime in una popolazione civile nemica, non era neppure
minimamente significativo vantaggio se esso significava anche perdere militari addestrati del proprio esercito. Tale valutazione, più che
ogni altra considerazione morale o limitazione dettata dalla riprovazione internazionale o dalla sottoscrizione di trattati, avrebbe fortunatamente limitato l'escalation del ricorso ad agenti biologici, tanto nel
corso della seconda guerra mondiale, quanto, seppur in misura minore, negli anni immediatamente successivi, non solo da parte della
potenza asiatica.
Nonostante l'interruzione dei trials sul campo nel 1942, è doveroso
citare, come monito sulla pericolosità della ricerca in ambito di guerra biologica, un epidemia che può metaforicamente essere interpretaCaleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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ta come il frutto avvelenato della guerra, capace di colpire popolazioni civili inermi, dopo che la guerra stessa è cessata. Dal 1946 al 1948
intorno a Ping Fan, sito ove sorgeva uno dei centri di ricerca, esplose
una grave epidemia di peste (oltre trentamila morti nel solo 1947): in
considerazione del fatto che la regione era stata sino allora immune da
tale flagello i medici cinesi imputarono l'evento alla forse dolosa liberazione, da parte dei giapponesi, degli animali da esperimento della
base, avvenuta nel 1945 a seguito della ritirata (129).
Non possiamo concludere questa pur breve trattazione dei rapporti fra Giappone e guerra batteriologica, senza citare un altro episodio,
tuttora, contrariamente ai precedenti, oscuro nei suoi dati salienti: si
tratta del cosiddetto caso dei “palloni giapponesi”. Questo è relativamente più tardo degli altri trials sul campo di guerra batteriologica e
successivo alla storica impresa del Colonnello Doolittle, che, bombardando Tokio il 18 aprile 1942, per citare le parole pronunziate dal
generale Wilbur, ex Capo di S.M., nel 1957, “ferì crudelmente l'amor
proprio dei giapponesi”. Per vendicarsi dell'affronto subito questi diedero l'avvio ad un piano di ritorsione che, dopo oltre due anni di preparazione, quando ormai si delineava la sconfitta, si concretizzò col
lancio nei sei mesi fra il Novembre 1944 e la fine della guerra
nell'Aprile del 1945, di novemila aerostati, destinati a traversare il
Pacifico da ovest ad est ed a sganciare il loro carico di morte sugli Stati
Uniti. Fu un fallimento: privi di alcun controllo a distanza, si stima
che abbiano raggiunto l'America solo un migliaio di questi aerostati di
una decina di metri di diametro, dei quali 200 rinvenuti più o meno
intatti. Sebbene le fonti ufficiali li affermino destinati al trasporto di
ordigni incendiari ed esplosivi, sulla base delle caratteristiche tecniche
dei palloni, così come sono state divulgate solo oltre dieci anni dalla
fine della guerra, appare oggi come certo alla gran parte degli scienziati che questi fossero destinati al trasporto di ordigni biologici.
Infatti possedevano un meccanismo di controllo che ne regolava la
quota precisamente fra gli 11.000 ed i 12.000 metri, costituito da meccanismi, asserviti ad un altimetro, relativamente complessi e costosi,
che determinavano la liberazione di zavorra con un meccanismo a
bilancia o l'apertura di valvole, ove la quota non fosse mantenuta.
Dal momento che lo sgancio di bombe convenzionali può avvenire
efficacemente da qualsiasi altezza una ricerca di precisione nella
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costante di altezza, potrebbe essere giustificata dalla necessità di mantenere l'altezza ottimale, nota sperimentalmente, per assicurare il successo alla nebulizzazione di una coltura biologica.
A conferma di tale ipotesi, non suffragata da ulteriori rivelazioni
delle autorità USA, che potrebbero fugare ogni dubbio, essendosi
reperiti dei palloni integri, ma che mancarono del tutto, nel contesto
della segretezza da loro propugnata in tale ambito, vi è la constatazione che in quegli anni in tutti gli Stati Uniti occidentali vi fu un'imponente attivazione preventiva delle autorità sanitarie in tale senso. Si
ingiunse agli allevatori di segnalare qualunque malattia dei loro animali e furono mobilitati centinaia di veterinari, di medici e di ricercatori. Che la causa di tale attenzione fosse un generica paura di guerra
batteriologica o quella più concreta dei “palloni” misteriosi, rimane
problema aperto.
2.6.2 L'Italia e la sua saggia rinuncia
Contrariamente al Giappone, le altre due potenze dell'Asse,
Germania ed Italia, nazioni che avevano entrambe ratificato il
Protocollo di Ginevra del 1925, non risulta abbiano sviluppato significativi programmi di guerra batteriologica.
L'Italia in particolare, non risulta che abbia utilizzato agenti biologici, non solo durante il secondo conflitto mondiale, ove avrebbe
potuto essere limitata dal timore giustificato di ritorsioni, ma neppure durante il conflitto italo-etiopico, di poco precedente, ove pure si
era macchiata dell'uso di aggressivi chimici. Per nostra fortuna, tutti
gli sforzi della Sanità Militare e Civile del tempo, furono volti al proprio legittimo fine istituzionale, ovvero la prevenzione e la lotta alle
malattie fra le forze combattenti, e, giova ricordarlo, con eccellenti
risultati: si può qui menzionare che la guerra italo-etiopica fu quella
ove, proprio grazie allo sforzo della Sanità Militare, si ebbe per la
prima volta nella storia l'inversione del rapporto fra morti per malattia e morti per combattimento, che sino allora aveva caratterizzato
tutti i conflitti. È presumibile che l'Italia si sia astenuta anche da programmi di ricerca volti all'offesa biologica, che non fossero quelli di
ricerca di base, effettuati però non in violazione dei diritti umani, ma
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Alle basi del Bioterrorismo:
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in vitro o in vivo ma su cavie animali, giustificabile pure come ricerca
con finalità meramente difensive. D'altronde, per così dire il giovane
regno italiano aveva già una spiccata tradizione in tal senso, con la
sconfitta del colera in Friuli durante il primo conflitto mondiale o con
la sperimentazione e con l'introduzione militare della vaccinazione
antitetanica, mentre non aveva alcun precedente relativo a guerra batteriologica; del resto, durante il conflitto, se l'Italia brillò per le conquiste igienistiche, altrettanto non si può dire per l'innovazione tecnologica bellica, nella quale si trovò costantemente arretrata rispetto
alle altre potenze coinvolte.
2.6.3 Il Terzo Reich e il 'Comitato parafulmine'
Ben diverso è il discorso relativo al Terzo Reich. Infatti, sebbene la
Germania avesse ratificato la Convenzione di Ginevra del 1925, tale
atto era stato compiuto da esponenti della pacifista Repubblica di
Weimar, ed era inquadrabile in un contesto più generale di disarmo
convenzionale. Con l'avvento del Nazismo tale politica pacifista fu
rapidamente messa da parte e la Germania diede l'avvio a uno dei più
stupefacenti ed efficaci piani di innovazione tecnologica bellica e di
riarmo che siano ricordati nella storia. Tuttavia, curiosamente, l'atteggiamento nei confronti delle armi non convenzionali fu ambivalente:
come noto furono portati avanti, nell'ambito di contesti affatto nuovi,
lo sviluppo di tecnologia nucleare e la missilistica, con risultati tali che
solo la sconfitta sul campo e azioni brillanti di sabotaggio impedirono
che essa potesse vincere gli Stati Uniti nella corsa all'arma di distruzione di massa per eccellenza, quella nucleare. Invece si astenne se non
dallo sviluppo di aggressivi chimici e di armi biologiche, campi nei
quali aveva ottenuto i risultati più micidiali nella grande guerra, dalla
sua sistematica produzione e dall'utilizzo. Tale astensione è attribuita
dagli storici ad espliciti ordini del Führer, che proibivano lo sviluppo e
l'uso di armi chimiche e biologiche. Nel complesso di follia criminale
che caratterizzò l'intera politica hitleriana tali ordini paiono abbastanza incongruenti, e gli storici hanno cercato a lungo di giustificarli: alcuni l'attribuiscono all'avversione per tali espedienti sviluppata dal giovane caporale, che aveva sperimentato personalmente gli orrori della
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guerra chimica sul fronte occidentale; altri al giustificato timore della
capacità di ritorsione delle potenze occidentali. Giova ricordare che
proprio a tal fine, secondo quanto affermato a giustificazione, sia Gran
Bretagna che Stati Uniti d'America, che avevano imparato a diffidare
delle affermazioni naziste, avevano non solo accumulato un arsenale
chimico di gran lunga maggiore per tipologia di aggressivi e per quantità stoccate di quello tedesco, ma avevano sviluppato, come vedremo,
consistenti programmi di guerra batteriologica. Le parole scritte dal
già citato Maleissye in riferimento alla guerra chimica, ben si adattano
anche a quella biologica: “La Germania, che in molte occasioni ha
dimostrato di essere la prima della classe, ancora una volta aveva fatto
meglio delle altre, scoprendo i neuro-tossici. Ma, pur avendone prodotte decine di migliaia di tonnellate, non osò utilizzarli sui campi di
battaglia. Lo spettro delle terribili rappresaglie subite dal 1916 al 1917
si ripresentò molto opportunamente alla memoria dei suoi capi. E questa fu una barriera (nell'accezione più propria del termine) assai più
efficace di tutte le considerazioni di ordine etico, accantonate da un bel
po' di tempo dal regime nazista.”(130)
Secondo altri storici, però, solo il caso evitò episodi di guerra batteriologica: conviene citare gli scritti, a dire il vero sensazionalistici,
ma non per questo meno credibili, di Bernedac (131), grondanti una
sentita e giustificata indignazione per i crimini nazisti: “Hitler condannava senza possibilità di appello la guerra batteriologica, non per
preoccupazioni umanitarie ma perché era convinto che i nemici del
Reich non avrebbero mai osato impiegare per primi quella terrificante ma incontrollabile arma. Acconsentì a che venisse costituita una
associazione che ne mettesse a punto misure difensive”. A tale
Comitato per la prevenzione degli attacchi biologici pose il nome
Blitzableiter, parafulmine. “Il professor Kliewe, direttore del centro per
la guerra biologica dell'Ispettorato Generale del Servizio Sanitario
della Wehrmacht, si battè per tutta la durata della guerra per far accettare al suo Fürer l'idea della guerra batteriologica. Non mancava di
argomenti […]”. Anche se probabilmente non approdarono a niente di
fattivo, i lavori del Comitato Blitzableiter non solo mostrano una
profonda conoscenza dei più recenti sviluppi della guerra biologica,
ma delineano scenari che risultano fra i peggiori ancor oggi, e ci dimostrano che, ironicamente, al contrario di quanto desiderato dal Fuhrer,
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i suoi interessi non si limitarono alla difesa ma si estesero anche all'offesa: riporto, per il suo grande interesse, un breve stralcio dei verbali
di tale commissione, così come ci sono pervenuti, ritrovati dagli alleati negli appartamenti del professor Kliewe:
“L'attacco verrà portato sulla linea del fronte soltanto nel caso in
cui le nostre truppe saranno sufficientemente protette dalla vaccinazione. La guerra batteriologica può essere utilizzata lungo il fronte se
certe regioni vengono abbandonate. In questo caso possono essere
lanciati roditori infettati con la peste o la tularemia. I pozzi possono
essere contaminati con germi del colera, della febbre tifoide e della
dissenteria; i cibi con i bacilli del paratifo e del botulismo; il foraggio
per i cavalli con bacilli dell'antrace o del cimurro [sic]. Le fortezze isolate, i centri di produzione militare ed i porti forniscono eccellenti
occasioni per attacchi batteriologici. Non bisogna però dimenticare
che questo genere di guerra è destinata prevalentemente ai civili ed a
tutte le truppe che stazionano nelle zone di retroguardia. Tutto questo
materiale sarà spedito per aereo: sospensioni, nebulizzazioni, costituzione di nuvole artificiali e, evidentemente, bombardamenti e lanci di
contenitori con paracadute. Per esempio, per la peste, le gabbie con i
topi infettati che saranno paracadutate, si apriranno automaticamente al contatto del suolo.”
“In generale i sabotatori lavorano con piccole quantità di materiale
infettivo. In circostanze favorevoli e con la collaborazione di abitanti
del paese nemico, possono essere causate infezioni massive, in modo
particolare nelle parti poco sorvegliate delle città e sulle popolazioni
più delicate. Nei paesi nemici l'utilizzazione di agenti e di sabotatori
è prevista come segue:”
“1. Lanciare i flaconi contenenti polverizzazioni di organi di animali infettati (carbonchio, febbre di Malta, tularemia, peste) nei tunnel
delle metropolitane, nelle stazioni, nei gabinetti pubblici, o, durante la
notte, nelle vie, sotto i portici, etc”
“2. Utilizzare nello stesso modo le polveri batteriologiche o le
sospensioni. I germi, come gli agenti della febbre tifoide, della dissenteria, del colera, possono essere deposti con i contagocce sulle maniglie delle porte, gli asciugamani di spugna, i cuscini, i sedili posteriori delle vetture di prima e seconda classe, i cibi, particolarmente sulla
birra, il latte, la polvere per il budino e nell'acqua destinata ai bagni.”
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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“3. Le condutture dell'acqua, i pozzi nelle città, nei villaggi, nelle
officine di guerra possono essere infettati con preparati mantenuti in
ampolle o in contenitori frigoriferi.”
“4. Pidocchi infettati con il tifo possono essere buttati nei luoghi
pubblici, caffè, cinema, teatri.”
“5. Escrementi di pidocchi tifici possono essere mischiati con polvere o cenere di sigari per essere dispersi nei W.C., nei teatri, nei ristoranti, nelle sale per riunioni, negli stenditoi, nelle lavanderie etc.”
“6. Il virus dell'afta epizootica trovato su particelle epiteliali seccate su paglia triturata, sarà sparso sui pascoli o nelle stalle. Schegge di
vetro e pezzetti di metallo, possono essere aggiunti al nutrimento.
“7. Si possono spalmare le froge, la bocca e gli occhi dei cavalli e
degli asini con sospensioni di bacilli del cimurro. Con questa sospensione si possono spalmare i trogoli, i secchi, le striglie, le spazzole dei
porcili.
“8. Si possono distribuire gratuitamente ai soldati dolci e sigarette
infette.
“9. Iniezioni di tossina botulinica nelle scatole di conserva, di salsicce, di carne affumicata, di lardo, di formaggio, nei vasetti di marmellata.
“10. Infettare la pasta dentifricia nei tubetti e gli spazzolini da denti
con i bacilli della febbre tifoide”.
A parte le pur agghiaccianti perorazioni al Führer, il comitato
“Parafulmine” non attuò nessun atto di guerra biologica se non uno,
di guerra biologia “economica”, del tipo di quelli compiuti nella
prima guerra mondiale, che però, contrariamente a questi ultimi, esitò
in un ridicolo fiasco: si tratta del cosiddetto “esperimento Speyr”, e le
successive operazioni, volte ad affamare l'Inghilterra, nel 1941, danneggiandone le colture di patate mediante la diffusione, da aereo o
tramite sabotatori, di dorifere, coleotteri parassiti dei tuberi (132).
Tuttavia, sebbene la minaccia del ricorso alla guerra biologica da
parte della Germania nazista, tanto paventata dalle potenze occidentali, non si sia mai materializzata, con l'eccezione del già citato, tardo
episodio di contaminazione idrica in Boemia nord-occidentale, il
Terzo Reich si macchiò di orrendi crimini contro l'umanità ad essa
forse correlabili. Infatti, per tutta la durata del conflitto, con il fattivo
sostegno dei vertici del partito nazista, tanto nei campi di concentraCaleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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mento che in quelli di sterminio, furono condotti esperimenti, su cavie
umane, relativi a alcuni germi potenzialmente utilizzabili nella guerra
biologica (133, 134). Sebbene i risultati ottenuti in tali sperimentazioni
dagli scienziati nazisti fossero decisamente meno francamente indirizzati ai fini della guerra biologica e i risultati in tal senso meno significativi rispetto a quelli ottenuti da altre nazioni, le procedure sperimentali non possono che suscitare tutta la nostra moderna indignazione, se non altro dal punto di vista etico. Infatti numerosi prigionieri
furono così infettati artatamente con Rickettsia prowazekii (135), agente
etiologico del tifo esantematico, Rickettsia mooseri, agente etiologico del
cosiddetto tifo murino, Virus dell'epatite A e Plasmodia spp., e trattati
con farmaci; furono altresì in tal modo testati nuovi vaccini. Si può
ricordare che grazie a tali sperimentazioni si svilupparono le sulfonammidi, furono allestiti vaccini efficaci contro le malattie da rickettsiae, dopo che se ne fu studiata in vivo la patogenesi.
2.6.4 Counter-Intelligence biologica
Ironicamente proprio le inumane procedure adottate dai nazisti si
rivolsero contro di loro in più di un'occasione. Infatti, come per prassi corrente anche in altri settori tecnologici, furono spesso utilizzati
non solo come cavie, ma anche come lavoratori-schiavi anche tecnici,
scienziati e ricercatori tratti dai prigionieri stessi: questi ultimi,
costretti pena la vita a collaborare con i propri aguzzini a loro vantaggio, giocarono loro, spesso, dei pessimi tiri, falsificando dati sperimentali, minimizzando il valore dei risultati ottenuti, nascondendo le
certezze acquisite o in altro modo, anche a rischio della propria esistenza. A titolo di esempio si può citare come paradigmatico il caso
del microbiologo ebreo Ludwik Fleck, considerato, solo a posteriori,
grazie alla sua opera “Genesi e sviluppo di un fatto scientifico” (136),
misconosciuta dai contemporanei, uno dei padri della moderna epistemologia e del neo-positivismo. Questi, nato a Lvov, in Polonia, nel
1896 e ivi laureato in Medicina nel 1922, era uno dei nomi di spicco
della microbiologia mondiale, celebre come ricercatore per le numerose pubblicazioni, se non epistemologiche, microbiologiche, scritte
quale direttore dell'Istituto Sieroterapico di Stato in Vienna e profesCaleidoscopio Letterario
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sore nella sua città natale: durante la guerra e l'occupazione tedesca,
quale direttore del laboratorio dell'Ospedale Ebraico della sua città,
elaborò proprio quanto ricercato con grande determinazione dai
medici nazisti, cioè sia un test efficace per la diagnosi rapida del tifo,
che una vaccinazione antitifica: sebbene i risultati di queste sue ricerche fondamentali siano stati pubblicati solo nel 1947, egli fu costretto
a comunicarne i risultati ai persecutori del suo popolo e, successivamente, internato ad Auschwitz e poi a Buchenwald, sopravvivendo
peraltro a entrambi i campi di sterminio, fu costretto a continuare i
suoi studi: riuscì tuttavia a sminuire agli occhi dei nazisti l'efficacia
delle proprie scoperte - per altro con notevole sense of humour - privandoli così di un mezzo utilissimo per la condotta della guerra (137).
