Per quanto siamo in grado di capire, l`unico fine dell`esistenza
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Per quanto siamo in grado di capire, l`unico fine dell`esistenza
Per quanto siamo in grado di capire, l’unico fine dell’esistenza umana è di accendere un Barlume di significato nelle tenebre della pura e semplice esistenza I Valek Diaconescu La notte è buia come la pece. Una strada dissestata ferisce il territorio altrimenti completamente in mano alla natura. Su questa strada un carrozzone solitario illumina la tenebra con le sue due torce. Al posto di guida, due giovani uomini aspettano qualcosa… o qualcuno. “guarda, sta tornando… quel poveraccio ha avuto una brutta idea a minacciarci!”. Il tondo sordo del cadavere poteva ricordare un sacco di patate caduto. Una figura appena illuminata dalle torce sale sul carrozzone, appena dopo aver dato un singolo segnale. Muti come la notte che sta per andarsene, il cocchiere fa partire il carrozzone. Mentre il mondo dei vivi si sveglia, una presenza straniera in terra straniera si lascia andare ad un sonno amaro… e i ricordi per lui troppo dolorosi o semplicemente indesiderati riaffiorano per un attimo alla memoria… solo un attimo. • Valek è uno dei figli di una famiglia di nobiltà contadina della Slovacchia, la cui magione e territorio erano situati presso le rive del fiume Muresul, sotto il dominio del Voivoda Yasvordaal, di cui la famiglia è vassalla. “Il signore della montagna è severo, ma tiene alla sua terra e al suo popolo, e ci protegge dagli invasori…” –il Signore è la terra… • Ha inizio la guerra contro i Tremere, le attività soprannaturali sempre più evidenti iniziano a squassare la vita della famiglia Diaconescu. “Il signore della montagna è alleato degli spiriti della terra, ricorda Valek: non temere i bogatyri, poiché essi combattono al nostro fianco contro gli invasori” –madre, perché impallidisti così tanto, durante quelle parole? Forse perché non ci credevi? • Un contingente guidato da un Tremere accompagnato da 2 Gargoyles si fa strada lungo il fiume Muresul: la notizia si sparge, e inizia a radunarsi un contingente di umani e “creature” attorno alla magione Diaconescu: il panico inizia a spargersi come una pestilenza. “Presto dai una mano anche tu: gli infissi dell’ala est non sono state ne inchiodate ne hanno le corone d’aglio!” –ora lo so… alla maggior parte di NOI l’aglio non fa alcun effetto… • Nell’oscurità della notte una presenza entra in casa Diaconescu: ogni singolo membro della famiglia viene abbracciato e lasciato sul campo di battaglia in preda alla frenesia, per combattere contro gli usurpatori. “…Sete… ho… bisogno di bere…” –non era solo sete… era vera astinenza… era il vuoto dentro… era la Bestia. • Valek è uno dei pochi sopravvissuti della sua famiglia. Viene sottoposto al legame di sangue da una creatura che identificherà come il suo sire, successivamente viene sfigurato per <<ispirare il terrore nel nemico>>. “la vostra scelta è di certo saggia… fate di me ciò che volete sono il Vostro servo…” –per lui avrei dato tutto, non solo la vita… non capisco ancora perché. II • Valek partecipa ad alcune battaglie, e riceve insegnamento sulla sua condizione da un suo Fratello più anziano, che successivamente morirà in battaglia. “Andrej, ma sei sicuro che possa davvero fare ciò che dici?” –Andrej… sei stato tu il mio vero sire… anche se il mio sangue non era meno vecchio del tuo… • Valek stringe amicizia con un Ancilla Gangrel, Damien Lezkj, alleato degli Tzimisce (coi quali però non condivide l’ abitudine di usare gli infanti come carne da cannone) e a capo di una tribù di nomadi. “Sei un amico Damien, ma Yasvordaal è il mio padrone, e sono pronto a morire per lui!” –e tu, Damien… probabilmente proprio per QUESTO mi hai protetto… non mi appartenevo, e tu ne eri oltremodo contrariato. • Durante la vigilia di una battaglia, Valek scopre che non si sente più legato in alcun modo al suo Sire, preso dall’eccitazione e dal panico ruba un cavallo e scappa. “Ogni mia sicurezza è caduta… eppure ora vivo!” –cosa sia successo non lo so ancora… ma sarà stato davvero un bene? Solo i secoli me lo sapranno dire. • L’errante Valek trova rifugio, dopo quattro giorni di stenti e sopravvivenza fortuita, presso un borgo presidiato da un Anziano e dalla sua progenie. Costoro si fanno chiamare Brujah. Valek beve come vitae pregiata le filosofie dell’Anziano, e si dimostra in poco uno studente brillante, nonché un decente atleta. “Il mondo delle Idee… interessante…” –e di sicuro esiste un Cainita ideale… nel profondo sono convinto che si tratti di uno Tzimisce… che si tratti di questo stesso mio sangue. • Passano alcuni anni, Valek matura l’idea di fuggire da quella terra dolorosa. L’idea viene attuata sei mesi dopo, quando Damien passa con la sua carovana presso il borgo in cui si trova Valek. Damien gli parla di un suo Fratello, figlio del suo stesso Sire, stabilitosi a Ferrara, in Italia. Damien scrive una lettera di presentazioni per Valek, da dare a Orsinis, e gli affida due giovani nomadi, perché lo portino in Italia. “Damien, sei il migliore amico che un Fratello possa chiedere… onorerò tuo Fratello come un Sire, nella speranza di rincontrarti, una notte.” –se dovessi morire, vorrei morire con te, Damien, sul campo di battaglia… una morte eroica… da individuo, non da servo. • Uscito dai confini della sua terra, Valek si sente sempre più debole, finchè non si vede costretto a farvi ritorno. Altri 3 viaggi falliscono, Valek giunge alla conclusione che lui e la sua terra sono legati, quindi ne raccoglie un baule per portarla sempre con se. “Ora ho capito, mia Terra, che il mio sangue è per sempre legato a Te, e senza di Te, sono destinato all’estinzione” –e Tu non sei niente senza di Noi… Il Nostro rapporto è di dipendenza reciproca. Valek ha assorbito e fatte sue le discipline filosofiche dei Brujah, anche se le ha adattate sotto una chiave molto personale. Dati gli shock tremendi subiti nelle sue prime notti, ha completamente rimosso la sua vita da mortale dai suoi ricordi. Il suo aspetto sarebbe, fisicamente, quello di un giovane uomo, snello e alto nella media. Il suo volto è contratto in una maschera diabolica. I suoi capelli sono neri, tenuti lunghi e all’indietro, gli occhi sono opachi e lattei, apparentemente privi di vista (effettivamente non è così). Si porta dietro trofei presi dalle sue vittime (si era fatto un nome per la sua abilità di “estrazione”): porta un orecchino con appeso un dente (afferma che sia di un usurpatore particolarmente forte) e una collana con legati “canini di Usurpatori e Gargoyle, uno per ogni vittima!” i suoi vestiti sono un misto di tradizione nobiliare carpatica e di abbigliamento nomade. Avendo combattuto numerose volte contro vampiri, ha sempre con se numerosi paletti. III Luca Della Croce Amelia mia carissima, Se stai leggendo questa mia lettera, significa o che ho raggiunto il mio destino, quale che esso sia, o che mi sono messo in moto nella speranza di fabbricarmelo da solo, sempre che questa libertà sia stata data da Lui anche alla mia razza dannata... Questo non è un addio, Amelia. Non lo permetterò. In questa vita, se sarà possibile, o oltre, se esiste qualcosa al di là di questa valle di sangue e di lacrime, ci rincontreremo. Fino ad allora, sii al sicuro. Sei abbastanza forte ed abbastanza saggia da stare al di fuori del pericolo, e sai tutto quello che c'è da sapere sulla natura dei miei simili per saperli evitare e, se necessario, combattere. Ti lascio questa bottiglia colma del mio sangue, tu sai quali sono i suoi effetti se la dovessi bere. Considerala solo come un'ultima risorsa, ti prego. Ti lascio anche questa mia casa a Cesenatico come residenza, ed allego a queste poche righe un documento, scritto da me in gran segreto durante quest'anno, con la storia della mia vita, che tu hai spesso desiderato sapere e che io non ho mai voluto raccontarti. Qui vi sono le risposte a tutte le tue domande, su chi sia io veramente, e su cosa mi spinga ad andare avanti per una strada tanto stretta e tanto aspra quale è il mio seguire il sogno di un mondo migliore per tutti. Ti voglio bene, Amelia. Non voglio che ti succeda qualcosa. Non voglio perderti. Sei il mio ultimo raggio di luce in questo mondo di tenebra. Io ti amo, Amelia. IV Luca Della Croce 30 novembre 2002 Mio rifugio in Cesenatico Caro lettore, chiunque tu sia, lascia che io mi presenti. Io sono Luca Dellacroce, progenie di Sven Karendil, progenie di Christopher Bradley, discendente di sangue di Rayzeel, progenie di Saulot. Questa che segue è la mia storia.Ci sono infinite cose che vorrei dire su di me, e sul mio sire, e sulla mia sfortunata stirpe, ma tutto il commento che vorrei fare a questo racconto è citare queste antiche parole, che dai tempi della Caduta vengono tramandate tra di noi, di sire in progenie, e che, tradotte dai suoni antichi della Prima Città alla lingua del mio padre mortale, suonano così: "Un tempo eravamo perle e diamanti ai nostri principi. Un tempo conducevamo noi le schiere contro i servitori dell'Infernale, E posavamo le nostre mani sui più grandiosi dei figli di Caino. Un tempo avevamo il nostro posto. Ora non più. Ora siamo i Cacciati, i Traditi, i Disprezzati. Queste sono le nostre Notti Finali. Ascolta la nostra storia, e sappi che un giorno potrebbe essere la tua." Io, Luca Dellacroce, nacqui nasce da una povera famiglia di pescatori, in un piccolo villaggio della costa adriatica chiamato Cesenatico, il 2 febbraio dell'anno 1894.Mio padre, Stefano, e mia madre, Giulia, vivevano come si poteva vivere a quei tempi. Gente onesta per quanto si potesse esserlo, e capace di tutto l'amore possibile per il loro unico figlio. Unico, già. Tutti i miei altri tre fratelli e sorelle morirono alla nascita, o in tenerissima età.Ricevetti quel poco d'istruzione dato dai primi anni di scuola. Mio padre in particolare mi diceva spesso, ricordo ancora: "Sei il mio solo figlio, Luca, e per te voglio un futuro diverso dalla mia miseria, un futuro da uomo importante!" E così, con il poco denaro risparmiato in anni di duro lavoro, mio padre mi mandò a Bologna, sperando di fare di me un medico.Io ero elettrizzato: sarei diventato un medico! Una persona importante! Avrei guadagnato per conto mio, ed avrei potuto aiutare i miei genitori! Sapevo che gli studi sarebbero stati duri, ma contavo di farcela!La grande città fu una vista stupefacente, per quel ragazzino nato e cresciuto in un piccolo villaggio di pescatori. Venni ospitato da certi zii alla lontana, di cui non ricordo nemmeno i collegamenti di parentela con i miei genitori. Non venni trattato bene da loro, e mi guardavano spesso con sospetto ed un malcelato disprezzo. Per loro ero solo un piccolo miserabile. La corrispondenza con casa mia fu per un pò il mio solo sollievo. A Bologna, con il proseguire degli studi, mi feci alcuni amici. Non era gente che amassi, ma erano le sole persone con cui potessi parlare con familiarità. Penso di non avere avuto una giovinezza felice, se così si può dire. Ero solo.Con gli anni '10, venti di guerra iniziarono a spirare all'orizzonte. La guerra di Libia aveva suscitato vive discussioni all'interno dell'università, e l'inizio della Grande Guerra infiammò gli animi; tutti si spaccarono tra interventisti e non interventisti. Mi schierai tra questi ultimi con poche esitazioni, ma la disputa che si protrasse per tutto l'anno 1914 venne rapidamente oscurata dalle sempre più tristi lettere da casa: mia madre si V era ammalata gravemente.Non ci fu nulla da fare. Tornai alla mia città natale, appena in tempo per vederla prima che chiudesse per l'ultima volta gli occhi.Credo di aver pianto per tre giorni, prima che mio padre riuscisse a convincermi a tornare a Bologna. Mi disse che non dovevo piangere, perchè mia madre era stata chiamata in cielo da Dio per raggiungere un luogo migliore. Fino ad allora la religione era stata per me soprattutto una questione di formalità, ma quelle parole mi fecero riflettere. Credo che fu la prima volta che mi chiesi veramente cosa volevo farne della mia vita.Finora la mia carriera professionale era stato un modo per farmi un nome, per fuggire dalla miseria. Ma allora capii, o almeno credetti. La mia doveva essere una missione, forse. Forse Dio voleva davvero che diventassi un medico, per curare e guarire le persone, perchè non ci fossero più figli che dovessero piangere giovani la morte delle loro madri come era accaduto a me. Perchè nessuno dovesse piangere la morte di un suo caro, o soffrire per il suo proprio male.Allo scoppio della guerra, nel 1915, non avevo ancora completato i miei studi, quando partii volontario come assistente medico, al seguito di un battaglione di fanteria. I primissimi giorni del 1916 segnarono la fine di quel poco di addestramento che mi era stato dato, e lasciai tutto quello che finora era stata la mia vita alle mie spalle, per partire per il fronte.Fui medico militare per tutto l'anno 1916. Dottore negli ospedali, infermiere, chirurgo di prima linea, medico di trincea, guidatore di autoambulanze, portaordini, ed, all'occorrenza, soldato. L'occorrenza ci fu, e prima che finisse la primavera avevo ucciso per la prima volta.Fu un anno terribile. Il sapore del sangue e della polvere da sparo era ovunque, mescolato a quello della terra e del fango. Ogni cosa mangiassi o bevessi, ogni odore che annusavo era sempre uguale, portava il marchio della stessa sostanza, di guerra e di morte. Ma io cercavo di non pensarci, e continuavo il mio lavoro. Tagliavo e ricucivo, estraevo ed amputavo, fasciavo e bendavo. Bisogna aver fatto una guerra per vedere in quanti modi diversi può essere ferita una persona, perchè nessun racconto o nessun documento può farlo capire. L'anno 1916 fu la porta dell'inferno in cui io stesso avevo deciso di entrare.Solo una persona mi era di conforto in quell'inferno fiammeggiante... Rosa.Rosa Gabrieli era la figlia di un qualche ufficiale che conoscevo appena di nome, ed era una "crocerossina", come venivano chiamate... un'infermiera della croce rossa, un'assistente sanitaria. Se fosse il caso o il destino ad averci spinti vicini non lo so. Una guerra è un turbine di uomini, di mezzi e di forze tanto grande che una singola persona ci si può perdere come in una tempesta di neve, ma tuttavia, quale che fosse il mio assegnamento, lei prima o poi mi seguiva. Non seppi mai se fosse lei a far leva su suo padre, uomo abbastanza influente nella gerarchia militare, o se fossero tutte mere coincidenze.La mia vita non è un romanzo. Non ci furono eventi epici o fatti sconvolgenti, oltre la tranquilla banalità di morte e distruzione che quotidianamente imperversava. Semplicemente, a nessuno è dato di sopportare da solo tutto il terribile peso di una guerra tanto grande.Così, il febbraio del 1917, ci fu la nostra promessa di fidanzamento.Era vero amore il nostro? O era solo un disperato bisogno di affetto, immersi in un lago di sangue come eravamo? Impossibile rispondere, impossibile distinguere.L'amavo io? Sì, questo è certo. Era tutto quello che avevo. Il mio unico sogno, che mi spingeva avanti, che mi dava una ragione per sopravvivere fino alla fine della guerra, era il desiderio e la speranza di passare il resto della mia vita con lei, in un mondo finalmente in pace.Intanto io continuavo ad operare, a lottare disperatamente per salvare vite, e ad essere testimone del secondo più grande massacro della storia umana.Intanto il tempo passava e la guerra continuava.Era una sera di settembre del 1917, quando fummo sorpresi in una trincea nella nostra seconda linea da un improvviso attacco d'artiglieria. Le esplosioni risuonavano e squassavano la terra, lanciandola verso il cielo e scavando crateri ovunque. Alcuni colpi centrarono le nostre linee, anche vicino a noi. Braccia e gambe, teste e schizzi di sangue, corpi VI falciati e mutilati nei più perversamente fantasiosi dei modi volavano davanti a noi, ed ogni colpo premeva nelle nostre menti sconvolte sempre più la certezza che i prossimi saremmo stati noi. Era troppo per la povera Rosa. Panico da bombardamento, lo chiamano. Il terrore di essere sepolti vivi. Il desiderio disperato di uscire fuori, fuori dalle trincee, fuori dalla terra, fuori, verso il cielo... Nessuno fece in tempo a reagire. Proprio mentre lei stava per fuggire, una granata esplose vicinissima a noi, e lo spostamento d'aria ci scaraventò tutti contro le pareti della trincea. Rosa fece un volo di cinque metri, lasciandosi dietro una scia di sangue, e cadde ai miei piedi, il ventre rosso.Il mio cuore batteva tanto forte che lo sentivo come se volesse saltarmi fuori dal petto, e sfondarmi le orecchie dall'interno. Non ricordo bene quei momenti, credo di aver gridato e sbraitato, fino ad estrarre la mia rivoltella d'ordinanza e sparare a casaccio, minacciando i miei compagni di trincea finchè non l'ebbero sollevata, portata all'improvvisata postazione medica ed issata sul tavolo operatorio.Una scheggia le aveva aperto il ventre, e l'intestino minacciava di traboccare. Rimasi come idiota a fissare quella massa nodosa, prima di capire che era la mia adorata Rosa.La operai. Mandai a prendere ago e filo, bende, anche anestetico, quello che normalmente era riservato ai soli ufficiali di grado elevato. Credo di aver anche sparato all'uomo che me l'aveva fatto notare, mancandolo appena... Forse per sbaglio.Morì, quella notte di settembre. E quella notte maledetta morirono i miei sogni, le mie speranze per il futuro, i miei desideri di pace... le mie ragioni di vita.Non riuscii neanche a piangere.Il giorno seguente, mi presentai al furiere e chiesi un fucile di precisione. Soldati e sottufficiali mi guardarono con curiosità e sospetto, quando raggiunsi la prima linea. Là mi appostai ed attraverso il mirino telescopico fissai le linee nemiche. Attesi, ed appena la croce davanti ai miei occhi si sovrappose ad un elmo, vi feci fuoco contro.Nei mesi seguenti, uccisi almeno cinquanta persone.Ho ucciso persone a sangue freddo, persone il cui unico crimine era portare un'uniforme di colore diverso da quella che indossavo io, ed un elmo di forma diversa.In guerra, l'unico appiglio della mente sana è sempre lo stesso: "Non avevo scelta, era me o loro." Io vi avevo rinunciato. Uccidevo, ed ogni volta che vedevo cadere un uomo pensavo a Rosa, alla Rosa che amavo e che ho perduto. Che senso aveva il mondo senza Rosa?Il mondo era in fiamme, ed io desideravo che bruciasse fino a che non ne fosse rimasto più nulla, perchè un mondo senza di lei non meritava di esistere. Ed attizzavo quel fuoco con