Scarica Atti della 1^ Conferenza Italiana sulla CAA

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Scarica Atti della 1^ Conferenza Italiana sulla CAA
International Society for Augmentative and Alternative Communication
Atti
1^ Conferenza Italiana sulla
Comunicazione Aumentativa ed
Alternativa
Genova, 27/28 Maggio 2005
Stampato in proprio nel mese di Novembre 2006 da:
ISAAC Italy – ONLUS
Pubblicazione non in vendita, ad uso interno
Indice delle Relazioni
ISAAC ITALY ed ISAAC : Un incontro, un percorso………………………………………………………………pag.
Gabriella Veruggio
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Comunicazione Aumentativa ed Alternativa: ieri,oggi,domani…………………………………………..pag. 5
Aurelia Rivarola
Da qui abbiamo cominciato……………………………………………………………………………….………………….pag.
Claudia Jalla
9
La libertà di comunicare…………………………………….……………………………………………….………………... pag. 11
Ezio Bettinelli
Il logopedista nella C.A.A……………………………………………………………………………………….……………..pag. 12
Patrizia Bombardi, Luciana Di Natale, Carla Gagliardi, Sonia Oldrini,
Il ruolo delle Aziende…………………………………………………………………………………….……………………..…pag. 15
Paolo Vaccari
Organizzazione di un Centro Sovrazonale di C.A.A………………………………………………….…………… pag. 18
M.Antonella Costantino, Eleonora Bergamaschi, Mario Albani, Lucia Lanzini, Mara Marini
La C.A.A. dal punto di vista dei professionisti sanitari:
foniatri, fisiatri, neuropsichiatri infantili, logopedisti, fisioterapisti…………………………...………. pag. 23
Antonio Schindler, Elena Favero, Elena Grosso, Rossella Muò
Linee Guida in Riabilitazione: analisi, correlazioni e valenze
dell’intervento comunicativo attraverso le metodologie di C.A.A………………….………………………pag. 32
Maurizio Sabbadini, Patrizia Bombardi
Consulenza di C.A.A. presso un servizio di Audilogia e Foniatria:
Follow-up dopo sette anni di attività……………………………………………………………………………..……….pag. 35
Elisabetta Genovese, Luciana Di Natale, Ariella Biscaro, Cristina Conte
Procedure di accessibilità e di intervento C.A.A.
in strutture semiresidenziali…………………………………………………………………………………….…………….pag. 42
Emanuela Maggioni, Marilena Cantù, Damiana Mele, Laura Carini, Tiziana Pozzi, Monia Rizzo
La CAA nelle gravi lesioni neurologiche acquisite ed esito di coma………………………………….……pag. 43
Carla Gagliardi
Esposizione del progetto C.A.A. ed Ambiente di vita…………………………………………………………..….pag. 44
Alessandro Chiari, Stefania Murra, Sonia OldriniL
Dall’intervento di C.A.A. alla partecipazione: storia di un caso………………………………………………pag. 45
Giovanna Bulgarelli, Cinzia Carpentieri, Monica Garagiola, Paola Meroni , Claudia Iacoli, Elisabetta Tirotto
Esperienze di C.A.A. in un centro socio-educativo……………………………………………………..………..…pag. 46
Andrea Traverso
Progetto sperimentale di ricerca/azione: rilevazione dei comportamenti comunicativi nel
gruppo-classe, in presenza di studenti che fanno uso di strategie di Comunicazione
Aumentativa ed Alternativa (C.A.A.) e Comunicazione Facilitata (C.F.), tramite uno
strumento standardizzato : la “Tabella di Carter” (modificata da Tota e Damiani,2004 …………………………..pag. 47
Mario Damiani, Loredana Tota
**********************
POSTER………………………………………………………………………………………………………………….…………….da pag. 53
Intervento di Severino Mingroni……………………………………………………………………………………………..pag. 70
Conferenza ISAAC Italy 2005
ISAAC ITALY ed ISAAC : UN INCONTRO, UN PERCORSO
Gabriella Veruggio, Presidente di ISAAC Italy
Questa Prima Conferenza sulla CAA, di cui oggi apriamo i lavori, è stata organizzata da ISAAC Italy, Chapter
italiano di ISAAC. ISAAC è l’acronimo International Society for Augmentative and Alternative Communication.
(Società Internazionale per la Comunicazione Aumentativa ed Alternativa), associazione che riunisce in tutto il
mondo, le persone interessate e coinvolte nell’intervento di CAA.
Formalmente, la Comunicazione Aumentativa ed Alternativa come specifico ambito di studio e di intervento
nasce in Canada nel 1983, proprio con la creazione dell’ISAAC.
La creazione di ISAAC è la risultante di un percorso iniziato già dagli anni ’70 e ’80. Già negli anni precedenti
la fondazione dell’ISAAC, erano nate infatti, da riflessioni sugli interventi riabilitativi con persone “non parlanti”
, soprattutto in USA, varie iniziative di approfondimento, che iniziavano a recepire in maniera più sistematica ,
esperienze di CAA condotte da vari operatori ed in vari ambiti. Nei documenti che fanno un po’ la storia della
CAA, troviamo che nel 1978 la ASHA (American Speech-Language-Hearing Association) aveva deciso di
costituire un “Comitato per i processi comunicativi nelle persone “non parlanti”. Nel 1981 sempre la ASHA
pubblicò un documento ufficiale sulla CAA e nel 1991 costituì una Divisone permanente sulla CAA all’interno
della Associazione stessa, che fu la terza tra le divisioni di approfondimento interne alla Associazione.
Uno dei fatti più importanti fu l’incontro di professionisti provenienti da varie discipline per discutere
problematiche e condividere esperienze sulla CAA. Gli anni ’80 furono testimoni delle prime International
Conferences on Nonspeech Communication, (co-sponsorizzate dal Blissymbolics Communication Institute e
dall’Ontario Institute for Studies in Education di Toronto) che si tennero a Toronto nel 1980 e nel 1982. Dopo
il secondo incontro i partecipanti interessati alla creazione di una organizzazione internazionale, diedero vita
nel 1983 alla costituzione dell’ISAAC.
ISAAC nasce subito come organizzazione che raccoglie i vari protagonisti coinvolti nell’intervento di CAA; non
solo quindi i professionisti nel campo della rieducazione e della educazione ma anche le persone che utilizzano
la CAA, le famiglie, le Aziende di Assistive Technology .
La missione dell’ISAAC è migliorare la comunicazione e la qualità della vita
per le persone con severe difficoltà di comunicazione in tutto il mondo.
ISAAC, fondata in Canada, inizia ad espandersi prima di tutto nelle aree in cui vi erano state le prime
esperienze legate soprattutto all’utilizzo del Bliss e di ausili tecnologici, quali i paesi del Nord Europa e
l’Inghilterra. Si vengono a creare già negli anni ’80 varie sezioni, Chapter, in tutto il mondo.
ISAAC inizia quindi il suo percorso dando subito vita ad iniziative a sostegno dell’approfondimento delle
conoscenze e allo scambio di esperienze e cioè alle Conferenze Biennali che si tengono ogni due anni
alternativamente in Europa ed in America, ad un foglio informativo interno - ISAAC Bulletin - ed una rivista
scientifica AAC (dal 1985). Nel 2004 è stata tenuta per la prima volta una Conferenza Biennale nell’America
del Sud (Brasile).
ISAAC attualmente conta quasi 4000 iscritti provenienti da 54 paesi del mondo e ha 14 Chapter Nazionali o
Regionali : Canada, USA, Inghilterra, Paesi di Lingua Tedesca, Paesi di Lingua Francese, Svezia, Finlandia,
Norvegia, Danimarca, Israele, Irlanda, Paesi Bassi/Fiandre, Australia, Italia. Esistono numerosi gruppi di
lavoro che non sono ancora diventati Chapter, in Giappone, Corea, Egitto, Marocco, India, Polonia, ecc.
L’ISAAC si definisce come : una organizzazione internazionale dedicata allo sviluppo nel campo della
Comunicazione Aumentativa ed Alternativa attraverso la promozione di scambi di informazioni, ricerca ed
accesso alla comunicazione.
Gli obbiettivi dell’ISAAC sono
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


Sostenere le persone che utilizzano la CAA e le famiglie.
Incoraggiare lo scambio internazionale delle informazioni attraverso le sue pubblicazioni e le Conferenze Biennali.
Sponsorizzare un giornale scientifico sulla CAA (AAC)
Incoraggiare lo sviluppo della CAA nel mondo, soprattutto nelle aree emergenti alla CAA e nei paesi in via di sviluppo.
Promuovere prodotti e servizi di CAA.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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

Creare pratiche pubblicazioni ed altri materiali per persone che utilizzano la CAA, ricercatori e professionisti.
Ricercare finanziamenti esterni per i progetti di CAA.
Il percorso di ISAAC continua.
L’attività dell’ISAAC è regolata da Piani di Lungo Periodo ( Long Operational Plan), all’interno dei quali sono
sviluppati piano operativi biennali.
Tra gli obbiettivi vi è quello di sostenere una sempre maggiore partecipazione attiva delle persone con bisogni
di CAA alla vita della Associazione e nella comunità sociale. Questo avviene a vari livelli e con varie iniziative
che indichiamo qui in parte. I Chapters Nazionali e Regionali, sono sollecitati da ISAAC Internazionale a
favorire la partecipare delle persone che utilizzano la CAA (PCU CAA) all’interno degli organismi direttivi; è
stato creato un Comitato delle persone che utilizzano la CAA che si occupa anche di reperire fondi per
favorirne la partecipazione alle conferenze biennali internazionali, di istituire, con la collaborazione sia delle
Aziende di A.T. che di altre organizzazioni, borse di studio, ecc; nel Bulletin sono inseriti, insieme ad articoli
di professionisti, degli organismi direttivi dell’ISAAC, anche articoli, testimonianze, riflessioni, scritte dalle
persone che utilizzano la CAA , provenienti da tutto il mondo, ecc.
Altro obbiettivo prioritario di ISAAC internazionale è quello di sostenerne l’aspetto internazionale , non solo
con la sua organizzazione interna – il Board of Directors a cui partecipano i presidenti dei Chapters e dei
gruppi nazionali di tutto il mondo e che decide le linee guida di ISAAC - ma anche con iniziative concrete
quali la creazione del sito in più lingue, la traduzione del Bulletin in 4 lingue tra cui l’italiano, ecc.
Ed ancora, sempre nella prospettiva internazionale e di sostegno alla diffusione della CAA, ISAAC sostiene i
paesi emergenti alla CAA con gemellaggi con i paesi “più avanzati”, inviando esperti in CAA per contribuire
alla formazione di professionisti e allo sviluppo della CAA.
Particolare attenzione ISAAC pone alla formazione permanente dei professionisti e allo scambio delle
esperienze. Le Conferenze Internazionali che si svolgono ogni due anni hanno questa funzione e sono
organizzate nell’arco di una settimana, con pre-corsi di formazione su varie tematiche, con varie sessioni
informative durante la Conferenza e con un simposio di ricerca sulle tematiche emergenti in CAA.
Le Conferenze sono un importante momento di aggiornamento a livello clinico ed educativo ma anche
occasioni per accogliere, diffondere e sostenere le problematiche poste dalle persone che utilizzano la CAA e
dalle famiglie. Le conferenze si configurano anche come un momento di riflessione e di individuazione di
strategie per la difesa dei diritti civili delle persone “non parlanti”, diritti di questa particolare “minoranza” che
rischiano ancor più di non essere salvaguardati.
Altri obbiettivi importanti stanno emergendo come quello di diventare ONG all’interno dell’ONU e difendere il
diritto delle persone “non parlanti” alla comunicazione, alla partecipazione e all’informazione. Nell’ ISAAC
Bulletin del Maggio 2005 vengono riportati alcuni importanti passi avanti come la prima stesura dell’art. 13 del
Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità sulla Libertà di espressione ed opinione
ed accesso alle informazioni (art.13), che recita: Gli Stati adotteranno tutte le misure atte a garantire che le
persone con disabilità possano esercitare il loro diritto alla libertà di espressione ed opinione, inclusa la libertà
di ricercare, ricevere e fornire informazioni ed idee ad altri, su una base paritaria, anche attraverso il
linguaggio dei segni, il Braille, la comunicazione aumentativa ed alternativa ed ogni altro mezzo,
modalità, e formato accessibili di comunicazione.
ISAAC Italy
Nel 2002 è stato fondato il Chapter (sezione) italiano di ISAAC: ISAAC Italy. Il percorso che ha portato alla
creazione del Chapter è stato lungo.
Agli inizi degli anni ’80 si svilupparono in alcune città italiane (Milano, Modena, Genova, Catania) prime
iniziative ed esperienze relative ad alcuni aspetti che fanno parte anche oggi dell’intervento di CAA, quali
corsi sul linguaggio Bliss e sperimentazioni con alcuni primi ausili tecnologici che si iniziavano a sviluppare in
quegli anni, avvenute tra l’altro anche a qui a Genova negli anni 80’ (Progetto del CNR “Tecnologie
biomediche sanitarie”, sottoprogetto “Ausili di Comunicazione per gravi disabili motori” del 1985, condotto in
collaborazione con il Centro Educazione Motoria di Genova/ASL 16 di Genova).
Alla fine degli anni ’80 iniziarono a formarsi le prime associazioni (prima AICA e poi GISCA) che riunivano le
persone che in Italia si occupavano di CAA. Molte di queste persone erano iscritte a titolo personale ad
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ISAAC internazionale e parteciparono alle Conferenze Internazionali di quegli anni. Il gruppo dei soci italiani di
ISAAC è stato rappresentato all’interno del Board of Directors da varie persone (Rivarola, Vaccari, Ferrario,
Veruggio).
Nel Maggio 2001, al Centro Benedetta d’Intino di Milano, venne organizzato un incontro a cui parteciparono
molte delle persone che in quegli anni si occupavano di CAA. In tale occasione si decise di creare il Chapter
italiano e venne formato il Comitato Fondatore (Rivarola, Veruggio, Schiaffino, Vaccari) con l’incarico di
avviare le procedure formali di riconoscimento di ISAAC Italy quale Chapter dell’ISAAC internazionale. Negli
anni successivi si arrivò al riconoscimento di ISAAC Italy quale associazione Onlus.
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Riconoscimento ufficiale da parte di ISAAC Internazionale Gennaio 2002
1° Consiglio eletto nell’Assemblea del Novembre 2002
Statuto approvato nel Novembre 2002
Costituzione ISAAC Italy come Associazione in Italia nel Marzo 2003
Riconoscimento come ONLUS dall’Ottobre 2003
Alcuni dati su ISAAC Italy.
Con la formazione del Chapter nel 2002 i soci sono passati da 30 (1995) a 130 (Maggio 2005). Alla crescita di
ISAAC Italy ha certamente contribuito la creazione nel 1997 della prima Scuola di Formazione in CAA presso il
Centro Benedetta d’Intino di Milano, che forma ogni anno circa 25 persone (logopedisti, medici, terapisti,
educatori,ecc).
Dal punto di vista della provenienza geografica la maggior parte dei soci proviene dal Nord Italia, poi dal
Centro e dalle isole; ridotta è invece la presenza nel Sud.
La composizione dei soci rispecchia quella dell’ISAAC Internazionale. In ISAAC Italy vi sono professionisti
(74%), persone che utilizzano la CAA (3%), famiglie (15%), Institutional (cioè Centri, Enti, ecc 5%),
rappresentanti di Aziende di Assistive Technology (3%).
Nei soci professionisti, vi è prevalenza dei logopedisti (19%), a cui seguono medici (17%) , fisioterapisti
(17%), educatori (7%),psicologi (7%)
Inizia il percorso di ISAAC Italy: I primi tre anni
Gli obbiettivi di ISAAC Italy rispecchiano quelli dell’ISAAC Internazionale, focalizzandosi maggiormente, in
relazione alla situazione italiana su alcuni di essi.
ISAAC ITALY
Obbiettivi
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Sviluppare gli obbiettivi dell’ISAAC in Italia
Divulgare e promuovere il campo interdisciplinare della CAA
Creare una rete di collegamenti regionali e nazionali per favorire lo scambio delle esperienze e delle
informazioni
Facilitare l’accesso alle conoscenze specifiche nell’ambito della CAA
(libri, pubblicazioni, giornate di studio, conoscenza delle metodologie di intervento e delle tecnologie in
CAA,…)
Pubblicare un foglio informativo – Chapter News - due volte all’anno
Organizzare una assemblea annuale degli iscritti
Organizzare una conferenza biennale italiana sulla CAA
Questi primi anni sono stati dedicati all’avvio organizzativo ed societario di ISAAC Italy, alla creazione di una
rete di collegamento e di informazione interna alla Associazione (creazione del foglio informativo interno
Chapter News, area riservata del sito, ecc), alla diffusione della conoscenza dell’Associazione stessa all’esterno
tramite la traduzione della brochure dell’ISAAC Internazionale – Che cos’è CAA - e la creazione del sito Web.
Un altro obbiettivo importante di questi primi anni è stato il sostegno allo scambio delle informazioni,
esperienze e conoscenze in CAA tramite la pubblicazione della raccolta “Argomenti di CAA” e la traduzione in
italiano, con il sostegno dell’ISAAC Internazionale, dell’ISAAC Bulletin (foglio informativo quadrimestrale
dell’ISAAC Internazionale) e con l’organizzazione di questa Prima Conferenza Italiana sulla CAA a cui
speriamo seguano con cadenza biennale, altre Conferenze.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Il percorso di ISAAC Italy prosegue ora verso altri obbiettivi tra cui il completamento del sito, curando in
particolare la messa in rete di articoli e materiali di supporto all’intervento di CAA, la pubblicazione di una
rivista italiana sulla CAA, il sostegno alla traduzione di un testo di base sulla CAA, l’avvio di iniziative con e per
le persone che utilizzano la CAA e le famiglie, il sostegno alla diffusione della CAA - che registra in Italia un
notevole ritardo rispetto ad altre nazioni europee - sia all’interno delle sedi di formazione di base che
all’interno della comunità sociale.
E’ da segnalare che incide pesantemente sul ritardo nella diffusione della conoscenze in CAA e sulla
organizzazione di servizi di CAA, anche la quasi totale assenza di letteratura sulla CAA che è tutta in inglese.
Per fare un esempio concreto, da una ricerca del 1990 risultavano presenti in Italia 2 libri che iniziavano a
parlare della CAA; ad oggi in lingua italiana esistono 6 testi (compresi i due citati), a cui si affiancano le
raccolte di “Argomenti” create da ISAAC Italy. Non è presente in Italia alcun testo base, anche tradotto
dall’inglese, sulla CAA. Si è rilevato tuttavia in questi ultimi anni un leggero incremento di articoli sulla CAA
all’interno di riviste di neuropsichiatria Infantile e di riabilitazione, di capitoli e riferimenti alla CAA in diverse
pubblicazioni e di interventi sulla CAA all’interno di vari convegni e seminari (NPI, logopedia, ecc). In questi
ultimi anni sono stati pubblicati anche diversi libri di testimonianze, storie e poesie, scritti da persone che
utilizzano la CAA.
Infine alcune considerazioni personali.
Per me l’incontro con la CAA e con ISAAC prima a livello italiano e poi internazionale è stato qualcosa che ha
cambiato me stessa e la mia vita professionale di fisioterapista. Soprattutto quando per la prima volta ho
partecipato alla Conferenza Internazionale di Washington è stato un incontro con una associazione diversa,
con un modo di stare insieme che mi ha veramente colpito.
E’ stato un incontro con l’accoglienza, con l’ascolto, con il rispetto della disabilità e delle diversità linguistiche,
culturali….
E’ stato un incontro con la disponibilità e la generosità allo scambio delle esperienze e delle informazioni….
E’ stato l’incontro con una visione, di cui forse particolarmente in questo momento storico abbiamo bisogno,
quello di una organizzazione che propone un modello di cooperazione universale dimostrando come piccoli
numeri possano diventare grandi numeri e grande forza quando sono messi tutti insieme …
E’ stato un incontro con tante persone, incontri con cui si costruiscono legami ed amicizie, anche
internazionali; sono stati momenti di lunghi discorsi e scambi di opinioni, riflessioni e progetti…
E sono stati anche momenti piacevoli di divertimento, tutti insieme, severi professionisti, giovani e meno
giovani, “normali” e disabili…
Sono stati e sono momenti al di là di ogni “sguardo” riabilitativo, al di là di ogni visione tecnica e
tecnologica…
Sono stati i momenti dello stare insieme e dello stare con l’altro
dentro parole, silenzi, gesti e sguardi
Spero che questa Conferenza , la prima in Italia , sia un momento per condividere esperienze , pensieri,
riflessioni ma sia anche un momento per costruire legami, collaborazioni e forse anche amicizie.. un momento
di vero incontro.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA: ieri, oggi, domani
Aurelia Rivarola
Servizio di Comunicazione Aumentativa ed Alternativa del CENTRO BENEDETTA D’INTINO - Milano
Scegliendo questo titolo per la mia relazione alla prima conferenza italiana Isaac, avevo intenzione di parlare
della breve ma intensa, se si pensa ai risultati raggiunti, storia della Comunicazione Aumentativa Alternativa
(CAA). Volevo percorrerne l’evoluzione facendo riferimento alle persone che vi hanno contribuito e ai principali
aspetti che sono stati argomento di studio e di ricerca. Avevo intenzione di parlare della situazione attuale e
delle tendenze e delle prospettive future da un punto di vista sia internazionale che italiano.
Ho raccolto bibliografia sull’argomento e ho cercato di rispolverare documenti e ricordi. Mi sono allora accorta
che il compito che mi ero data era al di sopra delle mie possibilità e del tempo disponibile per questa
relazione. Ho allora pensato di limitarmi ad alcune considerazioni e valutazioni sulla storia della CAA, maturate
attraverso le letture sull’argomento o le esperienze personali, rimaste maggiormente impresse nella mia
mente, nella speranza che riflettere sul passato aiuti a migliorare il futuro.
Solo sessant’anni fa l’impossibilità ad esprimersi con il linguaggio orale era considerata un sintomo naturale di
una malattia e ne indicava la presenza, il peggioramento, la gravità. Non si tentava di ridurre il sintomo;
l’obiettivo di migliorare la qualità della vita non era assolutamente preso in considerazione. In seguito, alcune
persone hanno iniziato a sentire l’esigenza di affrontare questa menomazione, ma gli sforzi riabilitativi
andavano nella direzione di tentare, a tutti i costi, l’acquisizione o il ripristino del linguaggio orale. In
moltissimi casi i risultati erano frustranti e qualcuno, soprattutto nel Nord America, ha iniziato a considerare
forme alternative di comunicazione.
Negli anni ’50 sono stati gettati i primi semi per il futuro della CAA. Pionieri in questo campo sono state le
persone con grave deficit comunicativo e chi li assisteva: sono stati loro ad utilizzare per primi tabelle di
comunicazione con lettere, simboli, immagini. M. Williams, persona che presenta complessi bisogni
comunicativi, raccontava che nei suoi primi anni comunicava con i suoi genitori emettendo suoni. In seguito,
per farsi comprendere anche da persone esterne all’ambiente familiare, tracciava dei gesti nell’aria come per
scrivere parole. Fino a quando un collega che lavorava in una radio, stanco di vederlo gesticolare nell’aria, gli
portò una tabella alfabetica, tabella che diede inizio ad una nuova vita.
Le persone che avevano subito interventi di laringectomia e glossectomia possono essere considerati i primi
pazienti cui venivano suggeriti, per la comunicazione, ausili come elettrolaringi, ma anche modalità alternative
come la scrittura. Chi non aveva subito interventi di questo genere non veniva considerato per un intervento
riabilitativo di supporto alla comunicazione.
Tra gli anni 1950 e 1970, per il progresso delle cure mediche e riabilitative, aumentavano i casi di bambini
sopravvissuti a nascite premature e di adulti sopravvissuti a ictus, traumi, malattie. Per molti di loro
residuavano come postumi, situazioni di grave disabilità motoria; aumentava così il numero di persone
impossibilitate a comunicare attraverso il linguaggio orale. Pochi riabilitatori, andando contro corrente,
iniziarono a suggerire modi aumentativi per favorire la comunicazione e iniziarono a diffondere i risultati di
queste esperienze.
I primi casi documentati si riferivano a soggetti afasici o affetti da PCI. Bisogna considerare che, malgrado
queste eccezioni, i riabilitatori privilegiavano un approccio oralistico e continuavano a non consigliare il
linguaggio dei segni ai sordi, che pur lo usavano nelle loro comunità. Quest’atteggiamento, non
completamente scomparso ai nostri giorni, fa riflettere sulla tendenza degli “specialisti” a decidere quello che
essi ritengono sia meglio per la persona disabile, malgrado spesso l’evidenza mostri quale sia la scelta della
persona interessata.
Tra il 1960 e il 1970 si cominciò a rendere pubbliche e non nascondere le situazioni di disabilità. John
Kennedy e altri personaggi famosi iniziarono a rendere noto di avere parenti con deficit cognitivi. Ciò portò
ad una prima iniziale accettazione della disabilità e, quindi, di modalità di comunicazione diverse dal
linguaggio orale. Le comunità di sordi anticiparono questo processo di legittimizzazione del linguaggio dei
segni, esigendo il diritto ad essere educati usando il linguaggio dei segni.
Secondo alcuni, gli studi sull’apprendimento di simboli grafici da parte di scimpanzé avrebbero aperto la
strada alla proposta di simboli grafici a persone con grave deficit comunicativo e motorio.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Le maggiori capacità prognostiche rispetto ad un utilizzo funzionale del linguaggio orale hanno certamente
contribuito a far cessare veri accanimenti terapeutici da parte di logopedisti e a giustificare approcci diversi.
All’Ospedale Universitario di Jowa City dal 1964 al 1974 venne condotto un primo programma di CAA rivolto a
bambini con paralisi cerebrale infantile. Nel frattempo si sviluppava anche l’idea che la tecnologia potesse
aggirare la disabilità comunicativa e venivano così usate macchine da scrivere adattate per la comunicazione.
Il primo ausilio tecnologico specificatamente dedicato alla comunicazione è stato il POSSUM (Patient Operated
Selection Mechanism), finanziato dal Polio Research Foundation, usato poi fino alla fine degli anni ’70.
Vennero sviluppati, soprattutto nel Nord Europa, molti altri ausili accessibili a chi aveva acquisito il codice
alfabetico. Molti pesavano fino a sette chilogrammi e certamente non erano di facile uso nella vita quotidiana.
Nel 1971 Shirley Mc Naughton, con un gruppo di colleghi, iniziò un progetto di ricerca utilizzando simboli
grafici che Charles Bliss aveva creato con l’intenzione di farne un linguaggio universale. Tali simboli, basati
sul significato e non sulla fonetica, venivano appresi con facilità e permettevano l’espressione di concetti
anche molto sofisticati. I risultati furono entusiasmanti e i simboli Bliss vennero diffusi rapidamente in tutto il
mondo.
Solo verso la fine degli anni ’70, un approccio funzionale per facilitare la comunicazione delle persone non
parlanti attraverso modalità non orali fu finalmente considerato legittimo. Una legge americana del 1975, che
riconosceva il diritto all’educazione per tutti i bambini con disabilità e quindi il loro diritto a vivere nella
comunità, diede ancora più forza a questa corrente di pensiero riabilitativo. Naturalmente non cessarono di
esistere persone che continuavano a sostenere che l’uso di modalità diverse sarebbe andato a detrimento di
un possibile emergere del linguaggio orale. Tale pregiudizio è ancora presente non solo in molti genitori ma
anche in molti professionisti.
Ricerche di questo periodo nel campo della linguistica e dello sviluppo del linguaggio nel bambino aggiunsero
nuovi stimoli a questo approccio alla comunicazione. I ricercatori iniziarono a concentrarsi maggiormente sulla
funzione anziché sulla forma dell’atto comunicativo, e quindi il linguaggio incominciò ad esser visto come un
mezzo per raggiungere il fine della comunicazione. Le terapie logopediche iniziarono quindi a virare dal solo
obiettivo di instaurare o ristabilire il linguaggio orale, a quello di migliorare la comunicazione con tutti i codici
e le modalità possibili. Ciò veniva sostenuto da F. Silverman nel suo libro “La comunicazione per il privo di
parola” tradotto in italiano su iniziativa del Prof. O. Schindler, che primo in Italia affermava l’importanza di
migliorare la comunicazione di chi presentava carenza o assenza di linguaggio orale, attraverso tutte le
modalità possibili.
All’inizio degli anni ’80 sempre più frequentemente venivano pubblicati casi di persone che, attraverso
programmi di comunicazione, riuscivano a migliorare la qualità della loro vita. Tali programmi venivano
comunque implementati dopo il fallimento di forme tradizionali di terapie del linguaggio.
Un altro fattore, che ha contribuito a far sì che questo approccio si strutturasse in un campo clinico
