L`Arco n. 4_2010

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L`Arco n. 4_2010
L’arco
DICEMBRE 2010
ANNO XXIII n. 4
PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARCO” - MAZARA DEL VALLO - Reg. Trib. Marsala n. 86-5/89 del 2/3/1989 - Distribuzione gratuita
Editoriale
UN ALTRO ANNO E' PASSATO
Ambizioni, speranze e progetti ...
per il futuro!
di Giuseppe Fabrizi
E' questo l'ultimo numero del ventitreesimo anno di pubblicazione del
giornale "L'arco".
Quest'anno il giornale è uscito con quattro numeri in edicola ed è
consultabile on line su Internet assieme a tutti i numeri della nuova serie.
Siamo orgogliosi di questa storia e di questi successi, che sono la
testimonianza concreta che questo giornale ancor oggi è assai utile a
Mazara del Vallo e al suo territorio.
Abbiamo inoltre saputo mantenere nel corso degli anni l'impegno assunto
nell'editoriale del primo numero, nel lontano settembre del 1988, e cioè
quello di fare un giornale culturale al servizio dei cittadini e radicato nel
nostro territorio.
Ripercorriamo qui, giacché sempre attuali, rivisitandoli con la mente, i punti
salienti del nostro impegno in quello storico editoriale del 1988.
"Questo giornale, la cui redazione è composta da persone di diversa
formazione ideale, vuole rappresentare un momento di confronto di
idee ed è aperto alla collaborazione di quanti hanno a cuore lo
sviluppo culturale, sociale ed economico di questa parte della Sicilia,
più giusto ed equilibrato, fuori dagli schemi ideologici pregiudiziali.
Il nostro impegno è di contribuire a che Mazara del Vallo possa
ritrovare lo splendore di"inclita urbs" dei tempi passati, deturpato
oggi dalle devastazioni urbanistiche ed ambientali e, talvolta,
dall'incuria e dalla incapacità gestionale degli amministratori locali.
Siamo convinti che le idee possano e debbano servire a creare una
società più giusta ed un progresso sempre più rispettoso dell'uomo e
dell'ambiente in cui Egli vive.
Noi ci auguriamo che le nostre piazze vivano, che i nostri giovani
discutano della propria storia, di cultura, di scienze, che i nostri
circoli culturali, abitualmente espressione di atteggiamenti più
consoni alla natura “arabeggiante” del mazarese, dove il non fare è
più faticoso del fare niente e dove il fare qualcosa è spesso oggetto di
critiche feroci o di gratuita derisione, diventino invece fucina di
intelletti attivi, veri e propri centri propulsori di scambi culturali tra
cittadini impegnati e vivi socialmente e non solo biologicamente, e
che costituiscano vere sentinelle della memoria storica della nostra
civiltà e delle nostre tradizioni storiche, sociali e religiose”.
Noi continueremo a dare ai nostri amministratori idee e proposte e
vigileremo sulla loro concreta fattibilità; verificheremo inoltre che essi, liberi
da interessi personali o ideologici, gestiscano il potere, la “res publica”
dialogando anche con i più deboli (umili, poveri e ammalati!) per risolvere
col metodo democratico i problemi sociali, di interesse comune.
Noi continueremo ancora a far rivivere nell'animo dei nostri concittadini
sensibilità perdute verso la nostra storia e le nostre tradizioni sociali,
culturali e religiose, recuperando ricordi di eventi storici, di personalità
illustri mazaresi, di monumenti architettonici e artistici, recuperando cioè in
una parola "la memoria mazarese, con particolare attenzione alla civiltà
contadina e marinara, che ne sono alla base.
Ci piacerebbe che dall'animo dei mazaresi si esprimessero con più forza e
veemenza sentimenti quali la solidarietà, la fraternità e la carità, verso i
fratelli più bisognosi, e anche verso una comunità, quale è quella tunisina,
che ormai condivide con tutti la vita di questa città.
Per tutti questi motivi il panorama culturale e politico (nel senso della
"polis"!) ha oggi più che mai bisogno di un giornale come questo. E di
fronte a tanti effimeri giornali del passato, che si sono avvicendati in quasi
un lustro, il nostro giornale "L'arco" ha saputo mantenere una sua precisa
collocazione, attraverso il colloquio e l'incontro tra idee, anche diverse, ma
che vogliono costruire insieme il futuro, sulla base di una solida eredità
culturale e della memoria storica.
Rinnovamento e impegno per una rinascita culturale e politica del nostro
territorio sono i nostri propositi per il 2011. Sono stati poco analizzati i
profondi cambiamenti socio-economici, politici e culturali avvenuti nel
nostro territorio nel corso degli ultimi venti anni, che hanno inciso
profondamente nel suo sviluppo.
Questo giornale vuole ora analizzare i mutamenti avvenuti e fornire un
supporto culturale per la formazione di una nuova classe dirigente
adeguata ai cambiamenti, in assenza, purtroppo, di un dibattito politico su
queste tematiche.
Ma per fare questo abbiamo bisogno del vostro aiuto e del vostro sostegno.
Il giornale è nato come periodico del "Centro Studi Gaspare Morello". Nel
precedente numero abbiamo festeggiato l'intestazione (finalmente!) di
una importante strada cittadina al suo nome. Ora chiediamo di riprendere
alcuni tratti caratteristici dell'azione culturale e politica di Padre Morello:
quello dell'incontro fra uomini, provenienti da esperienze politiche diverse,
ma accomunati dalla comune volontà di fornire un supporto allo sviluppo
socio-economico del territorio.
E' con questi proponimenti che chi scrive, assieme al Direttore, Prof.
Onorato Bucci e a tutto il Comitato di redazione, formula a tutti i cittadini
mazaresi e alla folta comunità tunisina gli auguri più cordiali per un Sereno,
Felice e Prospero 2011.
CENTRO STORICO, IL LUNGO ADDIO
DELLA MEMORIA
di Gabriele Mulè
Resta solo il malinconico rintocco delle campane nel
centro storico di Mazara del Vallo a colmare a distesa il
deserto d'idee e d'azioni che divide il dire dal fare.
Resta in questa terra di mezzo spazzata dal vento lo
sgretolarsi delle pietre; poche durature mattonelle di
ceramica, che nei toni da permanente campagna
elettorale "riqualificano il centro storico", imbellettano
alcuni muri: sepolcri imbiancati che nascondono
graziosamente il corrompersi della nostra identità.
Nella celebrata scenografia della ceramica, estranea
ad ogni tradizione mazarese, che traveste il folklore
locale di toponimi dialettali in recupero della memoria
storica, che insedia in un ruolo improprio le espressioni
artistiche di sinceri appassionati, languiscono opere
d'arte maggiori e minori, grandi complessi
monumentali ed estesi brani di tessuto urbano minore.
