Per quanto siamo in grado di capire, l`unico fine dell`esistenza

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Per quanto siamo in grado di capire, l`unico fine dell`esistenza
Per quanto siamo in grado di capire, l’unico fine dell’esistenza
umana è di accendere un Barlume di significato nelle tenebre della
pura e semplice esistenza
I
Valek Diaconescu
La notte è buia come la pece. Una strada dissestata ferisce il territorio altrimenti completamente
in mano alla natura. Su questa strada un carrozzone solitario illumina la tenebra con le sue due
torce. Al posto di guida, due giovani uomini aspettano qualcosa… o qualcuno. “guarda, sta
tornando… quel poveraccio ha avuto una brutta idea a minacciarci!”. Il tondo sordo del cadavere
poteva ricordare un sacco di patate caduto. Una figura appena
illuminata dalle torce sale sul carrozzone, appena dopo aver dato un
singolo segnale. Muti come la notte che sta per andarsene, il cocchiere fa
partire il carrozzone. Mentre il mondo dei vivi si sveglia, una presenza
straniera in terra straniera si lascia andare ad un sonno amaro… e i
ricordi per lui troppo dolorosi o semplicemente indesiderati riaffiorano
per un attimo alla memoria… solo un attimo.
• Valek è uno dei figli di una famiglia di nobiltà contadina della
Slovacchia, la cui magione e territorio erano situati presso le rive
del fiume Muresul, sotto il dominio del Voivoda Yasvordaal, di
cui la famiglia è vassalla. “Il signore della montagna è severo,
ma tiene alla sua terra e al suo popolo, e ci protegge dagli
invasori…” –il Signore è la terra…
• Ha inizio la guerra contro i Tremere, le attività soprannaturali
sempre più evidenti iniziano a squassare la vita della famiglia
Diaconescu. “Il signore della montagna è alleato degli spiriti
della terra, ricorda Valek: non temere i bogatyri, poiché essi
combattono al nostro fianco contro gli invasori” –madre, perché
impallidisti così tanto, durante quelle parole? Forse perché non
ci credevi?
• Un contingente guidato da un Tremere accompagnato da 2
Gargoyles si fa strada lungo il fiume Muresul: la notizia si
sparge, e inizia a radunarsi un contingente di umani e “creature” attorno alla magione
Diaconescu: il panico inizia a spargersi come una pestilenza. “Presto dai una mano anche
tu: gli infissi dell’ala est non sono state ne inchiodate ne hanno le corone d’aglio!” –ora lo
so… alla maggior parte di NOI l’aglio non fa alcun effetto…
• Nell’oscurità della notte una presenza entra in casa Diaconescu: ogni singolo membro della
famiglia viene abbracciato e lasciato sul campo di battaglia in preda alla frenesia, per
combattere contro gli usurpatori. “…Sete… ho… bisogno di bere…” –non era solo sete…
era vera astinenza… era il vuoto dentro… era la Bestia.
• Valek è uno dei pochi sopravvissuti della sua famiglia. Viene sottoposto al legame di
sangue da una creatura che identificherà come il suo sire, successivamente viene sfigurato
per <<ispirare il terrore nel nemico>>. “la vostra scelta è di certo saggia… fate di me ciò
che volete sono il Vostro servo…” –per lui avrei dato tutto, non solo la vita… non capisco
ancora perché.
II
• Valek partecipa ad alcune battaglie, e riceve insegnamento sulla sua condizione da un suo
Fratello più anziano, che successivamente morirà in battaglia. “Andrej, ma sei sicuro che
possa davvero fare ciò che dici?” –Andrej… sei stato tu il mio vero sire… anche se il mio
sangue non era meno vecchio del tuo…
• Valek stringe amicizia con un Ancilla Gangrel, Damien Lezkj, alleato degli Tzimisce (coi
quali però non condivide l’ abitudine di usare gli infanti come carne da cannone) e a capo
di una tribù di nomadi. “Sei un amico Damien, ma Yasvordaal è il mio padrone, e sono
pronto a morire per lui!” –e tu, Damien… probabilmente proprio per QUESTO mi hai
protetto… non mi appartenevo, e tu ne eri oltremodo contrariato.
• Durante la vigilia di una battaglia, Valek scopre che non si sente più legato in alcun modo
al suo Sire, preso dall’eccitazione e dal panico ruba un cavallo e scappa. “Ogni mia
sicurezza è caduta… eppure ora vivo!” –cosa sia successo non lo so ancora… ma sarà
stato davvero un bene? Solo i secoli me lo sapranno dire.
• L’errante Valek trova rifugio, dopo quattro giorni di stenti e sopravvivenza fortuita,
presso un borgo presidiato da un Anziano e dalla sua progenie. Costoro si fanno chiamare
Brujah. Valek beve come vitae pregiata le filosofie dell’Anziano, e si dimostra in poco uno
studente brillante, nonché un decente atleta. “Il mondo delle Idee… interessante…” –e di
sicuro esiste un Cainita ideale… nel profondo sono convinto che si tratti di uno
Tzimisce… che si tratti di questo stesso mio sangue.
• Passano alcuni anni, Valek matura l’idea di fuggire da quella terra dolorosa. L’idea viene
attuata sei mesi dopo, quando Damien passa con la sua carovana presso il borgo in cui si
trova Valek. Damien gli parla di un suo Fratello, figlio del suo stesso Sire, stabilitosi a
Ferrara, in Italia. Damien scrive una lettera di presentazioni per Valek, da dare a Orsinis,
e gli affida due giovani nomadi, perché lo portino in Italia. “Damien, sei il migliore amico
che un Fratello possa chiedere… onorerò tuo Fratello come un Sire, nella speranza di
rincontrarti, una notte.” –se dovessi morire, vorrei morire con te, Damien, sul campo di
battaglia… una morte eroica… da individuo, non da servo.
• Uscito dai confini della sua terra, Valek si sente sempre più debole, finchè non si vede
costretto a farvi ritorno. Altri 3 viaggi falliscono, Valek giunge alla conclusione che lui e
la sua terra sono legati, quindi ne raccoglie un baule per portarla sempre con se. “Ora ho
capito, mia Terra, che il mio sangue è per sempre legato a Te, e senza di Te, sono destinato
all’estinzione” –e Tu non sei niente senza di Noi… Il Nostro rapporto è di dipendenza
reciproca.
Valek ha assorbito e fatte sue le discipline filosofiche dei Brujah, anche se le ha adattate sotto una
chiave molto personale. Dati gli shock tremendi subiti nelle sue prime notti, ha completamente
rimosso la sua vita da mortale dai suoi ricordi. Il suo aspetto sarebbe, fisicamente, quello di un
giovane uomo, snello e alto nella media. Il suo volto è contratto in una maschera diabolica. I suoi
capelli sono neri, tenuti lunghi e all’indietro, gli occhi sono opachi e lattei, apparentemente privi di
vista (effettivamente non è così). Si porta dietro trofei presi dalle sue vittime (si era fatto un nome
per la sua abilità di “estrazione”): porta un orecchino con appeso un dente (afferma che sia di un
usurpatore particolarmente forte) e una collana con legati “canini di Usurpatori e Gargoyle, uno
per ogni vittima!” i suoi vestiti sono un misto di tradizione nobiliare carpatica e di abbigliamento
nomade. Avendo combattuto numerose volte contro vampiri, ha sempre con se numerosi paletti.
III
Luca Della Croce
Amelia mia carissima,
Se stai leggendo questa mia lettera, significa
o che ho raggiunto il mio destino, quale che
esso sia, o che mi sono messo in moto nella
speranza di fabbricarmelo da solo, sempre
che questa libertà sia stata data da Lui
anche alla mia razza dannata...
Questo non è un addio, Amelia. Non lo
permetterò. In questa vita, se sarà possibile,
o oltre, se esiste qualcosa al di là di questa
valle di sangue e di lacrime, ci
rincontreremo.
Fino ad allora, sii al sicuro. Sei abbastanza
forte ed abbastanza saggia da stare al di
fuori del pericolo, e sai tutto quello che c'è da sapere sulla natura dei miei simili per saperli evitare
e, se necessario, combattere. Ti lascio questa bottiglia colma del mio sangue, tu sai quali sono i suoi
effetti se la dovessi bere. Considerala solo come un'ultima risorsa, ti prego.
Ti lascio anche questa mia casa a Cesenatico come residenza, ed allego a queste poche righe un
documento, scritto da me in gran segreto durante quest'anno, con la storia della mia vita, che tu
hai spesso desiderato sapere e che io non ho mai voluto raccontarti.
Qui vi sono le risposte a tutte le tue domande, su chi sia io veramente, e su cosa mi spinga ad
andare avanti per una strada tanto stretta e tanto aspra quale è il mio seguire il sogno di un
mondo migliore per tutti.
Ti voglio bene, Amelia. Non voglio che ti succeda qualcosa. Non voglio perderti. Sei il mio ultimo
raggio di luce in questo mondo di tenebra.
Io ti amo, Amelia.
IV
Luca Della Croce
30 novembre 2002
Mio rifugio in Cesenatico
Caro lettore, chiunque tu sia, lascia che io mi presenti.
Io sono Luca Dellacroce, progenie di Sven Karendil, progenie di
Christopher Bradley, discendente di sangue di Rayzeel, progenie di
Saulot. Questa che segue è la mia storia.Ci sono infinite cose che vorrei
dire su di me, e sul mio sire, e sulla mia sfortunata stirpe, ma tutto il
commento che vorrei fare a questo racconto è citare queste antiche
parole, che dai tempi della Caduta vengono tramandate tra di noi, di
sire in progenie, e che, tradotte dai suoni antichi della Prima Città alla
lingua del mio padre mortale, suonano così:
"Un tempo eravamo perle e diamanti ai nostri principi.
Un tempo conducevamo noi le schiere contro i servitori dell'Infernale,
E posavamo le nostre mani sui più grandiosi dei figli di Caino.
Un tempo avevamo il nostro posto.
Ora non più.
Ora siamo i Cacciati, i Traditi, i Disprezzati.
Queste sono le nostre Notti Finali.
Ascolta la nostra storia, e sappi che un giorno potrebbe essere la tua."
Io, Luca Dellacroce, nacqui nasce da una povera famiglia di pescatori, in un piccolo villaggio della
costa adriatica chiamato Cesenatico, il 2 febbraio dell'anno 1894.Mio padre, Stefano, e mia madre,
Giulia, vivevano come si poteva vivere a quei tempi. Gente onesta per quanto si potesse esserlo, e
capace di tutto l'amore possibile per il loro unico figlio. Unico, già. Tutti i miei altri tre fratelli e
sorelle morirono alla nascita, o in tenerissima età.Ricevetti quel poco d'istruzione dato dai primi
anni di scuola. Mio padre in particolare mi diceva spesso, ricordo ancora: "Sei il mio solo figlio,
Luca, e per te voglio un futuro diverso dalla mia miseria, un futuro da uomo importante!"
E così, con il poco denaro risparmiato in anni di duro lavoro, mio padre mi mandò a Bologna,
sperando di fare di me un medico.Io ero elettrizzato: sarei diventato un medico! Una persona
importante! Avrei guadagnato per conto mio, ed avrei potuto aiutare i miei genitori! Sapevo che
gli studi sarebbero stati duri, ma contavo di farcela!La grande città fu una vista stupefacente, per
quel ragazzino nato e cresciuto in un piccolo villaggio di pescatori. Venni ospitato da certi zii alla
lontana, di cui non ricordo nemmeno i collegamenti di parentela con i miei genitori. Non venni
trattato bene da loro, e mi guardavano spesso con sospetto ed un malcelato disprezzo. Per loro ero
solo un piccolo miserabile. La corrispondenza con casa mia fu per un pò il mio solo sollievo.
A Bologna, con il proseguire degli studi, mi feci alcuni amici. Non era gente che amassi, ma erano
le sole persone con cui potessi parlare con familiarità. Penso di non avere avuto una giovinezza
felice, se così si può dire. Ero solo.Con gli anni '10, venti di guerra iniziarono a spirare
all'orizzonte. La guerra di Libia aveva suscitato vive discussioni all'interno dell'università, e
l'inizio della Grande Guerra infiammò gli animi; tutti si spaccarono tra interventisti e non
interventisti. Mi schierai tra questi ultimi con poche esitazioni, ma la disputa che si protrasse per
tutto l'anno 1914 venne rapidamente oscurata dalle sempre più tristi lettere da casa: mia madre si
V
era ammalata gravemente.Non ci fu nulla da fare. Tornai alla mia città natale, appena in tempo
per vederla prima che chiudesse per l'ultima volta gli occhi.Credo di aver pianto per tre giorni,
prima che mio padre riuscisse a convincermi a tornare a Bologna. Mi disse che non dovevo
piangere, perchè mia madre era stata chiamata in cielo da Dio per raggiungere un luogo migliore.
Fino ad allora la religione era stata per me soprattutto una questione di formalità, ma quelle
parole mi fecero riflettere. Credo che fu la prima volta che mi chiesi veramente cosa volevo farne
della mia vita.Finora la mia carriera professionale era stato un modo per farmi un nome, per
fuggire dalla miseria. Ma allora capii, o almeno credetti. La mia doveva essere una missione, forse.
Forse Dio voleva davvero che diventassi un medico, per curare e guarire le persone, perchè non ci
fossero più figli che dovessero piangere giovani la morte delle loro madri come era accaduto a me.
Perchè nessuno dovesse piangere la morte di un suo caro, o soffrire per il suo proprio male.Allo
scoppio della guerra, nel 1915, non avevo ancora completato i miei studi, quando partii volontario
come assistente medico, al seguito di un battaglione di fanteria. I primissimi giorni del 1916
segnarono la fine di quel poco di addestramento che mi era stato dato, e lasciai tutto quello che
finora era stata la mia vita alle mie spalle, per partire per il fronte.Fui medico militare per tutto
l'anno 1916. Dottore negli ospedali, infermiere, chirurgo di prima linea, medico di trincea,
guidatore di autoambulanze, portaordini, ed, all'occorrenza, soldato. L'occorrenza ci fu, e prima
che finisse la primavera avevo ucciso per la prima volta.Fu un anno terribile. Il sapore del sangue
e della polvere da sparo era ovunque, mescolato a quello della terra e del fango. Ogni cosa
mangiassi o bevessi, ogni odore che annusavo era sempre uguale, portava il marchio della stessa
sostanza, di guerra e di morte. Ma io cercavo di non pensarci, e continuavo il mio lavoro. Tagliavo
e ricucivo, estraevo ed amputavo, fasciavo e bendavo. Bisogna aver fatto una guerra per vedere in
quanti modi diversi può essere ferita una persona, perchè nessun racconto o nessun documento può
farlo capire. L'anno 1916 fu la porta dell'inferno in cui io stesso avevo deciso di entrare.Solo una
persona mi era di conforto in quell'inferno fiammeggiante... Rosa.Rosa Gabrieli era la figlia di un
qualche ufficiale che conoscevo appena di nome, ed era una "crocerossina", come venivano
chiamate... un'infermiera della croce rossa, un'assistente sanitaria. Se fosse il caso o il destino ad
averci spinti vicini non lo so. Una guerra è un turbine di uomini, di mezzi e di forze tanto grande
che una singola persona ci si può perdere come in una tempesta di neve, ma tuttavia, quale che
fosse il mio assegnamento, lei prima o poi mi seguiva. Non seppi mai se fosse lei a far leva su suo
padre, uomo abbastanza influente nella gerarchia militare, o se fossero tutte mere coincidenze.La
mia vita non è un romanzo. Non ci furono eventi epici o fatti sconvolgenti, oltre la tranquilla
banalità di morte e distruzione che quotidianamente imperversava. Semplicemente, a nessuno è
dato di sopportare da solo tutto il terribile peso di una guerra tanto grande.Così, il febbraio del
1917, ci fu la nostra promessa di fidanzamento.Era vero amore il nostro? O era solo un disperato
bisogno di affetto, immersi in un lago di sangue come eravamo? Impossibile rispondere, impossibile
distinguere.L'amavo io? Sì, questo è certo. Era tutto quello che avevo. Il mio unico sogno, che mi
spingeva avanti, che mi dava una ragione per sopravvivere fino alla fine della guerra, era il
desiderio e la speranza di passare il resto della mia vita con lei, in un mondo finalmente in
pace.Intanto io continuavo ad operare, a lottare disperatamente per salvare vite, e ad essere
testimone del secondo più grande massacro della storia umana.Intanto il tempo passava e la
guerra continuava.Era una sera di settembre del 1917, quando fummo sorpresi in una trincea nella
nostra seconda linea da un improvviso attacco d'artiglieria. Le esplosioni risuonavano e
squassavano la terra, lanciandola verso il cielo e scavando crateri ovunque. Alcuni colpi
centrarono le nostre linee, anche vicino a noi. Braccia e gambe, teste e schizzi di sangue, corpi
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falciati e mutilati nei più perversamente fantasiosi dei modi volavano davanti a noi, ed ogni colpo
premeva nelle nostre menti sconvolte sempre più la certezza che i prossimi saremmo stati noi.
Era troppo per la povera Rosa. Panico da bombardamento, lo chiamano. Il terrore di essere sepolti
vivi. Il desiderio disperato di uscire fuori, fuori dalle trincee, fuori dalla terra, fuori, verso il cielo...
Nessuno fece in tempo a reagire. Proprio mentre lei stava per fuggire, una granata esplose
vicinissima a noi, e lo spostamento d'aria ci scaraventò tutti contro le pareti della trincea. Rosa
fece un volo di cinque metri, lasciandosi dietro una scia di sangue, e cadde ai miei piedi, il ventre
rosso.Il mio cuore batteva tanto forte che lo sentivo come se volesse saltarmi fuori dal petto, e
sfondarmi le orecchie dall'interno. Non ricordo bene quei momenti, credo di aver gridato e
sbraitato, fino ad estrarre la mia rivoltella d'ordinanza e sparare a casaccio, minacciando i miei
compagni di trincea finchè non l'ebbero sollevata, portata all'improvvisata postazione medica ed
issata sul tavolo operatorio.Una scheggia le aveva aperto il ventre, e l'intestino minacciava di
traboccare. Rimasi come idiota a fissare quella massa nodosa, prima di capire che era la mia
adorata Rosa.La operai. Mandai a prendere ago e filo, bende, anche anestetico, quello che
normalmente era riservato ai soli ufficiali di grado elevato. Credo di aver anche sparato all'uomo
che me l'aveva fatto notare, mancandolo appena... Forse per sbaglio.Morì, quella notte di
settembre. E quella notte maledetta morirono i miei sogni, le mie speranze per il futuro, i miei
desideri di pace... le mie ragioni di vita.Non riuscii neanche a piangere.Il giorno seguente, mi
presentai al furiere e chiesi un fucile di precisione. Soldati e sottufficiali mi guardarono con
curiosità e sospetto, quando raggiunsi la prima linea. Là mi appostai ed attraverso il mirino
telescopico fissai le linee nemiche. Attesi, ed appena la croce davanti ai miei occhi si sovrappose ad
un elmo, vi feci fuoco contro.Nei mesi seguenti, uccisi almeno cinquanta persone.Ho ucciso persone
a sangue freddo, persone il cui unico crimine era portare un'uniforme di colore diverso da quella che
indossavo io, ed un elmo di forma diversa.In guerra, l'unico appiglio della mente sana è sempre lo
stesso: "Non avevo scelta, era me o loro." Io vi avevo rinunciato. Uccidevo, ed ogni volta che
vedevo cadere un uomo pensavo a Rosa, alla Rosa che amavo e che ho perduto. Che senso aveva il
mondo senza Rosa?Il mondo era in fiamme, ed io desideravo che bruciasse fino a che non ne fosse
rimasto più nulla, perchè un mondo senza di lei non meritava di esistere. Ed attizzavo quel fuoco
con tutte le mie forze.Rimasi indifferente alla notizia della morte di mio padre in un naufragio,
così come ero indifferente alla morte che mi era intorno. I miei stessi commilitoni mi odiavano,
odiavano il "medico pazzo" o il "medico assassino", come mi chiamavano. La mia freddezza e lucida
follia erano tali che stavo perdendo ogni contatto con la realtà. Uccidevo ed uccidevo ed uccidevo
ed uccidevo senza altro scopo se non quello di sfogare il mio odio per il mondo, per un mondo che
senza Rosa non aveva più ragione di esistere. Ogni volta che guardavo una persona la vedevo
come attraverso il mirino del mio fucile, o lungo la canna della mia rivoltella, e fissavo tutti quelli
che mi erano intorno con gli occhi dell'assassino.Avevo perso ogni cognizione di spazio e di tempo,
di causa e di effetto. Per me il giorno era scandito solo dal rumore dei miei spari. Precipitavo
sempre più nella follia assoluta.Ma un giorno, marciando per raggiungere una nuova prima linea a
cui eravamo avanzati, vidi riverso a terra un corpo, un corpo dai capelli lunghi e neri, neri come
quelli di Rosa...Lo voltai. Era una giovane donna, poco più che una ragazzina, priva di sensi e
sporca di sangue, con uno squarcio sul ventre... la stessa ferita di cui era morta Rosa. Stavo per
alzarmi ed allontanarmi, quando lei si mosse un poco, gemendo dal dolore.Il mio primo pensiero fu
di piantarle una pallottola in testa e lasciarla morire in pace. Estrassi dalla fondina la mia
rivoltella d'ordinanza e gliela puntai contro...E guardandola, vedevo all'altra estremità della mia
arma Rosa. Vedevo una persona innocente, un'innocente... come tutti quelli che avevo ucciso...