riconosciuto, è stato la creazione e l’utilizzo di numerosi sistemi di simboli grafici; questi potevano venire usati
da persone che non avevano ancora acquisito o non erano in grado di acquisire il codice alfabetico. Il sistema
grafico Blissymbolics, scoperto e utilizzato da una piccola équipe multidisciplinare dell’Ontario Crippled
Children’s Centre di Toronto, diretta e coordinata da Shirley Mc Naughton, è stato il primo ad essere diffuso in
tutto il mondo.
Shirley Mc Naughton ha creato un’organizzazione, il BCI (Blissymbolics Communication Institute,
successivamente rinominato Blissymbolics Communication International), che ha prodotto una grande
quantità di documentazione, libri, materiale d’uso e anche i primi software con simboli. Presso il BCI sono
stati organizzati corsi di formazione, frequentati da centinaia di persone provenienti da tutto il mondo. I corsi
non riguardavano solo il sistema grafico Bliss, ma il suo utilizzo pragmatico: non veniva cioè proposto solo un
metodo ma un approccio all’interno del quale gli strumenti e i sistemi grafici trovavano una loro indicazione.
Per molti anni Blissymbolics è stato il principale sistema grafico utilizzato nel mondo. Prendendo spunto
dalle sue caratteristiche, sono stati via via creati altri sistemi simbolici per specifiche esigenze e categorie di
disabilità della comunicazione.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Questo campo di intervento emergeva sempre più come un’area specialistica; inoltre venivano pubblicati libri,
articoli, testi. Venivano tenute relazioni a convegni e conferenze, organizzati corsi di formazione e attivate le
prime ricerche in campo clinico e tecnologico.
Nel 1980 e nel 1982 a Toronto si tennero le prime conferenze internazionali sulla “Comunicazione non orale”.
Nel corso della conferenza del 1982 venne presa la decisione di creare un’organizzazione esclusivamente
dedicata a questo campo clinico. Nel 1983 professionisti di venticinque paesi del mondo fondarono a New
Lansing (Michigan) l’International Society for Augmentative and Alternative Communication (ISAAC) e
decisero di chiamare l’area di interesse Augmentative and Alternative Communication.
In questa sede venne raccomandato di utilizzare il termine derivato dal verbo to augment, cioè aumentare, in
tutte le lingue dove ciò fosse possibile. Il termine “aumentativo” doveva indicare chiaramente come l’obiettivo
dell’intervento dovesse essere l’espansione delle capacità comunicative tramite tutte le modalità e tutti i canali
a disposizione; doveva enfatizzare come la CAA non fosse sostitutiva del linguaggio orale e neppure ne
inibisse lo sviluppo, quando questo fosse possibile.
In quel periodo il personal computer divenne una realtà per le persone con disabilità comunicative; così pure
gli ausili con uscita in voce sintetica o in stampa, perchè sempre più piccoli e maneggevoli. Questi progressi
tecnologici sono stati favoriti dalla cooperazione di persone di paesi differenti e provenienti da diverse
discipline. In quegli anni i progressi nell’area della tecnologia erano quelli che più sembravano connotare il
campo della CAA.
Come spesso succede, il grande entusiasmo per la tecnologia portò a considerare gli ausili soluzioni per tutti i
problemi; ci volle molto tempo per capire che erano mezzi preziosi solo se utilizzati per precisi obiettivi e,
quindi, all’interno di un programma di comunicazione.
In quel periodo si svilupparono numerose ricerche che fornivano conoscenze e teorie di base e contribuirono
al riconoscimento scientifico del campo della CAA.
I temi emergenti delle ricerche, che hanno motivato dibattiti e relazioni a congressi, hanno via via seguito
diversi filoni. Ricordo ricerche su quali caratteristiche dei simboli grafici facilitassero l’apprendimento e la
memorizzazione degli stessi; ricordo dibattiti sulla terminologia in CAA, ricerche e articoli sull’argomento della
“selezione del vocabolario”, sulle modalità interattive tra partner parlanti e non parlanti; ricordo studi e
relazioni che definivano la competenza comunicativa in CAA, ricerche sul ruolo dei simboli grafici
nell’acquisizione della “language” e nell’apprendimento della letto-scrittura, ricerche sul controllo dei
comportamenti problema tramite la CAA, ricerche sulle tecniche d’accelerazione della comunicazione tramite
predizione lessicale, indagini sul grado di comprensione del linguaggio sintetico, articoli sull’applicazione della
CAA in diverse condizioni di disabilità, su diversi modelli di valutazione e intervento in CAA, fino alle più recenti
ricerche sulla quantificazione dei risultati e sulla posizione della CAA rispetto alla pratica basata sull’evidenza.
Sono tantissime le aree di sviluppo della CAA che hanno portato ad un’evoluzione del pensiero e della
metodologia d’intervento clinico e dei percorsi di formazione; tra queste aree mi limito a ricordarne alcune:
Modello di valutazione e intervento - si parla oggi di una valutazione dinamica come parte di un processo
circolare, strettamente legata all’intervento, perché deve valutare l’effetto dell’applicazione delle strategie e
delle modalità aumentative sulla comunicazione e sulla partecipazione. La valutazione, secondo tale modello,
deve tenere conto dell’aspetto medico, delle abilità e delle barriere d’accessibilità della persona disabile, ma
deve anche tener conto dell’ambiente di vita e delle barriere di opportunità offerte dall’ambiente stesso.
Intervento - è ormai opinione condivisa che l’intervento debba essere svolto nell’ambiente di vita e quindi con
i diversi partner comunicativi. L’intervento nella stanza di terapia non porta mai ad una generalizzazione delle
abilità comunicative acquisite. In quest’ottica è importante l’individuazione di facilitatori della comunicazione
che si pongano, non come interlocutori privilegiati, ma come fornitori di occasioni di comunicazione.
Nell’intervento di CAA gli strumenti e gli ausili trovano una loro utilità solo in funzione dei bisogni comunicativi
della persona disabile. I bisogni comunicativi vanno valutati relativamente ai diversi partner e ai diversi
contesti comunicativi. L’intervento non è misurabile con la capacità di usare strumenti di comunicazione, ma
con il miglioramento della comunicazione funzionale e della competenza comunicativa.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Uno strumento, che in questo senso permette di valutare gli ambienti di vita, i partner e le occasioni
comunicative e di programmare un intervento mirato, è il “Social Networks”. Si tratta di un approccio pensato
e proposto da Sarah Blackstone, che lo illustrerà domani nel corso di questa conferenza.
Team multiprofessionale – la valutazione e l’intervento necessitano delle competenze di professionisti
provenienti da differenti aree. E’ però necessaria una persona che all’interno del team si faccia carico
dell’andamento dell’intervento e ne segua l’evoluzione soprattutto nell’ambiente di vita.
Intervento di “comunicazione iniziale” – s’intende tutta una serie di interventi rivolta a persone che,
indipendentemente dalla loro disabilità e dalla loro età cronologica, necessitano di supporto per “apprendere”
che, attraverso la comunicazione, possono influenzare il loro ambiente di vita. Spesso si realizza solo
tardivamente che alcune persone disabili avrebbero potuto sviluppare delle abilità se solo avessero ricevuto
delle opportunità nei primi anni di vita. Chi ha cercato di individuare prerequisiti per la CAA ha solitamente
considerato solo forme simboliche di comunicazione, senza tenere conto che l’acquisizione delle abilità di base
facilita il graduale sviluppo di abilità più complesse. L’intervento iniziale non dipende dal controllo di complessi
sistemi o ausili, ma si focalizza sulla capacità dei partner comunicativi di dare significato ai comportamenti
(gesti, suoni, azioni) spesso non ancora intenzionali e sulla capacità di farli evolvere. L’intervento di
comunicazione iniziale trova una sua giustificazione all’interno del campo della CAA: anche per la definizione
dell’ASHA (American Speech Language Hearing Association) “la CAA si riferisce anche ai soli aggiustamenti dei
comportamenti degli interlocutori”.
In Italia la diffusione e lo sviluppo della CAA ha registrato e continua a registrare un ritardo rispetto al Nord
America e Nord Europa. Possiamo ripetere nel 2005, quanto scrissero, riferendosi agli anni ’80, Zangari, L.
Lloyd e B. Vicker nell’articolo pubblicato su AAC nel 1994 dal titolo Augmentative and Alternative
Communication: An Historic Perspective: “L’immobilità dei programmi universitari e delle organizzazioni
professionali nel campo della comunicazione, tende a sminuire l’importanza di idee nuove che non emergono
a livello accademico e che non hanno una solida base sperimentale. Così gli accademici che giocano un ruolo
rilevante nelle organizzazioni professionali, tardano a riconoscere i contrbuti di coloro che fornirono il servizio
diretto e non riconobbero l’importanza e l’influsso della CAA fino agli anni ’70 – ’80”.
Tappe significative nella diffusione della CAA in Italia possono essere considerati i primi meeting internazionali
del Blissymbolic Communication Institute a Catania e a Milano, rispettivamente nel 1983 e 1988.
Successivamente nel 1989 la formazione del “Gruppo italiano per lo studio sulla comunicazione aumentativa
alternativa” e nel 1996 la creazione della prima e tuttora unica “Scuola annuale di formazione in CAA” tenuta
a Milano presso il Centro Benedetta D'Intino. A questa scuola, articolata su più seminari, collaborano docenti
sia italiani che stranieri. La tappa certamente più significativa è stata la fondazione del “Chapter Isaac-Italy”
nel 2002. Infine questa prima conferenza Isaac in Italia, che vede la partecipazione di tante persone e
dimostra che la CAA è ora considerata anche in Italia un campo autonomo con suoi principi e con approcci
pratici specifici.
Il mio augurio è che questa prima conferenza italiana ISAAC stimoli un reale scambio di esperienze e porti ad
una reale collaborazione tra i membri del Chapter Isaac Italy; mi auguro che aiuti la diffusione di una cultura
della CAA veramente basata sulla miglior pratica ed eviti che si ripetano gli errori passati di porre l’accento
solo sugli strumenti e non sul loro uso per migliorare la competenza comunicativa.
Il Chapter Isaac Italy certamente aiuterà la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli amministratori
pubblici, così che a tutte le persone con complessi bisogni comunicativi non sia negato un aiuto per
migliorare la loro qualità di vita attraverso la CAA.
Una corretta cultura della CAA aiuterà la creazione di servizi composti da più professionisti provenienti da aree
diverse ma formati in CAA ed eviterà che qualcuno si trovi ancora a lavorare da solo e a proporre “sedute di
CAA” avulse da ogni reale scopo comunicativo.
e-mail: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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… da qui abbiamo cominciato
Claudia Jalla
Mamma di Cecilia – Responsabile del Laboratorio di Comunicazione Aumentativa ed Alternativa dell’Uliveto
(Luserna S. Giovanni /TO)
Palloncini. Giostra….ecco i primi simboli che sono stati dati a Cecilia per poter “dire”: ho giocato con i
palloncini, voglio giocare con i palloncini, comprami dei palloncini, sono stata alla giostra, portami alla
giostra…Desideri questi, che devo dire ci hanno accompagnato per molto tempo…
Ma credo che la storia non inizi proprio con questi simboli ma con degli stivali da pioggia gialli!
Ma adesso basta: le storie che si rispettino cominciano sempre dall’inizio e l’inizio della storia di Cecilia e della
nostra è stata la sua nascita.
Bambina desiderata, attesa, gravidanza “attempata” soprapeso ma tutto assolutamente nella norma; niente
nella norma invece il parto (ma questa è un’altra storia ormai troppe volte raccontata).
L’immagine che mi si presenta sempre dell’inizio di vita di mia figlia, è quella di un vetro rotto di un’automobile
dopo un incidente: tanti minuscoli frantumi che riflettono un intero che però ora è tutto spezzato.
E’ proprio lì in quel momento che il fluire della comunicazione si è interrotto, non sapevamo più chi Cecilia
fosse. La calda attesa del crescere, la fiducia che fatto un movimento ne sarebbe comparso un altro, fatta una
conquista inevitabilmente un’altra ne sarebbe seguita…tutto spezzato in quel vetro in frantumi.
Credo che il silenzio sia calato tra me e lei, tra suo padre e lei, tra gli altri e lei…
Sicuramente però non tra lei e noi, tra lei e gli altri, per fortuna, vista la Cecilia di oggi.
Tenerla in braccio, coccolarla, nutrirla, cambiarla, occuparsi costantemente di lei, si, ma nel silenzio di una
comunicazione interrotta.
Il non sapere chi lei fosse, e che cosa potesse raggiungerla, ci permetteva di amarla, ma non tanto di
ascoltarla o di raggiungerla là dove lei era.
Primi tempi in ospedale, dove medici attenti (naturalmente non quelli legati alla sua nascita) cercavano di fare
diagnosi e di contenere le nostre ansie furibonde.
Occhi scrupolosi ed intelligenti che però ci rimandavano un’immagine rotta, diversa da quella attesa.
A casa, in ospedale, e a tre mesi la diagnosi, diagnosi severa. E poi soli a scrutare questa bimba misteriosa.
Quanto l’abbiamo tenuta tra le nostre braccia, amata, coccolata. Ma quanto silenzio interiore, era difficile
parlarle pensando che l’avremmo raggiunta, che ci avrebbe capito.
Ricordo che la fisioterapista, la pediatra ci spingevano a vedere quello che c’era nella nostra bambina e
quanto comunque in grado di fare. Spingendoci a proporle colori, suoni, giochi, situazioni, sensazioni.
Ma quanto era difficile, non ci aspettavamo risposte, non volevamo illusioni, forte la sensazione di mettere
dentro ad un buco nero senza possibilità di ritorno.
Oggi penso che se avessi avuto più coscienza dell’early communication, quante cose avrei capito e
sicuramente più coinvolgente sarebbe stata la nostra comunicazione, ma non la nostra relazione!
Il primo sorriso ai tre mesi canonici, che gioia, che dono immenso, c’eravamo per lei e ci stava dicendo di
averci riconosciuti.
Ma anche questo in un contatto amorevole e gioioso ma silenzioso e non in un contesto di scambio
comunicativo vero e proprio; continuavamo a non aspettarci risposte da lei pur avendole sotto gli occhi.
E così avanti…Cecilia lesa nel suo centro motorio faceva progressi ma…noi continuavamo ad essere poco
fiduciosi ed in fondo poco all’ascolto poco consapevoli; la sua tata, era invece certa delle sue capacità di
comprensione lei le parlava di continuo.
Tanti passaggi, tanti percorsi, Cecilia cresce (anche noi cresciamo) e da bimbetta urlante diventa bimba
solare, e ancor oggi in piena crisi adolescenziale la solarità l’accompagna.
Ma nonostante il cammino percorso nessuno di noi ha ben in mente il fatto di renderla attrice della sua vita,
non ci passa per la testa che a lei si possa chiedere e tanto meno che ci possa arrivare una qualche risposta.
Sicuramente la si sempre coinvolta in quanto le stava accadendo, o su quello che avremmo fatto con lei, ma
mai le abbiamo chiesto se questo fosse di suo gradimento; chiaramente si deduceva il suo star bene dal
sorriso, dal riso gorgogliante, dalla curiosità…ma…
Compie tre anni e nasce Jean Daniel, periodo complesso fatto di paure per lei, che potesse soffrire troppo, per
lui che potesse aver subito un qualche danno alla nascita…paure,paure!
Fratello simpatico, risorsa per Cecilia, inserita in una sana relazione tra fratelli fatta di affetto, gelosia,
rabbia,
accettazione, vicinanza e distanza (ma questa è di nuovo un’altra storia).
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Ceci è curiosa, va al nido e poi alla scuola materna, naturalmente proseguendo per le elementari ed
approdando alla scuola media, dove ora sta frequentando la terza…Abbiamo avuto la possibilità di fare un
cammino scolastico con insegnanti di classe e di sostegno, la cui amorevolezza e professionalità è stata messa
a disposizione di Cecilia. Un cammino proficuo che l’ha aiutata a crescere, a stare con i bambini.
Annamaria, la sua tata, come ho già detto molto più convinta di noi, e sicuramente meno in ansia, sulle
possibilità cognitive di Cecilia, le insegna prima il no e successivamente il sì.
Tappe importantissime nello sviluppo comunicativo, come ben sappiamo, ma che allora, sempre per
proteggerci dalle false illusioni, abbiamo accolto con “gioia tiepida”, ma sicuramente ci hanno fatto
raggiungere meglio la nostra piccola figlia.
E arriviamo finalmente all’incontro con la C.A.A. La Dott.ssa Ragazzo che ci ha supportati in tutto il nostro
cammino con Ceci, e a cui abbiamo dato in mano il timone della riabilitazione di nostra figlia, ci ha indirizzato
verso questo strumento: “PROVIAMO”.
E’ indelebile nella memoria il primo incontro con la Dott.ssa Schiaffino e la sua équipe. E’ stato un momento
forte, di cambiamento, di presa di coscienza delle possibilità e dei limiti di nostra figlia.
Nel colloquio che abbiamo fatto si sono sempre rivolte anche a Cecilia coinvolgendola DIRETTAMENTE.
Questo è stato il vero cambiamento. Loro pensavano che Cecilia avesse una mente e quindi avevano fiducia in
una possibilità di risposta! Questo e proprio questo ha fatto la differenza. Ricordo i sentimenti contrastanti che
si agitavano dentro di me “Come stato possibile non pensarci fino ad adesso?” e “Che gioia”. Ricordo un
pianto disperato misto ad una immagine di una finestra aperta su di un prato verde.
Penso che in quel momento mi sia stata restituita mia figlia, tolta alla nascita perché persa la comunicazione, ritrovata
ai suoi cinque anni perché poteva essere un partner comunicativo e soprattutto poteva essere ALTRO DA ME.
E in quei colloqui con Cecilia ci furono delle risposte e quante, non ricordo se già nel primo colloquio o nel
secondo uscimmo con la richiesta di Cecilia di un paio di stivali da pioggia gialli, e con i simboli di giostra e
palloncini….da qui abbiamo cominciato.
Non crediate sia stato un cammino facile e senza intoppi. Destreggiarsi tra quaderno dei resti (ancor oggi vivo
e vitale), tabelle comunicative, giochi…e poi parlare finalmente con Cecilia e aspettarsi delle risposte, che
d’altronde arrivano puntualmente.
Scegliere i vestiti, i cibi, le cose da farsi, le persone da vedere…e non passarle sopra e non dimenticare la
tabella e come fare e come fare.
Ceci cresce, si determina, anche se è stata necessaria una “dura battaglia” perché non rispondesse sì anche se pensava
no. Battaglia vinta perché oggi i suoi sì e i suoi no sono precisi.
Cecilia comunica con la sua tabella, scrive lettere, pensierini, sceglie, chiede….ma non solo, anche senza tabella “non sta
mai zitta”, interferisce nei discorsi, si fa notare, cerca di scandire la vita di tutti, la sua voce ci accompagna
costantemente.
Fondamentale per noi, nell’impostazione del percorso è stata la consulenza del Clivia, ma anche la costante
presenza di Laura (educatrice professionale) formata la Centro Benedetta d’Intino, che si è fatta carico del
percorso comunicativo e del progetto scuola; lasciando a noi genitori di poter chiacchierare con Ceci solo
come genitori e non come tecnici.
Sottolineo che sono una psicologa responsabile di un Centro della Chiesa Valdese per persone disabili; ora
formata alla scuola di Milano e che lavoro nel settore della C.A.A. (ma anche questa è un’altra storia) ho
potuto, grazie a questa persona/figura, alla fisioterapista che non si è tirata indietro, fare la mamma, magari
una mamma consapevole ma una mamma.
Sarebbe troppo lungo e complesso raccontare qui tutto il percorso di Cecilia, le diverse tabelle comunicative, i
voca, i giochi facilitati, le tabelle a tema, gli altri tanti ausili non ultima la carrozzina elettrica e soprattutto i
tanti tecnici che hanno aiutato mia figlia e noi nella sua crescita, ma quello che voglio potervi comunicare è
che il microcosmo di Cecilia è sicuramente esploso con le possibilità date dallo strumento C.A.A. e posso dire
senza tema di smentita che nostra figlia oggi è un partner comunicativo.
Un anedotto: Cecilia è andata a scuola dalla prima elementare alla terza media con lo stesso gruppo di
compagni, quest’anno le loro strade si dividono, Ceci rimane alla scuola media dove ha trovato un ambiente
che la sta facendo crescere, mentre i suoi compagni andranno alle superiori. Questa bocciatura li ha molto
preoccupati: come avrebbe fatto Ceci senza di loro? Hanno pensato che una soluzione sarebbe stata quella di
andare a spiegare ai nuovi compagni come Cecilia parla.
Senza voler fare dell’elegia credo che la C.A.A. abbia cambiato sostanzialmente la qualità di vita di Cecilia e la
nostra, forse la “normalità” è altro ma per essere diversi ci sentiamo proprio bene!
Purtroppo oggi non sono qui con voi, perché una malattia antipatica me lo impedisce, so che in mezzo al
pubblico ci sono tante delle persone che hanno contribuito fin dalla nascita alla crescita di Cecilia, le ringrazio
con affetto perché senza di loro, ora non saremmo qui.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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LA LIBERTA’ DI COMUNICARE
Ezio Bettinelli
Sportello Informa Handicap U.L.S.S. n° 19 di Adria - Consigliere ISAAC Italy
Un giorno, mentre passeggiavo sulle rive del fiume Adige con la mia carrozzina elettrica, ho incontrato
un gruppo di persone che discorrevano, mi sono fermato di fronte a loro ad ascoltarle. All'improvviso è calato
un silenzio d'interrogazione nei miei confronti: loro aspettavano risposte da me che non potevo dare perché
non sapevo parlare, ossia non avevo nessuno strumento per comunicare con loro tranne il mio sguardo, sono
fuggito via come un fulmine.
Nei giorni successivi, rivivendo quel episodio, mi sono chiesto: io sono stato sempre libero di
comunicare con chi ho voluto e dove ho voluto? O le mie condizioni fisiche insieme a certe situazioni di
comunicazione interpersonale me l'hanno impedito?
Ho sempre vissuto il problema della comunicazione come urgente e fondamentale fin dall'infanzia,
quando comunicavo con la luce degli occhi e con le espressioni facciali.
Mi ricordo quando, da bambino, volevo dire qualcosa ai miei genitori, specialmente a mia madre,
indicavo delle cose per dire altre, per esempio indicavo il bicchiere per dire sete; indicavo il sole per dire che
era una bella giornata. Queste cose possono essere banali agli occhi delle persone parlanti, ma per un
bambino che non sapeva parlare rappresentavano un barlume di libertà nell'esprimere i propri bisogni
fondamentali, i propri desideri e i propri sogni anche se solo attraverso la luce dei propri occhi.
Crescendo, questo barlume di libertà mi andava stretto, sentivo che mancava qualcosa dentro di me.
Vedevo i miei compagni delle medie in animate discussioni frutto della loro crescita ed io messo da parte;
tentavo qualche incursione in mezzo a loro tramite il segnale delle lettere dell'alfabeto con la mano su il
tavolo. Questo metodo andava bene fino a quando la loro pazienza di ascoltarmi con gli occhi non si
esauriva, nonostante il mio sforzo di essere sintetico. Questo mi procurava molto disagio ed infinita
impotenza: non era facile catturare la loro attenzione, dovevo ascoltare i loro rumori e saper cogliere l'attimo
fuggente per interagire con loro.
Questo problema, di cogliere l'attimo fuggente per instaurare una conversazione o una discussione
con i miei interlocutori, esiste ancora adesso nonostante che io abbia trovato dei validi ausili per comunicare,
come l'Etran e il casco funzionale abbinato con il computer; nonostante l'avvento di Internet che mi ha
permesso di velocizzare la mia comunicazione con più persone esprimendo, in discussioni virtuali, i miei
pensieri, le mie idee, le mie arrabbiature e i miei sentimenti.
Mi sono accorto, in questi anni di ricerca nella mia comunicazione CAA, che non basta avere a
disposizione tutti gli ausili tecnologici e non basta per avvicinarsi alla comunicazione ideale, quasi utopistica,
della voce umana. Non basta creare tutte quelle situazioni atte ad instaurare la comunicazione CAA; situazioni
artificiali che nascondono ed impediscono la vera natura e gli urgenti problemi della comunicazione
quotidiana. Bisogna trovare la predisposizione, la pazienza e l'attenzione dell'interlocutore con cui si vuole
iniziare una comunicazione. Mi capita spesso, durante una discussione, di vedere strane facce nel mio
interlocutore: facce di sopportazione, di perdita di pazienza; vedere certi enormi sbadigli. Non è molto
gratificante e, soprattutto, non è molto incoraggiante a continuare la discussione.
Certe volte ho una sorta d'inibizione ad incominciare una conversazione per la paura di trovare un
atteggiamento quasi artificioso, una sorta d'ascolto pilotato, non spontaneo nell'interlucore, nonostante le
strategie che posso adottare per rendere la discussione meno faticosa, più corta possibile ecc..
Esercitare la propria libertà a comunicare attraverso la CAA non è facile in un mondo dove l'arte di
ascoltare è diventata un'optional anche tra le persone parlanti.
Credo che solo diffondendo la cultura della Comunicazione Aumentativa ed Alternativa nella realtà di
tutti giorni, dando strumenti adatti alle esigenze comunicative di ciascuna persona con problemi di
comunicazione verbale, si possa far riscoprire alla gente comune la facoltà d'ascoltarsi reciprocamente. Il
continuo dialogo spontaneo tra le persone CAA e persone parlanti, credo che sia fonte inesauribile di libertà e
di rispetto, anche solo attraverso la brillantezza di uno sguardo.
e-mail: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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IL LOGOPEDISTA IN C.A.A.
Sonia Oldrini*, Patrizia Bombardi **, Luciana Di Natale***, Carla Gagliardi****
*Servizio di C.A.A. del Centro Benedetta d’Intino di Milano,**Laboratorio di C.A.A. del Bambino Gesù di Roma,***Servizio
Distrettuale Integrato per l’Età Evolutiva ULSS 9 Treviso,**** Servizio di Recupero e Rieducazione Funzionale
dell’Ospedale Cuasso al Monte (VA)
Questo intervento nasce da alcune riflessioni fatte tra noi logopedisti che da qualche anno, anche se in ambiti
diversi di lavoro, condividiamo l’esperienza della CAA.
Ci sembrava importante innanzitutto fare il “punto della situazione” sia sulla Formazione, in particolare
all’interno dei Corsi Universitari di Logopedia, che sulla informazione e quindi diffusione della CAA in Italia.
Riporto quanto recita il D.M. 742/1994 riguardo al profilo professionale del Logopedista :
- L'attività del logopedista è volta all'educazione e rieducazione di tutte le patologie che provocano disturbi
della voce, della parola, del linguaggio orale e scritto e degli handicap comunicativi.
- In riferimento alla diagnosi e alla prescrizione del medico, nell'ambito delle proprie competenze, il
logopedista:
a) elabora anche in équipe multidisciplinare, il bilancio logopedico volto all'individuazione e al superamento
del bisogno di salute del disabile;
b) pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità comunicative
e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della comunicazione e del
linguaggio, verbali e non verbali;
c) propone l'adozione di ausili, ne addestra all'uso e ne verifica l'efficacia;
Ed ancora riporto quanto dice il Il CODICE DEONTOLOGICO DEL LOGOPEDISTA approvato il
13/02/1999, al Titolo 2 (Compiti e doveri del logopedista) all’art.4 testuale dicembre:
Finalità dell'intervento logopedico è il perseguimento della salute della persona, affinché possa impiegare
qualunque mezzo comunicativo a sua disposizione in condizioni fisiologiche. Nel caso di un disturbo
di linguaggio e/o di comunicazione e/o da loro eventuali esiti, l'obiettivo sarà il superamento del disagio ad
esso conseguente, mediante il recupero delle abilità e delle competenze finalizzate alla
comunicazione o mediante l'acquisizione ed il consolidamento di metodiche alternative utili alla
comunicazione ed all'inserimento sociale.
Abbiamo fatto così un’indagine tra i logopedisti iscritti ad ISAAC Italy per conoscere le situazioni nelle varie
Regioni e i dati che ne sono emersi sono i seguenti:

Gli unici corsi di laurea in logopedia in Italia dove si parla esplicitamente di C.A.A. negli insegnamenti
sono presso le Università di Tor Vergata e quella di Modena e Reggio:

Università di Tor Vergata – Corso di Laurea in Logopedia – Corso Integrato in Scienze e Tecniche
mediche e applicate. Insegnamento: Argomenti di Comunicazione Aumentativa in età evolutiva:
valutazione, modelli di intervento e strategie di attuazione nelle disabilità comunicative. Ore : 15.
Docente: Patrizia Bombardi
 Università di Modena e Reggio-Emilia – Corso di Laurea in Logopedia – Corso Integrato : Scienze
Logopediche III. Insegnamento: Comunicazione Aumentativa Alternativa. Ore 15. Docente: Giovanni
Fronticelli
Appare quindi abbastanza evidente che la Formazione sia ancora piuttosto scarsa, specialmente se
consideriamo che il nostro collega di Boston, John Costello, riferisce di ben 150 ore di Formazione in CAA
all’interno dei Corsi Universitari.
Viene da dire che la Formazione in CAA diventa quasi doverosa.
Un altro particolare interessante che ci ha dato un’idea della diffusione e quindi dell’impiego di strumenti per
la comunicazione emerge da una ricerca che il CPLOL (Comitato Permanente di Collegamento di OrtofonistiConferenza ISAAC Italy 2005
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Logopedisti dell’Unione Europea), l’associazione delle associazioni dei logopedisti europei, ha promosso, in
occasione dell’anno europeo del disabile (2003), inviando a tutte le associazioni dei logopedisti un
questionario sullo stato dell’arte in riferimento all’uso di ausili per la comunicazione forniti a disabili adulti con
handicap acquisiti della comunicazione.
I dati interessanti che ne sono emersi sono due:
- che l’associazione dei logopedisti europei si sia occupata ufficialmente del problema e l’abbia posto
all’attenzione dei suoi associati.
- che l’Italia (e per essa i logopedisti rappresentativi della Associazione Nazionale o da essa interpellati)
ignora completamente il tema non avendo dato alcuna risposta, lasciando proprio in bianco il
questionario, riguardo l’utilizzo di qualsiasi tipo di ausilio per la comunicazione sia esso povero o
tecnologico. (tabelle alfabetiche, set o sistemi simbolici, VOCA, Light Writer, ausili software per
elaboratore, ecc.). Si può escludere che l’Italia non abbia risposto al questionario perché nella tabella
relativa alle protesi per laringectomizzati le risposte sono presenti.
Il report è facilmente reperibile su Internet (www.cplol.org ).
Ciò ci dà la misura della diffusione della C.A.A. e dei suoi strumenti attraverso dei canali ufficiali come le
Associazioni dei logopedisti.
Invece la richiesta di Informazione riguardo la C.A.A. sta aumentando; i colleghi del Veneto e dell’Emilia
Romagna organizzano corsi informativi per logopedisti già da alcuni anni e non solo nelle loro regioni;
ultimamente ne hanno tenuto uno a Palermo. Si ha, però, l’impressione che siano ancora a carattere
estemporaneo non all’interno di una sensibilità diffusa nei confronti della C.A.A.
Riporto ora alcune considerazioni che riguardano l’ambiente lavorativo, la prima è della collega di Roma sulla
correlazione tra CAA e logopedia “classica”:
“E’ tradizione ormai consolidata, in Italia, di una sostanziale differenziazione tra:
1. Logopedia intesa come intervento focalizzato all’educazione/insegnamento/abilitazione del linguaggio
verbale, nelle sue componenti relative al versante orale e scritto;
2. Logopedia intesa come intervento focalizzato allo sviluppo ed al consolidamento delle competenze
comunicative-linguistiche, in integrazione con le componenti cognitive e socio-relazionali, che
costituiscono il patrimonio della comunicazione umana.
In realtà da molti anni gli interventi logopedici diretti all’età evolutiva ma anche all’età adulta, si collocano
sempre più nella seconda ottica sopramenzionata, in una prospettiva di lavoro multimodale e
multicomponente, che integra e tiene conto fortemente degli aspetti pragmatici e funzionali della
comunicazione e della necessità di correlare obiettivi specifici con soluzioni, programmi, contesti che
consentano una partecipazione ed una interazione attiva del soggetto nei sui contesti di vita (ad esempio i
programmi della P.A.C.E.- Promoting Aphasic Communication Effective, nei soggetti afasici), attraverso una
valorizzazione di tutte le risorse comunicative a disposizione.
In riferimento inoltre alla diversità che assume il contesto esterno in un intervento logopedico classico rispetto
ad un intervento C.A.A , la collega aggiunge queste considerazioni : “mentre la stragrande fetta del lavoro in
logopedia si svolge in una stanza, dove il setting è spesso abbastanza definito e prestrutturato, nella CAA
promuoviamo l’uscita dalla stanza, alla ricerca costante di contesti naturali, opportunità vere di
comunicazione. Penso ad esempio allo spazio e al tempo che impieghiamo con le famiglie di bambini nelle
prime fasi della comunicazione, ad individuare ed allestire luoghi, spazi, consuetudini e routines nell’ambito
delle loro case prima e delle loro scuole poi….e questo effettivamente è molto lontano dall’azione di supporto
più generale e teorico che si fa in logopedia normalmente.”
La collega di Treviso sintetizza la propria esperienza professionale in ambito CAA nel seguente modo: “Le
difficoltà che incontro sono soprattutto strutturali e di équipe: non ho un ambiente adeguatamente attrezzato
per fare le valutazioni, ma uso ambulatori di volta in volta anche diversi; mi manca un minimo di ausili da
mostrare e da far provare (ogni volta lo chiedo in prestito alle Aziende di A.T.); all’interno del Servizio di
Audiologia e Foniatria collaboro solo con medici foniatri, che non hanno alcuna formazione in C.A.A., ma solo
qualche idea vaga; essendo molto rispettosi e fiduciosi della mia professionalità finiscono per delegare e così
c’è poco scambio e crescita professionale all’interno dell’équipe. Tutto quello che si sta facendo da anni non
ha alcuna veste ufficiale, va avanti finchè io avrò voglia e la forza di farlo; ho chiesto
più volte di ufficializzare la mia posizione, ma finora non ho visto niente. Le cose stanno andando meglio con i
centri diurni, dove stanno cercando di dare una veste ufficiale al mio lavoro con un progetto sulla
comunicazione”.
Conferenza ISAAC Italy 2005
Nonostante le difficoltà, in questi ultimi anni sta aumentando la sensibilizzazione per questo tipo di approccio
sia da parte di colleghi che di medici specialisti, educatori ed altri operatori dei servizi. Infatti sono sempre più
frequenti gli utenti proposti per questo tipo di consulenza, ed anche le richieste per iniziative formative sulla
CAA.
Per quanto riguarda, invece, la mia esperienza personale posso dire che a Milano e comunque in Lombardia,
inserisco anche l’Emilia Romagna per ciò che mi ha riferito il collega, permane ancora una grande difficoltà a
far emergere la sostanziale differenza tra un intervento centrato su una terapia logopedica, (senza nulla
togliere alla sua efficacia quando è rivolta ad una riabilitazione del linguaggio) e un approccio di C.A.A. che
prende invece in considerazione gli aspetti comunicativi della vita di una persona che presenta una
compromissione più o meno grave del linguaggio orale, compromissione tale da impedirgli di condurre una
vita sociale adeguata e dignitosa.
Per la C.A.A. non ci sono esercizi da imparare e da insegnare; la comunicazione non si insegna ma si fa,
partendo dalle abilità comunicative naturali proprie di ciascuno, prodigandoci per aumentarle e migliorarle e
favorendo lo svilupparsi di nuovi contesti di vita per migliorare e ampliare le sue possibilità di comunicazione e
quindi di socializzazione. E’ per questo che la C.A.A. prende in considerazione soprattutto gli ambienti di vita,
perché è lì che il bambino o l’adulto deve poter usufruire di tutte le strategie e gli strumenti di comunicazione
“poveri” e “tecnologici” che la C.A.A. gli mette a disposizione. Ecco dunque che in ambito CAA, il ruolo del
logopedista viene definito per la sua competenza a promuovere la comunicazione in tutti gli ambienti di vita,
a studiare e individuare le soluzioni e le strategie di comunicazione più adatte al paziente e più efficaci ai vari
contesti comunicativi. Da questo punto di vista è opportuno tenere presente come nell’esperienza
internazionale, in particolare nei paesi anglosassoni, lo specialista di CAA si identifichi con lo Speech
Language-Pathologist.”
Esemplifico quanto detto raccontandovi di Marika, è una bambina di 7 anni con PCI. A quattro anni aveva un
vocabolario di circa 20 parole, ma tanta voglia di comunicare, un sistema di postura inadeguato (in braccio o
nel passeggino), l’ambiente scolastico poco stimolante, un volenteroso facilitatore alla comunicazione ma non
ancora abile. In quel momento quali erano i suoi bisogni comunicativi e come avremmo potuto soddisfarli?
Necessitava di un sistema simbolico per poter comunicare, dato il suo vocabolario ancora troppo povero, una
postura corretta che le desse la possibilità di confrontarsi con gli altri in modo adeguato e che la aiutasse
anche nell’emissione della voce, perché in braccio faceva evidentemente più fatica. Poi il linguaggio nell’arco
di un anno si è sviluppato, aveva una buona proprietà di linguaggio, ma permaneva la disartria con la
conseguente difficoltà di comprensione da parte degli altri. La tabella di comunicazione serviva sempre meno
se non per le parole a lei più difficili, si doveva intervenire quindi con strategie chiarificatrici per il suo
linguaggio difficoltoso, indicare un simbolo sinonimo della parola che aveva in mente, oppure i simboli che
facevano parte della stessa categoria di quello a cui stava pensando, e così via. Intanto il suo facilitatore era
diventato molto più abile e ci riferiva le occasioni in cui Marika si era trovata particolarmente in difficoltà.
Una carrozzina aveva preso il posto del passeggino, la scuola era cambiata e Marika aveva un contesto di vita
senz’altro più stimolante e ricettivo. In prima elementare con l’inizio della scuola, anzi prima, l’intervento si è
rivolto anche agli apprendimenti, alla valutazione per l’accesso al computer, date le sue difficoltà agli arti
superiori, ricerca di software di letto-scrittura. I suoi partner comunicativi sono cambiati e aumentati, ha
cominciato ad andare alle feste di compleanno e il suo facilitatore si è accorto che lei non parlava perché il
rumore di fondo copriva la sua voce; allora abbiamo pensato insieme a lei cosa avrebbe potuto aiutarla di più:
un comunicatore con uscita in voce o una compagna scelta da lei che riportasse ai compagni ciò che voleva
dire? Ha scelto la sua compagna che è stata istruita dal facilitatore a riportare solo ciò che Marika diceva. In
altri contesti ha scelto invece l’impiego del comunicatore, come ad esempio al nostro Centro per fare un
intervento durante la Festa della C.A.A., avendo detto prima cosa voleva dire e scegliendo chi avrebbe
registrato l’intervento con la propria voce.
Adesso Marika ha frequentato la 2° elementare, scrive e legge abbastanza bene; la tabella alfabetica ha preso
il posto della tabella di comunicazione; quando gli altri non capiscono lei compone la parola o solamente
l’iniziale di essa. Qualche giorno fa mi ha detto che lei fa proprio tanta fatica a parlare specialmente quando
va a fare compere perché l’ambiente è particolarmente rumoroso, allora le ho fatto vedere e provare il Light
Writer - che è un comunicatore provvisto di una tastiera e di un display su cui compare la parola scritta in
modo che l’interlocutore la possa leggere - e le è piaciuto molto e mi ha detto “così potrò andare in un grande
magazzino e chiedere quello che voglio”.
Sonia Oldrini: [email protected]
Luciana Di Natale : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
Patrizia Bombardi: [email protected]
Carla Gagliardi [email protected]
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IL RUOLO DELLE AZIENDE
Paolo Vaccari – Auxilia s.a.s., Modena
Nel tempo a mia disposizione vi proporrò una breve riflessione attorno al tema della diffusione degli ausili
tecnologici in Italia visto dalla prospettiva particolare di una Azienda che opera nel campo della C.A.A.
Nell’ambito della Comunicazione Aumentativa ed Alternativa, in Italia le Aziende hanno in una certa misura anticipato
il mercato, ovvero è arrivata prima l’offerta delle tecnologie e degli ausili rispetto alla domanda degli operatori della
riabilitazione e della scuola. A partire dalla fine degli anni ’80 questa anticipazione è stata caratterizzata dalla
importazione dall’estero, in particolare dal nordamerica, di strumenti sviluppati a partire da modelli e prassi riabilitative
ed educative spesso profondamente diverse dalle nostre. Ma la tecnologia, come sappiamo, non è mai neutra: essa è
portatrice sempre, in qualche misura, dei valori d’uso e dei valori culturali della società che l’ha creata. L’avvento
abbastanza repentino degli ausili elettronici e informatici nella realtà italiana nel corso degli anni ’90 non è stato perciò
privo di conseguenze.
Porto qui in evidenza due effetti importanti che, fra gli altri, questa situazione mi pare abbia determinato o contribuito a
determinare:
1. la diffusione di strumenti tecnici per lo più provenienti dall’estero e non sempre adatti o facilmente
adattabili al nostro paese e , in particolare, alla nostra lingua
2. uno spostamento diffuso dell’attenzione verso le nuove tecnologie non adeguatamente sostenuto da
riflessioni critiche sui piani della riabilitazione e della educazione che ne venivano, nel frattempo,
profondamente influenzati;
Vediamo alcuni esempi dei problemi connessi con la importazione dall’estero degli strumenti.
- Nel caso degli ausili per la comunicazione vi sono funzioni che risentono profondamente delle caratteristiche
della lingua inglese, lingua che risulta essere particolarmente adatta ed efficiente nella composizione di messaggi
utilizzando il concatenamento di parole intere e simboli. L’applicazione degli stessi strumenti nella lingua italiana
risulta più limitata, meno efficiente, talvolta impossibile a causa delle caratteristiche della nostra lingua.
- Potremmo poi citare la mancanza, per parecchi anni, di una sintesi vocale di buona qualità per l’italiano che
potesse essere impiegata in ausili portatili per la comunicazione; questa assenza rendeva praticamente inutilizzabili
l’uscita in voce e talvolta poco funzionale l’ausilio che la incorporava.
- Altre considerazioni possono riguardare quei materiali per l’apprendimento che sono stati perfezionati in altri
paesi a partire dall’esperienza della classi speciali in cui si svolgono attività curricolari per lo più diverse da quella
lettura-scrittura-far di conto che costituisce ancora oggi la proposta prevalente ai bambini disabili italiani nel
momento della scolarizzazione.
- Infine, la maggior parte degli strumenti proviene da paesi nei quali si fa un uso molto più ampio delle risorse
informatiche nella scuola e nella riabilitazione e dunque sono maggiormente diffuse le competenze che ne
permettono un uso personalizzato.
Vero è che la Aziende, prima di iniziare la commercializzazione di un nuovo prodotto estero, quando è
possibile, eseguono la cosiddetta localizzazione, ovvero la traduzione in italiano di tutto quello che compone il
prodotto. Ma questa traduzione spesso non esaurisce affatto la necessità dell’operatore di un adeguamento
del materiale alle proprie esigenze operative: un esempio per tutti, i manuali dei programmi per la didattica
speciale che riportano esempi d’uso lontanissimi dalla realtà operativa delle nostre scuole.
Una curiosità, a proposito di importazione di ausili ed idee. Le prime realizzazioni di ausili elettronici per la
comunicazione e la scrittura videro la luce attorno al 1960 non negli Stati Uniti bensì in Gran Bretagna, nella
vecchia Europa dunque. Gli americani dapprima li copiarono poi li migliorarono. Si trattava di adattamenti di
macchine da scrivere elettriche che permettevano la selezione di caratteri anche a scansione. Il pioniere cui si
fa risalire la prima costruzione artigianale di questo ausilio si chiamava Reg Maling. Qualche anno più tardi,
per conto della ditta inglese Possum, Maling progettò e realizzò due nuovi ausili, un comunicatore simboli a 16
caselle e uno a 100 caselle, che permettevano la selezione di simboli grafici o parole mediante una scansione
luminosa. Queste stessi
ausili li ritroviamo ancora oggi nelle descrizioni del nostro Nomenclatore
Tariffario
proprio alle voci “Comunicatore Simbolico a 16 caselle” e “Comunicatore Simbolico a 100 Caselle”.
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Venendo ora la problema dei modelli operativi, mi sembra utile ricordare che gli ausili per la comunicazione, tranne
rarissime eccezioni, non sono nati in Italia. Dunque non sono stati ideati, prodotti né perfezionati con la
collaborazione di operatori italiani che ne potessero valutare, nel loro proprio campo operativo, funzionalità e limiti.
Potremmo dire di più: non è avvenuta qui la maturazione del bisogno, da una parte, e dunque neppure la
realizzazione tecnica, dall’altra. Tutte le soluzioni più interessanti che ho incontrato in questi anni (cito, fra tutte, i
Voca a singolo messaggio che credo tutti conosciate) sono nate da una esperienza culturale (riabilitativa e
educativa) che pone l’accento sulla partecipazione dell’individuo nei contesti della vita quotidiana e, in particolare,
sulla partecipazione comunicativa in situazioni gruppali. Non importa quanto complessa e articolata sia la possibilità
di partecipazione, ciò che importa è che l’individuo possa contribuire attivamente ed essere riconosciuto dal gruppo
sociale a cui appartiene. Evidentemente, però, non è lo stesso partecipare in un gruppo “speciale” – dove tempi,
modalità, strumenti sono pensati per favorire interazioni anche minime – e partecipare a gruppi “normali” dove è
difficile valorizzare e rendere significative partecipazioni spesso minime alle attività del gruppo.
In Italia si sta, almeno in parte, compiendo un processo inverso rispetto ai paesi di lingua inglese: dalla
tecnologia all’esperienza. In assenza di brainware – ovvero della sfera di riflessioni relative alle intenzioni e
agli scopi d’uso che giustificano e guidano l’utilizzo di un certo strumento – in primo piano è balzato
l’hardware: gli ausili fisici e le loro caratteristiche.
La domanda che tante volte ci siamo sentiti rivolgere riguardo ai Voca a singolo messaggio: “Cosa se ne fa il
bambino di un messaggio solo?” da questo punto di vista è emblematica.
Quello in corso è un processo di integrazione e appropriazione della conoscenza da parte degli operatori che,
paradossalmente, mi pare complicato proprio dalla gamma articolata di soluzioni offerte dal mercato. E’ accaduto,
infatti, che le Aziende italiane, nel tentativo di emergere nella competizione commerciale e di scoprire prodotti più
interessanti o remunerativi, abbiano moltiplicato le proprie proposte ad una velocità non sempre giustificata dalle
richieste effettive. In parte quanto è accaduto può essere considerato fisiologico: da molto tempo il commercio, in
ogni settore, tenta di svelare o addirittura suscitare nuovi bisogni per alimentare il consumo. Ma il fenomeno in
questo ambito ha prodotto forse più disorientamento che acquisti massicci di ausili e ha sostenuto, in molti casi,
una sorta di delega emendativa alla tecnologia.
Ho pensato di proporvi queste riflessioni perché nel corso degli anni mi è capitato decine e forse migliaia di volte che
mi fosse posta la stessa domanda di fondo: “Come posso usare questa tecnologia, a chi serve, a cosa serve?” e
sapete meglio di me che la risposta investe livelli di competenza articolati, analisi, processi formativi a cui non può
essere chiamato l’operatore di un’ Azienda. A questo proposito permettetemi anche un appunto critico: da un lato una
parte degli operatori considera le Aziende con un certo sospetto in relazione alle finalità istituzionali di una impresa
privata, il lucro (quanti commenti sui prezzi degli ausili considerati sempre troppo alti!); dall’altro proprio alle Aziende
viene spesso delegato l’orientamento di una domanda a cui gli specialisti faticano a rispondere. Non conto più i
contatti con utenti che esordiscono dicendo “Mi è stato detto di rivolgermi a voi per avere un comunicatore simbolico”.
Se rimane vero che il prendersi cura di una persona per gli aspetti della comunicazione impone un consistente
bagaglio di competenze professionali e umane, occorre tener conto che la Comunicazione Aumentativa ha portato
nuovi elementi e proposto un (parzialmente) nuovo punto di vista da cui guardare; questo sapere è maturato,
storicamente, in climi sociali e culturali diversi e dunque pone la sfida di un confronto e di una integrazione critica
con i saperi precedenti e con le prassi operative vigenti.
Credo che il terreno della sfida, il campo in cui affrontare quel confronto e quella integrazione - ed è probabilmente
un’ovvietà – sia il lavoro longitudinale con gli utenti. Abbiamo e avremo probabilmente sempre bisogno di Centri
Specialistici, ma oggi è più che mai necessario un impulso alla diffusione locale delle esperienze perché è dalla verifica
quotidiana nei contesti naturali di vita degli utenti che può costruirsi la conoscenza che più serve. Quella capace di
rimettere la tecnologia al posto che le compete: un posto importante certamente, ma pur sempre da comprimario.
A questo processo le Aziende, ritengo, possono offrire un contributo significativo e di utilità per tutti i soggetti
coinvolti:
- favorendo lo svolgersi delle esperienze
- dandosi regole di comportamento e tutela di utenti e operatori professionali
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Per quanto riguarda il favorire l’esperienza, vi è una grande esigenza, per il terapista, il logopedista, l’educatore
di disporre degli ausili per effettuare delle prove con uno o più utenti. La scelta di uno strumento attraverso le
pagine dei cataloghi e dei siti internet è molto rischiosa per almeno tre ragioni: (1) le immagini e i testi non
possono descrivere tutte le caratteristiche che possono rivelarsi importanti per un determinato utente, (2) l’ausilio
tecnico è solo una delle componenti della soluzione; basti pensare al posizionamento dell’ausilio stesso e agli
aspetti posturali che intervengono sempre nel caso di utenti con disabilità motoria, e (3) spesso è necessario
valutare cosa accade in un uso minimamente prolungato, vuoi per ragioni legate all’affaticamento, vuoi per aspetti
funzionali critici degli strumenti che emergono solo dopo un certo uso. Per questi motivi è essenziale che la scelta
di uno strumento sia orientata dalla prova diretta. Talvolta da una prova prolungata nell’arco di alcuni giorni e
svolta nell’ambiente di vita reale (casa, scuola, lavoro) della persona. Le Aziende possono favorire questo, attuando
una politica di prestito temporaneo degli ausili ai professionisti che ne facciano richiesta per le prove con gli utenti.
Naturalmente l’onere economico è molto consistente: per un’Azienda si tratta di “immobilizzare” capitali anche
consistenti, in relazione all’esiguità del mercato in cui si muovono, senza una produttività diretta giacchè questo
servizio deve essere reso senza alcun vincolo di acquisto e nella più completa trasparenza. In una certa misura le
Aziende possono far fronte a tale onere (e alcune già lo stanno facendo da anni), ma se questa possibilità fosse
allargata a tutti gli Enti e a tutto il territorio nazionale sarebbe necessario prevedere forme di contributo minimo,
magari attraverso sistemi convenzionali o altri sistemi tecnici da immaginare.
Sempre sulla diffusione delle esperienze, sono convinto che dalla collaborazione diretta, sul campo, con gli
operatori della riabilitazione possa migliorare anche la competenza dei tecnici che operano all’interno dell’Azienda.
Il contributo di un tecnologo talvolta è determinante, specie per la progettazione e la messa a punto di
personalizzazioni complesse. L’incontro con gli utenti, condotto e mediato dal riabilitatore, rappresenta
un’occasione preziosa per la formazione dei tecnici delle Aziende; possiamo imparare molto sugli ausili che
vendiamo, sulle persone che li usano e sugli ambienti e le condizioni di vita in cui vanno ad inserirsi. La tecnologia
non può essere scissa dagli aspetti funzionali: una automobile ha necessariamente bisogno di una persona che la
guidi per andare da qualche parte, ma anche di strade, distributori di benzina, di un codice della strada; una
automobile semisepolta nella sabbia di una spiaggia può essere un simbolo o un’opera d’arte, ma non una
tecnologia. In altri termini, credo che le Aziende, se non si muovono verso gli operatori della riabilitazione, verso gli
insegnanti e verso gli utenti stessi dei loro prodotti, corrano il rischio di rimanere esperte solo di sé stesse anziché
degli ausili di cui si occupano.
In relazione alle regole di comportamento è necessario che le Aziende si muovano sempre di più verso il fornire una
informazione promozionale degli ausili chiara e corretta: dei cataloghi ai siti internet alle manifestazione di settore, è
indispensabile che le descrizioni degli ausili e il dialogo con gli operatori e le famiglie siano improntati alla massima
correttezza, tanto nei contenuti quanto nei toni. Mettere in risalto con enfasi le qualità di un ausilio, in riferimento alla
quantità di funzioni o di cose che si possono fare, magari a discapito di un altro più semplice, può dar luogo ad una
comunicazione fuorviante: non esiste un ausilio di per sé migliore di un altro a priori, se non per gli aspetti riguardanti
la sua qualità costruttiva; esistono solo ausili che, nell’uso, possono risultare più o meno adatti, più o meno funzionali
in quel momento per una determinata persona per svolgere una determinata funzione.
L’equazione: <persona che non parla> + <ausilio di comunicazione> = <persona che comunica> è quasi sempre falsa.
Il riduzionismo alimenta attese irrealistiche e condanna fatalmente alla delusione, spendendo gli ausili a raccoglier
polvere.
Ci sono poi aspetti tecnici di importanza non inferiore nel dialogo fra specialisti, utenti, e aziende; ne cito per
brevità solo i due principali:
-
la manualistica a corredo dei prodotti la cui chiarezza e completezza può molto facilitare l’approccio agli
strumenti;
i servizi di assistenza tecnica che riguardano sia una capacità di problem solving a distanza degli operatori
delle Aziende (cosa che può evitare inutili spedizioni di materiali) e servizi celeri di riparazione, quanto mai
indispensabili per gli ausili di comunicazione.
Per concludere, desidero citare l’iniziativa denominata Assoausili che vede coinvolte dieci aziende italiane nello sforzo
comune di darsi regole di correttezza e trasparenza. Assoausili si costituisce nel Maggio dall’anno scorso dopo una lunga
gestazione. E’ la prima associazione di questo tipo a nascere in Europa. Le Aziende aderenti ad Assoausili si qualificano
per aver sottoscritto un Codice Deontologico che stabilisce norme di comportamento chiare per le attività tecniche e
commerciali. Per chi desiderasse esaminarlo, il testo completo del codice è disponibile su internet all’indirizzo
www.assoausili.it .
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ORGANIZZAZIONE DI UN CENTRO SOVRAZONALE DI COMUNICAZIONE
AUMENTATIVA
Maria Antonella Costantino*, Mario Albani°, Eleonora Bergamaschi°, Lucia Lanzini°, Mara Marini°
* IRCCS Fondazione del Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena ° Azienda Ospedaliera di Treviglio
Riassunto
Negli ultimi anni si è fatta sempre più evidente l’importanza del ruolo delle componenti organizzative, in
aggiunta a quelle professionali, nell’erogazione dei servizi sanitari. A livello internazionale, vi sono da tempo
riflessioni sull’effetto che l’organizzazione dei servizi di Comunicazione Aumentativa (CAA) ha sulla efficacia
degli interventi. In Italia lo sviluppo di veri e propri servizi di CAA è recente e ancora molto frammentario. In
età evolutiva si intreccia con la disomogenea rete di servizi di neuropsichiatria infantile o di riabilitazione
esistenti, e con il ritardo con cui la cultura organizzativa si è diffusa al loro interno.
L’obiettivo di migliorare la qualità degli interventi richiede la costante attenzione ad ottiche molteplici e a punti
di vista diversi, in un’ottica di sistema complessivo e non meramente segmentale. All’ottica individuale, che
considera il singolo utente, i suoi bisogni comunicativi ed i possibili percorsi di intervento efficaci, va
affiancata un’ottica allargata che includa non solo famiglia, scuola e territorio ma anche la mission specifica
del servizio (ad esempio, di primo, secondo o terzo livello), sua organizzazione e gestione, requisiti minimi,
risorse necessarie e gestione efficace ed efficiente delle stesse, conoscenza dei punti di forza e delle barriere
ambientali/culturali entro cui si muove l’utente, valutazione degli esiti complessivi ecc.
Gli autori descrivono i cambiamenti organizzativi che sono stati necessari per la strutturazione di un centro di
CAA di secondo livello in uno specifico territorio, e affrontano alcune riflessioni generali sul problema.
Introduzione
Il Centro Sovrazonale di Comunicazione Aumentativa di Verdello è una struttura pubblica di secondo livello,
che fa parte del Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio. Viene formalmente
istituito nel dicembre 2000, grazie ad un progetto di ricerca intervento finanziato da Fondazione Cariplo negli
anni 2001 e 2003. Dal 2004 viene attivata una partnership progettuale con la UONPIA degli “Istituti Clinici di
Perfezionamento” di Milano, successivamente confluita nella Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico,
Mangiagalli, Regina Elena di Milano.
Oltre a garantire gli interventi di Comunicazione Aumentativa necessari ai ragazzi con bisogni comunicativi
complessi del proprio territorio e a fornire consulenza e formazione mirata per altri territori che la richiedano,
il Centro ha sviluppato una specifica metodologia di intervento, definita “intervento di Comunicazione
Aumentativa integrato di territorio”, che ha la finalità di garantire la massima efficacia degli interventi ed il
miglior uso delle risorse disponibili, attraverso l’adeguata sensibilizzazione dei contesti di vita e la formazione
delle famiglie e della scuola.
Del Centro fa parte anche un servizio prestito ausili, che grazie al supporto di Fondazione Cariplo,
Associazione Futura, Ass.ne Nazionale Alpini, Ass.ne Bersaglieri, Inner Wheel di Treviglio e dell’Adda e di altre
associazioni consente la prova e il prestito temporaneo degli ausili tecnologici, eventualmente necessari per i
bambini e ragazzi seguiti.
Fino ad un recente passato, sia in Italia che nel nostro territorio solo pochi interventi di comunicazione
aumentativa riuscivano effettivamente a decollare e a mantenersi nel tempo, nonostante investimenti di
risorse per singolo bambino anche cospicui e che includevano il training individuale di coloro che avrebbero
interagito con lui. Il training sembrava essere insufficiente e spesso inefficace, e i risultati parevano a volte più
legati alle caratteristiche e alle intuizioni dei singoli che alle nozioni tecniche che venivano trasmesse.
Data la mancanza di sufficienti materiali esemplificativi, erano inoltre frequenti equivoci e fraintendimenti sulle
indicazioni date. Inoltre, la presenza di forti pregiudizi nell’ambiente nei confronti di qualcosa che “avrebbe
potuto impedire ai bambini di parlare” e “aumentato la loro pigrizia” remava fortemente contro la buona
riuscita degli interventi.
Era fondamentale trovare modalità che consentissero di spezzare pregiudizi radicati, di mettere in campo
interazioni comunicative più efficaci tra i bambini e il loro ambiente (e forse anche tra i “tecnici” e i contesti di
vita!) e di rendere gli utenti ed i loro contesti il meno dipendenti possibile dal Centro Sovrazonale garantendo
così servizi ad un maggior numero di bambini.
La ricerca di modalità innovative d’intervento in CAA dal punto di vista clinico/organizzativo appariva poi
particolarmente importante a fronte dei dati epidemiologici. Circa il 2% della popolazione italiana tra 0 e 18
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anni è disabile, ed almeno un quarto di essi presenta disturbi di comunicazione transitori o permanenti. I
lavori internazionali confermano questo dato, indicando che almeno lo 0,5 % della popolazione infantile
necessita di un intervento di Comunicazione Aumentativa (sull’intera Regione Lombardia si parla quindi di più
di 8000 bambini e ragazzi e altrettante famiglie), all’interno di diverse diagnosi (paralisi cerebrale infantile,
autismo, S. di Angelman e altre sindromi genetiche, S. di Down, ritardo mentale, disfasia grave, amiotrofia
muscolare spinale, distrofia muscolare, malattie progressive, ecc). Benché non tutti abbiano necessità di un
intervento completo e a lungo termine, l’utenza potenziale rimane decisamente consistente.
Inoltre la sproporzione tra bisogni e risorse rende ancora più cruciale la sensibilizzazione del territorio, in
un’ottica preventiva e di assunzione di responsabilità dei contesti di vita in senso lato e di ottimizzazione
dell’uso delle poche risorse a disposizione.
Le risorse necessarie per ogni intervento di Comunicazione Aumentativa sono peraltro molto consistenti
in termini di tempo/uomo, soprattutto nella fase iniziale di avvio.
Da una veloce analisi dell’utilizzo delle risorse, nell’esperienza del Centro si è evidenziato come vi siano
sostanzialmente 4 profili:
1. intervento iniziale (circa 150 ore/operatore anno; costo approssimativo 7500 euro/anno )
2. intervento di mantenimento (circa 60 ore/operatore/anno; costo approssimativo 3000 euro/anno)
3. intervento mirato per riaggiornamento (circa 100 ore/operatore/anno; costo approssimativo 5000
euro/anno )
4. intervento all’interno di un quadro di Ospedalizzazione Pediatrica a Domicilio (circa 200
ore/operatore/anno; costo approssimativo 10.000 euro/anno )
Il tempo medio per ogni prestazione effettuata è abbastanza elevato (nell’ordine delle due ore), sia per la
necessità di preparazione dei materiali necessari, che per i frequenti fuori sede, che per la contemporanea
azione di diverse figure professionali.
Non essendo stato possibile finora effettuare una ricerca formalizzata con specialisti esterni sui costi, i dati
sono parziali e manca una corretta riallocazione della quota di tempo necessaria per le attività di supporto,
che nel caso della CAA è molto elevata. Già in un servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza le
attività di supporto1 si aggirano sul 20-25 % del tempo lavorativo complessivo; nel Centro Sovrazonale di CAA
appare realistico considerare un 40% del tempo lavorativo complessivo, soprattutto nella fase iniziale.
Il progressivo spostamento dell’intervento da un piano esclusivamente diretto ed individuale con l’utente ad
un piano maggiormente indiretto, di gruppo e di sensibilizzazione dei contesti di vita ha permesso di
aumentare l’efficacia degli interventi a parità di risorse umane, e conseguentemente di seguire
un maggior numero di bambini, e consentito un risparmio anche sul versante della spesa per gli ausili,
che è risultata assai più contenuta.
Ci piace definire la metodologia che si sta venendo a strutturare nel Centro Sovrazonale di Comunicazione
Aumentativa di Verdello come “intervento di CAA integrato di territorio”.
L’ipotesi da cui siamo partiti era che per l’intervento di Comunicazione Aumentativa fosse indispensabile la partecipazione
allargata delle figure significative e del contesto di vita, pena una grave caduta sia nell’efficacia che nell’efficienza.
Molto lavoro è stato quindi speso per valutare quali potessero essere le strategie più opportune per il
coinvolgimento della famiglia e delle altre figure significative in qualità di partner attivi, alternando training
individualizzati intensivi sia in situazione che presso il Centro, momenti di gruppo, interventi con il bambino,
attività di sensibilizzazione del territorio, ecc.
Molto lavoro è stato quindi speso per valutare quali potessero essere le strategie più opportune per il
coinvolgimento della famiglia e delle altre figure significative in qualità di partner attivi, alternando training
individualizzati intensivi sia in situazione che presso il Centro, momenti di gruppo, interventi con il bambino,
attività di sensibilizzazione del territorio, ecc.
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1
Sono le attività non rivolte direttamente all’assistenza e quindi non attribuibili in modo preciso e univoco ad un singolo soggetto
(ad una “linea produttiva”), ma ugualmente indispensabili per garantire il funzionamento dell’unità organizzativa nel suo
insieme (attività finalizzate all’organizzazione del servizio, ai rapporti tra questo e l’azienda sanitaria/ospedaliera ed altri enti, alla
formazione e alla ricerca, al supporto amministrativo, alle campagne preventive ed informative, a verifica e revisione di qualità, ecc.).
Costantino M.A., Camuffo M. e Bieber G. (2002) “Proposta metodologica per la costruzione di un Glossario delle Unità Organizzative di
NPIA e delle attività correlate” Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, vol 69: 233-247
A fianco di esso, ed altrettanto intenso, è stato il lavoro per la predisposizione di un ampio ventaglio di
materiali esemplificativi che consentissero a coloro che intraprendevano il percorso formativo di “vedere“,
“toccare” e “provare”.
La metodologia di processo informativo/formativo che si è venuta strutturando è a cascata su più livelli, e a
nostro parere sta dando risultati abbastanza positivi. Come già sottolineato, la formazione rappresenta una
parte essenziale dell’intervento di CAA integrato di territorio, e non si limita solo alle persone a stretto
contatto con il bambino ma cerca di sensibilizzare i contesti di vita in senso lato alla possibile presenza di un
bambino od un ragazzo con bisogni comunicativi complessi.
Gli interventi informativi hanno allora la funzione di rompere il pregiudizio e la vergogna e di sensibilizzare la
comunità locale sull’argomento, attivando risorse informali che nel tempo divengono importanti facilitatori
della riuscita degli interventi. A questo fine vengono usate sia iniziative informative vere e proprie (serate a
tema, uscite sui media, materiali informativi ecc) che raccolte fondi, feste, iniziative, mostre, ecc.
Gli interventi formativi, più complessi e approfonditi dei precedenti, sono per chi ha direttamente a che fare con i
ragazzi (genitori, familiari, operatori, insegnanti ecc), ed hanno assunto nel tempo sempre maggiore articolazione.
Scopo degli incontri formativi è da un lato fornire una serie di informazioni necessarie per la messa in campo
degli interventi, e dall’altro garantire la possibilità di confrontarsi e vedere insieme i problemi, le strategie, le
soluzioni che sono d’aiuto alla comunicazione dei bambini, con particolare attenzione agli aspetti concreti, ai
materiali, agli strumenti, ai dubbi.
I laboratori hanno la funzione di dare ulteriori strumenti pratici riguardo a specifici aspetti della CAA e
consentire maggiore confronto e collaborazione tra i partecipanti.
Per ragioni organizzative, i laboratori consentono la frequenza di non più di 15 persone, che devono avere
prima partecipato agli incontri teorici relativi all’argomento del laboratorio.
La presenza ad alcuni degli incontri è considerata essenziale per i genitori e gli insegnanti dei bambini per i
quali è in corso o viene richiesto un intervento attivo di CAA, secondo uno specifico calendario discusso e
concordato con gli operatori referenti del caso. In particolare è richiesta la partecipazione all’incontro
introduttivo alla Comunicazione Aumentativa per coloro che si avvicinano per la prima volta alla
Comunicazione Aumentativa o nel caso di turn over degli operatori.
La partecipazione agli incontri introduttivi e ai due moduli formativi è aperta a chiunque sia interessato anche
in assenza di interventi attivi in atto (ad esempio per le famiglie in attesa del passaggio all’intervento attivo o
per quelle che non ritengono di essere in grado di mettere in campo le energie necessarie in questo
momento, per coloro che provengono da fuori zona ecc)
Negli interventi informativi messi in campo, si è cercato inoltre di evidenziare come il bagaglio di esperienze
costruitosi negli anni sui ragazzi con gravi disabilità comunicative rappresenti una grande ricchezza per coloro
che lavorano con altre tipologie di utenza, come bambini piccoli, anziani, stranieri, ecc.
Un esempio significativo di ciò è stato il convegno su “Leggere e narrare ai bambini, perché?”, all’interno del
quale sono state presentate le modifiche necessarie a diverse tipologie di disabili (tra cui coloro che hanno
bisogni comunicativi complessi) per poter accedere al piacere della lettura condivisa. Al termine del Convegno,
il Comune di Verdello e la Biblioteca Civica hanno offerto la possibilità di dedicare una sezione a materiali
informativi e libri modificati per bambini con diverse disabilità, tra cui le difficoltà di comunicazione, e di
rendere tale sezione un “punto di riferimento” per una parte della provincia.
Il secondo aspetto su cui ci siamo trovati a dover riflettere è stato quello relativo al modello di intervento