tutte le mie forze.Rimasi indifferente alla notizia della morte di mio padre in un naufragio, così come ero indifferente alla morte che mi era intorno. I miei stessi commilitoni mi odiavano, odiavano il "medico pazzo" o il "medico assassino", come mi chiamavano. La mia freddezza e lucida follia erano tali che stavo perdendo ogni contatto con la realtà. Uccidevo ed uccidevo ed uccidevo ed uccidevo senza altro scopo se non quello di sfogare il mio odio per il mondo, per un mondo che senza Rosa non aveva più ragione di esistere. Ogni volta che guardavo una persona la vedevo come attraverso il mirino del mio fucile, o lungo la canna della mia rivoltella, e fissavo tutti quelli che mi erano intorno con gli occhi dell'assassino.Avevo perso ogni cognizione di spazio e di tempo, di causa e di effetto. Per me il giorno era scandito solo dal rumore dei miei spari. Precipitavo sempre più nella follia assoluta.Ma un giorno, marciando per raggiungere una nuova prima linea a cui eravamo avanzati, vidi riverso a terra un corpo, un corpo dai capelli lunghi e neri, neri come quelli di Rosa...Lo voltai. Era una giovane donna, poco più che una ragazzina, priva di sensi e sporca di sangue, con uno squarcio sul ventre... la stessa ferita di cui era morta Rosa. Stavo per alzarmi ed allontanarmi, quando lei si mosse un poco, gemendo dal dolore.Il mio primo pensiero fu di piantarle una pallottola in testa e lasciarla morire in pace. Estrassi dalla fondina la mia rivoltella d'ordinanza e gliela puntai contro...E guardandola, vedevo all'altra estremità della mia arma Rosa. Vedevo una persona innocente, un'innocente... come tutti quelli che avevo ucciso... VII La sollevai, e mi diressi verso l'ospedale da campo.Gli altri medici e gli infermieri mi evitarono, lanciandomi occhiate di disprezzo. Ma sapevo di meritarmele. Dovetti fare tutto da solo.Ma la salvai, grazie a Dio.Passai quella notte in ospedale, a vegliarla. E quella notte entrò nell'ospedale un uomo che non avevo mai visto, l'uomo che avrebbe cambiato la mia vita.Era all'incirca un trentenne, alto di statura e di costituzione robusta, con corti capelli biondo scuro ed un camice da medico portato sopra un'uniforme militare. Non faceva parte del nostro battaglione, anche se dalla sua uniforme e dal suo portamento sembrava avere un grado elevato. Quell'uomo mi ignorò completamente, dirigendosi verso la giovane donna che avevo operato. Questa, con mio grande stupore, si risvegliò, alzandosi come se nulla fosse, non appena lui l'ebbe toccata.La fanciulla gli si gettò al collo, iniziando a gridare qualcosa per la felicità, ma lui la zittì, fissandomi. Si avvicinò a me, e mi chiese se fossi stato io a salvarla.Gli risposi di sì, e gli chiesi chi fosse lui di rimando. Lui si allontanò senza rispondere alla mia domanda, ma ringraziandomi per avere salvato "la sua cara Katia"...Io rimasi abbastanza stupito ed interdetto, e quando mi scossi da quello strano torpore lui se n'era già andato, portandosela dietro.Il giorno seguente feci delle domande su di lui, ma, di certo complice il feroce disprezzo dei soldati nei miei confronti, non ottenni risposta.Passò una settimana, ed io avevo lasciato il fucile per il camice, o almeno era quello che desideravo fare. Ma all'ospedale ero trattato ancora peggio che in trincea, e così non potei far altro che rimanere nella seconda linea, a prestare assistenza medica.Ma ogni volta che un ferito passava sul mio tavolo, guardandolo in volto vedevo sempre il volto di un uomo che avevo ucciso. Non riuscivo più a vivere nè ad operare, la mano mi tremava e gli occhi si riempivano di lacrime ogni volta.Una settimana dopo, per ironia della sorte il giorno del mio ventesimo compleanno, il 2 febbraio del 1918, le nostre linee vennero sfondate da un contrattacco austriaco. Mi venne rimesso in mano il fucile, ma proprio allora che dovevo lottare per salvarmi anzichè uccidere a sangue freddo, non riuscivo a sparare dritto.La nostra seconda linea venne presa e i nostri uomini massacrati. Nel feroce scontro a fuoco una pallottola vagante mi colpì alla schiena.Sentìì un sonoro scricchiolìo, e come se all'improvviso avessi perso le gambe, crollai a terra, nel fango della trincea. In quel momento sapevo che mi si era spezzata la colonna vertebrale. Persi i sensi, più per la disperazione che per lo shock.Mi risvegliai sdraiato in un lettino da ospedale, in una stanza semibuia. Davanti a me c'era l'uomo che avevo visto la settimana scorsa, ed al suo fianco la giovane che avevo operato.Quando vide che mi ero ripreso, la fece uscire dalla stanza con un gesto ed una parola in tedesco, e poi mi si rivolse in italiano, in un discorso che non potrò mai dimenticare."Ben risvegliato, Luca." Sorrise dicendomi."Come sa il mio nome?" Chiesi. Ma la mia domanda cadde nel nulla."So che sei un medico. Che hai salvato la mia cara Katia. E so anche che hai ucciso molti soldati da questa parte del fronte." Avvicinò il suo volto al mio. "Perchè lo hai fatto?" Mi chiese, senza ombra di disprezzo o di rancore.Io sospirai. Per qualche motivo, mi fidavo di lui. "Vi racconterò la storia." gli dissi. E lo feci, gli raccontai la storia di me e di Rosa, e di quanto la sua morte mi avesse fatto soffrire.Lui mi guardò profondamente, con occhi tristi, e mi chiese: "Io posso alleviare il tuo dolore. Posso guarirti, ma prima voglio sapere cosa farai.""Sono prigioniero?" Chiesi, sentendomi molto stupido."Potrai fare quello che vorrai. Tornare alle tue linee, come soldato o come medico. O tornare a casa tua, lontano da questa guerra. Pensaci, Luca. Se tu potessi scegliere, cosa faresti della tua vita?""Io... io tornerei ad essere un medico." Dissi."E perchè?" "Ho visto troppa gente morire... sotto i miei ferri, o all'altra estremità del mio fucile... sotto i bombardamenti, ai muri delle fucilazioni...""Vorresti un mondo migliore?""...Chi non lo vorrebbe?" "Meno persone di quanto tu pensi." Si sedette sul bordo del mio lettino, guardandomi sempre in volto. "Cosa saresti disposto a sacrificare per il bene degli altri? Tempo? Fatica? Denaro? Amore? VIII Sogni? Speranze? O addirittura la tua vita?"Chiusi gli occhi. In un secondo mi passarono davanti agli occhi i volti di tutti coloro che avevo visto morire. Per un secondo mi sentii sporco di troppo sangue, immerso nel nero sangue fino al midollo. Mi passò davanti il volto di Rosa. "La mia vita non ha più un senso, dopo tutto quello che ho passato. Forse la vita non ha mai un senso." Guardai dritto davanti a me, perdendo il mio sguardo su un muro grigio. "Tu avevi un sogno di felicità, prima che morisse Rosa." Mi disse lui. "Ora io ti chiedo questo. Saresti disposto a rinunciare per sempre a tutto, fino al giorno del giudizio, se questo ti permettesse di aiutare gli altri? Di aiutarli veramente?"Lo fissai profondamente. "Saresti disposto a sacrificarti per rendere il mondo un posto anche solo un poco migliore? Solo una candela nella notte?" Mi chiese."Mi sta dicendo..."Annuì. "Il potere di salvare le vite degli altri, al prezzo della perdita della propria."Tornai a fissare dritto davanti a me. "La mia vita non vale più niente.""Al contrario. E' la cosa più preziosa del mondo. E' proprio per quello che è il più grande dei sacrifici" Sussurrò lui. In quel momento, lo vidi chiaramente, un terzo occhio si aprì sulla sua fronte, ed iniziò a brillare di una luce pallida.Mi sentii come risucchiato da quella luce, e ne venni avvolto...Quando mi risvegliai mi sentii molto più leggero, come se quella luce avesse reciso il peso dei quattro anni di sangue e di morte che mi trascinavo dietro..Sentivo le mie gambe. La mia ferita era miracolosamente guarita. Potevo camminare! Non riuscivo a crederci.Mentre scendevo dal lettino, dalle ombre della stanza uscì il mio guaritore. Aveva realmente un terzo occhio aperto, sulla sua fronte. Io lo guardavo con timore."Questo è quello di cui ti parlavo." Mi disse. "Il potere di salvare la vita degli altri, al prezzo della propria." Tese la mano verso di me, ed io, trafitto dalle sue parole, gli afferrai il polso, per cercare di sentirne il battito.Mi allontanai da lui, camminando lentamente all'indietro. Quell'uomo non aveva pulsazioni."Io sono Sven Karendil." Iniziò. "E sono uno di coloro che sono stati Abbandonati da Dio. Sono morto, ma cammino ancora su questa terra, sperando con le mie azioni di migliorare il mondo."E dicendo questo tirò fuori dalla tasca del suo camice una vecchia Bibbia in lingua inglese, con tre strisce di carta colorata poste come segnalibri: una rossa, verso l'inizio. Una verde, oltre la metà. Una nera, alla fine. E mi raccontò l'antica storia, aprendola al primo segnalibro: di come Caino sacrificò Abele per amore verso Dio, e di come Dio lo maledì. Di come dio gli inviò uno, due, tre angeli per chiedergli di pentirsi e di come lui per una, due, tre volte rifiutò... e di come Dio mandò comunque un quarto angelo come messaggero di pietà: anche se lui per tre volte aveva rifiutato di pentirsi, la strada della salvezza sarebbe stata sempre aperta per lui e per la sua stirpe.Ascoltai affascinato tutta la storia, e non potei fare a meno di chiedere a Sven: "Dunque la Dannazione non è assoluta."Sven rispose triste: "Noi chiamiamo questa salvezza Golconda. Ma non può essere raggiunta se non a prezzo di infinite sofferenze e sacrifici." Poi alzò lo sguardo e disse: "Pensaci, Luca. Ti sto offrendo una vita dove berrai solo sangue e mangerai solo cenere, dove non ti verrà dato amore, dove vivrai nell'ombra, dove verrai cacciato ed odiato e temuto e disprezzato da tutti, e dove tuttavia avrai la missione di aiutare queste persone, di curarne il corpo e la mente, lo spirito e l'anima. E potrai fuggire da questa vita solo attraverso la cruna di un'ago."Così, Sven mi lasciò solo, con la sua Bibbia, per un'ora. Io la presi e controllai gli altri due segnalibri. Quello verde segnava il discorso della montagna: "Benedetti i puri di cuore, perchè vedranno Dio." Quello nero era l'Apocalisse. "Io sono colui che vive, ed era morto. E, guardami, sarò vivo per sempre."La posai sul mio letto. Sapevo che potevo trovarvi conforto, ma non contavo di trovarvi risposte. Avevo una scelta da fare, e dovevo farla da solo.Pensai a Rosa. A come era morta. A come avevo sofferto.Pensai a tutti i morti che avevo visto.Sven tornò un'ora dopo, con la giovane Katia, che, come venni da lui a sapere in seguito, era una discendente della sua famiglia mortale, e mi chiese se ero sicuro della mia scelta. IX Gli risposi di sì.Così venni Abbracciato. Sven si prese il mio sangue, e la mia vista si annerì. Ebbi come l'impressione di volare verso una lontana luce immersa nell'oscurità. Era bellissimo. Poi sentii il freddo sangue scendermi per la gola, e la luce fuggì, assieme alla sensazione di felicità eterna che l'accompagnava. Era come se il dono dell'immortalità, pesante nel mio stomaco, mi trascinasse verso il basso. Mi ritrovai attaccato ferocemente a Katia, con i denti profondamente piantati nel suo collo.Era ancora viva, Sven mi aveva dato abbastanza sangue da rendere meno violenta la mia Sete. Ma fu terribile per me.Così, il 2 febbraio 1918, all'età di 20 anni, sparii discretamente dal mondo mortale assieme al mio Sire, ed iniziai la mia istruzione. Ne avevo bisogno, disse, perchè la nostra razza era cacciata e calunniata anche dai nostri stessi simili, e dovevo affinare le mie capacità e sapere come muovermi. Non dovetti aspettare a lungo per comprendere appieno cosa intendesse dire.Mi lasciò la Bibbia. Un dono del suo Sire, diceva, che era giusto passasse a me.Insieme, io e Sven curammo le ferite del corpo e dell'anima che la Grande Guerra aveva scavato negli uomini, ma quello che potevamo fare era sempre troppo poco, anche se certo più di quanto qualunque umano potesse mai sperare di ottenere contando sulle sue sole forze. Il tempo passò, la mia istruzione terminò, e giunse la Seconda Guerra Mondiale. Cosa potevamo fare, noi, di fronte a tanta follia? Nei ghetti e nei lager della Polonia occupata, nei rifugi antierei durante il Blitz di Londra, sulle rive del fiume di sangue che bagnava Stalingrado, negli ospedali da campo in Italia ed in Francia, nelle città tedesche bombardate ed incendiate, dovunque bevevamo dai morti per avere la forza di salvare i moribondi, sfidando ogni volta la sorte. Ma la sorte esige tributi, e noi li dovemmo pagare. Durante l'assalto russo a Berlino, nel 1945, Katia restò intrappolata in un edificio in fiamme sotto un bombardamento, che era stato il nostro rifugio per quei giorni, e non potemmo fare altro che osservare la sua fine, impotenti come non mai. Quella notte, Sven mi chiese di diablerizzarlo. Io mi rifiutai, e ne seguì una lite feroce, dopo della quale ci separammo.Venni a sapere, tre anni dopo la fine della guerra, da un Nosferatu che affermava di essere stato un suo conoscente, tal Sairenz, che era stato catturato da alcuni Tremere, o forse membri dell'Anticlan, in un luogo segreto vicino alla città di Rimini. Tornai là, animato dal folle progetto di salvarlo, solo per scoprire di essere stato condotto in una trappola: Con uno dei loro rituali, i Tremere avevano scoperto l'esistenza di una sua progenie e poi avevano deciso di attirarmi per avere anche me. Fui catturato, e dovetti assistere allo spettacolo più cruento e malefico della mia vita: Stavano dissezionando il mio sire per esaminare il suo terzo occhio!Fui colto da un impeto di rabbia assoluta: gli Usurpatori ostentano un così gran daffare per mettere in guardia tutti i cainiti contro i "Succhia-Anime", e poi in segreto studiano i nostri poteri nella speranza di aggiungere un'altra arma al loro arsenale! Bruciando quasi tutto il mio sangue, mi liberai e, nella frenesia più totale, persi il controllo di me stesso. Evidentemente, fuggii dalla loro cappella, sfasciando ogni cosa sulla mia strada. Stremato e senza più Vitae per sostenermi, raggiunsi il mio rifugio improvvisato nella città e lì crollai, in stato di torpore. Di quel lungo sonno ricordo solo un sogno... un sogno in cui vedevo la mia mai dimenticata Rosa, bella e splendente come non l'avevo mai vista...Quando mi risvegliai, mi trovai davvero davanti Rosa. Pensai che fosse giunto il Giorno del Giudizio... credetti di essermi riunito con la mia promessa, finalmente.Ma avevo della plastica in bocca, da cui colava sangue, e la quindicenne terrorizzata che mi era davanti era straordinariamente simile a Rosa tanto da poter essere la sua gemella, pur se più giovane.Vedendomi risvegliato dal mio sonno apparentemente mortale, tentò di fuggire appena accennai ad alzarmi, ma nella foga inciampò e cadde.Sempre più terrorizzata, strisciò lontana da me, fino a che non riuscii a tranquillizzarla. Le chiesi quindi chi fosse.Lei disse di chiamarsi Amelia... Amelia Gabrieli, lo stesso cognome che portava Rosa.Appresi così di essere X in una casa disabitata della mia vecchia città, Cesenatico. Non seppe trovare giustificazioni riguardo alla mia presenza lì, affermando di essere solo sgattaiolata nella casa lasciata aperta, incuriosita. Non potei fare a meno di pensare al mio sire, Sven. Solo lui poteva avermi portato lì. Forse si era liberato anche lui approfittando della confusione che la mia frenesia aveva causato. Ma perchè non mi aveva risvegliato lui? Dov'era ora? E quanto tempo era passato? Amelia rispose a questa domanda: avevo perso cinquanta anni, ed eravano nel 1998. Disse di avermi trovato rinsecchito, come morto, sdraiato su quel letto dove dovevo aver passato tanto tempo, e che davo qualche segno di vita solo quando lei si avvicinava a me. Nel mio sonno senza sogni sussurravo: "Rosa... Sangue..."Possibile che persino nel torpore riuscissi a scambiarla per Rosa, ed ad avere la forza di pregarla di riportarmi in vita?Lei si era procurata delle sacche di sangue, venni poi a sapere, in ospedale, dove sua madre lavorava come impiegata.Percezione sovrannaturale? Bravata da ragazzini? Cosa la spinse a dare ascolto ai miei mormorii? Lei stessa negli anni a venire non riuscì a rispondermi del tutto.Fu lei a raccontarmi la sua storia, di sua volontà. I suoi genitori avevano divorziato, e suo padre era morto poco dopo. Sua madre si era trasferita, e non aveva amici qui a Cesenatico.In lei vidi Rosa. Le era tanto simile nella persona e nei modi di fare, anche nell'anima, nel carattere e nell'intima natura, che non riesco tuttora a non pensare, per quanto stupido io possa sembrare dicendo questo, che vi sia qualcosa di sovrannaturale nella loro incredibile somiglianza.Così, lei venne a sapere, lentamente, da me, di quanto quello che credeva di conoscere sulla vita e sulla morte fosse sbagliato. La istruii nella conoscenza e nei segreti dei Cainiti, ed in cambio lei mi aggiornò sulle innovazioni del mondo moderno.Ora ci conosciamo da quattro anni, ma posso dire di amarla quanto ho amato Rosa, sia pure in maniera diversa. Allora, avevo bisogno di amare per non impazzire. Ora, è qualcun altro ad avere bisogno del mio amore. Ma stando con me mette sè stessa in pericolo, questo glielo chiarii dopo averle raccontato tutto dei Fratelli, quando raggiunse i diciotto anni. Lei non aveva intenzione di lasciarmi, tuttavia, ed io non avrei mai avuto il cuore di abbandonarla. Così, vivemmo insieme fino al giorno d'oggi. E questa breve scintilla di tempo, nulla, lo so, in confronto all'eternità oscura che mi aspetta nel futuro, mi ha regalato la cosa che posso considerare più vicino alla vera felicità.Tuttavia, non volli mai raccontarle la storia della mia vita. Non vado orgoglioso del mio passato. Troppe morti gravano sulla mia coscienza, e la mia anima e pesante di rimorso.Ora vivo per espiare, cercando di rendere felici le persone che incontro sulla mia strada. Accetto la mia maledizione, perchè mi concede il più grande potere di tutti; quello di donare la felicità agli infelici... e tuttavia sogno che la promessa dell'arcangelo Gabriele, la Golconda, mi aspetti, da qualche parte, nel mio futuro.Ho ancora con me la Bibbia che fu del mio sire e del sire del mio sire. Non seguo un senso di dovere religioso, nè ipocritamente in una ricompensa improbabile oltre questa vita, ma tuttavia il Libro mi dà a volte sollievo nei momenti più tristi della mia buia esistenza.E' da qualche tempo che progetto di muovermi, di girare l'Italia e se necessario l'intera Europa per indagare sul destino del mio Sire e degli Usurpatori che ci catturarono. La mia vecchia rivoltella d'ordinanza è arrugginita, ma la mia mira è ancora abbastanza buona, spero, per qualunque Tremere possa sbarrarmi la strada.Partirò presto, dunque, e lascio dietro di me