VII
La sollevai, e mi diressi verso l'ospedale da campo.Gli altri medici e gli infermieri mi evitarono,
lanciandomi occhiate di disprezzo. Ma sapevo di meritarmele. Dovetti fare tutto da solo.Ma la
salvai, grazie a Dio.Passai quella notte in ospedale, a vegliarla. E quella notte entrò nell'ospedale
un uomo che non avevo mai visto, l'uomo che avrebbe cambiato la mia vita.Era all'incirca un
trentenne, alto di statura e di costituzione robusta, con corti capelli biondo scuro ed un camice da
medico portato sopra un'uniforme militare. Non faceva parte del nostro battaglione, anche se dalla
sua uniforme e dal suo portamento sembrava avere un grado elevato. Quell'uomo mi ignorò
completamente, dirigendosi verso la giovane donna che avevo operato. Questa, con mio grande
stupore, si risvegliò, alzandosi come se nulla fosse, non appena lui l'ebbe toccata.La fanciulla gli si
gettò al collo, iniziando a gridare qualcosa per la felicità, ma lui la zittì, fissandomi. Si avvicinò a
me, e mi chiese se fossi stato io a salvarla.Gli risposi di sì, e gli chiesi chi fosse lui di rimando. Lui
si allontanò senza rispondere alla mia domanda, ma ringraziandomi per avere salvato "la sua cara
Katia"...Io rimasi abbastanza stupito ed interdetto, e quando mi scossi da quello strano torpore lui
se n'era già andato, portandosela dietro.Il giorno seguente feci delle domande su di lui, ma, di certo
complice il feroce disprezzo dei soldati nei miei confronti, non ottenni risposta.Passò una
settimana, ed io avevo lasciato il fucile per il camice, o almeno era quello che desideravo fare. Ma
all'ospedale ero trattato ancora peggio che in trincea, e così non potei far altro che rimanere nella
seconda linea, a prestare assistenza medica.Ma ogni volta che un ferito passava sul mio tavolo,
guardandolo in volto vedevo sempre il volto di un uomo che avevo ucciso. Non riuscivo più a
vivere nè ad operare, la mano mi tremava e gli occhi si riempivano di lacrime ogni volta.Una
settimana dopo, per ironia della sorte il giorno del mio ventesimo compleanno, il 2 febbraio del
1918, le nostre linee vennero sfondate da un contrattacco austriaco. Mi venne rimesso in mano il
fucile, ma proprio allora che dovevo lottare per salvarmi anzichè uccidere a sangue freddo, non
riuscivo a sparare dritto.La nostra seconda linea venne presa e i nostri uomini massacrati. Nel
feroce scontro a fuoco una pallottola vagante mi colpì alla schiena.Sentìì un sonoro scricchiolìo, e
come se all'improvviso avessi perso le gambe, crollai a terra, nel fango della trincea. In quel
momento sapevo che mi si era spezzata la colonna vertebrale. Persi i sensi, più per la disperazione
che per lo shock.Mi risvegliai sdraiato in un lettino da ospedale, in una stanza semibuia. Davanti
a me c'era l'uomo che avevo visto la settimana scorsa, ed al suo fianco la giovane che avevo
operato.Quando vide che mi ero ripreso, la fece uscire dalla stanza con un gesto ed una parola in
tedesco, e poi mi si rivolse in italiano, in un discorso che non potrò mai dimenticare."Ben
risvegliato, Luca." Sorrise dicendomi."Come sa il mio nome?" Chiesi. Ma la mia domanda cadde nel
nulla."So che sei un medico. Che hai salvato la mia cara Katia. E so anche che hai ucciso molti
soldati da questa parte del fronte." Avvicinò il suo volto al mio. "Perchè lo hai fatto?" Mi chiese,
senza ombra di disprezzo o di rancore.Io sospirai. Per qualche motivo, mi fidavo di lui. "Vi
racconterò la storia." gli dissi. E lo feci, gli raccontai la storia di me e di Rosa, e di quanto la sua
morte mi avesse fatto soffrire.Lui mi guardò profondamente, con occhi tristi, e mi chiese: "Io posso
alleviare il tuo dolore. Posso guarirti, ma prima voglio sapere cosa farai.""Sono prigioniero?" Chiesi,
sentendomi molto stupido."Potrai fare quello che vorrai. Tornare alle tue linee, come soldato o
come medico. O tornare a casa tua, lontano da questa guerra. Pensaci, Luca. Se tu potessi
scegliere, cosa faresti della tua vita?""Io... io tornerei ad essere un medico." Dissi."E perchè?"
"Ho visto troppa gente morire... sotto i miei ferri, o all'altra estremità del mio fucile... sotto i
bombardamenti, ai muri delle fucilazioni...""Vorresti un mondo migliore?""...Chi non lo vorrebbe?"
"Meno persone di quanto tu pensi." Si sedette sul bordo del mio lettino, guardandomi sempre in
volto. "Cosa saresti disposto a sacrificare per il bene degli altri? Tempo? Fatica? Denaro? Amore?
VIII
Sogni? Speranze? O addirittura la tua vita?"Chiusi gli occhi. In un secondo mi passarono davanti
agli occhi i volti di tutti coloro che avevo visto morire. Per un secondo mi sentii sporco di troppo
sangue, immerso nel nero sangue fino al midollo. Mi passò davanti il volto di Rosa. "La mia vita
non ha più un senso, dopo tutto quello che ho passato. Forse la vita non ha mai un senso."
Guardai dritto davanti a me, perdendo il mio sguardo su un muro grigio. "Tu avevi un sogno di
felicità, prima che morisse Rosa." Mi disse lui. "Ora io ti chiedo questo. Saresti disposto a
rinunciare per sempre a tutto, fino al giorno del giudizio, se questo ti permettesse di aiutare gli
altri? Di aiutarli veramente?"Lo fissai profondamente. "Saresti disposto a sacrificarti per rendere il
mondo un posto anche solo un poco migliore? Solo una candela nella notte?" Mi chiese."Mi sta
dicendo..."Annuì. "Il potere di salvare le vite degli altri, al prezzo della perdita della
propria."Tornai a fissare dritto davanti a me. "La mia vita non vale più niente.""Al contrario. E' la
cosa più preziosa del mondo. E' proprio per quello che è il più grande dei sacrifici" Sussurrò lui. In
quel momento, lo vidi chiaramente, un terzo occhio si aprì sulla sua fronte, ed iniziò a brillare di
una luce pallida.Mi sentii come risucchiato da quella luce, e ne venni avvolto...Quando mi
risvegliai mi sentii molto più leggero, come se quella luce avesse reciso il peso dei quattro anni di
sangue e di morte che mi trascinavo dietro..Sentivo le mie gambe. La mia ferita era
miracolosamente guarita. Potevo camminare! Non riuscivo a crederci.Mentre scendevo dal lettino,
dalle ombre della stanza uscì il mio guaritore. Aveva realmente un terzo occhio aperto, sulla sua
fronte. Io lo guardavo con timore."Questo è quello di cui ti parlavo." Mi disse. "Il potere di salvare
la vita degli altri, al prezzo della propria." Tese la mano verso di me, ed io, trafitto dalle sue
parole, gli afferrai il polso, per cercare di sentirne il battito.Mi allontanai da lui, camminando
lentamente all'indietro. Quell'uomo non aveva pulsazioni."Io sono Sven Karendil." Iniziò. "E sono
uno di coloro che sono stati Abbandonati da Dio. Sono morto, ma cammino ancora su questa terra,
sperando con le mie azioni di migliorare il mondo."E dicendo questo tirò fuori dalla tasca del suo
camice una vecchia Bibbia in lingua inglese, con tre strisce di carta colorata poste come segnalibri:
una rossa, verso l'inizio. Una verde, oltre la metà. Una nera, alla fine. E mi raccontò l'antica
storia, aprendola al primo segnalibro: di come Caino sacrificò Abele per amore verso Dio, e di come
Dio lo maledì. Di come dio gli inviò uno, due, tre angeli per chiedergli di pentirsi e di come lui per
una, due, tre volte rifiutò... e di come Dio mandò comunque un quarto angelo come messaggero di
pietà: anche se lui per tre volte aveva rifiutato di pentirsi, la strada della salvezza sarebbe stata
sempre aperta per lui e per la sua stirpe.Ascoltai affascinato tutta la storia, e non potei fare a
meno di chiedere a Sven: "Dunque la Dannazione non è assoluta."Sven rispose triste: "Noi
chiamiamo questa salvezza Golconda. Ma non può essere raggiunta se non a prezzo di infinite
sofferenze e sacrifici." Poi alzò lo sguardo e disse: "Pensaci, Luca. Ti sto offrendo una vita dove
berrai solo sangue e mangerai solo cenere, dove non ti verrà dato amore, dove vivrai nell'ombra,
dove verrai cacciato ed odiato e temuto e disprezzato da tutti, e dove tuttavia avrai la missione di
aiutare queste persone, di curarne il corpo e la mente, lo spirito e l'anima. E potrai fuggire da
questa vita solo attraverso la cruna di un'ago."Così, Sven mi lasciò solo, con la sua Bibbia, per
un'ora. Io la presi e controllai gli altri due segnalibri. Quello verde segnava il discorso della
montagna: "Benedetti i puri di cuore, perchè vedranno Dio." Quello nero era l'Apocalisse. "Io sono
colui che vive, ed era morto. E, guardami, sarò vivo per sempre."La posai sul mio letto. Sapevo che
potevo trovarvi conforto, ma non contavo di trovarvi risposte. Avevo una scelta da fare, e dovevo
farla da solo.Pensai a Rosa. A come era morta. A come avevo sofferto.Pensai a tutti i morti che
avevo visto.Sven tornò un'ora dopo, con la giovane Katia, che, come venni da lui a sapere in
seguito, era una discendente della sua famiglia mortale, e mi chiese se ero sicuro della mia scelta.
IX
Gli risposi di sì.Così venni Abbracciato. Sven si prese il mio sangue, e la mia vista si annerì. Ebbi
come l'impressione di volare verso una lontana luce immersa nell'oscurità. Era bellissimo.
Poi sentii il freddo sangue scendermi per la gola, e la luce fuggì, assieme alla sensazione di felicità
eterna che l'accompagnava. Era come se il dono dell'immortalità, pesante nel mio stomaco, mi
trascinasse verso il basso. Mi ritrovai attaccato ferocemente a Katia, con i denti profondamente
piantati nel suo collo.Era ancora viva, Sven mi aveva dato abbastanza sangue da rendere meno
violenta la mia Sete. Ma fu terribile per me.Così, il 2 febbraio 1918, all'età di 20 anni, sparii
discretamente dal mondo mortale assieme al mio Sire, ed iniziai la mia istruzione. Ne avevo
bisogno, disse, perchè la nostra razza era cacciata e calunniata anche dai nostri stessi simili, e
dovevo affinare le mie capacità e sapere come muovermi. Non dovetti aspettare a lungo per
comprendere appieno cosa intendesse dire.Mi lasciò la Bibbia. Un dono del suo Sire, diceva, che
era giusto passasse a me.Insieme, io e Sven curammo le ferite del corpo e dell'anima che la Grande
Guerra aveva scavato negli uomini, ma quello che potevamo fare era sempre troppo poco, anche se
certo più di quanto qualunque umano potesse mai sperare di ottenere contando sulle sue sole forze.
Il tempo passò, la mia istruzione terminò, e giunse la Seconda Guerra Mondiale. Cosa potevamo
fare, noi, di fronte a tanta follia? Nei ghetti e nei lager della Polonia occupata, nei rifugi antierei
durante il Blitz di Londra, sulle rive del fiume di sangue che bagnava Stalingrado, negli ospedali
da campo in Italia ed in Francia, nelle città tedesche bombardate ed incendiate, dovunque
bevevamo dai morti per avere la forza di salvare i moribondi, sfidando ogni volta la sorte.
Ma la sorte esige tributi, e noi li dovemmo pagare. Durante l'assalto russo a Berlino, nel 1945,
Katia restò intrappolata in un edificio in fiamme sotto un bombardamento, che era stato il nostro
rifugio per quei giorni, e non potemmo fare altro che osservare la sua fine, impotenti come non mai.
Quella notte, Sven mi chiese di diablerizzarlo. Io mi rifiutai, e ne seguì una lite feroce, dopo della
quale ci separammo.Venni a sapere, tre anni dopo la fine della guerra, da un Nosferatu che
affermava di essere stato un suo conoscente, tal Sairenz, che era stato catturato da alcuni
Tremere, o forse membri dell'Anticlan, in un luogo segreto vicino alla città di Rimini.
Tornai là, animato dal folle progetto di salvarlo, solo per scoprire di essere stato condotto in una
trappola: Con uno dei loro rituali, i Tremere avevano scoperto l'esistenza di una sua progenie e poi
avevano deciso di attirarmi per avere anche me. Fui catturato, e dovetti assistere allo spettacolo
più cruento e malefico della mia vita: Stavano dissezionando il mio sire per esaminare il suo terzo
occhio!Fui colto da un impeto di rabbia assoluta: gli Usurpatori ostentano un così gran daffare
per mettere in guardia tutti i cainiti contro i "Succhia-Anime", e poi in segreto studiano i nostri
poteri nella speranza di aggiungere un'altra arma al loro arsenale! Bruciando quasi tutto il mio
sangue, mi liberai e, nella frenesia più totale, persi il controllo di me stesso. Evidentemente, fuggii
dalla loro cappella, sfasciando ogni cosa sulla mia strada. Stremato e senza più Vitae per
sostenermi, raggiunsi il mio rifugio improvvisato nella città e lì crollai, in stato di torpore.
Di quel lungo sonno ricordo solo un sogno... un sogno in cui vedevo la mia mai dimenticata Rosa,
bella e splendente come non l'avevo mai vista...Quando mi risvegliai, mi trovai davvero davanti
Rosa. Pensai che fosse giunto il Giorno del Giudizio... credetti di essermi riunito con la mia
promessa, finalmente.Ma avevo della plastica in bocca, da cui colava sangue, e la quindicenne
terrorizzata che mi era davanti era straordinariamente simile a Rosa tanto da poter essere la sua
gemella, pur se più giovane.Vedendomi risvegliato dal mio sonno apparentemente mortale, tentò di
fuggire appena accennai ad alzarmi, ma nella foga inciampò e cadde.Sempre più terrorizzata,
strisciò lontana da me, fino a che non riuscii a tranquillizzarla. Le chiesi quindi chi fosse.Lei disse
di chiamarsi Amelia... Amelia Gabrieli, lo stesso cognome che portava Rosa.Appresi così di essere
X
in una casa disabitata della mia vecchia città, Cesenatico. Non seppe trovare giustificazioni
riguardo alla mia presenza lì, affermando di essere solo sgattaiolata nella casa lasciata aperta,
incuriosita. Non potei fare a meno di pensare al mio sire, Sven. Solo lui poteva avermi portato lì.
Forse si era liberato anche lui approfittando della confusione che la mia frenesia aveva causato.
Ma perchè non mi aveva risvegliato lui? Dov'era ora? E quanto tempo era passato? Amelia rispose
a questa domanda: avevo perso cinquanta anni, ed eravano nel 1998. Disse di avermi trovato
rinsecchito, come morto, sdraiato su quel letto dove dovevo aver passato tanto tempo, e che davo
qualche segno di vita solo quando lei si avvicinava a me. Nel mio sonno senza sogni sussurravo:
"Rosa... Sangue..."Possibile che persino nel torpore riuscissi a scambiarla per Rosa, ed ad avere la
forza di pregarla di riportarmi in vita?Lei si era procurata delle sacche di sangue, venni poi a
sapere, in ospedale, dove sua madre lavorava come impiegata.Percezione sovrannaturale? Bravata
da ragazzini? Cosa la spinse a dare ascolto ai miei mormorii? Lei stessa negli anni a venire non
riuscì a rispondermi del tutto.Fu lei a raccontarmi la sua storia, di sua volontà. I suoi genitori
avevano divorziato, e suo padre era morto poco dopo. Sua madre si era trasferita, e non aveva
amici qui a Cesenatico.In lei vidi Rosa. Le era tanto simile nella persona e nei modi di fare, anche
nell'anima, nel carattere e nell'intima natura, che non riesco tuttora a non pensare, per quanto
stupido io possa sembrare dicendo questo, che vi sia qualcosa di sovrannaturale nella loro
incredibile somiglianza.Così, lei venne a sapere, lentamente, da me, di quanto quello che credeva di
conoscere sulla vita e sulla morte fosse sbagliato. La istruii nella conoscenza e nei segreti dei
Cainiti, ed in cambio lei mi aggiornò sulle innovazioni del mondo moderno.Ora ci conosciamo da
quattro anni, ma posso dire di amarla quanto ho amato Rosa, sia pure in maniera diversa. Allora,
avevo bisogno di amare per non impazzire. Ora, è qualcun altro ad avere bisogno del mio amore.
Ma stando con me mette sè stessa in pericolo, questo glielo chiarii dopo averle raccontato tutto dei
Fratelli, quando raggiunse i diciotto anni. Lei non aveva intenzione di lasciarmi, tuttavia, ed io
non avrei mai avuto il cuore di abbandonarla. Così, vivemmo insieme fino al giorno d'oggi. E
questa breve scintilla di tempo, nulla, lo so, in confronto all'eternità oscura che mi aspetta nel
futuro, mi ha regalato la cosa che posso considerare più vicino alla vera felicità.Tuttavia, non volli
mai raccontarle la storia della mia vita. Non vado orgoglioso del mio passato. Troppe morti
gravano sulla mia coscienza, e la mia anima e pesante di rimorso.Ora vivo per espiare, cercando di
rendere felici le persone che incontro sulla mia strada. Accetto la mia maledizione, perchè mi
concede il più grande potere di tutti; quello di donare la felicità agli infelici... e tuttavia sogno che
la promessa dell'arcangelo Gabriele, la Golconda, mi aspetti, da qualche parte, nel mio futuro.Ho
ancora con me la Bibbia che fu del mio sire e del sire del mio sire. Non seguo un senso di dovere
religioso, nè ipocritamente in una ricompensa improbabile oltre questa vita, ma tuttavia il Libro
mi dà a volte sollievo nei momenti più tristi della mia buia esistenza.E' da qualche tempo che
progetto di muovermi, di girare l'Italia e se necessario l'intera Europa per indagare sul destino del
mio Sire e degli Usurpatori che ci catturarono. La mia vecchia rivoltella d'ordinanza è arrugginita,
ma la mia mira è ancora abbastanza buona, spero, per qualunque Tremere possa sbarrarmi la
strada.Partirò presto, dunque, e lascio dietro di me questo documento. Penso che la mia amata
Amelia sarà la prima a leggerlo. Stammi bene, Amelia.