Ma la vicenda che più ci pare significativa relativamente al rapporto fra guerra biologica e Terzo Reich è rappresentata da un diverso
episodio, solo recentemente reso noto ai più e apprezzato in tutta la
sua significatività (138). Infatti si tratterebbe del primo episodio noto
di counter-intelligence di guerra biologica che ironicamente ritorse contro l'amministrazione nazista la grande attenzione da questa riservata
alla profilassi delle malattie infettive. Infatti, sempre all'avanguardia
nell'applicazione delle scoperte scientifiche all'economia di guerra, il
Terzo Reich conduceva accurate indagini epidemiologiche per risparmiare la diffusione di malattie infettive tanto alle proprie truppe
quanto ai civili, sia della madre patria che delle zone occupate, in
quanto necessari alla produzione bellica. Una delle più temute, sia
perché oggettivamente tipica delle peggiorate condizioni igieniche
che accompagnano la guerra, sia per la lezione della storia, di cui la
Germania aveva sempre saputo far buon uso, che riportava tale
malattia come il più grave flagello per l'esercito prussiano durante le
guerre napoleoniche e per quello tedesco durante il primo conflitto
mondiale, era il tifo esantematico. L'interesse per tale patologia pare
giustificato dai dati emersi dalla deposizione del Generale Handloser,
Ispettore Generale del Servizio di Sanità dell'Esercito, al processo di
Norimberga (139), dalla quale emerge che i Servizi Sanitari Militari
tedeschi furono colti del tutto impreparati dall'inizio dell'operazione
Barbarossa, l'occupazione della Russia: infatti “non ebbero il tempo di
effettuare le operazioni di spidocchiatura nella regione di Frontiera.
Ci furono subito più di 10.000 casi di tifo, di cui 1.300 mortali. Ora, nel
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dicembre 1941 ci limitavamo alla produzione di 35.000 vaccini al
mese”. Si trattava dell'oneroso vaccino Weigl, e con le limitate quantità
che abbiamo visto disponibili era possibile - come fu fatto! - vaccinare
solo i medici e gli ufficiali, e se, per i primi, oggi non si avrebbe nulla
da obiettare, in quanto categoria a rischio, per i secondi la scelta parrebbe eticamente inaccettabile. Tale quadro, che determinava, sempre
secondo Handloser, fermento nelle truppe ed addirittura cenni di
ammutinamento, e cessava, pertanto, di essere problema meramente
sanitario, acquisendo una valenza operativa, rende ragione sia dell'importanza del gesto di Fleck, prima citato, che dei crimini a cui i nazisti
si abbandonarono nella sperimentazione del dermotifo, su cavie
umane, nei loro lager (140, 141). I risultati di tale sperimentazione
erano tuttavia ancora lontani e pertanto gli unici mezzi disponibili
all'autorità sanitaria militare, oltre alle limitate dosi di vaccino citate,
erano quelli dell'igiene classica, solo di poco migliorati dall'utilizzo
della moderna tecnologia siero-diagnostica: l'isolamento e l'eventuale
cinturazione di quelle aree ove si erano verificati focolai epidemici o
che risultavano, siero-epidemiologicamente, ad alta endemia.
I tedeschi utilizzavano la reazione sierologica di Weil-Felix per
individuare fra le aree occupate quelle ove il tifo fosse endemico, sottoponendo la popolazione ad accertamenti a campione: la finalità, ove
possibile, era quella di evitare tali aree per il transito delle truppe,
ridurre al minimo le guarnigioni occupanti ed astenersi dalla deportazione al lavoro coatto dei residenti, per evitare la diffusione della
malattia su altri territori del Reich. Come ben noto la reazione di WeilFelix, la più semplice ed efficace fra quelle allora escogitate, è una reazione di agglutinazione di particolari stipiti di Proteus: essa risulta
positiva in tutte le manifestazioni cliniche del dermotifo (ed anche di
altre rickettsiosi) con l'eccezione della malattia di Brill-Zinsser, che
altro non è che una recrudescenza di una infezione da R. prowazekii di
vecchia data, rickettsiosi assai più mite del tifo esantematico (142).
Alla base di tale reazione vi è una cross-reattività antigenica fra la
patogena Rickettsia prowazekii e il genere Proteus, in particolare l'innocuo stipite di Proteus vulgaris OX19:
Alcuni ricercatori polacchi che sapevano che tale cross-reattività
aveva quale effetto ovvio una risposta umorale negli infettati asintomatici con Proteus, tale da determinare una falsa positività biologica
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alla reazione di Weil-Felix, pensarono di utilizzare tale rilievo a vantaggio dei propri compatrioti. Fra il 1942 ed il 1944 fu quindi condotta da medici polacchi una vera e propria campagna di counter-intelligence, importante poiché è la prima certa nella storia. Essi infatti utilizzarono un vaccino ottenuto uccidendo con la formalina colture di
Proteus OX19 per immunizzare capillarmente i residenti in una regione della Polonia e indurre così, con la relativa falsa positività biologica alla reazione di Weil Felix, la convinzione da parte dell'Autorità
occupante nazista che tale area fosse intensamente endemica per il
tifo. Il risultato fu estremamente positivo: grazie alla combinazione di
un vaccino e di una reazione sierologica, si evitò la deportazione dei
residenti in tale area verso i campi di concentramento, e si limitarono
significativamente gli orrori dell'occupazione nazista.
A questo episodio che rientra in un contesto di vero spionaggio,
relativo a guerra biologica, molti altri, che vedremo successivamente
in forma succinta, sarebbero seguiti, fino ai giorni nostri, per esempio
durante la guerriglia in Cecenia o prima dell'ultima Guerra del Golfo,
ma non avrebbero avuto gli stessi spettacolari risultati: infatti nel
secondo caso la counter-intelligence era semplicemente mirata a dissimulare i piani ed i programmi di sviluppo, nascondendo i siti di produzione e di stoccaggio, secondo un copione già recitato più volte
anche dalle super Potenze durante la guerra fredda: secondo la
moderna letteratura sull'argomento il nascondere tali siti risulta enormemente più semplice che non dissimularne altri preposti ad armi
chimiche e soprattutto nucleari. L'episodio relativo alla Cecenia, invece, è sicuramente più originale, ed è relativo allo sfruttamento della
condanna crescente da parte dell'opinione pubblica internazionale
della guerra biologica, unitamente all'indignazione coeva suscitata
dalla scoperta dei precedenti piani di sviluppo di guerra batteriologica dell'ex potenza sovietica. Il 17 ottobre 1999, infatti, le Forze Armate
russe scoprono e pubblicizzano un piano della resistenza cecena di
cospargere con agenti biologici i cadaveri dei propri morti uccisi in
combattimento, al fine di montare un caso internazionale ed avvalersi dell'auspicata successiva condanna morale della Russia: non si sa se
tale piano non sia stato messo in atto perché smascherato o per altre
difficoltà oggettive (143).
Abbandoniamo ora insieme a tale tipologia di guerra anche la preCaleidoscopio Letterario
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sentazione del rapporto fra guerra biologica e potenze dell'Asse
durante il conflitto, per analizzare il ruolo rivestito dalle potenze
alleate.
Come già detto, con la sola eccezione dell'Unione Sovietica, le altre
Potenze si sono astenute dall'uso di armi biologiche ma non dal loro
sviluppo, sperimentazione e produzione. Tutte hanno intrapreso programmi di ricerca che sono perdurati nel dopoguerra, senza significativa soluzione di continuità, argomento che poi verrà sviluppato nel
relativo capitolo.
2.6.5 Gli Stati Uniti d'America
Gli Stati Uniti d'America sono l'altra grande Potenza che non ratificò la convenzione di Ginevra: tuttavia nel decennio successivo alla
grande depressione, col new deal roosveltiano, l'opinione pubblica
spinse per una politica francamente isolazionistica in ambito internazionale: i numerosi tagli alla spesa militare portarono ad una contrazione marcata dei piani di sviluppo, tanto per l'armamento convenzionale che per quello non convenzionale, con la sola eccezione della
marina, che costituiva per la leadership la principale garanzia, sulla
base dell'isolamento continentale della Nazione, che permettesse, in
caso di ostilità, un lasso di tempo adeguato al riarmamento dello stato
e alla riconversione bellica dell'imponente colosso industriale. Fu così
che lo scoppio della guerra, con l'attacco giapponese a Pearl Harbour,
colse impreparati gli Stati Uniti. Secondo la storiografia ufficiale i programmi di guerra batteriologica della Nazione furono tutti intrapresi
solo dopo tale momento, e nulla prima del 6 dicembre 1941, data dell'entrata in guerra, era stato allestito: anche se non esistono motivi per
non fare propria tale tesi, si deve sottolineare alcuni aspetti che
potrebbero, almeno in parte, inficiarla: il primo è il fatto che, come
vedremo, tali dati sono stati forniti dalle autorità politiche e militari
con fini giustificatori, a partire dagli anni sessanta, in risposta della
spinta della potente opinione pubblica Americana, decisamente contraria a tali piani di sviluppo; il secondo che una delle punte di diamante della ricerca batteriologica e da un certo momento, dai tempi di
Walter Reed, anche virologica, americana, era certamente costituita
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Alle basi del Bioterrorismo:
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dalla Sanità Militare e dai ricercatori operanti nei laboratori annessi ai
nosocomi militari sia dell'esercito che della marina: sulla base di tale
dato pare francamente improbabile che tali ricercatori, che portavano
avanti - istituzionalmente e con modalità eticamente, almeno sulla
base dell'etica del tempo, legittime - studi di base su patogeni potenzialmente utilizzabili in guerra, non avessero in mente le possibili
implicazioni belliche delle loro ricerche.
Ma limitiamoci, a prescindere da tali perplessità, a presentare i dati
certamente appurati: Gli Stati Uniti d'America dal 1941 avviano un
programma di studio sulla guerra biologica; inizialmente si tratta di
iniziative puramente difensive, sollecitate dai canadesi, che offrono la
loro piccola isola Grosse-Ile, nel St. Lawrence, vicino a Quebec, per
sperimentare vaccini per proteggere il bestiame da paventati attacchi
biologici (144). L'esercito avvia l'installazione per programmi più consistenti di uno stabilimento di ricerca e sviluppo a Camp Detrick a
Frederick in Maryland, rinominato Fort Detrick a partire dal 1956.
Tale stabilimento diverrà operativo solo nel 1943, anno durante il
quale vengono condotte le prime sperimentazioni sul campo in
Mississipi. A partire dal 1944 vengono allestite in Utah aree appositamente destinate per prove sul campo, denominate Dugway Proving
Grounds. Gli Stati Uniti svolgono ivi sperimentazioni con munizioni
caricate con agenti biologici. Non si deve tuttavia essere tratti in
inganno dalla dicitura “sperimentazioni sul campo”: ben diversamente da quelle giapponesi, che, come detto, configurano un vero utilizzo bellico, le prove Americane si limitano infatti, secondo quanto
ammesso, a quel che si è ora riferito, e non hanno mai coinvolto cavie
umane di alcun genere. Se si astengono dall'uso tuttavia gli Stati Uniti
a Camp Detrick non si limitano alla ricerca, ma fruendo presumibilmente anche del know how dell'alleato britannico, passano anche alla
produzione ed allo stoccaggio, con finalità di deterrenza verso eventuali attacchi del nemico. Ulteriori siti destinati esclusivamente alla
produzione e non alla mera sperimentazione vengono infatti installati a Terre Haute in Indiana.
Gli Stati Uniti ammettono infatti di aver accumulato, durante il
conflitto, oltre 5.000 bombe caricate con B. anthracis (145). Tale impressionante arsenale non sarebbe stato dismesso al termine della guerra,
come pure non sarebbero stati sospesi i programmi di sviluppo, come
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vedremo nel prossimo capitolo. Fra i patogeni testati spicca, oltre a B.
anthracis, anche Brucella suis. Sembra che l'allestimento su larga scala
di proiettili batteriologici con altri agenti diversi da B. anthracis, considerato relativamente sicuro e facile da maneggiare, non sia stato
intrapreso non per remore morali ma per l'auto-coscienza dei bassi
livelli di sicurezza degli impianti produttivi: infatti se i laboratori di
ricerca erano relativamente sicuri, gli stabilimenti di produzione difettavano francamente per questo importante aspetto, come dimostrato
da un esperimento volto a valutarlo. Infatti si vide che nelle procedure di fermentazione e stoccaggio industriale esistevano delle falle evidenti: utilizzando sperimentalmente in tali fasi il non patogeno
Bacillus subtilis var. globigii, questo aveva contaminato pesantemente le
piante ed il suolo circostanti agli stabilimenti industriali, in maniera
simile a quanto avrebbe potuto fare B. anthracis, ma senza le devastanti conseguenze di quest'ultimo (146).
2.6.6 La Gran Bretagna e il carbonchio
Passiamo ora a esaminare i programmi di sviluppo di armi biologiche condotti nel periodo in esame dalla Gran Bretagna (147): già
prima della guerra questa Nazione valutò piani di guerra biologica:
motore dello sviluppo fu il CID (Commettee for Imperial Defence), il cui
segretario, il colonnello Maurice Hankey, fu fra i principali protagonisti degli sviluppi negli armamenti biologici. La Gran Bretagna condusse esperimenti in tal senso dall'inizio della guerra, nel più assoluto segreto: inizialmente esclusivamente difensivi, essi ricevettero la
collaborazione delle migliori menti scientifiche tanto della nazione
quanto dei Dominions. Basti citare, a titolo di esempio che furono
implicate figure del calibro di Sir Edward Mellamby, segretario del
Medical Research Council e autore di fondamentali studi sul rachitismo e Frederick Banting, premio Nobel per la scoperta dell'insulina.
Fu proprio per la spinta del Canada, e di Banting, che si passò a programmi offensivi, finalizzati alla deterrenza: fra il 1941 ed il 1942, gli
studi si erano concentrati sull'agente del Carbonchio. Inizialmente si
studiò come utilizzare tale agente in una potenziale ritorsione contro
il suo uso da parte dei tedeschi contro il patrimonio zootecnico briCaleidoscopio Letterario
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tannico, secondo gli affermati paradigmi della guerra biologica economica: non ci si limitò alla sperimentazione: su proposta di Lord
Hankey, e con l'approvazione di Churchill, con dichiarate finalità di
solo ritorsione furono allestite tortine di semi di lino contaminate con
spore di carbonchio, da disseminare per via aerea sul territorio tedesco: con un modesto investimento (quindici lavoranti per l'involucro
in una ex fabbrica di sapone, un tecnico di laboratorio e due assistenti nella struttura militare di Porton Down) se ne allestì e stoccò fino al
1943 oltre cinque milioni, mai utilizzate e distrutte al termine della
guerra (148, 149).
Ma le caratteristiche del B. anthracis erano, e sono tuttora, tali da
renderlo un eccellente agente di guerra batteriologica, non solo contro
il bestiame ma anche contro l'uomo (150). Molti delle acquisizioni sperimentali tuttora di grande attualità furono frutto di tali ricerche. B.
anthracis era già stato, come visto nel precedente capitolo, utilizzato
dai tedeschi per infettare animali e danneggiare il patrimonio zootecnico; per secoli aveva determinato infatti una grave, spesso mortale,
patologia negli animali e solo raramente nell'uomo. Nonostante tale
conoscenza i tedeschi non avevano previsto di utilizzarlo contro gli
uomini, ed eventuali casi umani erano considerati accidentali e non
ricercati attivamente. Negli uomini l'infezione con tale germe può
verificarsi per via per cutanea, digestiva o inalatoria: la prima è la più
frequente, mentre l'ultima, per lo più una patologia professionale, è la
più grave clinicamente ma la di gran lunga più rara (solo 18 casi riportati negli stati Uniti fra il 1900 ed il 1978 e nessuno da allora). Gli sperimentatori britannici, conoscendo la caratteristica sporigenicità del
germe e l'alta resistenza ambientale delle relative spore, dati che erano
noti sin dalla sua scoperta e dalle coeve brillanti ricerche condotte da
Pasteur, che ne dimostrò il ciclo infettivo, ipotizzarono l'uso bellico di
tali spore. Dimostrarono quindi la possibilità di produrne in larga
scala, di stoccarle e di caricare con essi proiettili di artiglieria.