questo documento. Penso che la mia amata Amelia sarà la prima a leggerlo. Stammi bene, Amelia. Luca Dellacroce, progenie di Sven Karendil, progenie di Christopher Ridley. Clan Salubri. XI Danahel Un tempo Prima dell’abbraccio cacciavo quelli che ora sono i miei simili cercavo e sterminavo coloro che erano troppo meschini e inumani Aiutato da due altri come me Che per colpa mia vennero uccisi Mentre cercavamo una nostra preda. Durante quella caccia Noi tre venimmo attaccati da lui E dai suoi seguaci E da un altro vampiro. I miei compagni vennero uccisi E io gravemente ferito. Mi salvai solo grazie a uno di loro due Non mi ricordo quale Che mi diede aiuto e mi protesse. Furono inoltre morti inutili, Infatti il vampiro che cercavamo Non era uno di quelli che solitamente cacciavamo. Era anzi quasi come noi, Piu` umano di alcuni umani, E per questo vedendomi morire Per una ferita al volto Mi condusse nella via della notte Perche` continuassi la mia battaglia. Di quegli istanti ho solo il vuoto, Il terribile e senziente nulla Della morte cosciente in noi E poi l’immagine dei corpi dei miei amici E di alcuni ghoul del vampiro E il suo stesso corpo immobile In quelle stesse fogne dove io ero morto e rinato. Non sapevo chi fossi diventato, Non avevo la guida di chi mi ha abbracciato, Fatto cadere in torpore Forse dalle ferite che noi stessi gli abbiamo inflitto Forse per altre cause da me sconosciute. E cosi` io, da solo e assetato, Con sensazioni mai provate nel mio petto Che gridavano all’odore del sangue Scappai da quel luogo E corsi senza meta Con la mente avvolta nel dolore del bisogno Fino a quando arrivo` sera, Perche` quando abbiamo attaccato non era sera, Noi sapevamo della debolezza dei vampiri di giorno E noi sapevamo dove trovarli grazie a un informatore Che questa volta ci ha traditi. Di notte uscii nella citta`, Alla ricerca di nutrimento per il mio nuovo corpo Che trovai in alcuni individui solitari Che mi costrinsi a mordere Perche` io sapevo come si nutrivano i vampiri E sapevo che prosciugare un umano Equivaleva portarlo alla morte E staccarmi dal loro collo all’inizio fu terribile, Solo con un grande sforzo vi riuscii, Poi man mano che mi nutrivo trovavo piu` facile controllarmi. Passai la mia Prima Notte cosi`, Vulnerabile a tutto, Debole della mia nuova e rinnovata forza, Che pero` non conoscevo E non sapevo sfruttare. Trovai riparo nello stesso luogo dove fui abbracciato In mezzo ai corpi dei ghoul e dei due miei amici. Non so come mai tornai proprio in quel luogo, Forse per il senso di colpa che provavo Per i miei due compagni E per il vampiro che non era cio` che io chiamavo SucchiaSangue Che pero` non trovai piu` in quel luogo, Gia` si era ridestato, O gia` era stato definitivamente eliminato. Durante il mio primo sonno ebbi degli incubi Terribili terribili incubi, Nei quali ho rivisto la morte dei miei amici Nei quali sentivo le loro vive voci Nei quali loro mi parlavano Uno concedendomi il perdono, Perche` il contatto era mio, Ed ero io che li guidavo, Ed uno maledicendomi Giurando di perseguitarmi. E quando mi risvegliai non fu un risveglio completo, Io sentivo ancora le loro voci, Continuavano a parlarmi, E allora io presi i loro ciondoli, Simbolo della nostra unione, E li misi al collo per portare con me il loro ricordo, Ma le voci continuavano a sussurrare Continuavano a chiamare, Finche` non ricordai che uno dei due in vita Era riuscito a parlare con alcuni spiriti E allora iniziai ad ascoltare E capii che loro erano morti ma non andati Erano ancora con me, In quello che era stato il mio incubo, Uno dandomi la grazia e l’altro maledicendomi. Nel momento dell’abbraccio infatti mi sono trovato a meta`, Tra il regno dei vivi e quello dei morti, E da quel momento posso parlare agli spiriti E posso sentire cosa mi dicono, E posso Vedere in rari casi l’immediato futuro Come mi successe in sogno quella notte. Da allora mi seguono Uno aiutandomi L’altro invece perseguitandomi. Ed e` dal mio compagno che appresi quello che ora so Su quello che sono e quello che posso fare Perche` era lui che studiava l’occulto E lo studiava molto piu` di me E riusciva sempre a sorprendermi. Elkantar XII Fino a Verona Il centro storico di Verona era patrimonio culturale dell'umanità, stando ai cartelli che la cittadina aveva esposto in piazza dell'arena con orgoglio. Forse questo perchè il centro storico della città era intatto e e passeggiando in esso era come viaggiare nel medioevo o nel rinascimento. L'idea che alcuni si erano fatti era che i veronesi ci tenessero molto a lasciare le cose della loro città come se fossero addietro di secoli. Pochi si erano chiesti se magari questo non fosse avvenuto per voluto di molti ma per decisione di qualcuno .... Un bel palazzo in stile seicentesco era occupato dall'anonima fondazione per le malattie mentali "M. Al Fuyd" e pochi dentro si sarebbero resi conto che in realtà era una fortezza blindata e guardata da multeplici guardie armate, sorvegliata a vista da un'ìmpressionante numero di telecamere. Era quella da trecento anni la sede della dinastia dei principi Malkavian di Verona. Dietro un vetro antiproiettile, un signore in doppio petto dallo strano sguardo guardava la strada, mentre una macchina di lusso veniva fatta entrare nella fortezza. Il principe Pierluigi Capuleti ghignò nel veder scendere dalla macchina il primogenito Ventrue, Antonio Montecchi, circondato dai suoi ghoul. Aspettò che l'anziano giungesse nel suo studio e venisse impressionato dal caos che vi regnava, dai libri strappati e dei tappeti appesi coi chiodi sulle pareti. Povero sangue blu, pensò il lunatico, così preso dalla finanza che non riesce nemmeno a vedere le infinite strade che portano a Nod. Mentre il Capuleti si sedeva evidentemente non a proprio agio, un ghoul del principe annuniò l'arrivo per via non ortodossa di Dedalus, il primogenito Nosferatu. La figura appariva come un'uomo di mezz'età abbigliato normalmente ma l'Auspex del principe era abbastanza alto (frutto della diableriè su un Toreador Anticlan sabbatico) da infrangere la Maschera dei Mille Volti dell'altro e lo vide nei vestiti logori e sporchi di liquami e con il viso rovinato e butterato. Era il caso di biascicare a denti stretti una frase enigmatica che faceva rabbrividire gli altri vampiri "Eppure eravate così vicini, voi Nosferatu ....." Un rumore di moto Harley annunciò dal basso l'arrivo di una piccola gang di bikers che saluto all'esterno del palazzo il loro capo : un'omaccione grosso, peloso e tatuato che venne fatto entrare subito. Il primogenito Gangrel era arrivato. A ruota un gruppo di militanti di estrema destra con le celtiche tatuate sui giubotti camminava con aria spavalda in direzione del palazzo e dal loro gruppo sgusciò fuori un ragazzo sui vent'anni che fatincò un pò a lasciarsi riconoscere ed a entrare. Eh si, pensò il principe, essere abbracciati in giovane età è veramente un guaio anche per i primogeniti Brujah. I Toreador non avevano più un rappresentate influente da quando il loro anziano non aveva avuto quell'alterco coi i Seguaci di Seth ed il principe li aveva estromessi dal consiglio fino a quando "Non avrete un rappresentante decente che conti qualcosa, la prossima ancilletta la butto nell'Adige". Una volta che tutto furono riuniti il Malkavian inserì il disturbatore di frequenze (O, pensò, ma quelle vere di frequenze non le può nascondere) e diede inziò alla riunione del consiglio dei primogeniti della Camarilla di Verona. Passò circa venti minuti a parlare del più e del meno, fino a quando il primogenito Ventrue prese la parola spazientitò. "Sono io che ho a cuore la città" pensò questo in cuor suo, "Io sarò pazzo ma è lui quello che si espone con l'argomento scottante" pemsò il Malkavian. "Signor principe, sappiamo tutto che per la città il problema più immediato è un'altro. E' vero che il Sabbat ha preso Aversa in provincia di Napoli ?" Sul consiglio cadde il silenzio, da quando Giangaleazzo Visconti aveva XIII fatto ietro front, si era dichiarato Lasombra Anticlan ed aveva fatto passare Milano sotto ammistrazione congiunta Camarilla-Giovanni, sembrava che Verona potesse trovare un pò di pace. "Mmmhhhh" disse il principe "A domanda esplicita risposta esplicita .... si, abbiamo perso ogni contatto col feudo di Aversa e l'ipotesi più plausibile è che la città ora sia sotto il dominio del Sabbat" Il gelo divenne ancora più intenso, per lunghi attimi non venne detto niente. "Beh" provò a dire ancora il Ventrue "In fondo Aversa è molto lontana e le campagne sono off limits tanto per noi quanto per il Sabbat a causa dei lupini. Quindi dovranno orientarsi di città in città e la più vicina è Napoli" "Non attaccheranno Napoli, è troppo ovvio e là noi siamo semplicemente troppo potenti" disse una figura vestita in gessato e con un mantello nero sulle spalle, era appena entrata, aveva fatto un inchino al principe e si stava mettendo a sedere, guardò torvo il ghoul che gli voleva prendere il bastone da passeggio e sorrise "In un film ho sentito che un semplice bastone in mano ad uno stregone è un'arma terrificante, questo vale anche se lo stregone è un vampiro" "Sono daccordo col primogenito Tremere" disse ancora il Ventrue "che per il Sabbat attaccare Napoli è stupido e troppo ovvio. Ma poco più a nord c'è Roma ed è rinsaputo che i maghi Tzimisce vogliono da sempre mettere le mani sulle biblioteche occulte di Roma" "Con la loro incapacità di mantenere la Masquerade ed il Vaticano in casa il Sabbat non terrebbe Roma neanche un mese" disse senza tante cerimonie il primogenito Brujah. "Si, si, certo" ammise il Ventrue "Ma è ovvio che vogliono riprendersi Milano. Giangaleazzo è un traditore per loro e le risorse milanesi gli servono, inoltre c'è ...." "Vogliono Verona" affermo calmo il principe, il primogenito Nosferatu annuiva grave. Il consiglio si raggelò un'attimo, il Ventrue rimase fermo. "Vogliono Verona, l'hanno sempre voluta, vogliono andare in pellegrinaggio dove è nato Gratiano il Lasombra" Il Tremere sbuffò. "Cosa possiamo fare ?" chiese il Brujah "Abbiamo un vantaggio" disse il principe, aveva confermato il suo vantaggio : il Ventrue, il suo maggior avversario, si era bruciato con la sua stessa retorica "Il Sabbat non usa influenze umane e ghoul, noi si. Bene, la sanità e la polizia di verona sono già allertate, i sabbatici dovranno nutrirsi e quindi strani morti saranno subito notate in tutta la provincia; inoltre le gang di strada dovrebbero sapere qualcosa se i sabbatici si muovono, sono loro a subire le perdite maggiori" il principe indicò i primogeniti Brujah e Gangrel che annuirono seri, rinfocolare l'odio verso chi priva i più sentimentali dei loro amichetti umani gli veniva sempre bene "Inoltre gli occultisti sapranno se gli stregoni Tzimisce tenteranno qualcosa di losco, gli serviranno luoghi per i riti e quant'altro" "La piramide è già al lavoro" disse il primogenito Tremere "Benissimo" disse il principe "il clan Nosferatu sà cosa fare, la raccolta di informazioni tramite lo spy network è prioritaria così come le influenze nella politica del nostro amico sangue blu per mantenere intonsa la Masquerade, e naturalmente ci aspettiamo il massimo appoggio finanziario per le spese" "Naturalemte" disse a denti stretti il Ventrue, consapevole di essere adesso il nemico sconfitto. "Bene, signori sappiamo che attaccheranno ma non sappiamo quando; non ci interessa. Troveranno la rete già tesa e pronta a calare su di loro. Signori è tutto, potete informare i clan se volete". Quando la stanza fu vuota Pierluigi Montecchi chiuse tutte le finestre e si immerse in quell'internet mentale che collega ogni Malkavian del pianeta indipendentemente dalla setta di appartenenza e che risponde al nome di Rete Lunatica Malkava, dopo circa mezz'ora riaprì gli occhi e sussurrò : "Allora è così che sono andate le cose ...." L'attacco fu sistematico e preciso, non lasciò scampo al principe di Aversa. Il Sabbat aveva infiltrato una talpa nell'elysium locale da mesi. La sera dell'attacco una bomba e due camion di vampiri da poche ore lasciati volutamente andare in quel berserk chiamato frenesia fecero il resto. I pack di veri sabbatici lanciarono l'assalto ai rifugi dei vampiri che quella sera non erano in elysium. Nonostante una sparatoria in un bar, una rissa coi in coltelli in piazza ed una seconda bomba in un hotel quattro stelle, la distruzione XIV sistematica della popolazione camarillica della città fece meno chiasso del previsto. I Lasombra ed in misura minore gli Tzimisce cannibalizzarono tutte le influenze che potero ma alla fine si limitarono ai campi indispensabili, politca locale, polizia ed un pò di occulto. L'ira dei sabbatici era stata feroce, distruttiva, eretica. combattevano in frenesia e circondati dal fuoco, contro ongi logica e tradizione del mondo vampirico, logica e tradizioni che la Camarilla difendeva così strenuamente. Non era difficile immaginare perchè quei sabbatici che danzavano nel fuoco delle loro bombe con movenze al tempo stesso sensuali e macabre erano identificati nelle menti dei neonati della Camarilla solo come "satanisti perennemente in frenesia". Le due affermazioni non avrebbero potuto essere più sbagliate. Sul grattacielo più alto della città, una figura vestia di semplici jeans neri e giubotto di pelle sedeva sul parapetto dando l'idea di essere seduto sul tetto della città. Quasi senza dare rumori di sorta, una figura avvolta dalle ombre si avvicinò da lui alle spalle. "Arcivescovo Alehandro" disse la prima figura senza scomporsi nè voltarsi "Suppongo di si ormai, suppongo che arcivescovo sia la carica che ho da stanotte" disse l'altro "Hai conquistato una città e in quanto pack leader del branco vincitore adesso ne sei arcivescovo" disse laconico l'altro "Voi Gangrel, Anticlan o altro, fate tutto semplice cavalier Valek" "Suppongo di si" disse l'altro parafrasando l'altro e sorridendo "Bruciato qualche infernalista ?" disse sarcostico Alehandro "No, in verità no, ho notato un paio dei nostri che usavano strani poteri e indagherò ma non sò ancora" e voi arcivescovo, i vostri preziosi adepti del sentiero d'illuminazione della notte ?" "Mmmmhhhh, alcuni di loro, specie i più giovani, non hanno ancora ben compreso le sottigliezze della nostra morale. Mai uccidere quando lo si può evitare, chi è morto non può provare paura" sorrise Alehandro "Capisco" disse Valek serio e poi si alzò in piedi sul muretto e si trovò eretto di fronte alla città "Dove andate ?" gli chiese Alehandro Valek si voltò e sorrise "Non è ovvio anche questo ? A cacciare" e si gettò nel vuoto a peso morto. Quando il pipistello che era il cavaliere inquisitore Ian Valek era diventato si era ormai allontanato, l'arcivescovo Alehandro Martinez y Gonzales del clan Lasombra sorride e disse "Si, è tempo di cacciare, adesso anche qui ad Aversa si suona la litania di sangue di Città del Messico e MontReal ...." Più tardi, in un sotteraneo, Alehandro, Valek ed un'altra persona incappucciata davanti ad una cartina dell'Italia. Tre pugnali in mano lanciati verso l'altro. Tre pugnali ricadono dal buio. Colpiscono Roma, Milano e Verona. Sibilo. Silenzio. "Allora è deciso" disse l'incappucciato Silenzio. "Si, anche per voi priest Vlazhy sembra essere tutto deciso" "Molto bene" disse Valek "da qui fino a Verona, passando per Milano e Roma, sarà tutta terra bruciata per gli anziani della Camarilla ...." Sangue ed anime per il dio-demone dei Violatori ! Lunga vita al fulgido impero di Argentea ! "Nos Sumus Militia Daemonorum" "Fatece largo che passamo noi sti Violatori de stò campo bello, semo guerrieri fatti cu' spadune e le guerriere famo 'nnamora" "Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se stessi e per gli altri che ovunque passino i Violatori quasi tutto muore e cio che non muore desidera la morte" XV Historia Eldwin … Così comincio col narrare la mia storia, per beneficio di mie future letture ed a vantaggio di chiunque, nei secoli futuri, si vorrà accingere alla lettura di ciò che nel corso di innumerevoli anni il Destino ha per me riservato… [dal Diario] Sono nato nell’anno di Grazia del Signore 1177.Sono nato figlio secondogenito del signore di Lawenburg; mi venne imposto nome Eldhwin VonLandow.Mio padre fu il Duca Mickail VonLandow, discendente di una antica casata nobiliare russa, che molte generazioni prima di lui aveva preso residenza nei territori danesi accanto al confine con l’Impero, et quelle terre avevano preso il nome di Ducato del Lawenburg.Mio padre all’aspetto era uomo fiero, alto et magro, con una lunga capigliatura liscia et nera, come la notte senza luna, retaggio delle passate generazioni russe.I suoi occhi, sebbene celati da due folte sopracciglia scure, risplendevano sul suo volto del blu più intenso, et nel contempo del più ardente spirito guerriero che nella mia vita abbia mai osservato nel volto di qualsiasi uomo, o “bestia”, quale ora io sono et dunque mi reputo, dannato figlio di Caino.Al contrario mia madre, seppur anch’ella d’alta fattezza, irradiava al suo intorno un senso di pace et tenerezza ineguagliabile, et fu lei che mi diede conforto in quei periodi di tristezza che spesso si impossessano dell’animo di un bimbo. Il suo volto era simile al sole al suo mezzogiorno, i suoi occhi azzurri come il cielo et il suo capo coronato di chiome biondissime, come il grano d’estate, venate in alcuni punti di ciocche che all’occhio sebravano quasi bianche, come la neve dell’inverno. Sin dalla più tenera età mio padre predispose per me studi di giostra et lezioni nell’arme, che per lunghi anni ho continuato a prendere insieme et sotto l’attenda guida di mio fratello maggiore Piotr, ereditiero dei territori della mia famiglia et futuro duca del Lawenburg. Ammiravo molto mio fratello, in lui potevo leggere sia l’animo di mio padre che la compassione et l’amore, retaggio che gli giungeva da mia madre.Trascorsero per me duri anni di studio ed allenamenti, di lotte et lezioni di eqitazione congiunte all’arte della giostra.All’approssimarsi dell’età di 15 anni, ormai uomo, nell’anno domini 1192, entrai a far parte come novizio del Sacro ordine dei Guerrieri Teutoni, et venni poi ordinato cavaliere dell’ordine Teutonico.Come tale, per ancora altri lunghi anni mi addestrai nei codici di condotta e nell’uso delle armi peculiari del Sacro ordine di cui ora facevo parte: la mazza et lo spadone.Ma quelli, se anche tutti gli altri non lo fossero, erano anni davvero cupi, e l’Infedele, con tutte le sue sacrileghe et pagane credenze minacciava nuovamente il Santo Sepolcro di Nostro Signore, Jesù il