Luca Dellacroce, progenie di Sven Karendil, progenie di Christopher Ridley. Clan Salubri.
XI
Danahel
Un tempo Prima dell’abbraccio cacciavo quelli che ora sono i miei simili
cercavo e sterminavo coloro che erano troppo meschini e inumani
Aiutato da due altri come me Che per colpa mia vennero uccisi Mentre
cercavamo una nostra preda. Durante quella caccia Noi tre venimmo
attaccati da lui E dai suoi seguaci E da un altro vampiro. I miei
compagni vennero uccisi E io gravemente ferito. Mi salvai solo grazie a
uno di loro due Non mi ricordo quale Che mi diede aiuto e mi protesse.
Furono inoltre morti inutili, Infatti il vampiro che cercavamo Non era uno di quelli che
solitamente cacciavamo. Era anzi quasi come noi, Piu` umano di alcuni umani, E per questo
vedendomi morire Per una ferita al volto Mi condusse nella via della notte Perche` continuassi la
mia battaglia. Di quegli istanti ho solo il vuoto, Il terribile e senziente nulla Della morte cosciente
in noi E poi l’immagine dei corpi dei miei amici E di alcuni ghoul del vampiro E il suo stesso corpo
immobile In quelle stesse fogne dove io ero morto e rinato. Non sapevo chi fossi diventato, Non
avevo la guida di chi mi ha abbracciato, Fatto cadere in torpore Forse dalle ferite che noi stessi gli
abbiamo inflitto Forse per altre cause da me sconosciute. E cosi` io, da solo e assetato, Con
sensazioni mai provate nel mio petto Che gridavano all’odore del sangue Scappai da quel luogo E
corsi senza meta Con la mente avvolta nel dolore del bisogno Fino a quando arrivo` sera, Perche`
quando abbiamo attaccato non era sera, Noi sapevamo della debolezza dei vampiri di giorno E noi
sapevamo dove trovarli grazie a un informatore Che questa volta ci ha traditi. Di notte uscii nella
citta`, Alla ricerca di nutrimento per il mio nuovo corpo Che trovai in alcuni individui solitari Che
mi costrinsi a mordere Perche` io sapevo come si nutrivano i vampiri E sapevo che prosciugare un
umano Equivaleva portarlo alla morte E staccarmi dal loro collo all’inizio fu terribile, Solo con un
grande sforzo vi riuscii, Poi man mano che mi nutrivo trovavo piu` facile controllarmi. Passai la
mia Prima Notte cosi`, Vulnerabile a tutto, Debole della mia nuova e rinnovata forza, Che pero`
non conoscevo E non sapevo sfruttare. Trovai riparo nello stesso luogo dove fui abbracciato In
mezzo ai corpi dei ghoul e dei due miei amici. Non so come mai tornai proprio in quel luogo, Forse
per il senso di colpa che provavo Per i miei due compagni E per il vampiro che non era cio` che io
chiamavo SucchiaSangue Che pero` non trovai piu` in quel luogo, Gia` si era ridestato, O gia` era
stato definitivamente eliminato. Durante il mio primo sonno ebbi degli incubi Terribili terribili
incubi, Nei quali ho rivisto la morte dei miei amici Nei quali sentivo le loro vive voci Nei quali loro
mi parlavano Uno concedendomi il perdono, Perche` il contatto era mio, Ed ero io che li guidavo,
Ed uno maledicendomi Giurando di perseguitarmi. E quando mi risvegliai non fu un risveglio
completo, Io sentivo ancora le loro voci, Continuavano a parlarmi, E allora io presi i loro ciondoli,
Simbolo della nostra unione, E li misi al collo per portare con me il loro ricordo, Ma le voci
continuavano a sussurrare Continuavano a chiamare, Finche` non ricordai che uno dei due in vita
Era riuscito a parlare con alcuni spiriti E allora iniziai ad ascoltare E capii che loro erano morti
ma non andati Erano ancora con me, In quello che era stato il mio incubo, Uno dandomi la grazia
e l’altro maledicendomi. Nel momento dell’abbraccio infatti mi sono trovato a meta`, Tra il regno
dei vivi e quello dei morti, E da quel momento posso parlare agli spiriti E posso sentire cosa mi
dicono, E posso Vedere in rari casi l’immediato futuro Come mi successe in sogno quella notte. Da
allora mi seguono Uno aiutandomi L’altro invece perseguitandomi. Ed e` dal mio compagno che
appresi quello che ora so Su quello che sono e quello che posso fare Perche` era lui che studiava
l’occulto E lo studiava molto piu` di me E riusciva sempre a sorprendermi.
Elkantar
XII
Fino a Verona
Il centro storico di Verona era patrimonio culturale dell'umanità,
stando ai cartelli che la cittadina aveva esposto in piazza dell'arena
con orgoglio. Forse questo perchè il centro storico della città era intatto
e e passeggiando in esso era come viaggiare nel medioevo o nel rinascimento. L'idea che alcuni si
erano fatti era che i veronesi ci tenessero molto a lasciare le cose della loro città come se fossero
addietro di secoli. Pochi si erano chiesti se magari questo non fosse avvenuto per voluto di molti
ma per decisione di qualcuno .... Un bel palazzo in stile seicentesco era occupato dall'anonima
fondazione per le malattie mentali "M. Al Fuyd" e pochi dentro si sarebbero resi conto che in realtà
era una fortezza blindata e guardata da multeplici guardie armate, sorvegliata a vista da
un'ìmpressionante numero di telecamere. Era quella da trecento anni la sede della dinastia dei
principi Malkavian di Verona. Dietro un vetro antiproiettile, un signore in doppio petto dallo
strano sguardo guardava la strada, mentre una macchina di lusso veniva fatta entrare nella
fortezza. Il principe Pierluigi Capuleti ghignò nel veder scendere dalla macchina il primogenito
Ventrue, Antonio Montecchi, circondato dai suoi ghoul. Aspettò che l'anziano giungesse nel suo
studio e venisse impressionato dal caos che vi regnava, dai libri strappati e dei tappeti appesi coi
chiodi sulle pareti. Povero sangue blu, pensò il lunatico, così preso dalla finanza che non riesce
nemmeno a vedere le infinite strade che portano a Nod. Mentre il Capuleti si sedeva
evidentemente non a proprio agio, un ghoul del principe annuniò l'arrivo per via non ortodossa di
Dedalus, il primogenito Nosferatu. La figura appariva come un'uomo di mezz'età abbigliato
normalmente ma l'Auspex del principe era abbastanza alto (frutto della diableriè su un Toreador
Anticlan sabbatico) da infrangere la Maschera dei Mille Volti dell'altro e lo vide nei vestiti logori
e sporchi di liquami e con il viso rovinato e butterato. Era il caso di biascicare a denti stretti una
frase enigmatica che faceva rabbrividire gli altri vampiri "Eppure eravate così vicini, voi
Nosferatu ....." Un rumore di moto Harley annunciò dal basso l'arrivo di una piccola gang di bikers
che saluto all'esterno del palazzo il loro capo : un'omaccione grosso, peloso e tatuato che venne
fatto entrare subito. Il primogenito Gangrel era arrivato. A ruota un gruppo di militanti di
estrema destra con le celtiche tatuate sui giubotti camminava con aria spavalda in direzione del
palazzo e dal loro gruppo sgusciò fuori un ragazzo sui vent'anni che fatincò un pò a lasciarsi
riconoscere ed a entrare. Eh si, pensò il principe, essere abbracciati in giovane età è veramente un
guaio anche per i primogeniti Brujah. I Toreador non avevano più un rappresentate influente da
quando il loro anziano non aveva avuto quell'alterco coi i Seguaci di Seth ed il principe li aveva
estromessi dal consiglio fino a quando "Non avrete un rappresentante decente che conti qualcosa,
la prossima ancilletta la butto nell'Adige". Una volta che tutto furono riuniti il Malkavian inserì
il disturbatore di frequenze (O, pensò, ma quelle vere di frequenze non le può nascondere) e diede
inziò alla riunione del consiglio dei primogeniti della Camarilla di Verona. Passò circa venti
minuti a parlare del più e del meno, fino a quando il primogenito Ventrue prese la parola
spazientitò. "Sono io che ho a cuore la città" pensò questo in cuor suo, "Io sarò pazzo ma è lui
quello che si espone con l'argomento scottante" pemsò il Malkavian. "Signor principe, sappiamo
tutto che per la città il problema più immediato è un'altro. E' vero che il Sabbat ha preso Aversa in
provincia di Napoli ?" Sul consiglio cadde il silenzio, da quando Giangaleazzo Visconti aveva
XIII
fatto ietro front, si era dichiarato Lasombra Anticlan ed aveva fatto passare Milano sotto
ammistrazione congiunta Camarilla-Giovanni, sembrava che Verona potesse trovare un pò di pace.
"Mmmhhhh" disse il principe "A domanda esplicita risposta esplicita .... si, abbiamo perso ogni
contatto col feudo di Aversa e l'ipotesi più plausibile è che la città ora sia sotto il dominio del
Sabbat" Il gelo divenne ancora più intenso, per lunghi attimi non venne detto niente. "Beh" provò a
dire ancora il Ventrue "In fondo Aversa è molto lontana e le campagne sono off limits tanto per
noi quanto per il Sabbat a causa dei lupini. Quindi dovranno orientarsi di città in città e la più
vicina è Napoli" "Non attaccheranno Napoli, è troppo ovvio e là noi siamo semplicemente troppo
potenti" disse una figura vestita in gessato e con un mantello nero sulle spalle, era appena entrata,
aveva fatto un inchino al principe e si stava mettendo a sedere, guardò torvo il ghoul che gli
voleva prendere il bastone da passeggio e sorrise "In un film ho sentito che un semplice bastone in
mano ad uno stregone è un'arma terrificante, questo vale anche se lo stregone è un vampiro" "Sono
daccordo col primogenito Tremere" disse ancora il Ventrue "che per il Sabbat attaccare Napoli è
stupido e troppo ovvio. Ma poco più a nord c'è Roma ed è rinsaputo che i maghi Tzimisce vogliono
da sempre mettere le mani sulle biblioteche occulte di Roma" "Con la loro incapacità di mantenere
la Masquerade ed il Vaticano in casa il Sabbat non terrebbe Roma neanche un mese" disse senza
tante cerimonie il primogenito Brujah. "Si, si, certo" ammise il Ventrue "Ma è ovvio che vogliono
riprendersi Milano. Giangaleazzo è un traditore per loro e le risorse milanesi gli servono, inoltre c'è
...." "Vogliono Verona" affermo calmo il principe, il primogenito Nosferatu annuiva grave. Il
consiglio si raggelò un'attimo, il Ventrue rimase fermo. "Vogliono Verona, l'hanno sempre voluta,
vogliono andare in pellegrinaggio dove è nato Gratiano il Lasombra" Il Tremere sbuffò. "Cosa
possiamo fare ?" chiese il Brujah "Abbiamo un vantaggio" disse il principe, aveva confermato il suo
vantaggio : il Ventrue, il suo maggior avversario, si era bruciato con la sua stessa retorica "Il
Sabbat non usa influenze umane e ghoul, noi si. Bene, la sanità e la polizia di verona sono già
allertate, i sabbatici dovranno nutrirsi e quindi strani morti saranno subito notate in tutta la
provincia; inoltre le gang di strada dovrebbero sapere qualcosa se i sabbatici si muovono, sono loro
a subire le perdite maggiori" il principe indicò i primogeniti Brujah e Gangrel che annuirono seri,
rinfocolare l'odio verso chi priva i più sentimentali dei loro amichetti umani gli veniva sempre bene
"Inoltre gli occultisti sapranno se gli stregoni Tzimisce tenteranno qualcosa di losco, gli serviranno
luoghi per i riti e quant'altro" "La piramide è già al lavoro" disse il primogenito Tremere "Benissimo"
disse il principe "il clan Nosferatu sà cosa fare, la raccolta di informazioni tramite lo spy network
è prioritaria così come le influenze nella politica del nostro amico sangue blu per mantenere
intonsa la Masquerade, e naturalmente ci aspettiamo il massimo appoggio finanziario per le spese"
"Naturalemte" disse a denti stretti il Ventrue, consapevole di essere adesso il nemico sconfitto.
"Bene, signori sappiamo che attaccheranno ma non sappiamo quando; non ci interessa. Troveranno
la rete già tesa e pronta a calare su di loro. Signori è tutto, potete informare i clan se volete".
Quando la stanza fu vuota Pierluigi Montecchi chiuse tutte le finestre e si immerse in
quell'internet mentale che collega ogni Malkavian del pianeta indipendentemente dalla setta di
appartenenza e che risponde al nome di Rete Lunatica Malkava, dopo circa mezz'ora riaprì gli
occhi e sussurrò : "Allora è così che sono andate le cose ...." L'attacco fu sistematico e preciso, non
lasciò scampo al principe di Aversa. Il Sabbat aveva infiltrato una talpa nell'elysium locale da
mesi. La sera dell'attacco una bomba e due camion di vampiri da poche ore lasciati volutamente
andare in quel berserk chiamato frenesia fecero il resto. I pack di veri sabbatici lanciarono l'assalto
ai rifugi dei vampiri che quella sera non erano in elysium. Nonostante una sparatoria in un bar,
una rissa coi in coltelli in piazza ed una seconda bomba in un hotel quattro stelle, la distruzione
XIV
sistematica della popolazione camarillica della città fece meno chiasso del previsto. I Lasombra ed
in misura minore gli Tzimisce cannibalizzarono tutte le influenze che potero ma alla fine si
limitarono ai campi indispensabili, politca locale, polizia ed un pò di occulto. L'ira dei sabbatici
era stata feroce, distruttiva, eretica. combattevano in frenesia e circondati dal fuoco, contro ongi
logica e tradizione del mondo vampirico, logica e tradizioni che la Camarilla difendeva così
strenuamente. Non era difficile immaginare perchè quei sabbatici che danzavano nel fuoco delle
loro bombe con movenze al tempo stesso sensuali e macabre erano identificati nelle menti dei
neonati della Camarilla solo come "satanisti perennemente in frenesia". Le due affermazioni non
avrebbero potuto essere più sbagliate. Sul grattacielo più alto della città, una figura vestia di
semplici jeans neri e giubotto di pelle sedeva sul parapetto dando l'idea di essere seduto sul tetto
della città. Quasi senza dare rumori di sorta, una figura avvolta dalle ombre si avvicinò da lui alle
spalle. "Arcivescovo Alehandro" disse la prima figura senza scomporsi nè voltarsi "Suppongo di si
ormai, suppongo che arcivescovo sia la carica che ho da stanotte" disse l'altro "Hai conquistato una
città e in quanto pack leader del branco vincitore adesso ne sei arcivescovo" disse laconico l'altro
"Voi Gangrel, Anticlan o altro, fate tutto semplice cavalier Valek" "Suppongo di si" disse l'altro
parafrasando l'altro e sorridendo "Bruciato qualche infernalista ?" disse sarcostico Alehandro "No,
in verità no, ho notato un paio dei nostri che usavano strani poteri e indagherò ma non sò ancora"
e voi arcivescovo, i vostri preziosi adepti del sentiero d'illuminazione della notte ?" "Mmmmhhhh,
alcuni di loro, specie i più giovani, non hanno ancora ben compreso le sottigliezze della nostra
morale. Mai uccidere quando lo si può evitare, chi è morto non può provare paura" sorrise
Alehandro "Capisco" disse Valek serio e poi si alzò in piedi sul muretto e si trovò eretto di fronte
alla città "Dove andate ?" gli chiese Alehandro Valek si voltò e sorrise "Non è ovvio anche questo ?
A cacciare" e si gettò nel vuoto a peso morto. Quando il pipistello che era il cavaliere inquisitore
Ian Valek era diventato si era ormai allontanato, l'arcivescovo Alehandro Martinez y Gonzales
del clan Lasombra sorride e disse "Si, è tempo di cacciare, adesso anche qui ad Aversa si suona la
litania di sangue di Città del Messico e MontReal ...." Più tardi, in un sotteraneo, Alehandro,
Valek ed un'altra persona incappucciata davanti ad una cartina dell'Italia. Tre pugnali in mano
lanciati verso l'altro. Tre pugnali ricadono dal buio. Colpiscono Roma, Milano e Verona. Sibilo.
Silenzio. "Allora è deciso" disse l'incappucciato Silenzio. "Si, anche per voi priest Vlazhy sembra
essere tutto deciso" "Molto bene" disse Valek "da qui fino a Verona, passando per Milano e Roma,
sarà tutta terra bruciata per gli anziani della Camarilla ...."
Sangue ed anime per il dio-demone dei Violatori !
Lunga vita al fulgido impero di Argentea !
"Nos Sumus Militia Daemonorum"
"Fatece largo che passamo noi
sti Violatori de stò campo bello,
semo guerrieri fatti cu' spadune
e le guerriere famo 'nnamora"
"Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se
stessi e per gli altri che ovunque passino i Violatori quasi tutto muore e cio che non muore desidera
la morte"
XV
Historia Eldwin
… Così comincio col narrare la mia storia, per beneficio di mie
future letture ed a vantaggio di chiunque, nei secoli futuri, si vorrà
accingere alla lettura di ciò che nel corso di innumerevoli anni il
Destino ha per me riservato…
[dal Diario]
Sono nato nell’anno di Grazia del Signore 1177.Sono nato figlio
secondogenito del signore di Lawenburg; mi venne imposto nome
Eldhwin VonLandow.Mio padre fu il Duca Mickail VonLandow,
discendente di una antica casata nobiliare russa, che molte
generazioni prima di lui aveva preso residenza nei territori danesi
accanto al confine con l’Impero, et quelle terre avevano preso il
nome di Ducato del Lawenburg.Mio padre all’aspetto era uomo
fiero, alto et magro, con una lunga capigliatura liscia et nera, come
la notte senza luna, retaggio delle passate generazioni russe.I suoi
occhi, sebbene celati da due folte sopracciglia scure, risplendevano sul suo volto del blu più
intenso, et nel contempo del più ardente spirito guerriero che nella mia vita abbia mai osservato
nel volto di qualsiasi uomo, o “bestia”, quale ora io sono et dunque mi reputo, dannato figlio di
Caino.Al contrario mia madre, seppur anch’ella d’alta fattezza, irradiava al suo intorno un senso
di pace et tenerezza ineguagliabile, et fu lei che mi diede conforto in quei periodi di tristezza che
spesso si impossessano dell’animo di un bimbo. Il suo volto era simile al sole al suo mezzogiorno, i
suoi occhi azzurri come il cielo et il suo capo coronato di chiome biondissime, come il grano
d’estate, venate in alcuni punti di ciocche che all’occhio sebravano quasi bianche, come la neve
dell’inverno. Sin dalla più tenera età mio padre predispose per me studi di giostra et lezioni
nell’arme, che per lunghi anni ho continuato a prendere insieme et sotto l’attenda guida di mio
fratello maggiore Piotr, ereditiero dei territori della mia famiglia et futuro duca del Lawenburg.