Interventi cosmetici: così li hanno altrettanto
graziosamente stroncati docenti e dottorandi in
Recupero dei centri storici delle università di Napoli
Federico II, Genova e Palermo in visita a Mazara.
Significativo che nessun rappresentante
dell'amministrazione abbia trovato tempo e voglia,
necessità ed opportunità, per porgere un saluto e
stemperare con una fugace presenza il convinto senso
di perplessità che questa visita ha lasciato.
All'orizzonte, frattanto, monta la piena dei prossimi (gli
ultimi) generosi finanziamenti europei per il centro
storico: serviranno a rispolverare progetti esecutivi
chiusi nei cassetti da anni. Progetti di cui, siamo certi, si
rivendicheranno senza merito paternità e glorie. La
verità? Ci prepariamo nuovamente ad interventi di
restauro a metà tra imbalsamatori e antiquari
appassionati: perché senza i piani di gestione (questi
sconosciuti) economicamente sostenibili e destinati a
sostenere lo sviluppo, edifici e complessi monumentali
nella fantasiosa inventiva comunale diventeranno
sede di pubblici uffici, centri di fantomatici servizi
oppure verranno proiettati nell'iperuranio di una
millantata ed approssimata fruizione turistica,
inservibili ad ogni prospettiva di sviluppo reale.
Uno sviluppo coltivato (coltivato?) in presenza di una
progettualità a breve termine, che vivacchia alla
giornata, tirando a campare, procedendo a strattoni
senza una direzione precisa: una progettualità che
prima distribuisce concessioni per locali pubblici in via
Garibaldi a poca distanza l'uno dall'altro e poi tira
violentemente il freno a mano sospendendo la
concessione di nuove licenze, comminando sanzioni,
aumentando i controlli quando scopre dopo dure
proteste degli abitanti che una simile concentrazione di
pub genera ed esalta, senza freni, una pericolosa
deriva giovanile (sai che novità! Se solo avessero letto
l'articolo di Vito Giacalone: Fun, fresh, cool. Ergo bevo!
su L'Arco di marzo 2010).
Ancora, una progettualità che non riesce ad
immaginare un'animazione del mercato immobiliare
mazarese diversa da quella della pioggia di soldi
pubblici: “Verranno finanziati dalla Regione Siciliana
(continua a pagina 4)
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L’arco
(SEGUITO DAL NUMERO PRECEDENTE)
ALLE ORIGINI DELL’ASSOCIAZIONE VOCATA “MAFIA”
Lungo questa tradizione si comprende Santi
Romano, L'Ordinamento giuridico, Pisa,
1917. Questo grande studioso nato a
Palermo il 31 gennaio 1875 e morto a Roma
il 3 novembre 1947 che è il fondatore della
Scuola Costituzionalistica italiana e che
ebbe la venerazione di tutta la dottrina
pubblicistica italiana dal Capograssi al
Crisafulli, affermò che “è noto come, sotto la
minaccia delle leggi statuali, vivono spesso
nell'ombra, associazioni la cui
organizzazione si direbbe quasi analoga, in
piccolo, a quella dello Stato: hanno autorità
legislativa ed esecutiva, tribunali che
diramano controversie e puniscono, agenti
che eseguono inesorabilmente le punizioni,
statuti elaborati e precisi come le leggi
statuali. Esse dunque realizzano un proprio
ordine come lo Stato e le istituzioni
statualmente lecite” (ibidem, p. 101). E non
poteva che essere così dal momento che
riteneva “una società rivoluzionaria o una
associazione a delinquere non costituiranno
diritto per lo Stato che vogliono abbattere e
di cui violano le leggi, così come una setta
scismatica è dichiarata antigiuridica dalla
Chiesa” (ibidem, pp. 36-37).
Nella dottrina del pluralismo giuridico,
dunque, il gruppo mafioso è pienamente
giustificato sicché Salvatore Romano (alla
voce Mafia in Novissimo Digesto Italiano, X,
1964, rist. 1981, p. 15) potrà dire che la Mafia
è “una organizzazione più o meno
spontanea in funzione della difesa di
interessi di gruppi o di classi, creando una
più o meno segreta ed estesa rete di legami
di dipendenza, di complicità, di intesa e di
minaccia tra le differenti forze del corpo
sociale e specialmente nei riguardi delle
autorità amministrative, politiche e
giudiziarie, che questo è, appunto, la mafia
nelle sue varie connessioni sia di origine
feudale sia di origine borghese, sia di origine
“rivoluzionaria” dopo il 1860, sia di origine
conservatrice o “democratica” [cfr. G.
Fianduca, La mafia come Ordinamento
giuridico; utilità e limiti di un paradigma, in
Seguo, 1994, n. 155, pp. 23-35].
Alla luce di tali risultati della dottrina,
continua ancora una volta ad essere
incomprensibile la posizione del Giarrizzo
che, dopo aver fatto il parallelo con la
camorra, compie un parallelo fra la Mafia e la
massoneria (voce Mafia, in EI, Appendice
1979-1992, V, pp. 277-281 ed ivi, p. 278),
lungo posizioni dottrinarie che trovano in
Monnier, Colacino, Lombroso e Alongi i suoi
lontani antecedenti [M. Monnier, La
camorra, Firenze, 1862; T.V. Colacino, La
fratellanza, in Rivista di disciplina carceraria,
15, 1885; G. Aloni, La mafia nei suoi fattori e
nelle sue manifestazioni, Saggio sulle classi
pericolose in Sicilia, Torino, 1886; C.
Lombroso, L'uomo delinquente, Torino,
1889, 4 ed.]. C'è in Giarrizzo, nelle sue
posizioni della ricerca delle origini
dell'associazione vocata mafia, la volontà di
scrollarsi di dosso un peso gravissimo,
quello di dire che la mafia è qualcosa di
esterno e lontano dalla società siciliana, un
cancro portato da fuori, ora proveniente
dalla camorra ora derivante dalla
massoneria, domani chissà da quale altra
perturbazione esterna. Giarrizzo è uno
studioso troppo colto da non capire che
movimenti esterni e paralleli al fenomeno
mafioso possono benissimo essersi
incontrati con la mafia di cui hanno potuto
lambire caratteri e canoni che sono tuttavia
squisitamente originali di terra siciliana e che
trovano origine nel sistema feudale sorto
successivamente alla caduta del reame di
Federico II e alla necessità di darsi veste e
organismi giuridici di controllo della società
siciliana rimasta orfana della scomparsa
dell'Islam e della venuta meno del progetto
federiciano. Le origini della mafia sono tutte
lì, nella consapevolezza di darsi
un'organizzazione giuridica che prendesse il
posto lasciato vuoto da precedenti
amministrazioni: i Vespri siciliani la
mobilitarono e i tempi successivi le diedero
forma e caratteri giuridici. Nata come
formazione di bravi, e dunque
braveria(picciotti) la mafia è stata a
disposizione di un ordine costituito dai
signorotti o dalla Chiesa (il cui ruolo è stato
fondamentale per la sua autonomia e la sua
formazione specifica) e si è dunque
scontrata con qualunque potere forte
proveniente dall'esterno, siano essi Borboni
o Stato Nazionale: figuriamoci se deve le
sue origini alla camorra o alla massoneria!