attivo di maggiore efficacia, ed in particolare ai “prerequisiti” dell’intervento. Data la limitatezza delle risorse a
disposizione, era infatti fondamentale definire dei precisi criteri per l’accesso dei bambini e delle
famiglie alla fase attiva dell’intervento di CAA presso il Centro Sovrazonale.
La necessità di limiti non era relativa alla situazione clinica del soggetto (non vi è cioè un limite di gravità al di
sotto del quale non è opportuno intervenire, se si eccettua il coma) ma alla situazione ambientale e alla
disponibilità ad assumersi gradualmente l’intervento da parte dei contesti di vita.
Non si tratta quindi di limiti in negativo (non ci sono utenti “rifiutati”) ma di passaggi che sono richiesti per
sviluppare una maggiore consapevolezza e far giungere operatori, familiari e insegnanti alla fase attiva
dell’intervento con le maggiori probabilità di successo (si vedano le procedure in allegato). Non possono
passare alla fase attiva nuovi candidati i cui genitori e insegnanti non partecipino agli interventi formativi
mensili, né rispetto ai quali manchi l’adesione del servizio riabilitativo di riferimento.
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L’esperienza ha infatti mostrato che non solo hanno un rischio di fallimento elevatissimo, ma la parvenza di
intervento può diventare controproducente per il futuro, creando aspettative deluse e bruciando le effettive
possibilità di intervento con l’idea di avere “provato” ma che “non c’è stato niente da fare neanche lì”.
La metodologia di intervento di CAA integrato di territorio si compone quindi di:
1. formazione nei confronti dei contesti di vita (del singolo bambino, ma anche del territorio nel suo
insieme)
2. intervento diretto con il bambino (per gli utenti del territorio di riferimento)
a. valutazione e consulenza
b. intervento formativo intensivo in situazione
c. prova e prestito ausili
d. prescrizione ausili secondo DM 332/99
e. supporto per l’acquisto di materiali non forniti dal Sistema Sanitario Nazionale
 valutazione e consulenza
Il momento della valutazione e della consulenza rappresenta un passaggio di fondamentale importanza,
poiché è messo in atto con la presenza di un consistente numero di figure significative per la vita del
bambino, tra le quali vi sono coloro che meglio lo conoscono e meglio possono mostrare i suoi punti di forza.
(si tratta di un aspetto cruciale del modello integrato di territorio, che è un modello “con” la famiglia e non
“sul” bambino, ed è definito a livello internazionale “modello partecipato” (Beukelman 1998).
La valutazione viene sempre videoregistrata e avviene con alcune persone presenti nella stanza con il
bambino (i genitori, almeno un operatore del Centro Sovrazonale di CAA, altre persone particolarmente
significative) ed altre dietro lo specchio unidirezionale. Prima dell’avvio della valutazione, con i genitori si
analizzano le aspettative, i bisogni, le preferenze in modo da meglio calibrare valutazione e intervento sulle
effettive necessità e richieste della famiglia.
L’intervento di valutazione e consulenza è possibile anche per coloro che sono inviati su indicazione dei servizi
di NPIA di riferimento, purchè vi sia la garanzia di un operatore formato in CAA responsabile della messa in
pratica dell’intervento.
 intervento formativo intensivo in situazione
Si tratta di interventi mirati, effettuati presso il domicilio dell’utente, a scuola o presso il servizio di NPI, in cicli
intensivi della durata di circa 15 giorni, a frequenza molto ravvicinata, spesso di lunga durata, con lo scopo di
trasmettere competenze proprio mentre ve ne è la necessità ed avviene l’uso degli strumenti (“in situazione”),
e di effettuare un intervento di modeling nei contesti di vita. Possono ripetersi a distanza di tempo; in alcuni
casi possono essere in presenza del bambino, in altri sono mirati esclusivamente al contesto di vita (ad
esempio visite domiciliari in cui immaginare insieme alla famiglia la riorganizzazione degli spazi per facilitare il
bambino, o definire “l’etichettatura” del contesto di vita). Unitamente agli altri interventi formativi, sembrano
essere stati di grande efficacia per la positiva riuscita degli interventi nei bambini.
Sono possibili solo in bambini passati alla fase attiva dell’intervento.
 prova e prestito temporaneo ausili (VOCA, ausili di controllo ambientale, sensori,
programmi etc)
Una delle funzioni del prestito è di consentire per un tempo adeguato (circa 1 mese) la prova “sul campo”
dell’ausilio e la conseguente valutazione dell’opportunità di procedere o meno all’acquisto.
Inoltre è frequente che un bambino possa iniziare con un comunicatore in voce a un messaggio o pochi
messaggi, e nel giro di pochi mesi possa necessitare invece di un ausilio più potente, che consenta di
utilizzare 32 o 40 messaggi su più livelli. In questo caso sarebbe assurdo procurare un ausilio solo per pochi
mesi, e trovarsi poi bloccati nella possibilità di prescriverne uno più adeguato.
Al momento attuale, il problema principale che stiamo cercando di affrontare riguarda i tempi di prestito, che
per alcuni ausili risultano eccessivi, aumentando l’attesa per altri utenti.
Si sono differenziati quattro tipi di prestito:
1. prestiti a breve termine (15-30 gg): prestiti di ausili per i quali è necessario e sufficiente un breve
periodo di prova, al termine del quale possono essere acquistati direttamente per il tramite dell’ufficio
invalidi, della famiglia o del reperimento di fondi esterni
2. prestiti a medio termine (1-6 mesi): prestiti di ausili per i quali dopo la prova è necessario un periodo
di uso prolungato in attesa di passare ad un ausilio più evoluto, che a quel punto potrà essere
Conferenza ISAAC Italy 2005
21
acquistato direttamente come sopra; proseguimenti di prestiti di tipo 1 in attesa dell’arrivo dell’ausilio
acquistato direttamente
3. prestiti a lungo termine (> 6 mesi, a volte anche > 12-18 mesi): prestiti di ausili per i quali non è
prevedibile con sicurezza il passaggio ad un ausilio più evoluto, o lo è nel lungo periodo, o rispetto ai quali
vi sono difficoltà nel supporto all’uso e/o elevato rischio di progressivo accantonamento e spreco di risorse
4. prestiti a tempo indeterminato per ausili non acquistabili tramite il SSN né dalla famiglia
Il percorso di strutturazione di adeguate procedure per il prestito alla luce dell’esperienza accumulata è stato
importante, ed è in qualche modo riassunto nel modulo di prestito che è stato strutturato. Trattandosi di
materiali forniti da un servizio pubblico e prestati a titolo gratuito, vi era il rischio di una svalorizzazione e di
una insufficiente attenzione. Era quindi essenziale trovare modalità che facilitassero l’utenza ad essere
consapevole del valore dei materiali non solo in senso economico ma come patrimonio comune dei bambini,
dei ragazzi e delle famiglie che ne avessero necessità.
L’esplicitazione sul modulo del valore indicativo degli ausili prestati e del vincolo di restituzione in buono stato
sono state particolarmente utili a questo riguardo.
 supporto per l’acquisto di materiali non forniti dal Sistema Sanitario Nazionale
Nel caso di materiali non prescrivibili attraverso il Nomenclatore Tariffario Nazionale (ausili per il controllo
ambientale, ausilio ad uscita in voce aggiuntivo dopo il primo, software, computer portatili o fissi, sistemi di
fissaggio o montaggio ecc), dopo aver esplorato altre possibilità di acquisto o rimborso con fondi pubblici
(legge regionale per gli ausili tecnologici) si cerca la disponibilità di fonti alternative di finanziamento, come
contributi da Istituti di Credito della zona, Associazione Nazionale Alpini o altre associazioni non profit ecc.
Fino ad un recentissimo passato, l’accesso alle fonti di finanziamento veniva organizzato direttamente per le famiglie.
Oggi, pur inoltrando una richiesta mirata per il singolo ragazzo, preferiamo far sì che la proprietà dell’ausilio donato
non sia alla famiglie ma al Centro Sovrazonale di CAA che lo presta a tempo indeterminato all’utente.
In questo modo viene garantita la possibilità di recuperare l’ausilio e riutilizzarlo nel caso non serva più o venga
progressivamente accantonato.
Esiti
In seguito alla riorganizzazione degli interventi, va segnalato come sia il numero degli interventi che la loro
evoluzione siano molto migliorati rispetto agli anni precedenti, grazie alle modificazioni clinico-organizzative messe
in atto. Si è inoltre nettamente abbassata l’età in cui viene effettuata la richiesta, passando dagli 8-10
anni iniziali ai 3-4 attuali (le ultime segnalazioni ricevute erano al di sotto dei tre anni), ed anche questo è da
considerare un segnale estremamente positivo e di profondo cambiamento culturale. In aggiunta a questo, l’ambito
si sta aprendo anche all’utilizzo della “scrittura in simboli” e della “lettura in simboli” per ragazzini che hanno
sviluppato un linguaggio, ma non sufficientemente ampio e adeguato e che non riescono ad accedere alla lettura e
scrittura alfabetica. Da dati preliminari, questo tipo di intervento sembra avere un impatto positivo anche sulla
strutturazione della frase e l’allargamento del vocabolario verbale.
Anche i questionari di soddisfazione relativi ai gruppi di formazione per insegnanti, genitori e operatori (di cui
si allega copia delle sintesi) hanno risultati complessivamente assai positivi.
Nel caso dei genitori, vi è stata un’unica domanda rispetto alla quale un genitore abbia risposto di no
(“ritenete di avere avuto modo di confrontarvi in modo utile con gli altri genitori”), benché la risposta fosse
invece positiva relativamente alla possibilità di partecipare attivamente al gruppo.
In tutte le altre domande le risposte si sono divise tra “si” (tra 55 e 85%) e “abbastanza” (tra 15 e 46 %), con
nessun “poco” o “no”. La percentuale di “si” è stata nettamente superiore a quella dell’anno precedente (nel
quale era tra 14 e 71%). Benchè la maggior parte dei genitori confermassero di non aver mai sentito parlare
di comunicazione aumentativa prima che il referente del bambino affrontasse l’argomento, è interessante
notare che soltanto un terzo circa riteneva che si trattasse di un intervento “da limitare solo a chi non avrebbe
mai potuto usare il linguaggio verbale”.
Per quanto riguarda gli insegnanti, tra il 33 e l’81 % delle risposte erano nell’ambito di “si”, e tra 14 e 62 %
“abbastanza”, per un complesso di risposte positive compreso tra l’86 e il 95 %.
Per quanto riguarda gli operatori, tra il 50 e l’88 % delle risposte erano nell’ambito di “si”, e tra 13 e 50 %
“abbastanza”, per un complesso di risposte positive compreso tra l’87 e il 93 %.
Non vi è stata nessuna risposta completamente negativa ( “no” ) né tra gli insegnanti né tra gli operatori.
Antonella Costantino : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
22
LA CAA DAL PUNTO DI VISTA DEI PROFESSIONISTI SANITARI: FONIATRI, FISIATRI,
NEUROPSICHIATRI INFANTILI, LOGOPEDISTI, FISIOTERAPISTI
Antonio Schindler*, Elena Favero**, Elena Grosso**, Rossella Muò**
*II Clinica ORL, Università degli Studi di Milano;** S.C.U. Audiologia – Foniatria, Università degli Studi di Torino
Introduzione
La CAA è l’approccio preferibile per le persone con complessi bisogni comunicativi (CBC). I miglioramenti
tecnologici, il progressivo sviluppo del mondo della riabilitazione all’interno della sanità, unitamente ai
progressi della pratica medica e chirurgica con il relativo aumento dei soggetti con CBC, costituiscono alcuni
fattori che hanno contribuito alla diffusione della CAA nel mondo e in Italia. Lo sviluppo della CAA è
testimoniato dall’evoluzione della sua produzione scientifica, che si sta progressivamente, anche se
lentamente, spostando dalla descrizione di casi singoli alla ricerca di evidenze scientifiche, seguendo i dettami
della medicina basata sulle evidenze (Iacono 2004; Schlosser et al, 2005); parallelamente nasce la necessità
di organizzare i servizi di CAA in modo appropriato, potendo contare su personale appositamente formato.
E’ generalmente accettato che l’organizzazione dei servizi di CAA debba avvenire in team; ai team
appartengono professionisti diversi, con competenze diverse, ma con un’insieme di conoscenze condiviso sulla
CAA, in modo da poter collaborare per il raggiungimento di un fine unico e condiviso: il miglioramento della
attività e della partecipazione alla comunicazione della persona con CBC. Diversi professionisti sanitari hanno
in cura persone con CBC: medici (foniatri, fisiatri, neuropsichiatri) e riabilitatori (logopedisti, fisioterapisti e
terapisti occupazionali). Ci sono d’altro canto, anche figure professionali non in ambito sanitario che sono in
stretto contatto con tali persone, in particolare psicologi, assistenti sociali, personale scolastico ed educatori.
L’organizzazione dei servizi per la CAA prevede da una lato di conoscere quali sono le richieste nella
popolazione generale, dall’altro di sapere quanti sono i professionisti formati per poter gestire persone con
CBC. Un aspetto importante da considerare e conoscere è quindi il numero, le caratteristiche e i bisogni di
queste persone con difficoltà comunicative. Secondo dati di letteratura, la percentuale di persone con CBC è
compresa tra lo 0.6% e lo 0.07% della popolazione generale (Matas et al., 1985; Brophy-Arnott et al., 1992).
In realtà esistono differenze maggiori a seconda del Paese considerato e differenze nella terminologia
utilizzata, nella popolazione analizzata e nella modalità di raccogliere i dati; tutti questi sono fattori che
possono contribuire ad aumentare tale divario (Sutherland et al, 2005). Per quanto riguarda invece il grado di
formazione e l’organizzazione dei servizi per persone con CBC i dati variano da paese a paese in relazione
all’organizzazione sanitaria e alla formazione universitaria dei diversi operatori. In Italia la CAA ha avuto un
certo grado di diffusione solo negli ultimi 10-15 anni, con enormi differenze da regione a regione; in modo
particolare non è noto come i professionisti sanitari vengono formati sulla CAA e come sono organizzati i
servizi per CBC.
Scopo
In Italia la CAA ha avuto sviluppo solo negli ultimi anni e diversi professionisti del settore hanno conoscenze
limitate sull’argomento, vista anche l’assenza di corsi sulla CAA nel curriculum formativo formale di queste
professioni.
Scopo del presente studio è stato indagare il livello di conoscenza sulla CAA tra i professionisti che vengono a
contatto con persone con barriere alla comunicazione.
Materiali e metodi
Al fine di osservare il modo in cui è conosciuta e considerata la CAA dai diversi professionisti sanitari, è stato
elaborato un questionario e quindi inviato ai diversi professionisti. Oltre ad alcuni dati anagrafici (età, sede di
lavoro, tipologia di pazienti), sono stati presi in considerazione i seguenti punti: cosa si intende per CBC, per
CAA, per quali patologie può essere prevista, con quali obiettivi, attraverso quali strumenti. Si chiedeva inoltre
qual era la percentuale di pazienti in trattamento al momento del questionario che seguivano un approccio
CAA. E’ riportato in appendice il questionario così com’è stato formulato e consegnato.
I soggetti coinvolti nello studio sono stati 168, di cui: 78 logopedisti (età media 33 anni, se esclusi gli
studenti); 40 fisioterapisti (età media 32 anni); 15 fisiatri (età media 43 anni); 20 audio-foniatri (età media 35
anni); 15 neuropsichiatri infantili (età media 45 anni). Dei 78 logopedisti intervistati 33 erano studenti dei
corsi di laurea in Logopedia; a 19 di questi il questionario è stato presentato prima di un breve corso
introduttivo di 4 lezioni sulla CAA e ripresentato al suo termine. I risultati vengono riportati in valore
percentuale per ogni domanda per ogni singola categoria professionale; parallelamente vengono riportati i
valori percentuali degli studenti del corso di laurea in logopedia prima e dopo le lezioni sulla CAA.
Conferenza ISAAC Italy 2005
23
Considerata l’esiguità delle risposte e soprattutto la limitazione geografica della raccolta dei dati (4 regioni),
quanto riportato non può essere considerato specchio fedele della realtà italiana; tuttavia alcune
considerazioni relative alla formazione sulla CAA e all’organizzazione dei servizi di CAA possono essere
applicabili alla stragrande maggioranza del territorio nazionale.
Risultati
Vengono di seguito riportate le risposte al questionario sopracitato; esse possono essere prese in
considerazione per una riflessione sul livello di informazione delle persone coinvolte nello studio. I risultati
sono espressi in valori percentuali.
1. Cosa intende per persona con complessi bisogni comunicativi?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
a
8
8
0
0
b
80
70
90
100
c
4
12
0
0
d
0
3
0
0
e
8
2
10
0
f
0
5
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
b
70
80
65
e
10
0
15
f
20
20
20
La maggioranza dei terapisti (con percentuali intorno al 70-80%) e dei medici specialisti intervistati ha dato la
risposta b, ovvero “ una persona che non è in grado di scambiare informazioni con altri” . Si osserva come
dopo un breve corso introduttivo sulla CAA la totalità degli studenti di logopedia ha acquisito il concetto di
CBC.
2. Ha mai sentito parlare di CAA (comunicazione aumentativa e alternativa)?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
si
96
6
qualche volta
4
42
mai
0
47
non so
0
5
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
0
100
100
0
0
0
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
si
65
100
70
Qualche volta
15
0
20
mai
20
0
10
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24
Da questa domanda emerge una differenza importante tra logopedisti e fisioterapisti, in quanto i primi hanno
risposto quasi nel 100% dei casi di aver già sentito parlare di CAA, mentre la maggior parte dei fisioterapisti
ha affermato di averne sentito notizia qualche volta o mai. Questo dato fa riflettere sul fatto che nei corsi,
convegni e nel corso di studi del personale sanitario l’argomento CAA è ignorato e omesso nella maggior parte
dei casi.
Nel caso dei medici, la totalità dei foniatri ha sostenuto di conoscere l’argomento così come la stragrande
maggioranza di neuropsichiatri infantili e fisiatri.
3. In che contesto ha avuto informazioni sulla CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
studi
44
17
58
100
convegni
36
14
6
0
congressi
8
0
0
0
libri
12
9
0
0
libri non lavorativi
0
10
36
0
non risposto
0
50
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
studi
55
75
60
convegni
25
25
30
TV
20
0
10
Da questa risposta emerge che solo il 44% dei logopedisti intervistati ha affermato di aver ricevuto una
formazione specifica sulla CAA durante il corso di studi, mentre una percentuale sovrapponibile di persone ha
detto di esserne stata edotta durante convegni o tramite la lettura di libri sull’argomento; nel caso dei
fisioterapisti, la maggior parte non ha dato risposta, il che sta probabilmente a indicare la scarsa conoscenza
dell’argomento e conferma la risposta alla domanda precedente.
Nel caso dei medici si osserva che solo i foniatri hanno risposto nel 75% dei casi di aver ricevuto informazioni
sulla CAA durante il corso di studi, mentre una percentuale intorno al 30% delle altre figure professionali ne
ha sentito parlare in sede di convegni.
4. Nel suo corso di studi professionali, ha mai ricevuto lezioni formali sulla CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
si
52
3
0
80
no
40
83
100
0
cenni
8
0
0
20
non risp
0
14
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
no
70
60
65
cenni
30
40
35
si
0
0
0
Conferenza ISAAC Italy 2005
25
Analizzando questa risposta, si può nuovamente dedurre come solo la metà dei logopedisti che hanno risposto
al questionario abbia ricevuto lezioni formali sulla CAA durante il corso di laurea, mentre l’80% dei
fisioterapisti abbia risposto di non averne mai ricevute.
Nel caso dei medici, pare invece che più del 60% di foniatri, NPI e fisioterapisti non abbia trattato l’argomento
nel corso di studi, quindi neanche nel corso della scuola di specializzazione.
Questo dato sta a indicare che il corso di studi dei riabilitatori, sia nel caso dei terapisti che dei medici, non
comprende delle lezioni formali sulla CAA.
5. Cosa intende per CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
a
8
12
0
0
b
8
8
66
28
c
84
25
34
72
non risposto
0
55
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
a
10
10
15
b
20
10
15
c
70
80
70
La maggior parte di logopedisti e più del 70% dei medici ha dato la risposta c, ovvero “un sistema che
permetta a una persona di comunicare nel modo più efficiente”, che rappresenta una corretta accezione della
CAA, mentre nel caso dei fisioterapisti, più della metà non ha scelto nessuna risposta. Per gli studenti del
corso di laurea in logopedia, le poche di ore di insegnamento ricevuto hanno consentito di chiarire il concetto
base della CAA.
6. A quali quadri patologici è applicabile la CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
d
0
3
0
0
e
96
75
74
96
non risposto
4
22
26
4
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
a
20
5
10
b
20
5
40
e
60
90
50
Anche a questo quesito una porzione significativa dei fisioterapisti non ha dato risposta. Un’introduzione
generica sulla CAA ha permesso di chiarire il concetto agli studenti di logopedia. La maggioranza dei terapisti,
dei foniatri e dei fisiatri ha scelto la risposta e, cioè “ai quadri con grave difficoltà a scambiare messaggi” che
è l’interpretazione corretta di questo approccio comunicativo; non esistono infatti delle patologie di ordine
neurologico che siano “più adatte” al suo utilizzo e altre che risultino essere meno indicate. Il vero obiettivo
Conferenza ISAAC Italy 2005
26
della CAA è infatti quello suddetto, cioè favorire gli scambi comunicativi delle persone con complessi bisogni
comunicativi e in questo senso, qualsiasi individuo abbia gravi difficoltà nella comunicazione può essere un
candidato per la CAA. Esistono ovviamente criteri per selezionare con quali utenti si possa intraprendere un percorso in
questa direzione, ma il criterio di discriminazione non è rappresentato dalla patologia da cui sono affetti.
Nel caso dei fisiatri un’alta percentuale, pari al 60%, ha sostenuto che la CAA sia applicabile solo ai soggetti
che hanno subito traumatismi cranici. Verosimilmente tale affermazione è sostenuta dal fatto che nella loro
pratica clinica abbiano visto utilizzare la CAA soprattutto dai pazienti con esiti di trauma cranico.
7. Quali sono gli obiettivi della CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
Studenti (pre)
(n = 19)
Studenti (post)
(n = 19)
c
0
0
24
0
d
0
3
0
0
e
100
75
76
100
non risposto
0
22
0
0
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
b
20
10
15
e
80
90
85
La totalità dei logopedisti e più dell’80% dei medici intervistati ha dato la risposta e, cioè “ consentire uno
scambio comunicativo il più efficiente possibile”; il 75% dei fisioterapisti ha dato la suddetta risposta, mentre
la restante parte non ha dato nessuna risposta. Particolarmente interessante il dato riportato dagli studenti
prima del corso informativo – esercitare un utente a comunicare – che riflette l’errata tendenza di alcuni
riabilitatori a concentrarsi su una singola funzione, senza tener conto la vita quotidiana del proprio paziente.
8. Quali strumenti utilizza nella pratica CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
a
4
0
b
0
3
c
8
0
d
80
25
non risposto
8
72
NPI (n = 15)
Foniatri (n = 20)
Fisiatri (n = 15)
b
10
10
20
c
30
10
20
d
60
80
60
La maggior parte dei logopedisti e dei foniatri ha scelto la risposta più corretta, ovvero la d, “ tutti quelli
necessari” ;è importante infatti nell’utilizzo della CAA, servirsi di tutti i mezzi che possono facilitare o
incrementare le potenzialità comunicative della persona con CBC e non pensare solo agli ausili più tecnologici
o computerizzati; la scelta va fatta singolarmente per ogni caso e non può esserci una modalità universale per
tutti gli utenti. Fondamentale è pensare all’obiettivo che ci si pone e per questo andare ad utilizzare tutto ciò
che può aiutare a raggiungere quel dato scopo.
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27
Nel caso dei fisioterapisti, la maggior parte non ha dato risposta. I neuropsichiatri infantili e i fisiatri hanno nel
60% dei casi scelto la risposta d, mentre in una percentuale intorno al 20-30% hanno detto di utilizzare tavole
comunicative e computer, limitando quindi la pluralità di strumenti disponibili.
9. Qual è la percentuale di pazienti con cui utilizza un approccio CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
< 15
56
22
15-30
40
19
30-60
8
4
non risposto
32
55
In questo caso si può osservare come la maggior parte dei terapisti che hanno risposto alla domanda, abbia
sostenuto di utilizzare la CAA con una bassissima percentuale di pazienti, inferiore al 15%. Anche nel caso dei
medici, la totalità ha risposto di utilizzare la CAA con meno del 15% dei pazienti che segue.
Questo dato induce a riflettere sul motivo e lo si può forse ritrovare in tutte le risposte precedenti, in quanto
le conoscenze sull’argomento sembrano essere limitate e, anche quando esistano, probabilmente ci si ferma a
conoscenze teoriche, troppo poco frequentemente applicate poi alla pratica clinica.
10. Che disturbo hanno i pazienti che segue con approccio CAA?
Logopedisti
(n =78)
Fisioterapisti
(n = 40)
a
32
12
b
32
11
c
4
0
d
4
0
e
4
5
non so
24
72
NPI
Foniatri
Fisiatri
a
10
0
15
b
0
20
0
c
0
20
20
d
20
0
0
e
30
0
0
La maggior parte dei fisioterapisti non ha saputo rispondere e questo è molto probabilmente dovuto a quanto
è emerso dalle risposte precedenti, cioè o per mancanza di conoscenze sull’argomento o per la poca
possibilità di utilizzarle tale approccio nella pratica clinica. Nel caso dei logopedisti che hanno dato risposta a
questa domanda, i disturbi in cui sembra essere utilizzata sono perlopiù di natura linguistica o articolatoria.
Nel caso dei medici si può osservare una certa variabilità a seconda della specializzazione presa in
considerazione. Infatti sembra che i NPI utilizzino la CAA perlopiù in caso di disturbi di tipo linguistico,
articolatorio e soprattutto nei pazienti con disturbi relazionali, come per esempio con soggetti autistici; i
foniatri sostengono di utilizzarla prevalentemente con soggetti con disturbi di tipo linguistico e intellettivo; i
fisiatri in caso di disturbo articolatorio e intellettivo. Questa disparità può in parte essere giustificata dalle
differenti tipologie di pazienti con cui i medici delle diverse specializzazioni vengono a contatto, ma forse
anche dalla scarsità di preparazione teorico-pratica sull’argomento, come dimostrato dalle precedenti risposte.
Conferenza ISAAC Italy 2005
28
Discussione
Le risposte al questionario proposto mettono in evidenza come la maggior parte dei riabilitatori e la totalità
dei medici specialisti non abbiano ricevuto, durante il corso di studi, lezioni formali teorico-pratiche specifiche
sulla CAA e che nella maggior parte dei casi la percentuale di pazienti seguiti con cui viene utilizzato questo
approccio sia inferiore al 15% della totalità. Ciononostante la maggior parte delle persone intervistate ha
mostrato di avere un’idea relativamente precisa di cosa sia la CAA; una percentuale piccola di operatori,
invece, esprime pareri che mostrano chiaramente come i principi della CAA, il suo approccio e la sua finalità
siano completamente ignoti o distorti. Particolarmente interessante è la documentazione relativa agli effetti
dell’esposizione a un breve corso informativo. Un altro dato che è emerso inoltre è che esiste una certa
confusione in tale ambito e spesso si tende a vedere questo approccio comunicativo più come un ausilio da
prescrivere al paziente che come un’effettiva modalità per facilitare lo scambio comunicativo dei soggetti con
complessi bisogni comunicativi.
Si possono dedurre due importanti informazioni dall’analisi delle risposte al questionario: 1) nella pratica
lavorativa di molti operatori esiste una piccola ma significativa percentuale di pazienti con CBC, tanto da
indurre molti operatori ad aggiornarsi e informarsi sulle possibilità offerte dalla CAA; 2) l’approccio CAA
sembra coinvolgere tanti operatori per una percentuale ridotta del loro tempo, come se la CAA facesse parte
di una possibilità riabilitativa di ogni servizio, ma non esistessero strutture ad essa dedicata. Le conseguenze
di questa analisi sono ugualmente due: da un lato l’evidente necessità di inserire nei corsi di laurea e di
specialità insegnamenti specifici sulla CAA; dall’altro la necessità di organizzare la CAA in servizi ad essa
appositamente dedicata. E’ infatti opinione degli autori, che la CAA rappresenti un’area della pratica clinica in
cui l’esperienza svolge un ruolo assolutamente preminente e che richieda strutture ad essa specificatamente
dedicate, vista la necessità di una formazione specifica nel periodo post-laurea e post-specialità, oltrechè la
disponibilità di una serie di ausili ad alta e bassa tecnologia che solo in strutture appositamente dedicate è
possibile mantenere a disposizione.
Il sondaggio effettuato, per quanto fornisca un’immagine preliminare della situazione italiana, evidenzia due
importanti carenze nel settore: 1) la formazione; 2) l’organizzazione dei servizi. Sul primo punto si ricorda
come sia l’Università, sia le Società Scientifiche Nazionali mostrino un ritardo culturale importante; è
auspicabile che per quanto riguarda l’Università si percorra una duplice strada comprendente da una parte la
diffusione di nozioni base all’interno dei corsi di laurea e di specialità, dall’altra l’istituzione di corsi di
perfezionamento o di Master specifici sulla CAA. Sebbene infatti siano attualmente disponibili servizi
informatici per la formazione degli operatori (Lebel et al, 2005), altre strade sembrano preferibilmente da
percorrere (Patel et al, 2005). Il ritardo mostrato dal mondo accademico e scientifico ufficiale è ancora più
grave per alcune professioni, come quella logopedica, che in altre parti del mondo ufficialmente dichiarano
che la creazione e la fornitura dei servizi di CAA rientra negli scopi della pratica dei logopedisti (ASHA, 1991).
L’altro importante problema riguarda l’organizzazione dei servizi; non sembra che attualmente siano diffusi sul
territorio nazionale centri appositamente dedicati alla CAA, cosa che riflette la strutturazione del Sistema
Sanitario Nazionale più in base alla patologie presenti, anziché sulle necessità dei pazienti. Per fare un
esempio è facile trovare in diverse regioni centri dedicati alla riabilitazione dei traumi cranici, mentre è
difficilissimo reperire strutture in grado di migliorare i CBC negli esiti dei traumi cranici. E’ auspicabile che le
Società Scientifiche, così come Isaac Italy, supportati dalla letteratura internazionale, dalle evidenze
scientifiche e, possibilmente, da un bilancio socio-economico positivo, inducano un processo di cambiamento
in tal senso.
Conclusioni
Da quanto emerso dallo studio si evidenzia che la maggior parte delle figure professionali coinvolte nello
studio viene a contatto con una percentuale inferiore al 15% di persone con CBC. I risultati possono essere
considerati un punto di discussione per la promozione della CAA in Italia. In particolare si sottolinea la
necessità che la CAA venga inserita come insegnamento nei corsi di laurea delle professioni principalmente
coinvolte nell’utilizzo di questo approccio.
Antonio Schindler : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
29
Bibliografia
ASHA (American Speech-Language-Hearing Association: Position statement on non-speech communication.
ASHA 1981; 23: 577-581.
Brophy-Arnott MB, Newell AF, Arnott JL, Condie D. A survey of the communication-impaired population of
Tayside. European Journal of Disorders of Communication 1992; 27: 159-173.
Iacono T. The evidence base for augmentative and alternative communication. In: Reilly S, Douglas J, Oates J
(eds). Evidence based practice in Speech Pathology. London, Whurr, 2004.
Lebel T, Olshtain E, Weiss PL. Teaching teachers about Augmentative and Alternative Communication:
opportunities and challenges of a web-base course. Augmentative and Alternative Communication 2005; 21:
264-277.
Matas J, Mathy-Laikko P, Beukelman DR, Legresley K. Identifing the nonspeaking population: A demographic
study. Augmentative and Alternative Communication 1985; 11: 26-36.
Patel R, Khamis-Dakwar K. An AAC training program for special education teachers: a case study of
palestinian arab teachers in Israel. Augmentative and Alternative Communication 2005; 21: 205-217.
Schlosser RW, Wendt O, Angermeier KL, Shetty M. Searching for evidence in Augmentative and Alternative
Communication: navigating a scattered literature. Augmentative and Alternative Communication 2005; 21:
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Sutherland DE, Gillon GG, Yoder DE. AAC Use and Service Provision: A Survey of New Zealand SpeechLanguage Therapists. Augmentative and Alternative Communication 2005; 21: 295-307.
*************************************
QUESTIONARIO INFORMATIVO SULLE CAA NELLE PROFESSIONI SANITARIE IN ITALIA
Professione: logopedista []
Nome (iniziale):
fisioterapista []
fisiatra []
foniatra []
NPI []
Cognome (iniziale):
Età (in anni):
Città in cui si svolge l’attività professionale (provincia):
Struttura in cui si svolge la professione:
ambulatorio []
centro di riabilitazione []
ospedale []
scuola []
altro []
1. Cosa intende per persona con complessi bisogni comunicativi?
a. una persona con un grave disturbo del linguaggio
b. una persona che non è in grado di scambiare informazioni con altri
c. una persona con un linguaggio non intelligibile
d. una persona che non può parlare
e. una persona che deve trasmettere messaggi complessi
f. altro …
2. Ha mai sentito parlare di CAA (comunicazione aumentativa e alternativa)?
Sì []
Qualche volta [] Mai []
3. In che contesto ha avuto informazioni sulla CAA?
nel corso di studi []
a congressi della mia società professionale []a convegni a cui ho partecipato []
leggendo libri/riviste di lavoro[]
leggendo libri/riviste non di lavoro[]
alla TV[] altro []
4. Nel suo corso di studi professionali ha ricevuto delle lezioni formali sulla CAA?
No []
Conferenza ISAAC Italy 2005
Accenni []
Sì []
30
5. Cosa intende per CAA?
a. l’impiego di ausilii tecnologici per comunicare
b. l’impiego di tavole comunicative
c. un sistema che permetta a una persona di comunicare nel modo più efficiente
d. l’utilizzo di software riabilitativi in soggetti dislessici
e. l’utilizzo di software riabilitativi in soggetti con disturbi di linguaggio
f. altro….
6. A quali quadri patologici è applicabile la CAA?
a. solo alle paralisi cerebrali infantili
b. solo ai traumi cranici
c. solo alle sindromi locked-in
d. solo alle afasie
e. ai quadri con grave difficoltà a scambiare messaggi
f. altro …
7. Quali sono gli obiettivi della CAA?
a. recuperare l’abilità linguistica
b. occupare parte del tempo del paziente
c. esercitare il paziente a comunicare
d. esercitare il paziente a indicare
e. consentire uno scambio comunicativo il più efficiente possibile
f. altro …
8. Quali strumenti utilizza nella pratica CAA?
a. sistemi con uscita in voce
b. computer
c. tavole comunicative
d. tutti quelli necessari
e. disegni di vario genere
f. altro…
9. Qual è la percentuale di pazienti con cui usa un approccio CAA?
< 15% []
15-30% []
30-60% []
60-80% []
10. Che disturbo hanno i pazienti che segue con approccio CAA?
a. disturbo articolatorio (es. disartria)
b. disturbo linguistico (es. afasia)
c. disturbo intellettivo (es. ritardo mentale)
d. disturbo di apprendimento (es. dislessia)
e. disturbo relazionale (es. autismo).
Conferenza ISAAC Italy 2005
31
80-100% []
LINEE GUIDA IN RIABILITAZIONE: ANALISI, CORRELAZIONI E VALENZE
DELL’INTERVENTO COMUNICATIVO ATTRAVERSO LE METODOLOGIE DI CAA
Maurizio Sabbadini, Patrizia Bombardi
Laboratorio di Comunicazione, Divisione di Neuroriabilitazione Pediatrica,
I.R.C.C.S. Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Palidoro, Roma
Scopo prioritario delle seguente relazione è di evidenziare come l’intervento comunicativo rappresenta
parte integrante del processo riabilitativo, in conformità con le linee guida in riabilitazione pubblicate nel 1998
e con gli obiettivi definiti nell’ICDH2. Gli obiettivi dell’intervento riabilitativo riguardano:
 Il recupero di una competenza funzionale andata perduta per ragioni patologiche;
 L’evocazione di una competenza non comparsa nel corso dello sviluppo;
 La necessità di porre una barriera alla regressione funzionale delle malattie cronico-degenerative,
tentando di modificarne la storia naturale;
 La possibilità di reperire formule facilitanti alternative.
In particolare il progetto riabilitativo individuale deve tenere conto in maniera globale dei bisogni, delle
preferenze del paziente (e/o dei suoi familiari, quando è necessario), delle sue menomazioni e disabilità e,
soprattutto, delle abilità residue e recuperabili, oltre che dei fattori ambientali, contestuali e personali. A ciò si
aggiunge la necessità di definire gli esiti desiderati, le aspettative e le priorità dei pazienti, dei suoi familiari,
quando è necessario, e dell’équipe curante e di dover essere comunicato in modo comprensibile e
appropriato al paziente ed ai suoi familiari.
Le definizioni espresse nelle linee guida per la riabilitazione coincidono con gli obiettivi che si prefigge
l’intervento in ambito comunicativo attraverso le metodologie di Comunicazione Aumentativa e Alternativa
(CAA) che evidenzia tra i suoi obiettivi quelli relativi a:
 Contenere i danni provocati da una grave limitazione nel comunicare, facilitando la partecipazione alla vita
sociale e favorendo l’instaurarsi di relazioni interpersonali e di scambi comunicativi altrimenti ostacolati o
impediti;
 Valutare i bisogni comunicativi e di partecipazione nei contesti naturali, al fine di definire corrette strategie
d’intervento idonee ad aumentare il livello di partecipazione attiva del soggetto che presenta un deficit
della funzione comunicativa;
 Definire le sedi ed i contesti nei quali svolgere l’intervento per favorire l’emergere delle competenze
comunicative, in particolare spostando la sede dell’intervento riabilitativo dal centro di riabilitazione o dal
setting strettamente logopedico, ai differenti contesti naturali di vita (casa, scuola, lavoro, tempo
libero…). E’ in questi luoghi che occorre agire coinvolgere la persona disabile, la sua famiglia ed i
caregivers non solo nella definizione ed aggiornamento del progetto comunicativo ma anche nella
partecipazione attiva, giorno dopo giorno, alla costruzione e condivisione degli strumenti e delle
opportunità utili a garantire interazioni sociali funzionali e favorevoli;
 Attuare il principio basilare del Modello di Partecipazione, secondo il quale il primo passo per incrementare
la comunicazione è di incrementare in modo significativo la partecipazione in contesti naturali. Ciò
significa supportare il maggior numero possibile di opportunità comunicative, poiché le persone con grave
handicap fisico e mentale fruiscono di esperienze educative e sociali generalmente molto limitate, tali da
ridurre ed ostacolare ulteriormente lo sviluppo delle competenze sociali e comunicative;
 Definire programmi, obiettivi, strategie che facilitino da subito l’interazione del bambino con il suo
ambiente di vita. L’intervento, quindi, si incentra, primariamente, sull’individuazione di soluzioni
immediatamente utili al soggetto non parlante che saranno apprese attraverso l’utilizzo diretto nei diversi
contesti comunicativi.
Nella presentazione del percorso comunicativo di un bambino seguito nel Laboratorio di Comunicazione
della Divisione di Neuroriabilitazione Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro, si farà riferimento al
Modello di Partecipazione di Beukelman e Mirenda (1988) che fornisce un processo sistematico per la
conduzione dell’assessment e la scelte dei successivi interventi.
Conferenza ISAAC Italy 2005
32
T. afferisce al Laboratorio all’età di 2.1 anni con diagnosi di ingresso di meningoencefalite erpetica.
La valutazione delle competenze comunicative evidenzia:
 disponibilità e motivazione all’ambiente circostante, con buone capacità di adattamento verso persone non
abituali ed interesse attivo all’interazione comunicativa ed alle diverse proposte. In attività di routines e
ludiche, il bambino mostra di poter condividere efficacemente l’alternanza dei turni ed il rispetto di piccole
regole d’azione; significativo l’interesse ed il piacere emerso in giochi a carattere imitativo- simbolico.
 L’intenzionalità comunicativa appare presente e di frequente evidenza; la modalità comunicativa si
esprime nei canali non verbali, attraverso il sorriso, lo sguardo e la mimica facciale, discretamente
rappresentata. Buono l’utilizzo spontaneo dello sguardo per l’esplorazione dell’ambiente circostante e la
triangolazione con persone/oggetti. E’ presente una produzione vocalica, direzionata ai fini comunicativi,
con variazione di toni e di volumi.
Le funzioni comunicative esercitate si riferiscono a: Attenzione al partner, interesse su
oggetti/persone/attività, presa del turno per rispondere, richiesta di attenzione, richiesta di /ancora/,
richiesta di /basta/, protesta e rifiuto, primi segnali di approvazione/disapprovazione e di commento su
attività di interesse.