Cristo.Partii in tutta fretta con la mia compagnia alla volta dell’Italico suolo et di Venezia, dove tutto l’esercito crociato ci attendeva per salpare alla volta della TerraSanta e di Gerusalemme, la Santa città di Dio.Dopo quasi un mese di marce raggiungemmo la laguna veneta, et con essa la città.Ci riunimmo all’esercito crociato; ci venne dato cibo et alloggio per la notte.Entro tre giorni saremmo salpati. Era il 1198, se il mio computo degli anni in quel periodo risulterà essere esatto.Ma il Fato a volte non manca di senso dell’umorismo: mio più grande desiderio era quello di combattere per la Cristianità et di vedere la TerraSanta.Vidi effettivamente la Palestina, ma ormai ero divenuto una creatura delle tenebre, l’antitesi di tutta la dottrina della Bibbia; ero entrato a far parte dell’oscura stirpe dei figli di Caino, dei Vampiri, dei non-morti.La sera del mio arrivo infatti caddi vittima di un’imboscata nel campo crociato.Mi risvegliai quale non-morto a bordo di una nave XVI corsara, salpata in direzione della Dalmazia, abbandonato al mio destino di creatura delle ombre e preda di un destino che si rivelava per me et i miei compagni di viaggio, otto in tutto, ancora più oscuro delle nostre stesse esistenze.Con noi anche un Moro, un cane infedele…Avrei dovuto odiarlo per il solo fatto ch’egli esistesse, ma ora, accomunati dal medesimo destino et avuta la possibilità di parlare direttamente con uno di “loro”, il mio istinto mi diceva che potevo fidarmi. Decisi di dar retta al mio “sesto senso”, dopotutto mi aveva salvato più di una volta in battaglia, non avevo dunque alcun motivo per non averne fiducia.L’arabo aveva nome Azim, ma purtroppo il nome quivi riportato non è completo, data la mia poca padronanza dell’arabo et della lunghezza con la quale il popolo di Maometto è solita chiamare i suoi figli.Altri del nostro gruppo erano tre tra i Crociati, francesi et italici per nazionalità, et anco un greco, che si faceva chiamare Gwinplaine, et ultimo un mercante venziano, un appartenente alla facoltosa et importante famiglia dei Polo, discendenti del Marco che aprì una rotta di commercio nelle Indie et nelle Cine: il suo nome era Giuseppe, Giuseppe Polo.Raggiungemmo quindi, dopo giorni di profonda sofferenza d’animo, mentre pian piano scoprivamo ciò che eravamo divenuti, una piccola isola della costa dalmata, che per quanto rimemori non aveva nome.Fummo accolti dal Principe del luogo, un discendente di Caino come noi, di nome Samir, che si definiva appartenente ad un tal “Clan della Rosa”.Ospiti nel suo maniero io ed i miei compagni di viaggio apprendemmo l’uso et la forza che il nostro nuovo retaggio ci conferiva. Appresi così che la creatura che mi aveva reso un vampiro apparteneva ad un clan di feroci et brutali guerrieri che abitavano le lande confinanti alle mie terre, i Gangrel.Questa mia nuova “famiglia” possiede poteri ferini che le derivano dalla vitae, questo il nuovo nome per il sangue, poteri quali la visione come quella del lupo nelle tenebre e gli artigli, tali a quellì dei draghi delle leggende, in grado di fare a brandelli persino la pietra et le lame di spada.Ma ben presto il nostro ospite si rivelò essere null’altro ke un mostro sanguinario che bramava soltanto la nostra morte. Purtroppo per lui nel suo stesso maniero si aggiravano presenze ancor più perfide e abominevoli di lui; fu così che per mano la sua stessa arroganza lo portò alla distruzione per mano di un Antico del suo clan, il cui nome, e suppongo lo sia ancora, era Aurelio.Con la morte di Samir anco le nostre “missioni” erano finite; rientrammo dunque in Italia, a Venezia, dove trovammo ad attenderci tutti coloro che erano i nostri Siri, i nostri “creatori” quali vampiri.Ci venne presentato in quel periodo anche Adrian, del Clan della Rosa, uno dei più abbietti ed abominevoli individui su cui abbia mai posato lo sguardo, nonché uno dei vampiri più subdoli e riprovevoli, sospetto, della terra intera.Non mi piaceva, non riuscivo a fidarmi di lui; sembrava che da un momento all’altro avrebbe potuto tradire tutti e venderci ai Cacciatori, o ad altri vampiri, solo per il suo tornaconto personale.In definitiva nel corpo e nella mente non-morta di Adrian si incarnava l’ antitesi di tutti quegli ideali che fin da bambino mi era stato insegnato a ritenere et considerare giusti e inviolabili.E’ da quegli anni che la lunga lista di mancanze et atti empi compiuti da quel vampiro aspetta, sepolta nella mia memoria, il momento nel quale finalmente, con la lama dei miei artigli, potrò dargli la punizione che merita, anco per quelle che sono state le violenze perpetrate per gusto di farmi infuriare contro bimbi innocenti, sacerdoti e contro me stesso. Ma il giorno della tua morte ultima verrà, Adrian, e nulla potrà salvarti; la notte in cui ci reincontreremo quali nemici sul campo di battaglia, allora saprai che i tuoi giorni di cattiveria e depravazione sono giunti al loro termine, e il tempo non ti salverà da me, chè la mia memoria non verrà mai meno agli atti che di te ricorda e il nostro sentiero quali figli di Caino è ormai al di fuori del tocco della vacchiaia.Preparati, dunque, perché nella fatidica notte, io avrò il tuo cuore pulsante tra le mani, e tu morrai; io mi impossesserò della tua vitae, come compenso per tutto il male che hai commesso e tale sarà la sola ed unica punizione che ti si potrà XVII applicare, null’altra sanzione o ammonimento potrebbe fare effetto sulla tua corrotta anima, solo la morte metterà fine ai tuoi delitti nei confronti dell’uomo, et io, Adrian servo del male, diverrò per te, la notte del nostro scontro finale, l’Araldo della morte. Dopo un breve periodo trascorso insieme ai nostri rispettivi siri et sotto la loro guida, nel quale abbiamo avuto modo di conoscere ancora di più su quelli che erano i poteri che il nostro retaggio di vitae ci donava, all’improvviso fummo costretti a partire: il Principe della città di Venezia, aveva atteso proprio il momento del nostro ritorno per sferrare un colpo mortale alle idee sovversive dei nostri Siri, che si erano allontanati dalla guida e dal controllo degli Anziani dei loro rispettivi Clan ed erano divenuti degli Autarchici.Il mio Sire, Guglielmo, perì nel rogo della sede degli Autarchici.Io et i giovani vampiri che facevano parte del gruppo fummo costretti a partire, per salvare le noste vite, per le montagne del nord, le Alpi, e per un luogo chiamato la Valle Camonica , causa anche la costrizione da parte di Elena, Cappadociana alla corte del Principe, che li ci mandò per compiere una “consegna”.Di quei bui periodo ben poco mi soggiunge alla memoria, ma so per certo che mi ero fatto carico di risolvere un problema di ordine nel dominio del Principe di quelle terre, il cui maniero era situato nel borgo di Gorzone.Scoprimmo, grazie all’aiuto di una nuova compagna, del Clan degli Studiosi di Morte, che aveva nome Livenna, una Catara, a voler dire il vero, che tutti i problemi che erano presenti nel dominio erano causa di un Baali, un abbietto e meschino essere, l’incarnazione del male puro, dell’odio e della cattiveria.Per sconfiggere il figlio della Bestia, prole di Azazel, il fato mi concesse la possibilità di studiare ed apprendere l’uso di un potere del mio sanguine che mi restava fin allora inaccessibile, la Potenza.Con essa possedevo ora la forza di cinque uomini.Con essa potevo affrontare il figlio di Baal.La lotta fu dura et violenta come null’altra era mai stata. Ma la cosa peggiore è che in quel buoi oblio di lotta contro il Baali non ero solo: Adrian era con me….Più un peso che un conforto o un aiuto. La lotta si protrasse nelle viscere della terra per parecchie ore, fino all’alba e forse anche oltre. Alla fine abbattei la Bestia, il Demone che si aggirava sul mondo; ma ogni grande impresa ha il suo prezzo: caddi infatti in torpore, a seguito della spesa di vitae durante lo scontro. Fu un sonno lungo, privo di sogni od incubi, simile in tutto alla Morte, a cui ormai ero immune.Mi risvegliai soltanto 200 anni dopo, grazie all’opera di alcuni manovali che, Iddio mi perdoni, perirono per mia mano. Non sconterò mai abbastanza per la loro morte innocente.Scoprii solo allora che eravamo nell’ anno di grazia del Signore 1408.Mi dipartii allora dall’italico suol alla volta di nuove avventure, dato che nessuno dei miei vecchi compagni di ventura riuscivo a trovare e spinto a nuove mete dalla mia natura di girovago e viaggiatore. Mi recai allora in Francia, superando le Alpi ad Ovest, per un itinere lungo e difficile, sempre battuto da gelidi venti e copiose piogge.Giunsi sui territori del Regno di Francia nell’anno 1410. In Francia infuriava la guerra, et tutto il paese ne era scosso e pervaso. Dalle poche notizie che riuscii ad avere la cagione del guerreggiare era il trono francese, conteso tra la franca discendenza del vecchio re, ora defunto, Filippo IV, e gli Inglesi, che vantavano diritti sul trono.Ad onor del vero le ostilità erano cominciate decadi addietro, nel 1337, ed io riuscii a raggiungere il suolo francese in una fase di intervallo, in cui la terra di Francia, devastata, vedeva una sottile pace, am era una pace invero priva di speranza. Tutti infatti sapevano che le contese et i combattimenti erano soltanto rimandati ad altri tempi. Infatti nel 1415 il guerreggiar riprese.Dal canto mio raggiunsi la sponda ovest del paese, quella che si estende dal Mare Oceano Atlantico, fino allo stretto braccio di mare denominato della Manica, che separa le terre di Francia dal suolo inglese. Presi rifugio nella regione della Normandia, spostandomi pero molto spesso verso nord fin a raggiungere le terre d’ Artois. In quegli anni di guerra trovai come mio ideal rifugio un terreno boscoso et ricco di colline, che si estendeva tra Calais, Bruges et Lilla. XVIII In quegli anni invero trovare la vitae di cui la stirpe dei fratelli necessita non era per nulla difficoltoso da reperire, ma d’altra parte in quegli anni vidi atrocità et soppesai umane azioni che, anno dopo anno, mi risultavano sempre più riprovevoli ed odiosi. La guerra è sempre guerra, ma a volte l’animo umano la stravolge, e ne rimane talmente sconvolto, da trasformare guerra et contesa in inutile massacro et atrocità d’ogni sorta.La guerra ebbe termine alfine nell’ anno di Nostro Signore 1453, ed io trovai rifugio stabile nei pressi della città di Bruges, nel nord est del paese, sempre nella regione dell’Artois. Per cinquant’anni rimasi in quei territori, trascorrendo il mio tempo in cacce et in sempre novelle scoperte. Presto mi dedicai fin anco alla lettura di testi et libelli dei più svariati argomenti. Per opera della sorte, nel periodo d’intorno al 1507 anno di Grazia del Signore, mi sovvenne per le mani un novo scritto, di un certo navigante italiano, che sosteneva di aver trovato una nuova via e più diretta per le Indie. Ignoravo, a dire il vero, sulla locazione di cotali Indie, ma ora l’idea di viaggiare si risvegliò prepotente nel mio core.Poco tempo dopo già si vociferava che in realtà quella via altro non era che in itinere per un novo mondo inesplorato. Ma prima d’ ogni cosa ripartii, per tornare sui terreni della mia casata, nel nord.Giunto alfin nelle terre danesi, mi premurai di trovar et collocare in un luogo sicuro tutti li mie possedimenti et le cose appartenutemi. Diedi sepoltura ai miei averi sul fondo di un lago che si stendeva vicino al maniero della mia famiglia, e che spesso da bimbo mi trovavo a rimirare, leggendo i gioci di luce ed ombra che sulle acque si sviluppavano senza sosta. Dopo due settimane di costante lavoro terminai la mia opera, et mi approntai per ripartire per le lande mediterranee et il sud dell’Europa.Passai attraverso le terre tedesche, e per opera del caso anche per Wittenberg, un piccolo borgo insignificante, come tanti ne vidi nel corso delle mie peregrinazioni.In paese scoprii risiedere un monaco, un eretico sovversivo, che recava il nome di Martino Lutero. Seppi che, pochi giorni prima, aveva affisso sulla porta della cattedrale alcuni fogli di pergamena, su cui di sua mano aveva vergato lunghi discorsi. La gente era divenuta solita additarle come “Le 95 tesi”. Mi trattenni un poco in quel piccolo paese, et ebbi persino la possibilità di vedere questo sovversivo monaco agostiniano; ne ascoltai anche alcuni agoni, tenuti nella cattedrale del paese. Pensavo in vero che niuno sano di mente avrebbe mai prestato orecchio a tali panzane et menzogne di tal fatta, solo et solamente sciocchezze eretiche.Col senno di poi devo riconoscere ed ammettere che le cose non sono andate a dire il vero come pensavo.Proseguendo raggiunsi nuovamente le terre italiche, dopo aver attraversato la Confederazione Elvetica. Mi trovai pertanto a passare attraversi i domini del ducato di Milano, quando sentii che in città si trovavano una delegazione di monaci, di un ordine neonato, che stavano partendo per una spedizione di carattere puramente religioso alla volta di un paese nomato Giappone. I monaci si facevano chiamare Giesuiti, dicendo di se stessi essere militia Christi, ”Soldati d’ Iddio”. Volevano pertanto raggiungere subitamente Venezia, per poi imbarcarsi e fare vela verso l’estremo Oriente. Quando decisi di accodarmi alla spedizione correva l’anno 1538, et si era nel periodo estivo dell’anno.Il viaggio, sia a terra che per mare fu lungo et difficile, ricco di perigli et carico non meno di problemi, ma la grazia di Dio vegliava su di noi, sicchè raggiungemmo in maggioranza salvi le coste della terra di Giappone.Erano trascorsi quasi 3 anni, et si era giunti ai primi giorni della stagione dell’ autunno, quando spesso piove ed il mare si trova in burrasca costantemente. Ma in soli tre mesi la missione venne edificata et portata a compimento, ed i monaci cominciarono con rinnovato fervore la loro missione di predicazione dell’ evangelo di Nostro Signore, Jesù il Cristo, a quelle genti pagane, irretite dall’adorazione dei maligni et infernali spiriti.La cosa che mi sorprese maggiormente di quel popolo erano le loro strane fattezze del fisico. Essi erano et sono, infatti, piccoli di statura, e la loro pelle si trova ad essere tinta di uno stranissimo e blando icore XIX giallognolo.Hanno capelli nerissimi, e i loro occhi seguono il colore scuro nella maggior parte della popolazione.Circa le tradizioni molte mi sono risultate veramente incomprensibili et strane, ma altre veramente interessanti. In particolare il mio spirito guerriero è stato irretito dalla loro fantastica capacità di arrivare a sfruttare tutte le loro abilità nel corpo e nella mente, arrivando a diventare delle perfette macchine guerriere, la cui incarnazione perfetta è possibile vedere nell’ arte del judo, del karate, et nel guerriero ninja.Fu la prima settimana dell’inverno; la prima neve era caduta già da qualche giorno, et il paesaggio era coperto da un manto candido et leggero. Nella notte la missione Gesuita venne attaccata dal briganti et ladroni in cerca, probabilmente, di bottino; già da tempo infatti si sentiva vociferare di scorribande et saccheggi a danno di villaggi vicini alla missione, si parlava di case bruciate, abitanti massacrati o fatti prigionieri.I monaci della missione furono tutti uccisi, impalati e trucidati, gli inservienti giapponesi decapitati et i loro corpi morti straziati, i santi libri et i sacrissimi paramenti vennero dati alle fiamme, gettati nel fango e calpestati.Quella notte, purtroppo, non ero presente, e non potei far nulla per salvare la missione. La notte successiva però seguii le tracce, sebbene orami vecchie. Ma riuscii comunque a trovare i briganti, sebbene con fatica.Quella notte i monaci ebbero la loro giusta vendetta. Quella notte le anime dei briganti si presentarono dinnanzi al Trono di Dio e davanti ai suoi angeli per rendere conto dei loro peccati.Nel loro covo, nascosto dai cadaveri, lacero, coperto di lividi et sine alcun cibo trovai un uomo, a cui quei carnefici avevano strappato gli occhi. L’uomo, tremante, mi chiese qualcosa in una lingua a me incomprensibile. Qualcunque fosse stata la richiesta, io decisi di prendermi cura di quell’uomo. Rimanemmo nella caverna della banda dei briganti per molti mesi. Lì appresi i rudimenti della loro strana lingua, et anco le arti della lotta che tanto mi avevano affascinato al mio primo incontro con la cultura della terra del Giappone. La caverna si trovava nella regione al più estremo sud del Giappone, in una regione collinare di rimpetto alla stretta fascia di mare che separa le quattro isole nipponiche con l’Impero Cinese.Se il mio computo dovesse risultare esatto, era l’anno Domini 1547, quando il mio sensei, così infatti avevo preso a chiamarlo, il cui nome era Haruhiko Mikimita, spirò. Non potendo più fare nulla per lui, decisi di dargli gli ultimi onori. Lo seppellii in un luogo dove nessuno avrebbe disturbato il suo riposo, pregai per lui.Nessun legame orami mi tratteneva più nella terra del Sole Nascente. Decisi pertanto di partire per tornare in Europa.Mi imbarcai clandestinamente in un mercantile olandese, che faceva la spola lungo tutte le città portuali asiatiche ed indie, per raggiungere, alla fine di un interminabile et rischiosissimo viaggio durato tre anni, la vecchia Europa, ed in particolare Amsterdam. Nelle mie vecchie terre era però cambiato molto di quato conoscevo.Persino le guerre non si combattevano più come ricordavo, ma gli uomini avevano sviluppato una nuova arma, dagli effetti devastanti et persino “disumani”. Grazie alla polvere pirica nacque l’archibugio, e da lui tutta la lunga serie delle armi da fuoco.Tornando sui miei passi raggiunsi la Francia, e mi stabilii per un periodo nei bassifondi di Parigi.Fu nel 1607 che sentii parlare di una spedizione per colonizzare il Nuovo Continente che decadi addietro quell’italiano aveva scoperto. Il Re di Francia aveva infatti incaricato Samuel de Champlein di fare vela verso il “Nuovo Mondo” e di fondare una colonia degna dello splendore francese nelle terre del nord.Partii senza esitazione. Era il 1608 quando, sbarcato in “Nuova Francia”, o Canada, risalii seguendo la spedizione di De Champlein il corso del fiume San Lorenzo, vedendo la nascita della cittadina chiamata Quebec.Fu alfine nelle fredde lande canadesi che appresi un nuovo potere che il sangue mi donava, quello di assumere, secondo mio volere, le sembianze del Lupo. Pertanto ho vissuto per quattro anni nelle sconfinate foreste del nordamerica, nutrendomi del sangue di alci, caribù et orsi. XX Fu duranti questi anni che venni spesso in contatto con la cultura degli indigeni americani, gli Indiani, e