Con entrambi la mafia ha avuto rapporti di
“buon vicinato”, di scontro o di alleanza, ma
in perfetta autonomia e libertà, dopo tuttavia
che si era ben formata e autoplasmatasi da
tempo. Santi Romano (e poi Finocchiaro
Aprile) capirono questo (così come lo capì il
Gierke e il Windscheid) e videro nella mafia
le attestazioni della dottrina del pluralismo
giuridico, la presenza storica di organismi
giuridici e amministrativi autonomi e liberi
dallo Stato Hegeliano cui Santi Romano ha
sempre negato essere unico portatore del
diritto e della norma. La Chiesa, in tutto
questo, ha di fatto e in dottrina appoggiato la
tesi di Santi Romano ed anzi né è in fondo
l'ispiratrice. E questo può spiegare più di un
atteggiamento comprensivo, se non
benevolo, della Chiesa verso la mafia. Altro
che camorra e massoneria che sono ben
poca e misera cosa, agli occhi della Chiesa
siciliana rispetto alla mafia, sistema tutto
autoctono della terra di Sicilia! Altro ne è la
giustificazione ma lì siamo in una visione
storica ed etica che va valutata di volta in
volta, quel che ora stiamo tentando di
compiere. Di tutti questi problemi si caricava,
a mio giudizio, Sciascia, contro la
incomprensione della Sinistra italiana e del
progressivo radical-chic del tempo, che isolò
il grande romanziere che tentò di capire il
perché la terra di Sicilia avesse generato la
mafia che era, ai suoi occhi, e lo è tuttora,
tutta e solo siciliana.
di Onorato Bucci
6. La connessione fra Chiesa
siciliana, sentimento religioso e
spirito di difesa di classi deboli
verso i signori da un lato e
qualunque potere costituito che
venisse dall'esterno dall'altra,
come motivo ispiratore della mafia,
è chiara nei fratuzzi di Bagheria, nei
fratuzzi di Corleone, e nei Fasci
siciliani di ispirazione socialista,
movimenti che ben stanno ad
indicare l'autonomia della mafia
che vuole rimanere siciliana ad
onta di chi la voleva controllare
dall'esterno (se inteso in tal senso
l'influsso della camorra e della
massoneria, accettiamolo pure, ma
nel senso che entrambi si trovano di
fronte ad un organismo già
completo amministrativamente che
tentano di sottoporre ai propri
indirizzi “politici” ma non che ne
abbiano favorito le origini, perché le
origini della mafia erano ben più
antiche di entrambi). In questo
ambiente si è poco studiata la
formazione e lo sviluppo della
Chiesa siciliana nei confronti delle
associazioni mafiose.
Al momento della caduta dell'Islam
in Sicilia, la Chiesa era pressoché
scomparsa: essa viene ricostruita dal
sangue dei pochissimi cristiani rimasti.
Senza una struttura gerarchica, con un
fondo orientale bizantino della sua memoria
antica dovette liberarsi dal fascino pagano
federiciano e ricostruire se stessa nella
storia dell'isola, riunendo le membra sparse
di una tradizione che l'Islam e Federico II con
il germanesimo svevo avevano distrutto. Ciò
spiega perché la mafia nulla ha a che vedere
con la camorra e la massoneria, banditesca
la prima, laicista e atea (pur nei suoi rivoli
anglicani) la seconda.