Dimostrarono quindi che dopo un'adeguata disseminazione di spore
con tale mezzo su un terreno, ove la quantità fosse adeguata, il permanere a tempo pressoché indeterminato di tali spore a livello del
suolo, ed il successivo sollevarsi come polvere quando il suolo fosse
calpestato, sarebbe stato in grado di determinare la più grave delle
forme cliniche di carbonchio, quella respiratoria, da inalazione, nei
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malcapitati che si trovassero ivi a transitare. Tale caratteristica rende il
B. anthracis tuttora, ma ancor più in un periodo in cui il concetto di
chemioprofilassi era di là da venire, un'eccellente arma per l'interdizione d'area e d'itinerario, paragonabile nei suoi effetti a un campo
minato, di difficile rilevazione, dagli effetti antiuomo devastanti e di
pressoché impossibile bonifica tattica. Non stupisce che i ricercatori
britannici, in un periodo storico come quello subito successivo alla
caduta della Francia, quando un'invasione del suolo patrio da parte di
Nazisti sembrava non solo possibile, ma addirittura probabile, volgessero lo sguardo con interesse crescente su questo agente patogeno,
via via che gli esperimenti ne dimostravano le potenzialità. Nel 1941,
dopo meno di due anni di guerra, la sperimentazione di laboratorio
aveva raggiunto traguardi considerevoli: si era in grado di produrre
quantità illimitate di spore carbonchiose e di caricarne proiettili di
artiglieria. Fra il 1941 ed il 1942 si passò alla sperimentazione sul
campo, i cui dati sono rimasti segreti sino ai nostri giorni, col bombardamento di isolotti disabitati degli arcipelaghi a nord della Scozia
con tali proiettili di artiglieria. Il caso più celebre è quello dell'Isola di
Gruinard (151, 152, 153, 154): evacuati i pochi abitanti previo indennizzo pro capite di cinquecento sterline, quest'isola di 520 acri fu lungamente bombardata con tali proiettili, facendo tesoro di precedenti
piccoli esperimenti: si riuscì così a indurre una tale concentrazione di
spore nel suolo da determinare una completa interdizione d'area: fortunatamente la sperimentazione fu condotta utilizzando esclusivamente cavie animali, ed in particolare greggi di pecore: si dimostrò
che queste, liberate sull'isola, andavano rapidamente incontro a carbonchio polmonare, con tassi di mortalità pari al 100%. Il dato più
sconvolgente, e come detto tenuto sino ad oggi segreto, è che una
volta contaminata l'isola non accennava a decontaminarsi naturalmente: la persistenza delle spore era già stata dimostrata da Pasteur
negli studi relativi ai cosiddetti “campi della morte”, ma lì si trattava
di infezione naturale di animali per via alimentare, dal suolo ove pure
continuavano a venire seppellite le carcasse degli animali morti: la
concentrazione necessaria di spore per indurre tale quadro era indubbiamente minore rispetto a quella necessaria ad indurre il quadro
respiratorio, e certamente per quest'ultimo morivano i capi (sia su
base anatomo-patologica che clinica). Anticipando la storia si può
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narrare che tali rilievi determinarono, inaspettatamente, la necessità di
protrarre la quarantena militare dell'isola ben oltre il termine del conflitto mondiale: nei successivi quaranta anni la contaminazione rimase
pressoché immutata tanto da determinare gli stessi effetti nei greggi
periodicamente ivi liberati per testarla. Addirittura fonti giornalistiche
non documentate riferiscono di “un'epidemia di antrace tra il bestiame
nelle coste della Scozia davanti a Gruinard”(155) , attribuendo a tale
evento le decisione di decontaminare l'isola adottata dal governo britannico. La quarantena infatti fu infine tolta solo nel 1990, ma la decontaminazione non era stata ottenuta naturalmente: vi si era infatti dovuto provvedere artificialmente: nel 1986 fu dato incarico ad una ditta specializzata che provvide alla bonifica, pagata oltre mezzo milione di sterline, ottenuta cospargendo il terreno con oltre 280 tonnellate di formaldeide diluite in duemila tonnellate di acqua di mare (156). Solo in seguito a tale capillare e costosa, non solo in termini economici ma anche in
termini di impatto ambientale, anche in considerazione della relativa
piccolezza dell'isola (come detto, per soli 520 acri fu necessario oltre
mezza tonnellata di formaldeide per acro) fu possibile far pascolare
greggi senza che si avessero casi di carbonchio. Per concludere la vicenda, solo a seguito di tali esperimenti, il 24 aprile 1990, l'allora ministro
della difesa britannico, recatosi sull'isola, la dichiarò nuovamente abitabile. “Agli antichi abitanti venne data la possibilità di riprendere possesso delle loro terre, dopo aver restituito, però, al governo inglese le
cinquecento sterline ricevute al momento dell'evacuazione” (157).
È ben documentato che la Gran Bretagna abbia fatto tesoro delle
acquisizioni di Gruinard, e al pari degli Stati Uniti, coi quali ha condiviso i risultati delle sperimentazioni, ha avviato, nel massimo segreto,
la produzione e lo stoccaggio di proiettili caricati con B. anthracis (158).
Lasciando tali supposizioni, non possiamo concludere il capitolo
relativo alla seconda guerra mondiale senza presentare quanto noto in
relazione all'altra grande potenza implicata, l'Unione Sovietica.
2.6.7 L'Unione Sovietica
La potenza euro-asiatica era governata da una delle più efferate
dittature della Storia, quella stalinista, che seppe a tal punto nasconCaleidoscopio Letterario
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dere i propri misfatti, che nulla di positivamente certo ci è dato di
saper sullo sviluppo di guerra batteriologica prima o durante il secondo conflitto mondiale: se da tali programmi si astenne, tale astensione
è da imputarsi esclusivamente alle arretrate condizioni della ricerca
biomedica di base russa in tale periodo, determinate sia dalle gravi
condizioni economiche della Nazione, che dalla fuga di cervelli ad
occidente, che dalle epurazioni spietate fra gli oppositori al regime - e
molti degli scienziati appartenevano, per estrazione sociale, proprio a
questo gruppo di oppositori, reali o presunti - che dall'isolamento culturale auto-impostosi. Le uniche evidenze a supporto di rapporti fra
Unione Sovietica e sviluppo di guerra biologica sono recenti, e peccano di ricchezza documentale come tutte le ricostruzioni a posteriori,
ma paiono credibili, e risultano estremamente pesanti, dal momento
che riguardano non la semplice sperimentazione ma addirittura l'utilizzo di armi biologiche. La credibilità di tali assunti è corroborata
dalla vasta eco internazionale, comprovata dalla citazione nella pressoché totalità dei lavori più seri dedicati alla materia: infatti un ricercatore russo, Ken Alibek, ha recentemente sostenuto in un suo libro
che numerose evidenze suggeriscano come l'armata rossa abbia utilizzato la tularemia, già testata dai giapponesi, durante l'assedio di
Stalingrado, nel 1943, contro le armate corazzate naziste (159, 160). La
credibilità di tali asserzioni è soprattutto determinata dal ruolo dello
scienziato, tale da renderle delle vere rivelazioni: si tratterebbe infatti
dell'ultimo direttore di un centro militare di ricerca biologica delle
Forze Armate dell'ex Unione Sovietica (161). Lo scalpore sollevato da
tali rivelazioni appare giustificato da varie considerazioni. In primo
luogo esso rientra nell'ampia serie di rivelazioni che, come vedremo
in seguito, verificatesi dopo la caduta dell'impero sovietico, hanno
fornito a posteriori la misura dell'interesse del “Partito Arancione” per utilizzare questo eufemismo adottato dalla NATO per indicare, in
maniera politically correct, quello che altrimenti avrebbe dovuto essere
chiamato “il nemico” - per la guerra biologica, e la prova del suo
impegno nello svilupparla. In secondo luogo, da un punto di vista
squisitamente storico tale rivelazione ci fornisce l'unico altro esempio
significativo, oltre al Giappone, di Nazione che non solo ha sperimentato, ma anche combattuto sul campo una guerra biologica. Infine
l'interesse è sostenuto dall'agente biologico usato, la Francisella tulaCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
rensis, che, valutata in passato per le sue caratteristiche ottima, potenzialmente, arma biologica, e tuttora indicataci come tale dalla letteratura e come tale temuta, difettava tuttavia di prove sul campo della
sua efficacia. E le prove ci sarebbero se, astraendosi, come pure
l'Alibek ha fatto, dall'episodio puntuale di Stalingrado, si ipotizzano
come artatamente indotte le gravi epidemie di tularemia che funestarono tanto l'esercito tedesco e quello Sovietico, che la popolazione
civile, con decine di migliaia di casi, sul fronte orientale (163, 164).
Ma le potenzialità degli agenti biologici testati dalle varie potenze
nel corso del secondo conflitto mondiale, quali Bacillus anthracis,
Neisseria meningitidis, Shigella spp. Vibrio cholerae, Brucella suis, Yersinia
pestis, Francisella tularensis e di altri, valutati o scoperti successivamente, quali i virus responsabili della dengue o delle febbri emorragiche, solo a titolo di esempio, non cessarono di essere oggetto di interesse con la fine della guerra; anzi, le nuove tecnologie e gli sviluppi
della microbiologia del secondo dopoguerra, dischiusero nuovi orizzonti alla guerra biologica, fornendo il destro in un primo momento
di selezionare e in un secondo momento di modificare i patogeni stessi aumentandone l'efficacia bellica.
2.7. Il secondo dopoguerra: la guerra fredda ed il trionfo
della real-politik
2.7.1 Il primo dopoguerra e la guerra fredda
Tentare di sintetizzare in poche pagine gli eventi principali di oltre
mezzo secolo è impresa impossibile, specialmente quando, come nel
nostro caso, la breve distanza dagli eventi non costituisce un filtro che
ci privi di molte delle fonti e ci permetta di inquadrare gli eventi stessi in una trama già soppesata: anche le migliori opere storiche sintetiche relative a tale periodo difettano in qualche scelta (165); si rimanda
tuttavia ad esse per una migliore comprensione degli eventi. Per i
nostri fini, rappresentati dal fornire giusto uno scenario per inquadrare la guerra biologica, sarà sufficiente spendere poche righe.
Caleidoscopio Letterario
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Francesco Urbano
Alla seconda guerra mondiale seguì una breve e transitoria fase di
relativo ottimismo, databile dal 1945 al 1949, nella quale tuttavia già
apparivano in embrione gli elementi negativi caratterizzanti il successivo quarantennio. Essa fu caratterizzata dalla speranza di una storia
senza più guerra e dalla nascita dell'ONU.
Durante tale fase, tuttavia, la corsa alle armi biologiche da parte
delle due superpotenze, lungi dal rallentare, subì invece un'accelerazione, determinata dalla volontà di acquisire il know-how raggiunto
durante il conflitto da Germania e, soprattutto, Giappone.
A questo interludio seguì un lungo periodo di quasi un quarantennio (1950-1989), la cosiddetta “guerra fredda”, caratterizzato dalla
contrapposizione fra blocchi occidentale e Sovietico, dal timore di una
ecatombe nucleare, da una politica di dissuasione nucleare (politica
della “massive retaliation”) e dallo sgretolamento del colonialismo classico: nel corso di tale periodo entrambe le super-potenze perseguirono programmi di guerra biologica: l'Unione sovietica nella massima
segretezza, tanto che solo con la fine della guerra fredda si è potuto
acquisire certezza su quanto si era, sino ad allora, solo sospettato; gli
Stati Uniti, invece, alternando segretezza ad aperture, in risposta ad
un'opinione pubblica sempre più attenta all'argomento e sempre più
contraria a tali programmi. Ci pare opportuno trattare i principali
eventi senza dividerli a seconda della matrice occidentale o sovietica,
proprio per le caratteristiche dialogiche dello sviluppo di armi biologiche, che videro ogni mossa succedersi a quella della parte avversaria, come in una partita a scacchi il cui esito avrebbe potuto essere una
guerra globale con un'ecatombe nucleare, come era noto ai più, o una
catastrofe biologica, come solo oggi si intuisce.
Ma andiamo con ordine e presentiamo gli eventi salienti in ordine
cronologico, cercando, seppur brevemente, di inquadrarli in una
visione organica.
2.7.2 Guerra fredda e guerra biologica prima del 1972
Al termine del secondo conflitto mondiale gli Stati Uniti dismisero,
cedendoli all'industria farmaceutica per la riconversione, tutti gli stabilimenti industriali che avevano utilizzato per la produzione di
Caleidoscopio Letterario
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bombe biologiche, anche in considerazione degli scarsi livelli di sicurezza dimostrati. Tuttavia non alienarono le strutture di Camp
Detrick, che furono invece potenziate: in tale fase l'amministrazione
Truman, nel 1946, rese pubblico il suo impegno nella ricerca di armi
biologiche, affermandone contestualmente la limitazione alla sola
ricerca di base. Non fu reso pubblico invece che erano in corso patteggiamenti con gli scienziati giapponesi dell'Unità 731, volti ad
acquisire informazioni sui risultati sperimentali ottenuti in cambio
dell'immunità. Nel corso del 1946, come risultato a posteriori, tali patteggiamenti andarono in porto: non solo scienziati di secondo piano
ma gli stessi direttori dell'Unità 731, Ishii e Misaji, ottennero l'immunità dai crimini di guerra e contro l'umanità commessi, al prezzo della
loro collaborazione con la ricerca Americana nel campo. Durante tutto
il dopoguerra furono condotti con loro numerosi debriefings segreti
(166, 167).
Affatto diverso, almeno nei modi, fu l'atteggiamento dell'Unione
Sovietica: questa, nel 1949, con grande enfasi e pubblicità, processa
dodici giapponesi responsabili della guerra batteriologica caduti nelle
sue mani, li condanna alla pena capitale e li fa giustiziare (168). Nella
sostanza non abbiamo elementi per giudicare se essa fece propri,
come gli Stati Uniti, i risultati raggiunti dai giapponesi.
Fra il 1950 ed il 1953, durante la guerra di Corea, gli Stati Uniti riattivano a pieno i loro programmi di guerra batteriologica. Sebbene le
accuse internazionali agli Stati Uniti di aver impiegato durante tale
conflitto armi biologiche su nord coreani e cinesi, non siano mai state
provate e debbano essere considerate mera propaganda anti americana, vi è oggi piena certezza del fatto che gli Stati Uniti abbiano attivato nuovamente, in quegli anni, i loro stabilimenti di produzione.
Questi furono impiantati stavolta nell'Arkansas, al Pine Bluff Arsenal e,
contrariamente a quelli della seconda guerra mondiale, e presumibilmente, sulla scorta di quanto appreso in essi, si manifestarono sicuri,
poiché dotati di adeguate misure per la bio-sicurezza. Tale affermazione è supportata dal fatto che essi risultarono superiori a quelli dei
centri di ricerca e sviluppo, considerati buoni anche durante la guerra: per esempio a Fort Detrick, secondo i dati resi disponibili, si erano
verificati dal 1943 al 1969 solo 456 infezioni occupazionali, con un'incidenza di meno di dieci per milione di ore lavorative, inferiore a
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quella di altri laboratori civili: dei soli tre casi fatali due furono di carbonchio, nel 1951 e nel 1958, e uno fu di encefalite virale, nel 1964. In
tutti i siti di produzione e di collaudo vi furono solo 46 infezioni occupazionali, senza alcun decesso (169).
I miglioramenti tecnici permettevano la produzione su larga scala,
la concentrazione lo stoccaggio e la weaponization3 dei microrganismi4.
Oltre a questi impianti, nei quali la produzione di armi biologiche ebbe
inizio nel 1954, sin dal 1953 si era dato l'avvio a programmi di sviluppo delle contromisure per proteggere le truppe da un attacco biologico, contromisure che includevano vaccini, sieri immuni e farmaci.
Il ventennio che intercorre fra il 1950 ed il 1970 rappresenta probabilmente quello di massimo sviluppo dei programmi Americani per la
guerra biologica, che, pur condotti in maniera riservata nei confronti
dell'opinione pubblica, non erano stati formalmente ripudiati dall'amministrazione governativa, che anzi poteva liberamente avvallarli con una notevole elargizione di fondi. Per sintetizzare quanto compiuto in quegli anni in America, possiamo citare letteralmente lo studio di Cristopher et al. (170), già citato, dal momento che ne sono
autori ufficiali medici delle Forze Armate statunitensi che hanno
avuto accesso diretto alle fonti relative: “Studi su animali furono condotti a Fort Detrick, in remoti siti desertici, e su chiatte nell'Oceano
Pacifico. Nel 1955 iniziarono esperimenti sull'uomo, col ricorso a
volontari sia militari che civili. Munizioni biologiche furono esplose
all'interno di una camera di areosolizzazione costituita da una sfera
metallica cava da un milione di litri, conosciuta a Fort Detrick come la
“palla otto”. In tale camera dei volontari5 furono esposti a Francisella
tularensis e Coxiella burnetii. Questi ed altri studi venivano condotti per
determinare la vulnerabilità ai patogeni aerosolizzati e l'efficacia proIl neologismo indica l'insieme dei procedimenti per rendere adatti all'uso come arma gli
agenti biologici.
4
Uno dei progetti più bizzarri riguardava la realizzazione di bombe a frammentazione
riempite di piume di tacchino con adsorbito l'80% del loro peso di spore della ruggine del
frumento; le bombe dovevano essere sganciate da palloni aerostatici varati da apposite
unità aeree, in vari punti delle vaste distese di campi di frumento - quali quelle dell'Ucraina
- con l'intento di ridurne di un terzo i raccolti.
5
Si trattava prevalentemente di avventisti del settimo giorno, che, in quanto volontari, svolgevano il servizio militare con incarichi civili.
3
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
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filattica di vaccini e terapeutica di farmaci in studio. Altri studi vennero condotti usando altri germi come modelli. A tale fine vennero
scelti Aspergillus fumigatus, B. subtilis var. globigii, e Serratia marcescens;
tali microrganismi erano considerati essere non patogeni e venivano
usati per studiare tecniche di produzione e di stoccaggio, oltre che
metodi di aerosolizzazione, il comportamenti di aerosols su estese
aree geografiche e gli effetti dell'irraggiamento solare e delle condizioni climatiche sulla vitalità degli organismi aerosolizzati. Intere
città, surrettiziamente, furono usate come laboratori per saggiare
metodi di aerosolizzazione e di dispersione quando germi usati come
modelli furono rilasciati nel corso di esperimenti segreti a New York
City, San Francisco ed altre località fra il 1949 ed il 1968.[…]”
“Alla fine degli anni sessanta le Forze Armate statunitensi avevano
sviluppato un arsenale biologico che includeva numerosi patogeni
batterici, tossine e fito-patogeni fungini che potevano essere diretti
contro i raccolti di stati nemici per distruggerne i raccolti. Inoltre armi
da usare segretamente usando tossine animali e vegetali erano state
sviluppate dalla CIA (Central Intelligence Agency); tutti i documenti sul
loro sviluppo ed uso furono distrutti nel 1971.[…]”
La produzione di armi biologiche seguì direttamente la sperimentazione. Nel 1954 il Pine Bluff Arsenal comincia a produrre bombe a
grappolo, anti-uomo, caricate con Brucella suis; l'anno successivo, nel
1955, passa alla produzione industriale di Francisella tularensis. Nel
1956 fu fondato, con finalità di ricerca e di sviluppo di armi biologiche
francamente offensive l'Army Medical Unit.
La produzione di armi biologiche tuttavia non procedette linearmente senza ripensamenti o interruzioni: nel 1961, durante
l'Amministrazione Kennedy, si registrò, se non una vera battuta d'arresto, quanto meno un notevole rallentamento. Le remore vennero
superate quando, nel 1964 al Pine Bluff Arsenal furono impiantati stabilimenti per la produzione di virus e di rickettsie; dal 1966 tutta la
grande struttura divenne un deposito per armi biologiche, utilizzate
solo in collaudi e prove.
Anche altre nazioni del blocco occidentale, quali Francia, Canada e
Gran Bretagna, hanno condotto in quegli anni studi di guerra biologica, ma, almeno ufficialmente, solo studi di base e con finalità esclusivamente difensive. Ciò non ha evitato loro i rischi derivanti dalla speCaleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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rimentazione con germi letali, eventualmente “weaponizzati”: pur
non disponendo, come per gli Stati Uniti d'America, di dati certi sulla
sicurezza dei laboratori, possiamo citare, ad esempio della pericolosità intrinseca di tali studi, il caso della morte repentina, il 3 agosto del
1962, del dottor George Bacon, che lavorava come biologo presso il
Centro Microbiologico Militare di Porton Down, in Gran Bretagna, La
peste polmonare, contratta accidentalmente in laboratorio, lo aveva
letteralmente fulminato, al proprio domicilio, prima addirittura che
potesse essere ospedalizzato (171).
Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati conducevano così i loro programmi, l'Unione Sovietica e gli stati alleati che gravitavano nella sua
orbita non si astenevano certo dal portare avanti i rispettivi programmi di guerra biologica. Se per quanto concerne la tecnologia nucleare
il colosso sovietico si trovò, nel primo dopoguerra, a dover recuperare il ritardo con gli Stati Uniti, tale ritardo, presumibilmente, era assai
minore, se non inesistente, nell'ambito della guerra biologica.
Basiamo questa affermazione su diverse considerazioni: in primo
luogo, mentre per la tecnologia nucleare l'Unione Sovietica, nel corso
del conflitto, non aveva sviluppato alcun piano di ricerca - tanto da
rendere credibile la completa mancanza di comprensione della portata dell'evento manifestata da Joseph Stalin, quando, nel 1945, durante
la Conferenza di Potsdam, Truman gli annunciò il lancio della prima
bomba atomica sul Giappone - al contrario, per quella biologica, come
visto nel capitolo precedente, numerose evidenze suggeriscono non
solo che avesse condotto ricerche, ma anche che avesse addirittura
operato sul campo; in secondo luogo appare incredibile che, nonostante la plateale condanna ed esecuzione dei giapponesi riconosciuti
colpevoli di atti di guerra biologica, non ne avesse prima carpito ogni
possibile informazione. Fatto sta che nei primi anni del dopoguerra i
programmi di ricerca e sviluppo di guerra biologica, furono condotti
dall'Unione Sovietica nella massima segretezza, tanto che tuttora
niente di positivo ne sappiamo.
Tuttavia come più lampante prova del suo coinvolgimento in tale
tipo di programmi, tutti gli storici citano il celebre discorso pronunciato nel 1956 dal Maresciallo Zhukov, nel quale annunziò pubblicamente che le Forze Armate Sovietiche sarebbero state in grado di
usare non solo armi chimiche ma anche biologiche.
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
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Francesco Urbano
I programmi sovietici di guerra batteriologica dal 1950 al 1970 devono essere stati condotti nella massima segretezza: infatti, sebbene i dati
relativi al vertiginoso sviluppo di armi biologiche nel decennio successivo, che analizzeremo in seguito, rendano estremamente improbabile,
per non dire impossibile, l'ipotesi che l'Unione Sovietica si sia in quegli anni astenuta da essi, nulla di relativo è trapelato in occidente.
Addirittura, pur essendo ben note e ben pubblicizzate le massicce esercitazioni militari condotte in quegli anni con gran sfoggio di equipaggiamento protettivo nucleare, biologico e chimico da parte dei partecipanti, allo strumento bellico biologico non viene fatto cenno nel classico testo del Sokolowsky. Quest'opera, coordinata dal Maresciallo
Vassili Sokolowsky, Capo di Stato Maggiore Generale Sovietico dal
1953 al 1960, - opera che costituisce la summa del pensiero militare strategico sovietico, così come era noto all'occidente - trascura completamente la guerra biologica, pur analizzando dettagliatamente le altre
modalità di conduzione della guerra, e costituendo tuttora un classico
per quanto concerne l'uso dell'arma nucleare (172).
Nel complesso gioco di accuse, dichiarazioni e mezze verità che
caratterizzò tutta la comunicazione ufficiale durante la guerra fredda
emerge che entrambe le superpotenze perseguivano i rispettivi programmi di ricerca nel timore, forse giustificato, di essere sopravanzati dagli avversari.
Per l'Unione Sovietica, ancora oggi, non vi sono evidenze che ci
descrivano sperimentazioni segrete sul campo analoghe a quelle
prima citate da Cristopher et al., per gli Stati Uniti. Queste ultime, tuttavia, pur essendo state condotte in una democrazia, sono state rese
note solo dopo oltre vent'anni dall'effettuazione: i risultati di tali sperimentazioni costituiscono tuttora i modelli ai quali si fa riferimento
nel valutare i potenziali effetti di un attacco biologico o bioterroristico
su una metropoli. Il più famoso di questi studi fu quello condotto
segretamente nel 1966 nella sotterranea di New York con un germe
innocuo, che dimostrò l'altissimo numero di esposti, nelle particolari
circostanze, ad un singolo attacco batteriologico.
Non solo tali acquisizioni furono però il frutto di tali ricerche.
Sempre secondo Cristopher et al., che sottolineano come i germi utilizzati per creare modelli di diffusione fossero sino ad allora considerati assolutamente non patogeni, tali studi potrebbero aver contribuiCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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to a gettare le basi della conoscenza sulle infezioni nosocomiali opportunistiche, dal momento che proprio uno dei primi studi certi che
hanno delineato l'opportunismo, prese l'avvio da un esperimento
militare. Ma descriviamo quanto accennato con le parole di
Cristopher et al.: “Preoccupazioni sul potenziale rischio per la salute
pubblica degli esperimenti di simulazione insorsero dopo che un
focolaio epidemico nosocomiale di infezioni urinarie sostenuto da S.
marcescens, si verificò allo Stanford University Hospital fra il settembre 1950 ed il febbraio 1951. L'episodio avvenne a seguito di esperimenti segreti condotti in San Francisco usando S. marcescens; si ebbero undici casi con una batteriemia transitoria ed una morte da endocardite. Tutti i pazienti avevano subito cateterizzazione urinaria e cinque erano stati sottoposti a cistoscopia per indicazione urologica.
L'esposizione a molteplici antibiotici fu indicato come fattore contribuente. Nessun altro ospedale di San Francisco riportò simili focolai.
Questo episodio epidemico si ritiene rappresenti un esempio precoce
di epidemie nosocomiali sostenute da opportunisti di bassa virulenza
e correlato all'uso di antibiotici e di nuove procedure invasive mediche e chirurgiche.”
“Considerando la relazione temporale del focolaio epidemico con
gli studi militari, l'Esercito convocò nel 1952 una commissione di
indagine che includeva membri del Communicable Diseases Center, dei
National Institutes of Health, del Health Department della Città di New
York e della Ohio State University. La commissione non si pronunciò
direttamente sulla relazione di causa ed effetto fra gli esperimenti
militari e l'episodio epidemico; essa raccomandò di continuare a usare
S. marcescens, in considerazione della sua bassa virulenza, ma aggiunse che se ne dovesse cercare un sostituto più adatto. Comunque, S.
marcescens fu continuata a essere impiegata in esperimenti di simulazione, fino al 1968. L'interesse pubblico in tali esperimenti segreti fu
risvegliato nel 1976, quando il Washington Post ne riferì, implicando
che la morte per endocardite ne fosse una conseguenza diretta. Fu
anche sostenuto che gli improvvisi aumenti di incidenza di polmoniti nella Calhoun County, Alabama, e a Key West, Florida, fossero da
mettere in relazione a simulazioni condotte in tali località. A seguito
della sollevazione dell'opinione pubblica il Senato tenne delle audizioni nel 1977, nelle quali l'Esercito fu severamente criticato per aver
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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continuato ad usare S. marcescens anche dopo aver saputo dell'epidemia nosocomiale a Stanford. Nondimeno diversi dati gettano dubbi
sulla relazione etiologica fra l'uso militare di S. marcescens e focolai
epidemici. I Centers for Diseases Control hanno riportato che in cento
episodi epidemici da S. marcescens nessuno era causato dal ceppo
8UK, usato dall'esercito (biotipo A6, sierotipo O8:H3, fagotipo 678).
Numerosi lavori negli anni settanta hanno postulato una relazione fra
gli esperimenti militari e casi di endocardite, artrite settica ed osteomielite da S. marcescens in eroinomani californiani; dove gli isolati
erano disponibili si sono rivelati diversi antigenicamente da quelli
usati dall'esercito […]”.
Proprio la presa di coscienza, da parte dell'opinione pubblica internazionale di tali sperimentazioni, e le paure, alimentate dalla stampa,
di effetti collaterali come quello citato, determinarono un complessivo
cambiamento nella politica americana.
2.7.3 La Biological Weapon Convention
I tempi erano destinati rapidamente a cambiare: fra il 1967 ed il
1969 il programma americano entrò in crisi, per il taglio di fondi
governativi proprio a seguito della crescente avversione dell'opinione
pubblica sia internazionale che, soprattutto, interna.
La consapevolezza internazionale dell'inefficacia del Protocollo di
Ginevra del 1925 spinse molte Nazioni a cercare un nuovo accordo,
per prevenire la proliferazione delle armi biologiche. Per prima la
Gran Bretagna nel luglio del 1969 propose al Comitato per il Disarmo
delle Nazioni Unite di proibire lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di armi biologiche, e non solo l'uso, come il Protocollo del 1925,
e di prevedere delle ispezioni per le violazioni denunziate. Subito
dopo, nel settembre dello stesso anno, le Nazioni del Patto di
Varsavia, col promuovere una mozione analoga, in realtà cercarono di
rendere meno efficace la politica contro le armi biologiche, dal
momento che la loro proposta non prevedeva la possibilità di ispezioni, vanificandone così in gran parte il contenuto.
Ma ormai la strada era tracciata. Nel 1969 l'Organizzazione
Mondiale della Sanità pubblicò un rapporto che segnalava l'impreveCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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dibilità delle armi biologiche ed i rischi per la loro incontrollabilità. Le
stime di mortalità a seguito dell'uso di armi biologiche erano infatti
impressionanti.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il 25 novembre del 1969 il presidente Nixon impegnò pubblicamente l'amministrazione americana
alla rinuncia allo sviluppo e all'uso di armi biologiche, non menzionando fra queste ultime, tuttavia, le tossine. Sempre su pressione dell'opinione pubblica, il 14 febbraio 1970 il presidente Nixon fu costretto
a colmare questa omissione, proibendo la preparazione di tossine
come armi. Da allora, ufficialmente, le attività di ricerca americane
furono rivolte esclusivamente a scopi difensivi, riguardando tests diagnostici, vaccini e terapie per fronteggiare potenziali minacce con
agenti biologici. Sempre ufficialmente le scorte di patogeni e l'intero
arsenale biologico furono distrutti fra il maggio 1971 ed il febbraio
1973, sotto l'egida dei Dipartimenti Federali dell'Agricoltura, di Salute,
Educazione e del Welfare e dei Dipartimenti Statali delle Risorse
Naturali di Arkansas, Colorado e Maryland. La formalizzazione della
rinuncia ai programmi di guerra biologica offensiva, è marcata dalla
ridenominazione del Army Medical Unit nel già citato United States
Army Medical Research Institute of Infectious Diseases (USAMRIID). La
missione di tale istituto è tuttora finalizzata alla sola difesa biologica,
mediante sviluppo di strategie, prodotti, informazione e programmi di
formazione. A dimostrazione di tale scelta di trasparenza, tale istituzione collabora attivamente con Università ed altri centri di ricerca
civile e tutta la sua attività non è soggetta a vincoli di segretezza. I dati
da essa prodotti risultano fra i più facilmente accessibili.
Sarebbe ingenuo tuttavia pensare che fu la sola opinione pubblica
a determinare tali scelte. Infatti non ragioni morali o etiche erano alla
sua base, ma una pragmatica real-politik: infatti la disponibilità di
armamenti convenzionali, chimici e nucleari era più che sufficiente,
agli inizi degli anni settanta, a garantire la possibilità di retaliation. Gli
effetti potenziali delle armi biologiche erano ancora da definire e non
potevano essere studiati empiricamente per ragioni etiche e di Sanità
Pubblica. Le principali obiezioni mosse allo sviluppo di tali armi
erano costituite dalla imprevedibilità del loro effetto, potenzialmente
dannoso anche per chi le usasse e dalla impreparazione delle truppe
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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e dei comandanti al loro uso, difficilmente sanabile se non con tempi
lunghissimi ed adeguati investimenti.
Il punto saliente di tale scelta è tuttavia un altro, anch'esso frutto di
una cinica real-politik, più che di considerazioni etiche: la disponibilità
di ordigni nucleari fece sì che le grandi potenze avessero un interesse
strategico a mantenere la propria supremazia mettendo fuori legge i
programmi di armamento biologico, i cui costi, relativamente bassi,
permettevano l'acquisizione di quest'arma di distruzione di massa da
parte di nazioni povere.
Finalmente, nel 1972, si raggiunse il più ambizioso traguardo al
quale miravano gli sforzi per il disarmo biologico, ovvero la stipula di
un accordo internazionale che migliorasse sensibilmente quello ormai
obsoleto e pieno di pecche del 1925.
La “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione e
stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossine e sulla loro
distruzione” (173) - che più semplicemente definiremo da ora BWC,
acronimo dal suo titolo sintetico inglese Biological Weapon Convention era concepita come un trattato che proibisse esplicitamente lo sviluppo, produzione, stoccaggio di patogeni e tossine “in quantità che non
trovassero giustificazione per finalità profilattiche, protettive o
comunque pacifiche”. Il BWC proibiva inoltre lo sviluppo di sistemi
di diffusione di agenti biologici e imponeva ai firmatari di distruggere questi ultimi e le riserve di armi biologiche entro nove mesi dalla
ratifica. Era anche proibito il trasferimento di tecnologie e know how
sulla guerra biologica. I firmatari che non avevano ancora ratificato il
BWC dovevano astenersi da attività contrarie agli scopi del trattato
fino alla loro esplicita comunicazione di non volerlo ratificare.
Tuttavia restavano come punti irrisolti la quantità di patogeni necessaria per la ricerca pacifica e quindi ammessa e la definizione della
ricerca “difensiva”. La denuncia di infrazione poteva essere presentata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che poteva avviare
ispezioni; tale modalità di effettuazione delle ispezioni, che prevedeva il passaggio decisionale del Consiglio di Sicurezza e non la automaticità di queste ultime, risultava fortemente limitante poiché il
diritto di veto esercitabile da alcuni membri del Consiglio di sicurezza le avrebbe potute impedire.
Il BWC fu ratificato nell'aprile del 1972 ed entrò in vigore nel marzo
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del 1975. Fra coloro che lo ratificarono immediatamente vi furono
oltre cento nazioni, fra le quali l'Iraq e tutte quelle del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, inclusi Stati Uniti d'America ed Unione
Sovietica. Conferenze di revisione furono tenute nel 1981, 1986, 1991 e
1996 (174).
2.7.4 La guerra biologica dopo il 1972
Tuttavia il BWC non è riuscito a eliminare completamente il rischio
di sviluppo di armi biologiche, neppure da parte degli Stati che lo
hanno ratificato (175). Diversi dei paesi aderenti al BWC, inclusi Iraq
e la ex Unione Sovietica, hanno condotto attività in violazione del trattato, dimostrando i suoi limiti come unico mezzo di contrasto alle attività proibite.
Numerose evidenze confermano che i servizi segreti delle grandi
potenze abbiano continuato a condurre esperimenti di guerra biologica. Per quanto concerne gli Stati Uniti d'America la principale è costituita dalla pubblica ammonizione riservata alla CIA (Central
Intelligence Agency) durante le audizioni del Congresso federale del
1975, per aver conservato numerose tossine in barba ai già visti ordini presidenziali che ne decretavano la distruzione. Ben più gravi furono le violazioni compiute dai Servizi Segreti del “Partito Arancione”,
perché non si limitarono allo sviluppo e detenzione di tossine per usi
spionistici, ma videro, proprio in quegli anni, anche il loro utilizzo, in
quello che rappresentò il primo e più eclatante esempio di “bioterrorismo di stato”. Infatti un'arma biologica, sviluppata dall'Unione
Sovietica, fu usata dal servizio segreto bulgaro per assassinare, nella
metropolitana di Londra, Georgi Markov, un dissidente fuoriuscito da
quella Nazione: un meccanismo a molla, nascosto nella punta di un
ombrello, sparava una microsfera di acciaio (del diametro di 1,7 mm.,
quello di una capocchia di spillo), perforata e riempita con ricino-tossina: il dissidente morì al terzo giorno di agonia: pur essendo ricoverato in ospedale dopo trentasei ore dall'iniezione, la causa di morte fu
intuita dai medici solo dopo l'autopsia. La stessa arma era stata usata
dieci giorni prima a Parigi per il tentato omicidio di un altro dissidente bulgaro, Vladimir Kostov, che si salvò solo perché indossava
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vesti pesanti che limitarono al tessuto sottocutaneo la penetrazione
della microsfera, permettendone la rimozione chirurgica prima che la
tossina fosse assorbita. Tale espediente potrebbe essere stata impiegato per altri sei omicidi politici. Tale dato è di grande interesse poiché,
al di là della tossina biologica scelta, questa sarebbe poi divenuta,
come vedremo nel prossimo capitolo, la preferita dai gruppi terroristici meno dotati economicamente, in considerazione della facilità di
produzione.
Ben più gravi, tuttavia, degli episodi sporadici emersi a carico dei
Servizi Segreti, sono le evidenze che riguardano l'Unione Sovietica,
che dimostrano che questa superpotenza, lungi dall'essere limitata
dalla convenzione che pure aveva sottoscritto, intensificò i propri programmi di guerra biologica proprio dopo il 1972 (176).
Per quanto subito interpretato in tal senso dagli analisti occidentali, solo recentemente si è avuta piena certezza che il cosiddetto, clamoroso 'incidente di Sverdlovsk6 (177) nell'aprile del 1979 fosse dovuto a programmi di guerra batteriologica. In tale anno un'epidemia di
carbonchio, verificatasi in un raggio di 4 Km sottovento, e una epizoozia che interessò un'area fino a 50 Km dalle imponenti installazioni sovietiche per lo sviluppo di armamenti biologici, furono interpretate dall'intelligence occidentale come dovute alla diffusione aerogena
di spore carbonchiose, mentre furono attribuite ufficialmente al consumo di carni infette vendute al mercato nero. Solo nel 1992 Boris
Yeltsin ammise che si era trattato di un incidente occorso nella produzione industriale di spore carbonchiose, che aveva portato alla loro
diffusione nell'atmosfera e alla più grave epidemia di carbonchio da
inalazione mai occorsa nella storia, con almeno 77 casi e 66 morti (178,
179, 180, 181, 182, 183).
Secondo fonti autorevoli, dal 1970 al 1990 in Unione Sovietica non
ci si è limitati alla sperimentazione ed all'allestimento delle armi batteriologiche sino ad ora presentate, ma addirittura si è coltivato in
grandi quantità il virus del vaiolo con finalità militari. Quanto ora
riportato, che era già sospettato dalle potenze occidentali e che già
come mero sospetto aveva determinato importantissime scelte di politica sanitaria internazionale, è stato infatti rivelato in una sua opera da
6
Ora Ekaterinburg.