in particolare con la cultura Ojibwai, ovvero di una tribù stanziata alla foce del San Lorenzo, dove si trovava il mio terreno di caccia prediletto. Fu in quel periodo che, inavvertitamente, svelai la mia presenza ad un gruppo di cacciatori indiani.Ero a caccia, ero concentrato, ed ero affamato; catturai la mia preda usando i poteri della vitae. Non mi accorsi nemmeno di loro. Ma quegli uomini, tornati al loro villaggio, devono aver raccontato di me, della mia presenza, e di quello che facevo ai loro anziani. Il responso dei Saggi fu tale: in me vedevano il Wendigo, una orrenda creatura mostruosa e demoniaca, latrice di morte e distruzione. Come tale, andavo abbattuto prima di divenire più forte e inarrestabile. La spedizione indiana mi raggiunse 3 giorni dopo. Erano tanti e armati. Con loro sentivo anche l’odore dei lupi.Potevo fare solo una cosa: scappare. Era arrivato il 1619 quando, dopo aver tracciato un lungo percorso in mezzo alle foreste, tornai sui sentieri dell’estremo nord epr i miei passi, e raggiunto un porto sull’Oceano, mi imbarcai nuovamente per l’Europa. I miei viaggi nel nuovo mondo erano finiti nel peggiore dei modi: per quella gente io ero la personificazione del Male, della Rabbia e dell’ Ira. Ero tutto ciò che non avrei mai voluto essere.Giunto che fui in Olanda, decisi di spingermi verso le lande abitate dai miei avi. Verso la Russia e le steppe.Il mio viaggio mi portò nei pressi di Vienna. Era l’anno domini 1621. Ma successe ciò che non avevo previsto. Uno scontro. Uno scontro con un Garoo, un UomoLupo.Tra tutti i nemici possibili per un Fratello, di certo i Lupini sono i più tremendi avversari.La lotta fu dura, difficile ed estenuante. Combattemmo dalla mezzanotte fino all’alba.Prima che giungesse il bacio del Sole, però, riuscii ad avere la meglio sul mio avversario, ma ad un prezzo altissimo. Il Lupino venne annientato, e io caddi in torpore, essendo ormai privo di vitae.Come ultimo atto disperato mi nascosi nel grembo della terra, lontano dai raggi del sole. E li dormii un sonno senza sogni, del tutto simile alla morte. Finchè, oggi, nel 2041, il sangue non mi riportò alla vita.Sono a Vienna. Sono di nuovo vivo. Ma il tempo è stato latore di cambiamenti notevoli, e strani… Ora faccio parte di un gruppo di giovani anarchici, tra cui dovrei citare per correttezza Tristano , un giovane amico, a cui o promesso i miei servigi in cambio del suo aiuto, in un epoca così strana e diversa. C’è poi GreyFox, un individuo strano, che non riesco bene a comprendere; vive con la sua progenie, Naima.Devo ammettere che la donzella ha molte buone qualità.E poi c’è Luky, un pivello malkavo. Ma se non fosse per lui nessuno di noi si muoverebbe. Purtroppo o per fortuna infatti, è lui che controlla i soldi del nostro gruppo. E, come ho scoperto con rammarico, in questa epoca assurda, non si può fare nulla senza denaro. Daeniem XXI Il Segreto di Saulot Venite a raccolta, Toreador a teatro o Gangrel fra i fuochi del boschi; venite a sentir narrata la storia del primo cavaliere della stirpe dei Salubri, Samiel dalla lama luminosa, e del più grande segreto che quella stirpe serba. Venite a sentire, di demoni e paladini, di semi-dei e di abomini : venite ad udir solo una storia di noi vampir Quando Caino succhiava il latte dal seno di Eva la Terra già ospitava una razza di creature con una civiltà evoluta anche se tribale per scelta, con un grande credo naturalistico ed animistico che avrebbero mantenuto nei millenni, costoro si chiamavano "Garou", i figli della Madre di Tutti gli Spiriti, Gaia. Più di ogni altra creatura i Garou hanno sempre odiato i Demoni, li odiarono anche quando presero ad odiare i Vampiri, che a loro volta chiamarono i Garou col nome dispregiativo di "lupini". Ma allora Caino non era stato ancora maledetto da Dio e messo al mondo la sua progenie succhia sangue e persino gli umani (che avrebbero poi chiamato i Garou col nome di "lupi mannari") non erano diffusi. Ma i Demoni già calcavano il suolo della Terra, all'inizio erano pochi ma poi sempre in più riuscirono a rompere i sigilli dell'Abisso e a giungere su questo mondo; fra loro ed i Garou fu subito guerra e tranne i più forti o astuti di loro quasi tutti caddero sotto le zanne e gli artigli dei guardiani di madre terra. Kupala era uno dei demoni più potenti e più furbi e i Garou non riuscirono ad ucciderlo, tuttavia neanche lui da solo riuscì a tenere testa agli sciamani Gaoru e questi lo sigillarono in una prigione sotto la roccia da dove la sua aurea malefica non poteva contaminare l'ambiente e là Kupala rimase ... ed attese. Nei secoli nacque la razza dei Vampiri, figli di Caino maledetto da Dio. A loro volta i figli di Caino generarono una propria genie, 13 figli che presero il nome di Antidiluviani perché furono gli ultimi del loro popolo ad essere generati prima del grande diluvio. Nonostante essi non avessero che parte dell'immane potere che Caino era riuscito ad estrarre dal proprio sangue maledetto, erano pur sempre semi-dei in confronto ai comuni mortali e persino ai loro discendenti vampirici. Uno di questi Antidiluviani aveva nome Mekhet ed era un veggente ed un profeta, tuttavia egli passò alla storia con il nome della progenie che avrebbe generato : Tzimisce. Mekhet mise appunto un proprio personale potere del sangue che poi insegnò solo ai suoi figli, la Vicissitudine, ovvero la capacità di plasmare il proprio corpo e quello degli altri a forme ed usi innaturali ed artificiali. Egli era convinto che con un uso massiccio di questa scultura corporea e con alle spalle una mentalità alternativa a quella dei comuni mortali (e che mettesse l'accento sull'evoluzione spirituale al di là dei limiti umani) si potesse rendere se stessi simili a Dio. Tuttavia la voglia di conoscenza di Mekhet non si placò col tempo, anzi, Vicissitudine fu solo l'inizio. Egli, come tutti gli Antidiluviani, era ossessionato dalla (per loro) improbabile idea della morte finale e per questo cercò il metodo di essere sempre più potente ed eterno. Iniziò a circolare la voce che Vicissitudine al suo interno contenesse una sorta di "morbo" XXII che contaminasse la stirpe degli Tzimisce col sangue di Makhet, dissero che egli stesso era stato generato da uno dei figli di Caino con la parte malata del proprio sangue e che questo portava gli Tzimisce sempre più verso la follia e la crudeltà. E tutte queste voci erano in parte confermate dall'apparente crudeltà che questi vampiri mostravano nel corrompere le altre creature con la loro arte per modellarle a forme di loro gradimento, poco importava a questi critici però (dicevano gli Tzimisce) che anche gli altri vampiri non trattavano meglio i mortali ma lo facevano in maniera meno evidente e che loro non erano crudeli, avevano semplicemente trasceso i limiti della moralità mortale. Accadde così un giorno che Kupala apparve in sogno a Mekhet e gli mostrò la sua prigione, lui ed il demone-più-antico (così era cominciato ad essere chiamato Mekhet dopo che la voci sulla malvagità genetica della sua stirpe) fecero un patto : gli Tzimisce lo avrebbero liberato e Kupala in cambio avrebbe dato loro un grandissimo dono : la magia. Intuendo che così la sua progenie sarebbe diventata la stirpe per eccellenza di studiosi e saggi del mondo vampirico, Mekhet accettò. Mekhet, suo figlio maggiore Yorak, ed altri fedelissimi raggiunsero la prigione di Kupala pronti allo scontro coi lupini. Nonostante i Garou fossero all'apogeo del loro potere, Mekhet ed i suoi figli rappresentavano un potere giovane ed appena nato, inoltre i lupini non erano ancora preparati alle mille astuzie ed ai poteri dei Vampiri. In breve, a costo della morte di alcuni Tzimisce, Kupala venne liberato e per ricompensa insegnò a Mekhet ed a Yorak le arti magiche per comandare gli spiriti della natura ed i cinque elementi, e la demoniaca sposa di Kupala insegnò loro l'arte di provocare con la magia dolere ed afflizione fisica e spirituale nel prossimo. E Yorak e Mekhet la insegnarono alla loro stirpe. Kupala si fuse con la terra dei Carpazi contaminandola con la sua presenza e visto che il sangue degli Tzimisce è strettamente collegato alla loro terra d'origine (specie per i discendenti di Yorak) questo non fece altro che aumentare l'intrinseca malvagità del sangue di quella stirpe.Tuttavia la preistoria lasciò spazio all'antichità e i Vampiri alzarono le mani gli uni contro gli altri, Caino sparì e lasciò il destino della sua stirpe nella mani dei suoi stessi membri. Furono anni di grandi lutti ma anche di grandi eroi, e forse il più grande di questi fu il primo cavaliere della stirpe dei Salubri, progenie diretta di Saulot, fondatore di quel clan, e creatore (unico fra i vampiri non Antidiluviani) di una proprio potere, la guerresca Valeran. Il suo nome era Samiel.Se Mekhet era il capostipide della stirpe degli Tzimisce, che nei secoli successivi divennero gli scienziati ed i saggi del mondo vampirico, un'altro antidiluviano di nome Saulot creò la stirpe dei Salubri per essere i guaritori ed i filosofi della progenie di Caino. Saulot era molto amico di altri due antidiluviani, Seth e Malkav, colui che per primo teorizzò una società tanto liberale da rasentare l'anarchia ed il profeta visionario tanto saggio che essere ritenuto pazzo. Tuttavia ben presto Saulot desiderò partire per l'est e poter attingere alla saggezza di un misterioso popolo che si autodefiniva "kuei-Jin" e alla sua partenza Seth gli diede la sua spada in cambio del bastone dell'amico e Malkav gli disegnò un occhio in mezzo alla fronte con il sangue. Nessuno seppe mai cosa fece Saulot in oriente ma quando tornò aveva un vero terzo occhio in mezzo alla fronte dove Malkav aveva disegnato il suo e poteva anche usufruire di un nuovo potere che nessun altro vampiro possedeva, Saulot lo chiamò Obeah e con questo strumento mistico poteva curare le ferite fisiche e mentali degli altri. Da allora i salubri si aggirarono per il mondo come angeli misericordiosi per vampiri e mortali. Accadde un giorno che Saulot incontrò un giovane schiavo cantante di una popolazione proto-mesopotamica, era pieno di voglia di giustizia per le ingiustizie ed i soprusi che aveva subito dalla sua nascita ma il suo cuore proprio per questo era stato segnato e non aveva più la purezza necessaria per poter apprendere Obeah. Dopo mille tentennamenti alla fine Saulot fece di lui suo figlio e da quel giorno lo schiavo fu Samiel il Salubre. Samiel era buono, giusto, carismatico, onesto, leale ed intelligente, in breve il suo nome fu XXIII leggenda. Egli creò una propria versione guerriera di Obeah che gli permetteva di usare in combattimento contro l'avversario o a suo favore i poteri creati dal padre; a questo nuovo potere egli diede nome Valeran ed a sua volta Samiel iniziò a creare una progenie, la cosiddetta "Via del Guerriero", per aiutare i guaritori del padre. Là dove i Salubri con Obeah portavano la pace per chi ne aveva bisogno, i Salubri di Samiel portavano vendetta e giustizia e Samiel fu l'unico figlio degli Antidiluviani ad avere creato un nuovo potere. Di punto in bianco egli non era più un vampiro qualunque, egli era la speranza del mondo : il primo cavaliere. Samiel odiava qualsiasi tipo di arroganza, di torto, di angheria ma più di tutto egli era ossessionato dal concetto di sradicare le radici del male e non gli ci volle molto a capire che i demoni che camminano sulla Terra erano le radici della malvagità ed egli punì con la morte coloro che si macchiarono di commerci con queste creature e vittoria dopo vittoria il nome di Samiel crebbe in gloria e la vita degli adoratori degli oscuri poteri si fece sempre più dura. Accadde quindi che all'orecchio di Samiel venne la notizia che la magia degli Tzimisce fosse d'origine demoniaca ed egli crebbe nella rabbia che un intero clan praticasse la stregoneria demoniaca; ma Samiel capì che troppo radicata era questa pratica perché gli Tzimisce l'abbandonassero. Per un po’ il primo cavaliere pensò che era quindi inutile combattere contro i mulini a vento ma poi i suoi tre benevoli occhi videro il mal causato dai demoni e dai loro adoratori, demoni che in quell'epoca in cui le piramidi ancora dovevano essere costruite si facevano chiamare "dei" ed adoratori che si nomavano "sacerdoti". Il primo cavaliere dei Salubri vide le lacrime negli occhi dei bambini che chiamano madri che non sarebbero mai venute ... mai più. Ad allora dalle dune della Mesopotamia sorse la lama di luce di Samiel, da quella che sarebbe stata chiamata Persia si mise in marcia verso i Carpazi l'armata di giustizieri dei Salubri. Arrivati nel castello dove risiedeva il demone-più-antico Mekhet essi affrontarono i mostri ghoul di carne scolpita che egli aveva posto a guardia del suo rifugio, ed alla fine si dovettero scontrare con i ghoul ariani ed immuni al metallo che Mekhet aveva trovato nella lontana India e che lo adoravano come il "dio bianco". Ma neanche loro fermarono l'armata di Samiel e finalmente i Salubri si trovarono innanzi a Mekhet in persone. Un Antidiluviano era Mekhet, potente e spietato, più semi-dio che Vampiro, ma Samiel era il primo cavaliere, la Valeran potenziava la sua lama e proteggeva il suo corpo, la voglia di vendetta e di giustizia ardeva nel suo cuore in tempesta. Gli altri Salubri che sopravvissero allo scontro ricordarono uno scontro fra titani, Mekhet mutava forma come se fosse stato d'acqua il suo corpo, Samiel affondava la sua spada nelle carni di Tzimisce con decisione e precisione inumana; Mekhet poteva assumere la forma e la caratteristiche di un intero piccolo ecosistema in grado di poter creare da solo una forma di vita propria (partendo da una base già esistente però, perché la creazione dal nulla era un dono del solo Creatore) ma Samiel era la luce del bene in quella terra senza legge ed alla fine infilzò il cuore stesso del demone-più-antico che a sua volta trafisse coi suoi artigli da parte a parte il corpo del primo cavaliere. Come due giganti caddero sia Samiel sia Mekhet ed in una sola notte gli Tzimisce persero il proprio Antidiluviano ed i Salubri il più valoroso vampiro che abbia mai calcato la Terra, con la sola eccezione dello stesso Caino. E tuttavia .... tuttavia nel medioevo gli anarchici del clan Tzimisce proclamarono la distruzione di Mekhet ad opera di Lambach Ruthven e di Lugoj e sussurri da sempre celati agli orecchie dei Vampiri più anziani narrano che fu solo Mekhet a cadere quella notte e che Samiel tornò da solo dal suo padre Saulot con la notizia della vittoria. I secoli lasciarono il posto ai millenni e il ricordo divenne storia, che a sua volta divenne mito. Gli Antidiluviani erano divenuti figure leggendarie che risiedevano in luoghi segreti, secondo alcuni essi si erano ritirati in solitudine per cercare la Golconda (una sorta di Nirvana mentale che avvicinava il Vampiro all'uomo), secondo altri conducevano una guerra segreta denominata Jhyad XXIV in cui muovevano i Vampiri più giovani come pedine, secondo altri ancora non erano mai esistiti. Nell'Europa del basso medioevo la progenie di Caino dominava sui mortali come signori della notte, i Vampiri più anziani erano i signori tenebrosi di quel mondo grazie ai propri poteri ed alle influenze nel mondo umano coltivate nel corso dei secoli; era impossibile cercare di uccidere colui che con un'identità segreta stipendiava tutti i mercenari della regione, per esempio.I Vampiri più giovani erano i servitori e gli schiavi degli anziani, destinati a soddisfare i crudeli giochi, le assurde fantasie e l'implacabile sete dei loro signori più vecchi; i cuori ormai lontani dell'umanità degli anziani non lasciavano spazio al dialogo, alla libertà, al perdono o alla coscienza. I poteri mentali, i ricatti e la paura venivano usati come strumento d'oppressione; per non parlare del legame di sangue (una schiavitù sopranaturale che colpisce un Vampiro o un mortale che beva per tre volte consecutive il sangue di un'altro Vampiro). Nelle terre dell'est Europa, terre ataviche del clan Tzimisce, una casata di stregoni mortali appartenenti alla casata ermetica dei Tremere realizzò una pozione magica che (unico caso nella storia) li fece auto-creare come Vampiri. Il loro insediamento in quella zona e i loro esperimenti volti a creare una razza di Vampiri servitori che denominarono Gargoyles li fecero entrare in conflitto con gli Tzimisce stessi. I Tremere svilupparono una versione vampirica delle loro magie che chiamarono Taumaturgia, che risultò essere straordinariamente varia, flessibile e potente, tuttavia essi per lungo tempo non vennero considerati un clan perché non discendevano da un Antidiluviano. Il capo del nuovo clan, che si chiamava appunto Tremere, trovò la cripta dove riposava un Antidiluviano semi-addormentato, costui era Saulot. Innanzi ai suoi assistenti, Tremere commise diableriè (l'atto di succhiare tutto il sangue dal corpo di un'altro vampiro assorbendone i poteri e distruggendone l'anima) su di lui e divenne, a livello di potere, un Antidiluviano. Subito dopo i Tremere si infiltrarono nelle corti d'Europa e portarono la loro crociata contro i Salubri. travisando volutamente alcune pratiche delle cure per la mente salubri e delle loro cerimonie rituali infatti, i Tremere li accusarono di essere diablerizzatori incalliti e ladri d'anime. A guidare la lotta contro i Tremere c'era la massima autorità del clan Tzimisce, Mekhet in persona, che agiva tramite i suoi discendenti, Yorak per primo. In realtà nello scontro contro Samiel il-demone-più-antico era caduto ma aveva preso le sue precauzioni contro la morte, a quello serviva in realtà la Vicissitudine, l'arte della scultura corporea di quel clan. Il misterioso morbo che corrompeva i corpi degli Tzimisce non era altro che una parte dell'essenza stessa di Mekhet e quando la lama del Primo Cavaliere gli vibrò il colpo mortale egli non fece altro che trasferire la sua anima nel corpo di un suo discendente di sua scelta con tutti i suoi poteri. Tuttavia quelli erano anni di grandi e sanguinoso cambiamenti : gli Antidiluviani dei clan Lasombra e Tzimisce furono identificati dagli infanti infuriati delle loro stirpi e stanchi delle prepotenze degli anziani, vennero entrambi diablerizzati dai loro assalitori, che sebbene scomparvero presto entrambi, furono l'esempio per tanti neonati infuriati che iniziarono a dare la caccia agli anziani mentre i cacciatori dell'inquisizione seguirono le tracce dei Vampiri per l'Europa in una scia mortale di fiamme. All'interno dei clan Lasombra e Tzimisce tutti gli anziani furono distrutti o passarono dalla