I fratuzzi di Bagheria e quelli di Corleone lo
stanno a dimostrare, e lo testimoniano i
Fasci Siciliani innanzi richiamati i cui
appartenenti non a caso si chiamavano
fratelli. Determinante in tutti e tre i movimenti
sono le confraternite cattoliche spesso
composte da terziari francescani che
occupano momenti ecclesiali e politici in cui
le basi religiose sono fortissime. E ritorna il
problema di quale influsso abbiano potuto
avere la Massoneria e la Carboneria sulla
formazione e lo sviluppo
dell'associazionismo mafioso. Ora è fin
troppo noto che in Sicilia quando si parla di
Massoneria, almeno fino al flusso migratorio
italiano (e siciliano) negli Stati Uniti prima e
dopo la prima guerra mondiale, si intende la
massoneria della Loggia d'Inghilterra che
tende a favorire la nascita della Carboneria,
legata all'episcopato dell'Isola. Fu
l'Inghilterra, nel periodo immediatamente
precedente alla creazione del Regno delle
Due Sicilie, attraverso lord W.C. Bentineck a
dar forza a quello che viene chiamata il
Sicilianismo, movimento che prima che
politico fu essenzialmente spirituale, contro
ogni napoletanizzazione della cultura
siciliana. Può sembrare un paradosso, ma la
“questione siciliana” nasce dalla Corte
borbonica e da qui viene poi trasferita al
nuovo Stato Italiano. L'Inghilterra favorì nel
periodo 1802-1815 il Sicilianismo, appoggiò
(meglio: accolse, obtorto collo) al Congresso
di Vienna la creazione del Regno delle Due
Sicilie ma non abbandonò mai le tensioni di
libertà e di autonomia della classe
economica e culturale dominante dell'isola
che si adoperò contro il governo napoletano,
sicché, quando le Cancellerie europee
favorirono l'Unità della Penisola, non ebbe
dubbi ad appoggiare i desiderata della
nuova classe politica dell'Isola ad unirsi al
Piemonte. E intanto appoggiò i gruppi e le
associazioni che lavoravano in tal senso. In
questo scenario deve vedersi l'appoggio
discreto ma incondizionato dato
dall'Inghilterra ai signorotti locali, ai Fratuzzi
di Bagheria, ai Fratuzzi di Corleone. E i
signorotti locali erano in gran parte aderenti
alla Carboneria, per via napoletana,
attraverso una commistione francese da cui
la Carboneria deriva, i Charbonniers, come
per esplicita testimonianza dichiara Pietro
Colletta napoletano e Giuseppe Rossetti
piemontese. Che poi fra Carboneria francopimeontese-napoletana e massoneria
inglese vi fossero delle connessioni è più
che plausibile, dove tuttavia il clero siciliano
ebbe un ruolo fondamentale al pari di tutto
l'episcopato meridionale che, finchè non
abbracciò (o gli fu imposta) l'unità della
penisola, fu solo aderente alla Carboneria e
non alla Massoneria che comunque rimase
interlocutore privilegiato per il tramite della
nobiltà inglese abbondantemente presente
nell'Isola [cfr. F. Lemmi, Le società segrete
nella Sicilia e l'autodifesa dell'abate Luigi
Oddo, Palermo, 1920; R. Soriga, Le società
segrete e i moti del 1820 a Napoli, Roma,
1921; Idem, Gli inizi della Carboneria
italiana, in Il risorgimento italiano, Torino,
1928; R. Soriga, alla voce Carboneria, in EI,
VIII, 1930, pp. 962-963]. In questo scenario
la commistione fra carboneria, massoneria
(di loggia inglese) e mafia appare evidente,
sicché non deve meravigliare che simboli e
giuramenti carbonari siano reciprocamente
assimilabili [“come si brucia questa santa e
queste poche gocce del mio sangue, così
verserò tutto il mio sangue per la
Fratellanza; e come non potrà tornare
questa cenere nel proprio stato e questo
sangue un'altra volta nel proprio stato, così
non posso rilasciare la Fratellanza”: così in
G. Giarrizzo, cit., p. 278].
(segue al prossimo numero)
L’arco DICEMBRE 2010
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INTITOLATO AL DR. UBALDINO IL REPARTO DI OCULISTICA
DELL'OSPEDALE DI MAZARA DEL VALLO
di Tonino Salvo*
Vito Ubaldino nasce a Mazara del Vallo il 24 Dicembre 1934.
Frequenta il Liceo Classico "G. G. Adria" e consegue la Maturità
Classica nell'anno scolastico 1952-53.
Si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di
Palermo ed ivi si laurea nel 1960. Consegue la Specializzazione in
Oculistica con il massimo dei voti e la lode nel 1964.
Assistente della Clinica Oculistica dell'Università di Palermo viene
incaricato di dirigere il Centro per il Glaucoma sino al 1973. Nel 1974
crea la Divisione di Oculistica dell'Ospedale “A. Ajello”e vince il
concorso di Primario prestando servizio sino al 2001, anno del suo
“pensionamento”.
Muore il 14 Settembre 2006 ed a quattro anni dalla morte (14/9/2010)
gli viene intestato il Reparto da Lui voluto e diretto con competenza,
professionalità ed impegno costante.
Mi sia consentito, al di fuori delle scarne ma
necessarie e dovute parole di cui sopra, un
ricordo “ospedaliero” del collega Vito
Ubaldino.
Mentre stava materialmente nascendo il
Reparto di Oculistica, che Egli seguiva quasi
ogni giorno nel suo evolversi, spesso veniva
a trovarmi nella mia stanza per prendere un
caffè ed io condividevo le sue
preoccupazioni in quanto qualche anno
prima le avevo vissute in prima persona per
far nascere il Servizio di Analisi che, come
l'Oculistica, prima non esisteva.
Questa abitudine del “momento di pausa”,
compatibilmente con il suo ed il mio impegno
quotidiano, è poi rimasta per diversi anni; di
solito però ero io a recarmi nella sua stanza
per un caffè ed una sigaretta. Spesso veniva
a trovarmi per chiarire un quesito
diagnostico e ad onor del vero debbo
riconoscere che era uno dei pochi colleghi
con cui ero riuscito a portare avanti tale
prassi. Altre volte ci si incontrava per svariati
motivi, come quando andavo a trovare
Padre Morello durante un suo ricovero in
Oculistica ed ambedue stavamo ad
ascoltare il nostro Preside che si ricordava di
quasi tutti gli allievi del "G. G. Adria" e di
alcuni che si erano dovuti allontanare da
Mazara per motivi di lavoro ci chiedeva
notizie.
Infine prima che io andassi in pensione,
durante gli anni “difficili” (per non dire altro)
del mio incarico di Direttore Sanitario
quando mi veniva a trovare nella mia stanza,
nell'ala nuova appena un piano sotto il suo
Reparto. Non sempre tale “visita” era dovuta
a motivi di servizio; a volte era per una breve
Nella foto dell'articolo: da destra a sinistra Ubaldino, Romagnosi, Scaglione, Mulè.
pausa (impegni permettendo) anche se vogliano alcuni colleghi) di ciò bisogna darne
spesso si finiva per parlare dei soliti problemi atto ancora oggi.
del nostro ospedale.
Mi piace chiudere questo breve "ricordo" con
Vi era per alcuni di noi (e non parlo solo di
medici, ma anche di alcuni infermieri)
l'orgoglio di appartenere all'Abele Ajello e
Vito Ubaldino era sicuramente tra i medici
che in quegli anni ed anche poi si sono
impegnati per far sì che, come ebbe a dire
pubblicamente in un incontro ufficiale il
Medico Provinciale dell'epoca, il nostro
Ospedale fosse considerato il migliore della
Provincia. Ed a sua volta all'interno del
nostro ospedale la Divisione di Oculistica
era spesso portata ad esempio per la
funzionalità e l'organizzazione e (non me ne
un doveroso omaggio ai colleghi del Dr.
Ubaldino (Dr. Girolamo Romagnosi, Dr.
Fabio Scaglione, Dr. Diego Mulè) che con la
loro professionalità hanno permesso, sotto
la guida del loro Primario, che l'Oculistica di
Mazara raggiungesse dei traguardi
lusinghieri e fosse un vanto per la nostra
città.
Impegno, sacrificio, professionalità, che non
mancavano certamente a noi tutti (medici ed
infermieri) allora in servizio nel nostro
nosocomio.
RICORDO DI UN AMICO.... FRAMMENTI DI IMMAGINI, PENSIERI ED EMOZIONI
di Giuseppe Fabrizi
Percorrendo l'autostrada Adriatica stavo per
imboccare lo svincolo per Rimini, dove mi
accingevo a tenere la relazione di apertura
del Congresso Nazionale di dermatologia
pediatrica quando mi raggiunse una
maledetta telefonata: Vito Ubaldino non
c'era più! Frastornato e addolorato sono
arrivato al Centro Congressi ed ho fatto
l'unica cosa che mi era possibile in quel
momento: quella cioè di dedicare davanti ad
oltre 1200 congressisti la mia lettura
magistrale alla sua memoria! Poi, di corsa,
abbandonando i lavori congressuali mi sono
precipitato in auto verso Roma dove sono
riuscito a prendere l'ultimo aereo per
Palermo, per stare, la mattina successiva,
idealmente ancora una volta assieme a Vito.
E la mattina, a Mazara del Vallo, nella
basilica Cattedrale, gremita da parenti ed
amici, durante la funzione funebre, mi sono
tornate alla memoria, come in un film, le
innumerevoli immagini di vita trascorsa, e i
pensieri e le emozioni, rivivendo così
atmosfere mai del tutto sopite.
I capelli brizzolati e lievamente ondulati,
sempre ben pettinati; l'immancabile fumo
della sigaretta, aspirata con voluttà e tenuta
stretta tra due dita affusolate con innata
eleganza. Le camicie bianche, sempre ben
stirate con colletti impeccabili, dove il nodo
della cravatta emergeva perfetto e sempre in
tono con il colore degli abiti su misura e dai
cui polsi si intravedevano preziosi gemelli,
spesso dorati, e sempre accompagnati al
polso da orologi di raffinata fattura.