Caleidoscopio Letterario
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un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
uno degli artefici, il già citato ricercatore sovietico Ken Alibek (184,
185). Le grandi quantità alle quali si è fatto riferimento dovrebbero
essere state tutte distrutte, ma il condizionale è d'obbligo: la certezza
non può essere assoluta e il timore che parti di esse siano cadute in
possesso di gruppi bioterroristici, unitamente ai quadri apocalittici
che una diffusione epidemica del vaiolo in popolazioni solo in minima misura immunizzate determinerebbe, ha alimentato un dibattito
vivissimo, tuttora in corso, sulle migliori politiche preventive di questa catastrofe (186). Infatti, sebbene la reintroduzione del vaiolo in
forma epidemica sia unanimemente considerato come un crimine
senza precedenti nella storia dell'umanità, esso è attualmente considerato possibile, anche in considerazione della facilità di disseminazione mediante aerosol determinata sia dalla notevole stabilità tipica
degli orthopoxvirus che dalla piccolezza stimata della dose infettante.
Possiamo in sintesi affermare, come vedremo meglio nel prossimo
capitolo, che proprio il programma di guerra biologica sovietico rende
incerta la più spettacolare fra le conquiste della Medicina preventiva
nel mondo, ovvero l'eradicazione del vaiolo.
Durante la guerra fredda, nel periodo successivo alla ratifica del
WBC, non ci si è limitati a sospettare e accusare l'Unione Sovietica di
sviluppare piani di guerra batteriologica, ma la si è anche accusata di
aver usato armi biologiche sul campo: infatti, secondo fonti americane che difettano di prove definitive e che non sono state confermate
dopo il crollo del colosso comunista, fra il 1975 ed il 1983, gli attacchi
a Laos e Kampuchea avrebbero visto l'uso di agenti biologici. In tali
aree furono sparsi, da aeroplani ed elicotteri, aerosols colorati, la cosiddetta yellow rain, su uomini ed animali, determinando molte vittime.
Analisti occidentali hanno dato forte credito all'ipotesi che si trattasse
di sperimentazione sul campo di un nuovo agente biologico estremamente potente, del tipo delle micotossine T2 (187).
Con la glasnost si è appreso in modo documentato che l'Unione
Sovietica ha continuato i suoi massicci programmi di sviluppo per la
guerra biologica anche dopo la firma del BWC. L'organizzazione
Biopreparat, sotto il controllo del Ministero della Difesa, ha operato in
almeno sei laboratori di ricerca e in cinque stabilimenti di produzione, impiegando fino a 55.000 fra scienziati e tecnici. Passata quasi interamente sotto il controllo della Russia, l'organizzazione è stata ridiCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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mensionata, ma ancora nel 1995 si stimava che impiegasse da 25.000 a
30.000 persone.
Ma al di là del ridimensionamento dei quadri dei tecnici addetti
alla guerra biologica l'ex Unione Sovietica aveva un altro problema da
risolvere relativo agli arsenali di armi biologiche predisposte: su tale
questione non sono disponibili fonti attendibili e ci limitiamo pertanto a riportare le vicende così come sono narrate, con fini giornalistici
e divulgativi, dalla già citata Vergara Caffarelli:
“L'URSS aveva già realizzato linee di produzione capaci di sfornare centinaia di tonnellate di agenti infettivi, tra cui peste, carbonchio e
vaiolo. Un arsenale imbarazzante, specialmente dopo la messa al
bando internazionale delle armi biologiche. Per questo, nella primavera del 1988, alcuni batteriologi russi ricevono l'ordine di intraprendere una missione molto delicata, probabilmente la più difficile della
loro vita. In totale segretezza, trasferiscono centinaia di tonnellate di
batteri di antrace - sufficienti a distruggere più volte l'intera umanità
- in giganteschi barili di acciaio inossidabile, li ricoprono di candeggina, li caricano su di un treno e li spediscono illegalmente, attraverso
la Russia ed il Kazakistan a più di 1.600 km di distanza, verso una
remota isola nel cuore del Mare interno d'Aral. I soldati russi gettano
i barili nelle profondità della terra, seppellendo così quella che è ormai
considerata dalla Russia una minaccia politica. Oggi l'isola è considerata il più grande deposito di antrace del mondo. Nonostante che i
batteri siano stati immersi nella candeggina per quasi due decenni, le
analisi hanno rivelato che alcune spore sono ancora vive e potenzialmente letali. L'Uzbekistan e il Kazakistan, temendo che l'antrace
possa contaminare i loro territori, hanno richiesto l'aiuto degli Stati
Uniti per accertare l'entità di questo terribile lascito del regime sovietico e per decontaminare l'intera area.” (188)
Gravi violazioni del WBC sono state compiute dal Sud Africa, dove
il governo ha largamente finanziato un grande progetto di ricerca, sviluppo ed impiego dei più svariati agenti chimici e biologici, utilizzati
per assassini politici mirati e per diffondere epidemie nei territori controllati dai movimenti nazionalisti di colore, che si opponevano all'apartheid. Al passaggio dei poteri al governo moderato di de Klerk, e
poi a quello di Nelson Mandela, sono stati distrutti tutti i documenti
relativi alle attività criminali del terrorismo di stato, e ne sono state
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cancellate le tracce e occultate le prove. Tuttavia, nel corso delle udienze della Truth and Reconciliation Commission (TRC) dell'arcivescovo
Tutu sono emerse le responsabilità del Dottor Wouter Basson, l'anima
del Project Coast, che per anni ha trattato agenti chimici (tallio,
parathion, …) e biologici (B. anthracis, V. cholerae, virus delle febbri
emorragiche, virus dell'epatite A, Y. pestis, F. tularensis, tossine e veleni di serpente), stabilendo contatti in tutto il mondo per procurarseli
e per carpire informazioni segrete sul loro uso come armi. Il Project
Coast disponeva di grosse strutture di sviluppo e di ricerca - ufficialmente per scopi difensivi -- e forniva gli agenti patogeni ad agenti
operativi propri, o di altre organizzazioni governative (189). Nel 1993
l'intelligence britannica e statunitense si è allarmata per l'avvicinamento al regime libico di Basson, che dalla fine dell'apartheid si era dedicato ad attività imprenditoriali sospette, e sono state raccolte prove
che documentano l'ampiezza delle attività bioterroristiche dei regimi
razzisti della Rhodesia e del Sud Africa.
2.7.5 I tempi contemporanei e il caso Irak
Nel 2002 risultava che centotrentotto Stati avessero ratificato il
WBC, ovviamente inclusa l'Italia; a questi erano da aggiungersene
altri diciotto, che avevano in corso le procedure di ratifica (190).
Tuttavia, già nel corso del 1989 l'allora direttore della Central
Intelligence Agency, William Webster, denunciava che almeno dieci
paesi fossero impegnati nello sviluppo e produzione di armi biologiche; tale numero era destinato ad accrescersi negli anni, con l'aumentare di evidenze prodotte: secondo fonti ufficiali americane del 1995,
ben diciassette paesi erano ufficialmente indiziati di attività per la
guerra biologica: fra questi, oltre alla Russia, il cui caso è già stato esaminato, e l'Iraq, di cui parleremo a breve, sono da segnalare Iran,
Libia, Siria, Nord Corea, Taiwan, Israele, Egitto, Vietnam, Laos, Cuba,
Bulgaria, India, Sud Corea, Sud Africa e Cina.
Ma i problemi non sono relativi al solo sviluppo segreto di armi
biologiche, dal momento che permangono dubbi relativi al trattato
stesso: ancora lo scorso anno naufragavano miseramente i tentativi di
rafforzare la Convenzione con un protocollo aggiuntivo che specifiCaleidoscopio Letterario
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casse i punti più controversi. Tale protocollo, proposto da quelle
Nazioni che vedono i limiti del BWC, quali la mancanza di un efficace sistema di verifica e controllo, specialmente per gli agenti dual use Nazioni fra le quali può essere inclusa l'Italia, come dimostrato dalle
posizioni ufficiali del Ministero della difesa - non è stato infatti approvato dalla Conferenza sul Disarmo di Ginevra.
Più recenti e dai portati politici che tuttora conquistano le prime
pagine di tutti i quotidiani, sono i programmi di guerra biologica portati avanti dal Regime Iracheno (191, 192): al tempo della Prima
Guerra del Golfo l'intelligence occidentale sospettava che il governo di
Saddam Hussein avesse in corso un consistente programma di guerra
biologica, e ciò indusse gli strateghi della Coalizione ad adottare tutte
le possibili misure di prevenzione: oltre che a provvedere tutti i militari sul campo di maschere e di indumenti protettivi - e di addestrarli all'impiego, 150.000 militari statunitensi furono vaccinati con l'anatossina del carbonchio; 8.000 ricevettero un'anatossina botulinica
ancora considerata sperimentale dalla Food and Drug Administration;
inoltre, furono costituite riserve di ciprofloxacina sufficienti per la
antibiotico profilassi del carbonchio inalatorio per 500.000 persone.
Fortunatamente le armi biologiche non furono usate durante la
prima Guerra del Golfo; ma che il rischio fosse reale è stato accertato
nel corso di ispezioni disposte dalle Nazioni Unite, quando l'Iraq ha
ufficialmente ammesso di aver sviluppato un programma offensivo di
guerra biologica, utilizzando diversi agenti, fra i quali B. anthracis,
rotavirus, camel pox virus, aflatossine, altre micotossine, tossina botulinica, e un agente fitopatogeno, il wheat cover rust. Nel dettaglio il
governo iracheno ha ammesso di avere posseduto cento bombe e tredici testate per missili SCUD caricate con tossina botulinica, cinquanta bombe e dieci testate con spore di carbonchio e sedici bombe e due
testate con aflatossine; il numero di razzi da 122 mm. caricati con tali
agenti era imprecisato ma presumibilmente elevatissimo, sulla base
dell'importanza attribuita a tali sistemi nella saturazione strategica
d'area, per altro mutuata dalla dottrina del “Partito Arancione”.
Il governo iracheno ha energicamente sostenuto di aver distrutto i
suoi arsenali biologici, e la United Nations Special Commission on Iraq
(UNSCOM) ha provveduto direttamente, nel 1996, a distruggere gli
stabilimenti di ricerca e di produzione che erano scampati alla guerra,
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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e dei quali aveva conoscenza (193). Come è noto, gli Stati Uniti e la
Gran Bretagna non si sono fidati delle assicurazioni irachene e dei
risultati negativi delle ispezioni ONU, e hanno addotto la minaccia
biologica costituita dall'Iraq fra le ragioni della recentissima guerra.
La principale causa del timore dello sviluppo di armi biologiche da
parte dell'Iraq e di quegli altri Stati che l'amministrazione statunitense definisce in modo semplicistico ma icastico “canaglia”, è costituito
non tanto dal loro impiego sul campo, tutto sommato prevedibile e
fronteggiabile, ma dalla cessione delle armi biologiche a quei gruppi
terroristici che gli Stati “canaglia” sosterrebbero. Infatti i rapporti non
definitivamente del tutto provati fra tali Stati e il terrorismo internazionale, ha fatto cadere, come vedremo nel prossimo capitolo, la
distinzione, che come visto sin qui è da considerarsi già in parte fittizia, fra guerra biologica e bioterrorismo.
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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3. Il bioterrorismo
3.1.1 I nuovi scenari internazionali e l’affermazione del bioterrorismo
È impossibile analizzare lo sviluppo della minaccia bioterroristica
senza fare un cenno a quegli aspetti strategici, militari e politici - sintetizzabili con la dicitura “nuovi scenari internazionali” - che li hanno
resi possibili.
Parlare di “nuovi scenari internazionali” può ingenerare numerosi
equivoci: lo stesso sviluppo storico ha determinato nel corso degli
ultimi due secoli un vertiginosa modificazione tanto delle condizioni,
delle abitudini e delle aspettative di vita delle popolazioni quanto dei
rapporti interstatuali. In questa sezione di questo lavoro ci limiteremo
a ripercorrere sinteticamente due gruppi di fenomeni: i primi, rappresentati dalle condizioni che, a partire dal secondo dopoguerra fino al
2001, hanno più significativamente influenzato gli scenari strategico
militari internazionali; i secondi da quegli aspetti che caratterizzano
più precipuamente i cosiddetti scenari post 11 settembre. Dei primi
abbiamo in gran parte detto nelle sezioni precedenti: che l'evoluzione
dello scenario internazionale abbia visto succedere alla fase di relativo ottimismo dal 1945 al 1949, la cosiddetta “guerra fredda”, un lungo
periodo di quasi un quarantennio (1950-1989), nel quale si sono contrapposti i blocchi occidentale e Sovietico, è già stato accennato; il collasso dell'URSS avvenuto fra il 1989 ed il 2001 ha determinato la fine
della guerra fredda ma non la scomparsa della minaccia: secondo gli
analisti militari questa si è infatti “frazionata”, determinando, parallelamente alla riduzione del 30-50% di tutte le Forze Armate dei paesi
occidentali, la necessità di intervenire, per mantenere o ristabilire la
pace, in molte aree di crisi nel mondo . Da un punto di vista squisitamente militare se il diciannovesimo secolo è stato quello dell'applicazione della tecnologia alla creazione di armi sofisticate il ventesimo è
stato quello non solo dello sviluppo dell'arma nucleare, ma anche e
soprattutto dell'assai meno appariscente sviluppo di tecnologie dual-
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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use (per citarne solo le tre più importanti: trasporti, comunicazioni e
media), che hanno cambiato il volto della guerra presumibilmente
assai più del nucleare stesso.
Sarebbe suggestivo imputare esclusivamente a tale evoluzione
degli scenari internazionali la nascita del bioterrorismo, ma numerosi
dati oggettivi contrastano tale tesi.
In primo luogo si deve sottolineare che episodi bioterroristici sono
da segnalare antecedentemente al crollo del blocco sovietico: anche
senza ricordare i già citati episodi di “bioterrorismo di stato”, di cui si
macchiò il “Partito Arancione” e forse la CIA, in piena “guerra fredda”,
si deve ricordare che proprio le lotte di indipendenza di molte colonie,
caratterizzanti tale periodo, videro il terrorismo quale mezzo principe
della loro riuscita (195, 196). Durante tali conflitti in più occasioni, furono utilizzate armi biologiche per il conseguimento dei propri fini: per
esempio, già negli anni cinquanta i Mau Mau, in Kenya, hanno utilizzato tossine vegetali per distruggere gli armenti dei coloni bianchi.
In secondo luogo si deve ricordare che la maggior parte degli episodi di bioterrorismo segnalati non sono da porre in relazione con il
terrorismo internazionale di matrice religiosa, ma con gruppi terroristici interni, che dai mutati equilibri internazionali ben poco, ad una
prima lettura, apparirebbero influenzati. Tale tesi è solo in parte vera:
se è accettabile per tutti gli episodi che riguardano agenti biologici
home-made di facile allestimento, quali la ricino-tossina, tuttavia non
può essere condivisa per gli altri, invero assai più rari, che riguardano agenti biologici più complessi. Per questi ultimi si può infatti affermare che la disgregazione della contrapposizione fra blocchi abbia
giocato un ruolo determinante, rendendo liberamente acquisibili, sul
florido mercato nero delle armi, tecnologie, know-how e anche limitate
quantità delle armi biologiche stesse.
Ma procediamo con ordine, presentando diacronicamente i principali episodi di bioterrorismo resici noti, suddivisi per tipologia di
agente biologico utilizzato.
3.1.2 Tossine e fanatismi vari
Cominciamo col parlare della già menzionata ricino-tossina, che
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rientra a pieno titolo nella definizione di agente biologico: questa tossina, pur costituendo un veleno drammaticamente più efficace di altri
di natura chimica, non per questo motivo è stato scelto per finalità
delittuose; infatti le ragioni del suo utilizzo sono da ricercarsi esclusivamente nella relativa facilità di produzione e, almeno nei primi casi,
nella difficoltà, oggi superata, della sua rilevazione tossicologica. In
sintesi non si tratterebbe di vero bioterrorismo, ma dell'uso di un
agente biologico con finalità delittuose.
Nel 1983 agenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) arrestarono
due fratelli accusati di aver prodotto, per fini illegali, un'oncia di ricino-tossina.
Nel 1991 membri del Minnesota Patriots Council vennero accusati di
tentato omicidio plurimo mediante ricino-tossina, che avevano estratto da semi comprati per posta: infatti avevano cercato di avvelenare
degli agenti governativi somministrando per via respiratoria e transcutanea la ricino-tossina. Al di là dell'evento, banale in sé, l'episodio
riveste importanza perché è il primo caso di condanne sulla base di
una legge sul bioterrorismo: riportiamo pertanto la vicenda così come
ce la racconta, con stile giornalistico e finalità divulgative, la Vergara
Caffarelli: “I primi arrestati e condannati in base alla legge promulgata dagli USA nel 1989 contro il terrorismo e le armi biologiche e chimiche (Biological Weapons Antiterrorism Act) furono un gruppetto di ex
militari del Minnesota che, come andava di moda negli anni '80 negli
Stati Uniti, avevano costituito il loro bravo gruppo di “patrioti” con
bandiera a stelle e strisce, inno Americano e programma ultra razzista, antisemita e favorevole all'abolizione delle tasse. Il gruppo si era
dato il nome di Minnesota Patriots Council ed era costituito da Frank
Nelson, un ex colonnello dell'Air Force, ed un'accolita di ex marine e
piccoli artigiani che odiavano il sistema di tassazione. Tutto ha inizio
nel 1991 quando il CBA Bullettin, una pubblicazione che si occupa di
guerra biologica chimica ed atomica, pubblica l'annuncio della vendita, da parte di una ditta dell'Oregon (la Maynard Avenging Angel
Supply) delle istruzioni per realizzare un kit con cui estrarre ricina
dalle bacche del ricino. La ricina è una tossina estremamente potente.
Il gruppo di “patrioti” vede la sua grande occasione. Compra le istruzioni, fabbrica il kit e, con aiuto di solventi come il dimetilsolfossido,
estrae la ricina. Alla fine, tutto viene stivato in un barattolo per omoCaleidoscopio Letterario
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geneizzati nella casa di un membro del gruppo. Iniziano una serie di
riunioni nelle quali si discute quali avvocati, legislatori o funzionari
del fisco uccidere e come. Spaventato da questi discorsi, un membro
dell'associazione decide di rivolgersi alla polizia e svuota il sacco.
Uno dopo l'altro i cospiratori vengono arrestati fra il 1994 ed il 1995.
La polizia trova il barattolo di omogeneizzati ed analizza il contenuto: la ricina (meno di un grammo in totale) poteva uccidere 130 persone. Tutti sono stati riconosciuti colpevoli dalle giurie che li hanno
giudicati, ma le condanne non hanno superato i quattro anni per quelli che hanno avuto la pena maggiore.” (197)
Infine, il 5 novembre 1999 venne arrestato James Kenneth Gluck,
per il tentativo di omicidio di due giudici del Colorado con la ricinotossina, che estraeva con mezzi rudimentali nella sua casa di Tampa,
Florida.