Ammiravo molto mio fratello, in lui potevo leggere sia l’animo di mio padre che la compassione et
l’amore, retaggio che gli giungeva da mia madre.Trascorsero per me duri anni di studio ed
allenamenti, di lotte et lezioni di eqitazione congiunte all’arte della giostra.All’approssimarsi
dell’età di 15 anni, ormai uomo, nell’anno domini 1192, entrai a far parte come novizio del Sacro
ordine dei Guerrieri Teutoni, et venni poi ordinato cavaliere dell’ordine Teutonico.Come tale, per
ancora altri lunghi anni mi addestrai nei codici di condotta e nell’uso delle armi peculiari del Sacro
ordine di cui ora facevo parte: la mazza et lo spadone.Ma quelli, se anche tutti gli altri non lo
fossero, erano anni davvero cupi, e l’Infedele, con tutte le sue sacrileghe et pagane credenze
minacciava nuovamente il Santo Sepolcro di Nostro Signore, Jesù il Cristo.Partii in tutta fretta
con la mia compagnia alla volta dell’Italico suolo et di Venezia, dove tutto l’esercito crociato ci
attendeva per salpare alla volta della TerraSanta e di Gerusalemme, la Santa città di Dio.Dopo
quasi un mese di marce raggiungemmo la laguna veneta, et con essa la città.Ci riunimmo
all’esercito crociato; ci venne dato cibo et alloggio per la notte.Entro tre giorni saremmo salpati.
Era il 1198, se il mio computo degli anni in quel periodo risulterà essere esatto.Ma il Fato a volte
non manca di senso dell’umorismo: mio più grande desiderio era quello di combattere per la
Cristianità et di vedere la TerraSanta.Vidi effettivamente la Palestina, ma ormai ero divenuto una
creatura delle tenebre, l’antitesi di tutta la dottrina della Bibbia; ero entrato a far parte
dell’oscura stirpe dei figli di Caino, dei Vampiri, dei non-morti.La sera del mio arrivo infatti caddi
vittima di un’imboscata nel campo crociato.Mi risvegliai quale non-morto a bordo di una nave
XVI
corsara, salpata in direzione della Dalmazia, abbandonato al mio destino di creatura delle ombre e
preda di un destino che si rivelava per me et i miei compagni di viaggio, otto in tutto, ancora più
oscuro delle nostre stesse esistenze.Con noi anche un Moro, un cane infedele…Avrei dovuto
odiarlo per il solo fatto ch’egli esistesse, ma ora, accomunati dal medesimo destino et avuta la
possibilità di parlare direttamente con uno di “loro”, il mio istinto mi diceva che potevo fidarmi.
Decisi di dar retta al mio “sesto senso”, dopotutto mi aveva salvato più di una volta in battaglia,
non avevo dunque alcun motivo per non averne fiducia.L’arabo aveva nome Azim, ma purtroppo
il nome quivi riportato non è completo, data la mia poca padronanza dell’arabo et della lunghezza
con la quale il popolo di Maometto è solita chiamare i suoi figli.Altri del nostro gruppo erano tre
tra i Crociati, francesi et italici per nazionalità, et anco un greco, che si faceva chiamare
Gwinplaine, et ultimo un mercante venziano, un appartenente alla facoltosa et importante
famiglia dei Polo, discendenti del Marco che aprì una rotta di commercio nelle Indie et nelle Cine:
il suo nome era Giuseppe, Giuseppe Polo.Raggiungemmo quindi, dopo giorni di profonda
sofferenza d’animo, mentre pian piano scoprivamo ciò che eravamo divenuti, una piccola isola
della costa dalmata, che per quanto rimemori non aveva nome.Fummo accolti dal Principe del
luogo, un discendente di Caino come noi, di nome Samir, che si definiva appartenente ad un tal
“Clan della Rosa”.Ospiti nel suo maniero io ed i miei compagni di viaggio apprendemmo l’uso et la
forza che il nostro nuovo retaggio ci conferiva. Appresi così che la creatura che mi aveva reso un
vampiro apparteneva ad un clan di feroci et brutali guerrieri che abitavano le lande confinanti alle
mie terre, i Gangrel.Questa mia nuova “famiglia” possiede poteri ferini che le derivano dalla vitae,
questo il nuovo nome per il sangue, poteri quali la visione come quella del lupo nelle tenebre e gli
artigli, tali a quellì dei draghi delle leggende, in grado di fare a brandelli persino la pietra et le
lame di spada.Ma ben presto il nostro ospite si rivelò essere null’altro ke un mostro sanguinario
che bramava soltanto la nostra morte. Purtroppo per lui nel suo stesso maniero si aggiravano
presenze ancor più perfide e abominevoli di lui; fu così che per mano la sua stessa arroganza lo
portò alla distruzione per mano di un Antico del suo clan, il cui nome, e suppongo lo sia ancora,
era Aurelio.Con la morte di Samir anco le nostre “missioni” erano finite; rientrammo dunque in
Italia, a Venezia, dove trovammo ad attenderci tutti coloro che erano i nostri Siri, i nostri
“creatori” quali vampiri.Ci venne presentato in quel periodo anche Adrian, del Clan della Rosa,
uno dei più abbietti ed abominevoli individui su cui abbia mai posato lo sguardo, nonché uno dei
vampiri più subdoli e riprovevoli, sospetto, della terra intera.Non mi piaceva, non riuscivo a
fidarmi di lui; sembrava che da un momento all’altro avrebbe potuto tradire tutti e venderci ai
Cacciatori, o ad altri vampiri, solo per il suo tornaconto personale.In definitiva nel corpo e nella
mente non-morta di Adrian si incarnava l’ antitesi di tutti quegli ideali che fin da bambino mi era
stato insegnato a ritenere et considerare giusti e inviolabili.E’ da quegli anni che la lunga lista di
mancanze et atti empi compiuti da quel vampiro aspetta, sepolta nella mia memoria, il momento
nel quale finalmente, con la lama dei miei artigli, potrò dargli la punizione che merita, anco per
quelle che sono state le violenze perpetrate per gusto di farmi infuriare contro bimbi innocenti,
sacerdoti e contro me stesso. Ma il giorno della tua morte ultima verrà, Adrian, e nulla potrà
salvarti; la notte in cui ci reincontreremo quali nemici sul campo di battaglia, allora saprai che i
tuoi giorni di cattiveria e depravazione sono giunti al loro termine, e il tempo non ti salverà da me,
chè la mia memoria non verrà mai meno agli atti che di te ricorda e il nostro sentiero quali figli di
Caino è ormai al di fuori del tocco della vacchiaia.Preparati, dunque, perché nella fatidica notte, io
avrò il tuo cuore pulsante tra le mani, e tu morrai; io mi impossesserò della tua vitae, come
compenso per tutto il male che hai commesso e tale sarà la sola ed unica punizione che ti si potrà
XVII
applicare, null’altra sanzione o ammonimento potrebbe fare effetto sulla tua corrotta anima, solo
la morte metterà fine ai tuoi delitti nei confronti dell’uomo, et io, Adrian servo del male, diverrò
per te, la notte del nostro scontro finale, l’Araldo della morte. Dopo un breve periodo trascorso
insieme ai nostri rispettivi siri et sotto la loro guida, nel quale abbiamo avuto modo di conoscere
ancora di più su quelli che erano i poteri che il nostro retaggio di vitae ci donava, all’improvviso
fummo costretti a partire: il Principe della città di Venezia, aveva atteso proprio il momento del
nostro ritorno per sferrare un colpo mortale alle idee sovversive dei nostri Siri, che si erano
allontanati dalla guida e dal controllo degli Anziani dei loro rispettivi Clan ed erano divenuti
degli Autarchici.Il mio Sire, Guglielmo, perì nel rogo della sede degli Autarchici.Io et i giovani
vampiri che facevano parte del gruppo fummo costretti a partire, per salvare le noste vite, per le
montagne del nord, le Alpi, e per un luogo chiamato la Valle Camonica , causa anche la costrizione
da parte di Elena, Cappadociana alla corte del Principe, che li ci mandò per compiere una
“consegna”.Di quei bui periodo ben poco mi soggiunge alla memoria, ma so per certo che mi ero
fatto carico di risolvere un problema di ordine nel dominio del Principe di quelle terre, il cui
maniero era situato nel borgo di Gorzone.Scoprimmo, grazie all’aiuto di una nuova compagna, del
Clan degli Studiosi di Morte, che aveva nome Livenna, una Catara, a voler dire il vero, che tutti i
problemi che erano presenti nel dominio erano causa di un Baali, un abbietto e meschino essere,
l’incarnazione del male puro, dell’odio e della cattiveria.Per sconfiggere il figlio della Bestia, prole
di Azazel, il fato mi concesse la possibilità di studiare ed apprendere l’uso di un potere del mio
sanguine che mi restava fin allora inaccessibile, la Potenza.Con essa possedevo ora la forza di
cinque uomini.Con essa potevo affrontare il figlio di Baal.La lotta fu dura et violenta come
null’altra era mai stata. Ma la cosa peggiore è che in quel buoi oblio di lotta contro il Baali non
ero solo: Adrian era con me….Più un peso che un conforto o un aiuto. La lotta si protrasse nelle
viscere della terra per parecchie ore, fino all’alba e forse anche oltre. Alla fine abbattei la Bestia, il
Demone che si aggirava sul mondo; ma ogni grande impresa ha il suo prezzo: caddi infatti in
torpore, a seguito della spesa di vitae durante lo scontro. Fu un sonno lungo, privo di sogni od
incubi, simile in tutto alla Morte, a cui ormai ero immune.Mi risvegliai soltanto 200 anni dopo,
grazie all’opera di alcuni manovali che, Iddio mi perdoni, perirono per mia mano. Non sconterò
mai abbastanza per la loro morte innocente.Scoprii solo allora che eravamo nell’ anno di grazia del
Signore 1408.Mi dipartii allora dall’italico suol alla volta di nuove avventure, dato che nessuno
dei miei vecchi compagni di ventura riuscivo a trovare e spinto a nuove mete dalla mia natura di
girovago e viaggiatore. Mi recai allora in Francia, superando le Alpi ad Ovest, per un itinere lungo
e difficile, sempre battuto da gelidi venti e copiose piogge.Giunsi sui territori del Regno di Francia
nell’anno 1410. In Francia infuriava la guerra, et tutto il paese ne era scosso e pervaso.
Dalle poche notizie che riuscii ad avere la cagione del guerreggiare era il trono francese, conteso
tra la franca discendenza del vecchio re, ora defunto, Filippo IV, e gli Inglesi, che vantavano
diritti sul trono.Ad onor del vero le ostilità erano cominciate decadi addietro, nel 1337, ed io
riuscii a raggiungere il suolo francese in una fase di intervallo, in cui la terra di Francia,
devastata, vedeva una sottile pace, am era una pace invero priva di speranza. Tutti infatti
sapevano che le contese et i combattimenti erano soltanto rimandati ad altri tempi. Infatti nel
1415 il guerreggiar riprese.Dal canto mio raggiunsi la sponda ovest del paese, quella che si estende
dal Mare Oceano Atlantico, fino allo stretto braccio di mare denominato della Manica, che separa
le terre di Francia dal suolo inglese. Presi rifugio nella regione della Normandia, spostandomi pero
molto spesso verso nord fin a raggiungere le terre d’ Artois. In quegli anni di guerra trovai come
mio ideal rifugio un terreno boscoso et ricco di colline, che si estendeva tra Calais, Bruges et Lilla.
XVIII
In quegli anni invero trovare la vitae di cui la stirpe dei fratelli necessita non era per nulla
difficoltoso da reperire, ma d’altra parte in quegli anni vidi atrocità et soppesai umane azioni che,
anno dopo anno, mi risultavano sempre più riprovevoli ed odiosi. La guerra è sempre guerra, ma a
volte l’animo umano la stravolge, e ne rimane talmente sconvolto, da trasformare guerra et contesa
in inutile massacro et atrocità d’ogni sorta.La guerra ebbe termine alfine nell’ anno di Nostro
Signore 1453, ed io trovai rifugio stabile nei pressi della città di Bruges, nel nord est del paese,
sempre nella regione dell’Artois. Per cinquant’anni rimasi in quei territori, trascorrendo il mio
tempo in cacce et in sempre novelle scoperte. Presto mi dedicai fin anco alla lettura di testi et
libelli dei più svariati argomenti. Per opera della sorte, nel periodo d’intorno al 1507 anno di
Grazia del Signore, mi sovvenne per le mani un novo scritto, di un certo navigante italiano, che
sosteneva di aver trovato una nuova via e più diretta per le Indie. Ignoravo, a dire il vero, sulla
locazione di cotali Indie, ma ora l’idea di viaggiare si risvegliò prepotente nel mio core.Poco tempo
dopo già si vociferava che in realtà quella via altro non era che in itinere per un novo mondo
inesplorato. Ma prima d’ ogni cosa ripartii, per tornare sui terreni della mia casata, nel
nord.Giunto alfin nelle terre danesi, mi premurai di trovar et collocare in un luogo sicuro tutti li
mie possedimenti et le cose appartenutemi. Diedi sepoltura ai miei averi sul fondo di un lago che si
stendeva vicino al maniero della mia famiglia, e che spesso da bimbo mi trovavo a rimirare,
leggendo i gioci di luce ed ombra che sulle acque si sviluppavano senza sosta. Dopo due settimane
di costante lavoro terminai la mia opera, et mi approntai per ripartire per le lande mediterranee et
il sud dell’Europa.Passai attraverso le terre tedesche, e per opera del caso anche per Wittenberg,
un piccolo borgo insignificante, come tanti ne vidi nel corso delle mie peregrinazioni.In paese
scoprii risiedere un monaco, un eretico sovversivo, che recava il nome di Martino Lutero. Seppi
che, pochi giorni prima, aveva affisso sulla porta della cattedrale alcuni fogli di pergamena, su cui
di sua mano aveva vergato lunghi discorsi. La gente era divenuta solita additarle come “Le 95
tesi”. Mi trattenni un poco in quel piccolo paese, et ebbi persino la possibilità di vedere questo
sovversivo monaco agostiniano; ne ascoltai anche alcuni agoni, tenuti nella cattedrale del paese.
Pensavo in vero che niuno sano di mente avrebbe mai prestato orecchio a tali panzane et
menzogne di tal fatta, solo et solamente sciocchezze eretiche.Col senno di poi devo riconoscere ed
ammettere che le cose non sono andate a dire il vero come pensavo.Proseguendo raggiunsi
nuovamente le terre italiche, dopo aver attraversato la Confederazione Elvetica. Mi trovai
pertanto a passare attraversi i domini del ducato di Milano, quando sentii che in città si
trovavano una delegazione di monaci, di un ordine neonato, che stavano partendo per una
spedizione di carattere puramente religioso alla volta di un paese nomato Giappone. I monaci si
facevano chiamare Giesuiti, dicendo di se stessi essere militia Christi, ”Soldati d’ Iddio”. Volevano
pertanto raggiungere subitamente Venezia, per poi imbarcarsi e fare vela verso l’estremo Oriente.
Quando decisi di accodarmi alla spedizione correva l’anno 1538, et si era nel periodo estivo
dell’anno.Il viaggio, sia a terra che per mare fu lungo et difficile, ricco di perigli et carico non
meno di problemi, ma la grazia di Dio vegliava su di noi, sicchè raggiungemmo in maggioranza
salvi le coste della terra di Giappone.Erano trascorsi quasi 3 anni, et si era giunti ai primi giorni
della stagione dell’ autunno, quando spesso piove ed il mare si trova in burrasca costantemente.
Ma in soli tre mesi la missione venne edificata et portata a compimento, ed i monaci cominciarono
con rinnovato fervore la loro missione di predicazione dell’ evangelo di Nostro Signore, Jesù il
Cristo, a quelle genti pagane, irretite dall’adorazione dei maligni et infernali spiriti.La cosa che mi
sorprese maggiormente di quel popolo erano le loro strane fattezze del fisico. Essi erano et sono,
infatti, piccoli di statura, e la loro pelle si trova ad essere tinta di uno stranissimo e blando icore
XIX
giallognolo.Hanno capelli nerissimi, e i loro occhi seguono il colore scuro nella maggior parte della
popolazione.Circa le tradizioni molte mi sono risultate veramente incomprensibili et strane, ma
altre veramente interessanti. In particolare il mio spirito guerriero è stato irretito dalla loro
fantastica capacità di arrivare a sfruttare tutte le loro abilità nel corpo e nella mente, arrivando a
diventare delle perfette macchine guerriere, la cui incarnazione perfetta è possibile vedere nell’ arte
del judo, del karate, et nel guerriero ninja.Fu la prima settimana dell’inverno; la prima neve era
caduta già da qualche giorno, et il paesaggio era coperto da un manto candido et leggero. Nella
notte la missione Gesuita venne attaccata dal briganti et ladroni in cerca, probabilmente, di
bottino; già da tempo infatti si sentiva vociferare di scorribande et saccheggi a danno di villaggi
vicini alla missione, si parlava di case bruciate, abitanti massacrati o fatti prigionieri.I monaci
della missione furono tutti uccisi, impalati e trucidati, gli inservienti giapponesi decapitati et i
loro corpi morti straziati, i santi libri et i sacrissimi paramenti vennero dati alle fiamme, gettati
nel fango e calpestati.Quella notte, purtroppo, non ero presente, e non potei far nulla per salvare
la missione. La notte successiva però seguii le tracce, sebbene orami vecchie. Ma riuscii comunque
a trovare i briganti, sebbene con fatica.Quella notte i monaci ebbero la loro giusta vendetta.
Quella notte le anime dei briganti si presentarono dinnanzi al Trono di Dio e davanti ai suoi
angeli per rendere conto dei loro peccati.Nel loro covo, nascosto dai cadaveri, lacero, coperto di
lividi et sine alcun cibo trovai un uomo, a cui quei carnefici avevano strappato gli occhi. L’uomo,
tremante, mi chiese qualcosa in una lingua a me incomprensibile. Qualcunque fosse stata la
richiesta, io decisi di prendermi cura di quell’uomo. Rimanemmo nella caverna della banda dei
briganti per molti mesi. Lì appresi i rudimenti della loro strana lingua, et anco le arti della lotta
che tanto mi avevano affascinato al mio primo incontro con la cultura della terra del Giappone.
La caverna si trovava nella regione al più estremo sud del Giappone, in una regione collinare di
rimpetto alla stretta fascia di mare che separa le quattro isole nipponiche con l’Impero Cinese.Se il
mio computo dovesse risultare esatto, era l’anno Domini 1547, quando il mio sensei, così infatti
avevo preso a chiamarlo, il cui nome era Haruhiko Mikimita, spirò. Non potendo più fare nulla
per lui, decisi di dargli gli ultimi onori. Lo seppellii in un luogo dove nessuno avrebbe disturbato il
suo riposo, pregai per lui.Nessun legame orami mi tratteneva più nella terra del Sole Nascente.
Decisi pertanto di partire per tornare in Europa.Mi imbarcai clandestinamente in un mercantile
olandese, che faceva la spola lungo tutte le città portuali asiatiche ed indie, per raggiungere, alla
fine di un interminabile et rischiosissimo viaggio durato tre anni, la vecchia Europa, ed in
particolare Amsterdam. Nelle mie vecchie terre era però cambiato molto di quato conoscevo.Persino
le guerre non si combattevano più come ricordavo, ma gli uomini avevano sviluppato una nuova
arma, dagli effetti devastanti et persino “disumani”. Grazie alla polvere pirica nacque
l’archibugio, e da lui tutta la lunga serie delle armi da fuoco.Tornando sui miei passi raggiunsi la
Francia, e mi stabilii per un periodo nei bassifondi di Parigi.Fu nel 1607 che sentii parlare di una
spedizione per colonizzare il Nuovo Continente che decadi addietro quell’italiano aveva scoperto.
Il Re di Francia aveva infatti incaricato Samuel de Champlein di fare vela verso il “Nuovo
Mondo” e di fondare una colonia degna dello splendore francese nelle terre del nord.Partii senza
esitazione. Era il 1608 quando, sbarcato in “Nuova Francia”, o Canada, risalii seguendo la
spedizione di De Champlein il corso del fiume San Lorenzo, vedendo la nascita della cittadina
chiamata Quebec.Fu alfine nelle fredde lande canadesi che appresi un nuovo potere che il sangue
mi donava, quello di assumere, secondo mio volere, le sembianze del Lupo. Pertanto ho vissuto per
quattro anni nelle sconfinate foreste del nordamerica, nutrendomi del sangue di alci, caribù et orsi.