Ad una prima e superficiale conoscenza Vito
poteva incutere soggezione
nell'interlocutore, ma bastava poco, bastava
sentirlo parlare, accompagnato da quel suo
sorriso solare, o incontrare il suo sguardo
intenso dove gli occhi spesso dicevano più di
quanto le parole stesse non potevano dire.
E le innumerevoli ore trascorse nei dopo
cena a casa sua, a parlare fitto fitto sino a
notte fonda, con una comunanza di spirito e
con una sintonia perfetti, dibattendo temi di
attualità, a volte di sport, ma soprattutto
parlando a lungo del nostro lavoro, della
nostra professione di medici e dei problemi
universitari. E durante queste ore Egli non si
stancava mai di chiedere notizie dei miei
percorsi accademici e, dandomi consigli,
andava con la mente al periodo trascorso
presso la Clinica Oculistica dell'Università di
Palermo, ma senza mai mostrare rimpianti.
La carriera per Vito era infatti importante,
così come lo era il suo lavoro, che amava
moltissimo: ma prima di tutto c'era la sua vita
privata, costituita dalla sua famiglia e dai
suoi affetti più cari! E durante questi colloqui
leggevo spesso nei suoi occhi, che
brillavano, la gioia condivisa e sincera per i
miei successi professionali, così come lo
sguardo si accendeva di vivissima luce
quando ricordava, dilungandosi nei
particolari, i suoi trascorsi accademici vissuti
a Palermo, quando negli anni '70 dopo la
laurea e la specializzazione in Clinica
oculistica aveva la responsabilità della
direzione del Centro per lo studio e la cura
del glaucoma dell'Università di Palermo.
C'era grande e reciproca ammirazione tra di
noi, grande rispetto e sincera amicizia. A
volte non ci sentivamo per molto tempo ma
quando ci si reincontrava era per noi come
se ci fossimo lasciati qualche attimo prima!
Vito Ubaldino è stato per me un sincero e
fraterno amico. E quando il mio essere
fragile mi ha indotto a fare delle scelte di vita,
laceranti e assai dolorose, mai ho inteso
dalla sua voce parole di biasimo o di
disapprovazione nei miei confronti (e sì che
Egli se lo poteva permettere!), ma ho
sempre letto nei gesti e nei modi parole di
fraterna comprensione e di umana
considerazione, parole che infondevano nel
mio animo turbolento una grande serenità
interiore. E nel contempo leggevo nei suoi
occhi il rammarico e il sincero dispiacere per
una fase della mia vita assai difficile, ricca
spessa di critiche ingiuste e di taglienti
giudizi morali anche da parte di chi, sul
piano umano e morale, non era certamente
irreprensibile.
Ma Vito era anche un uomo molto
generoso.
Conservo infatti ancora nel mio studio
professionale di Mazara del Vallo una
piccola scrivania che agli esordi della mia
attività libero-professionale a Mazara del
Vallo Egli generosamente e
affettuosamente mi donò. E ricordo ancora
le sue parole che, con voce sommessa,
quasi schernendosi per pudicizia, ma con
grande gioia interiore, allora
pronunciò:"Vedi, caro Pino, questa
scrivania mi ha portato fortuna quando io ho
cominciato la mia attività di oculista a
Mazara del Vallo e sono sicuro che te ne
porterà, e tanta, anche a te!"
Vito mi rassomigliava anche sul piano
professionale.
Egli infatti appariva spesso
eccessivamente rigoroso con gli altri,
collaboratori medici e paramemedici, ma in
realtà prima di tutto Egli era rigoroso con sè
stesso, perchè doveva rappresentare un
esempio, una guida per tutti. Per questo non
si risparmiava nel lavoro e celeberrime
venivano considerate, in Mazara e provincia
sino a Palermo e nella Sicilia Occidentale, le
sue prestazioni professionali, lunghissime
nel tempo, ma sempre accompagnate da
grande impegno e dalla massima
competenza professionale.
Ma anche nel lavoro pubblico ospedaliero
Vito non si risparmiava mai. Le sue giornate
cominciavano assai presto, quasi sempre
con la sala operatoria e quindi con l'attività
chirurgica, alla quale dedicava gran parte
del suo impegno professionale, e
terminavano a volte nel primo pomeriggio,
ben oltre il monte orario che gli competeva
per contratto ospedaliero; e il suo reparto
veniva additato come il più ordinato, il più
efficiente e il più funzionale tra tutti i reparti
ospedalieri di Mazara del Vallo e provincia e
preso come esempio di eccellenza anche da
altri reparti di talune Università!
Vito, come me, ha sempre coniugato nella
professione, la dedizione, l'impegno, il rigore
e la testimonianza professionale!
Pensavo a tutte queste cose mentre
pregavo in Cattedrale.
E confesso che da molto tempo non pregavo
più in modo così intenso e partecipe e dentro
di me è scesa una serenità che non provavo
da molti, troppi anni, mentre ripercorrevo
con la mente frammenti importanti della mia
vita, che si distaccavano per sempre da me!
DICEMBRE 2010
Pag. 4
VISITA TOSCANA PER IL NUNZIO APOSTOLICO
IN BURKINA FASO MONS. VITO RALLO
L’arco
di Elia Mannucci
S. Ecc. Mons. Vito Rallo, Nunzio
Apostolico in Burkina Faso e in Niger,
ha fatto tappa in Toscana nei giorni 3, 4,
5 settembre scorsi, ospite del Vescovo
della diocesi di San Miniato S. Ecc.
Mons. Fausto Tardelli e su invito del
Sindaco di Santa Croce sull'Arno
Osvaldo Ciaponi che, insieme al
parroco mons. Morello Morelli, hanno
fatto propria l'idea del presidente della
Pro Loco dott. Angelo Scaduto –
originario dello stesso paese natale del
Nunzio – di invitarlo, circa due anni fa.
Dopo l'accoglienza all'aeroporto la
mattina del 3 da parte del dott. Scaduto,
di mons. Morelli e di mons. Cristiani,
arciprete di Fucecchio, il Nunzio
Apostolico è stato ricevuto in comune
dal Sindaco e da parte della giunta. In
questa sede, il Sindaco ha esposto al
Nunzio Apostolico l'attività di cooperazione internazionale svolta dalla città di
Santa Croce sull'Arno in Burkina Faso.
Il Nunzio Apostolico ha potuto constatare come tutti i comuni del territorio
siano attivamente impegnati in progetti
di aiuto e sostegno di quella popolazione.