parte dei ribelli. Un Ventrue di nome Hardestad (che secondo alcuni era solo il talentoso sostituto del vero Hardestad) fondò un movimento noto come Camarilla ed atto a riunire i clan in pace e sotto la guida degli anziani (pur limitandone i poteri) e coprendo l'intera società dei Vampiri sotto il velo della Masquerade, un "silenzio di sangue" secondo cui era punibile con la morte qualsiasi appartenente al popolo di Caino che lasciasse ai mortali prove dell'esistenza dei Vampiri, perchè i mortali dovevano lasciar cadere i succhia sangue del limbo delle leggende. I Tremere furono tra i massimi promotori della giovane Camarilla e con un immenso rituale maledissero per conto della Camarilla stessa l'intero clan XXV Assamita proibendogli di commettere diableriè su chiunque, alla luce di ciò i primi capi dell'organizzazione dimenticarono i trascorsi del Tremere ad accolsero le loro accuse nei confronti dei Salubri. Su Saulot e la sua stirpe sembrava calato per sempre il sipario e con loro il ricordo del Primo Cavaliere .... Sembrava ....In cinquecento anni la Camarilla non era più il sogno di Hardestad il Ventrue o di egli era in realtà, ma era diventata la più grande organizzazione di Vampiri che queste creature avessero mai creato. Anche se solo sette dei tredici clan ne facevano parte, la Camarilla non vantava rivali per numero di membri, territori controllati e influenza nel mondo mortale e il clan Tremere ne era uno dei pilastri. La loro Taumaturgia gli aveva dato i poteri di imporre il dominio col terrore o con la distribuzione di favori che loro erano abilissimi a riscuotere al momento giusto, nonostante i Ventrue fossero da millenni il clan dei leader i Tremere avrebbero potuto prendere il loro posto alla guida della Camarilla se per loro il clan non venisse prima di qualunque altra cosa. Poi venne il 1997, l'anno terribile, in quell’anno il clan Assamita ruppe la maledizione che i Tremere gli avevano lanciato contro 500 anni prima e poterono tornare a compiere diablerie impunemente; fonti ufficiali di entrambi i clan parlarono del risveglio dell'antico Ur-Shulgi, progenie di Haquim detto Hassam, fondatore del clan Assamita nonché inventore dei una forma di magia vampirica antecedente alla Taumaturgia Tremere (certo esisteva già la Stregoneria Koldun degli Tzimisce ma quella era stata insegnata ai Vampiri dal demone Kupala e non inventata da uno della stirpe di Caino). Ur-Shulgi avrebbe preso il controllo di Alamut, la roccaforte ancestrale degli Assamiti, e poi spezzato la maledizione Tremere in una sola settimana. Nonostante che i maghi del clan Assamita fossero pochi, nonostante che fossero meno organizzati dei Tremere, nonostante che gli stregoni della Camarilla avessero avuto secoli per fortificarsi, la versione ufficiale di tutti furono che Ur-Shulgi aveva vinto. Ma ciò non era vero, e quale verità sconvolgente i Tremere potrebbero celare sotto il manto della menzogna di aver fatto fallire il loro più famoso rituale ? Cosa poteva esserci di più sconvolgente ? Tremere passava sempre più tempo nel tepore del sonno vampirico noto come torpore e nei suoi sogni vedeva ricordi che non pensava di possedere, visioni di un remoto passato; al suo risveglio inoltre gli veniva spesso detto che nel sonno aveva parlato con una voce non sua e dato strani ordini. Queste avveniva ormai da parecchio tempo quando una notte il suo corpo si ricoprì di quella che sembrava una ragnatela, nessuno dei suoi assistenti, che pure erano potentissimi maghi, si azzardò a toccarlo e quando infine il suo corpo si racchiuse in quello che inequivocabilmente era un bozzolo essi non poterono fare nulla se non attendere. Dopo alcune notti in cui sembrava che Tremere non fosse più riemerso il bozzolo si ruppe e dal suo interno uscì il corpo del fondatore del clan, ma quando l'esultanza dei Tremere presenti stava per esplodere all'improvviso un terzo occhio si spalancò sulla nuca di Tremere ed egli parlò con un'altra voce, ma nessuno dei presenti dubitò neppure per un secondo di chi fosse quella voce. Era la voce di Saulot .... Tremere spalancò gli occhi e riuscì a riprendere il controllo di se, il terzo occhi si richiuse senza lasciare tracce. Allora il potente taumaturgo capì : ecco che fine avevano fatto Gratiano e Lugoj dopo aver diablerizzato Lasombra e Tzimisce, evidentemente nessuno poteva succhiare l'anima di un Vampiro potente come un Antidiluviano senza conseguenze; evidentemente dentro di lui la personalità di Saulot stava prendendo il sopravvento. E nei momenti in cui Tremere sentiva l'anima dell'Antidiluviano dentro di se poteva percepire le sue emozioni : Saulot era fuggito, lo aveva usato come incubatrice per passare inosservato i secoli fuggendo da qualcosa che evidentemente nel medioevo gli dava la caccia. Tuttavia Tremere era fuori dal comune sia come mago che come Vampiro, aveva creato dal nulla un clan e lo aveva fatto diventare uno dei più potenti del mondo, aveva creato un potere che non aveva rivali per adattabilità e potenza e non avrebbe permesso a Saulot di trionfare. Da XXVI tempo Tremere stava realizzando un rituale magico per distruggere in un sol colpo quella parte del clan che dopo la fondazione della Camarilla aveva seguito l'ex braccio destro di Tremere, Goratrix, per seguire i Lasombra e gli Tzimisce in un'organizzazione detta Sabbat per continuare la loro lotta contro gli anziani. Così mentre Tremere ed i suoi sette assistenti incanalavano potere dalla forza di volontà di tutti i loro discendenti per il mondo (in maniera analoga a quando maledissero gli Assamiti sapevano bene che quello era l'unico modo per colpire un numero così alto di Vampiri), agenti del clan super-addestrati appartenenti all'ordine segreto degli Astor penetrarono nella roccaforte sabbatica di Città del Messico. Con una gigantesca deflagrazione magica avvenuta nel luogo dove tutti i Tremere seguaci di Goratrix si erano riuniti riuscirono a distruggere con un solo rapido attacco tutti i traditori, che vennero cancellati dalla storia in un marasma di fiamme. Da quella notte in poi i Tremere furono l'unico clan della Camarilla a potersi vantare di non avere una parte dei suoi membri nell'odiato Sabbat. Tuttavia la vera vittoria fu un'altra : gli Astor portarono via, addormentato ma non morto, il corpo di Goratrix in persona, che rimaneva sempre il più potente mago del mondo vampirico dopo Tremere. Il corpo inerme venne portato a Vienna e là Tremere portò a termine il suo piano; coì suoi poteri entrò nel corpo di Goratrix e pregustò già di diablerizzare il suo stesso corpo. Teoricamente una dibleriè distrugge l'anima di colui che viene diablerizzato, e mettendo la sua anima nel corpo di Goratrix avrebbe riacquisito i suoi poteri diablerizzando il suo stesso corpo e distrutto una volta per tutte l'unica anima rimasta nel suo corpo originario, ovvero quella di Saulot. Ma appena Tremere aprì gli occhi nel corpo di Goratrix non vide attorno a se il suo studio vuoto ed il suo stesso corpo inerme davanti a lui e pronto per essere diablerizzato. Lo studio vuoto c'era ma il corpo davanti a lui era in piedi e sorrideva, e mostrava un orgoglioso terzo occhio in fronte. Approfittando dell'assenza dell'anima di Tremere, Saulot aveva preso il controllo. Il duello fu intenso ma breve : Tremere non aveva più tutti i suoi poteri e non conosceva bene quelli di Goratrix, invece Saulot poteva usare sia i poteri da Salubre che aveva conservato sia le arti magiche di Tremere che aveva osservato dall'angolino della sua mente dal quale lo osservava da ormai quasi un millennio. Tremere nel corpo di Goratrix alla fine venne ritrovato quasi morto nel suo studio mentre Saulot nel corpo di Tremere lasciò inosservato Vienna senza essere notato. Per questo la maledizione sugli Assamiti cadde : perché era una maledizione piramidale il cui vertice era garantito dal fatto che Tremere possedeva il rango di Antidiluviano, ma nel momento in cui egli si era trovato a dover abitare nel corpo di Goratrix aveva assunto i poteri di una sua progenie, ovvero di una quarta generazione anziché di una terza; una realtà ben peggiore che ammettere la semplice bravura di Ur-Shulgi. I Tremere avevano adesso un mortale nemico che girava con il corpo del loro capo e con la maggior parte dei loro segreti nella testa, la loro stessa capitale (Vienna) aveva praticamente deposto le sue difese ai piedi di Saulot. I Tremere fecero l'unica cosa che potessero fare .... attesero. Ed alla fine i loro incubi si concretizzarono; sempre da più parti arrivavano a Vienna rapporti secondo cui violenti Vampiri dotati del terzo occhio e della leggendaria Valeran avevano guidato sanguinosi attacchi alle basi Tremere. Infatti Saulot era stato molto sottile nel suo piano di vendetta; aveva trovato addormentato un Salubre di non poco potere scampato agli eccidi dei Tremere nel medioevo, egli era Adonai, discendente diretto di Samiel. Insieme i due decisero di prendere contatti col Sabbat, quell'organizzazione infatti era piena di nemici giurati del clan Tremere : là c'erano gli Tzimisce che odiavano i Tremere per aver tentato di prendergli le terre dell'est Europa, là c'erano anche quel gruppo di Assamiti detto Anticlan che si erano uniti al Sabbat per non dover sottostare alla maledizione Tremere che aveva condannato i loro fratelli a non poter commettere diableriè. Sotto la guida di Adonai tornarono a splendere, pur nel solo Sabbat, le spade dei Salubri XXVII e sebbene il Sabbat fosse per sua stessa natura ed organizzazione crudele ed inumano, i Salubri brillavano per lealtà, ideali cavallereschi e sopratutto voglia implacabile di vendetta verso i maledetti Tremere. Saulot si tenne nascosto e lasciò che Adonai rappresentasse il nuovo Primo Cavaliere durante la rinascita della sua stirpe, aspettando il momento giusto per lanciare l'attacco finale verso Vienna. Tuttavia nessuno sapeva cosa passasse per la mente dell'Antidiluviano tornato dalla morte, nessuno sapeva il perché del suo volontario esilio nel corpo di Tremere in persona. Quello era un segreto che solo Saulot conosceva e che cercava invano di celare al suo stesso cuore. In realtà Samiel sconfisse Mekhet in quell'antico duello, ed in realtà non poteva sapere che il demone-più-antico si potesse letteralmente reincarnare nel corpo di qualsiasi suo discendente, ma in realtà non c'era nessuno a poter testimoniare questa vittoria perché la lotta contro Mekhet ed i suoi servitori aveva visto morire tutti i Salubri che Samiel aveva portato con se. Quindi il Primo Cavaliere tornò da solo a casa e là diede la notizia della sua vittoria solo a suo padre ad a due dei suoi fratelli. A Saulot questa parve una notizia gravissima e la caduta di uno degli Antidiluviani poteva voler dire che grandi eventi si erano messi in moto e divenne ossessionato dal desiderio di sapere di più. Egli nella sua saggezza sapeva in quali luoghi del mondo il guanto che separa la Terra da altri mondi era più sottile e proprio là lontano dai suoi figli egli evocò un demone, poiché tale era la sua saggezza che persino quella branca della magia non gli era sconosciuta. Il demone che Saulot evocò colui il cui antico nome celeste quando era un angelo era Belial, primo luogotente della stella del mattino Lucifero durante la rivolta nei cieli; Saulot voleva la conoscenza e solo un essere creato nel momento stesso della creazione poteva dargliela. Saulot fece la sua richiesta : la conoscenza di ieri, oggi e domani, del tutto e del nulla. Belial fece il suo prezzo; Saulot gli avrebbe dovuto dare ciò che aveva di più caro al mondo. L'Antidiluviano soppesò attentamente questa richiesta. Per continuare ad usare Obeah avrebbe dovuto mantenere il suo cuore puro, cosa che non gli era mai riuscita facile e più invecchiava più sentiva che la lusinga del potere lo tormentava, inoltre con i suoi poteri egli poteva raggiungere lo stato di grazie della Golconda ma per farlo avrebbe dovuto fare la vita di un santo .... oppure avere la conoscenza assoluta. "Vieni figlio mio" "Certo padre, cosa debbo fare ?" "Nulla Samiel, solo ciò che fai sempre : servire il clan" "Lo farò con piacere padre" "Bene Samiel, e porta con te anche due dei tuoi fratelli" .... "Bene Saulot" disse una voce che aveva sfidato Dio stesso "il patto è concluso" Saulot da quella notte divenne il più grande saggio della razza vampirica e nei secoli a venire sarebbe diventato un profeta della fine dei giorni ed una guida per quanti volevano raggiungere Golconda. Ma del valoroso Samiel : malinconico, glorioso ed immortale, non si seppe più nulla. Ma si sa, i demoni sono crudeli creature ed a pochi andò giù il fatto che Belial avesse spifferato i suoi segreti a Saulot; così per la prima volta tutti i vampiri seguaci dell'infernalismo si unirono sotto una bandiera. Il potentissimo demone Baal fondò un suo clan, che in mancanza di un fondatore Antidiluviano ebbe il titolo di "linea di sangue", primo di molti clan bastardi che sarebbero nati nei millenni a seguire; essi presero nome di Baali e vantavano poteri demoniaci spaventosi, il vantaggio dell'uso della magia nera ed un'armata di demoni che marciava con loro. Essi non vennero per conquistare ma per distruggere : Baal aveva detto ai suoi seguaci che "La Maledizione inflitta da Dio a Caino era indegna, e una sola può esserne la spiegazione : Dio temeva Caino per XXVIII la propria indipendenza, per il rifiuto che egli opponeva ai suoi ordini. L'unico modo per onorare Caino è seguire i nemici del Creatore e combattere al fianco del Trono d'ombra. E sul trono d'ombra salì il primo dei Baali, il primo a subire il fascino del male; gli Antidiluviani sapevano dai suoi poteri che doveva essere qualcuno dei loro figli che aveva tradito passando al servizio del male ma nessuno voleva prendersi la responsabilità di aver generato un tale mostro di depravazione. Shaitan era il suo nome, egli era crudele, ossessionato dalla volontà di servire quelli che chiamava "i veri padroni" e senza freni morali. Durante la guerra i Salubri furono trattati come normali nemici, ma Baal non poté perdonare a Saulot i suoi commerci con Belial ed egli divenne il bersaglio numero uno : Shaitan in persona giurò di fare diablerie sull'Antidiluviano. Solo l'unione di tutti i clan potè fermare l'avanzata dei Baali e ricacciare all'inferno i loro alleati. Alla fine, dopo moltissimi anni di guerriglia, i clan presero d'assalto il tempio principale dei Baali ed i signori infernali poterono salvare il solo Shaitan. Nel medioevo i Baali ebbero un ritorno di fiamma, gli sforzi secolari di Shaitan per la loro rinascita avevano trovato terreno fertile nei tanti movimenti pagani o anticlericali di quel periodo. Saulot decise di usare Tremere come "incubatrice" per fuggire alla crociata nera che i Baali avevano indetto contro di lui, poiché nel medioevo le alleanze fra i clan erano minate da secoli di lotte di potere. Ed a tutt'oggi Shaitan esiste ancora, ed i suoi figli (i dodici "al'shaitani") e la loro discendenza si infiltrano fra i clan per portare corruzione e per spianare la strada all'avvento dei veri signori. In ogni grande città del mondo vi è posto nascosto e protetto da oscuri poteri denominato "Nido di Vipere" dove i Baali si riuniscono per portare avanti i loro oscuri piani e per conferire con Shaitan stesso.Arso dalle fiamme infernali e tuttavia ancora cosciente, tradito da suo padre, venduto alle creature che odiava di più, Samiel era oltre la disperazione. Voleva solo morire. "Datemi la morte, datemi la morte" implorava. Il Primo Cavaliere cadde, cadde in luoghi dove le leggi fisiche del mondo erano annullate, vagò in universi di puro caos, passò attraverso il piccolissimo squarciò fra i mondi da cui i demoni passavano dall'abisso al mondo materiale. Samiel vedeva, e la sua mente vacillò, la pazzia si fece strada nella sua mente e nessuno saprà mai dire quanto affondo l'abbia intaccata. Chi conosce infatti l'effetto che avrebbe sull'intelletto il trovarsi faccia a faccia con il potere di plasmare la realtà in forme orride e grottesche a proprio piacimento ? Nessuno. Alla fine Samiel e i suoi fratelli si resero conto che qualcosa li stava tenendo in vita, e li condusse fino al girone dove Belial stesso li attendeva : un luogo strappato al tessuto stesso della realtà, dove gli elementi si univano fra loro a sfregio del disegno originale del creatore. E là .... là venne alla luce il più grande segreto di questa storia, quello di cui persino Saulot era all'oscuro; quello che i custodi nel buio mormorano ai confini della notte a mezza bocca, una verità troppo terribile perché il mondo la possa sopportare. "Come ti senti, giovane vampiro ?" chiese una voce "Io ... uccidimi, uccidimi, te ne prego" disse Samiel "Si, hai combattuto per niente ma proprio per questo so che continuerai" Il cuore di Samiel era esacerbato : combattere ? Dopo il tradimento di suo padre ? Dopo che tutte e sue certezze erano crollate ? Il dolore lo investì come una mandria in corsa e gli ottenebrò i sensi. "No, io ... non combatterò più per mio padre" Qualcuno da qualche parte sorrise. "No, certo che noi ... per lui no" Delle voci lo chiamavano ma Samiel non vedeva più i suoi fratelli. Una musica bellissima e orrenda insieme lo pervadeva. "Non sei tu forse quello che veniva chiamato anche il vendicatore ?" "Si ....." "Bene, allora ascoltami, ascolta senza che io ti chieda nulla ciò che io dissi a tuo padre : La Maledizione inflitta da Dio a Caino era indegna, e una sola può esserne la spiegazione : Dio XXIX temeva Caino per la propria indipendenza, per il rifiuto che egli opponeva ai suoi ordini. L'unico modo per onorare Caino è seguire i nemici del Creatore e combattere al fianco del Trono d'ombra !" "No ...." "No ? No, Samiel ? A chi credi ? A tuo padre che ti ha mentito, a Caino che vi abbandonato o a me che ti sto svelando la verità ?" Samiel non rispose. "Samiel, sei stato ingannato ! Io c'ero quando Lucifero la stella del mattino si rivoltò contro Dio per salvare i figli dell'uomo dal servilismo che il creatore voleva da loro e Dio ci ha puniti per la nostra voglia di giustizia" "Tu .... tu hai convinto mio padre a cedermi a te" "No, Samiel, io l'ho messo alla prova e lui ha fallito, egli sarà perseguitato in eterno" Ci fu un lungo silenzio, rotto solo da suoni senza senso e senza origine in lontananza. "Cosa vuoi tu da me ?" chiese Samiel. "Aiutarti, voglio portare la parola della vera giustizia fra voi vampiri. Tu hai assaporato quella che tuo padre chiama giustizia e quella che io chiamo con quella parole, a quale credi ?" Samiel fu invaso dal fuoco