XX
Fu duranti questi anni che venni spesso in contatto con la cultura degli indigeni americani, gli
Indiani, e in particolare con la cultura Ojibwai, ovvero di una tribù stanziata alla foce del San
Lorenzo, dove si trovava il mio terreno di caccia prediletto. Fu in quel periodo che,
inavvertitamente, svelai la mia presenza ad un gruppo di cacciatori indiani.Ero a caccia, ero
concentrato, ed ero affamato; catturai la mia preda usando i poteri della vitae. Non mi accorsi
nemmeno di loro. Ma quegli uomini, tornati al loro villaggio, devono aver raccontato di me, della
mia presenza, e di quello che facevo ai loro anziani. Il responso dei Saggi fu tale: in me vedevano
il Wendigo, una orrenda creatura mostruosa e demoniaca, latrice di morte e distruzione. Come
tale, andavo abbattuto prima di divenire più forte e inarrestabile. La spedizione indiana mi
raggiunse 3 giorni dopo. Erano tanti e armati. Con loro sentivo anche l’odore dei lupi.Potevo fare
solo una cosa: scappare. Era arrivato il 1619 quando, dopo aver tracciato un lungo percorso in
mezzo alle foreste, tornai sui sentieri dell’estremo nord epr i miei passi, e raggiunto un porto
sull’Oceano, mi imbarcai nuovamente per l’Europa. I miei viaggi nel nuovo mondo erano finiti nel
peggiore dei modi: per quella gente io ero la personificazione del Male, della Rabbia e dell’ Ira. Ero
tutto ciò che non avrei mai voluto essere.Giunto che fui in Olanda, decisi di spingermi verso le
lande abitate dai miei avi. Verso la Russia e le steppe.Il mio viaggio mi portò nei pressi di Vienna.
Era l’anno domini 1621. Ma successe ciò che non avevo previsto. Uno scontro. Uno scontro con
un Garoo, un UomoLupo.Tra tutti i nemici possibili per un Fratello, di certo i Lupini sono i più
tremendi avversari.La lotta fu dura, difficile ed estenuante. Combattemmo dalla mezzanotte fino
all’alba.Prima che giungesse il bacio del Sole, però, riuscii ad avere la meglio sul mio avversario,
ma ad un prezzo altissimo. Il Lupino venne annientato, e io caddi in torpore, essendo ormai privo
di vitae.Come ultimo atto disperato mi nascosi nel grembo della terra, lontano dai raggi del sole.
E li dormii un sonno senza sogni, del tutto simile alla morte. Finchè, oggi, nel 2041, il sangue non
mi riportò alla vita.Sono a Vienna. Sono di nuovo vivo. Ma il tempo è stato latore di cambiamenti
notevoli, e strani… Ora faccio parte di un gruppo di giovani anarchici, tra cui dovrei citare per
correttezza Tristano , un giovane amico, a cui o promesso i miei servigi in cambio del suo aiuto, in
un epoca così strana e diversa. C’è poi GreyFox, un individuo strano, che non riesco bene a
comprendere; vive con la sua progenie, Naima.Devo ammettere che la donzella ha molte buone
qualità.E poi c’è Luky, un pivello malkavo. Ma se non fosse per lui nessuno di noi si muoverebbe.
Purtroppo o per fortuna infatti, è lui che controlla i soldi del nostro gruppo. E, come ho scoperto
con rammarico, in questa epoca assurda, non si può fare nulla senza denaro.
Daeniem
XXI
Il Segreto di Saulot
Venite a raccolta,
Toreador a teatro
o Gangrel fra i fuochi del boschi;
venite a sentir narrata la storia
del primo cavaliere della stirpe dei Salubri,
Samiel dalla lama luminosa,
e del più grande segreto
che quella stirpe serba.
Venite a sentire,
di demoni e paladini,
di semi-dei e di abomini :
venite ad udir
solo una storia di noi vampir
Quando Caino succhiava il latte dal seno di Eva la Terra già ospitava una razza di creature con
una civiltà evoluta anche se tribale per scelta, con un grande credo naturalistico ed animistico che
avrebbero mantenuto nei millenni, costoro si chiamavano "Garou", i figli della Madre di Tutti gli
Spiriti, Gaia. Più di ogni altra creatura i Garou hanno sempre odiato i Demoni, li odiarono anche
quando presero ad odiare i Vampiri, che a loro volta chiamarono i Garou col nome dispregiativo di
"lupini". Ma allora Caino non era stato ancora maledetto da Dio e messo al mondo la sua progenie
succhia sangue e persino gli umani (che avrebbero poi chiamato i Garou col nome di "lupi mannari")
non erano diffusi. Ma i Demoni già calcavano il suolo della Terra, all'inizio erano pochi ma poi
sempre in più riuscirono a rompere i sigilli dell'Abisso e a giungere su questo mondo; fra loro ed i
Garou fu subito guerra e tranne i più forti o astuti di loro quasi tutti caddero sotto le zanne e gli
artigli dei guardiani di madre terra. Kupala era uno dei demoni più potenti e più furbi e i Garou
non riuscirono ad ucciderlo, tuttavia neanche lui da solo riuscì a tenere testa agli sciamani Gaoru e
questi lo sigillarono in una prigione sotto la roccia da dove la sua aurea malefica non poteva
contaminare l'ambiente e là Kupala rimase ... ed attese. Nei secoli nacque la razza dei Vampiri,
figli di Caino maledetto da Dio. A loro volta i figli di Caino generarono una propria genie, 13 figli
che presero il nome di Antidiluviani perché furono gli ultimi del loro popolo ad essere generati
prima del grande diluvio. Nonostante essi non avessero che parte dell'immane potere che Caino era
riuscito ad estrarre dal proprio sangue maledetto, erano pur sempre semi-dei in confronto ai
comuni mortali e persino ai loro discendenti vampirici. Uno di questi Antidiluviani aveva nome
Mekhet ed era un veggente ed un profeta, tuttavia egli passò alla storia con il nome della progenie
che avrebbe generato : Tzimisce. Mekhet mise appunto un proprio personale potere del sangue che
poi insegnò solo ai suoi figli, la Vicissitudine, ovvero la capacità di plasmare il proprio corpo e
quello degli altri a forme ed usi innaturali ed artificiali. Egli era convinto che con un uso massiccio
di questa scultura corporea e con alle spalle una mentalità alternativa a quella dei comuni mortali
(e che mettesse l'accento sull'evoluzione spirituale al di là dei limiti umani) si potesse rendere se
stessi simili a Dio. Tuttavia la voglia di conoscenza di Mekhet non si placò col tempo, anzi,
Vicissitudine fu solo l'inizio. Egli, come tutti gli Antidiluviani, era ossessionato dalla (per loro)
improbabile idea della morte finale e per questo cercò il metodo di essere sempre più potente ed
eterno. Iniziò a circolare la voce che Vicissitudine al suo interno contenesse una sorta di "morbo"
XXII
che contaminasse la stirpe degli Tzimisce col sangue di Makhet, dissero che egli stesso era stato
generato da uno dei figli di Caino con la parte malata del proprio sangue e che questo portava gli
Tzimisce sempre più verso la follia e la crudeltà. E tutte queste voci erano in parte confermate
dall'apparente crudeltà che questi vampiri mostravano nel corrompere le altre creature con la loro
arte per modellarle a forme di loro gradimento, poco importava a questi critici però (dicevano gli
Tzimisce) che anche gli altri vampiri non trattavano meglio i mortali ma lo facevano in maniera
meno evidente e che loro non erano crudeli, avevano semplicemente trasceso i limiti della moralità
mortale. Accadde così un giorno che Kupala apparve in sogno a Mekhet e gli mostrò la sua
prigione, lui ed il demone-più-antico (così era cominciato ad essere chiamato Mekhet dopo che la
voci sulla malvagità genetica della sua stirpe) fecero un patto : gli Tzimisce lo avrebbero liberato e
Kupala in cambio avrebbe dato loro un grandissimo dono : la magia. Intuendo che così la sua
progenie sarebbe diventata la stirpe per eccellenza di studiosi e saggi del mondo vampirico, Mekhet
accettò. Mekhet, suo figlio maggiore Yorak, ed altri fedelissimi raggiunsero la prigione di Kupala
pronti allo scontro coi lupini. Nonostante i Garou fossero all'apogeo del loro potere, Mekhet ed i
suoi figli rappresentavano un potere giovane ed appena nato, inoltre i lupini non erano ancora
preparati alle mille astuzie ed ai poteri dei Vampiri. In breve, a costo della morte di alcuni
Tzimisce, Kupala venne liberato e per ricompensa insegnò a Mekhet ed a Yorak le arti magiche per
comandare gli spiriti della natura ed i cinque elementi, e la demoniaca sposa di Kupala insegnò
loro l'arte di provocare con la magia dolere ed afflizione fisica e spirituale nel prossimo. E Yorak e
Mekhet la insegnarono alla loro stirpe. Kupala si fuse con la terra dei Carpazi contaminandola
con la sua presenza e visto che il sangue degli Tzimisce è strettamente collegato alla loro terra
d'origine (specie per i discendenti di Yorak) questo non fece altro che aumentare l'intrinseca
malvagità del sangue di quella stirpe.Tuttavia la preistoria lasciò spazio all'antichità e i Vampiri
alzarono le mani gli uni contro gli altri, Caino sparì e lasciò il destino della sua stirpe nella mani
dei suoi stessi membri. Furono anni di grandi lutti ma anche di grandi eroi, e forse il più grande di
questi fu il primo cavaliere della stirpe dei Salubri, progenie diretta di Saulot, fondatore di quel
clan, e creatore (unico fra i vampiri non Antidiluviani) di una proprio potere, la guerresca Valeran.
Il suo nome era Samiel.Se Mekhet era il capostipide della stirpe degli Tzimisce, che nei secoli
successivi divennero gli scienziati ed i saggi del mondo vampirico, un'altro antidiluviano di nome
Saulot creò la stirpe dei Salubri per essere i guaritori ed i filosofi della progenie di Caino. Saulot
era molto amico di altri due antidiluviani, Seth e Malkav, colui che per primo teorizzò una società
tanto liberale da rasentare l'anarchia ed il profeta visionario tanto saggio che essere ritenuto
pazzo. Tuttavia ben presto Saulot desiderò partire per l'est e poter attingere alla saggezza di un
misterioso popolo che si autodefiniva "kuei-Jin" e alla sua partenza Seth gli diede la sua spada in
cambio del bastone dell'amico e Malkav gli disegnò un occhio in mezzo alla fronte con il sangue.
Nessuno seppe mai cosa fece Saulot in oriente ma quando tornò aveva un vero terzo occhio in
mezzo alla fronte dove Malkav aveva disegnato il suo e poteva anche usufruire di un nuovo
potere che nessun altro vampiro possedeva, Saulot lo chiamò Obeah e con questo strumento mistico
poteva curare le ferite fisiche e mentali degli altri. Da allora i salubri si aggirarono per il mondo
come angeli misericordiosi per vampiri e mortali. Accadde un giorno che Saulot incontrò un
giovane schiavo cantante di una popolazione proto-mesopotamica, era pieno di voglia di giustizia
per le ingiustizie ed i soprusi che aveva subito dalla sua nascita ma il suo cuore proprio per questo
era stato segnato e non aveva più la purezza necessaria per poter apprendere Obeah. Dopo mille
tentennamenti alla fine Saulot fece di lui suo figlio e da quel giorno lo schiavo fu Samiel il
Salubre. Samiel era buono, giusto, carismatico, onesto, leale ed intelligente, in breve il suo nome fu
XXIII
leggenda. Egli creò una propria versione guerriera di Obeah che gli permetteva di usare in
combattimento contro l'avversario o a suo favore i poteri creati dal padre; a questo nuovo potere
egli diede nome Valeran ed a sua volta Samiel iniziò a creare una progenie, la cosiddetta "Via del
Guerriero", per aiutare i guaritori del padre. Là dove i Salubri con Obeah portavano la pace per chi
ne aveva bisogno, i Salubri di Samiel portavano vendetta e giustizia e Samiel fu l'unico figlio degli
Antidiluviani ad avere creato un nuovo potere. Di punto in bianco egli non era più un vampiro
qualunque, egli era la speranza del mondo : il primo cavaliere. Samiel odiava qualsiasi tipo di
arroganza, di torto, di angheria ma più di tutto egli era ossessionato dal concetto di sradicare le
radici del male e non gli ci volle molto a capire che i demoni che camminano sulla Terra erano le
radici della malvagità ed egli punì con la morte coloro che si macchiarono di commerci con queste
creature e vittoria dopo vittoria il nome di Samiel crebbe in gloria e la vita degli adoratori degli
oscuri poteri si fece sempre più dura. Accadde quindi che all'orecchio di Samiel venne la notizia che
la magia degli Tzimisce fosse d'origine demoniaca ed egli crebbe nella rabbia che un intero clan
praticasse la stregoneria demoniaca; ma Samiel capì che troppo radicata era questa pratica perché
gli Tzimisce l'abbandonassero. Per un po’ il primo cavaliere pensò che era quindi inutile combattere
contro i mulini a vento ma poi i suoi tre benevoli occhi videro il mal causato dai demoni e dai loro
adoratori, demoni che in quell'epoca in cui le piramidi ancora dovevano essere costruite si facevano
chiamare "dei" ed adoratori che si nomavano "sacerdoti". Il primo cavaliere dei Salubri vide le
lacrime negli occhi dei bambini che chiamano madri che non sarebbero mai venute ... mai più. Ad
allora dalle dune della Mesopotamia sorse la lama di luce di Samiel, da quella che sarebbe stata
chiamata Persia si mise in marcia verso i Carpazi l'armata di giustizieri dei Salubri. Arrivati nel
castello dove risiedeva il demone-più-antico Mekhet essi affrontarono i mostri ghoul di carne
scolpita che egli aveva posto a guardia del suo rifugio, ed alla fine si dovettero scontrare con i
ghoul ariani ed immuni al metallo che Mekhet aveva trovato nella lontana India e che lo
adoravano come il "dio bianco". Ma neanche loro fermarono l'armata di Samiel e finalmente i
Salubri si trovarono innanzi a Mekhet in persone. Un Antidiluviano era Mekhet, potente e
spietato, più semi-dio che Vampiro, ma Samiel era il primo cavaliere, la Valeran potenziava la sua
lama e proteggeva il suo corpo, la voglia di vendetta e di giustizia ardeva nel suo cuore in
tempesta. Gli altri Salubri che sopravvissero allo scontro ricordarono uno scontro fra titani,
Mekhet mutava forma come se fosse stato d'acqua il suo corpo, Samiel affondava la sua spada
nelle carni di Tzimisce con decisione e precisione inumana; Mekhet poteva assumere la forma e la
caratteristiche di un intero piccolo ecosistema in grado di poter creare da solo una forma di vita
propria (partendo da una base già esistente però, perché la creazione dal nulla era un dono del solo
Creatore) ma Samiel era la luce del bene in quella terra senza legge ed alla fine infilzò il cuore
stesso del demone-più-antico che a sua volta trafisse coi suoi artigli da parte a parte il corpo del
primo cavaliere. Come due giganti caddero sia Samiel sia Mekhet ed in una sola notte gli Tzimisce
persero il proprio Antidiluviano ed i Salubri il più valoroso vampiro che abbia mai calcato la
Terra, con la sola eccezione dello stesso Caino. E tuttavia .... tuttavia nel medioevo gli anarchici
del clan Tzimisce proclamarono la distruzione di Mekhet ad opera di Lambach Ruthven e di Lugoj
e sussurri da sempre celati agli orecchie dei Vampiri più anziani narrano che fu solo Mekhet a
cadere quella notte e che Samiel tornò da solo dal suo padre Saulot con la notizia della vittoria. I
secoli lasciarono il posto ai millenni e il ricordo divenne storia, che a sua volta divenne mito. Gli
Antidiluviani erano divenuti figure leggendarie che risiedevano in luoghi segreti, secondo alcuni
essi si erano ritirati in solitudine per cercare la Golconda (una sorta di Nirvana mentale che
avvicinava il Vampiro all'uomo), secondo altri conducevano una guerra segreta denominata Jhyad
XXIV
in cui muovevano i Vampiri più giovani come pedine, secondo altri ancora non erano mai esistiti.