Un'altra potente tossina utilizzata da bioterroristi è quella botulinica, secondo modalità già sperimentate per la guerra biologica (198).
Già negli anni ottanta è stato riferito del reperimento in un covo parigino della Rote Armee Fraktion (RAF) - il principale gruppo terroristico
operante nella Germania Federale, con comprovati legami con il terrorismo internazionale - di un laboratorio rudimentale, con una vasca
da bagno piena di flaconi di colture di Clostridium botulinum: la notizia, pur dettagliata, fu successivamente smentita dal governo federale tedesco.
Appaiono certi, seppur infruttuosi, i tentativi di utilizzare la tossina botulinica da parte della fanatica setta religiosa giapponese degli
Aum Shinrikyo (199). Come vedremo, tale setta, guidata dal suo leader Soho Asahara, e determinata al folle progetto di imporre una dittatura teocratica in Giappone, sarà una delle più attive nel perseguire
atti bioterroristici, con tutta una serie di potenziali armi biologiche:
infine sgominata dopo il celebre attentato con il gas nervino Sarin
nella metropolitana di Tokyo del 20 marzo 1995, che uccise dodici persone, intossicandone migliaia, la setta Aum Shinrikyo aveva prima
provato, nella stessa sede, potenzialmente ottimale per transito e concentrazione di individui, nonché per il confinamento degli spazi, l'uso
di agenti biologici, fortunatamente senza nessun successo riportato.
Limitandoci qui ai casi di uso di tossina botulinica, almeno tre sono gli
episodi certi: nell'aprile del 1990 la setta provò invano a colpire il parCaleidoscopio Letterario
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lamento giapponese disperdendo tossina botulinica dal tubo di scappamento di un'auto guidata attorno al suo edificio; nel giugno del
1993 ripetè il tentativo nel centro di Tokyo con lo stesso sistema per
disturbare le nozze del principe ereditario Naruhito; infine il 15 marzo
del 1995 programmò un attentato nella metropolitana di Tokyo
mediante l'abbandono di tre valige che avrebbero dovuto disperdere
la tossina botulinica; l'attacco non ebbe effetto perché un membro
della setta aveva sostituito la tossina con materiale non tossico.
Ma non si deve pensare che l'uso di tossine, o la minaccia dell'uso,
si limiti a gruppi di fanatici operanti negli anni novanta: esso costituisce ancora una minaccia di basso costo e grande efficacia, le cui potenzialità sono pari all'enorme numero di tossine estraibili da vegetali, ed
è tale da occupare ancora oggi le prime pagine dei giornali. È recentissima, del 6 settembre 2003, la notizia, riportata dai maggiori quotidiani, che l'Amministrazione americana è assai preoccupata dalla possibilità che fra gli attentati terroristici che si temono attuati nei prossimi giorni - per celebrare l'anniversario dell'attentato alle torri gemelle
di New York dell'11 settembre 2001 - dall'organizzazione Al Qaeda di
Osama Bin Laden, alcuni possano essere condotti con l'uso di tossine
biologiche (200). Infatti sembrerebbe, sulla base delle dichiarazioni
ufficiali dell'Amministrazione americana, che nelle basi distrutte dalle
forze statunitensi durante l'operazioni Enduring freedom in
Afghanistan siano stati rinvenuti appunti di procedure efficaci per l'estrazione di grandi quantità di nicotina e di solanina, entrambi ben
noti potenti tossici vegetali: la notizia dimostrerebbe l'ampiezza dello
spettro dei potenziali veleni da utilizzare per un malintenzionato
capace di procurarseli.
3.1.3 Infezioni e tossinfezioni provocate e salute pubblica
Come ben noto, episodi bioterroristici negli Stati uniti ed in
Giappone non si sono limitati all'uso di tossine: nel 1970 i Weathermen,
un gruppo di opposizione all'imperialismo americano e alla guerra
del Vietnam, viene imputato di aver tentato di procurarsi degli agenti biologici non meglio specificati, allo scopo di inquinare gli acquedotti di diversi centri urbani negli Stati Uniti.
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Similmente, nel 1972 diversi membri dell'“Order of the Rising Sun”,
un gruppo di estrema destra nazionalista, vengono arrestati e trovati
in possesso di 30-40 litri di colture di S. typhi, preparate per contaminare le riserve idriche di Chicago, St. Louis ed altre città del mid-west
degli Stati Uniti; il piano criminoso viene prevenuto perché denunciato da alcuni membri pentiti. L'analisi del piano ha portato gli esperti
a concludere che con ogni probabilità esso non avrebbe comunque
potuto produrre grandi effetti, perché i germi sarebbero stati eliminati dai processi di potabilizzazione.
Nel 1982 la polizia di Los Angeles e l'FBI arrestano un uomo che si
apprestava a contaminare l'acquedotto di Los Angeles con un agente
biologico non specificato pubblicamente: tale scelta di riservatezza è
stata interpretata come finalizzata a non determinare panico nella popolazione: su tale ipotesi si costruisce il sospetto che non si sia trattato di
una delle tossine sopra menzionate, ma di qualcosa di diverso (201).
Nel 1984, entra per la prima volta sulla scena del bioterrorismo
un'altra setta, operante negli Stati uniti, quella di devoti del culto
indiano di Rajaneeshee (202): due suoi adepti offrono acqua contaminata con Salmonella typhimurium a due ispettori della contea: sebbene
così si ammalino entrambi e uno dei due debba essere ospedalizzato,
la natura dolosa dell'infezione non viene sul momento appurata; nel
settembre dello stesso anno membri della stessa setta diffondono sempre lo stesso germe, Salmonella typhimurium, nei Salad bar dell'Oregon,
principalmente, ma anche di altri stati. Da tale attacco derivò un'epidemia con oltre settecentocinquanta casi di tossinfezione, dei quali
quarantacinque così gravi da richiedere ospedalizzazione.
Nonostante il sospetto si appuntasse subito sulla setta di Rajaneeshee,
in barba alle rigorose analisi epidemiologiche condotte dal WascoSherman Public Health Department, dall'Oregon State Health Division e
dai Centers for Diseases Control, non si riuscì a dimostrare che si trattasse di un attacco biologico deliberato fino all'anno successivo: infatti solo la confessione di uno dei membri, nel 1985, chiuse definitivamente il caso (203, 204, 205). L'episodio narrato rappresenta forse il
più esemplare della sfida che gruppi terroristici possono rappresentare per la Sanità Pubblica, ancorché non appoggiati in alcun modo da
Stati o forze estere, utilizzando agenti biologici di facile reperimento.
Che agenti biologici possano facilmente essere usati per scopi doloCaleidoscopio Letterario
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si è dimostrato dall'episodio avvenuto nel 1996 nell'ospedale di Saint
Paul, nel Texas, dove una tecnica di laboratorio, Diane Thompson,
contaminò due scatole di focaccine con una brodocoltura di Shigella
dysenteriae, invitando per e-mail i colleghi ad assaggiarle; tutte le
dodici persone che avevano accettato l'invito si ammalarono, e quattro dovettero essere ospedalizzate. La colpevole fu processata e condannata a venti anni di detenzione (206).
Il Federal Bureau of Investigation aprì settantaquattro indagini sull'uso di agenti biologici nel 1997 e ben centottantuno nel 1998: sebbene a
posteriori si siano rivelati quasi tutti delle bufale, il dato dimostra l'interesse crescente riservato alla questione dall'Amministrazione statunitense, in risposta alle paure dell'opinione pubblica, anch'esse in
aumento.
3.1.4 Lo spettro delle malattie contagiose e la risposta delle istituzioni
Ma, al di là dell'uso di tossine è l'idea del diffondersi incontrollabile di malattie contagiose - eventualmente altamente letali e dalle
manifestazioni cliniche ripugnanti - che suscita le maggiori paure
nella popolazione, e che pertanto è maggiormente foriera di risultati
positivi per le organizzazioni terroristiche. In tale ottica sembra trovare giustificazione uno degli episodi meno noti e maggiormente
preoccupanti degli ultimi anni: esso riguarda la già citata setta giapponese Aum Shinrikyo. Nell'ottobre del 1992, quando ancora non
erano venuti alla luce i suoi crimini e quelli del suo gruppo, quaranta membri della sua setta condussero una missione “umanitaria” in
Zaire, per portare soccorso alle popolazioni civili colpite dall'epidemia di virus Ebola. Secondo un rapporto del 31 ottobre 1995 della Subcommissione permanente del Senato statunitense sui servizi di intelligence, lo scopo reale della missione era di ottenere campioni di virus
da usare per attacchi biologici. Ma l'interesse di malintenzionati si
rivolge anche ad altri agenti patogeni, più noti del Virus dell'Ebola, e
il cui reperimento non richieda tali sforzi. Ne è dimostrazione l'episodio del 1995 che vide protagonista Larry Wayne Harris. Questi era un
tecnico di laboratorio, collegato a gruppi razzisti - al tempo faceva
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parte dell'organizzazione razzista Aryan Nation - che fu arrestato il 18
febbraio del 1998 perché minacciava di diffondere il carbonchio: sebbene il ceppo di B. anthracis rinvenuto in suo possesso fosse risultato
essere quello innocuo usato come vaccino veterinario, dalle indagini e
dagli interrogatori emerse un dato destinato ad avere profonde conseguenze. Si apprese infatti che, sempre con finalità illecite, il tecnico,
il 5 maggio di tre anni prima, nel 1995, aveva comprato per corrispondenza dalla ATCC, American Type Colture Collection, una società di
forniture biomediche di Rockville nel Maryland, pagando regolarmente con carta di credito, tre fiale di Yersinia pestis, che aveva ricevuto a giro di posta il 12 maggio. La difficoltà a dimostrare l'elemento
psicologico del reato, il dolo, fece sì che Harris fosse condannato solo
ad una lieve pena per il reato di frode postale (207). La relativa facilità
con cui era avvenuto l'acquisto di uno dei patogeni considerati più
pericolosi, e, come già detto, costituenti l'archetipo stesso della malattia contagiosa letale, determinò un profondo movimento di opinione
fra gli addetti ai lavori e non solo, che portò infine a una drastica revisione della normativa sulla sicurezza dei laboratori. L'insieme dei
provvedimenti restrittivi che ne derivarono era dovuto, oltre che al
caso estremo di Harris, anche alla constatazione che il commercio di
patogeni era facilissimo anche verso e da strutture estere: è il tipico
caso nel quale, come già sostenuto, i limiti fra guerra biologica e bioterrorismo tendono a sfumare: prima della prima guerra del Golfo, la
stessa ATCC aveva infatti fornito, in perfetta buona fede, ipotizzando
pacifiche finalità di ricerca e senza violare in alcun modo la legge,
diversi ceppi di B. anthracis a strutture sanitarie e società fittizie in
realtà controllate dal Regime Iracheno. Le società che operavano invece in violazione delle leggi, erano punibili solo con pene pecuniarie:
possiamo citare i casi della CN Biochem e delle sue affiliata inglese
Col Biochem e Nova Biochem, che, per ben 171 violazioni di trasporto di tossine biologiche accertate fra il 1991 ed il 1994, erano state sanzionate solo economicamente, sia pure con una multa elevata, di ben
700.000 dollari.
Il principale dei provvedimenti adottati per limitare il mercato di
agenti biologici è rappresentato da una parte del “Antiterrorist and
Effective Death Penalty Act” che il Congresso Statunitense ha sancito nel
1996. La legge approvata relativa alla restrizione al trasporto ed alla
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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vendita di batteri, virus, funghi e tossine era stata proposta dai Centers
for Diseases Control and Prevention di Atalanta: essa impone la registrazione per tutti i mittenti, tutti i destinatari e tutti i recipienti di agenti
biologici, e le violazioni sono punite con pene pecuniarie fino a mezzo
milione di dollari ed anche con pene detentive adeguate. Tali provvedimenti restrittivi, per quanto finalizzati a risultati auspicabili, presumibilmente raggiunti, hanno però costituito al contempo un notevole
freno alla ricerca scientifica e al libero circolare da un laboratorio all'altro, con finalità legittime, se non delle idee stesse, quanto meno di
ceppi e isolati. Gli stessi laboratori statunitensi preposti alla sorveglianza verso atti bioterroristici hanno lamentato gli intralci loro posti
dalla legislazione vigente, ma solo pochi ricercatori hanno invece
espresso perplessità sull'efficacia dei provvedimenti adottati (208, 209).
3.1.5 Carbonchio, percezione del rischio e mass media
Sebbene siano proprio le malattie contagiose quali peste e soprattutto febbri emorragiche virali e vaiolo, se utilizzate in atti bioterroristici o di guerra biologica, a rappresentare per gli addetti ai lavori il
rischio maggiore per l'umanità (210), spetta invece al carbonchio il
primato degli agenti temuti dalla popolazione, in gran parte a causa
dell'interesse dimostratogli dai mass media.
Le qualità che hanno reso le spore del carbonchio fra gli agenti più
promettenti per la guerra biologica, e che hanno indotto, come si è
visto, diversi Stati a impostarvi imponenti piani di ricerca e di sviluppo, non sono sfuggite a individui o gruppi che, con mezzi accessibili
con relativa facilità, hanno preso in considerazione l'idea di diffondere la malattia, in qualche caso riuscendovi, provocando così una tale
'tempesta mediatica' che non è azzardato ritenere inaspettata perfino
da parte dei perpetratori delle azioni criminose.
Risale al 1981 un episodio, avvenuto in Gran Bretagna, che più che
all'uso si riferisce alla minaccia dell'uso di agenti biologici - e va ricordato qui che anche questo rientra nella definizione di bioterrorismo;
un sedicente gruppo “Dark Harvest Commandos", di matrice ambientalistica estrema, depose nelle vicinanze di uno stabilimento di ricerca
per la guerra biologica e di un luogo di raduno di un partito politico
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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dei pacchi di terriccio che affermava contenente spore carbonchiose; il
gruppo affermava che il terriccio proveniva dall'Isola di Gruinard,
contro la cui contaminazione intendeva protestare, e minacciava ulteriori azioni simili, nei 'luoghi appropriati'. Le minacce non ebbero
seguito, e furono comunque considerate inconsistenti, ma l'azione
aveva conseguito i suoi effetti, creando allarme (211).
Non allarme bioterroristico, ma danno grave e duraturo, è stato
l'effetto di una vasta epizoozia di carbonchio innescata dai Rhodesiani
bianchi nel 1978-80 per distruggere gli armenti dei nativi; conclusasi
la parentesi Rhodesiana, il nascente stato del Zimbabwe si trova da
allora a fronteggiare una intensa endozoozia, che determina una morbosità senza precedenti di carbonchio nell'uomo (212, 213).
Nessun allarme e nessun danno furono invece causati dal tentativo, fallito, messo in opera nel giugno del 1996 dalla famigerata e più
volte citata Aum Shinrikyo: per quattro giorni fu azionato un nebulizzatore che diffondeva spore carbonchiose nell'aria, dal tetto di un
edificio di Tokyo; il fatto fu appurato in seguito, perché al momento
nessuno se ne accorse, e probabilmente non ci furono conseguenze
per gli uomini, ma solo per gli animali.
Altro fatto emerso da indagini, e neanche definitivamente provato,
riguarda l'invio di un pacco contenente spore del carbonchio da parte
di un fantomatico Counter Holocaust Lobbyist of Zion, nel 1997.
Dell'attività di Larry Wayne Harris si è già detto, così come del fatto
che verso la fine degli anni '90 si è avuto un crescendo di segnalazioni relative a episodi bioterroristici, la maggioranza delle quali rivelatesi false. In una casistica per il 1999 erano censiti 175 episodi, dei
quali ben 104 negli Stati Uniti, e di questi 81 riguardavano minacce col
carbonchio. Ogni segnalazione trovava ampia eco nei media, preparando il terreno per una vera e propria psicosi e amplificando il problema per fenomeni di emulazione.
Ma minacce, segnalazioni false, paure, dovevano bruscamente
cedere il passo alla drammatica realtà: nel clima arroventato immediatamente seguente l'11 settembre, il 19 dello stesso mese del 2001,
un assistente trentottenne dell'anchorman della NBC Tom Brokaw,
dopo aver maneggiato il giorno precedente una lettera contenente
una polvere bianca, sviluppa una lesione cutanea eritemato edematosa che peggiora nei giorni seguenti: solo al comparire dell'escara, di
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Alle basi del Bioterrorismo:
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linfoadenopatia e di sintomi sistemici, dopo il primo ottobre, viene
posta diagnosi di carbonchio: è il primo caso di attentato postale con
B. anthracis (214, 215, 216, 217).
Sarebbe interessante ripercorrere nel dettaglio il successivo sviluppo della vicenda, ma può essere sufficiente, per i nostri fini, sintetizzarlo, anche per non cadere nello stesso errore dei media, che noi qui
stigmatizziamo, di considerare il carbonchio quale il principale, se
non l'unico, degli agenti biologici utilizzati dai terroristi. Nel corso dei
tre mesi successivi al primo evento, hanno continuato ad essere condotti attacchi con B. anthracis e con la stessa modalità: al febbraio del
2002 i Centers for Diseases Control and Prevention statunitensi, l'organo
pubblico Americano responsabile della sorveglianza epidemiologica,
riportano ventuno casi di contagio di carbonchio da attacchi bioterroristici postali, dei quali sedici confermati e cinque solo sospetti. Dei
sedici confermati sei sono cutanei e ben dieci inalatori. Solo uno dei
casi, che ha dato esito nella morte di una anziana sessantunenne,
Kathy Nguyen, risulta non correlabile direttamente a contaminazione
postale, e rimane tuttora un mistero epidemiologico (218). Al di là
della reale portata degli eventi, tuttavia, gli Stati Uniti d'America, e
consequenzialmente tutto il mondo occidentale, sono letteralmente
sconvolti dalla vicenda. Le conseguenze economiche di essa sono tuttora oggetto di analisi, ma appaiono impressionanti, già ad una prima
valutazione.
Proviamo ad analizzare, più che gli eventi in se, che rimangono
ancora in parte oscuri, gli epifenomeni che li hanno caratterizzati, e
che in parte giustificano l'importanza che assume il bioterrorismo agli
occhi di potenziali attentatori. Sin dai primi casi certi, grazie all'oculata scelta dei bersagli, rappresentati da giornalisti, magistrati ed uomini politici di spicco, la vicenda ha avuto ampia risonanza, sebbene poi
le vittime reali siano risultate costituite da impiegati postali o addetti
alle segreterie. La stampa, le reti televisive e radiofoniche hanno dedicato agli eventi ampi spazi, con toni sempre allarmistici, talvolta francamente ed ingiustificatamente apocalittici, e la risonanza alimenta il
panico nella popolazione. Fra gli eventi che ne derivano sono da
segnalare centinaia di casi di scherzi, gesti di mitomani o quant'altro,
che, con la spedizione di lettere contenenti innocue polverine, amplificano a dismisura la psicosi della popolazione, l'impegno richiesto
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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alle forze di polizia impegnate nelle indagini, i costi relativi alle procedure di indagine e microbiologiche.