Il Vescovo di San Miniato ha avuto l'idea di
una cena di beneficenza in onore del
Nunzio Apostolico, per sostenere le sue
opere in Burkina Faso. Così, la sera, molti
invitati, in rappresentanza della società
civile e imprenditoriale della città, hanno
dato vita all'incontro conviviale, tutti
consapevoli di essere molto più fortunati
dei bisognosi del Burkina e di conseguenza desiderosi di aiutarli attraverso il
Rappresentante del Papa. Lo spirito di
solidarietà ha animato tutti i partecipanti,
che di fatto approvano i progetti di cooperazione internazionale messi in atto dalle
istituzioni locali, politiche e religiose e
ritengono oggi pressoché indispensabile
l'aiuto dei cittadini e di tutti coloro che
hanno il desiderio e la possibilità di
sostenere chi è più povero e bisognoso.
A fare gli onori di casa è stato il Vescovo di
San Miniato, che con squisita sensibilità
ha espresso la gioia dell'intera diocesi per
la visita dell'illustre ospite, il suo apprezzamento per l'alto servizio svolto dalla Santa
Sede per lo sviluppo dei popoli, ed ha
esortato tutti a sostenere i progetti di aiuto
in Burkina. Erano presenti inoltre: mons.
Andrea Pio Cristiani, mons. Morello
Morelli, il Presidente della Provincia di
Pisa Andrea Pieroni, il Sindaco Osvaldo
Ciaponi, gli assessori Conservi e Valiani, il
vicepresidente della Fondazione Cassa di
Risparmio di San Miniato dott. Vivaldi, il
Lion's e il Rotary club, la Misericordia e i
Donatori del sangue Fratres, la Fidapa, la
Pallavolo maschile e femminile, il maresciallo Oteri, le figure più rappresentative
del consiglio parrocchiale e alcuni imprenditori quali Piero Caponi, Sergio Sani,
Pietro Giannanti, Mario Brotini, Gastone
Conti. Sono stati raccolti circa 5 mila euro,
che saranno impiegati dal Nunzio
Apostolico per l'acquisto di cibo e medicinali per un lebbrosario.
Sabato 4 Mons. Rallo ha fatto visita alla
città di San Miniato (PI) ed è stato ricevuto
in Comune dall'assessore alla cooperazione Dott. Giacomo Gozzini. Non poteva
mancare la visita al Movimento Shalom,
che il Nunzio Apostolico ha conosciuto in
questi tre anni di servizio in Burkina,
abitando proprio accanto alla Casa della
Pace Shalom “Laafi Roogo”. Ad accoglierlo l'intero consiglio direttivo e il presidente
Andrea Sansevero. Durante l'incontro si
è parlato di solidarietà, cooperazione
allo sviluppo e dello spirito che anima i
soci Shalom, soprattutto nelle iniziative e nei progetti che da anni il movimen-
to realizza in Africa e in Burkina Faso in
particolare, rinnovando il rapporto di
amicizia e collaborazione che lo lega
ormai da lungo tempo al
Rappresentante diplomatico della
Santa Sede.
Nel pomeriggio Mons. Rallo ha toccato
la città di Fucecchio (FI), altro comune
esempio di solidarietà, dove ha incontrato il Sindaco Claudio Toni, sensibile
alle problematiche sociali e convinto
sostenitore degli ideali e dei progetti
Shalom. Il Nunzio Apostolico ha poi
incontrato una rappresentanza del
Palio di Fucecchio ed ha visitato la casa
natale di Indro Montanelli e la fondazione che porta il suo nome, rappresentata
dal prof. Alberto Malvolti.
Domenica 5 è stata la volta di Cerreto
Guidi (FI). La tradizionale festività
patronale di Santa Liberata, celebrata
nel borgo collinare da ben 674 anni, si è
arricchita di ulteriore valore grazie alla
presenza del Nunzio Apostolico. Per
esprimere la gratitudine e l'onore della
visita del Nunzio, il Vescovo Tardelli ha
invitato l'illustre ospite a presiedere la
celebrazione. Le parole che Mons. Rallo
ha espresso durante la messa sono
state di alto profilo spirituale e teologico ed hanno edificato tutti i presenti.
I due Presuli sono stati salutati dal sindaco
Carlo Tempesti, dai rappresentanti delle
forze dell'ordine, delle associazioni, da
una rappresentanza delle quattro contrade del Palio del Cerro e da tutto il popolo in
festa, che li ha accompagnati per il centro
storico fino a raggiungere il Santuario di
Santa Liberata, dove è stata celebrata la
messa in onore della Santa Patrona alla
presenza del coro parrocchiale San
Leonardo.
“E' stata una vera sorpresa la scoperta di
Cerreto Guidi – spiega Monsignor Vito
Rallo – e la conoscenza del suo parroco
don Agostinelli, così impegnato nelle
missioni umanitarie. Non pensavo di
trovare una festa patronale così radicata e
ben sviluppata. In Toscana il senso della
solidarietà è alto e la diocesi di San Miniato
ne è un perfetto esempio.”
“E' stato un grande privilegio – commenta il
parroco di Cerreto Guidi don Donato
Agostinelli – poter accogliere nella nostra
Parrocchia un Rappresentante della
Santa Sede che spende tutte le sue
energie al servizio del bene, della giustizia
e della pace. Auguro a tutti che questa
visita così eccezionale, perché credo che
sia la prima volta che un Nunzio Apostolico
viene a Cerreto, rafforzi la comunione
fraterna.”
A concludere l'impegnativa visita amichevole del Nunzio Apostolico è stato
l'incontro con le monache del monastero di
S. Salvatore a Fucecchio, dove con
commozione ed intima gioia le suore
hanno espresso la volontà di accompagnare l'azione apostolica di Mons. Rallo
con le loro preghiere. Il Nunzio Apostolico
ha conversato fraternamente con la
comunità, raccontando loro da quanta
povertà sia afflitto il paese che serve, ma
anche della sua ricchezza spirituale. È
seguita una cena frugale in un contesto
veramente francescano.
Nella borgata della Ferruzza, sempre a
Fucecchio, S.E. il Nunzio Apostolico ha
concluso la tradizionale festa in onore
della Madonna presiedendo il vespro e la
processione. Nell'omelia, indimenticabile
e toccante, egli, partendo dalla preghiera
alla Vergine di Dante Alighieri tratta dalla
Divina Commedia, ha illustrato la bellezza
di Maria e la sua tenerezza materna.
Quest'ultimo dono della predica,
nell'ultimo atto compiuto in terra toscana,
ha lasciato nel cuore di tutti un'indicibile
dolcezza.
(segue dalla prima pagina)
CENTRO STORICO, IL LUNGO ADDIO
DELLA MEMORIA
interventi privati su immobili nel centro
storico fino a trecentomila euro” ha detto
qualcuno.
Tacendo che la Regione ha stanziato per
tutta l'isola solo 12 milioni di euro: cifra di
impatto per un singolo edificio, ridicola se
spalmata, come in effetti deve essere e
sarà, sulla numerosa consistenza degli
immobili di tutti i centri storici siciliani.