Nell'Europa del basso medioevo la progenie di Caino dominava sui mortali come signori della
notte, i Vampiri più anziani erano i signori tenebrosi di quel mondo grazie ai propri poteri ed alle
influenze nel mondo umano coltivate nel corso dei secoli; era impossibile cercare di uccidere colui
che con un'identità segreta stipendiava tutti i mercenari della regione, per esempio.I Vampiri più
giovani erano i servitori e gli schiavi degli anziani, destinati a soddisfare i crudeli giochi, le
assurde fantasie e l'implacabile sete dei loro signori più vecchi; i cuori ormai lontani dell'umanità
degli anziani non lasciavano spazio al dialogo, alla libertà, al perdono o alla coscienza. I poteri
mentali, i ricatti e la paura venivano usati come strumento d'oppressione; per non parlare del
legame di sangue (una schiavitù sopranaturale che colpisce un Vampiro o un mortale che beva per
tre volte consecutive il sangue di un'altro Vampiro). Nelle terre dell'est Europa, terre ataviche del
clan Tzimisce, una casata di stregoni mortali appartenenti alla casata ermetica dei Tremere
realizzò una pozione magica che (unico caso nella storia) li fece auto-creare come Vampiri. Il loro
insediamento in quella zona e i loro esperimenti volti a creare una razza di Vampiri servitori che
denominarono Gargoyles li fecero entrare in conflitto con gli Tzimisce stessi. I Tremere
svilupparono una versione vampirica delle loro magie che chiamarono Taumaturgia, che risultò
essere straordinariamente varia, flessibile e potente, tuttavia essi per lungo tempo non vennero
considerati un clan perché non discendevano da un Antidiluviano. Il capo del nuovo clan, che si
chiamava appunto Tremere, trovò la cripta dove riposava un Antidiluviano semi-addormentato,
costui era Saulot. Innanzi ai suoi assistenti, Tremere commise diableriè (l'atto di succhiare tutto il
sangue dal corpo di un'altro vampiro assorbendone i poteri e distruggendone l'anima) su di lui e
divenne, a livello di potere, un Antidiluviano. Subito dopo i Tremere si infiltrarono nelle corti
d'Europa e portarono la loro crociata contro i Salubri. travisando volutamente alcune pratiche
delle cure per la mente salubri e delle loro cerimonie rituali infatti, i Tremere li accusarono di essere
diablerizzatori incalliti e ladri d'anime. A guidare la lotta contro i Tremere c'era la massima
autorità del clan Tzimisce, Mekhet in persona, che agiva tramite i suoi discendenti, Yorak per
primo. In realtà nello scontro contro Samiel il-demone-più-antico era caduto ma aveva preso le sue
precauzioni contro la morte, a quello serviva in realtà la Vicissitudine, l'arte della scultura
corporea di quel clan. Il misterioso morbo che corrompeva i corpi degli Tzimisce non era altro che
una parte dell'essenza stessa di Mekhet e quando la lama del Primo Cavaliere gli vibrò il colpo
mortale egli non fece altro che trasferire la sua anima nel corpo di un suo discendente di sua scelta
con tutti i suoi poteri. Tuttavia quelli erano anni di grandi e sanguinoso cambiamenti : gli
Antidiluviani dei clan Lasombra e Tzimisce furono identificati dagli infanti infuriati delle loro
stirpi e stanchi delle prepotenze degli anziani, vennero entrambi diablerizzati dai loro assalitori,
che sebbene scomparvero presto entrambi, furono l'esempio per tanti neonati infuriati che
iniziarono a dare la caccia agli anziani mentre i cacciatori dell'inquisizione seguirono le tracce dei
Vampiri per l'Europa in una scia mortale di fiamme. All'interno dei clan Lasombra e Tzimisce
tutti gli anziani furono distrutti o passarono dalla parte dei ribelli. Un Ventrue di nome
Hardestad (che secondo alcuni era solo il talentoso sostituto del vero Hardestad) fondò un
movimento noto come Camarilla ed atto a riunire i clan in pace e sotto la guida degli anziani (pur
limitandone i poteri) e coprendo l'intera società dei Vampiri sotto il velo della Masquerade, un
"silenzio di sangue" secondo cui era punibile con la morte qualsiasi appartenente al popolo di Caino
che lasciasse ai mortali prove dell'esistenza dei Vampiri, perchè i mortali dovevano lasciar cadere i
succhia sangue del limbo delle leggende. I Tremere furono tra i massimi promotori della giovane
Camarilla e con un immenso rituale maledissero per conto della Camarilla stessa l'intero clan
XXV
Assamita proibendogli di commettere diableriè su chiunque, alla luce di ciò i primi capi
dell'organizzazione dimenticarono i trascorsi del Tremere ad accolsero le loro accuse nei confronti
dei Salubri. Su Saulot e la sua stirpe sembrava calato per sempre il sipario e con loro il ricordo del
Primo Cavaliere .... Sembrava ....In cinquecento anni la Camarilla non era più il sogno di
Hardestad il Ventrue o di egli era in realtà, ma era diventata la più grande organizzazione di
Vampiri che queste creature avessero mai creato. Anche se solo sette dei tredici clan ne facevano
parte, la Camarilla non vantava rivali per numero di membri, territori controllati e influenza nel
mondo mortale e il clan Tremere ne era uno dei pilastri. La loro Taumaturgia gli aveva dato i
poteri di imporre il dominio col terrore o con la distribuzione di favori che loro erano abilissimi a
riscuotere al momento giusto, nonostante i Ventrue fossero da millenni il clan dei leader i Tremere
avrebbero potuto prendere il loro posto alla guida della Camarilla se per loro il clan non venisse
prima di qualunque altra cosa. Poi venne il 1997, l'anno terribile, in quell’anno il clan Assamita
ruppe la maledizione che i Tremere gli avevano lanciato contro 500 anni prima e poterono tornare
a compiere diablerie impunemente; fonti ufficiali di entrambi i clan parlarono del risveglio
dell'antico Ur-Shulgi, progenie di Haquim detto Hassam, fondatore del clan Assamita nonché
inventore dei una forma di magia vampirica antecedente alla Taumaturgia Tremere (certo esisteva
già la Stregoneria Koldun degli Tzimisce ma quella era stata insegnata ai Vampiri dal demone
Kupala e non inventata da uno della stirpe di Caino). Ur-Shulgi avrebbe preso il controllo di
Alamut, la roccaforte ancestrale degli Assamiti, e poi spezzato la maledizione Tremere in una sola
settimana. Nonostante che i maghi del clan Assamita fossero pochi, nonostante che fossero meno
organizzati dei Tremere, nonostante che gli stregoni della Camarilla avessero avuto secoli per
fortificarsi, la versione ufficiale di tutti furono che Ur-Shulgi aveva vinto. Ma ciò non era vero, e
quale verità sconvolgente i Tremere potrebbero celare sotto il manto della menzogna di aver fatto
fallire il loro più famoso rituale ? Cosa poteva esserci di più sconvolgente ? Tremere passava
sempre più tempo nel tepore del sonno vampirico noto come torpore e nei suoi sogni vedeva ricordi
che non pensava di possedere, visioni di un remoto passato; al suo risveglio inoltre gli veniva
spesso detto che nel sonno aveva parlato con una voce non sua e dato strani ordini. Queste
avveniva ormai da parecchio tempo quando una notte il suo corpo si ricoprì di quella che sembrava
una ragnatela, nessuno dei suoi assistenti, che pure erano potentissimi maghi, si azzardò a
toccarlo e quando infine il suo corpo si racchiuse in quello che inequivocabilmente era un bozzolo
essi non poterono fare nulla se non attendere. Dopo alcune notti in cui sembrava che Tremere non
fosse più riemerso il bozzolo si ruppe e dal suo interno uscì il corpo del fondatore del clan, ma
quando l'esultanza dei Tremere presenti stava per esplodere all'improvviso un terzo occhio si
spalancò sulla nuca di Tremere ed egli parlò con un'altra voce, ma nessuno dei presenti dubitò
neppure per un secondo di chi fosse quella voce. Era la voce di Saulot .... Tremere spalancò gli
occhi e riuscì a riprendere il controllo di se, il terzo occhi si richiuse senza lasciare tracce. Allora il
potente taumaturgo capì : ecco che fine avevano fatto Gratiano e Lugoj dopo aver diablerizzato
Lasombra e Tzimisce, evidentemente nessuno poteva succhiare l'anima di un Vampiro potente
come un Antidiluviano senza conseguenze; evidentemente dentro di lui la personalità di Saulot
stava prendendo il sopravvento. E nei momenti in cui Tremere sentiva l'anima dell'Antidiluviano
dentro di se poteva percepire le sue emozioni : Saulot era fuggito, lo aveva usato come incubatrice
per passare inosservato i secoli fuggendo da qualcosa che evidentemente nel medioevo gli dava la
caccia. Tuttavia Tremere era fuori dal comune sia come mago che come Vampiro, aveva creato dal
nulla un clan e lo aveva fatto diventare uno dei più potenti del mondo, aveva creato un potere che
non aveva rivali per adattabilità e potenza e non avrebbe permesso a Saulot di trionfare. Da
XXVI
tempo Tremere stava realizzando un rituale magico per distruggere in un sol colpo quella parte del
clan che dopo la fondazione della Camarilla aveva seguito l'ex braccio destro di Tremere, Goratrix,
per seguire i Lasombra e gli Tzimisce in un'organizzazione detta Sabbat per continuare la loro
lotta contro gli anziani. Così mentre Tremere ed i suoi sette assistenti incanalavano potere dalla
forza di volontà di tutti i loro discendenti per il mondo (in maniera analoga a quando maledissero
gli Assamiti sapevano bene che quello era l'unico modo per colpire un numero così alto di Vampiri),
agenti del clan super-addestrati appartenenti all'ordine segreto degli Astor penetrarono nella
roccaforte sabbatica di Città del Messico. Con una gigantesca deflagrazione magica avvenuta nel
luogo dove tutti i Tremere seguaci di Goratrix si erano riuniti riuscirono a distruggere con un solo
rapido attacco tutti i traditori, che vennero cancellati dalla storia in un marasma di fiamme. Da
quella notte in poi i Tremere furono l'unico clan della Camarilla a potersi vantare di non avere una
parte dei suoi membri nell'odiato Sabbat. Tuttavia la vera vittoria fu un'altra : gli Astor
portarono via, addormentato ma non morto, il corpo di Goratrix in persona, che rimaneva sempre il
più potente mago del mondo vampirico dopo Tremere. Il corpo inerme venne portato a Vienna e là
Tremere portò a termine il suo piano; coì suoi poteri entrò nel corpo di Goratrix e pregustò già di
diablerizzare il suo stesso corpo. Teoricamente una dibleriè distrugge l'anima di colui che viene
diablerizzato, e mettendo la sua anima nel corpo di Goratrix avrebbe riacquisito i suoi poteri
diablerizzando il suo stesso corpo e distrutto una volta per tutte l'unica anima rimasta nel suo
corpo originario, ovvero quella di Saulot. Ma appena Tremere aprì gli occhi nel corpo di Goratrix
non vide attorno a se il suo studio vuoto ed il suo stesso corpo inerme davanti a lui e pronto per
essere diablerizzato. Lo studio vuoto c'era ma il corpo davanti a lui era in piedi e sorrideva, e
mostrava un orgoglioso terzo occhio in fronte. Approfittando dell'assenza dell'anima di Tremere,
Saulot aveva preso il controllo. Il duello fu intenso ma breve : Tremere non aveva più tutti i suoi
poteri e non conosceva bene quelli di Goratrix, invece Saulot poteva usare sia i poteri da Salubre
che aveva conservato sia le arti magiche di Tremere che aveva osservato dall'angolino della sua
mente dal quale lo osservava da ormai quasi un millennio. Tremere nel corpo di Goratrix alla fine
venne ritrovato quasi morto nel suo studio mentre Saulot nel corpo di Tremere lasciò inosservato
Vienna senza essere notato. Per questo la maledizione sugli Assamiti cadde : perché era una
maledizione piramidale il cui vertice era garantito dal fatto che Tremere possedeva il rango di
Antidiluviano, ma nel momento in cui egli si era trovato a dover abitare nel corpo di Goratrix
aveva assunto i poteri di una sua progenie, ovvero di una quarta generazione anziché di una
terza; una realtà ben peggiore che ammettere la semplice bravura di Ur-Shulgi.
I Tremere avevano adesso un mortale nemico che girava con il corpo del loro capo e con la maggior
parte dei loro segreti nella testa, la loro stessa capitale (Vienna) aveva praticamente deposto le sue
difese ai piedi di Saulot. I Tremere fecero l'unica cosa che potessero fare .... attesero. Ed alla fine i
loro incubi si concretizzarono; sempre da più parti arrivavano a Vienna rapporti secondo cui
violenti Vampiri dotati del terzo occhio e della leggendaria Valeran avevano guidato sanguinosi
attacchi alle basi Tremere. Infatti Saulot era stato molto sottile nel suo piano di vendetta; aveva
trovato addormentato un Salubre di non poco potere scampato agli eccidi dei Tremere nel
medioevo, egli era Adonai, discendente diretto di Samiel. Insieme i due decisero di prendere
contatti col Sabbat, quell'organizzazione infatti era piena di nemici giurati del clan Tremere : là
c'erano gli Tzimisce che odiavano i Tremere per aver tentato di prendergli le terre dell'est Europa,
là c'erano anche quel gruppo di Assamiti detto Anticlan che si erano uniti al Sabbat per non dover
sottostare alla maledizione Tremere che aveva condannato i loro fratelli a non poter commettere
diableriè. Sotto la guida di Adonai tornarono a splendere, pur nel solo Sabbat, le spade dei Salubri
XXVII
e sebbene il Sabbat fosse per sua stessa natura ed organizzazione crudele ed inumano, i Salubri
brillavano per lealtà, ideali cavallereschi e sopratutto voglia implacabile di vendetta verso i
maledetti Tremere. Saulot si tenne nascosto e lasciò che Adonai rappresentasse il nuovo Primo
Cavaliere durante la rinascita della sua stirpe, aspettando il momento giusto per lanciare l'attacco
finale verso Vienna. Tuttavia nessuno sapeva cosa passasse per la mente dell'Antidiluviano
tornato dalla morte, nessuno sapeva il perché del suo volontario esilio nel corpo di Tremere in
persona. Quello era un segreto che solo Saulot conosceva e che cercava invano di celare al suo
stesso cuore. In realtà Samiel sconfisse Mekhet in quell'antico duello, ed in realtà non poteva
sapere che il demone-più-antico si potesse letteralmente reincarnare nel corpo di qualsiasi suo
discendente, ma in realtà non c'era nessuno a poter testimoniare questa vittoria perché la lotta
contro Mekhet ed i suoi servitori aveva visto morire tutti i Salubri che Samiel aveva portato con
se. Quindi il Primo Cavaliere tornò da solo a casa e là diede la notizia della sua vittoria solo a suo
padre ad a due dei suoi fratelli. A Saulot questa parve una notizia gravissima e la caduta di uno
degli Antidiluviani poteva voler dire che grandi eventi si erano messi in moto e divenne
ossessionato dal desiderio di sapere di più. Egli nella sua saggezza sapeva in quali luoghi del
mondo il guanto che separa la Terra da altri mondi era più sottile e proprio là lontano dai suoi figli
egli evocò un demone, poiché tale era la sua saggezza che persino quella branca della magia non gli
era sconosciuta. Il demone che Saulot evocò colui il cui antico nome celeste quando era un angelo
era Belial, primo luogotente della stella del mattino Lucifero durante la rivolta nei cieli; Saulot
voleva la conoscenza e solo un essere creato nel momento stesso della creazione poteva dargliela.
Saulot fece la sua richiesta : la conoscenza di ieri, oggi e domani, del tutto e del nulla. Belial fece
il suo prezzo; Saulot gli avrebbe dovuto dare ciò che aveva di più caro al mondo. L'Antidiluviano
soppesò attentamente questa richiesta. Per continuare ad usare Obeah avrebbe dovuto mantenere
il suo cuore puro, cosa che non gli era mai riuscita facile e più invecchiava più sentiva che la
lusinga del potere lo tormentava, inoltre con i suoi poteri egli poteva raggiungere lo stato di grazie
della Golconda ma per farlo avrebbe dovuto fare la vita di un santo .... oppure avere la conoscenza
assoluta.
"Vieni figlio mio"
"Certo padre, cosa debbo fare ?"
"Nulla Samiel, solo ciò che fai sempre : servire il clan"
"Lo farò con piacere padre"
"Bene Samiel, e porta con te anche due dei tuoi fratelli"
....
"Bene Saulot" disse una voce che aveva sfidato Dio stesso "il patto è concluso" Saulot da quella
notte divenne il più grande saggio della razza vampirica e nei secoli a venire sarebbe diventato un
profeta della fine dei giorni ed una guida per quanti volevano raggiungere Golconda. Ma del
valoroso Samiel : malinconico, glorioso ed immortale, non si seppe più nulla. Ma si sa, i demoni
sono crudeli creature ed a pochi andò giù il fatto che Belial avesse spifferato i suoi segreti a
Saulot; così per la prima volta tutti i vampiri seguaci dell'infernalismo si unirono sotto una
bandiera. Il potentissimo demone Baal fondò un suo clan, che in mancanza di un fondatore
Antidiluviano ebbe il titolo di "linea di sangue", primo di molti clan bastardi che sarebbero nati nei
millenni a seguire; essi presero nome di Baali e vantavano poteri demoniaci spaventosi, il
vantaggio dell'uso della magia nera ed un'armata di demoni che marciava con loro. Essi non
vennero per conquistare ma per distruggere : Baal aveva detto ai suoi seguaci che "La Maledizione
inflitta da Dio a Caino era indegna, e una sola può esserne la spiegazione : Dio temeva Caino per
XXVIII
la propria indipendenza, per il rifiuto che egli opponeva ai suoi ordini. L'unico modo per onorare
Caino è seguire i nemici del Creatore e combattere al fianco del Trono d'ombra. E sul trono d'ombra
salì il primo dei Baali, il primo a subire il fascino del male; gli Antidiluviani sapevano dai suoi
poteri che doveva essere qualcuno dei loro figli che aveva tradito passando al servizio del male ma
nessuno voleva prendersi la responsabilità di aver generato un tale mostro di depravazione.
Shaitan era il suo nome, egli era crudele, ossessionato dalla volontà di servire quelli che chiamava
"i veri padroni" e senza freni morali. Durante la guerra i Salubri furono trattati come normali
nemici, ma Baal non poté perdonare a Saulot i suoi commerci con Belial ed egli divenne il bersaglio
numero uno : Shaitan in persona giurò di fare diablerie sull'Antidiluviano. Solo l'unione di tutti i
clan potè fermare l'avanzata dei Baali e ricacciare all'inferno i loro alleati. Alla fine, dopo
moltissimi anni di guerriglia, i clan presero d'assalto il tempio principale dei Baali ed i signori
infernali poterono salvare il solo Shaitan. Nel medioevo i Baali ebbero un ritorno di fiamma, gli
sforzi secolari di Shaitan per la loro rinascita avevano trovato terreno fertile nei tanti movimenti
pagani o anticlericali di quel periodo. Saulot decise di usare Tremere come "incubatrice" per fuggire
alla crociata nera che i Baali avevano indetto contro di lui, poiché nel medioevo le alleanze fra i
clan erano minate da secoli di lotte di potere. Ed a tutt'oggi Shaitan esiste ancora, ed i suoi figli (i
dodici "al'shaitani") e la loro discendenza si infiltrano fra i clan per portare corruzione e per
spianare la strada all'avvento dei veri signori. In ogni grande città del mondo vi è posto nascosto e
protetto da oscuri poteri denominato "Nido di Vipere" dove i Baali si riuniscono per portare avanti
i loro oscuri piani e per conferire con Shaitan stesso.Arso dalle fiamme infernali e tuttavia ancora
cosciente, tradito da suo padre, venduto alle creature che odiava di più, Samiel era oltre la
disperazione. Voleva solo morire. "Datemi la morte, datemi la morte" implorava. Il Primo Cavaliere
cadde, cadde in luoghi dove le leggi fisiche del mondo erano annullate, vagò in universi di puro
caos, passò attraverso il piccolissimo squarciò fra i mondi da cui i demoni passavano dall'abisso al
mondo materiale. Samiel vedeva, e la sua mente vacillò, la pazzia si fece strada nella sua mente e
nessuno saprà mai dire quanto affondo l'abbia intaccata. Chi conosce infatti l'effetto che avrebbe
sull'intelletto il trovarsi faccia a faccia con il potere di plasmare la realtà in forme orride e
grottesche a proprio piacimento ? Nessuno. Alla fine Samiel e i suoi fratelli si resero conto che
qualcosa li stava tenendo in vita, e li condusse fino al girone dove Belial stesso li attendeva : un
luogo strappato al tessuto stesso della realtà, dove gli elementi si univano fra loro a sfregio del
disegno originale del creatore. E là .... là venne alla luce il più grande segreto di questa storia,
quello di cui persino Saulot era all'oscuro; quello che i custodi nel buio mormorano ai confini della
notte a mezza bocca, una verità troppo terribile perché il mondo la possa sopportare.
"Come ti senti, giovane vampiro ?" chiese una voce
"Io ... uccidimi, uccidimi, te ne prego" disse Samiel
"Si, hai combattuto per niente ma proprio per questo so che continuerai"
Il cuore di Samiel era esacerbato : combattere ? Dopo il tradimento di suo padre ? Dopo che tutte e
sue certezze erano crollate ? Il dolore lo investì come una mandria in corsa e gli ottenebrò i sensi.
"No, io ... non combatterò più per mio padre" Qualcuno da qualche parte sorrise.
"No, certo che noi ... per lui no" Delle voci lo chiamavano ma Samiel non vedeva più i suoi fratelli.
Una musica bellissima e orrenda insieme lo pervadeva.
"Non sei tu forse quello che veniva chiamato anche il vendicatore ?"
"Si ....."
"Bene, allora ascoltami, ascolta senza che io ti chieda nulla ciò che io dissi a tuo padre : La
Maledizione inflitta da Dio a Caino era indegna, e una sola può esserne la spiegazione : Dio
XXIX
temeva Caino per la propria indipendenza, per il rifiuto che egli opponeva ai suoi ordini. L'unico
modo per onorare Caino è seguire i nemici del Creatore e combattere al fianco del Trono d'ombra !"
"No ...."
"No ? No, Samiel ? A chi credi ? A tuo padre che ti ha mentito, a Caino che vi abbandonato o a me
che ti sto svelando la verità ?" Samiel non rispose.
"Samiel, sei stato ingannato ! Io c'ero quando Lucifero la stella del mattino si rivoltò contro Dio
per salvare i figli dell'uomo dal servilismo che il creatore voleva da loro e Dio ci ha puniti per la
nostra voglia di giustizia"
"Tu .... tu hai convinto mio padre a cedermi a te"
"No, Samiel, io l'ho messo alla prova e lui ha fallito, egli sarà perseguitato in eterno"
Ci fu un lungo silenzio, rotto solo da suoni senza senso e senza origine in lontananza.