Presente una grave tetraparesi spastica con parziale controllo del capo, scarsa competenza funzionale
degli arti superiori, difficoltà di accesso ai diversi ausili proposti e sostanziale dipendenza dall’adulto in
tutte le attività ludiche e di vita quotidiana.
L’analisi dei contesti di vita e delle opportunità comunicative evidenzia un ambiente familiare motivato e
consapevole, in presenza di numerose occasioni d’interazione.
Il Progetto Comunicativo concordato con i familiari all’inizio della presa in carico all’età di 2.1 anni
prevedeva:
Obiettivi a breve termine:
1) Sostenere l’interesse e la motivazione del bambino al gioco ed alle consuete routine quotidiane,
attraverso specifiche soluzioni ed adattamenti che favoriscano l’accesso e la partecipazione attiva
(selezione dei giochi e delle attività preferite con opportune modifiche, utilizzo di supporti per la
stabilizzazione degli oggetti, utilizzo di ausili con uscita in voce a singolo messaggio per la presa del
turno, le funzioni di richiamo, messaggi di tipo convenzionale….)
2) Valorizzazione ed incremento di tutte le risorse comunicative presenti nel bambino e stabilizzazione
delle competenze comunicative di base relative alle funzioni richiestive, dichiarative, comunicazione di
prime scelte tra opzioni concrete, risposte di assenso e di dissenso, con codificazione dei segnali
emergenti attraverso l’utilizzo di polsini SI/NO.
3) Espansione delle funzioni comunicative attraverso l’utilizzo di “resti” di attività e graduale allestimento
del Quaderno dei resti, per consentire al bambino di esercitare attivamente le prime funzioni di
protoracconto di esperienze vissute ad interlocutori non presenti.
4) Individuazione degli ausili per la corretta postura da seduto, il controllo del capo e la mobilità.
5) Supporto all’ambiente familiare ed ai partner comunicativi, con graduale modifica degli stili
comunicativi verso l’assunzione di modalità di interazione centrate sul bambino, responsive e
funzionali ai suoi tempi di risposta, con l’individuazione di contesti stabili e routine quotidiane
valorizzanti la partecipazione. In particolare sono state fornite indicazioni e suggerimenti concreti
relativi all’organizzazione ed all’allestimento degli spazi quotidiani, in modo da incoraggiare il bambino
ad esprimere spontaneamente richieste, preferenze, bisogni.
Obiettivi a medio termine:
1) Inventario delle attività base e raccolta dei bisogni comunicativi, per la selezione e l’allestimento di
specifici supporti comunicativi simbolici (tabelle comunicative a tema per i contesti di gioco, merende,
luoghi; tabella comunicativa principale) che consentano al bambino di accedere a contenuti
comunicativi non direttamente presenti nell’ambiente e non necessariamente evocabili
dall’interlocutore.
2) Allenamento e affinamento del controllo del capo e dell’uso dello sguardo come sistema d’indicazione
diretta.
3) Graduale utilizzo di un sistema d’indicazione assistita a scansione riga-colonna, in modo da
permettere al bambino di disporre di un maggiore numero di elementi e contenuti simbolici su cui
comunicare. Individuazione di attività specifiche, significative e motivanti per il bambino, che
Conferenza ISAAC Italy 2005
33
prevedano compiti di indicazione, su diverse opzioni (allestimento di Etran, per giochi di carte,
disposte su linee successive)
4) Inserimento a scuola materna con raccolta dei bisogni di partecipazione del bambino verso le attività,
gli adulti ed i coetanei di riferimento. Successiva pianificazione di attività ludiche e didattiche,
funzionali all’esplicitazione ed all’incremento delle competenze comunicative del bambino e graduale
condivisione e familiarizzazione con i pari degli stili comunicativi e delle modalità di comunicazione
proprie di Tommaso.
Obiettivi a lungo termine:
1) Integrazione delle risorse comunicative naturali e degli strumenti e supporti selezionati, nel Sistema
Comunicativo Globale, con sostegno agli usi funzionali-pragmatici in ambienti allargati (scuola, gruppi
con i coetanei, ambienti ricreativi)
2) Espansione e riorganizzazione del vocabolario, ridefinizione della tipologia del supporto comunicativo.
Utilizzo generativo del sistema simbolico, per comporre brevi racconti, codificare contenuti
comunicativi (esempio scrivere una lista della spesa, preparare la ricetta degli gnocchi al sugo con i
simboli), comunicazioni a distanza (ad esempio preparare bigliettini, lettere, inviti…, con i simboli).
3) Rivalutazione delle possibilità di accesso e di eventuali sistemi di puntamento.
4) Individuazione di supporti dedicati e software per gli apprendimenti scolastici e acquisizione del codice
alfabetico, come mezzo privilegiato di interazione e di comunicazione interpersonale.
Rivalutazione ad oggi: risultati, evoluzioni, cambiamenti.
Allo stato attuale il profilo comunicativo di T. (5.7 anni) può essere descritto nelle seguenti componenti:
1. Idonea intenzionalità ed iniziativa alla comunicazione; interesse e motivazione crescente all’interazione
comunicativa. Attenzione sostenuta per tempi prolungati.
2. Livello di comunicazione funzionale a risolvere bisogni primari, interessi elementari e contenuti routinari,
attraverso l’impiego delle risorse comunicative personali espresse attraverso le componenti naturali, con la
mimica facciale, l’indicazione ambientale, i vocalizzi direzionati, il codice Si e No stabile e coerente con
l’utilizzo dei polsini.
3. Livello di comunicazione ampliata su contenuti non convenzionali, non concretamente presenti e non
sempre prevedibili all’interlocutore, attraverso l’impiego delle componenti aumentative a sua disposizione:
Quaderno dei resti, per l’accesso alle funzioni narrative di esperienze e vissuti personali e la Tabella
Comunicativa Simbolica per le funzioni richiestive e dichiarative su argomenti e vocaboli di interesse
personali. Mentre il ricorso al Quaderno dei resti avviene frequentemente e su iniziativa comunicativa
spontanea, l’utilizzo della Tabella Comunicativa si esprime prevalentemente in interazioni elicitate
dall’adulto di riferimento.
Relativamente alle possibilità di accesso, il bambino attualmente dispone di:
 una adeguata indicazione diretta con lo sguardo, per l’indicazione ambientale o la richiesta/scelta su un
numero limitato e distanziato di opzioni concrete o simboliche presentate;
 ha acquisito ma deve consolidare una strategia di indicazione assistita riga_colonna, per l’accesso ai
vocaboli presenti sulla tabella di comunicazione, per partecipare ad attività strutturate con uso di
materiale figurato allestito su supporti in Etran (gioco del Domino, Memory…)
 iniziali capacità di attivare un sensore con un movimento dell’arto inferiore destro, o del capo per
partecipare ad attività di gioco e di apprendimento anche attraverso l’utilizzo del computer.
Conclusioni:
Il percorso comunicativo intrapreso con T. fino ad ora ci appare efficace ed adeguato e parte integrante
del Progetto Riabilitativo più globale, formulato per il bambino. L’evoluzione positiva è stata possibile anche
grazie all’opportunità d’iniziare in età precoce un intervento mirato e specifico sugli aspetti comunicativi
Inoltre condizione fondamentale che ha permesso il raggiungimento degli obiettivi allo stato attuale è
certamente il bambino stesso, i suoi forti desideri di giocare e di comunicare, di interagire e di partecipare
attivamente nelle sue relazioni con gli Altri..
Un ruolo fondamentale è da attribuire ai familiari tutti, i genitori in primo luogo, ma anche i nonni ed i
parenti che insieme concorrono ad offrire al bambino un ambiente accogliente e positivo, sorridente ed
incoraggiante, restituendo costantemente significati condivisi, occasioni autentiche su cui e per cui interagire.
Tanta strada deve ancora essere fatta, ma l’assetto affettivo e interattivo di Tommaso e del suo contesto
di vita ci spingono a pensare in termini favorevoli.
Maurizio Sabbadini : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
Patrizia Bombardi: [email protected]
34
“CONSULENZA DI C.A.A. PRESSO UN SERVIZIO DI AUDIOLOGIA E FONIATRIA:
FOLLOW-UP DOPO SETTE ANNI DI ATTIVITA’.”
Luciana Di Natale *, Ariella Biscaro **, Cristina Conte ***, Elisabetta Genovese ****
Servizio Distrettuale Integrato per l’Età Evolutiva ULSS 9 Treviso
INTRODUZIONE
A partire dal 1998, nell’ambito del Servizio di Audiologia e Foniatria dell’Azienda U.L.S.S. n° 9 di Treviso, è
stata intrapresa un’attività di consulenza relativa alla Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA), rivolta
a pazienti con gravi disabilità del linguaggio parlato, per i quali non risultavano adeguati gli approcci focalizzati
sulla comunicazione linguistica. Si tratta di pazienti che si differenziano per età, provenienza, diagnosi, ma che
hanno in comune il fatto di non utilizzare efficacemente il linguaggio parlato nella comunicazione.
MATERIALI E METODI
L’esame di 87 cartelle cliniche, relative a pazienti giunti al Servizio di Audiologia e Foniatria dell’ Azienda
U.L.S.S. n° 9 di Treviso per la consulenza sulla CAA tra il 1998 e il 2003, consente di raccogliere le prime
informazioni necessarie per lo studio.
Per quanto riguarda il follow-up, viene proposta successivamente un’intervista telefonica che consiste, in
primo luogo, nel verificare se l’utente stia proseguendo in un progetto di CAA.
In caso di risposta affermativa, cioè nel caso di soggetti che continuano ad utilizzare la CAA, si propone la
compilazione di una scheda informativa, allo scopo di valutare le caratteristiche del progetto, le eventuali
variazioni nelle modalità comunicative del paziente e i cambiamenti che queste hanno prodotto nella vita
quotidiana. In caso negativo, vengono richieste le motivazioni che hanno indotto a non intraprendere o a non
proseguire il progetto di CAA.
ANALISI DEI DATI RACCOLTI
Distribuzione per fasce di età
L’analisi della distribuzione per fasce d’età rileva che il 70% delle richieste di consulenza si colloca nella fascia
0-10 anni. In tale periodo i genitori, dopo una diagnosi iniziale, spesso ancora in via di definizione, sono alla
ricerca di opportunità terapeutiche e di indicazioni specialistiche per poter favorire l’inserimento scolastico e gli
apprendimenti dei figli.
L’affluenza significativa dei soggetti adulti, ormai stabilizzati, è motivata dall’invio degli operatori dei centri
diurni per disabili, che si sono dimostrati sensibili nei confronti delle problematiche comunicative
Numero
di casi
31
35
31
30
25
16
20
15
9
10
5
0
0-5
6-10
11-18
>18
Età
Città di provenienza e U.L.S.S. di appartenenza
Per quanto riguarda la provenienza dei casi giunti a consulenza, il 57% dei soggetti giunge da un territorio
molto vasto, esterno all’Azienda U.L.S.S. n° 9 di Treviso, dato che sul territorio nazionale esiste un numero
limitato di strutture e professionisti competenti di C.A.A.
Il restante 43% afferisce da servizi del territorio dell’Azienda U.L.S.S. n° 9, all’interno della quale alcuni
logopedisti hanno seguito corsi di tipo informativo sulla C.A.A.
Conferenza ISAAC Italy 2005
35
Belluno
Bologna
Brescia
Lucca
Mestre
Padova
Pavia
Pesaro
Piacenza
Pordenone
Rimini
Rovigo
Siena
Treviso ulss 7
Treviso ulss 8
Treviso ulss 9
Trieste
Udine
Venezia
Vicenza
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Numero di casi
Eziopatogenesi
L’analisi dell’eziopatogenesi ci presenta:
- 28 soggetti con deficit cognitivi su base organica, che comprendono situazioni caratterizzate da ritardo
mentale, ritardo psicomotorio e di linguaggio con segni patologici organici quali epilessia e disprassia;
- 27 soggetti con sindromi genetiche;
- 14 soggetti con PCI, in maggioranza tetraparesi spastica;
- 11 soggetti con patologia associata a deficit neurosensoriali;
- 7 soggetti con disturbo generalizzato dello sviluppo.
Dato l’elevato numero di soggetti con sindromi genetiche, si è provveduto ad un’analisi più dettagliata della
loro tipologia:
- 10 soggetti con Sindrome di Angelman
- 6 soggetti con Sindrome di Down
- 2 soggetti con Sindrome di Rett
- 1 soggetto con Sindrome di Cornelia de Lange
- 1 soggetto con Sindrome di Angelman e di Turner
- 1 soggetto con Sindrome di Catch 22
- 1 soggetto con sindrome di De George
- 1 soggetto con Sindrome di Franceschetti
- 1 soggetto con Sindrome di Moebius
- 1 soggetto con Sindrome di Noonan
- 1 soggetto con Sindrome di Rubistein Tayb
- 1 soggetto con Sindrome di Williams.
La caratteristica comune a tutti questi pazienti è l’assenza di linguaggio parlato o la produzione di poche
parole comprensibili soltanto in ambito familiare.
Numero
30
di casi
28
27
25
20
14
15
11
10
7
5
Conferenza ISAAC Italy 2005
36
cause
genetiche
deficit cognitivi
su base
organica
PCI
patologia
associata a
deficit
neurosensoriali
disturbo
generalizzato
dello sviluppo
0
Dati del follow up
Su 87 soggetti intervistati:
- 48 soggetti non proseguono nell’approccio;
- 5 soggetti hanno fruito dell’approccio per un periodo limitato e poi non hanno più proseguito;
- 34 soggetti proseguono nell’utilizzo dell’approccio.
Tra i 34 soggetti che proseguono nell’ approccio di CAA, si è evidenziato che:
- 23 soggetti proseguono in modo regolare;
- 3 soggetti proseguono parzialmente, intendendo con questa definizione un utilizzo degli ausili proposti
soltanto in alcuni ambienti e con determinati interlocutori;
- 5 soggetti si trovano in una fase di avvio del progetto, per cui non è possibile ottenere elementi
sufficienti per valutare un’eventuale evoluzione;
- 3 soggetti presentano una situazione temporanea di sospensione dovuta a problemi contingenti.
25
23
20
15
10
5
5
3
3
0
si
si parzialmente in fase di avvio
sospeso
Non proseguono CAA
Per i 48 soggetti che non proseguono nell’approccio e per i 5 soggetti che ne hanno fruito soltanto per un
periodo, sono state prese in esame le motivazioni alla base della rinuncia:
- per 20 soggetti si sono presentati problemi di collaborazione con la famiglia;
- per 9 soggetti si sono presentati problemi di collaborazione con gli operatori dei servizi;
- 10 soggetti presentano una grave patologia emotivo-relazionale che rende difficoltoso l’utilizzo dell’
approccio;
- 8 soggetti hanno sviluppato il linguaggio parlato;
- 1 soggetto è stato avviato al linguaggio gestuale presso un altro centro (utilizza la LIS lingua italiana
dei segni);
- 4 soggetti seguono un altro tipo di approccio;
- 1 soggetto è deceduto.
0
5
10
problemi di collaborazione
con la famiglia
problemi di collaborazione
con gli operatori
grave patologia emotivo
relazionale
ha sviluppato il linguaggio
parlato
ha sviluppato il linguaggio
gestuale
segue altro tipo di
approccio
deceduta
Conferenza ISAAC Italy 2005
37
15
20
25
Proseguono CAA
Per i 23 soggetti che proseguono regolarmente nell’approccio abbiamo considerato da quanto tempo si è
intrapreso il progetto:
- 5 soggetti da 0 a 1 anno;
- 4 soggetti da 1 a 2 anni;
- 9 soggetti da 2 a 3 anni;
- 5 soggetti da più di 3 anni.
10
9
9
8
7
6
5
5
5
4
4
3
2
1
0
Collaborazione della famiglia
da 0 a 1 anno
da 1 a 2 anni
da 2 a 3 anni
da più di 3 anni
Sempre per tali soggetti è stata effettuata una valutazione della collaborazione della famiglia:
- per 12 soggetti la collaborazione è stata buona;
- per 7 soggetti la collaborazione è stata sufficiente;
- per 4 soggetti la collaborazione è stata scarsa.
12
12
10
8
6
7
4
4
2
0
buono
sufficiente
scarso
Collaborazione della scuola o del centro diurno
Una valutazione analoga è stata realizzata per quanto riguarda la scuola o il centro diurno in cui i soggetti
sono inseriti:
- per 15 soggetti la collaborazione è stata buona;
- per 6 soggetti la collaborazione è stata sufficiente;
- per 2 soggetti la collaborazione è stata scarsa.
16
14
12
15
10
8
6
4
6
2
2
0
buono
Conferenza ISAAC Italy 2005
sufficiente
38
scarso
Formazione dei responsabili del progetto
Abbiamo inoltre preso in esame il tipo di formazione dei responsabili dei progetti in corso:
- per 5 soggetti è stato individuato un logopedista con una specifica formazione in CAA;
- per 10 soggetti il logopedista aveva frequentato corsi di tipo informativo sulla CAA;
- per 2 soggetti il logopedista aveva frequentato corsi di formazione sulla CAA organizzati dall’OR.S.A.
(Organizzazione Sindrome di Angelman);
- per 1 soggetto il logopedista individuato non presenta nessuna particolare formazione relativa alla
CAA;
- per 5 soggetti il facilitatore individuato non è un logopedista (insegnante, educatore dei centri diurni
ecc.).
12
10
10
8
6
5
5
4
2
2
1
0
Logopedista con
formazione CAA
Logopedista corsi
informativi CAA
Logopedista con
formazione ORSA
Logopedista senza
formazione CAA
Altro operatore
Ausili Tecnologici
Relativamente ai soggetti che proseguono nell’approccio di CAA, abbiamo considerato quali fossero gli ausili
utilizzati:
-
tutti i 23 soggetti si avvalgono di una tabella di comunicazione, anche se con quantità e tipologia di
simboli diversi;
tra i 23 soggetti, 5 hanno l’opportunità di utilizzare ausili tecnologici come software di comunicazione
(4 soggetti) e VOCAs (1 soggetto).
Autonomia Comunicativa
Si è deciso, inoltre, di esaminare la valutazione fornita dal facilitatore in merito all’autonomia comunicativa del
soggetto, intendendo con questa definizione la possibilità del soggetto stesso di comunicare senza il supporto
dei familiari e con interlocutori non abituali:
- 4 soggetti sono stati considerati autonomi nella comunicazione;
- 14 soggetti sono stati considerati parzialmente autonomi;
- 5 soggetti sono stati considerati non autonomi nella comunicazione.
Riteniamo fondamentale ricordare che tutti i soggetti per i quali è stata proposta la CAA partivano da una
situazione di assenza di autonomia comunicativa.
Per quanto riguarda alcuni aspetti relativi alle competenze comunicative, abbiamo osservato le variazioni
intercorse tra la valutazione iniziale e quella rilevata dal questionario proposto.
In particolare, abbiamo valutato la capacità di chiedere cose o attività presenti nell’ambiente in cui
avviene l’interazione comunicativa.
Su 23 soggetti, 21 erano già in possesso di questa competenza grazie alla possibilità di utilizzare il gesto di
indicazione; alla valutazione rilevata dal questionario tutti i 23 soggetti erano in grado di esprimersi con
questa modalità comunicativa. Abbiamo preso in considerazione, inoltre, la capacità di chiedere cose o
attività assenti dall’ambiente in cui avviene l’interazione comunicativa.
In questo caso l’intervento di CAA pare aver modificato notevolmente il modo di comunicare dei soggetti;
infatti alla valutazione iniziale:
- 11 soggetti sono in grado di chiedere cose o attività assenti dall’ambiente;
- 12 soggetti non sono in grado di farlo.
Alla seconda valutazione:
- 20 soggetti sono in grado di chiedere cose o attività assenti dall’ambiente;
- 3 soggetti non sono ancora in grado di farlo.
Conferenza ISAAC Italy 2005
39
25
25
No =9%
No = 13%
20
20
15
15
No = 52%
Si = 87%
Si = 100%
Si = 91%
10
10
5
5
Si = 48%
0
0
Prima
Prima
Dopo
Dopo
Oltre al compito di richiesta, abbiamo preso in esame la capacità di riferire o raccontare cose o attività
presenti e assenti.
Alla valutazione iniziale:
- 8 soggetti riferiscono o raccontano di cose o attività presenti nell’ambiente;
- 15 soggetti non sono in grado di farlo.
Alla seconda valutazione:
- 20 soggetti riferiscono o raccontano di cose o attività presenti nell’ambiente;
- 3 soggetti non sono ancora in grado di farlo.
Per quanto riguarda cose o attività assenti, alla prima valutazione:
- 5 soggetti le riferiscono o raccontano;
- 18 soggetti non sono in grado di farlo.
Alla valutazione successiva all’intervento di CAA:
- 18 soggetti riferiscono o raccontano cose o attività assenti dall’ambiente;
- 5 soggetti non hanno ancora acquisito questa competenza.
25
25
No = 13%
15
15
No = 65%
10
5
No = 22%
20
20
Si = 87%
No = 78%
10
Si = 78%
5
Si = 35%
Si = 22%
0
0
Prima
Prima
Dopo
Dopo
RISULTATI DEL FOLLOW-UP.
1. Condizioni sfavorevoli
Relativamente all’analisi dei dati sul gruppo di soggetti che non fruiscono di un progetto di CAA,
possiamo concludere che:
1) L’elevato numero dei soggetti per i quali non è stato possibile realizzare un’alleanza terapeutica con la
famiglia è dovuto al fatto che, spesso, l’utilizzo di un approccio non verbale viene vissuto dai genitori
come una limitazione alla possibilità di sviluppare il linguaggio espressivo parlato e non come
un’opportunità di autonomia comunicativa da parte del soggetto stesso.
2) Per quanto riguarda la mancata collaborazione da parte degli operatori, abbiamo osservato che
spesso la diffidenza è dovuta alla scarsa conoscenza del tipo di approccio.
3) Nei casi con quadri patologici che rientrano nella categoria dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
(DSM IV), l’approccio è stato spesso fallimentare,riteniamo di non aver sperimentato a sufficienza
l’approccio con questo tipo di pazienti.
2. Condizioni favorevoli
Per quanto riguarda il gruppo di 23 soggetti che da tempi diversi proseguono in un progetto di CAA,
possiamo considerare che:
1) La collaborazione della famiglia e del personale della scuola o del centro diurno in cui il
soggetto è inserito sono variabili fondamentali per la realizzazione di un progetto di CAA.
2) L’opportunità di affidare un progetto di CAA ad un professionista adeguatamente formato
costituisce un punto di forza nella programmazione dell’intervento; osserviamo infatti che tra i
soggetti
3) che proseguono il 74% sono seguiti da logopedisti informati o formati sul tipo di approccio mediante
corsi di varia tipologia.
Conferenza ISAAC Italy 2005
40
3. Variazioni sul piano della comunicazione
1) La tabella di comunicazione si rivela essere un ausilio indispensabile nei progetti di CAA; l’estrema
flessibilità di tale strumento ne consente infatti una personalizzazione che lo rende efficace rispetto ai
bisogni comunicativi del soggetto. Abbiamo osservato che un ridotto numero di pazienti usufruiscono
di ausili tecnologici (4 software di comunicazione, 1 VOCA) e in tutti i 5 casi si tratta di progetti
intrapresi da più di 2 anni. Consideriamo, quindi, che in questo tipo di progetti a lungo termine,
l’esigenza di ausili non sia qualcosa da definire a priori, ma un dato da determinare all’interno
del progetto riabilitativo, in base alle esigenze comunicative del soggetto che si modificano nel
tempo, in rapporto ai cambiamenti nella sua vita personale e sociale.
2) Per l’ampia maggioranza di soggetti che fruiscono di un progetto di CAA (78%), è stato osservato un
incremento dell’autonomia comunicativa, anche se soltanto il 17% viene considerato completamente
autonomo dai familiari nella possibilità di comunicare. Un incremento così diffuso dell’autonomia
comunicativa ci sembra comunque un risultato positivo, considerando che tutti i soggetti partivano da una
situazione di totale dipendenza dai familiari per l’interpretazione dei loro messaggi comunicativi.
La capacità di effettuare richieste relative a cose o attività presenti nell’ambiente è già ampiamente presente nei
soggetti prima di iniziare il progetto di CAA; questo perché la modalità comunicativa più frequentemente utilizzata
sono i gesti deittici. Per quanto riguarda invece il compito di richiesta di cose o attività assenti dall’ambiente
dell’interazione comunicativa, si osserva un buon incremento tra prima e dopo l’intervento; il progetto di CAA è
quindi in grado di incrementare un processo di progressiva decontestualizzazione comunicativa. L’incremento della
capacità di riferire o raccontare cose presenti nell’ambiente ci fa considerare il fatto che i soggetti in questione
stanno modificando la lloro comunicazione da un’espressione di bisogni primari a un’interazione comunicativa di
tipo “conversazionale” anche se non realizzata con la parola. Per quanto riguarda, inoltre, la capacità di riferire o
raccontare cose o attività assenti dall’ambiente comunicativo si osserva un notevole incremento della
decontestualizzazione. L’interazione comunicativa si concretizza in azioni quali richiamare l’attenzione, permettere
all’interlocutore di identificare l’argomento in questione, alternare i turni all’interno del dialogo.
CONCLUSIONI
Dall’analisi dei dati emerge che:
1. l’approccio alla C.A.A. si sta diffondendo, parallelamente alla sempre maggior sensibilizzazione degli
operatori della riabilitazione. Riteniamo fondamentale incrementare la conoscenza della CAA a livello
dei professionisti della riabilitazione, delle famiglie, delle istituzioni scolastiche ed educative.
2. viene riconosciuto come soluzione riabilitativa elettiva per casi clinici caratterizzati da una grave
compromissione del linguaggio articolato;
3. l’esigenza di trovare risposte adeguate ai casi in cui non è possibile instaurare una comunicazione
verbale porta le famiglie e gli operatori a cercarle presso centri specializzati;
4. i servizi di logopedia devono adeguarsi alle esigenze dei pazienti che vengono alla loro osservazione
ed è quindi sempre più necessaria l’integrazione degli interventi riabilitativi tradizionali mirati al
linguaggio con un approccio più ampio finalizzato ad incrementare tutte le modalità comunicative.
La formazione del professionista che si occupa di CAA è un elemento determinante nella realizzazione del
progetto; non si tratta, infatti, di una metodica riabilitativa che si limita al contesto della seduta di terapia, ma
di un approccio globale alla comunicazione che comprende sia il soggetto in questione che i suoi interlocutori.
Una larga parte dell’intervento deve quindi essere rivolta all’ambiente, affinché modifichi le proprie abitudini
comunicative nei confronti del soggetto non parlante.
Dai nostri risultati emerge che i casi, per i quali non è stato proseguito l’intervento, sono quelli in cui non è
stato possibile incidere sull’ambiente per poca corrispondenza della famiglia e spesso anche per la difficoltà di
trovare in loco professionisti formati disposti a farsi carico del progetto.
Fa parte delle competenze professionali del logopedista occuparsi anche di questo tipo di utenti; come citato
nel Codice deontologico del Logopedista all’art. 4: “…Nel caso di un disturbo di linguaggio e/o di
comunicazione….l’obiettivo sarà il superamento del disagio ad esso conseguente, mediante il recupero delle
abilità e delle competenze finalizzate alla comunicazione o mediante l’acquisizione ed il consolidamento
di metodiche alternative utili alla comunicazione e all’inserimento sociale.”
Nella formazione di base del logopedista dovrebbe quindi essere previsto un maggior approfondimento di
questo approccio.
La possibilità di comunicare è di fondamentale importanza per determinare la qualità di vita di ogni individuo:
la comunicazione è un diritto per ogni persona ed è nostro dovere garantirlo.
Genovese Elisabetta: [email protected] Foniatra – Servizio di Audiologia e Foniatria ULSS9 Treviso
Di Natale Luciana: [email protected]
Conte Cristina: [email protected]
[email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
41
Biscaro Ariella:
PROCEDURE di ACCESSIBILITA’ e di INTERVENTO CAA
in STRUTTURE SEMIRESIDENZIALI
Cantù Marilena, Mele Damiana, Carini Laura, Pozzi Tiziana, Rizzo Monia, Maggioni Emanuela
Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus - IRCCS S. MARIA NASCENTE Milano
PUNTO DI PARTENZA
La nostra storia inizia dalla presa in carico di adulti, con patologie, età e iter scolastico e sanitario differente in
situazione residenziale o semiresidenziale, con grave compromissione della comunicazione verbale. Partendo
proprio dalla disabilità verbale, e dalla implicita necessità di relazione, sia nell’ambito educativo, riabilitativo
che assistenziale, è emersa l’esigenza di trovare una strategia che facilitasse la comunicazione e che differenti
operatori, in diversi contesti del Centro, potessero iniziare percorsi formativi in C.A.A.
GRUPPO DI LAVORO
Questi operatori , secondo la specifica professionalità hanno attivato percorsi di intervento, che risultavano
però destrutturati e non sempre in grado di tenere in considerazione la globalità del progetto sulla persona.
Accadeva che:
-venissero enfatizzati gli aspetti riabilitativi, con interventi che tendevano a rimanere confinati nello spazio,
fisico e temporale, della seduta di trattamento
-gli interventi educativi, più rispettosi delle necessità di integrazione con l’ambiente, rischiavano di non tenere
in sufficiente conto le necessità più strettamente cliniche degli utenti seguiti (in particolare in presenza di
disabilità associate, motorie e cognitive).
Tale modalità di intervento è risultata pertanto frammentaria e a volte fallimentare.
E’ emersa quindi la necessità di trovare un modello di lavoro comune.
MODELLO
Si è costituito dal 2000 un gruppo di lavoro interdisciplinare, con la finalità di rendere possibile la collaborazione e
l’integrazione fra le diverse professionalità per facilitare una procedura condivisa sui possibili percorsi di intervento.
All’inizio il gruppo ha preso in considerazione alcuni aspetti fra cui l’analisi dei bisogni e i contesti di
applicazione di un intervento in C.A.A. Ha iniziato a raccogliere documentazione scientifica e clinica su tale
tipo di intervento. La rielaborazione del materiale raccolto ha portato alla creazione di strumenti di lavoro
mirati a definire uno specifico modello di intervento applicabile nelle diverse realtà socio-educative e
riabilitative del nostro Centro.
LO STUDIO
La ricerca condotta ha fatto emergere immediatamente l’esigenza di definire chiaramente le aree di interesse
per la raccolta delle informazioni e di conseguenza, la creazione di strumenti comuni per la raccolta dei dati
che potessero portare alla conoscenza del “mondo reale” dell’utente.
Le informazioni per rilevare le funzioni comunicative possibili e utili al fine di strutturare e mirare l’intervento
CAA vengono raccolte attraverso la scheda per la raccolta dei dati e le scale e i test standardizzati. Dall’analisi
dei bisogni, delle potenzialità residue e delle funzionalità, il team di lavoro riflette e definisce quale procedura
di riferimento può guidare il progetto di intervento in CAA sull’individuo.
Partendo dalla Disability Rating Scale è stato possibile suddividere la nostra utenza in tre tipologie di base che definiscono
le specificità dell’intervento stesso. Attraverso l’analisi di 42 utenti, è stato possibile iniziare a studiare le prerogative e la
conduzione di assessment su un campione di 8 individui con caratteristiche che definivano le tre tipologie.
PROTOCOLLO DI INTERVENTO
Il piano di intervento, partendo da una lettura guidata dei comportamenti come possibili intenzionalità
comunicative, si suddivide in tre possibili modelli:
Nel TIPO 1 il lavoro di C.A.A. sarà impostato prevalentemente nell’ambiente e con l’ambiente, in quanto
l’utente dipende totalmente da un partner comunicativo, necessita di interpretazione e codifica, e l’attivazione
è legata al benessere emotivo e fisico. Questo lavoro analizzerà le condotte e i comportamenti ricorrenti
dando significato agli atteggiamenti di autoregolazione.
Nel TIPO 2 l’attività è prevalente nell’ambiente e mediando l’ambiente. Infatti l’individuo ricerca la relazione non utilizzando
strategie adeguate, è quindi necessaria la lettura del comportamento problema e la codifica del bisogno con funzione
comunicativa. Il lavoro parte dall’analisi delle caratteristiche tipiche quali il comportamento problema, analizzando routines e
possibili anticipazioni, attraverso la proposta del codice binario codificabile e quindi delle scelte di base.
Nel TIPO 3 il lavoro è sia sull’utente, sia nei vari ambienti sociali in quanto l’individuo ricerca intenzionalmente la
relazione, sviluppa delle strategie e comprende la funzionalità e la facilitazione data dall’ausilio. Bisogna tenere
però presente che l’emotività e la consapevolezza soggettiva possono inficiare la prestazione nell’interazione.
Conferenza ISAAC Italy 2005
42
LA CAA NELLE GRAVI LESIONI NEUROLOGICHE ACQUISITE ED ESITO DI COMA
Carla Gagliardi*
Logopedista, Ospedale Cuasso al Monte, Fondazione Macchi (VA)
Servizio di Recupero e Rieducazione Funzionale
Il paziente giunge solitamente in un ospedale riabilitativo dopo un periodo di terapia intensiva, in una fase
subacuta, quindi in una situazione di possibile ed auspicabile recupero.
La persona adulta presenta una struttura neurologica che si è formata in base al suo patrimonio genetico ed
in relazione alle sue esperienze emotive e sociali.
Un trauma oppure un danno neurologico che colpisce un soggetto adulto, agisce quindi su una struttura
neurologica già organizzata.
La disabilità comunicativa che deriva dall’evento deve essere vista considerando tutto ciò.
Dal punto di vista logopedico i disturbi comunicativi nella lesione neurologica acquisita possono essere
ricondotti a tre gruppi: disturbi cognitivo-linguistici, disturbi nelle aree specifiche del linguaggio e disturbi
motori del linguaggio.
I primi riflettono i sottostanti disturbi cognitivo-comportamentali
(disturbi attenzionali, di memoria,
ragionamento ecc.), che influenzano notevolmente il comportamento comunicativo. I disturbi nelle aree
specifiche del linguaggio determinano un quadro più comunemente conosciuto come afasia subclinica. I
disturbi motori si manifestano come disartria.
La gran parte di questa tipologia di pazienti recupera solitamente il linguaggio, tanto che la CAA in questi casi
viene utilizzata solamente per un breve periodo, per facilitare, semplificare guidare o sostituire
temporaneamente il linguaggio, ma vi sono casi in cui il recupero è molto più lungo oppure non avverrà per
cui la CAA diventa l’unico strumento che permette al paziente di comunicare.
Gli obiettivi riabilitativi vengono notevolmente influenzati dal comportamento cognitivo del soggetto ed
ovviamente in relazione ad esso deve essere adattato il progetto di recupero.
Al paziente non collaborante viene proposto un trattamento più generale con percorsi per l’orientamento
spazio-temporale, vengono creati contesti molto semplici che permettano al soggetto di dare minime risposte,
si induce l’azione e il controllo dell’interazione anche se solo con minimi movimenti.
Nei soggetti più confusi ed agitati l’intervento si propone di creare cooperazione, sostenere le problematiche
attentive, mnesiche e di orientamento. Al fine di guidare l’emergere del linguaggio si possono utilizzare
supporti alfabetici di diverso genere. Si forniscono semplici strumenti con uscita in voce, si facilitano le scelte
utilizzando sequenze scritte e vengono inoltre sollecitati i sistemi naturali non verbali di comunicazione.
Importante è la restituzione grafica di quanto viene prodotto. La CAA è, per queste persone, un importante
supporto come sostegno per la rieducazione cognitiva.
In queste fasi è fondamentale il percorso con il familiare che può creare situazioni d’interazione privilegiate
all’interno delle quali permettere al paziente una comunicazione.
Nei Soggetti più collaboranti, più consapevoli, la CAA si pone come obiettivo di intervenire sui bisogni più
specifici e mirati che via via emergono nel percorso di inserimento del paziente. Ad esempio, si adottano
soluzioni per migliorare o permettere il percorso scolastico, si interviene con consigli per i disturbi di memoria,
per i disturbi di comunicazione ecc.
La CAA permette inoltre in questa fase al Soggetto il sostegno dei percorsi cognitivi.
Carla Gagliardi: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
43
ESPOSIZIONE DEL PROGETTO C.A.A. E AMBIENTE DI VITA
Alessandro CHIARI, Stefania MURRA, Sonia OLDRINI .
CENTRO BENEDETTA D’INTINO, MILANO
Questo lavoro mira innanzitutto a presentare le linee che hanno ispirato il progetto Comunicazione
Aumentativa Alternativa e ambiente di vita , progetto biennale di sperimentazione, in avanzata fase di
svolgimento e tuttora in corso. Il progetto è stato reso possibile grazie al finanziamento della Fondazione
UMANA MENTE del Gruppo Ras che opera a sostegno della solidarietà sociale.
Questa sperimentazione della pratica clinica della Comunicazione Aumentativa Alternativa (C.A.A.) si rivolge
specificamente a un gruppo di soggetti con sindrome di Angelman ed alle loro famiglie, coinvolgendo in modo
diretto e consistente tutti i significativi ambienti di vita del soggetto con disabilità comunicativa.
Innanzitutto si delineeranno le caratteristiche cliniche che definiscono la sindrome di Angelman, in modo da
chiarire i problemi con cui ci stiamo confrontando.
In seguito, e conseguentemente, si esporranno le considerazioni e le riflessioni che questi anni di pratica
clinica con i soggetti con tale sindrome hanno portato la nostra équipe a formulare l'esigenza di una
sperimentazione ulteriore: è emerso cioè il bisogno di una ricerca rivolta ad approfondire i temi, i bisogni ed i
problemi concretamente rilevati.
L'obiettivo di questo progetto di ricerca sul campo è innanzitutto quello di validare metodicamente le evidenze
fin qui rilevate in sede più empirica. Inoltre il progetto mira nel contempo a verificare l'efficacia dei vari
momenti e delle differenti modalità, in cui si articola concretamente l'intervento in C.A.A.
In altri termini, si parte dalla posizione di quesiti risultati clinicamente rilevanti; si ricercano ipotesi concrete di
risoluzione delle problematiche emerse; e infine le si verifica tramite pratiche cliniche costantemente
monitorate ed adattate, con la flessibilità richiesta dalle esigenze che man mano si presentano.
L'oggetto principale delle nostre preoccupazioni riguarda la necessità di coinvolgere, motivare e sostenere
tutti i protagonisti dell'ambiente di vita del soggetto con sindrome di Angelman; inoltre abbiamo la necessità
di formare operatori che possano seguire il progetto di C.A.A. nel tempo. Tutto ciò affinché risulti finalmente
consistente e duraturo il progetto in C.A.A. per il soggetto stesso.
Nella pratica abbiamo affrontato il problema di come generalizzare le competenze raggiunte ed acquisite
tramite l'intervento in C.A.A. e di come favorire il mantenimento delle stesse nel tempo e lungo l'arco del ciclo
di vita.
Nella relazione verranno condivise le riflessioni metodologiche e le soluzioni operative approntate per cercare
di sperimentare l'intervento in C.A.A. concretamente e durevolmente negli ambienti di vita.
Riferimenti
Sito: www.benedettadintino.it
Email: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
44
DALL’INTERVENTO DI CAA ALLA PARTECIPAZIONE:
storia di un caso
Bulgarelli Giovanna, Cinzia Carpentieri, Monica Garagiola, Meroni Paola, Claudia Iacoli, Tirotto Elisabetta
Fondazione Don Carlo Gnocchi onlus – IRCCS S. MARIA NASCENTE Milano
Sintesi
L’esperienza che presentiamo è relativa al caso clinico di una ragazza di quindici anni di origini filippine affetta da
tetraparesi spastico distonica e ritardo mentale; dal 1996 è inserita presso la scuola elementare speciale della
Fondazione Don Gnocchi.
Sin dall’inizio H. ha evidenziato una buona capacità di comprensione ed una forte intenzionalità comunicativa
extraverbale. Il primo programma riabilitativo si è quindi basato su un approccio intensivo (FKT, psicomotricità e
logopedia) che sollecitasse globalmente le sue potenzialità.
Le numerose distonie e l’assenza di linguaggio verbale hanno però indotto i tecnici ad ipotizzare un intervento di
CAA per fornirle degli strumenti alternativi che compensassero i suoi limiti motori ed espressivi.
Si è quindi ipotizzato ed approntato un intervento mirante a farle assumere un ruolo, il più possibile attivo,
adeguato e gratificante nella comunicazione e relazione con gli altri.
Si è agito contemporaneamente su tre versanti:
1) ricerca, analisi, individuazione e proposta di strumenti e tecniche “su misura” per H. Sulla base delle
condizioni fisiche e cognitive di H. si sono proposti strumenti specifici per la comunicazione aumentativa
alternativa ed ausili che facilitassero direttamente o di riflesso la comunicazione. In particolare:





uso di simboli PCS e successivamente di simboli Bliss disposti su una tabella di comunicazione a tre
fogli ed organizzati per categorie;
tecniche di selezione dei simboli diretta (sguardo, dito, caschetto con puntale a fronte e raggio
luminoso orientato con il capo) e indiretta (scansione con indicazione dell’adulto dei simboli sulla
tabella).
uso di comunicatori VOCA
uso del computer e, nello specifico, dei servizi offerti da Internet
Utili, anche se indirettamente, alla comunicazione sono stati:

la creazione di un cavalletto regolabile di una “tavolozza” per colori

l’adattamento di giochi di società

l’uso della carrozzina elettrica.
2) maturazione in H della conoscenza di strategie e regole di comunicazione, arricchimento dei contenuti. Si è
cercato di offrire ad H. opportunità, situazioni ed argomenti comunicativi vari in modo da evitare stereotipie
e rigidità d’uso della tabella (partecipazione in contesti vari e momenti di gruppo, approfondimenti tematici,
integrazione della tabella di comunicazione con nuovi simboli, attività di disegno e pittura)
3) ampliamento dei contesti di comunicazione, dei partners comunicativi e degli stili comunicativi. Si è cercato
di far sperimentare gradualmente la comunicazione con:
 partners comunicativi diversi (insegnante referente, adulti significativi, coetanei, familiari, amici,
persone non conosciute);
 stili comunicativi differenti (comunicazioni di tipo formale e di tipo informale);
 contesti comunicativi vari (scuola, della Fondazione, ambienti extrascolastici, ambiente familiare,
amici, amici “di rete”).
Il progetto ha visto l’intervento sinergico di più professionalità. L’ascolto profondo dell’altro, integrante la sua storia,
l’aspetto “fisico” della malattia, quello psichico, quello sociale è risultato elemento indispensabile per intraprendere il
cammino educativo. Porsi in un rapporto privilegiato con H., mettersi in gioco, accettando l’originalità, valorizzando
gli sforzi comunicativi e il suo protagonismo, ha significato poter cogliere e far emergere i suoi bisogni e desideri di
comunicazione più o meno consapevoli e poterli trasformare in risposte il più possibile soddisfacenti ed adeguate.
Conferenza ISAAC Italy 2005
45
ESPERIENZE DI COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA
IN UN CENTRO SOCIO EDUCATIVO
Andrea Traverso
C.A.R.E.S. onlus (Centro Attività Riabilitative Educative Sociali) – Genova
Il Centro C.A.R.E.S. (Centro Attività Riabilitative Educative Sociali) di Genova si occupa di bambini e giovani ragazzi
con disturbi motori, di linguaggio e di apprendimento, garantendo strutture e servizi socio sanitari per la
riabilitazione funzionale e sociale in regime ambulatoriale e semi-residenziale.
In questi ultimi anni un investito cospicuo, in termini di progettualità e di personale educativo, è stato rivolto al
Centro Socio Educativo, riconoscendo ad esso una valenza pedagogica, sociale e relazionale di estrema importanza.
Le possibilità comunicative dei ragazzi con gli operatori e con l’esterno, ma anche dei ragazzi con i compagni, sono
state oggetto degli interventi e dei cambiamenti più radicali.
La presenza, all’interno del centro di alcuni ragazzi privi di espressione verbale che, già da tempo e grazie al lavoro
delle logopediste in sede ambulatoriale, avevano intrapreso percorsi individuali di C.A.A., ha permesso che anche
all’interno del Centro Socio Educativo alcune tecniche e strategie, proprie della C.A.A., venissero utilizzate con
maggior frequenza e consapevolezza.
La comunicazione in questo modo ha trovato nella sua sede naturale, comunitaria, relazionale, simbolica la
possibilità di essere incrementata ai fini del raggiungimento di una buona autonomia personale e di una
soddisfacente partecipazione alle attività ed alla vita del Centro.
Oggi, all’interno della struttura possiamo trovare:
un utilizzatore di Sistema Bliss, che conosce però anche il sistema alfabetico, e quindi in grado di usare pc e
internet;
una utilizzatrice di Voca, al quale si affiancano tabelle cartacee complementari su argomenti specifici (ad es. le
domande);
due utilizzatori di tabelle cartacee;
un utilizzatore di programma a scansione vocale;
un ragazzo che utilizza alcune strategie proprie della C.A.A. per alcuni singoli compiti (es. il momento della scelta
della merenda).
Proporremo, in maniera sintetica ma significativa, i vari passaggi evolutivi di ciascun ragazzo e dell’intero Centro
(sia per quanto concerne gli operatori-facilitatori sia l’equipe) senza trascurare le difficoltà incontrate, alcune delle
quali derivanti dalla vasta ed articolata gamma di interventi attuati e dagli sforzi compiuti per rendere questo
progetto condiviso da tutti i “protagonisti”.
Andrea Traverso: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
46
PROGETTO SPERIMENTALE DI RICERCA/AZIONE : RILEVAZIONE DEI COMPORTAMENTI
COMUNICATIVI NEL GRUPPO-CLASSE, IN PRESENZA DI STUDENTI CHE FANNO USO DI
STRATEGIE DI COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA (CAA) E COMUNICAZIONE
FACILITATA (CF), TRAMITE UNO STRUMENTO STANDARDIZZATO: LA “TABELLA DI CARTER”
(MODIFICATA DA TOTA E DAMIANI, 2004)
Mario Damiani, Neurologo (1), Loredana Tota, Dottoressa in Psicologia (2)
Parole chiave: CAA, CF, spontaneità della comunicazione, consapevolezza, Tabella di rilevazione dati
PREMESSA TEORICA E RIFERIMENTI IN LETTERATURA
La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) può offrire diversi modi d’accesso alla comunicazione per individui
con particolari difficoltà comunicative; la spontaneità rappresenta un aspetto critico, tenendo anche conto che essa
può misurare la possibilità che la persona eserciti una reale forma di controllo sul proprio ambiente.
Molti individui con severa disabilità richiedono supporti intensivi ed estensivi allo scopo di un’adeguata
partecipazione sociale. Una frequente caratteristica identificata nella comunicazione di queste persone riguarda
proprio la carenza di spontaneità (Calculator e Dallaghan, 1989, Sigafoos e Reichle 1993).
La spontaneità nella comunicazione ha ricevuto due distinti, possibili approcci concettuali.
Il primo la considera come una variabile binaria, poiché l’individuo è visto alternativamente o come spontaneo o
come reattivo, in rapporto agli antecedenti dell’atto comunicativo (Carter e Hotchkis, 2002; Carter et al., 1996).
Il secondo modello interpretativo considera la spontaneità come un continuum (Carter 1992, 2002; Charlop et al
1985).
In questo caso, la spontaneità è valutata in termini d’intrusività o, al contrario, naturalezza degli antecedenti della
comunicazione (Halle, 1987).Per esempio, la comunicazione che segue antecedenti molto intrusivi, come un prompt
fisico o il modellamento da parte del partner, sarebbe considerato un atto comunicativo con basso grado di
spontaneità. Al contrario, la comunicazione innescata da uno stato d’animo sarebbe considerata molto spontanea
perché gli antecedenti della risposta non risulterebbero ovvi all’osservatore.
Il concetto di un continuum offre una serie di vantaggi:

permette di considerare e codificare un largo spettro di eventi antecedenti associabili alla
comunicazione (Carter 2002).

può anche facilitare una migliore analisi della natura della spontaneità comunicativa

può fornire il supporto razionale per strategie d'intervento.
Anche nell’uso di strategie di CAA le persone possono essere reattive o passive nei loro scambi comunicativi.
Sembrano dunque opportune ricerche che studino la spontaneità degli atti comunicativi tenendo conto sia di
modalità non simboliche sia simboliche, a partire dai contesti naturali.
In questa direzione, Mark Carter (AAC Off Journal, 2003, vol. 19 (3) pp 141-154) ha pubblicato uno studio
utilizzando una Tabella, per la valutazione della Spontaneità Comunicativa, che considera sia modalità non
simboliche sia simboliche.
La Comunicazione Facilitata (CF), il cui uso è disciplinato dalle Linee Guida italiane, è definita una modalità di
Comunicazione Aumentativa Alternativa, condividendo anche la problematica relativa alla spontaneità
Complessivamente appare coerente l’uso di uno strumento, come la Tabella di Carter proposta nel progetto, per
codificare gli atti comunicativi registrati durante le osservazioni delle interazioni dei bambini nel contesto scuola. In
un momento storico in cui le scuole, infatti, offrono il loro contributo in termini d’offerta di strumenti alternativi per
la didattica e la comunicazione, ove indicati, è importante verificare che si creino le premesse per incrementare
autenticamente gli scambi comunicativi e, tramite questi, la crescita.
In tal modo si propone un contributo originale con caratteristiche di affidabilità, sia nel “fotografare” il presente che
per trarne spunti di riflessione e strategie di intervento, allo scopo di migliorare la spontaneità comunicativa tramite
modificazioni nelle caratteristiche delle relazioni interpersonali e ambientali in senso più generale. comunicativa.
La ricerca si presenta con caratteristiche quantitative e qualitative.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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La tabella di Carter è stata parzialmente modificata dal dr Damiani e dalla dr.ssa Tota, adattandola alla realtà
italiana e, in particolare, inserendo le voci “contesto”, “momento”, “contenuto” dell’atto comunicativo.
Relativamente all’uso in caso di CF, è stata anche inserita la voce “supporto”.
La tabella è stata già applicata sperimentalmente nella primavera 2004; i primi risultati ci hanno indotto ad
elaborare il Progetto in esame.
L’uso e la condivisione della tabella con le insegnanti si è rivelato un prezioso momento di riflessione sul significato
della “comunicazione”. La tabella si è mostrata una “lente” attraverso la quale i docenti hanno potuto identificare e
ridefinire come atti comunicativi, comportamenti fino allora trascurati. Questo ha portato loro a riconoscere nel
bambino, da un lato, una intenzionalità comunicativa inattesa, dall’altro una “naturale inclinazione” (rispetto alla
quale intervenire) a tradurre il pensiero in agito.
Si è delineata pertanto, la necessità di ridefinire il ruolo del docente in termini di “mediatore” e di “trainer” della
comunicazione, di partner comunicativo consapevole delle difficoltà dell’interlocutore e competente nel fornire
elementi funzionali allo sviluppo di una comunicazione efficace.
A tal fine si è pensato di valorizzare le diverse prospettive attraverso cui leggere “l’efficacia” della comunicazione,
ponendo in primo piano quindi, il punto di vista del bambino, dei compagni e dei genitori, cercando pertanto di
sottolineare la necessità di assicurare al bambino una comunicazione extra-didattica efficace.
Pertanto si è pensato di proporre un questionario al bambino che gli permettesse di esprimere le difficoltà
comunicative che attualmente incontra, e di darci preziose indicazioni su quanto si percepisce “integrato” e
soprattutto “rispettato” come protagonista nelle interazioni.
Infine le posizioni dei compagni e dei genitori, emerse dai questionari che sono stati forniti loro, hanno permesso di
valutate l’efficacia comunicativa del bambino, dall’esterno scegliendo come osservatori i “partners di comunicazione”
per eccellenza di un bambino: i genitori e il gruppo dei pari.
Si sta dunque delineando il passaggio da una mera registrazione temporale di atti comunicativi ad una riflessione
condivisa sulle dinamiche proprie del processo comunicativo.
L’incremento della consapevolezza è mirato a migliorare la qualità dell’osservazione e dell’intervento dei partners
comunicativi.
CARATTERISTICHE DEL PROGETTO DI RICERCA/AZIONE
DURATA: ANNO SCOLASTICO 2004-2005
Preliminarmente ci sono stati degli incontri di formazione sulla CAA e relative strategie, con particolare riferimento
agli studenti coinvolti. I ragazzi che fanno uso (anche) della CF sono già seguiti con supervisione dei facilitatori per
opera di supervisori accreditati dal Coordinamento italiano CF.
Nella prima Fase è stata presentata la RICERCA (CARATTERISTICHE ED OBIETTIVI) E DEL PROTOCOLLO ai
docenti interessati, ai genitori, Assistenti, altri operatori dei Gruppi di Lavoro.
Quindi sono stati identificati gli studenti coinvolti, a partire dalle attuali caratteristiche comunicative nel gruppo
classe. Si tratta di 5 bambini di tre scuole diverse di 2 diversi Comuni (progetto in rete), affetti da Disturbo Spettro
Autistico (3), Disturbo del Linguaggio e grave disprassia (1), Tetraparesi spastica e disartria (1). I bambini
frequentano la I elementare (1), la II elementare (2), la IV elementare (1), la V elementare (1). Sono coinvolti il III
Circolo Didattico di Andria (Ba) e il I Circolo Didattico di Corato (Ba).
Per ciascun bambino è stato presentato e discusso un “profilo” personale e un modello di portfolio.
Nel corso della ricerca due dei 5 bambini hanno usufruito di una rivalutazione specialistica multiprofessionale da
parte di una specialista in Comunicazione Aumentativa Alternativa.
La dott.ssa Tota ha curato l’affiancamento iniziale dei docenti, per la fase di familiarizzazione con la Tabella.
I primi incontri hanno consentito di evidenziare l’interesse dei docenti per la possibilità di un confronto allargato in
cui trovano posto osservazioni oggettive e rilievi personali.
ELABORAZIONE E DISCUSSIONE DEI DATI
E’ previsto un incontro intermedio d’elaborazione dei primi dati e loro discussione.
A fine maggio 2005 avverrà l’elaborazione finale e presentazione dei dati.
Gli OBIETTIVI possono essere così riassunti:
rilevazione standardizzata dei comportamenti comunicativi
analisi contestualizzata degli stessi
- proposte d’intervento per favorire l’ulteriore incremento degli scambi comunicativi con caratteristiche di spontaneità
- trasmissione ai docenti di uno strumento di rilevazione che favorisca il monitoraggio e la riflessione condivisa
della “integrazione attraverso gli scambi comunicativi”
Conferenza ISAAC Italy 2005
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1° QUADRIMESTRE: OSSERVAZIONI
- C., V elementare, disturbo Autistico, CAA/CF
Funzioni Pragmatiche: prevalenza di atti di richiesta.
Molti di questi traducono il desiderio di prendere parte ad attività ludiche e no, condivise con i compagni. Si rileva la
presenza di atti comunicativi volti alla descrizione di stati d'animo, in una percentuale non trascurabile.
Questo rivela lo sviluppo della capacità introspettiva del bambino e della possibilità di potenziarla destinando
maggiore spazio alla comunicazione con i pari.
La netta prevalenza di atti comunicativi positivi riflette il livello di condivisione sociale ed emotiva raggiunta dal bambino.
Antecedenti Comunicativi: la distribuzione degli antecedenti (B e D) nel corso delle prime 10 osservazioni è nel
complesso omogenea.
Nelle ultime 6 rilevazioni (15/12/04- 21/01/05) si nota una maggiore variabilità negli antecedenti, in relazione alla
tipologia dei contenuti degli atti comunicativi e alla modalità con cui vengono espressi.
Gli antecedenti comunicativi hanno riguardato sostanzialmente DOMANDE (netta prevalenza di domande di
chiarimento), ma vi sono anche frequenti atti comunicativi che vedono come antecedente la semplice presentazione
del sistema comunicativo.
In alternativa, essi erano rappresentati dal Contesto Naturale e dalla Presenza del Partner.
In quanto ai Contenuti, c’è un’alta percentuale di atti comunicativi volti ad esprimere un bisogno fisico, destinati
all’Assistente Educatrice e all’Insegnante di sostegno, ma anche una notevole percentuale di atti comunicativi volti
alla semplice socializzazione, rivolti all’Assistente Educatrice e ai Compagni.
L’Assistente Educatrice è coinvolta in atti comunicativi relativi alle aree pertinenti al suo ruolo: sviluppo delle
autonomie e delle competenze sociali del bambino.
Luoghi- Momenti: la maggior parte degli atti comunicativi si è svolta in classe, nella prima parte della mattinata.
Nonostante la maggioranza delle comunicazioni sia avvenuta durante le lezioni, si rileva una considerevole
percentuale anche durante la ricreazione (dato che conferma l’impegno a garantire questo come momento
“privilegiato” per interagire con i compagni).
Modalita’: si evidenzia una notevole omogeneità nella distribuzione degli atti comunicativi in base alla modalità
(simbolica/ non simbolica-corporea) attraverso cui sono stati espressi, e la tendenza ad usare la modalità
"corporea" per esprimere notevole disagio o rifiuto.
I dati riflettono, da un lato, l’abilità acquisita dal bambino nell’utilizzo della CF e CAA (per esprimere bisogni,
condividere stati d’animo e pensieri al di fuori della didattica), dall’altro c’inducono a riflettere sul ruolo assunto dal
contenuto dell’atto comunicativo, dalla motivazione e dal tono emotivo-affettivo nella “scelta”della modalità
utilizzata.
- G., V Elementare, Disturbo Autistico, CF (facilitazione Nuca –Spalla) /CAA/ linguaggio verbale
Funzioni Pragmatiche: la funzione pragmatica di protesta è rilevata in tutte le giornate d’osservazione è agita
prevalentemente attraverso comportamenti inadeguati e di disturbo, ma reattiva alla frustrazione di una precedente
richiesta espressa con modalità simboliche.
Antecedenti: Costante prevalenza di atti comunicativi dettati da bisogni personali e disagio psico-fisico.
Contenuti: c’ è un’alta percentuale di atti comunicativi volti ad esprimere un disagio, rivolti prevalentemente all’Ins.
Di Sostegno e in modo non trascurabile ai Compagni.
I contenuti comunicativi prevalenti, eccetto il saluto sociale, sono riferiti alla sfera personale. Non sono da
trascurare, tuttavia, il saluto sociale e le richieste di partecipazione alle attività di classe, in quanto segnalano
apertura sociale. In particolare si segnala la distribuzione dei destinatari di tali atti comunicativi, che vede la
prevalenza dei compagni come partners comunicativi. Risulta basso, tuttavia, il numero di comunicazioni volte a
chiarire i comportamenti del bambino ( tendenza ad interpretare).
Luoghi e Momenti: se da una lato, la classe (durante le lezioni) è il luogo dove avviene la maggior parte delle
comunicazioni, queste riguardano prevalentemente aspetti convenzionali e prevedibili (saluto, richiesta bagno,
merenda, bisogno di uscire, commiato), le rilevazioni effettuate in altri momenti e luoghi (gita scolastica, attività
motorie..) offrono la possibilità di osservare nuovi contenuti, certamente più spontanei, imperniati su stimoli
prevalentemente emotivi.
Modalita’: le modalità non simboliche (corporee) sono le più frequenti e, come prevedibile, vedono gli antecedenti
naturali come prevalenti.
Tuttavia, l’utilizzo della CF e CAA, seppur per domanda del partner comunicativo, è funzionale a superare l’ostacolo
dovuto ad un linguaggio ecolalico e non attendibile e a comportamenti “incomprensibili”.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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M., I elementare, Disturbo Autistico, CAA/CF
Funzioni Pragmatiche: prevalenza del saluto sociale; frequenti la protesta, i segnali di disagio, rifiuto e impazienza.
Da notare che l'oggetto delle RICHIESTE non è mai stato concreto, ma riguardante ATTIVITA' (storia da ascoltare,
ritorno in classe con i compagni, uscita per una passeggiata).
Antecedenti Comunicativi: La quantità totale di antecedenti comprende sostanzialmente 2 Gruppi;
B= SUGGERIMENTO COMUNICATIVO GENERALIZZATO (domanda, ordine imperativo, presentazione sistema
comunicativo, aspettativa) e D=SUGGERIMENTI NATURALI (presenza dell'oggetto, presenza referente attività,
presenza partner, contesto naturale).
Il meccanismo più frequente sembra quello di un disagio, legato in particolare alla fase d’adattamento scolastico,
tempi di lavoro, che innesca comportamenti-problema; il partner comunicativo usa la strategia comunicativa per
domande (fondamentalmente di chiarimento). Buono l'andamento delle opportunità di scelta.
Contenuti e Partners: c’ è un’alta percentuale di richieste d’attenzione, destinate all’Assistente Educatrice; questa e
l’Ins. Sostegno realizzano la quasi totalità delle comunicazioni.
Quest’ultima si propone per discutere dissensi/rifiuti, ma anche stati d'animo e spiegazioni di Comportamenti.
Azioni da intraprendere: Aumentare il ruolo di potenziamento di scelte (giochi, compagni, attività) e interazioni
comunicative, spiegazione comportamenti, per l’Assistente Educatrice.
Aumentare il ruolo di potenziamento di scelte e interazioni comunicative per l’ins. Sostegno.
Porre attenzione allo sbilanciamento affettivo verso l’Assistente Educatrice.
Modalità: L'alto numero di modalita' gestuale confermerebbe la tendenza a trasformare in "agito" il disagio, salvo
poi essere disponibile a "chiarimenti" su "domanda", opportunità ben sfruttata dai partners comunicativi che
preferiscono, a ragione, la tabella di comunicazione con immagini, che M. usava in autonomia (mentre proseguiva il
training di letto-scrittura).
S., I elementare, CAA/CF, Disturbo verbale e motorio
Funzioni Pragmatiche: gli atti comunicativi registrati sono stati molto numerosi; tra questi spiccano le varie forme di
saluto, espresse soprattutto nella modalità mimica gestuale; S. ha risposto a domande usando le tabelle di
comunicazione tramite indicazione, soprattutto durante la ricreazione, per la merenda e per indicare l’educatrice
come figura di supporto. Ugualmente ha risposto a domande, indicando sé, oggetti personali, la porta, l’ascensore
ecc.
Le Richieste, sempre con indicazione su tabella, hanno riguardato il voler uscire dalla classe, l’igiene personale,
bisogni personali,oggetti scolastici, richiesta di compagnia.
Modalità: quelle prevalenti sono state mimico-gestuali, per le espressioni immediate di sentimenti, compresi molti
gesti comuni; frequente l’uso delle tabelle di comunicazione.
Queste ultime sono usate non solo in modo agganciato all’attività in corso, ma anche per richiedere altre attività (ad
esempio ascoltare musica, ballare): tali ultime eventualità sono facilitate dalla salienza dell’oggetto e dalla sua
effettiva disponibilità.
Partners: spicca l’educatrice, ma sono ben rappresentati l’insegnante di sostegno, a seguire quelle curriculari, infine
i compagni.
Nel caso di S., la tipologia delle Facilitazioni ha riguardato il Contenimento dell’impulsività (con inibizione dell’arto
interferente), il Modellamento del gesto d’indicazione, la Coordinazione occhio-mano, il Posizionamento dei targets
adeguato dal punto di vista percettivo, adeguati Input verbali, Ritmo nel pattern motorio “sguardo-indicazionecontrollo”, il Posizionamento dei targets sotto un velo di plastica per ovviare la compulsione al grasping.
Luoghi: pur con la netta prevalenza dell’ambiente -classe, risultano ben rappresentati anche i diversi laboratori,
altre aule, i corridoi.
Momenti: in assoluto spicca la ricreazione; seguono, a debita distanza, l’arrivo e uscita dalla classe, le attività didattiche.
Contenuti: La richiesta riguarda cose,più spesso attività,che in genere incontrano il consenso dell’interlocutore
per l’appropriatezza del momento; la Volontà espressa da S.riguarda desideri, talora senza seguito per il motivo
opposto ma con buona tolleranza della frustrazione; con Abilità Sociale si intendono scambi comunicativi attinenti la
costruzione/educazione allo stare insieme secondo regole condivise; Spiegazione: S. è stata sollecita a fornire
spiegazioni, il che asseconda lo spirito delle abilità pragmatiche del linguaggio comunicativo secondo Halliday.
Consenso: S. ha chiesto il rispetto per ciò che lei permette o no che si faccia con lei o a lei, e spesso si tratta dei
compagni.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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A., I elementare, Tetraparesi spastico-distonica e disartria; CAA
Funzioni pragmatiche: riguardavano soprattutto il salutare, le richieste di cose o attività, espressioni di contentezza,
volontà di partecipazione.
Antecedenti: risultavano equamente distribuiti tra suggerimenti comunicativi generalizzati e suggerimenti naturali.
Contenuti: oltre al saluto sociale, erano molto presenti l’espressione di una volontà di azione diretta sul PC
(videoscrittura con scansione), un interesse diffuso per le attività con espressione di volontà di intervento
all’insegnante curriculare, stanchezza,contentezza o disagio espresse in modo trasversale ai vari interlocutori, abilità
di fornire spiegazioni, quando richieste.
Momenti: si è notata una scarsa interazione con i compagni durante l’intervallo.
Modalità: ugualmente suddivise tra verbali (simboliche) e non: in effetti, nel questionario S. dice di non avere tanti
problemi ad esprimere i suoi sentimenti, quanti nell’affermare le sue ragioni (occorre tener conto che la disartria,
lieve, è complicata dall'ipofonia).
PRIME OSSERVAZIONI SUI DATI DEL II QUADRIMESTRE
Al momento si dispone dei dati relativi a S.
- S., I elementare, CAA/CF, Disturbo verbale e motorio
Dal primo esame dei dati trasmessi, si notano i seguenti elementi significativi:




Comparsa del linguaggio verbale (“tao tao” per “ciao ciao”)
Conferma dell’uso dell’indicazione d’immagini su tabella comunicativa per la scelta di attività
Conferma del canale mimico gestuale associato all’indicazione per confermare al partner comunicativo
l’avvenuta comprensione del contenuto, ad esempio con le insegnanti
Comparsa di interazione con i compagni, nel corso di attività, con sequenze complesse: sguardo,
indicazione del compagno, indicazione dell’oggetto su cui agire (colore,disegno)
Tali rilievi contribuiscono a ricordare alcuni elementi importanti:
1. per ognuno degli utenti della CAA/CF non sono state precluse altre forme di allenamento della
funzione comunicativa, compresa quella verbale;
2. si è cercato di privilegiare l’espressione di volontà e idee personali;
3. le “facilitazioni” possono e devono essere di diverso tipo e sempre “personalizzate”,dirette all’
autonomia
4. la CAA e la CF si rifanno al principio della comunicazione multimodale
5. la valutazione ed il monitoraggio dovrebbero coinvolgere persone esperte
6. la persona può essere allenata a sequenze comunicative man mano più complesse, nei contesti e
con i partners naturali
7. la comunicazione è uno strumento di crescita
Il gruppo famiglia è una risorsa fondamentale; insegnanti e terapisti, con gli operatori sanitari, dovrebbero restare
aperti all’osservazione e al confronto multidisciplinare.
Cogliamo l’occasione per ringraziare quanti hanno reso possibile questa ricerca-azione, in primis le Dirigenti
Scolastiche, prof.ssa Angela Ribatti di Andria e Isa Balducci di Corato; con loro, il nostro grazie va alle insegnanti,
alle educatrici, alle famiglie e,ovviamente, ai ragazzi stessi, veri protagonisti e ispiratori di una ricerca sempre
aperta e di un’azione pronta a mettersi in discussione.
PROPONENTI:
(1) DR DAMIANI MARIO GIOVANNI, Neurologo del Centro di Riabilitazione “Quarto di Palo” di Andria,referente del Facilitated
Communication Institute (Facilitated Communication Resource Directory); membro del Coordinamento Italiano dei Gruppi per la
Comunicazione Facilitata; socio della ISAAC International e della ISAAC Italy; moderatore della Lista internet di discussione sulla
Comunicazione Facilitata
(2) DOTT.SSA TOTA LOREDANA, dottoressa in Psicologia; Tesi di laurea su “Autismo e Comunicazione Facilitata”; ha
sperimentato, da febbraio ad aprile 2004, la tabella di Carter nel corso di alcune osservazioni in una classe di II elementare del
III Circolo Didattico di Andria
Mario Damiani: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
Loredana Tota: [email protected]
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APPENDICI:
1. TABELLA DI CARTER Panoramica della Struttura delle Classi variabili e delle categorie codificanti
(fonte: AAC Augmentative Alternative Communication Official Journal, vol 19, N 3, sept 2003, p
145)
Classe Variabile
Categoria codificante
Caratteristiche degli Atti Comunicativi
Funzione pragmatica
Salutare
Commiato
Richiedere
Offrire
Respingere/protestare
Altre
Linguaggio verbale
Segni
Grafica
Tangibile
Altre simboliche
Non simboliche
Tocco-raggiungimento
Estendere/spingere
Puntare/indicare
Gesti comuni
Comportamenti di sfida
Compagni (pari)
Insegnante
Altri
Modalità
Modalità Non simboliche
Partner
Antecedenti
Prompt diretto
Prompt fisico
Prompt su modellamento
Istruzione
Domanda
Ordine imperativo
Presentazione del sistema comunic.
Aspettativa
Modellamento
Commenti
Gesti
Salienza dell’oggetto/attività
Salienza del partner
Presenza dell’oggetto
Presenza del referente dell’attività
Contesto naturale
Presenza del partner
Suggerimento comunicativo generalizzato
Evidenziazione dello stimolo
Suggerimenti naturali
Conferenza ISAAC Italy 2005
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POSTER
Conferenza ISAAC Italy 2005
Indice dei Poster
Comunicazione Aumentativa ed Alternativa: una storia…………………………………………………..…………….pag. 53
Luciana Di Natale, Francesca De Vidi
Una conquista straordinaria W528…………………………………………………………..………………..…………………...pag. 55
Marcello Frignani
Lavoriamo insieme sul percorso di una fiaba:
laboratorio di C.A.A. sulla fiaba di Hansel e Gretel……………………………………..…………………………….…...pag. 56
Gabriella Veruggio, Alessandra Schiaffino, Sonia Oldrini. Grazia Scarioni
Storie, favole, racconti: leggere con i bambini e le bambine disabili
con difficoltà motorie e di comunicazione………………………………………………………………………………….……pag. 57
Alessandra Schiaffino, Gabriella Veruggio
L’intervento di Comunicazione Aumentativa in una bambina affetta da
Amiotrofia Muscolare Spinale di Tipo I……………………………………………………………….…………………….……pag. 58
Eleonora Bergamaschi, Mario Albani, Lucia Lanzini, Mara Marini, M.Antonella Costantino
Intervento di C.A.A. in una struttura residenziale:
la Comunità Alloggio dell’Uliveto………………………………………………………………………………………………….…pag. 62
Claudia Jalla, LauraCastellani, Lucio Cassinelli
Progettare opportunità di partecipazione comunicativa……………………………………..……………………...…pag. 63
Stefania Murra
Comunicazione e qualità della vita nelle persone con
Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)……………………………………………………………………………………..............pag. 64
Alessandra Schiaffino, Giovanna Gradino, Sebastiana Nieddu, Chiara Patrone, Romina Truffelli
Giocare e comunicare in gruppo:
la costruzione del simbolo durante il gioco e le attività………………………………………….………………….….pag. 65
Anna Molteni, Giuseppina Castellano, Liguori Amantis
La C.A.A. in Trentino: l’esperienza all’interno dell’Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari……………………………………………………………………………………….............…pag. 66
Fabio Bazzoli, Angela Berti, Daniela Bonadiman, Flavia Briani, Cristina Bruseghini, Mercedes Dal Piaz
Il modello italiano di C.A.A. per la disabilità verbale
con elevato grado di necessità comunicativa…………………………………………………..……………..………………pag. 68
Marco Gagliotta
Differenti modalità di proposta della C.A.A. nella realtà
dell’ambulatorio “Piccoli” della cooperativa sociale a
marchio ANFFAS “Genova Integrazione”: alcune esperienze………………………………………………………..pag. 69
Umberta Cammeo, Angela Canepa
Conferenza ISAAC Italy 2005
COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA: una storia
Luciana Di Natale*, Sig.ra Francesca De Vidi**
Introduzione
Il trattamento logopedico nei disturbi della comunicazione in età evolutiva mira al recupero delle funzioni
linguistiche sia a livello di comprensione che di produzione. Gli sforzi terapeutici sono per lo più rivolti alla conquista
del linguaggio orale.
Questo sembra essere l’indirizzo attuale anche se la logopedia ha assunto in questi ultimi anni una valenza di
intervento esteso alla prevenzione e al recupero di ogni forma di linguaggio che possa agevolare la comunicazione
umana.
Così come viene definito dal profilo professionale del Logopedista, che specifica l’area di attività professionale “nella
prevenzione e nel trattamento riabilitativo di tutte le patologie del linguaggio e della comunicazione”.
Anche nel codice deontologico del logopedista, nell’obiettivo di perseguimento di salute della persona viene preso in
considerazione l’utilizzo di “metodiche alternative utili alla comunicazione e all’inserimento sociale” (Federazione
Logopedisti Italiani, 1999).
Ci troviamo talvolta di fronte alcuni casi in cui è preclusa ogni possibilità di accesso al linguaggio articolato e per i
quali è necessario trovare soluzioni comunicative diverse dalla parola.
Nella nostra “storia” ci siamo trovati di fronte proprio ad una bambina con un grave deficit nel linguaggio articolato,
per la quale abbiamo trovato soluzioni comunicative introducendo
 Un approccio di Comunicazione Aumentativa e Alternativa
Storia clinica
V. presenta Sindrome di De George, ( operata due volte, alla nascita e a 24 mesi per tronco arterioso comune ed
interruzione dell’arco aortico) e Sindrome di epilessia severa dell’infanzia, (crisi convulsive anche bisettimanale fino
a 6 anni di vita, poi solo in caso di febbre.
V. ci lascia a causa di una forte aritmia all’ età di 8 anni .
Modalita’ comunicative preesistenti
All’età di 5 anni e 6 mesi V. intraprende un progetto di C.A.A.
Dalla valutazione emerge che V.:
 è motivata a comunicare;
 tenta di comunicare e talvolta desiste se non è capita;
 articola solo amà e apà per dire mamma e papà;
 i familiari la comprendono interpretando gesti e comportamenti;
 quando vuole un oggetto che non è alla sua portata si dirige verso l’oggetto, lo guarda, lo indica o porta.
l’adulto verso di esso;
 è in grado di scegliere attivamente tra due o più oggetti;
 non mostra frustrazione se non viene capita;
 usa una decina di gesti comprensibili solo alle persone più familiari;
 è in grado di indicare con l’indice della mano destra;
 esprime con la mimica del viso tristezza, gioia, dolore,…;
 è in grado di rispondere a domande che richiedano come risposta si o no in modo comprensibile a tutti con
il movimento del capo;
 saluta e manda baci con la mano e socializza facilmente con le persone sia familiari che con quelle appena
conosciute;
 è interessata ai libri, ne sfoglia le pagine , guarda le figure e le indica;
 risponde se è chiamata fermandosi e guardando la persona;
 comprende ordini semplici e qualche consegna più complessa;
 è in grado di chiedere e di riferirsi solo a persone e cose presenti nell’ambiente.
Intervento logopedico
1 seduta settimanale in ambulatorio con la presenza della mamma;
1 seduta presso la scuola materna durante le normali attività della classe;
Incontri periodici tra operatori del servizio, operatori scolastici e famiglia.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Obiettivi dell’intervento
•Abituare V. ad usare gli strumenti comunicativi che gradualmente vengono proposti, integrandoli con le modalità
comunicative naturali, durante attività interattive di gioco e di lettura di immagine.
•Ampliare il lessico, aggiungendo nuovi simboli sulla tabella sfruttando ogni nuova esperienza
•Offrire alla famiglia e alla scuola un modello comunicativo interattivo con l’utilizzo dei nuovi strumenti e indicazioni
tecniche per facilitarne l’uso.
Strumenti comunicativi propostiTabella di comunicazione personale con simboli P.C.S. e fotografie.