Il problema ha catalizzato l'attenzione dei ricercatori e la stampa
scientifica ha dedicato spazi crescenti alla vicenda ed ai suoi sviluppi:
ne fanno fede, oltre agli articoli dedicati dalle riviste mediche più prestigiose e più diffuse, anche interi numeri monografici dedicati dagli
organi delle istituzioni pubbliche preposte alla sorveglianza, quali i
CDC di Atalanta (219), e le pubblicazioni monografiche (220). Le
Istituzioni Pubbliche dei paesi occidentali si sono trovate a rispondere alle critiche volte alla loro presunta impreparazione con l'adozione
di provvedimenti urgenti e la pubblicazione di linee guida per i medici (221); tuttavia l'interesse della classe medica, così intensamente stimolato, non è soddisfatto da tali provvedimenti, e pertanto anche altri
attori istituzionali, quali gli Ordini dei medici (222) o associazioni di
categoria, o privati (223, 224), provvedono a sommergerla di pubblicazioni in materia, prima del tutto deficitarie.
In estrema sintesi, gli attacchi postali con spore carbonchiose hanno
avuto come effetto positivo quello di accendere l'interesse del mondo
scientifico sulla problematica degli agenti biologici per uso bellico e
del bioterrorismo, attivando la ricerca; hanno anche innalzato l'attenzione delle Istituzioni determinandole ad adottare numerosi provvedimenti restrittivi e cautelari; tuttavia ha generato anche un fenomeno autocatalitico, determinato in gran parte dall'attenzione dei media,
caratterizzato dal panico della popolazione. Hanno in definitiva permesso ai terroristi di conseguire il loro più ambito, tautologico, obiettivo.
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4 Conclusioni
L'agghiacciante prospettiva che organizzazioni terroristiche caratterizzate da fanatismo religioso mettano le mani su agenti biologici
responsabili di malattie contagiose tuttora non controllabili, quali il
virus Ebola, o stimati come potenzialmente responsabili di un'ecatombe biologica, quali il vaiolo, getta piena luce sull'aspetto forse più
trascurato della minaccia bioterroristica, quello che più differenzia
quest'ultima dalla guerra biologica esaminata nei capitoli precedenti.
Infatti nella guerra biologica perseguita da entità statuali l'arma biologica era intesa come strumento per danneggiare il proprio nemico
arrecando il danno più limitato possibile alle proprie risorse demografiche o militari. Pertanto l'arma biologica ottimale era quella, come
abbiamo visto sia per i piani di sviluppo nazisti che per quelli coevi
americani, in cui si fosse in possesso esclusivo di un vaccino o di altro
mezzo protettivo: si è visto come armi biologiche efficaci ed interi programmi di ricerca e campagne d'uso siano state interrotte quando ci si
è trovati di fronte all'impossibilità di garantire protezione adeguata
alle proprie truppe, come in Manciuria nel 1942 con peste e colera, da
parte dei giapponesi. Si è pure visto come nei secoli precedenti le uniche campagne efficaci di guerra biologica condotte con agenti di malattie infettive e contagiose, siano state quelle condotte in due principali
circostanze: nel primo caso ove le proprie truppe fossero comunque
relativamente protette dalla malattia per complesse motivazioni biologiche, come nel corso della colonizzazione delle Americhe riguardo al
vaiolo ed altri morbi; nel secondo ove le proprie truppe fossero già flagellate dal morbo infettivo, e quelle dell'avversario no, e ove quindi
l'atto ostile non fosse altro che un tentativo di ridurre uno svantaggio
già esistente, come nel caso degli assedi storici descritti.
Ove i possessori di armi quali il virus del vaiolo o dell'Ebola non
avessero alcuna preoccupazione per l'ecatombe determinata dal loro
utilizzo, come nel caso di fanatici religiosi o appartenenti a qualche
setta esoterica, verrebbe a mancare l'unico elemento di deterrenza che
nel corso dei secoli ha evitato tale crimine.
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un approccio storico alla Guerra Biologica
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5 Appendici
5.1.Il protocollo di Ginevra del 1925
5.1.1 Protocol For The Prohibition Of The Use In War Of
Asphyxiating, Poisonous Or Other Gases, And Of Bacteriological
Methods Of Warfare
Opened for signature: 17 June 1925, entered into force: 8 February 1928
The undersigned Plenipotentiaries, in the name of their respective
governments:
Whereas the use in war of asphyxiating, poisonous or other gases,
and of all analogous liquids, materials or devices, has been justly condemned by the general opinion of the civilised world; and
Whereas the prohibition of such use has been declared in Treaties
to which the majority of Powers of the world are Parties; and
To the end that this prohibition shall be universally accepted as a
part of International Law, binding alike the conscience and the practice of nations;
Declare:
That the High Contracting Parties, so far as they are not already
Parties to Treaties prohibiting such use, accept this prohibition, agree
to extend this prohibition to the use of bacteriological methods of
warfare and agree to be bound as between themselves according to
the terms of this declaration.
The High Contracting Parties will exert every effort to induce other
States to accede to the present Protocol. Such accession will be notified
to the Government of the French Republic, and by the latter to all
signatories and acceding Powers, and will take effect on the date of
the notification by the Government of the French Republic.
The present Protocol, of which the English and French texts are
both authentic, shall be ratified as soon as possible. It shall bear today's date.
The ratifications of the present Protocol shall be addressed to the
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Government of the French Republic, which will at once notify the
deposit of such ratification to each of the signatory and acceding
Powers.
The instruments of ratification of and accession to the present
Protocol will remain deposited in the archives of the Government of
the French Republic.
The present Protocol will come into force for each signatory Power
as from the date of deposit of its ratification, and, from that moment,
each Power will be bound as regards other Powers which have
already deposited their ratifications.
In witness whereof the Plenipotentiaries have signed the present
Protocol.
Done at Geneva in a single copy, the seventeenth day of June, One
Thousand Nine Hundred and Twenty-Five.
[DA: http://www.fas.harvard.edu/~hsp/1925.html ]
5.2. LA BWC
5.2.1 Convention On The Prohibition Of The Development,
Production And Stockpiling Of Bacteriological (Biological) And
Toxin Weapons And On Their Destruction
Signed at Washington, London, and Moscow April 10,1972
Ratification advised by U.S. Senate December 16, 1974
Ratified by U.S. President January 22, 1975
U.S. ratification deposited at Washington, London, and Moscow March
26, 1975
Proclaimed by U.S. President March 26, 1975
Entered into force March 26, 1975
The States Parties to this Convention.
Determined to act with a view to achieving effective progress
towards general and complete disarmament, including the prohibition and elimination of all types of weapons of mass destruction, and
convinced that the prohibition of the development, production and
stockpiling of chemical and bacteriological (biological) weapons and
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
their elimination, through effective measures, will facilitate the achievement of general and complete disarmament under strict and effective international control.
Recognizing the important significance of the Protocol for the
Prohibition of the Use in War of Asphyxiating, Poisonous or Other
Gases, and of Bacteriological Methods of Warfare, signed at Geneva
on June 17, 1925, and conscious also of the contribution which the said
Protocol has already made, and continues to make, to mitigating the
horrors of war.
Reaffirming their adherence to the principles and objectives of that
Protocol and calling upon all States to comply strictly with them,
Recalling that the General Assembly of the United Nations has
repeatedly condemned all actions contrary to the principles and objectives of the Geneva Protocol of June 17, 1925.
Desiring to contribute to the strengthening of confidence between
peoples and the general improvement of the international atmosphere.
Desiring also to contribute to the realization of the purposes and
principles of the Charter of the United Nations.
Convinced of the importance and urgency of eliminating from the
arsenals of States, through effective measures, such dangerous weapons of mass destruction as those using chemical or bacteriological
(biological) agents.
Recognizing that an agreement on the prohibition of bacteriological
(biological) and toxin weapons represents a first possible step towards
the achievement of agreement on effective measures also for the prohibition of the development, production and stockpiling of chemical
weapons, and determined to continue negotiations to that end.
Determined, for the sake of all mankind, to exclude completely the
possibility of bacteriological (biological) agents and toxins being used
as weapons.
Convinced that such use would be repugnant to the conscience of
mankind and that no effort should be spared to minimize this risk,
Have agreed as follows:
Article I
Each State Party to this Convention undertakes never in any circumstances to develop, produce, stockpile or otherwise acquire or
retain:
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(1) Microbial or other biological agents, or toxins whatever their
origin or method of production, of types and in quantities that have
no justification for prophylactic, protective or other peaceful purposes;
(2) Weapons, equipment or means of delivery designed to use such
agents or toxins for hostile purposes or in armed conflict.
Article II
Each State Party to this Convention undertakes to destroy, or to
divert to peaceful purposes, as soon as possible but not later than nine
months after the entry into force of the Convention, all agents, toxins,
weapons, equipment and means of delivery specified in article I of the
Convention, which are in its possession or under its jurisdiction or
control. In implementing the provisions of this article all necessary
safety precautions shall be observed to protect populations and the
environment.
Article III
Each State Party to this Convention undertakes not to transfer to
any recipient whatsoever, directly or indirectly, and not in any way to
assist, encourage, or induce any State, group of States or international
organizations to manufacture or otherwise acquire any of the agents,
toxins, weapons, equipment or means of delivery specified in article I
of the Convention.
Article IV
Each State Party to this Convention shall, in accordance with its
constitutional processes, take any necessary measures to prohibit and
prevent the development, production, stockpiling, acquisition, or
retention of the agents, toxins, weapons, equipment and means of
delivery specified in article I of the Convention, within the territory of
such State, under its jurisdiction or under its control anywhere.
Article V
The States Parties to this Convention undertake to consult one
another and to cooperate in solving any problems which may arise in
relation to the objective of, or in the application of the provisions of,
the Convention. Consultation and cooperation pursuant to this article
may also be undertaken through appropriate international procedures within the framework of the United Nations and in accordance
with its Charter.
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
Article VI
(1) Any State Party to this Convention which finds that any other
State Party is acting in breach of obligations deriving from the provisions of the Convention may lodge a complaint with the Security
Council of the United Nations. Such a complaint should include all
possible evidence confirming its validity, as well as a request for its
consideration by the Security Council.
(2) Each State Party to this Convention undertakes to cooperate in
carrying out any investigation which the Security Council may initiate, in accordance with the provisions of the Charter of the United
Nations, on the basis of the complaint received by the Council. The
Security Council shall inform the States Parties to the Convention of
the results of the investigation.
Article VII
Each State Party to this Convention undertakes to provide or support assistance, in accordance with the United Nations Charter, to any
Party to the Convention which so requests, if the Security Council
decides that such Party has been exposed to danger as a result of violation of the Convention.
Article VIII
Nothing in this Convention shall be interpreted as in any way limiting or detracting from the obligations assumed by any State under
the Protocol for the Prohibition of the Use in War of Asphyxiating,
Poisonous or Other Gases, and of Bacteriological Methods of Warfare,
signed at Geneva on June 17, 1925.
Article IX
Each State Party to this Convention affirms the recognized objective of effective prohibition of chemical weapons and, to this end,
undertakes to continue negotiations in good faith with a view to reaching early agreement on effective measures for the prohibition of
their development, production and stockpiling and for their destruction, and on appropriate measures concerning equipment and means
of delivery specifically designed for the production or use of chemical
agents for weapons purposes.
Article X
(1) The States Parties to this Convention undertake to facilitate, and
have the right to participate in, the fullest possible exchange of equipCaleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
ment, materials and scientific and technological information for the
use of bacteriological (biological) agents and toxins for peaceful purposes. Parties to the Convention in a position to do so shall also cooperate in contributing individually or together with other States or
international organizations to the further development and application of scientific discoveries in the field of bacteriology (biology) for
prevention of disease, or for other peaceful purposes.
(2) This Convention shall be implemented in a manner designed to
avoid hampering the economic or technological development of
States Parties to the Convention or international cooperation in the
field of peaceful bacteriological (biological) activities, including the
international exchange of bacteriological (biological) agents and
toxins and equipment for the processing, use or production of bacteriological (biological) agents and toxins for peaceful purposes in
accordance with the provisions of the Convention.
Article XI
Any State Party may propose amendments to this Convention.
Amendments shall enter into force for each State Party accepting the
amendments upon their acceptance by a majority of the States Parties
to the Convention and thereafter for each remaining State Party on the
date of acceptance by it.
Article XII
Five years after the entry into force of this Convention, or earlier if
it is requested by a majority of Parties to the Convention by submitting a proposal to this effect to the Depositary Governments, a conference of States Parties to the Convention shall be held at Geneva,
Switzerland, to review the operation of the Convention, with a view
to assuring that the purposes of the preamble and the provisions of
the Convention, including the provisions concerning negotiations on
chemical weapons, are being realized. Such review shall take into
account any new scientific and technological developments relevant
to the Convention.
Article XIII
(1) This Convention shall be of unlimited duration.
(2) Each State Party to this Convention shall in exercising its national sovereignty have the right to withdraw from the Convention if it
decides that extraordinary events, related to the subject matter of the
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
Convention, have jeopardized the supreme interests of its country. It
shall give notice of such withdrawal to all other States Parties to the
Convention and to the United Nations Security Council three months
in advance. Such notice shall include a statement of the extraordinary
events it regards as having jeopardized its supreme interests.
Article XIV
(1) This Convention shall be open to all States for signature. Any
State which does not sign the Convention before its entry into force in
accordance with paragraph (3) of this Article may accede to it at any
time.
(2) This Convention shall be subject to ratification by signatory
States. Instruments of ratification and instruments of accession shall
be deposited with the Governments of the United States of America,
the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the
Union of Soviet Socialist Republics, which are hereby designated the
Depositary Governments.
(3) This Convention shall enter into force after the deposit of instruments of ratification by twenty-two Governments, including the
Governments designated as Depositaries of the Convention.
(4) For States whose instruments of ratification or accession are
deposited subsequent to the entry into force of this Convention, it
shall enter into force on the date of the deposit of their instruments of
ratification or accession.
(5) The Depositary Governments shall promptly inform all signatory and acceding States of the date of each signature, the date of
deposit of each instrument of ratification or of accession and the date
of the entry into force of this Convention, and of the receipt of other
notices.
(6) This Convention shall be registered by the Depositary
Governments pursuant to Article 102 of the Charter of the United
Nations.
Article XV
This Convention, the English, Russian, French, Spanish and
Chinese texts of which are equally authentic, shall be deposited in the
archives of the Depositary Governments. Duly certified copies of the
Convention shall be transmitted by the Depositary Governments to
the Governments of the signatory and acceding states.
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
IN WITNESS WHEREOF the undersigned, duly authorized, have
signed this Convention.
DONE in triplicate, at the cities of Washington, London and
Moscow, this tenth day of April, one thousand nine hundred and
seventy-two.
Caleidoscopio Letterario
115
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
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27) Goodman Gilman A et al.: “Goodman and Gilman's the pharmacological basis
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28) Gemoll G: “Vocabolario Greco-Italiano”: 1035-1036, 1088, Sandron, Firenze, 1969.
29) Barnaby W: op. cit.: 21.
30) Santoro A: “Storia dell'igiene militare” in “Igiene e Medicina preventiva militare”: 4 e seg., Roma, 1995.
31) Moresby J: “Discoveries in New Guinea” Londra, 1875: 82.
32) Moresby J: “On poisoned arrows in Melanesia” Journal of Anthropology
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33) Le Dantec F et al: «Etude des fléches empoisonnées du haut Dahomey» Archives
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34) Le Dantec F : «Origine tellurique du poison des fléches des naturels des
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35) De Maleissye J: op. cit.
36) Vergara Caffarelli I: “Le armi biologiche” in Greco P, op. cit.: 103-124.
37) Cristopher GW, et al.: op. cit.
38)Bernadac C: “I medici maledetti. Esperimenti medici condotti su uomini nei
campi di concentramento”: 91-92, Accademia, Milano, 1973.
39) Barnaby W: op. cit.: 118-119.
40) Postel-Vinay O: op. cit.
41) Vergara Caffarelli I: op. cit.: 110.
42) USAMRIID: op. cit.
43) Ferraro N: op. cit.: 17.
44) USAMRIID: op. cit.
45) Cristopher GW, et al.: op. cit.
46) Cristopher GW, et al.: op. cit.
Caleidoscopio Letterario
117
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
47) Barnaby W: op. cit.: 46-47.
48) Urbano FG: Cenno storico sulla Vitiligine. Giornale di Medicina Militare 149 (56): 229-232, 1999.
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53) Masini S: “Le battaglie che cambiarono il mondo” Mondatori, Milano, 1995.
54) Fuller: op. cit.: volume secondo: 348 e seg..
55) Chandler DG: “Le campagne di Napoleone”: 319 , RCS libri, Milano, 1998.
56) Chandler DG: op. cit. vol. II,
57) Rusconi GE: “Clausewitz, il prussiano. La politica della guerra nell'equilibrio
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59) Shryock RH: “Storia della Medicina nella società moderna” ISEDI, Milano, 1977.
60) Grmek MD: “Le malattie all'alba della civiltà occidentale. Ricerche sulla realtà
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61) Grmek MD, a cura di: “Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e
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62) Hecker JFC: “Der Schwarze Tod in vierzehnten Jahrhndert. Nach den Quellen
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63) McNeill WH: “La peste nella Storia: epidemie morbi e contagio dall'antichità
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64) Postel-Vinay O: “Terrorisme. Guerre biologique: l'ancien et le nouveau»
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65) Tononi AG: “La peste dell'anno 1348”. Giornale linguistico di Archeologia, Storia
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66) Cardini F.: “Quell'antica festa crudele. Guerra e cultura della Guerra dal
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68) Granzotto “Carlo Magno” Rizzoli, Milano, 1982.
69) Chandler DG: op. cit. : 308-330.
70) Bergdolt K: “La peste nera e la fine del medioevo”: 51-73, Piemme, Casale
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71) Wheelis M: “Biological warfare at the 1346 siege of Caffa” Emerging Infectious
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73) Cristopher GW, et al.: op. cit.
Caleidoscopio Letterario
118
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
74) McNeill WH: op. cit.: 151,
75) Bergoldt: op. cit.: 350.