"Cosa vuoi tu da me ?" chiese Samiel.
"Aiutarti, voglio portare la parola della vera giustizia fra voi vampiri. Tu hai assaporato quella
che tuo padre chiama giustizia e quella che io chiamo con quella parole, a quale credi ?"
Samiel fu invaso dal fuoco infernale, il suo cuore aveva risposto per lui. Una risata, tanto forte
che avrebbe potuto distruggere la Terra stessa, sconquassò il regno di Belial. Samiel sentì la sua
fronte squarciarsi, là dove un tempo c'era il suo terzo occhio si formò un pentacolo. "E' fatta allora
!" disse Belial. E Samiel si trovò in un immenso tempio rosso e nero, il cui soffitto era invisibile per
via dell'altezza e nella cui navata sarebbe entrata più di una cattedrale costruita anche in futuro
dall'uomo. "Io ti insegnerò a leggere il peccato ed a spaventare la gente con esso, ad evocare le
fiamme infernali, a materializzare le paure degli altri, a maledire la carne, ad ottenere favori dai
demoni, ad evocarli" Samiel finì il suo volo e venne adagiato da mani invisibili sul pavimento.
"Certo" fu quello che riuscì a dire, e guardandosi la mano capì che il fuoco demoniaco lo aveva
cambiato non solo nello spirito ma anche nel corpo. "Adesso ti manderò sulla Terra per essere il
nostro araldo Samiel, adesso tu porterai la nostra parole come cavaliere nero e non ti curare delle
sconfitte che subirai : alla fine la vittoria ti arriderà, noi ti proteggeremo sempre e come prova
della mia sincera amicizia ti rivelerò il mio segreto : ogni demone ha due nomi, uno che può
pronunciare ed uno segreto, Belial è il nome che tutti mi danno ma il mio nome segreto, il nome con
cui tutti mi adoreranno sarà Baal, hai capito Samiel ?"
.....
"Si, ma non chiamarmi Samiel, egli è morto"
"Come debbo chiamarti ?"
"Come chiamano le popolazioni mesopotamiche il male assoluto ?"
Baal gli disse quel nome e Samiel per la prima volta dopo il tradimento di Saulot sorrise e Baal si
chiese dalla malvagità di quel sorriso se non avesse dato vita a qualcosa di più potente di quanto
immaginava.
"Allora chiamami così da ora in poi : Shaitan
XXX
Le origini
Corro per la strada con il sangue che cola ancora dai miei artigli
della bestia sguainati, libero e selvaggio come lo sono sempre stati i
miei antenati fin dal tempo della prima città, vertice di una catena
alimentare che ci ha posti al di sopra degli stessi vampiri. Noi siamo
Gangrel, i predatori, ed io appartengo all’ultima evoluzione di
questo sangue, a coloro che non hanno avuto paura di abbandonare
i boschi quando i tempi hanno trasformato le città nel nuovo
terreno di caccia. City Gangrel ci chiamano, predatori urbani dico
io. Quasi non tocco l’asfalto coi miei piedi quando corro, i membri
del mio pack sono già fuggiti per altre direzioni prima che la polizia
o qualche vampiro della Camarilla possa accorrere sul luogo del
nostro assalto. Siamo corsi via gioendo per la nostra vittoria prima
ancora che il corpo di quell’anziano Nosferatu di nome Bruno fosse diventato cenere. Certo se
qualcuno mi vedesse correre a questa velocità e con gli artigli sfoderati la Masquerade a cui quei
bastardi camarillici tengono tanto avrebbe un duro colpo, e la cosa mi stuzzica ma non posso
permettere che i cacciatori invadano in segreto la città dando la caccia anche a me ed agli altri
pack. Inizio la mutazione cellulare del mio corpo (mi hanno detto che si dice così) e nella mia
mente formo l’abituale idea del pipistrello, mentre il mio corpo assume quella forma. La sensazione
ormai la conosco bene, il mio corpo di rimpicciolisce ma quasi non me ne accorgo, ad un certo punto
mi alzo in volo. Beccatemi adesso bastardi lecca-il-culo-agli-anziani.
Adesso stò volando verso il rifugio del mio pack, ed un senso di invincibilità scende su di me.
Un’anziano è morto, c’è un manipolatore di meno nella Jyhad, ho compiuto il mio dovere di
sabbatico, così come meno di un mese fa ho ucciso con sommo piacere quel maledetto Toreador
infernalista facendo il mio dovere di cavaliere inquisitore, il ruolo che mi fu affidato tanti secoli fa
da Gratiano de Veronesi.
Gratiano ....
il suo sogno ....
So già che mettere per iscritto queste cose sarà una cazzata, ma visto che molti neonati del Sabbat
stanno mostrando sempre meno rispetto per i valori che secoli fa ci hanno fatto iniziare la nostra
lotta forse è ora che qualcuno gli rinfreschi la memoria e, sapete com’è, io c’ero. Correva il 14esimo
secolo, non chiedetemi l’anno perché non lo so, non so nemmeno quando sono nato. Ero un
contadino polacco che abitava coi suoi in un podere che ovviamente non era nostro. Mio padre
pagava le tasse al padrone ... per il passaggio sul ponte, per camminare sulla strada feudale, per
respirare ... e quando dovette partire per la guerra io e mia madre piangemmo per paura che lui non
tornasse più. Una banale malattia mi tolse i miei molto presto, non dovevo avere più di vent’anni
; curioso, non ricordo molto di quegli anni, non tanto come dovrei, ma ricordo bene la loro morte.
Ero arrabbiato, ero furioso, il mio mondo era caduto, ma c’erano sempre le tasse a pagare al
padrone, ed io rimasi sconvolto da come quel viscido figlio di puttana non fosse minimamente
toccato da quella tragedia. Lavorai da solo finchè potei, poi mi resi conto che per pagare i debiti
che stavo contraendo con quella merda di feudatario sarei finito morto o peggio, schiavo più di
quanto già non lo fossi. Così una notte seguì il richiamo per il vicino bosco, presi le poche cose che
possedevo e scappai. Ricordo ancora il richiamo della vita selvaggia della foresta, è da molto che
non lo sento più ma allora era ciò che provavo; nel bosco libero e ferale nessuno poteva nuocermi,
perché gli animali sono migliori dell’uomo, non fosse altro che loro non li vedi scannarsi a vicenda
XXXI
per una sporca manciata di dischetti di metallo. Là incontrai il mio sire; non fu un’abbraccio facile
il mio perché fu dettato dalla voglia sua di alleviarsi la solitudine, oppure dalla necessità di avere
un’altra persona che controllasse il suo vasto bosco. Mi prese mentre passeggiavo in pace con la
natura nel bosco, mi placcò brutalmente, affondo i suoi canini sul mio collo e poi mi fece divenire
cainita. No, Lucius non si preoccupò mai di darmi troppe spiegazioni : “Adesso sei un vampiro,
niente altro devi sapere ; io sono il tuo sire, su di te ho diritto di vita e di morte”. In realtà fu lui a
far cadere in me gli ultimi barlumi di Umanità ed a iniziarmi al sentiero d’illuminazione della
Bestia, fu lui ad insegnarmi che il vampiro null’altro è se non il vertici della catena dei predatori e
che la bestia che sonnecchia all’interno di ognuno di noi e che si manifesta con la sete di sangue e
violenza gratuita nota come frenesia vampirica è anche meno disposta a ribellarsi se le si dà un
lungo guinzaglio che l’assecondi. Fu anche lui a mostrarmi i pericoli dell’avere a che fare con la
nemesi della nostra condizione di vita vampirica, a cui noi Gangrel siamo straordinariamente
vicini : i licantropi, o lupini. Mi spiegò, ed i fatti mi hanno sempre dato conferma, dell’amore di
questi esseri per la vita selvaggia, per la natura incontaminata; noi Gangrel e loro avremmo anche
potuto essere alleati se non fosse stato per l’odio che i lupini nutrono per noi da sempre, dall’epoca
di Caino in persona essi non vogliono altro che la nostra distruzione e che fra tutti i vampiri la
gente del nostro clan era la più dotata nel combattere contro di loro, forse a causa di millenni di
sfide per i territori : i nostri artigli provocano ferite difficilmente assorbibili e curabili anche per i
lupini ed uno dei poteri innati di noi Gangrel invece è proprio la maggiore resistenza alle ferite di
queste creature, senza contare i nostri poteri sulle masse animali e la nostra capacità di mutare
forma in pipistrello o lupo stesso. Nel complesso non era un sire peggiore dei suoi pari, era
un’anziano e come tale mi considerava un’oggetto di sua proprietà da usare senza ritengo; alla
fine era solo il frutto di un determinato modo di pensare, anche se questa non è certo una scusa.
La mia non-vita passò senza novità di rilievo per non so quanto tempo, ma non dovevano essere
passati troppi decenni da quando era diventato un vampiro che nel bosco polacco da cui ormai
pensavo che non me ne sarei più andato arrivò la persona che avrebbe cambiato tutta la mia
esistenza, ricordo quel momento come se fosse ieri e non come, nella realtà, se quasi 700 anni mi
separassero da quella notte. Gli animali di guardia mi vennero a dire che un’estraneo era arrivato
nel territorio ed io andai a controllare, se non era uno degli abituali taglialegna o boscaioli allora
era una minaccia. Lo trovai che camminava tranquillo per un sentiero della foresta, indossava
un’elegante vestito scuro che lo indicava come un cittadino, al fianco aveva una spada molto
decorata che mi fece capire che non doveva essere povere; la sua pelle pallida ed il fatto che
camminasse con quella flemma di notte mi fecero pensare che anche lui fosse un vampiro. Non
avevo mai incontrato cainiti che non fossero del clan Gangrel, e pochi anche quelli, ma il mio sire
Lucius mi aveva detto che avevano poteri diversi dai nostri ma comunque enormi e pericolosi.
Diceva che non avrei avuto problemi ad uccidere un Toreador o uno Tzimisce che non fosse riuscito
a trasformare il suo corpo con poteri simili ma diversi dai nostri, ma che dovevo guardarmi da
vampiri guerrieri come i Brujah o gli Assamiti venuti dall’oriente per commettere il più orrido degli
atti, la diableriè, il consumo del sangue di un’altro vampiro fino all’ultima goccia per assorbirne
l’anima ed i poteri, un’atto che faceva tremare di paura anche il mio sire. Sfoderai gli artigli e
rimasi in guardia. Non ho mai saputo come fece (anche se con tutto quello che ho visto in questi
secoli non mi stupisco più dei poteri dei figli di Caino), ma quel vampiro cittadino guardò nel
cespuglio dove ero sicuro di essermi nascosto alla perfezione, sorrise con quell’aria ironica e
perennemente calma che avrei presto imparato a conoscere e mi disse con una voce calda ed
amichevole : “Esci fuori di là, Gangrel, non intendo fare del male né a te né ai tuoi fratelli,
XXXII
desidero solo passare indisturbato”. A quel punto avrei potuto anche lasciare gli animali a guardia
di quell’estraneo e farlo passare per il bosco, attaccandolo solo se si fosse dimostrato pericolo;
spesso mi sono chiesto cosa sarebbe successo se lo avessi fatto, dove sarei adesso, se semplicemente
sarei ancora a camminare in questo mondo. Fatto stà che non lo lasciai andare così. Uscì dal
cespuglio e mi mostrai a lui. E la mia non-vita venne cambiata per sempre. All’inizio gli dissi che
l’avrei condotto dal mio sire affinchè lui lo interrogasse e quel vampiro cittadino mi sorrise dicendo
che davo troppa importanza al giudizio del vampiro che mi aveva reso tale; questa sua
affermazione mi arrivò come un giramento di testa, perché era un’idea totalmente nuova e
rivoluzionaria : cos’ero io se non un possesso, un’estensione del mio sire ? Mi vide evidentemente
perplesso e mi chiese se fossi un Gangrel e se il mio sire fosse l’anziano che dominava su questo
bosco, gli risposi di si e lui continuò a sorridere, ma che mi sbrani un lupino se quel sorriso non era
diverso da tutti quelli che mi aveva elargito prima. Il mio istinto predatorio a quel punto si
risvegliò e gli chiesti chi fosse lui e a quale clan appartenesse, lui senza scomporsi di disse di
chiamarsi Gratiano de Veronesi del clan Lasombra, venuto dall’Italia per raggiungere i Carpazi.
Ora, io non avevo la minima idea di dove fosse l’Italia ma sapevo bene che i Carpazi erano molto
più a sud, ed erano il regno dei vampiri più crudeli della terra, gli Tzimisce, e mi parve strano che
una persona che doveva avere una cultura si fosse sbagliato strada così tanto. Inoltre sapevo
anche ,da quello che il mio sire mi aveva detto, che i Lasombra erano il clan di cainiti più vicino
alla chiesa di Roma, e per me la chiesa non era altro che una massa di pretacci che avevano reso
più povera la mia famiglia con le decime. Gli dissi che comunque Lucius avrebbe dovuto parlargli e
lui non fece obiezioni a seguirmi, ma mentre camminavamo nel bosco lui si mise a chiacchierare con
me, non vedendoci nulla di male acconsentì. Era tutta una tattica adesso me ne rendo conto, una
tattica molto Lasombra debbo dire; subdola e calcolata. Mi iniziò a chiedere cosa avesse fatto il
mio sire per me ed io pieno di orgoglio per Lucius dissi che mi aveva fatto dono dell’immortalità;
lui annuì e mi chiesa cosa io facessi per il mio sire, ci pensai un po’ ed iniziai un’elenco alla
spicciolata : cercava gli animali migliori da rendere ghoul, facevo il guardiano della foresta, mi
occupavo di fargli nuove pellicce e di rendere sempre efficienti le sue armi, mi occupavo di tenere
sott’occhio le attività del lupini. A quel punto Gratiano mi chiese di nuovo cosa facesse il mio sire
per me ed io rispondendogli ancora che mi aveva dato il dono dell’immortalità mi accorsi che mi
sembrava un po’ poco visto che sembrava che l’immortalità per me non fosse altro che una serie
interminabile di servizi per Lucius. Il Lasombra allora mi chiese se conoscessi per caso un’altro
Gangrel che si trovava in un bosco più piccolo ad ovest, sapevo bene di chi si trattava, era
anch’egli figlio di Lucius e fungeva da sentinella in quella macchia boscosa così vicino alle grandi
città. Allora Gratiano mi disse di essere passato di là notti prima e di aver visto uno spettacolo che
mi raccontò con una maestria che ancora oggi mi fa ricordare ogni parola : i cacciatori di streghe
avevano teso un’agguato al mio sire mentre passava di là per ascoltare il rapporto di Lucius, c’era
stato un combattimento a cui sia il mio sire sia l’altra sua progenie avevano partecipato, il mio
“fratello” era sicuro della vittoria non fosse altro per la potenza di Lucius. Ma Lucius non era
rimasto. Quando aveva visto che i cacciatori stavano combattendo con una marea di paletti di
legno, torce infuocate e con persino qualche prete il cui santo tocco era la prova della nostra divina
maledizione, allora era fuggito, lasciando suo figlio a saziare la sete di sangue vampirico dei
cacciatori umani. Rimasi di stucco a guardare la faccia adesso impassibile di Gratiano, gli chiesi
con voce asciutta se scherzasse e lui asettico rispose di no, un no che rimbomba nei secoli fino ad
adesso, che stò scrivendo queste parole al sicuro del mio rifugio sabbatico, il luogo dove quel no mi
ha portato. Ero in preda al panico ed alla confusione, gli urlai di andarsene via e lui mi prese in
XXXIII
parola, quando mi ero sufficentemente calmato mi accorsi che Gratiano se ne era andato. Dovevo
sapere, corsi da Lucius urlando, dovevo sapere ! Lo trovai nella grotta sul pavimento di terra che
gli faceva da rifugio e lui parve molto scocciato dal vedermi, gli chiesi se era vera la storia di quel
Lasombra e lui per tutta risposta mi domandò perché non lo avessi portato da lui. Io non feci altro
che ripetere se quella storia era vera. La sua risposta arrivò sotto forma di un’artigliata che mi
squarciò dolorosamente parte del petto, facendomi cadere a terra. Da lì guardavo Lucius e capì che
si, era vero, col sangue che mi riempiva la bocca e mi rendeva difficile parlare gli chiesi se avrebbe
fatto la stessa cosa anche a me se i cacciatori di streghe fossero giunti fin là : dovevo credere che il
mio sire tenesse a me ! Ma lui no, lui no. Mi disse che certo, sacrificarsi era il primo dovere di una
progenie. “E adesso torna al tuo lavoro” ........ “Si, sire” Quel giorno mi addormentai i sognai la
scena che Gratiano mi aveva descritto : fuoco, luce divina, spade che tranciano le carni e poi il
dolore, il dolore di un tradimento troppo grande per poter essere perdonato .. mio fratello morto per
salvare il mio sire. Aprì gli occhi poco dopo il tramonto, sapevo che Lucius non si sarebbe
risvegliato per un po’. Per la prima volta sentì in me scorrere più forti del sangue i sentimenti che
avrebbero guidato la mia esistenza fino ad oggi, a quasi 7 secoli di distanza da allora. Sentì dentro
di me la rabbia e l’orgoglio. Mi mossi come un felino, presi un pezzo di legno appuntito, mi
avvicinai al corpo di Lucius, assaporando gli ultimi secondi in cui non ero ancora un fuorilegge, un
criminale del mondo vampirico. Sapevo che dovevo sbrigarmi perché se il mio sire si fosse svegliato
non avrei avuto molto scampo. Gli appoggiai il paletto sul cuore e dissi la frase che rappresentava
uno dei primi insegnamenti del sentiero della Bestia : “Il lupo forte prende il comando del branco
dal lupo debole”. E spinsi il paletto nel cuore del vampiro che mi aveva reso tale. Non so per
quanto tempo rimasi là a guardare Lucius, immobile invece di essere sveglio. Mi chiese se gli avessi
tolto il paletto cosa sarebbe accaduto, se si fosse ricordato di ciò che era successo o se invece mi
avrebbe aggredito fino a portarmi alla morte ultima per il mio atto. Ma in fondo neanche per
un’attimo avevo pensato di lasciarlo così per sempre, eppure come potevo rischiare ? Ma allo stesso
tempo come rischiare la mia non-vita, la mia immortalità ? Il sentiero della Bestia dice : “Il lupo
non permette mai che la morale o la logica mettano a rischio la sua sopravvivenza”. Era così, me
ne sarei andato e che Lucius rimanesse là fino alla fine dei tempi. Ma mentre lasciavo per sempre
quella caverna mi venne in mente un suono; strano come un semplice suono può cambiare per
sempre una vita, no ? Era un suono che dovetti ascoltare bene per capire che proveniva da dentro
la mia testa ed ancor di più dovetti aspettare per capire cosa quel suono fosse. Poi capì. Era il
suono di un giovane vampiro del clan Gangrel, che nel momento della sua morte chiamava il suo
sire. Ma il suo sire non venne, non venne. Eccole di nuovo .... La rabbia e l’orgoglio. Affondai i
miei denti nel collo del mio sire immobilizzato; secondo voi può piangere un vampiro ? Io non lo
so, ma so che piansi mentre succhiavo sangue, anima e poteri dal corpo di Lucius. Non so neanche
se, pur paralizzato, egli era cosciente, ma vi giuro che io ancora oggi spero che fosse cosciente. Mi
senti lurido bastardo ? La tua anima adesso è mia ! I tuoi secoli sono miei ! Questa è la diableriè
che tu tanto temevi ed è tuo figlio che la compie, non un’Assamita che viene dalle terre dove la
gente prega Allah ! Le senti le urla dell’altro tuo figlio che hai mandato a morire ? Le senti
bastardo ? Lui credeva in te ! Bastardo ! Per i nostri padroni noi cosa siamo ? Siamo il prezzo da
pagare per la loro immortalità ma vogliono che stiamo nel nostro bel già tracciato, se no per noi è a
vista ! La nostra vita per loro vale meno del cadavere di un’uccello trascinato dal vento di una
strada desolata. Bastardi ! Dopo che il cadavere di Lucius scomparve nelle mie mani, dopo che il
paletto che ormai bloccava il niente cadde a terra e dopo che sentì il potere del suo sangue anziano
scorrere nelle mie vene e portarmi più vicino di un passo a Caino, allora lasciai quella caverna,
XXXIV
lasciai quel bosco, lasciai la Polonia. Per non tornare mai più. Corsi per i sentieri libero e selvaggio,
come i miei antenati avevano sempre fatto fin dal tempo della prima città. Noi siamo Gangrel.