infernale, il suo cuore aveva risposto per lui. Una risata, tanto forte che avrebbe potuto distruggere la Terra stessa, sconquassò il regno di Belial. Samiel sentì la sua fronte squarciarsi, là dove un tempo c'era il suo terzo occhio si formò un pentacolo. "E' fatta allora !" disse Belial. E Samiel si trovò in un immenso tempio rosso e nero, il cui soffitto era invisibile per via dell'altezza e nella cui navata sarebbe entrata più di una cattedrale costruita anche in futuro dall'uomo. "Io ti insegnerò a leggere il peccato ed a spaventare la gente con esso, ad evocare le fiamme infernali, a materializzare le paure degli altri, a maledire la carne, ad ottenere favori dai demoni, ad evocarli" Samiel finì il suo volo e venne adagiato da mani invisibili sul pavimento. "Certo" fu quello che riuscì a dire, e guardandosi la mano capì che il fuoco demoniaco lo aveva cambiato non solo nello spirito ma anche nel corpo. "Adesso ti manderò sulla Terra per essere il nostro araldo Samiel, adesso tu porterai la nostra parole come cavaliere nero e non ti curare delle sconfitte che subirai : alla fine la vittoria ti arriderà, noi ti proteggeremo sempre e come prova della mia sincera amicizia ti rivelerò il mio segreto : ogni demone ha due nomi, uno che può pronunciare ed uno segreto, Belial è il nome che tutti mi danno ma il mio nome segreto, il nome con cui tutti mi adoreranno sarà Baal, hai capito Samiel ?" ..... "Si, ma non chiamarmi Samiel, egli è morto" "Come debbo chiamarti ?" "Come chiamano le popolazioni mesopotamiche il male assoluto ?" Baal gli disse quel nome e Samiel per la prima volta dopo il tradimento di Saulot sorrise e Baal si chiese dalla malvagità di quel sorriso se non avesse dato vita a qualcosa di più potente di quanto immaginava. "Allora chiamami così da ora in poi : Shaitan XXX Le origini Corro per la strada con il sangue che cola ancora dai miei artigli della bestia sguainati, libero e selvaggio come lo sono sempre stati i miei antenati fin dal tempo della prima città, vertice di una catena alimentare che ci ha posti al di sopra degli stessi vampiri. Noi siamo Gangrel, i predatori, ed io appartengo all’ultima evoluzione di questo sangue, a coloro che non hanno avuto paura di abbandonare i boschi quando i tempi hanno trasformato le città nel nuovo terreno di caccia. City Gangrel ci chiamano, predatori urbani dico io. Quasi non tocco l’asfalto coi miei piedi quando corro, i membri del mio pack sono già fuggiti per altre direzioni prima che la polizia o qualche vampiro della Camarilla possa accorrere sul luogo del nostro assalto. Siamo corsi via gioendo per la nostra vittoria prima ancora che il corpo di quell’anziano Nosferatu di nome Bruno fosse diventato cenere. Certo se qualcuno mi vedesse correre a questa velocità e con gli artigli sfoderati la Masquerade a cui quei bastardi camarillici tengono tanto avrebbe un duro colpo, e la cosa mi stuzzica ma non posso permettere che i cacciatori invadano in segreto la città dando la caccia anche a me ed agli altri pack. Inizio la mutazione cellulare del mio corpo (mi hanno detto che si dice così) e nella mia mente formo l’abituale idea del pipistrello, mentre il mio corpo assume quella forma. La sensazione ormai la conosco bene, il mio corpo di rimpicciolisce ma quasi non me ne accorgo, ad un certo punto mi alzo in volo. Beccatemi adesso bastardi lecca-il-culo-agli-anziani. Adesso stò volando verso il rifugio del mio pack, ed un senso di invincibilità scende su di me. Un’anziano è morto, c’è un manipolatore di meno nella Jyhad, ho compiuto il mio dovere di sabbatico, così come meno di un mese fa ho ucciso con sommo piacere quel maledetto Toreador infernalista facendo il mio dovere di cavaliere inquisitore, il ruolo che mi fu affidato tanti secoli fa da Gratiano de Veronesi. Gratiano .... il suo sogno .... So già che mettere per iscritto queste cose sarà una cazzata, ma visto che molti neonati del Sabbat stanno mostrando sempre meno rispetto per i valori che secoli fa ci hanno fatto iniziare la nostra lotta forse è ora che qualcuno gli rinfreschi la memoria e, sapete com’è, io c’ero. Correva il 14esimo secolo, non chiedetemi l’anno perché non lo so, non so nemmeno quando sono nato. Ero un contadino polacco che abitava coi suoi in un podere che ovviamente non era nostro. Mio padre pagava le tasse al padrone ... per il passaggio sul ponte, per camminare sulla strada feudale, per respirare ... e quando dovette partire per la guerra io e mia madre piangemmo per paura che lui non tornasse più. Una banale malattia mi tolse i miei molto presto, non dovevo avere più di vent’anni ; curioso, non ricordo molto di quegli anni, non tanto come dovrei, ma ricordo bene la loro morte. Ero arrabbiato, ero furioso, il mio mondo era caduto, ma c’erano sempre le tasse a pagare al padrone, ed io rimasi sconvolto da come quel viscido figlio di puttana non fosse minimamente toccato da quella tragedia. Lavorai da solo finchè potei, poi mi resi conto che per pagare i debiti che stavo contraendo con quella merda di feudatario sarei finito morto o peggio, schiavo più di quanto già non lo fossi. Così una notte seguì il richiamo per il vicino bosco, presi le poche cose che possedevo e scappai. Ricordo ancora il richiamo della vita selvaggia della foresta, è da molto che non lo sento più ma allora era ciò che provavo; nel bosco libero e ferale nessuno poteva nuocermi, perché gli animali sono migliori dell’uomo, non fosse altro che loro non li vedi scannarsi a vicenda XXXI per una sporca manciata di dischetti di metallo. Là incontrai il mio sire; non fu un’abbraccio facile il mio perché fu dettato dalla voglia sua di alleviarsi la solitudine, oppure dalla necessità di avere un’altra persona che controllasse il suo vasto bosco. Mi prese mentre passeggiavo in pace con la natura nel bosco, mi placcò brutalmente, affondo i suoi canini sul mio collo e poi mi fece divenire cainita. No, Lucius non si preoccupò mai di darmi troppe spiegazioni : “Adesso sei un vampiro, niente altro devi sapere ; io sono il tuo sire, su di te ho diritto di vita e di morte”. In realtà fu lui a far cadere in me gli ultimi barlumi di Umanità ed a iniziarmi al sentiero d’illuminazione della Bestia, fu lui ad insegnarmi che il vampiro null’altro è se non il vertici della catena dei predatori e che la bestia che sonnecchia all’interno di ognuno di noi e che si manifesta con la sete di sangue e violenza gratuita nota come frenesia vampirica è anche meno disposta a ribellarsi se le si dà un lungo guinzaglio che l’assecondi. Fu anche lui a mostrarmi i pericoli dell’avere a che fare con la nemesi della nostra condizione di vita vampirica, a cui noi Gangrel siamo straordinariamente vicini : i licantropi, o lupini. Mi spiegò, ed i fatti mi hanno sempre dato conferma, dell’amore di questi esseri per la vita selvaggia, per la natura incontaminata; noi Gangrel e loro avremmo anche potuto essere alleati se non fosse stato per l’odio che i lupini nutrono per noi da sempre, dall’epoca di Caino in persona essi non vogliono altro che la nostra distruzione e che fra tutti i vampiri la gente del nostro clan era la più dotata nel combattere contro di loro, forse a causa di millenni di sfide per i territori : i nostri artigli provocano ferite difficilmente assorbibili e curabili anche per i lupini ed uno dei poteri innati di noi Gangrel invece è proprio la maggiore resistenza alle ferite di queste creature, senza contare i nostri poteri sulle masse animali e la nostra capacità di mutare forma in pipistrello o lupo stesso. Nel complesso non era un sire peggiore dei suoi pari, era un’anziano e come tale mi considerava un’oggetto di sua proprietà da usare senza ritengo; alla fine era solo il frutto di un determinato modo di pensare, anche se questa non è certo una scusa. La mia non-vita passò senza novità di rilievo per non so quanto tempo, ma non dovevano essere passati troppi decenni da quando era diventato un vampiro che nel bosco polacco da cui ormai pensavo che non me ne sarei più andato arrivò la persona che avrebbe cambiato tutta la mia esistenza, ricordo quel momento come se fosse ieri e non come, nella realtà, se quasi 700 anni mi separassero da quella notte. Gli animali di guardia mi vennero a dire che un’estraneo era arrivato nel territorio ed io andai a controllare, se non era uno degli abituali taglialegna o boscaioli allora era una minaccia. Lo trovai che camminava tranquillo per un sentiero della foresta, indossava un’elegante vestito scuro che lo indicava come un cittadino, al fianco aveva una spada molto decorata che mi fece capire che non doveva essere povere; la sua pelle pallida ed il fatto che camminasse con quella flemma di notte mi fecero pensare che anche lui fosse un vampiro. Non avevo mai incontrato cainiti che non fossero del clan Gangrel, e pochi anche quelli, ma il mio sire Lucius mi aveva detto che avevano poteri diversi dai nostri ma comunque enormi e pericolosi. Diceva che non avrei avuto problemi ad uccidere un Toreador o uno Tzimisce che non fosse riuscito a trasformare il suo corpo con poteri simili ma diversi dai nostri, ma che dovevo guardarmi da vampiri guerrieri come i Brujah o gli Assamiti venuti dall’oriente per commettere il più orrido degli atti, la diableriè, il consumo del sangue di un’altro vampiro fino all’ultima goccia per assorbirne l’anima ed i poteri, un’atto che faceva tremare di paura anche il mio sire. Sfoderai gli artigli e rimasi in guardia. Non ho mai saputo come fece (anche se con tutto quello che ho visto in questi secoli non mi stupisco più dei poteri dei figli di Caino), ma quel vampiro cittadino guardò nel cespuglio dove ero sicuro di essermi nascosto alla perfezione, sorrise con quell’aria ironica e perennemente calma che avrei presto imparato a conoscere e mi disse con una voce calda ed amichevole : “Esci fuori di là, Gangrel, non intendo fare del male né a te né ai tuoi fratelli, XXXII desidero solo passare indisturbato”. A quel punto avrei potuto anche lasciare gli animali a guardia di quell’estraneo e farlo passare per il bosco, attaccandolo solo se si fosse dimostrato pericolo; spesso mi sono chiesto cosa sarebbe successo se lo avessi fatto, dove sarei adesso, se semplicemente sarei ancora a camminare in questo mondo. Fatto stà che non lo lasciai andare così. Uscì dal cespuglio e mi mostrai a lui. E la mia non-vita venne cambiata per sempre. All’inizio gli dissi che l’avrei condotto dal mio sire affinchè lui lo interrogasse e quel vampiro cittadino mi sorrise dicendo che davo troppa importanza al giudizio del vampiro che mi aveva reso tale; questa sua affermazione mi arrivò come un giramento di testa, perché era un’idea totalmente nuova e rivoluzionaria : cos’ero io se non un possesso, un’estensione del mio sire ? Mi vide evidentemente perplesso e mi chiese se fossi un Gangrel e se il mio sire fosse l’anziano che dominava su questo bosco, gli risposi di si e lui continuò a sorridere, ma che mi sbrani un lupino se quel sorriso non era diverso da tutti quelli che mi aveva elargito prima. Il mio istinto predatorio a quel punto si risvegliò e gli chiesti chi fosse lui e a quale clan appartenesse, lui senza scomporsi di disse di chiamarsi Gratiano de Veronesi del clan Lasombra, venuto dall’Italia per raggiungere i Carpazi. Ora, io non avevo la minima idea di dove fosse l’Italia ma sapevo bene che i Carpazi erano molto più a sud, ed erano il regno dei vampiri più crudeli della terra, gli Tzimisce, e mi parve strano che una persona che doveva avere una cultura si fosse sbagliato strada così tanto. Inoltre sapevo anche ,da quello che il mio sire mi aveva detto, che i Lasombra erano il clan di cainiti più vicino alla chiesa di Roma, e per me la chiesa non era altro che una massa di pretacci che avevano reso più povera la mia famiglia con le decime. Gli dissi che comunque Lucius avrebbe dovuto parlargli e lui non fece obiezioni a seguirmi, ma mentre camminavamo nel bosco lui si mise a chiacchierare con me, non vedendoci nulla di male acconsentì. Era tutta una tattica adesso me ne rendo conto, una tattica molto Lasombra debbo dire; subdola e calcolata. Mi iniziò a chiedere cosa avesse fatto il mio sire per me ed io pieno di orgoglio per Lucius dissi che mi aveva fatto dono dell’immortalità; lui annuì e mi chiesa cosa io facessi per il mio sire, ci pensai un po’ ed iniziai un’elenco alla spicciolata : cercava gli animali migliori da rendere ghoul, facevo il guardiano della foresta, mi occupavo di fargli nuove pellicce e di rendere sempre efficienti le sue armi, mi occupavo di tenere sott’occhio le attività del lupini. A quel punto Gratiano mi chiese di nuovo cosa facesse il mio sire per me ed io rispondendogli ancora che mi aveva dato il dono dell’immortalità mi accorsi che mi sembrava un po’ poco visto che sembrava che l’immortalità per me non fosse altro che una serie interminabile di servizi per Lucius. Il Lasombra allora mi chiese se conoscessi per caso un’altro Gangrel che si trovava in un bosco più piccolo ad ovest, sapevo bene di chi si trattava, era anch’egli figlio di Lucius e fungeva da sentinella in quella macchia boscosa così vicino alle grandi città. Allora Gratiano mi disse di essere passato di là notti prima e di aver visto uno spettacolo che mi raccontò con una maestria che ancora oggi mi fa ricordare ogni parola : i cacciatori di streghe avevano teso un’agguato al mio sire mentre passava di là per ascoltare il rapporto di Lucius, c’era stato un combattimento a cui sia il mio sire sia l’altra sua progenie avevano partecipato, il mio “fratello” era sicuro della vittoria non fosse altro per la potenza di Lucius. Ma Lucius non era rimasto. Quando aveva visto che i cacciatori stavano combattendo con una marea di paletti di legno, torce infuocate e con persino qualche prete il cui santo tocco era la prova della nostra divina maledizione, allora era fuggito, lasciando suo figlio a saziare la sete di sangue vampirico dei cacciatori umani. Rimasi di stucco a guardare la faccia adesso impassibile di Gratiano, gli chiesi con voce asciutta se scherzasse e lui asettico rispose di no, un no che rimbomba nei secoli fino ad adesso, che stò scrivendo queste parole al sicuro del mio rifugio sabbatico, il luogo dove quel no mi ha portato. Ero in preda al panico ed alla confusione, gli urlai di andarsene via e lui mi prese in XXXIII parola, quando mi ero sufficentemente calmato mi accorsi che Gratiano se ne era andato. Dovevo sapere, corsi da Lucius urlando, dovevo sapere ! Lo trovai nella grotta sul pavimento di terra che gli faceva da rifugio e lui parve molto scocciato dal vedermi, gli chiesi se era vera la storia di quel Lasombra e lui per tutta risposta mi domandò perché non lo avessi portato da lui. Io non feci altro che ripetere se quella storia era vera. La sua risposta arrivò sotto forma di un’artigliata che mi squarciò dolorosamente parte del petto, facendomi cadere a terra. Da lì guardavo Lucius e capì che si, era vero, col sangue che mi riempiva la bocca e mi rendeva difficile parlare gli chiesi se avrebbe fatto la stessa cosa anche a me se i cacciatori di streghe fossero giunti fin là : dovevo credere che il mio sire tenesse a me ! Ma lui no, lui no. Mi disse che certo, sacrificarsi era il primo dovere di una progenie. “E adesso torna al tuo lavoro” ........ “Si, sire” Quel giorno mi addormentai i sognai la scena che Gratiano mi aveva descritto : fuoco, luce divina, spade che tranciano le carni e poi il dolore, il dolore di un tradimento troppo grande per poter essere perdonato .. mio fratello morto per salvare il mio sire. Aprì gli occhi poco dopo il tramonto, sapevo che Lucius non si sarebbe risvegliato per un po’. Per la prima volta sentì in me scorrere più forti del sangue i sentimenti che avrebbero guidato la mia esistenza fino ad oggi, a quasi 7 secoli di distanza da allora. Sentì dentro di me la rabbia e l’orgoglio. Mi mossi come un felino, presi un pezzo di legno appuntito, mi avvicinai al corpo di Lucius, assaporando gli ultimi secondi in cui non ero ancora un fuorilegge, un criminale del mondo vampirico. Sapevo che dovevo sbrigarmi perché se il mio sire si fosse svegliato non avrei avuto molto scampo. Gli appoggiai il paletto sul cuore e dissi la frase che rappresentava uno dei primi insegnamenti del sentiero della Bestia : “Il lupo forte prende il comando del branco dal lupo debole”. E spinsi il paletto nel cuore del vampiro che mi aveva reso tale. Non so per quanto tempo rimasi là a guardare Lucius, immobile invece di essere sveglio. Mi chiese se gli avessi tolto il paletto cosa sarebbe accaduto, se si fosse ricordato di ciò che era successo o se invece mi avrebbe aggredito fino a portarmi alla morte ultima per il mio atto. Ma in fondo neanche per un’attimo avevo pensato di lasciarlo così per sempre, eppure come potevo rischiare ? Ma allo stesso tempo come rischiare la mia non-vita, la mia immortalità ? Il sentiero della Bestia dice : “Il lupo non permette mai che la morale o la logica mettano a rischio la sua sopravvivenza”. Era così, me ne sarei andato e che Lucius rimanesse là fino alla fine dei tempi. Ma mentre lasciavo per sempre quella caverna mi venne in mente un suono; strano come un semplice suono può cambiare per sempre una vita, no ? Era un suono che dovetti ascoltare bene per capire che proveniva da dentro la mia testa ed ancor di più dovetti aspettare per capire cosa quel suono fosse. Poi capì. Era il suono di un giovane vampiro del clan Gangrel, che nel momento della sua morte chiamava il suo sire. Ma il suo sire non venne, non venne. Eccole di nuovo .... La rabbia e l’orgoglio. Affondai i miei denti nel collo del mio sire immobilizzato; secondo voi può piangere un vampiro ? Io non lo so, ma so che piansi mentre succhiavo sangue, anima e poteri dal corpo di Lucius. Non so neanche se, pur paralizzato, egli era cosciente, ma vi giuro che io ancora oggi spero che fosse cosciente. Mi senti lurido bastardo ? La tua anima adesso è mia ! I tuoi secoli sono miei ! Questa è la diableriè che tu tanto temevi ed è tuo figlio che la compie, non un’Assamita che viene dalle terre dove la gente prega Allah ! Le senti le urla dell’altro tuo figlio che hai mandato a morire ? Le senti bastardo ? Lui credeva in te ! Bastardo ! Per i nostri padroni noi cosa siamo ? Siamo il prezzo da pagare per la loro immortalità ma vogliono che stiamo nel nostro bel già tracciato, se no per noi è a vista ! La nostra vita per loro vale meno del cadavere di un’uccello trascinato dal vento di una strada desolata. Bastardi ! Dopo che il cadavere di Lucius scomparve nelle mie mani, dopo che il