76) Dupuy RE, Dupuy TN: “The encyclopedia of Military History from 3500 B.C. to
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77) Hooper N, Bennet M: “Cambridge illustrated atlas. Warfare. The middle Ages
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78) Rega P: History of Bioterrorism: A chronological History of Bioterrorism and
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79) Creasy E: op. cit.
80) Dupuy RE, Dupuy TN: op. cit.
81) Rega: op. cit.
82) Chandler DG: op. cit. : 144-182.
83) Chandler DG: “I marescialli di Napoleone” Rizzoli, Milano, 1992.
84) Chandler DG: op. cit. : 681 e seg.
85) USAMRIID: op. cit.
86) Howard MR: “Walcheren 1809: a medical catastrophe” BMJ 319: 1642-1645, 1999.
87) Postel-Vinay O: op. cit.
88) Botti F: “Approvvigionamenti ed organizzazione logistica delle armate rivoluzionarie e napoleoniche” in AA.VV.: “Le scienze e gli ordinamenti militari della
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90) Santoro A: op. cit.: 4.
91) Chandler DG: op. cit. : 320 e seg.
92) Laurent De L'Ardeche PM: «Napoleone»: 167-168, Fontana, Torino, 1839.
93) McNeill WH: op. cit.
94) Diamond J: op. cit.
95) McNeill WH: op. cit.
96) McNeill WH: op. cit.
97) Stocklein J “Der neue Welt Bott” Augsburg e Graz 1729 citato in: Stearn EW,
Stearn AE.: “The Effect of Smallpox on the Destiny of the Amerindian.”: Boston,
Mass: Bruce Humphries; 1945.
98) USAMRIID: op. cit.
99) McNeill WH: op. cit.: 190-91.
100) Ruffié J, Sournia JC: “Le epidemie nella storia”: 157-174, Editori Riuniti, Roma,
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101) Diamond J: op. cit.
102) Parkman F.: “The Conspiracy of Pontiac and the Indian War After the Conquest
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103) Parkman F.: op. cit.
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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104) Sipe CH.: “The Indian Wars of Pennsylvania.” Harrisburg, Pa: Telegraph Press;
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105) Citate in Barnaby, op. cit.:21.
106) Stearn EW, Stearn AE.: “The Effect of Smallpox on the Destiny of the
Amerindian.” Boston, Mass: Bruce Humphries; 1945.
107) Fenner F, Henderson DA, Arita I, Jezek Z, Ladnyi ID.: “Smallpox and Its
Eradication.” Geneva, Switzerland: World Health Organization; 1988.
108) Vergara Caffarelli I: op. cit.: 110-111.
109) De Kruif P: “I cacciatori di microbi” Mondatori, Milano, 1937.
110) Cuny H: “Pasteur. La vita, il pensiero, i testi esemplari” Accademia, Milano,
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111) Unger H: “Il dottor Koch scopritore di microbi” Salani, Firenze, 1943.
112) Rega: op. cit.
113) Hugh-Jones M. Wickham: “Steed and German biological warfare research.”
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114) Witcover J.: “Sabotage at Black Tom: Imperial Germany's Secret War in
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115) Berdal BP, Omland T.: “Biologiske vapen-konvensjoner og historikk.” Tidsskr
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116) Robertson AG, Robertson LJ.: “From asps to allegations: biological warfare in
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117) Barnaby W: op. cit.: 152-153.
118) Bernadac C: op. cit.: 125-134.
119) Riportata nell'Appendice 1.
120) Harris SH.: “Factories of Death.” New York, NY: Routledge; 1994.
121) Mangold T, Goldberg J, Mangold G: op. cit. Plague Wars: A True Story of
Biological Warfare, St. Martin's Press; 2000: 14-28.
122) Harris SH.: op. cit.
123) Barnaby W: op. cit.: 139-141.
124) Williams P, Wallace D.: “Unit 731: Japan's Secret Biological Warfare in World
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125) Tomlin VV, Berezhnai RV.: “Exposure of criminal activity of the Japanese military authorities regarding preparation for biological warfare.” Voen Med Zh.
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128) Williams P, Wallace D.: op. cit..
129) Barnaby W: op. cit.: 139.
130) De Maleissye J: “Paura della rappresaglia e comparsa del buon senso?” in
“Storia dei veleni da Socrate ai nostri giorni” Sugarco Edizioni, Varese, 1993:
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131) Williams P, Wallace D.: op. cit..: 125.
Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
132) Barnaby W: op. cit.: 123-128.
133) Williams P, Wallace D.: op. cit.: 125-134.
134) Mitscherlich A, Mielke F.: Medizin ohne Menschlichkeit: Dokumente des
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Taschenbuchverlag; 1983.
135) Bernadac C: op. cit.: 139-160.
136) Fleck L: “Genesi e sviluppo di un fatto scientifico” Il Mulino, Bologna, 1983.
137) Rossi P: “Ludwick Fleck e una rivoluzione immaginaria” in Fleck L: op. cit..
138) Lazowski ES, Matulewicz S.: “Serendipitous discovery of artificial Weil-Felix
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139) Bernadac C: op. cit.: 139-160.
140) “Le centre de expérimentation humaine sur le typhus exanthematique au camp
de Buchenwald» (Bollettino e memoriale della Società Medica degli Ospedali di
Parigi. Seduta del 11 maggio 1945.) in La Presse Médicale, 21, 26 maggio 1945.
141) “Notes sur le typhus exanthematique observé a Buchenwald» (Bollettino e
memoriale della Società Medica degli Ospedali di Parigi. Seduta del 4 maggio
1945. 15-16, 1945) in La Presse Médicale, 20, 19 maggio 1945.
142) La Placa M: “Rickettsiae” in “Principi di Microbiologia Medica”: 363-370,
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143) Rega: op. cit.
144)Barnaby W: op. Cit.: 99.
145) Harris R, Paxman JA.: “A Higher Form of Killing.” New York, NY: Hill &
Wang; 1982.
146) Cristopher GW, et al.: op. cit.
147) Barnaby W: op. cit.: 90-98.
148) Barnaby W: op. Cit.: 95.
149) Carter GB: Porton Down: 75 years of chemical and biological Research, HMSO,
London, 1992: 52-54.
150) Thomas V. Inglesby, Tara O'Toole, Donald A. Henderson, John G. Bartlett,
Michael S. Ascher, Edward Eitzen, Arthur M. Friedlander, Julie Gerberding,
Jerome Hauer, James Hughes, Joseph McDade, Michael T. Osterholm, Gerald
Parker, Trish M. Perl, Philip K. Russell, Kevin Tonat, and for the Working Group
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151) Manchee RJ, Broster MG, Melling J, Henstridge RM, Stagg AJ: “Bacillus anthracis on Gruinard Island”. Nature Nov 19; 294(5838): 254-5, 1981
152) Manchee RJ, Broster MG, Anderson IS, Henstridge RM, Melling J:
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153) Aldhous P: “Biological warfare. Gruinard Island handed back.” Nature Apr 26;
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154) Mierzejewski J, Bartoszcze M: “Decontamination of soil after bacterial warfare
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Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
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Francesco Urbano
155) Vergara Caffarelli I: op. cit.: 112.
156) Manchee RJ, Stewart R.: “The decontamination of Gruinard Island.” Chem Br.
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157) Vergara Caffarelli I: op. cit.: 112.
158) Barnaby W: op. Cit.: 101.
159) Alibek K: Biohazard: The Chilling True Story of the Largest Covert Biological
Weapons Program in the World--Told from Inside by the Man Who Ran It,
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160) Alibek K: “La guerre des germes” Presses de la Cité, Parigi, 1999.
161) Postel-Vinay O: op. cit.
162) David T. Thomas V. Inglesby, Donald A. Henderson, John G. Bartlett, Michael
S. Ascher, Edward Eitzen, Anne D. Fine, Arthur M. Friedlander, Jerome Hauer,
Marcelle Layton, Scott R. Lillibridge, Joseph E. McDade, Michael T. Osterholm,
Tara O'Toole, Gerald Parker, Trish M. Perl, Philip K. Russell, Kevin Tonat, and
for the Working Group on Civilian Biodefense: “Tularemia as a Biological
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163) Dennis DT, et al.: op. cit.
164) Mangold T, Goldberg J, Mangold G: op. cit.: 43.
165) Romano S: op. cit.
166) Harris SH.: op. cit..
167) Williams P, Wallace D.: op. cit..
168) "The Trial of Former Servicemen of the Japanese Army Charged with
Manufacturing and Employing Bacteriological Weapons" by Foreign Language
Publishing House, Moscow, 1950.
169) Cristopher GW, et al.: op. cit..
170) Cristopher GW, et al.: op. cit..
171) Vergara Caffarelli I: op. cit.: 112.
172) Sokolowsky VD edited by: “Military Strategy. Soviet Doctrine and Concepts”
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173) Riportata nell'Appendice 2.
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199) Rega: op. cit.
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Caleidoscopio Letterario
125
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
Hoffmaster AR, Meyer RF, Bowen MD, Marston CK, Weyant RS, Thurman K,
Messenger SL, Minor EE, Winchell JM, Rassmussen MV, Newton BR, Parker JT,
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Steward-Clark E, Schmidt DS, Mothershed E, Pruckler J, Schwartz S, Benson RF,
Helsel LO, Holder PF, Johnson SE, Kellum M, Messmer T, Thacker WL, Besser
L, Plikaytis BD, Taylor TH Jr, Freeman AE, Wallace KJ, Dull P, Sejvar J, Bruce E,
Moreno R, Schuchat A, Lingappa JR, Martin SK, Walls J, Bronsdon M, Carlone
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Caleidoscopio Letterario
126
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
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Caleidoscopio Letterario
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Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
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Caleidoscopio Letterario
128
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
Indice
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
3
1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»
5
1.1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»
5
1.2. Scopo di questo lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»
8
1.3. Alcune definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»
8
1.4. Bioterrorismo e guerra biologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 10
2 La Guerra Biologica e il Bioterrorismo: una breve storia . . . . . . . . . . . .» 11
2.1. La preistoria: frecce avvelenate e guerra batteriologica . . . . . . .» 11
2.1.1 Frecce e tossine vegetali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 11
2.1.2 Frecce da guerra batteriologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 13
2.1.3 Pungi-sticks e tempi moderni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 17
2.2. L'evo antico: pozzi contaminati e astuti espedienti. . . . . . . . . .» 19
2.2.1 Della contaminazione delle acque superficiali . . . . . . . . . . . .» 19
2.2.2 Annibale e la sua inventiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 22
2.3. Il medio evo: assedi, carestie e pestilenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 24
2.3.1 Assedi e malattie infettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 24
2.3.2 De Mussi e l'assedio di Caffa del 1348 . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 28
2.3.3 Altri assedi e altre pestilenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 33
2.3.4 Napoleone e Mantova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 34
2.4. L'evo moderno: malattie infettive e genocidi . . . . . . . . . . . . . . . .» 39
2.4.1 Le malattie infettive nella storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 39
2.4.2 Guerra biologica e conquiste delle Americhe . . . . . . . . . . . . .» 41
Caleidoscopio Letterario
129
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
2.5. Gli anni della prima guerra mondiale ed il primo dopoguerra: la
scienza moderna al servizio della guerra; spionaggio, economia e
accordi internazionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 48
2.5.1 Scienza moderna e guerra biologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 48
2.5.2 La Germania Guglielmina e la guerra biologica economica » 49
2.5.3 Il dopoguerra e il Protocollo di Ginevra del 1925 . . . . . . . . .» 53
2.6. La seconda guerra mondiale: esperimenti, biological counter
intelligence, atrocità varie e crimini di guerra. . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 55
2.6.1 Il Giappone e l'Unità 731 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 55
2.6.2 L'Italia e la sua saggia rinuncia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 61
2.6.3 Il Terzo Reich e il 'comitato parafulmine' . . . . . . . . . . . . . . . .» 62
2.6.4 Counter-intelligence biologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 66
2.6.5 Gli Stati Uniti d'America . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 70
2.6.6 La Gran Bretagna e il carbonchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 72
2.6.7 L'Unione Sovietica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 75
2.7. Il secondo dopoguerra: la guerra fredda ed il trionfo della
real-politik . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 77
2.7.1 Il primo dopoguerra e la guerra fredda . . . . . . . . . . . . . . . . .» 77
2.7.2 Guerra fredda e guerra biologica prima del 1972 . . . . . . . . .» 78
2.7.3 La Biological Weapon Convention . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 85
2.7.4 La guerra biologica dopo il 1972 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 88
2.7.5 I tempi contemporanei e il caso Irak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 92
3 Il Bioterrorismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 95
3.1.1 I nuovi scenari internazionali e l'affermazione del
bioterrorismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 95
3.1.2 Tossine e fanatismi vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .» 96
3.1.3 Infezioni e Tossinfezioni provocate e salute pubblica . . . . . .» 99
3.1.4 Lo spettro delle malattie contagiose e la risposta delle
Istituzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»103
Caleidoscopio Letterario
130
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
3.1.5 Carbonchio, percezione del rischio e mass media . . . . . . . . .»103
4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»107
5 Appendici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»108
5.1. Il Protocollo di Ginevra del 1925 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»108
5.1.1 Protocol For The Prohibition Of The Use In War Of . . . . . . .
Asphyxiating, Poisonous Or Other Gases, And Of Bacteriological
Methods Of Warfare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»108
5.2. La BWC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»109
5.2.1 Convention On The Prohibition Of The Development, . . . . .
Production And Stockpiling Of Bacteriological (Biological) And
Toxin Weapons And On Their Destruction . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»109
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»116
Indice » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»129
Caleidoscopio Letterario
131
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
Caleidoscopio
Letterario
... il futuro ha il cuore antico
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
MEDICAL SYSTEMS SpA
Messina R.A.: Vetri d’aria. Novembre 1990.
Pascarella S.: Sui sentieri dell’anima. Gennaio 1991.
Mancini C.: Scarti di logica. Maggio 1991.
Sanchetti P.: Cronache. Ottobre 1991.
Omodei-Zorini G.V.: I medici ambulanti (Appunti e divagazioni). Novembre 1991.
Marzollo M.: Ciao, Serenissima...! Febbraio 1992.
Cappi F.: La trasfusione del sangue dalle origini ai nostri giorni. Aprile 1992.
Alongi E.: Conversazione difficile. Gennaio 1993.
Del Vecchio G.: Pensieri di un’anima. Gennaio 1993.
Cappi V.: La morte dei poeti. Febbraio 1994.
Santacroce F.: Evasione dal caos. Marzo 1994.
Vecchi F.: Tutto quello che avreste dovuto sapere di un laboratorio analisi e la
mamma non vi ha detto. Febbraio 1995.
Casaglia G.: Kronos-Travel-L’unica Agenzia specializzata in viaggi nel tempo!
Giugno 1995.
Contini C. Romanzi brevi: La nana di Mantova; La camera della Badessa. Febbraio
1996.
Cusmano F.: Una piccola antologia. Settembre 1996.
Peverati I.: Interferenze. Dicembre 1996.
Sabatini B.: Via Crucis. Aprile 1997.
Pilia B.: Giungla di granito (Brani scelti). Dicembre 1997.
Musa F.: Le imposte di legno. Giugno 1998.
Devoti L.: Le strepitose fontane della Roma dei Papi. Novembre 1998.
Bozzetti M. R.: Canta l’eterno presente. Dicembre 1998.
Rosanigo N.: Ai confini dell’anima. Aprile 1999.
Bartocci G.: Oneirata (Sogni). Settembre 1999.
Petrini M. T.: Racconti Gualdesi. Febbraio 2000.
Ziering S.: Il giudizio di Herbert Bierhoff. Marzo 2000.
Dall’Olio G.: Personaggi della Chimica Clinica Italiana dell’Ottocento. Settembre
2000.
Colella D. : Non ci ho mai capito niente. Dicembre 2000.
Omodei Zorini G.V.: Fratello vino. Luglio 2001.
Caleidoscopio Letterario
132
Alle basi del Bioterrorismo:
un approccio storico alla Guerra Biologica
Francesco Urbano
29. Pozzoli R.: La prostituzione nelle società antiche (tra mito, culto e piacere).
Settembre 2001.
30. Pagliarin G.: I canti della cicala. Marzo 2002.
31. Cusmano F.: Chagall poeta biblico (Poesie dall’angelo sui tetti). Giugno 2002.
32. Fiorato S.: Storie di Struppa e del Bisagno. Novembre 2002.
33. Morrica A. C.: La generazione confusa. Aprile 2003.
34. Melas S.: Poesia Latente. Marzo 2004.
35. Alongi E.: Spezzoni di celluloide. Ottobre 2004.
36. Fiorista F.: Rime Dovute. Febbraio 2005.
37. Giacobbe E.: E il naufragar m’è dolce in questo mare. Giugno 2005.
Caleidoscopio Letterario
133
Caleidoscopio Letterario
Rivista di poesia, narrativa, saggistica e teatro
anno 17, numero 38
Progettazione e Realizzazione
Direttore Responsabile
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Responsabile Ufficio Acquisti
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Direttore Culturale
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Redazione
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Restless Architect
of Human Possibilities s.a.s.
Servizio Abbonamenti
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Nutrizione ed intolleranze alimentari. Acqui (AL)
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18-11-2006 Le tiroiditi Arezzo
17-11-2006 Nuovi esami di laboratorio per la cardiologia. Giaveno (TO)
14-11-2006 Il controllo di gestione in una azienda sanitaria. Avellino
14-11-2006 Marcatori cardiaci: passato, presente e futuro. Adria (RO)
10-11-2006 Comunicazione corretta ed efficace con l’utilizzo dei modelli comunicativo
relazionali in sanità. Casarano (LE)
10-11-2006 Il supporto clinico e laboratoristico nella diagnostica delle patologie cardiache.
Milano
9-11-2006
Sviluppo di una Cultura gestionale con la creatività e la capacità di soluzione
dei problemi. Taranto
8-11-2006
Parlare in pubblico ed arte oratoria per le presentazioni Congressuali in Medicina.
Bari
8-11-2006
VEQ - la valutazione di qualità che produce qualità. Vibo Valentia
7-11-2006
Sviluppo di una Cultura gestionale con la creatività e la capacità di soluzione
dei problemi. Giovinazzo (BA)
7-11-2006
La Qualità nel Laboratorio Analisi. La gestione per processi. Acqui (AL)
6-11-2006
Comunicazione corretta ed efficace con l’utilizzo dei modelli comunicativo
relazionali in sanità. Terlizzi (BA)
2-11-2006
Affezione e buona motivazione al lavoro in ambito sanitario. Catania
31-10-2006 Affezione e buona motivazione al lavoro in ambito sanitario. Messina
30-10-2006 Cultura della Qualità e costi della “Non Qualità” in ambito sanitario. Messina
Sponsor Ufficiale
… il futuro ha il cuore antico
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