Allora mi chiesi dove potevo andare, dove un fuorilegge come me poteva trovare riparo per aver
commesso un’atto così orrendo su uno dei suoi simili; poi capì, capì che dovevo rivedere quel sorriso
beffardo, che accanto a quella persona non sarei più stato solo ed indifeso contro il male. Corsi
fuori dal bosco che per tanto tempo era stata la mia casa e corsi ancora per le praterie che lo
circondavano, finchè non li ritrovai. Sedeva su un piccolo masso sul limitare di un sentiero,
sembrava mi aspettasse e quando mi vide arrivare si alzò in piedi e sorrise, ed io mi sentì pervadere
di una sensazione di piacere : avevo trovato un nuovo mentore una persona degna di essere servita
e mi avrebbe trattato con rispetto, qualcuno che sarei stato orgoglioso di aiutare. “Io sono Ian ....
Ian Valek” dissi Lui mi porse le sua mano, trattandomi come un suo pari, ed io mi riempì di gioia
perché in quel momento capì di non essermi sbagliato. Strinsi quella mano prima che sparisse come
un bel sogno all’alba ed ascoltai le sue parole. “Credo che il viaggio fino nei Carpazi sarà lungo,
vieni con me, se non hai niente di meglio da fare.” Sorrideva ancora come solo lui sapeva fare, un
sorriso che continua a seguirmi ancora adesso che lui non c’è più, adesso che la sua idea però è viva
nei cuori di tutto il Sabbat, l’idea che mi fa andare avanti notte dopo notte nonostante il
disprezzo, nonostante le difficoltà. L’idea che in meno di cinquant’anni avrebbe cambiato il
mondo dei vampiri per sempre, un idea che era un sogno, un sogno che si realizzò quando lui firmò
un documento chiamato Codice di Milano in cui fondava la Spada di Caino che avrebbe dato la
libertà ai cainiti del mondo, ed io era presente all’inizio di quel viaggio. Per questo quando ci
raduniamo per le festività sabbatiche io ricordo sempre quel Lasombra, il cui semplice sogno di
libertà cambio tante vite e le cambia tutt’oggi. In fondo chi è veramente grande se non chi riesce a
far condividere il suo sogno a tante altre persone ? Per questo io, che adesso caccio nelle strade di
città invece che nei boschi e che vesto di giubbotti di pelle invece di una pelliccia di animale,
ancora adesso amo salire su di un palco ed urlare al cielo per farmi udire dal padre oscuro Caino e a
Gratiano che siede alla sua destra un solo ed unico grido : Gratiano scomparve in una notte di
oltre 500 anni fa. Gratiano vive. Viva l’arcivescovo Gratiano da Verona. Gratiano vive !
“Si può scegliere di
ignorare la propria tenebra
interiore e di cercare di
ricacciare i demoni noti
come paura, odio e rabbia
sempre più in fondo
all'anima; oppure si può
tentare di cavalcare la
tenebra interiore e di
usare la forza di questi
demoni senza fargli
prendere il controllo. E' il
dominio e la
consapevolezza sulla
nostra tenebra che ci
rende ciò che siamo"
XXXV
(Gratiano de Veronesi, del clan Lasombra, ex anarchico, ex antitribù, fondatore del Sabbat,
progenie di Luciano detto Lasombra, diablerizzatore di Luciano detto Lasombra, Arcivescovo
della Mano Nera)
Sangue ed anime per il dio-demone dei Violatori !
Lunga vita al fulgido impero di Argentea !
"Nos Sumus Militia Daemonorum"
"Fatece largo che passamo noi
sti Violatori de stò campo bello,
semo guerrieri fatti cu' spadune
e le guerriere famo 'nnamora"
"Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se
stessi e per gli altri che ovunque passino i Violatori quasi tutto muore e cio che non muore desidera
la morte"
XXXVI
ESMUN
Ore 23:45, Lochranza, uno dei maggiori centri abitati dell'isola di
Arran. "Questa notte - si disse Larry - questa notte sarà
l'ultima!"Era da più di cinque settimane che Larry Logan era stato
trasferito al turno di notte, ben cinque settimane di fatica, noia e
soprattutto sonno. Se c'era una cosa che Larry odiava era stare
alzato a lungo la sera, figuriamoci fare nottata fino all'alba: "nossignore, la notte è fatta per
dormire!" si ripeteva ogni volta, e per di più la dolce consorte Marylin non faceva altro che
lamentarsi dell’accidia del marito approfittando di ogni occasione per elencarne tutti i difetti, che
a parer di lei erano uno peggiore dell'altro senza dimenticarsi, tra le altre cose, la leggera calvizie
ed il prominente addome. "Dovrebbe starci lei quassù, ed io dormire in quel bel letto a due piazze..."
Per di più lavorando a quell'ora la possibilità di incontrare qualcuno era praticamente inesistente,
e pensare che a Larry piaceva tanto fare due chiacchiere, magari conversare con dei turisti
spiegando le bellezze dell'isola, oppure si accontentava di commentare le prodezze del Liverpool
con qualche vecchietto del posto, la cosa migliore poi era quando l'autobus si riempiva di gente e
poteva ascoltare tutte quelle conversazioni così strane che lo facevano sempre divertire, ma da
quando faceva orari notturni tutto questo apparteneva solo al passato."Basta domani o torno al
mio vecchio posto o mi dimetto!" e colpi duramente il volante per conferire solennità alla sua
decisione.La linea del 24 che passava dopo le 21:00 attraversava la periferia a sud-est della
cittadina, faceva un ampio giro costeggiando le colline e si riuniva alla statale A 841, per tornare
infine verso il centro: poi il municipio, la chiesa di St. James, il museo di scienze botaniche e via
verso Victoria lane su cui si affacciavano gli unici alberghi della cittadina. Dopo qualche secondo
il 24 si appresto' ad imboccare la statale, ed alla fermata posta sul ciglio della strada, a circa una
trentina di metri, Larry vide chiaramente qualcuno che lo stava aspettando. La figura sembrava
un uomo ben messo o una donna avvolta in un grande cappotto, capelli corti, capo leggermente
chino, lo sconosciuto sembrava immobile e la luce giallognola del lampione vicino non faceva altro
che conferirgli una sinistra sensazione di malattia. Larry si accostò al marciapiede e aprì la porta
anteriore aspettando di ricevere il passeggero con uno dei più calorosi sorrisi di cui era dotato.La
figura salì i gradini e appena entrato sotto la luce biancastra dell'autobus Larry poté constatare
che si trattava di un uomo bianco sulla quarantina forse, con occhi leggermente incavati e il volto
affilato, un ciuffo grigio, più ribelle degli altri, gli ricadeva sulla fronte spaziosa tormentata da
pesanti rughe. L'uomo si avvicinò all'autista e tirò fuori un pezzo da dieci:"chiesa di St. James"
disse senza indugiare.La sua voce era bassa ed uniforme e le ombre che gli contornavano le orbite
non permettevano di vederne l'espressione.Larry fece il biglietto, lo timbrò, afferrò la banconota e
fece il resto: il tipo non gli piaceva affatto. L'uomo prese il resto e si mise dietro il conducente
accanto al finestrino. Il 24 riprese la sua marcia.Il clima in questo periodo era stato
particolarmente intransigente ad Arran: un susseguirsi di temporali, piogge e venti gelidi. I
meteorologi lo attribuivano alle ripercussioni causate da un ciclone che nel centro America stava
imperversando le coste orientali, i più' pensavano si trattasse dell'ennesima manifestazione del
"cattivo tempo inglese" con tanto di pioggia a catinelle e basse temperature, gli anziani, poi, e
coloro a cui piaceva fantasticare, ipotizzavano si trattasse dell'avvicinarsi dell'ultimo del mese
ritenuto sin dal medioevo presagio di sventura; ma in un'era come quella odierna cosi' irriverente
verso le superstizioni più' radicate e le fantasie più innocue il 29 febbraio non poteva essere che un
giorno come tanti altri. La chiesa di St.James dominava la piazza di Westminster da più di tre
XXXVII
generazioni: un tale Richard Miller decise di avviarne la costruzione nel 1814 e di battezzarla col
nome di St.James che da allora divenne patrono della cittadina. La scarsa illuminazione
consisteva in un numero sparuto di lampioni in ferro battuto che gettavano ombre fino agli angoli
della piazza: il ritmo delle lancette di un orologio vicino alla fermata dell’autobus sembrava
scandire l'accendersi e lo spegnersi del giallo dei semafori.Larry entrò nella piazza dal lato nord, si
accosto' al marciapiede e, senza dire niente, vide l'uomo alzarsi e scendere dall'autobus. Il
conducente seguì con lo sguardo il passeggero attraversare la strada, poi riprese il suo cammino.
L'uomo attraversò con passo deciso la strada deserta e con sguardo guardingo si diresse verso
l'ingresso della chiesa. Le scure pietre massicce conferivano alla costruzione vagamente gotica una
sensazione di affascinante solennità: la parte alta della chiesa era costellata di pesanti guglie che
sembravano erigersi a sfidare il cielo mentre mostruose creature di pietra sporgevano dagli angoli
con le loro sembianze inumane e grottesche. L'uomo pose una mano sulla grande porta scura
tempestata di borchie di ferro e non si stupì affatto di trovarla aperta, per un lasso di tempo
impercettibile sembrò sorridere, poi vi scomparve dietro.L'interno della chiesa era lievemente
illuminato da due serie di candelabri posti ai lati della sala. Tutto era in perfetto ordine: le due file
di panche centrali, l'altare col crocifisso, gli enormi quadri raffiguranti momenti biblici e persino il
confessionale in fondo alla chiesa; ma c'era una piccola eccezione a tutta questa normalità, un
particolare di grande importanza per l'uomo e che era nascosto proprio lì dentro. In realtà Vardek
poteva sentirne chiaramente il sentore: l'odore stantio della paura e del sangue producevano un
effetto inebriante nelle narici del "morto" rendendolo ancor più impaziente, ma, come gli aveva
insegnato Julian, la più grande dote del cacciatore era la freddezza, e Julian in fatto di caccia ne
sapeva parecchio. Niente, niente su tutta quanta la faccia della terra era così eccitante quanto il
sentire il sapore della paura in un essere alto tre metri ricoperto di pelo e dotato di 15 cm. di
artigli; e pensare che quasi tutti i "morti" fuggono da questi esseri: il solo nome ne provoca il
terrore, la sola vista e' pazzia, eppure c'era qualcuno disposto a sovvertire la catena biologica,
l'ordine delle cose, e a dare loro la caccia: gli "accalappia cani" li chiamava Julian, ed invece erano
uno degli Ordini più antichi e fieri del Sabbat: "kelt-ha-aruun" venivano chiamati dalla notte dei
tempi, "flagello degli uomini lupo" il suo significato.Lentamente scivolò nella penombra mentre gli
occhi acquistavano la capacità di penetrare le tenebre fino a distinguere i più tenui cambiamenti di
tonalità, e le rifiniture più minuziose delle cornici dei quadri. Deliberatamente decise di non
avvalersi di nessuna capacità di mimetizzazione e si limitò a farsi scivolare a terra il cappotto
mentre l'odore della preda aveva invaso tutta la cattedrale."ti sento...." disse a voce alta"ti vedo...."
affermò fissando l'oscurità dietro l'altare, simile al segugio intento a puntare la preda nascosta
dentro un cespuglio vicino.L'aria sembrò caricarsi di elettricità: adesso non solo ne sentiva l'odore
e ne vedeva l'enorme sagoma, ma poteva tranquillamente udirne il respiro. Tutto era calmo, nessun
rumore esterno od interno turbava la scena, come se il mondo intero si fosse fermato a guardare in
silenzio, un silenzio di reverenza e rispetto di fronte ad uno degli eventi più antichi della terra: la
lotta per la sopravvivenza.Un secondo più tardi un'ombra si stacco' dal pavimento piombando con
incredibile velocità sul malcapitato; un ruggito, una raffica di vento e la pesante mano uncinata si
abbatté sull'uomo aprendogli profondi solchi dallo sterno all'addome e gettandolo a terra in preda
a violente convulsioni. La bestia rimase qualche secondo a guardare la vittima drizzando i peli
sulla massiccia schiena e passandosi velocemente la lingua fra le dita raccogliendo ogni più piccola
traccia di carne e sangue: era consapevole di averlo ferito gravemente e quel che più' importava era
riuscito a mettergli paura. Vardek strinse i denti per il dolore contorcendosi e coprendosi il corpo
con le braccia: un'ondata di panico lo aveva assalito, gli squarci erano profondi, lo sapeva, ma
XXXVIII
sapeva altrettanto bene che si sarebbero richiusi in pochi secondi, la cosa peggiore era il sangue
perso, poteva chiaramente vederlo sul pavimento e sui suoi vestiti. Fortunatamente si era
spostato: l'artigliata era diretta sulla sua testa e non sul corpo e una ferita del genere avrebbe
potuto anche staccargliela di netto. Si alzo' barcollante e vide la formidabile costituzione del suo
avversario: il "crinos" era alto più di tre metri lievemente chino su se stesso come se fosse pronto a
scattare, gonfi e pesanti muscoli coprivano i 90 kg di ossa e una folta peluria grigiastra
nascondeva il tutto. Il volto, chiaramente canino, era contratto, gli occhi scuri sembravano
sprizzare ira e desiderio di violenza, ma la parte più inquietante di quel mostro erano le fauci:
enormi, bianche, affilate, grondanti di bava, erano immobili come soldati intenti a prendere la
mira prima di colpire, e se gli artigli potevano squartare un cavallo, un morso era in grado di
strapparne la testa di netto in una manciata di secondi.La bestia non perse tempo e sicura di sé
balzò nuovamente in avanti affondando il braccio destro negli intestini della vittima lacerando
carni e viscere e facendo fuoriuscire le interiora. Il sangue che il vampiro perdeva era incalcolabile,
le ferite sicuramente mortali per chiunque; il cacciatore rimase in piedi qualche secondo con le
braccia inermi lungo i fianchi, il corpo chino, poi cadde a terra in ginocchio e l'uomo lupo seppe di
aver vinto. Si avvicino' con la bocca semi spalancata impossibilitato a chiuderla tanto erano
contratti i muscoli e con aria di trionfo alzo' il muso verso il soffitto ed ululò per qualche secondo,
poi tornò sulla sua preda, sembrava proprio che i ruoli si fossero invertiti, agguantò con una mano
artigliata i capelli del "morto", avvicinò la faccia alla sua e gli ruggì in pieno volto. La bestia
rimase a studiare l'avversario: aveva la bocca lievemente aperta da cui usciva un rivolo di sangue,
gli occhi chiusi, il corpo immobile; la sua superiorità era indiscussa come la sua forza e la sua
vittoria. Scaraventò il cadavere sulle panche vicine: questo urtò i sedili e proseguì la sua corsa
portandoseli dietro tutti e raggiungendo l'altare, tanta era la violenza con la quale era stato
scagliato. Senza perdere tempo il "crinos" piombò nuovamente sul nemico colpendolo una, due, tre
volte, e ad ogni colpo sul corpo del vampiro comparivano nuove e pesanti ferite, e ogni volta erano
ingenti le quantità di sangue perso. L'uomo lupo continuò a colpirlo ripetutamente poi si fermò, si
mise dietro la vittima, spalancò le fauci bavose pronto a sferrare l'ultimo colpo, quindi si avventò
sul collo dello sfortunato per sentire la carne cedere sotto i suoi inesorabili rasoi. I grandi numeri
romani segnavano le due in punto. I rintocchi dell'orologio scandivano la macabra danza delle
scheletriche foglie animate dal vento notturno. Una solitaria nube nascose al mondo la luna per
qualche secondo, poi ricomparve ad illuminare le nude pietre della città: questa notte era di scena
la sovrana di tutte le lune, quella piena.Una vecchia canzone gitana era solita narrare: …finché
la Luna splende,come il sole la Luna è gemella di morte,Lei non brucia, Lei sbrana, e taglia, e
lacera, e squarta, Lei non tramuta in cenere o polvere ma in carne straziata, ossa rotte, pozze di
sangue,perché quando Lei è tutta i Suoi figli sono più forti che mai, e se Lei splende bellissima, e
spettrale nel nero abisso del cielo nero,le Sue creature trovano il coraggio di scivolare fuori dalle
tane, e dai rovi la grande bestia scopre la via per la città dei "dannati" ed è canto di lupi, pazzia di
uomini, terrore di "fratelli",frenesia di carne,e a uno a uno cadono i "dannati" come vecchi storpi
senza bastone, nella furia dei figli della Luna mentre Lei bellissima, e casta, e santa, e non
maligna mai,senz'occhi ti guarda e senza bocca grida il tuo nome, e il vento corre, e le orecchie dei
Suoi figli ascoltano, e l'indomani un "dannato" in più cadrà;
finché la Luna splende...La furia negli occhi disumani del licantropo aveva preso il sopravvento e
il corpo tutto era teso, come un arco che scaglia le sue frecce di morte contro un bersaglio già
caduto e vinto.L'osso del collo stridette sotto la presa d'acciaio della bestia, "un altro secondo",
XXXIX
pensò l'animale, un altro e si sarebbe spezzato; ma quel secondo sembrò non giungere mai e, anzi, il
suo collo si ispessiva e nuova carne cresceva aumentandone le dimensioni.
Il "crinos" tenne salda la presa flettendo ancor più i muscoli della faccia e del collo fino allo
spasimo, fino allo svenimento, ma senza controllo la morsa cedeva e le fauci si alzavano. Poi un
ruggito squarciò la chiesa, come in risposta dal cielo, un tuono balenò luminoso, l'uomo lupo venne
poco a poco sollevato da terra e scagliato lontano addosso al crocifisso che, rompendosi alla base,
cadde sull'enorme vetrata colorata mandandola in frantumi.Un brontolio rauco prese possesso
dell'edificio mentre il nuovo essere ammirava l'ambiente attorno a sé dai suoi nuovi occhi gialli.
L'uomo lupo si tolse di dosso i frammenti di vetro, balzò in piedi acquattandosi basso pronto a
saltare in avanti, poi, come sbilanciato, cadde all'indietro alzando un braccio a difesa sopra il
grugno bestiale e l'unica parola che gli si formò nella mente fu: "Abominium".Il nuovo essere
dominava la sala, enorme e gigantesco come il suo avversario: nero il pelo lucido e folto, gialli gli
occhi folli e terribili. Il nuovo "crinos" si avventò sul vecchio e il suo pugno, come la condanna di
un dio, piombò sul petto, e avido andò alla ricerca del suo bersaglio come guidato dal suo ritmico
pulsare; un secondo tuono irruppe nella volta celeste e questo sembrò illuminare tutta la città. Poi
con la stessa decisione l'artiglio trovò la strada del ritorno, la nera creatura strappò via l'enorme
cuore rosso e lo alzò al soffitto della casa di Dio. Un terzo tuono squassò l'aria, e il lungo ruggito
del vampiro gli fece eco acuto, solenne e vittorioso.
WEX
Lo staff di Kindred Of Kaine ringrazia tutti i Fratelli che hanno lasciato una
traccia di sangue , Ricordatevi se volete pubblicare la vostra storia Basta che c’è la
spediate.
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