Discorsi da immobiliaristi alla Ricucci,
“furbetti der quartierino”, che ignorano le
possibilità del microcredito (qualcuno ha più
sentito parlare del progetto dell'architetto
Navarra sul centro storico di Mazara
presentato alla Biennale di Venezia 2008?),
della ricerca di fondi alternativi, incapaci di
fare squadra con i soggetti territoriali
(associazioni di volontariato, culturali,
imprenditoriali, etc.), antiquati e sorpassati
fino all'anacronismo nella modalità
piramidale ed esclusivamente pubblica di
gestire il centro storico ed i suoi problemi,
pertanto impreparati a sciogliere la sua
complessità e ricchezza di temi e rapporti
ibridi e collettivi (tra pubblico e privato,tra
immigrati e mazaresi,tra diocesi e comune,
tra proprietari,affittuari ed imprenditori,etc).
La domanda del centro storico non è il
come, domanda cui peraltro non sembrano
essere in grado di rispondere,
cocciutamente, ostinatamente fissati alla
di Gabriele Mulè
programmazione dei PISU, PIST, PRUSST,
e quant'altro offre la ricca messe di acronimi
della pianificazione territoriale (cui si aspira
solo per mungere quattrini). La vera
domanda per i centri storici, per il nostro
centro storico è: perché? Qualcuno
dovrebbe spiegarci perché dovremmo
tornare a vivere nel centro storico,
spendendo i nostri soldi nell'onerosa sfida di
ristrutturare un immobile. Spiegarci perché
tutti i cittadini sono uguali ma chi vive nel
centro storico è un po' più cittadino degli
altri. Spiegarci perché chi vive il proprio
centro storico può “alzarsi in punta di piedi e
gonfiare il petto”. Dietro il tecnicismo di
crollo a causa di dissesto, che rischia di
diventare tristemente familiare nella
pressante emergenza, si allungano nella
mia memoria le ombre di due vite
prematuramente spente: due sorelline di tre
e quattordici anni.
Chiara e Marianna sono state uccise dal
crollo della propria casa, fatiscente
costruzione del centro storico di Favara. Io
ci sono stato su quelle macerie che hanno
inghiottito due vite, recintate da un nastro
bianco e rosso. Declina il sole sul centro
storico di Mazara, ed il rintocco delle
campane della sera e l'invito alla preghiera
del Muezzin suonano all'unisono come
un'implorante richiesta di misericordia.
L’arco DICEMBRE 2010
Pag. 5
MAZARA, LABORATORIO DI CULTURA E DI POLITICA
di Onorato Bucci
Non si meraviglino i lettori per il titolo dato al
fondo di questo numero dell'Arco: non
abbiamo nessun desiderio di creare (e ci
attendiamo anche che qualcuno ci ricordi
l'antico brocardo excusatio non petita
accusatio manifesta) un partito: la cosa è
lontanissima dalla nostra concezione della
vita e della storia (i tedeschi direbbero
Weltanshauung) in cui ci siamo formati e cui
siamo stati educati in tutti questi anni. Noi
abbiamo ben altre e superiori ambizioni:
vogliamo formare donne e uomini liberi,
consapevoli del proprio destino e certi della
propria scelta in un momento storico come
quello attuale in cui vengono messi in
discussione i progetti per il nostro futuro e la
memoria del nostro passato. Perché, per
chi ha dato vita a questo giornale e vi
collabora, cultura è l'astratto del latino
colere, che sta per coltivare che è l'atto che
– come per il parallelo in agricoltura –
necessita di formarsi giorno dopo giorno
perché il campo – la mente in questo caso –
non coltivato, si inaridisce: di qui il Kultur
tedesco che sta per civiltà. E politica è l'arte
dello stare nella polis, nella città, che fa del
polites, il suo abitante, il politico, e che
rende lo scenario di regole e di dottrine che
si muovono intorno alla polis la politeia. E la
nostra Sicilia, la greca Trinacria, terra di
innumerevoli poleis non certo inferiori per
storia e per memoria alle poleis della
Madrepatria ellenica, ha dato un contributo
decisivo alla costruzione della politeia.
Lungi da noi, dunque, la volontà di creare
partiti che sono soltanto centri di interessi
più o meno leciti e comunque di parte. Noi
vogliamo invece riandare ai principi oramai
dimenticati dell'onestà, della correttezza e
della dignità: che vuol dire Socrate,
Aristotele, Platone e Pitagora, Scuola
eleatica e Parmenide, ma anche Eraclito e il
nostro Gorgia di Leontini, tutti fusi,
attraverso la predicazione del Nazareno,
da Paolo di Tarso (polis greca dove
splendette lo stoicismo) che ipotizzò la città
celeste elaborata poi da Agostino di Ippona.
Ebbene, quei principi, che in Roma furono
difesi da Seneca, tanto da far parlare, in
epoca successiva, da S. Girolamo in poi, di
un carteggio fra lo stesso Seneca e Paolo di
Tarso, sono stati sporcati in modo
impressionante e indegno da una
innumerevole schiera di soggetti che dalle
Alpi alla Sicilia hanno reso il falso vero, e la
verità falsità, l'immoralità ordinario
comportamento, e l'illecito accettato come
norma. Questi soggetti dominano in lungo e
in largo il nostro Paese, la nostra Sicilia, i
nostri Centri urbani, le nostre Campagne, le
nostre Valli, i nostri Monti, insozzando tutti e
tutto, rendendo normale ciò di cui un tempo
avremmo provato vergogna.
Il risultato è che non c'è più pudicizia, e
quindi pudore, mentre il candore sembra un
colore di una realtà ormai inesistente, con
la conseguenza che la tradizione dei nostri
Padri sembra irrimediabilmente oscurata.
Che fare? Che fare se a destra si parla
come se si fosse a sinistra perché si dicono
le stesse cose della Sinistra facendole
passare per destra? E che dire se da
Sinistra si ripetono cose che la destra
diceva precedentemente e che la Sinistra
riteneva abominevoli ma che ora dice che
sono da tutelare e da difendere? E che fare
se al Centro si dice che si vuole essere
destra e sinistra contemporaneamente? In
questo marasma di concetti, frutto di un
marasma di idee, un pugno di uomini, di cui
ci sentiamo ora di far parte, si mossero fin
dalla seconda metà degli anni Ottanta del
secolo scorso nella Toscana di Camaldoli e
poi nel Molise di Isernia dando vita ad un
laboratorio di cultura e di politica che si è poi
arricchito di formulazioni discusse in terra
d'Otranto e che ora, dopo aver compiuto un
bagno purificatore delle proprie idee nella
Roma d'Oltre Tevere, hanno concluso, con
il contributo di riflessioni provenienti delle
Valli Pedemontane alpine, della terra di
Piemonte e di Lombardia, e con le
meditazioni preziose di Italiani nati e
ancorati nella memoria delle due sponde
dell'Adriatico, di redigere il documento che
l'Arco pubblica per intero e che in terra di
Sicilia trova dunque la sua sedimentazione
definitiva, trasferendosi a Mazara del Vallo
da dove vogliamo ripartire per tentare di
realizzare il Secondo Risorgimento
Italiano: non più, quindi da Quarto al
Volturno, attraverso Marsala, per occupare
il Meridione della Penisola, ma da Mazara
del Vallo alle Alpi, facendosi carico degli
errori del passato e dando vita ad un
risorgimento dei cuori e delle menti che
costruisca la Nazione italiana nel corso dei
150 anni che ci dividono dall'atto unitario
del Paese.