paletto che ormai bloccava il niente cadde a terra e dopo che sentì il potere del suo sangue anziano scorrere nelle mie vene e portarmi più vicino di un passo a Caino, allora lasciai quella caverna, XXXIV lasciai quel bosco, lasciai la Polonia. Per non tornare mai più. Corsi per i sentieri libero e selvaggio, come i miei antenati avevano sempre fatto fin dal tempo della prima città. Noi siamo Gangrel. Allora mi chiesi dove potevo andare, dove un fuorilegge come me poteva trovare riparo per aver commesso un’atto così orrendo su uno dei suoi simili; poi capì, capì che dovevo rivedere quel sorriso beffardo, che accanto a quella persona non sarei più stato solo ed indifeso contro il male. Corsi fuori dal bosco che per tanto tempo era stata la mia casa e corsi ancora per le praterie che lo circondavano, finchè non li ritrovai. Sedeva su un piccolo masso sul limitare di un sentiero, sembrava mi aspettasse e quando mi vide arrivare si alzò in piedi e sorrise, ed io mi sentì pervadere di una sensazione di piacere : avevo trovato un nuovo mentore una persona degna di essere servita e mi avrebbe trattato con rispetto, qualcuno che sarei stato orgoglioso di aiutare. “Io sono Ian .... Ian Valek” dissi Lui mi porse le sua mano, trattandomi come un suo pari, ed io mi riempì di gioia perché in quel momento capì di non essermi sbagliato. Strinsi quella mano prima che sparisse come un bel sogno all’alba ed ascoltai le sue parole. “Credo che il viaggio fino nei Carpazi sarà lungo, vieni con me, se non hai niente di meglio da fare.” Sorrideva ancora come solo lui sapeva fare, un sorriso che continua a seguirmi ancora adesso che lui non c’è più, adesso che la sua idea però è viva nei cuori di tutto il Sabbat, l’idea che mi fa andare avanti notte dopo notte nonostante il disprezzo, nonostante le difficoltà. L’idea che in meno di cinquant’anni avrebbe cambiato il mondo dei vampiri per sempre, un idea che era un sogno, un sogno che si realizzò quando lui firmò un documento chiamato Codice di Milano in cui fondava la Spada di Caino che avrebbe dato la libertà ai cainiti del mondo, ed io era presente all’inizio di quel viaggio. Per questo quando ci raduniamo per le festività sabbatiche io ricordo sempre quel Lasombra, il cui semplice sogno di libertà cambio tante vite e le cambia tutt’oggi. In fondo chi è veramente grande se non chi riesce a far condividere il suo sogno a tante altre persone ? Per questo io, che adesso caccio nelle strade di città invece che nei boschi e che vesto di giubbotti di pelle invece di una pelliccia di animale, ancora adesso amo salire su di un palco ed urlare al cielo per farmi udire dal padre oscuro Caino e a Gratiano che siede alla sua destra un solo ed unico grido : Gratiano scomparve in una notte di oltre 500 anni fa. Gratiano vive. Viva l’arcivescovo Gratiano da Verona. Gratiano vive ! “Si può scegliere di ignorare la propria tenebra interiore e di cercare di ricacciare i demoni noti come paura, odio e rabbia sempre più in fondo all'anima; oppure si può tentare di cavalcare la tenebra interiore e di usare la forza di questi demoni senza fargli prendere il controllo. E' il dominio e la consapevolezza sulla nostra tenebra che ci rende ciò che siamo" XXXV (Gratiano de Veronesi, del clan Lasombra, ex anarchico, ex antitribù, fondatore del Sabbat, progenie di Luciano detto Lasombra, diablerizzatore di Luciano detto Lasombra, Arcivescovo della Mano Nera) Sangue ed anime per il dio-demone dei Violatori ! Lunga vita al fulgido impero di Argentea ! "Nos Sumus Militia Daemonorum" "Fatece largo che passamo noi sti Violatori de stò campo bello, semo guerrieri fatti cu' spadune e le guerriere famo 'nnamora" "Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se stessi e per gli altri che ovunque passino i Violatori quasi tutto muore e cio che non muore desidera la morte" XXXVI ESMUN Ore 23:45, Lochranza, uno dei maggiori centri abitati dell'isola di Arran. "Questa notte - si disse Larry - questa notte sarà l'ultima!"Era da più di cinque settimane che Larry Logan era stato trasferito al turno di notte, ben cinque settimane di fatica, noia e soprattutto sonno. Se c'era una cosa che Larry odiava era stare alzato a lungo la sera, figuriamoci fare nottata fino all'alba: "nossignore, la notte è fatta per dormire!" si ripeteva ogni volta, e per di più la dolce consorte Marylin non faceva altro che lamentarsi dell’accidia del marito approfittando di ogni occasione per elencarne tutti i difetti, che a parer di lei erano uno peggiore dell'altro senza dimenticarsi, tra le altre cose, la leggera calvizie ed il prominente addome. "Dovrebbe starci lei quassù, ed io dormire in quel bel letto a due piazze..." Per di più lavorando a quell'ora la possibilità di incontrare qualcuno era praticamente inesistente, e pensare che a Larry piaceva tanto fare due chiacchiere, magari conversare con dei turisti spiegando le bellezze dell'isola, oppure si accontentava di commentare le prodezze del Liverpool con qualche vecchietto del posto, la cosa migliore poi era quando l'autobus si riempiva di gente e poteva ascoltare tutte quelle conversazioni così strane che lo facevano sempre divertire, ma da quando faceva orari notturni tutto questo apparteneva solo al passato."Basta domani o torno al mio vecchio posto o mi dimetto!" e colpi duramente il volante per conferire solennità alla sua decisione.La linea del 24 che passava dopo le 21:00 attraversava la periferia a sud-est della cittadina, faceva un ampio giro costeggiando le colline e si riuniva alla statale A 841, per tornare infine verso il centro: poi il municipio, la chiesa di St. James, il museo di scienze botaniche e via verso Victoria lane su cui si affacciavano gli unici alberghi della cittadina. Dopo qualche secondo il 24 si appresto' ad imboccare la statale, ed alla fermata posta sul ciglio della strada, a circa una trentina di metri, Larry vide chiaramente qualcuno che lo stava aspettando. La figura sembrava un uomo ben messo o una donna avvolta in un grande cappotto, capelli corti, capo leggermente chino, lo sconosciuto sembrava immobile e la luce giallognola del lampione vicino non faceva altro che conferirgli una sinistra sensazione di malattia. Larry si accostò al marciapiede e aprì la porta anteriore aspettando di ricevere il passeggero con uno dei più calorosi sorrisi di cui era dotato.La figura salì i gradini e appena entrato sotto la luce biancastra dell'autobus Larry poté constatare che si trattava di un uomo bianco sulla quarantina forse, con occhi leggermente incavati e il volto affilato, un ciuffo grigio, più ribelle degli altri, gli ricadeva sulla fronte spaziosa tormentata da pesanti rughe. L'uomo si avvicinò all'autista e tirò fuori un pezzo da dieci:"chiesa di St. James" disse senza indugiare.La sua voce era bassa ed uniforme e le ombre che gli contornavano le orbite non permettevano di vederne l'espressione.Larry fece il biglietto, lo timbrò, afferrò la banconota e fece il resto: il tipo non gli piaceva affatto. L'uomo prese il resto e si mise dietro il conducente accanto al finestrino. Il 24 riprese la sua marcia.Il clima in questo periodo era stato particolarmente intransigente ad Arran: un susseguirsi di temporali, piogge e venti gelidi. I meteorologi lo attribuivano alle ripercussioni causate da un ciclone che nel centro America stava imperversando le coste orientali, i più' pensavano si trattasse dell'ennesima manifestazione del "cattivo tempo inglese" con tanto di pioggia a catinelle e basse temperature, gli anziani, poi, e coloro a cui piaceva fantasticare, ipotizzavano si trattasse dell'avvicinarsi dell'ultimo del mese ritenuto sin dal medioevo presagio di sventura; ma in un'era come quella odierna cosi' irriverente verso le superstizioni più' radicate e le fantasie più innocue il 29 febbraio non poteva essere che un giorno come tanti altri. La chiesa di St.James dominava la piazza di Westminster da più di tre XXXVII generazioni: un tale Richard Miller decise di avviarne la costruzione nel 1814 e di battezzarla col nome di St.James che da allora divenne patrono della cittadina. La scarsa illuminazione consisteva in un numero sparuto di lampioni in ferro battuto che gettavano ombre fino agli angoli della piazza: il ritmo delle lancette di un orologio vicino alla fermata dell’autobus sembrava scandire l'accendersi e lo spegnersi del giallo dei semafori.Larry entrò nella piazza dal lato nord, si accosto' al marciapiede e, senza dire niente, vide l'uomo alzarsi e scendere dall'autobus. Il conducente seguì con lo sguardo il passeggero attraversare la strada, poi riprese il suo cammino. L'uomo attraversò con passo deciso la strada deserta e con sguardo guardingo si diresse verso l'ingresso della chiesa. Le scure pietre massicce conferivano alla costruzione vagamente gotica una sensazione di affascinante solennità: la parte alta della chiesa era costellata di pesanti guglie che sembravano erigersi a sfidare il cielo mentre mostruose creature di pietra sporgevano dagli angoli con le loro sembianze inumane e grottesche. L'uomo pose una mano sulla grande porta scura tempestata di borchie di ferro e non si stupì affatto di trovarla aperta, per un lasso di tempo impercettibile sembrò sorridere, poi vi scomparve dietro.L'interno della chiesa era lievemente illuminato da due serie di candelabri posti ai lati della sala. Tutto era in perfetto ordine: le due file di panche centrali, l'altare col crocifisso, gli enormi quadri raffiguranti momenti biblici e persino il confessionale in fondo alla chiesa; ma c'era una piccola eccezione a tutta questa normalità, un particolare di grande importanza per l'uomo e che era nascosto proprio lì dentro. In realtà Vardek poteva sentirne chiaramente il sentore: l'odore stantio della paura e del sangue producevano un effetto inebriante nelle narici del "morto" rendendolo ancor più impaziente, ma, come gli aveva insegnato Julian, la più grande dote del cacciatore era la freddezza, e Julian in fatto di caccia ne sapeva parecchio. Niente, niente su tutta quanta la faccia della terra era così eccitante quanto il sentire il sapore della paura in un essere alto tre metri ricoperto di pelo e dotato di 15 cm. di artigli; e pensare che quasi tutti i "morti" fuggono da questi esseri: il solo nome ne provoca il terrore, la sola vista e' pazzia, eppure c'era qualcuno disposto a sovvertire la catena biologica, l'ordine delle cose, e a dare loro la caccia: gli "accalappia cani" li chiamava Julian, ed invece erano uno degli Ordini più antichi e fieri del Sabbat: "kelt-ha-aruun" venivano chiamati dalla notte dei tempi, "flagello degli uomini lupo" il suo significato.Lentamente scivolò nella penombra mentre gli occhi acquistavano la capacità di penetrare le tenebre fino a distinguere i più tenui cambiamenti di tonalità, e le rifiniture più minuziose delle cornici dei quadri. Deliberatamente decise di non avvalersi di nessuna capacità di mimetizzazione e si limitò a farsi scivolare a terra il cappotto mentre l'odore della preda aveva invaso tutta la cattedrale."ti sento...." disse a voce alta"ti vedo...." affermò fissando l'oscurità dietro l'altare, simile al segugio intento a puntare la preda nascosta dentro un cespuglio vicino.L'aria sembrò caricarsi di elettricità: adesso non solo ne sentiva l'odore e ne vedeva l'enorme sagoma, ma poteva tranquillamente udirne il respiro. Tutto era calmo, nessun rumore esterno od interno turbava la scena, come se il mondo intero si fosse fermato a guardare in silenzio, un silenzio di reverenza e rispetto di fronte ad uno degli eventi più antichi della terra: la lotta per la sopravvivenza.Un secondo più tardi un'ombra si stacco' dal pavimento piombando con incredibile velocità sul malcapitato; un ruggito, una raffica di vento e la pesante mano uncinata si abbatté sull'uomo aprendogli profondi solchi dallo sterno all'addome e gettandolo a terra in preda a violente convulsioni. La bestia rimase qualche secondo a guardare la vittima drizzando i peli sulla massiccia schiena e passandosi velocemente la lingua fra le dita raccogliendo ogni più piccola traccia di carne e sangue: era consapevole di averlo ferito gravemente e quel che più' importava era riuscito a mettergli paura. Vardek strinse i denti per il dolore contorcendosi e coprendosi il corpo con le braccia: un'ondata di panico lo aveva assalito, gli squarci erano profondi, lo sapeva, ma XXXVIII sapeva altrettanto bene che si sarebbero richiusi in pochi secondi, la cosa peggiore era il sangue perso, poteva chiaramente vederlo sul pavimento e sui suoi vestiti. Fortunatamente si era spostato: l'artigliata era diretta sulla sua testa e non sul corpo e una ferita del genere avrebbe potuto anche staccargliela di netto. Si alzo' barcollante e vide la formidabile costituzione del suo avversario: il "crinos" era alto più di tre metri lievemente chino su se stesso come se fosse pronto a scattare, gonfi e pesanti muscoli coprivano i 90 kg di ossa e una folta peluria grigiastra nascondeva il tutto. Il volto, chiaramente canino, era contratto, gli occhi scuri sembravano sprizzare ira e desiderio di violenza, ma la parte più inquietante di quel mostro erano le fauci: enormi, bianche, affilate, grondanti di bava, erano immobili come soldati intenti a prendere la mira prima di colpire, e se gli artigli potevano squartare un cavallo, un morso era in grado di strapparne la testa di netto in una manciata di secondi.La bestia non perse tempo e sicura di sé balzò nuovamente in avanti affondando il braccio destro negli intestini della vittima lacerando carni e viscere e facendo fuoriuscire le interiora. Il sangue che il vampiro perdeva era incalcolabile, le ferite sicuramente mortali per chiunque; il cacciatore rimase in piedi qualche secondo con le braccia inermi lungo i fianchi, il corpo chino, poi cadde a terra in ginocchio e l'uomo lupo seppe di aver vinto. Si avvicino' con la bocca semi spalancata impossibilitato a chiuderla tanto erano contratti i muscoli e con aria di trionfo alzo' il muso verso il soffitto ed ululò per qualche secondo, poi tornò sulla sua preda, sembrava proprio che i ruoli si fossero invertiti, agguantò con una mano artigliata i capelli del "morto", avvicinò la faccia alla sua e gli ruggì in pieno volto. La bestia rimase a studiare l'avversario: aveva la bocca lievemente aperta da cui usciva un rivolo di sangue, gli occhi chiusi, il corpo immobile; la sua superiorità era indiscussa come la sua forza e la sua vittoria. Scaraventò il cadavere sulle panche vicine: questo urtò i sedili e proseguì la sua corsa portandoseli dietro tutti e raggiungendo l'altare, tanta era la violenza con la quale era stato scagliato. Senza perdere tempo il "crinos" piombò nuovamente sul nemico colpendolo una, due, tre volte, e ad ogni colpo sul corpo del vampiro comparivano nuove e pesanti ferite, e ogni volta erano ingenti le quantità di sangue perso. L'uomo lupo continuò a colpirlo ripetutamente poi si fermò, si mise dietro la vittima, spalancò le fauci bavose pronto a sferrare l'ultimo colpo, quindi si avventò sul collo dello sfortunato per sentire la carne cedere sotto i suoi inesorabili rasoi. I grandi numeri romani segnavano le due in punto. I rintocchi dell'orologio scandivano la macabra danza delle scheletriche foglie animate dal vento notturno. Una solitaria nube nascose al mondo la luna per qualche secondo, poi ricomparve ad illuminare le nude pietre della città: questa notte era di scena la sovrana di tutte le lune, quella piena.Una vecchia canzone gitana era solita narrare: …finché la Luna splende,come il sole la Luna è gemella di morte,Lei non brucia, Lei sbrana, e taglia, e lacera, e squarta, Lei non tramuta in cenere o polvere ma in carne straziata, ossa rotte, pozze di sangue,perché quando Lei è tutta i Suoi figli sono più forti che mai, e se Lei splende bellissima, e spettrale nel nero abisso del cielo nero,le Sue creature trovano il coraggio di scivolare fuori dalle tane, e dai rovi la grande bestia scopre la via per la città dei "dannati" ed è canto di lupi, pazzia di uomini, terrore di "fratelli",frenesia di carne,e a uno a uno cadono i "dannati" come vecchi storpi senza bastone, nella furia dei figli della Luna mentre Lei bellissima, e casta, e santa, e non maligna mai,senz'occhi ti guarda e senza bocca grida il tuo nome, e il vento corre, e le orecchie dei Suoi figli ascoltano, e l'indomani un "dannato" in più cadrà; finché la Luna splende...La furia negli occhi disumani del licantropo aveva preso il sopravvento e il corpo tutto era teso, come un arco che scaglia le sue frecce di morte contro un bersaglio già caduto e vinto.L'osso del collo stridette sotto la presa d'acciaio della bestia, "un altro secondo", XXXIX pensò l'animale, un altro e si sarebbe spezzato; ma quel secondo sembrò non giungere mai e, anzi, il suo collo si ispessiva e nuova carne cresceva aumentandone le dimensioni. Il "crinos" tenne salda la presa flettendo ancor più i muscoli della faccia e del collo fino allo spasimo, fino allo svenimento, ma senza controllo la morsa cedeva e le fauci si alzavano. Poi un ruggito squarciò la chiesa, come in risposta dal cielo, un tuono balenò luminoso, l'uomo lupo venne poco a poco sollevato da terra e scagliato lontano addosso al crocifisso che, rompendosi alla base, cadde sull'enorme vetrata colorata mandandola in frantumi.Un brontolio rauco prese possesso dell'edificio mentre il nuovo essere ammirava l'ambiente attorno a sé dai suoi nuovi occhi gialli. L'uomo lupo si tolse di dosso i frammenti di vetro, balzò in piedi acquattandosi basso pronto a saltare in avanti, poi, come sbilanciato, cadde all'indietro alzando un braccio a difesa sopra il grugno bestiale e l'unica parola che gli si formò nella mente fu: "Abominium".Il nuovo essere dominava la sala, enorme e gigantesco come il suo avversario: nero il pelo lucido e folto, gialli gli occhi folli e terribili. Il nuovo "crinos" si avventò sul vecchio e il suo pugno, come la condanna di un dio, piombò sul petto, e avido andò alla ricerca del suo bersaglio come guidato dal suo ritmico pulsare; un secondo tuono irruppe nella volta celeste e questo sembrò illuminare tutta la città. Poi con la stessa decisione l'artiglio trovò la strada del ritorno, la nera creatura strappò via l'enorme cuore rosso e lo alzò al soffitto della casa di Dio. Un terzo tuono squassò l'aria, e il lungo ruggito del vampiro gli fece eco acuto, solenne e vittorioso. WEX Lo staff di Kindred Of Kaine ringrazia tutti i Fratelli che hanno lasciato una traccia di sangue , Ricordatevi se volete pubblicare la vostra storia Basta che c’è la spediate. XL