Tabelle a tema a casa e a scuola
VOCA tipo VOCAFLEX della KHYMEIA
Software CLICKER 4 e programmi per l’apprendimento scolastico.
Tastiera facilitata “Big Keys Plus”
Ora dico anch’io
Dopo 2 anni di trattamento dalla rivalutazione emerge che V.:
 E’ in grado di integrare le modalità comunicative unaided (mimica, gesto, parole articolate) con quelle aided
(tabelle di comunicazione, voca e computer).
 E’ molto più incisiva nel comunicare ed insiste finchè non viene capita
 E’ in grado di riferirsi a persone, cose e attività anche se non sono presenti nell’ambiente.
 Riesce a rispondere a domande indicando uno o più simboli.
 Può rievocare un vissuto, esprimere i suoi sentimenti e chiedere con fermezza quello che le piace di più.
 Con il VOCA può far sentire la sua voce per chiedere a tavola ciò che preferisce; può inserirsi in modo attivo
quando l’adulto le legge una storia a lei nota, può “cantare” insieme alla mamma la sua canzoncina
preferita
 Con l’ausilio del computer e di specifici software di apprendimento è riuscita ad apprendere tutte le lettere
dell’alfabeto e incomincia a comporre le prime parole utilizzando il computer con tastiera facilitata o
indicando su una tabella alfabetica. Le piace a tal punto questo “gioco” che riesce ad articolare le vocali e si
sforza di pronunciare anche qualche consonante. Usa i suoi simboli nelle abituali attività scolastiche.
Inizialmente i simboli vengono tagliati e incollati sul quaderno, aiutata dall’adulto, per fermare sulla carta
ciò che lei dice indicando sulla tabella. In seguito i suoi testi con l’utilizzo del Clicker 4 vengono prodotti e
stampati con maggiore facilità e inoltre può “leggere“ ai compagni il proprio testo usando l’uscita in voce .
Conclusioni
V. con il suo ditino lento e deciso, puntando le immagini della sua tabella e del suo VOCA è riuscita a dire parole
che altrimenti non avrebbe mai potuto pronunciare.
Era sicura dei suoi strumenti e aveva imparato a chiedere con insistenza le cose che più le piacevano: i biscotti; il
suo cartone preferito; di andare al mulino a lanciare i sassi; a riferire le proprie esperienze e ad esprimere i propri
sentimenti.
Scegliendo l’approccio di C.A.A. abbiamo potuto “spezzare le barriere della parola”, offrendo anche a V., che di
parole ne pronunciava solo due, un’autonomia comunicativa che le consentiva di essere compresa non solo in
famiglia e a scuola, ma anche in ogni ambiente in cui avesse occasione di andare.
Sono ancora pochi i bambini che possono usufruire di questo approccio.
In Italia la C.A.A. è ancora poco conosciuta e poco diffusa in ambito riabilitativo. Solo di recente l’ambiente
riabilitativo incomincia ad integrare le metodologie “classiche” con interventi mirati ad incrementare le possibilità
comunicative in persone con gravi deficit del linguaggio articolato.
Anche l’ambiente accademico italiano è in ritardo rispetto alla formazione e alla diffusione di questo tipo di
approccio; solo da qualche anno alcuni corsi universitari prevedono insegnamenti specifici sulla C.A.A., spesso
limitata alla sola Lingua dei Segni o agli ausili per i disabili motori.
Speriamo che la storia di V. possa sollecitare altri logopedisti a condividere con altri bambini storie comunicative
possibili anche per chi ha preclusa la via della parola.
*Log. Luciana Di Natale
Servizio Distrettuale Integrato per l’Età Evolutiva ULSS 9 Treviso
e-mail: [email protected]
**Sig.ra Francesca De Vidi (genitore)
Addetta alla comunicazione
e-mail: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Una conquista straordinaria W528
Marcello Frignani*, Ferrara
Marcello è una ragazzo in carrozzina che ha partecipato alla maratona di New York del 2003. da
quella esperienza è nato un libro** scritto da Marcello con il sistema simbolico Bliss.
*Marcello Frignani è persona che utilizza la CAA.
** Una conquista straordinaria – Marcello Frignani
Maurizio Tosi Editore (2004)
Reperibile presso
Assessorato Pubblica Istruzione del Comune di Ferrara
Via Calcagnini 5 – 44100 Ferrara
CSA Provincia di Ferrara
Via Madama 35 – 44100 Ferrara
e-mail : lo [email protected]
Paolo Frignani: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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LAVORIAMO INSIEME SUL PERCORSO DI UNA FIABA:
LABORATORIO DI CAA SULLA FIABA DI HANSEL E GRETEL
Gabriella Veruggio*, Alessandra Schiaffino**, Sonia Oldrini***. Grazia Scarioni****
* fisioterapista/terapista occupazionale **psicologa *** logopedista **** educatore
Centro Benedetta d’Intino – Milano
Parallelamente all’intervento di CAA sul singolo bambino, il CBDI organizza periodicamente anche attività in gruppo
a cui partecipano bambini con varie disabilità ( deambulanti ed in carrozzina e con patologie diverse) e con bisogni
di CAA. La fiaba ha costituito un ottimo “sfondo integratore fantastico”, che ha fornito numerosi spunti ed
occasioni di scambi comunicativi e di attività tra pari disabili ed un primo avvio alla Literacy.
La fiaba è stata “smontata” in varie sequenze/episodi che sono stati spunti “di opportunità” diverse nei vari incontri.
Ad ogni “puntata” veniva letto un solo episodio, ampliandolo con un laboratorio connesso alla tematica dell’episodio
stesso. Si sono creati vari laboratori a) sul bosco, creando un murales/collage sul bosco, b) sulla casa fatta di dolci
della strega, facendo un laboratorio di cucina sui biscotti che poi sono stati attaccati ad una piccola casa in cartone
c) sulla cucina della strega, creando un forno in cartone in cui i bambini hanno potuto “spingere” la strega dopo
aver deciso come costruirla e realizzando anche un “brodo” della strega in cui hanno gettato oggetti e simboli delle
cose “che non piacciono/cose schifose!”. La partecipazione alla attività era sostenuta anche dalla creazione di
tabella a tema sulle attività stesse.
All’inizio di ogni incontro è stato organizzato un momento di saluti, scambi tra i bambini e di racconto di eventi
della settimana precedente (CIRCLE TIME).
Al termine di ogni “episodio” veniva lasciato del tempo per descrivere/raccontare l’episodio e/o cosa si era fatto,
utilizzando simboli PCS e creando un piccolo libro di Hansel Gretel con un “doppio codice” (testo della favola e testo
in PCS).
Gli incontri si sono conclusi con la lettura della intera favola di Hansel e Gretel a cui i bambini hanno partecipato con
i VOCAs a più messaggi. E’ stato anche organizzato il gioco di “Fuoco, fuoco, fuochino, freddo..” in cui ,a coppie,
un bambino guidava l’altro (utilizzando un VOCA) nel trovare il “tesoro” della strega.
Il video di questa esperienza è stato anche utilizzato come spunto per aiutare gli insegnanti ad implementare simili
opportunità nel loro contesto quotidiano. Il poster illustra le fasi di preparazione di questo laboratorio, le attività
proposte, i materiali utilizzati e presenta varie considerazioni sull’esperienza di intervento di CAA in piccoli gruppi di
bambini con disabilità comunicative.
Centro Benedetta d’Intino: [email protected]
Gabriella Veruggio: [email protected]
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STORIE, FAVOLE, RACCONTI : LEGGERE CON I BAMBINI E LE BAMBINE
DISABILI CON DIFFICOLTA’ MOTORIE E DI COMUNICAZIONE
Alessandra Schiaffino *, Gabriella Veruggio**
*Psicologa, Laboratorio di C.A.A. CLIVIA , ASL 3 Genovese, fisioterapista/terapista ocupazionale Centro Benedetta d’Intino , Milano
Il Poster illustra un’esperienza di formazione condotta dalle autrici con un gruppo di insegnanti delle Scuole
dell’Infanzia e dei Nidi del Comune di Genova.
Cronologia
L’attenzione per la lettura con i bambini disabili, in particolare con problemi motori e di comunicazione, e la
successiva organizzazione di una serie di iniziative informative e formative, nasce da alcuni eventi ed incontri.
Tutto comincia nel 1998 a Dublino, nel corso della Conferenza Biennale Internazionale ISAAC. A seguito
dell’incontro con Sally Millar, che da anni si occupa dell’avvio alla Literacy nei bambini con bisogni di CAA al Call Centre di
Edimburgh (1), e all’acquisto di materiali prodotti da questo Centro (un video “Special Access to Interactive Literacy”, cui è
allegato un opuscolo per i genitori dal titolo “Reading with children with Communication Difficulties”), le autrici iniziano ad
approfondire tale tematica, traducendo questi opuscoli e iniziando a realizzare materiali per facilitare l’accesso alla lettura.
Nel 1999, il tema dei libri in CAA viene introdotto all’interno del Seminario “Battere, sfiorare, indicare, pigiare, giocare,
comunicare, scrivere” (Scuola di Formazione in CAA del Centro Benedetta d’Intino di Milano) presentando soluzioni e
strategie per facilitare l’accesso alla lettura. Nel 2000 al Centro Benedetta d’Intino, dove dal 1997 vengono organizzati
gruppi di gioco e comunicazione, viene organizzato un Laboratorio intorno alla Fiaba di Hansel e Gretel a cui partecipano 5
bambini con bisogni di CAA.
Nel 2001 e 2002, proseguendo la consolidata collaborazione tra ASL 3 Genovese e Servizio O-6 del Comune di
Genova, per il sostegno all’integrazione dei bambini disabili motori nelle scuole dell’Infanzia e nei Nidi del Comune
di Genova , viene organizzato il corso biennale “ Leggere con i bambini e le bambine disabili” .
Premesse
I libri sono importanti per lo sviluppo dei bambini. I libri collegano le bambine e i bambini con il mondo, con il proprio
mondo, con nuovi mondi. Le illustrazioni e le storie li trasportano in situazioni che espandono le loro conoscenze, la loro
esperienza e la loro immaginazione. Leggere i libri (e specialmente leggere lo stesso libro più volte) è un potente mezzo per
sostenere ed espandere comunicazione e linguaggio. La lettura è inoltre un importante momento di interazione. L’ora del libro
è un’occasione, è un momento e un luogo di incontro dove l’adulto e il bambino o i bambini possono stare bene insieme.
Le bambine e i bambini disabili hanno bisogno quanto e più degli altri di accedere a questo mondo e rischiano di
esserne esclusi.
Il Corso : Leggere con i bambini e le bambine disabili con difficoltà motorie e di comunicazione
A Genova da molti anni i nidi e le scuole dell’infanzia, pongono grande attenzione alla lettura in età precoce
coinvolgendo direttamente anche le famiglie. I Nidi e le scuole dell’infanzia genovesi accolgono un gran numero di
bambine e bambini disabili anche con disabilità multiple e complesse. Con un corso su lettura e disabilità si è voluto
creare un ponte tra competenze e sensibilità che non avevano trovato ancora modo di integrarsi.
Il corso, biennale, è stato strutturato con incontri distribuiti nel corso dell’anno in modo da lasciare tempo per
sperimentare e farsi venire idee. Nel primo anno sono stati organizzati 10 incontri e nel secondo, 8 incontri, che si
sono conclusi con seminario finale aperto a tutte le scuole di Genova.
Durante questi incontri si sono raccolte le esperienze delle insegnanti sulla lettura in generale nella prima infanzia,
riflettendo insieme a loro sulle difficoltà di accesso ai libri e alla lettura nei bambini con disabilità e sulle possibili modalità
(modifiche dell’approccio, strategie, facilitazioni) per “leggere insieme” Una parte degli incontri è stata dedicata a veri e
propri “Laboratori pratici di modifica dei libri”. Infine si è cercato di riflettere insieme su come “passare” quello che si era
capito ed appreso, a familiari, insegnanti, operatori socio-educativi. Tra le varie soluzioni individuate vi è stata anche la
creazione di una “valigia delle idee”, contenete libri modificati, un semplice leggio, sistemi voltapagina, opuscoli di
spiegazione ed un video “Leggere con i bambini e le bambine disabili”.
Il Poster illustra anche, tramite immagini, le varie possibilità di adattamento dei libri, le strategie e le soluzioni per facilitare
la partecipazione alla lettura anche nei bambini con difficoltà di comunicazione tramite l’introduzione di tabelle e VOCAs, e
spunti per nuove iniziative a sostegno dell’accesso alla lettura anche per gli adulti con bisogni di C.A.A. (2)
Alessandra Schiaffino: [email protected]
Per saperne di più…
Gabriella Veruggio: [email protected]
(1) Call Centre : www.callcentrescotland.org.uk
(2) Libraries for all: www.scopevic.org.au
Alcuni materiali presentati nel poster saranno in futuro inseriti e scaricabili dal sito di ISAAC Italy: www.isaacitaly.it
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L’INTERVENTO DI COMUNICAZIONE AUMENTATIVA IN UNA BAMBINA
AFFETTA DA AMIOTROFIA MUSCOLARE SPINALE DI TIPO I
Eleonora Bergamaschi°, Lucia Lanzini°, Mario Albani°, Mara Marini°, Maria Antonella Costantino*
* IRCSS Fondazione del Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena ° Azienda Ospedaliera di Treviglio
Riassunto
Vi sono bambini ed adolescenti affetti da gravi problemi di salute, che divengono dipendenti a lungo termine dalla
presenza di tecnologie avanzate (ventilazione assistita, PEG etc) per garantire la sopravvivenza. Fino a qualche
tempo fa essi finivano per trascorrere in regime di ricovero la maggior parte della propria breve vita. Il progressivo
miglioramento dell’assistenza ha consentito da un lato la domiciliarizzazione e dall’altro sopravvivenze sempre più
prolungate, che richiedono maggiore attenzione alla qualità di vita del bambino e della famiglia ed alla loro
integrazione nel contesto di appartenenza.
La frequente buona intelligenza di base, la pervasività e precocità del danno motorio, la continua presenza di
interventi medici e infermieristici invasivi, i ricoveri ripetuti, il rischio di chiusura difensiva nei confronti dell’ambiente
esterno e l’incredibile carico assistenziale quotidiano per la famiglia richiedono un intervento di CAA molto precoce
ed allo stesso tempo attentamente calibrato.
Gli autori descrivono l’intervento di comunicazione aumentativa messo in atto a domicilio per una bambina affetta
da AMS di tipo I dai 6 mesi ai 7 anni di età, i passaggi critici affrontati e gli snodi decisionali.
Introduzione : Cos’è l’Atrofia Muscolare Spinale
Le atrofie muscolari spinali (SMA) sono un gruppo di malattie ereditarie in cui vengono colpite le cellule nervose
delle corna anteriori del midollo spinale. Esistono diverse forme di SMA, che vengono distinte in base alla gravità
della malattia, all'età d'esordio e al modo di trasmissione. In genere, prima compaiono i sintomi, tanto meno
favorevole è la prognosi. Nella SMA di Tipo I (malattia di Werdnig-Hoffman) l’esordio è nei primissimi mesi di vita e
la morte è attesa nel primo anno, salvo che venga introdotta la ventilazione assistita. La compromissione motoria è
molto grave ed i movimenti residui sono estremamente limitati, mentre l’intelligenza è perfettamente conservata. La
malattia ha trasmissione autosomica recessiva ed il gene responsabile è stato identificato sul cromosoma 5.
Storia di L.
Secondogenita, con un fratellino di 13 mesi più grande. A 2/3 mesi ipotonia generalizzata, a 4 mesi diagnosi di
SMA1, a 5-6 mesi primi scompensi respiratori, seguiti da tracheotomia e ventilazione assistita.
Dai 6 ai 9 mesi ricovero in Patologia Neonatale
A 8 mesi, durante la degenza in PN viene introdotto Big Mack per chiamare la mamma (modalità di gioco) e
iniziato un lavoro sulle scelte; nello stesso periodo i genitori decidono di portare a casa la loro bambina, inizia
l’organizzazione tra i servizi che saranno coinvolti nella domiciliarizzazione. Dai 9 mesi, L torna a casa in Assistenza
Domiciliare Integrata. L’ assistenza infermieristica ottenuta è di 2 ore giornaliere (dal lunedì al sabato), il pediatra
ospedaliero due volta la settimana, il rianimatore una volta al mese, la fisioterapista circa 2 volte a settimana.
L’intervento di CAA avviene a domicilio, da parte di due operatori contemporaneamente, 2 volte la settimana per
circa 2 ore ogni volta.
A 9 mesi L. utilizza versetti, vocalizzi, ed espressioni del viso per comunicare (sono comunque modalità che la
limitano e frequentemente non viene compresa), si arrabbia facilmente (lo manifesta diventando tutta rossa in viso,
aumentando i vocalizzi di protesta o piangendo). Adotta strategie spontanee, i movimenti del viso assumono
atteggiamenti comunicativi. Battere una volta le palpebre diventerà il suo sì, lo strizzare gli occhi sarà il suo no, ma
troveranno progressivamente giusta collocazione anche il “va benino”, il “così così”, la tristezza , la felicità, le
lacrime, la contentezza o gli sguardi affettuosi, il fare “il muso” se è fintamente arrabbiata o l’essere arrabbiata sul
serio, il non condividere una cosa, tutto questo utilizzando gli occhi, le sopraciglia o il movimento lieve della testa
che in questa fase è ancora presente e in parte la mimica faciale.
Il desiderio di comunicare aumenta e la bambina sfrutta tutte le strategie possibili, diventa facile introdurre un
progetto di comunicazione aumentativa che viene bene accettato dalla famiglia, benché in tutta la prima fase non vi
sia un pieno coinvolgimento attivo dei genitori e l’intervento sia in buona parte delegato agli operatori di CAA. Il
carico di assistenza quotidiana è già troppo gravoso, e si decide che in questa fase va bene così.
Viene progressivamente effettuata l’etichettatura degli ambienti famigliari e la famiglia coinvolge la bambina nelle
scelte, nel decidere che gioco fare, che vestiti mettere facendola scegliere tra due magliette da indossare, tra due
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giochi da fare, tra due librini da leggere, se mettere la crema o l’olio per il massaggio, che pettinatura fare. Con
molto supporto, le infermiere iniziano a far scegliere alla bambina che procedura fare per prima.
A 18 mesi, nonostante il progressivo peggioramento motorio, si individua il movimento residuo che consente
l’utilizzo di un sensore. A 23 mesi L ottiene il suo primo sistema di postura, una letto carrozzina che le permette di
fare le prime uscite da casa con il respiratore al seguito. L esce finalmente nel giardino di casa.
La famiglia è contenta, gli spostamenti all’interno di casa e nel giardino sono facilitati, ma soprattutto L è felice,
chiede sempre di uscire.
La famiglia aderisce maggiormente al progetto di comunicazione aumentativa e si attiva per acquistare tramite
donazioni alcuni ausili: il Power Link 2 per il controllo ambientale, un Big Mack, il TV remote, un sensore MicroLight
e un sensore Muscolar Swich.
L in questo modo può partecipare più attivamente: con la mamma prepara lo zucchero a velo con il frullatore, può
accendere e spegnere la luce, far funzionare il phon, accendere e spegnere le musicassette preferite.
Ciononostante, forse anche per il peggioramento motorio, la bambina tende a chiudersi, ad essere meno interattiva,
più passiva e estremamente dipendente emotivamente dalla madre. Gli operatori sono preoccupati, hanno la
sensazione che vi sia un alto rischio per la sua salute mentale e che sia necessario ampliare fortemente le sue
possibilità di comunicare, nonostante la giovane età. L’uso della tabella è troppo lento e faticoso sia per L che per la
mamma, già gravata dal peso dell’assistenza quotidiana, ed il grado di controllo sull’ambiente che dà è troppo
basso.
Il comunicatore easy talk arriva a casa nel mese di settembre, all’età di 2 anni. Viene utilizzato inizialmente a
scansione lineare con il sensore MicroLight posizionato tra pollice ed indice della mano destra. L si impadronisce
immediatamente del sistema di comunicazione proposto e in famiglia, superate le perplessità iniziali, tutti
riconoscono che le parole che escono dal comunicatore rappresentano proprio i pensieri della bambina. In 3 mesi L
arriva ad utilizzare 10 messaggi per otto livelli, passando alla scansione riga/colonna. La necessità di aggiungere
parole sempre nuove è quotidiana.
Si introducono i simboli BLISS oltre che PCS.
A gennaio si passa a 20 messaggi per 8 livelli e prima del compimento dei tre anni si passa a quaranta messaggi
per otto livelli. Il comunicatore a breve diventa saturo e ogni volta che si aggiungono parole nuove, è necessario
un faticoso lavoro di mediazione con la bambina per toglierne altre, di uso meno frequente.
La tabella affianca comunque il comunicatore, quando serve approfondire.
Le modalità relazionali cambiano, L diviene più attiva, decisa, ogni cosa va discussa e contrattata, vuole dire la sua.
La stesura della presentazione delle sue modalità di comunicazione, da attaccare al lettino/carrozzina in modo
visibile, richiede mesi di faticosissima modulazione di ogni virgola. L’anno successivo si comincia a lavorare alla
stesura del “passaporto” e il percorso è ancora più faticoso per tutti, poiché coinvolge attivamente l’intero contesto
di vita. Sarà però un passaggio di estrema importanza per il successivo inserimento alla scuola materna.
Il bisogno di ampliare le possibilità sia comunicative che di occupazione nel corso della giornata è sempre maggiore,
e nel 2003 viene fornito a Laura un computer portatile. E’ un passaggio complesso e faticoso, poiché nessuno in
famiglia sa usare un computer, ed è da un lato difficile dimensionare le aspettative e dall’altro garantire il continuo
aggiornamento delle offerte.
Viene proposto inizialmente per l’ utilizzo di giochi a scansione (benché purtroppo non sia facile trovare giochi
adeguati al suo livello intellettivo e contemporaneamente al grado di compromissione motoria).
Il fratello tende ad appropriarsene per giocare lui, e L litiga vivacemente, coprendolo di parolacce.
Successivamente con il programma Clicker 4 vengono creati libri video (fiabe, esperienze personali) che lei ama
leggere sia in autonomia, che per “raccontare” agli altri; da subito L. è in grado di sfogliare le pagine e decidere
quale libro scegliere.
Nel primo semestre 2004 L viene inserita alla scuola materna, anche se per poche ore nella mattinata.
E’ un’esperienza molto importante per L e la sua famiglia, tutti sono convinti che L frequenterà molto poco per le
malattie intercorrenti, mentre in realtà la bambina non perde nessun giorno di scuola materna, e vorrebbe andare
anche il sabato e la domenica
Contemporaneamente si creano in Clicker 4 tabelle che riproducono i frontalini del comunicatore, nell’idea di
consentire a L di espandere ulteriormente il vocabolario, senza dover più rinunciare a parole “vecchie” per inserirne
di nuove. Inoltre avrebbe potuto passare da una tabella all’altra in completa autonomia, ed utilizzare la scrittura in
simboli.
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A settembre del 2004 a sei anni L inizia la scuola elementare per tre ore ogni mattina. L’inserimento è molto
difficoltoso e complesso, da un lato la bambina è molto contenta di andare a scuola, dall’altro le insegnanti non si
attivano per nulla rispetto alle necessità comunicative della bambina. Il tutto è aggravato dal cambiamento
dell’infermiera dell’assistenza domiciliare, dalla saturazione della mamma (nell’aria ci sono altre preoccupazioni, la
Lombardia attiva i voucher, l’assistenza va su cooperativa, non si sa più cosa sarà garantito…), da altri cambiamenti
istituzionali.
L in realtà non usa nessuna delle tabelle in Clicker 4 in modo adeguato, non c’è supporto da parte dell’ambiente
(forse non abbastanza anche da parte nostra ?). A poco a poco non usa più nemmeno i libri. Si arrabbia quando le
viene proposto il computer. Sembra usarlo senza nessun senso, seleziona sempre lo stesso simbolo, ripetendolo per
5-10-20 volte in modo provocatorio, non mette in sequenza le parole ad organizzare la frase.
Continua però ad usare in modo preciso il comunicatore e la tabella principale (cartacea) nonostante la fatica della
scansione.
L sembra chiudersi, partecipa sempre meno a quanto le viene proposto. L’intervento di CAA a domicilio viene
potenziato, rientra il secondo operatore che aveva diradato le proprie presenze nella fase in cui l’intervento stava
procedendo bene. Si propongono nuovi giochi modificati: forza 4, indovina chi, ecc. che la bambina accetta di buon
grado.
I comunicatori diventano due: uno viene usato esclusivamente per la scuola, l’assistente educatrice prepara
frontalini “didattici”, con i quali L può sia intervenire durante le lezioni, che essere interrogata. In questo modo si
attivano sia lei che le sue insegnanti, che finalmente dopo mesi le riconoscono la capacità di pensare!
Continuiamo a pensare che l’accesso al computer (ovviamente con tutto il resto) sia di fondamentale importanza
per lei, ci si rende però conto che bisogna trovare un altro modo di proporlo sia a lei che al contesto (famigliare e
scolastico).
In consulenza, si ipotizza che forse Clicker 4 per ora possa non essere il programma giusto per lei. Forse non
potersi muoversi liberamente su tutte le icone che compaiono sul video la disturba? (alle barre ad es. non si può
avere accesso con la scansione e L si arrabbia moltissimo se non può decidere di fare una cosa in autonomia che lei
ritiene invece di poter fare) Oppure più semplicemente la disturbano visivamente tante “cose” sullo schermo? O non
riconosce il computer come strumento comunicativo? (la voce, se non viene ”registrata” subito, è diversa, e quello
che appare a video non è esattamente uguale al “suo” comunicatore).
Si è così pensato di provare ad utilizzare Speaking Dynamically, e di costruire tabelle che si presentino del tutto
simili al comunicatore, con i quaranta messaggi posizionati esattamente allo stesso modo, il tasto per poter passare
da un livello all’altro, lo stesso colore giallo come colore di fondo, in modo che Laura lo possa gestire proprio come
se fosse il “suo” comunicatore. Benché la bambina non abbia mai avuto problemi ad usare il comunicatore senza
frontalini, cambiando livello e cercando le parole “a memoria”, anche se modificate di recente, può essere che la
continuità e la stabilità possano aiutarla in questo passaggio che appare per lei particolarmente complesso.
Partiremmo da subito con gli otto livelli, con la possibilità in seguito di ampliarli per numero.
Un ulteriore problema con Clicker 4 è rappresentato dal fatto che “queste” insegnanti non sono in grado di
preparare e modificare per lei il lavoro che propongono alla classe (lavoro di matematica o sulle sillabe, ecc.), ormai
è chiaro che sarà L, purtroppo, a dover sempre più adattarsi alle insegnanti e non il contrario. Per facilitarle nella
modifica e permettere quindi alla bambina un lavoro più condiviso con la classe si propone loro, l’uso di Parole
Scandite. Inoltre la bambina sembra poco pronta e disponibile ad un accesso alfabetico o sillabico, forse perché
troppo lento rispetto ai suoi bisogni comunicativi, e non sufficientemente investito da lei come obiettivo didattico. L
ha ancora bisogno di ritorni immediati, e di attività altamente motivanti.
L’ipotesi è che accompagnata in questo modo, L possa sempre di più avvicinarsi a strumenti di comunicazione più
complessi ed elaborati e reggere la frustrazione connessa al loro uso.
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Alcune pagine del passaporto di Laura
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INTERVENTO DI CAA IN UNA STRUTTURA RESIDENZIALE :
LA COMUNITA’ ALLOGGIO DELL’ULIVETO
Claudia Jalla*, LauraCastellani**, Lucio Cassinelli**
*Psicologa e Direttrice della Comunità Alloggio Uliveto, **Educatori
Questo POSTER ripercorre, attraverso immagini fotografiche ed accenni esplicativi, la storia degli ultimi 25 anni
dell'ULIVETO.
E’ evidente la trasformazione di una casa all'inizio non priva di barriere architettoniche, dall'apparenza disadorna e
poco accogliente, in una struttura più efficiente, che nel corso degli anni vede modificare la propria utenza e la
propria ANIMA.
Nei primi anni '80 la casa si caratterizza con l'accogliere via via ospiti con disabilità fisiche e psichiche sempre più
marcate; il numero degli ospiti era maggiore rispetto al personale dipendente. Era comunque già usuale attingere a
risorse di volontariato soprattutto estero.
Il lavoro, che dapprima puntava in massima parte all'accudimento fisico, si trasforma con gli anni in una cura della
persona più attenta e organizzata con caratteristiche di vero e proprio "maternage". In quel periodo però gli
operatori non si aspettano risposte di alcun tipo dai disabili verbali.
La giornata è suddivisa in momenti di attività interne ed esterne, grazie anche ad un consistente aumento del
personale sia educativo che addetto ai servizi generali. Ai nuovi assunti non si richiede ancora nessun percorso
formativo precedente o qualifica.
Si dà molta importanza allo scambio di comunicazioni tra operatori, per la qual cosa si prevedono riunioni a cadenza
settimanale e momenti di supervisione per il personale educativo.
All'inizio degli anni '90 compaiono i primi progetti educativi individuali strutturati, con l'individuazione di obiettivi
annuali.
Nel '96 viene data la possibilità a due operatori di formarsi alla scuola di Comunicazione Aumentativa Alternativa del
Centro Benedetta d’Intino di Milano, e dall'anno successivo partono le prime ipotesi di lavoro concernenti questo
aspetto.
Si pone più attenzione all'individuare le preferenze degli ospiti, al proporre scelte, all'offrire possibilità comunicative.
Si incomincia a rendere protagoniste le persone.
Compaiono le prime tabelle sia collettive sia individuali sulla base di progetti e si sperimenta l'utilità dei "passaporti"
e dei "quaderni dei resti".
La casa viene ristrutturata e si diversificano le figure professionali addette all'utenza (educatori professionali ed
Adest).
E' storia recente la partecipazione di un gruppo allargato di operatori ad un corso di formazione sulla C.A.A.
all'interno dell'Uliveto.
Si è cercato in questo modo di passare dal "fare" al "mettere in grado di fare", con l'obiettivo di un "Uliveto
comunicativo" che -ci auguriamo- diverrà realtà.
Comunità Alloggio Uliveto: [email protected]
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PROGETTARE OPPORTUNITA’ DI PARTECIPAZIONE COMUNICATIVA
Stefania Murra
Educatore professionale, Centro Benedetta D’Intino, Milano.
Sempre più spesso all’interno di un progetto di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.), emerge
l’esigenza di offrire occasioni di partecipazione comunicativa in momenti di vita quotidiana.
Partecipare ad eventi piacevoli, come una gita o una visita guidata, può richiedere un’analisi preventiva della
situazione, ed inoltre una preparazione concreta di supporti comunicativi adeguati a sostenere i pensieri dei bambini
con complessi bisogni comunicativi.
Alcuni bambini che seguono un programma di C.A.A. presso il Centro Benedetta D’Intino hanno partecipato a due
visite guidate, presso l’ Acquario di Genova e al Castello Sforzesco di Milano.
Affinché le iniziative costituissero per i bambini una reale opportunità di partecipazione, scambio comunicativo e di
conoscenza, sono state create “miniature” (oggetti usati in funzione simbolica), tabelle con immagini e simboli,
libretti scritti in simboli che hanno aiutato i bambini a comprendere la spiegazione delle visite guidate, a intervenire
attivamente (commentando e chiedendo spiegazioni) e a raccontare successivamente.
Riferimenti:
Centro Benedetta d’Intino : www.benedettadintino.it
Stefania Murra: [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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COMUNICAZIONE E QUALITA’ DELLA VITA NELLE PERSONE CON
SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA (SLA)
Alessandra Schiaffino * Giovanna Gradino ** Sebastiana Nieddu *** Chiara Patrone * Romina Truffelli *
* psicologa ** logopedista *** fisioterapista
C.li.V.I.A. – Laboratorio Comunicazione Aumentativa Alternativa
Dipartimento delle Cure Primarie, ASL 3 “Genovese”
<<Ho l’impressione di essere come un burattino cui nessuno fa andare i fili>>
<<A volte l’alta marea mi sommerge dentro alla bottiglia in cui mi trovo. Mi sembra di non poter far sentire la mia
voce; ma accade il miracolo: riesco a comunicare con la voce che viene dal profondo di me.>>
Le parole di Marilena, 52 anni, ci fanno avvicinare all’esperienza di vivere con la SLA.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia degenerativa che interessa il primo e il secondo motoneurone;
sopraggiunge in età adulta, in genere con mantenimento di piena integrità psichica.
Indipendentemente dall’esordio, bulbare o spinale, la malattia evolve, spesso rapidamente, verso una totale
dipendenza dall’altro, con indebolimento progressivo dei muscoli del corpo compresi quelli deputati alla deglutizione
e alla parola.
Secondo i dati dell’Associazione Italiana per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (AISLA), in Italia, ogni giorno si
manifestano in media tre nuovi casi di SLA e si contano circa sei ammalati ogni 100.000 abitanti.
La perdita progressiva della parola con pensiero integro è uno, se non il maggiore elemento di difficoltà e
sofferenza per la persona e per chi le sta accanto. La difficoltà di dialogo è spesso motivo di allontanamento degli
amici, la rete degli affetti si fa più stretta proprio nel momento in cui potrebbe essere un potentissimo aiuto.
Una presa in carico in CAA che preveda strategie, tecniche, ausili, tecnologici e non , può cambiare la qualità della
vita.
Infatti la comunicazione è fondamentale per mantenere la propria identità e il proprio ruolo familiare e sociale, per
guidare l’assistenza (solo la persona sa cosa è meglio per sé), per fare domande e prendere decisioni sulla
propria vita e sulle cure (autodeterminazione) ed essere ascoltato dalle persone di riferimento e dai sanitari.
Nel poster, sulla base dell’esperienza raccolta dal 1990 ad oggi (43 persone con SLA), verranno presentati
indicazioni e suggerimenti per un intervento in CAA, criticità e riferimenti utili.
C.Li.V.I.A - Laboratorio Aumentativa Alternativa
Via G. Maggio 3 16147 Genova
Tel. 010 390220 fax 010 380403
e-mail : [email protected]
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GIOCARE E COMUNICARE IN GRUPPO:
LA COSTRUZIONE DEL SIMBOLO DURANTE IL GIOCO E LE ATTIVITA’
Anna Molteni, Giuseppina Castellano, Liguori, Amantis
Istituto Leonarda Vaccari di Roma
Giocare e comunicare in gruppo: esperienza di lavoro in piccolo gruppo con bambini con disabilità comunicativa e
disturbi comportamentali.
Corso di formazione parallelo per i loro genitori, insegnanti ed educatori.
Follow up
Ausiliotecaroma : [email protected]
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LA CAA IN TRENTINO :
L’ESPERIENZA ALL’INTERNO DELL’AZIENDA PROVINCIALE PER I SERVIZI SANITARI
F. Bazzoli1,2,3, A. Berti1, D. Bonadiman1, F.Briani4, C. Bruseghini3, M. Dal Piaz4
1 APSS di Trento U.O.N.P.I. n.2, Servizio di Rovereto, P.le S. Maria 6, 38068 Rovereto (TN)
[[email protected],[email protected], [email protected]]
2APSS di Trento U.O.N.P.I. n.2, Servizio di Tione, Via Ospedale 10, Tione (TN)
3APSS di Trento U.O.N.P.I. n.2, Servizio di Riva del Garda, Via Rosmini 5/b, Riva del Garda (TN) [[email protected]]
4 APSS di Trento U.O.N.P.I. n.1, Servizio di Cles, Viale Degasperi 47, Cles (TN) [[email protected]]
Chi siamo
Gruppo provinciale di progetto e lavoro per la CAA
E’ costituito da tre neuropsichiatri infantili, due logopediste, una fisioterapista che lavorano nei Servizi di
Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento (A.P.S.S.); una psicologa (C. Coco)
partecipa come membro esterno.
Tutti i componenti si sono formati presso la “Scuola di formazione in C.A.A. del Centro Benedetta D’Intino” di
Milano.
Attivo dal luglio 2002, il gruppo si riunisce il terzo lunedì di ogni mese nella sede di uno dei Servizio di
Neuropsichiatria Infantile, solitamente a Rovereto o Trento.
Lo scopo è quello di sostenere l’operato di ognuno con la discussione dei casi e l’approfondimento delle tematiche
della Comunicazione, riorganizzare il lavoro secondo i criteri previsti dalle direttive aziendali e dagli obiettivi di
budget, progettare e presentare nuove iniziative per la sensibilizzazione e collaborazione interna all’A.P.S.S., nella
Scuola e nel territorio provinciale.
Il nostro intervento si rivolge alla fascia di utenti che va da 0 a 18anni.
I dati dell’attività nei primi 3 anni di lavoro in C.A.A.
(2002-2004)
Gli operatori nella loro attività istituzionale, nel gruppo provinciale ed in attività di consulenza esterna all’A.P.S.S.
hanno seguito in totale (Cles, Tione, Trento, Riva del Garda, Rovereto) 53 utenti suddivisi nei gruppi riportati in
tabella.
P.C.I
14
S.Angelmann 6
Rit.mentale
7
S. Down
8
Autismo
2
Disfasia
5
Altro
11
Totale
53
Le modalità di intervento sono:
• Valutazione iniziale e impostazione piano di trattamento
• Trattamento con rivalutazioni dello stesso
• Consulenza e supervisione.
All’interno del Gruppo provinciale si è discusso l’intervento in 13 bambini già seguiti e 14 prime valutazioni.
Inoltre sono stati realizzati: un modulo ad uso interno dei Servizi NPI per le modalità di accesso alla valutazione
CAA e un questionario per la famiglia: “Scheda informativa sulle modalità comunicative” tratto e rielaborato dal
questionario in uso presso il Centro Benedetta D’Intino.
Per la sede di Rovereto abbiamo rielaborato i dati rilevati dal sistema informatizzato provinciale circa le prestazioni
fornite ai 14 utenti seguiti.
Tali dati, pur non completamente aderenti alla reale quantificazione dell’attività svolta, rappresentano un primo
strumento di riflessione.
Conferenza ISAAC Italy 2005
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n. Utenti
10
11
14
prestazioni
455
476
445
1376
Ore operatori
517,5
2002
520,0
2003
500,5
2004
1538,0
Le iniziative promosse nel triennio 2002- 04
Per quello che riguarda le attività il gruppo CAA ha organizzato:
• tre incontri conoscitivi sulla CAA per i colleghi dei Servizi NPI (2002 e 2003);
• corsi per facilitatori rivolti ad insegnanti di sostegno ed assistenti educatori (2003 e 2004)
con successivi incontri di supervisione nelle sedi di Trento, Rovereto, Riva del Garda;
• un seminario per insegnanti presso la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (2003);
• seminari e laboratori per gli studenti di una Scuola Superiore ad indirizzo sociale (2003 e 2004)
• consulenza a un centro abilitativo - educativo.
I nostri progetti
• Riconoscimento ufficiale del Gruppo in seno all’A.P.S.S.;
• individuazione di una sede che dia visibilità al Gruppo
• ottenere la supervisione di un esperto in C.A.A.
• organizzazione incontri genitori
• partecipazione alla prossima Conferenza Biennale di Düsseldorf.
Punti di forza
• Siamo persone motivate a proseguire insieme il percorso intrapreso ed abbiamo imparato a lavorare in équipe;
• la collaborazione con gli operatori della scuola si è fatta più forte;
• i laboratori con gli studenti delle superiori sono una ventata di positività per gli utenti e per noi;
• siamo convinti che le energie impiegate nel lavoro in Comunicazione siano ripagate dai nostri stessi utenti, dal
miglioramento della qualità del nostro lavoro e dalla nostra maggiore soddisfazione.
Interrogativi aperti
• Come conciliare la nostra normale attività di lavoro con quella specifica in C.A.A.
(tempi, spazi, colleghi) ?
• Come far comprendere meglio ciò che facciamo?
• Come rendere più efficace il nostro intervento?
• E’ possibile organizzare occasioni di confronto fra operatori C.A.A.?
Fabio Bazzoli (NPI) : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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IL MODELLLO ITALIANO DI CAA PER LA DISABILITA’ VERBALE
CON ELEVATO GRADO DI NECESSITA’ COMUNICATIVA
Marco Gagliotta
L’INDAGINE CONOSCITIVA (IMPARARE A FARE DOMANDE A SI/NO).
È possibile fare domande senza lasciarsi influenzare dalle proprie idee, dal proprio modo di
pensare, dalla propria cultura e dalle proprie aspettative?
È possibile rendere il disabile attivo e protagonista della propria comunicazione facendo domande
a SI/NO?
<<Nei primi mesi del mio lavoro come fisioterapista, prima di prendere in carico R. 8 anni tetraparesi grave con
atetosi, come da protocollo al Centro Serapide, assistetti alle ultime sedute di fisioterapia con la collega, che oltre a
mostrarmi il trattamento in corso e gli obiettivi da perseguire mi disse: “Io e R. parliamo di tutto”.
È il giorno della prima seduta con me. Io da diligente (appena diplomato) fisioterapista ho in mente di
iniziare la valutazione funzionale con lo scopo di “fare esperienza” sul repertorio motorio di un caso così
grave. Inizio dal tappeto, appena posta R. comincia a fissarmi con insistenza. Lo sguardo mi sembra
richiestivo, ma prendo tempo e sorvolo. Io cerco di svignarmela ma R. si fa più insistente aggiungendo ai
suoi sguardi un continuo far “SI” con il capo. A questo punto non posso tirarmi indietro e provo ad
indovinare la richiesta di R. Non ricordo la sequenza esatta con cui le ho posto le domande ma certamente
non avevo alcuno schema di riferimento, le chiesi dei bisogni primari, se voleva che chiamassi la mamma e
così via. Tutto questo accompagnato da un aumento del tono della voce e da una certo imbarazzo, molto
evidente, che ha particolarmente divertito R. che non ha potuto trattenere le risate. Nonostante R. stesse
più volte puntando con gli occhi un cuscino posto su un lettino di terapia, soltanto dopo circa trenta minuti
giungo alla soluzione dell’enigma.>>
-
Spunti teorici sull’importanza di creare uno spazio di reciprocità anche in assenza della parola e di un
codice alternativo;
Come effettuare uno scambio relazionale e, contemporaneamente, come individuare i contenuti della
comunicazione “nascosti nella mente” del disabile;
Dimostrazione pratica e presentazione di un modello di riferimento operativo (per l’indagine conoscitiva)
prodotto con il Clicker 4 e i simboli PCS.
Marco Gagliotta : [email protected]
Conferenza ISAAC Italy 2005
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DIFFERENTI MODALITA’ DI PROPOSTA DELLA C.A.A. NELLA REALTA’
DELL’AMBULATORIO “PICCOLI” DELLA COOPERATIVA SOCIALE A MARCHIO ANFFAS
“Genova Integrazione”: ALCUNE ESPERIENZE.
*Dott.ssa U. Cammeo ** Dott.ssa A. Canepa
Il poster illustra l’utilizzo della CAA presso l’ambulatorio “Piccoli” della cooperativa sociale a marchio ANFFAS
“Genova Integrazione”.
Presso l’ambulatorio i bambini vengono presi in carico in modo globale, con trattamenti riabilitativi cui di recente si
è aggiunta la comunicazione aumentativa alternativa.
I bambini vengono seguiti dai primi anni di vita all’adolescenza e presentano patologie di vario genere: ritardo
mentale associato a patologie neurologiche, metaboliche, genetiche e internistiche, patologie dello sviluppo
cognitivo o emotivo.
Molti dei bambini seguiti non acquisiscono una comunicazione verbale efficace, da qui la necessità di strumenti per
favorire e ampliare la comunicazione, che si possano utilizzare per patologie così differenti in ambiti diversi.
In tal senso la comunicazione aumentativa alternativa, rispettosa della relazione creata con il bambino e delle sue
potenzialità e risorse, ci è sembrato un approccio molto valido.
Vengono presentati quattro casi seguiti presso il nostro ambulatorio.
* Psichiatra, Direttore Medico e Responsabile dell’ambulatorio della Coop. sociale “Genova Integrazione” a marchio
ANFFAS
**Psicomotricista, formata in CAA, ambulatorio della Coop. sociale “Genova Integrazione” a marchio ANFFAS
Conferenza ISAAC Italy 2005
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INTERVENTO INVIATO DA SEVERINO MINGRONI AI PARTECIPANTI ALLA
CONFERENZA SULLA CAA
Severino Mingroni
Care amiche e cari amici partecipanti alla Conferenza sulla CAA,
circa dieci anni fa, grazie ad una trombosi alla arteria basilare destra, sono diventato un disabile molto grave,
precisamente un locked-in, una mummia muta, ma pensante ( per cortesia, nel corso della Conferenza, proietti, se
possibile, pure queste due quasi odierne pagine web:
 http://xoomer.virgilio.it/severinomingroni/zac_05_05/caa_1.htm
 http://xoomer.virgilio.it/severinomingroni/zac_05_05/zac2.htm ,
così i partecipanti mi vedranno e sapranno di me)!
Col tempo e con della terapia, ho praticamente solo riacquistato un sufficiente controllo della testa e, in virtù di ciò,
posso gestire un computer e navigare in Internet, tramite un HeadMouse con relativa tastiera a video SofType e
mouse virtuale Dragger (http://www.easylabs.it/schedaprodotto.asp?ID=239 da http://orin.com/index.htm).
Posso in tal modo informarmi e comunicare unicamente in maniera virtuale, e questa email, anche ipertestuale
(compresa quella allegata), ne è la prova. Sto scrivendo il presente intervento con la mia cara e vecchia SofType,
compatibile con Windows 98, pur avendo io, dal gennaio scorso, l'ultima versione di Windows xp, come sistema
operativo. Mi spiego: da tempo volevo abbandonare Windows 98, ma, ogni volta che provavo una successiva
versione operativa della Microsoft, che io facevo installare nel mio secondo disco rigido, sorgevano dei problemi con
la mia vecchia SofType quando con essa andavo a lavorare in questo "hard disk", e altro ancora; e precisamente,
essa scriveva bene ma, ad esempio, digitando le lettere sottolineate dei comandi dei vari menù, non succedeva più
niente. E ciò era grave per me. Non solo, ma, ogni venti minuti circa, il computer si "resettava" automaticamente,
vanificando spesso il mio lavoro: cosa che non dovrebbe mai accadere a me, per ovvi motivi. Pertanto, ero costretto
a ritornare sempre al primo disco rigido con Windows 98 che, ormai, era diventato una sorta di prigione, per il
sottoscritto. La ditta fornitrice dei miei ausili informatici, infatti, mi assicurava che la mia versione della SofType,
nonostante fosse datata, era compatibile pure con Windows xp. Eppure, non era così. Provai le demos di altre
tastiere a video: esse si che erano del tutto compatibili con questo ultimo sistema operativo. Ne scelsi una: costava
ben 500 euro, ma poco mi importava, perchè, nell'ottobre scorso, mi "donarono" 2000 euro per le mie future spese
informatiche. Tramite una ditta italiana diversa di ausili informatici, acquistai così una tastiera virtuale, di nome
WiViK: con Windows xp, avrei continuato a scrivere con la SofType e, per le altre funzioni, avrei sopperito con la
WiViK.
Ma come eliminare il fastidioso e grave "reset" automatico e periodico, quando passavo al secondo disco
rigido con xp e lavoravo con esso? Forse, regalandomi un computer nuovo coi restanti 1500 euro. E così feci. E di
colpo questo grave inconveniente svanì, unitamente alla quasi totalità dei miei altri problemi informatici. Dopo anni,
quindi, potei finalmente abbandonare Windows 98 e passare a Windows xp! A questo punto, la mia richiesta,
conseguente a tale suddetta esperienza:
che le Regioni, o chi per esse, rimborsino tutte, e sottolineo tutte, le spese informatiche dei disabili, soprattutto
gravi, cioè: ogni tot anni (non certo 6, come per una sedia elettronica, ma penso a 3) che rimborsino il non
normodotato per l'acquisto di un nuovo computer e non solo della tastiera a video. Infatti, un computer connesso a
Internet è veramente importante per un disabile, soprattutto se grave: ripeto che, per me, è l'unico mezzo per
informarmi e comunicare; e, nei casi meno gravi, esso può voler dire pure telescuola, teleformazione e telelavoro
per i non normodotati. Di conseguenza, che il rimborso riguardi anche l'acquisto di quei softwares che aiutano non
poco il disabile a superare determinati ostacoli.
Chiarisco questa seconda richiesta con un esempio personale:
prima della trombosi, la mia vista era già imperfetta e, con la malattia, essa è peggiorata
(http://xoomer.virgilio.it/severinomingroni/racconti/la_mia_vista.htm). Ragion per cui, nel febbraio del 2000, mi procurai
il software Adobe Acrobat 4: infatti, stampo quasi tutte le pagine web e i documenti scritti (comprese le email) con
Acrobat Distiller; e poi, le/li visualizzo, alla grandezza a me necessaria, con il lettore/ingranditore Adobe Acrobat e
posso leggerli/le.
Quindi, oltre a tutti i "mezzi" informatici, le Regioni devono anche "passare" questo software ai disabili pure
ipovedenti come il sottoscritto.
Ho terminato e, nel ringraziarVi per l'attenzione concessami, spero di non averVi annoiato troppo col mio intervento.
Severino Mingroni
E’ possibile scaricare da Internet il libro di Severino Mingroni “ La mia giornata tipo : diario di un Locked-in”
http://staminali.aduc.it/documenti/SeverinoMingroni_LaMiaGiornataTipo_2004-06-24.pdf
Conferenza ISAAC Italy 2005
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Cos’è I.S.A.A.C.?
I.S.A.A.C., Società Internazionale per la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, è una associazione senza fini di lucro
impegnata nella promozione della qualità della vita e di migliori opportunità per le persone impossibilitate a parlare. Finalità di
I.S.A.A.C. sono la ricerca nel campo interdisciplinare della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, facilitare lo scambio d i
informazioni e mantenere viva l’attenzione su quanto occorre fare per aiutare le persone che nel mondo necessitano di
interventi per migliorare la comunicazione.
I.S.A.A.C. nasce nel 1983 in Canada, dove ancora oggi ha sede, a Toronto. Le attività della Associazione sono imperniate sulla
Conferenza Biennale e sulle pubblicazioni sponsorizzate o affiliate. La Conferenza si tiene ogni due anni, alternativamente in
Europa e in nordamerica. La Conferenza rappresenta un insostituibile momento di incontro e confronto, poiché è il luogo ed il
momento in cui i professionisti più esperti del campo rendono note le proprie esperienze e illustrano metodologie e strategie
adottate. La pubblicazione ufficiale della Associazione è AAC, Augmentative and Alternative Communication; pubblicazioni
affiliate sono Communication Matters, AGOSCI, in lingua inglese, Unterstutze Kommunikation,in tedesco e ISAAC Israel
Journal, in ebraico ed inglese.
***************
I.S.A.A.C. conta attualmente più di tremilacinquecento iscritti provenienti da quarantasei nazioni nel mondo. Sono stati
costituiti Chapters (Sezioni) di ISAAC in Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Paesi di Lingua Francese, Paesi di Lingua
Tedesca, Irlanda, Israele, Olanda/Fiandre, Norvegia, Spagna, Svezia, Inghilterra, Stati Uniti.
Dal Gennaio 2002 è stato costituito anche il Chapter italiano, ISAAC Italy
I Chapters sono gruppi di membri che attuano la missione di ISAAC all’interno della loro nazione o regione.
I Chapters permettono di identificare ed affrontare nel modo più mirato i bisogni di ogni nazione/regione nel campo della CAA.
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c/o Gabriella Veruggio
Via Pastrengo 8/2a - 16122 Genova
cell. 338/2653859
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consulta il sito di ISAAC Italy
www.isaacitaly.it
Nell’area riservata ai soci potrai scaricare il foglio informativo interno, Chapter News e
l’ISAAC Bulletin dell’ISAAC Internazionale tradotto anche in italiano.
La prossima Conferenza Biennale di ISAAC Italy si terrà nel 2007 a Roma
La prossima Conferenza Biennale Internazionale di ISAAC si terrà nel 2008, in Canada, a Montreal
Novembre 2006
Conferenza ISAAC Italy 2005
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