E partire dal dato, come insegnava don
Primo Mazzolari, “né a Destra, né a
Sinistra, né al Centro, ma in Alto” (motto
scimmiottato a più riprese da più di un
trafficante della politica che dimentica
sempre il “né al Centro”, ignorando che
“centro” è mediazione di valori e quindi
quanto di più lontano dal pensiero di
Mazzolari). “In Alto”, dunque, facendo un
profondo esame di coscienza per poi
decidere (dopo l'esame di coscienza) cosa
fare: perché si potrà capire come e perché
agire solo se verranno individuati i problemi
che l'attuale classe politica fin dal 1989
(caduta del muro di Berlino che ha
capovolto i rapporti di potere non solo in
campo internazionale ma anche in Italia) ha
accantonato per totale incapacità di
comprendere i reali problemi del Paese.
Ricordiamo ai nostri lettori che questo giornale
(e tutti i numeri precedenti) possono essere consultati
in rete internet alla pagina: http://www.arcomazara.it
e che si può collaborare inserendo commenti,
articoli, proposte e critiche alla pagina:
http://www.arcomazara.it/forum.html
QUO USQUE TANDEM ... ABUTERE PATIENTIA NOSTRA ?
AI posto dei puntini bisognerebbe
inserire la parola “Catilina". ln effetti la
frase nella sua interezza era rivolta
proprio a questo personaggio dell'antica
Roma: “Sino a quando infine, Catilina,
abuserai della nostra pazienza"? Frase
che fa parte del discorso pronunciato in
Senato da Cicerone che così apostrofava
Catilina per il suo comportamento sleale
e per aver complottato contro Roma.
Oggi nello spazio punteggiato ognuno di
noi potrebbe inserire il nome di una
persona (ma anche di un Ente o
Istituzione) a cui rivolgere una critica a
proposito delle sue azioni o dei suoi
comportamenti. A proposito di
comportamenti un'attenzione particolare
dovrebbe essere rivolta verso i
"voltagabbana" che solo poco tempo
addietro si dichiaravano pubblicamente
contrari a qualsiasi ed eventuale
deturpazione di Mazara ed oggi (forse
per sopravvenute esigenze di varia
natura più che per reale convincimento)
sembrano invece favorevoli ad alcune
iniziative di vario tipo che non farebbero
altro che distruggere quel poco che
ancora rimane da salvaguardare per le
nuove generazioni. Quando si "sposa"
una causa e dopo poco tempo se ne
"sposa" un'altra opposta e contraria, ed a
maggior ragione se ciò avviene come
sembra non per convinzione ma per
semplice opportunismo (la cui natura è
tutta da decifrare), allora ci si trova quasi
sempre di fronte ad una incertezza
volubile e non ad una decisione
conseguente ad una ponderata e seria
riflessione che, in questo caso,
giustificherebbe un cambiamento di
rotta. Ovviamente giustificando e
nascondendo il tutto dietro un rilancio
economico; un inserimento in circuiti
turistici considerati d'elite; un tentativo di
sembrare più moderni culturalmente e
socialmente; trovando comunque altri
alibi (principalmente con se stessi) per
agire in un determinato modo, rischiando
così anche il ”saccheggio" della città.
di Tonino Salvo
Purtroppo (e questi comportamenti
lasciano l'amaro in bocca) ciò avviene sia
in campo locale che nazionale; sia nel
pubblico che nel privato; ed inoltre in vari
settori della vita sociale. Quello che più
dispiace è il fatto che a forza di ripetere
tali motivazioni, a se stessi prima che agli
altri, questi individui sono arrivati
probabilmente a credere veramente a
quanto dicono. Del resto è proprio vero, in
certo qual modo, che alcune persone non
fanno altro che parlare continuamente,
ottenendo così che il suono della propria
voce li ipnotizzi e li convinca di essere
unici depositari della verità.
Ricordiamoci allora dei rischi a cui si va
incontro dando illimitato credito a quanto
viene “strombazzato" ai quattro venti e
principalmente che quando non esiste un
minimo di buon senso, quando non si
riesce ad avere la dote dell'umiltà,
quando non si ricorre alla capacità di
riflettere, quando viene a mancare una
vigilanza efficace ed incondizionata da
parte di tutti (anche verso se stessi) è
quasi inevitabile che si scivoli lungo la
china del degrado di qualsiasi genere e si
arrivi, se non ci si ferma in tempo, al fondo
dell'abisso di uno squallido
imbarbarimento.
DICEMBRE 2010
Pag. 6
L’arco
DA SPLENDIDA E SUPERBA A SPORCA E MISERA
Mazara attraverso gli occhi dei visitatori stranieri
Nel corso dei secoli Mazara è stata meta di
numerosi viaggiatori stranieri, il più delle
volte come destinazione non programmata,
nel senso che la città, geograficamente
intercalata nel percorso verso Selinunte e le
antiche città greche, costituiva tappa
occasionale, raramente sosta prescelta.
Qualche volta, dunque, destinazione
determinata dagli eventi del viaggio, rare
volte prestabilita per visitare alcuni avanzi di
antiche civiltà o documenti rari. Questi
viaggiatori stranieri, in genere letterati,
nobili, storici, giornalisti, diplomatici, etc.
hanno dato una descrizione settoriale,oltre
che individuale, dei luoghi visitati al fine di
licenziare, alcune volte, pubblicazioni nel
loro paese di origine, idonee a favorire il
turismo dei connazionali. Pur non
attribuendo un valore assoluto ai giudizi di
tali visitatori sulle città del nostro territorio,
tuttavia da questi risalta immediatamente
l'incontrovertibile verità, peraltro nota,
dell'innaturale cammino a ritroso delle
condizioni economiche, socio-culturali,
ambientali ed architettoniche di Mazara,
provocato dalle gravose dominazioni
straniere prima e dall'indifferenza e/o
incapacità degli abitanti dopo.
I primi viaggiatori e visitatori della Sicilia, e
perciò del nostro territorio, si possono far
risalire al periodo della dominazione araba
quando tantissimi musulmani viaggiavano
per motivazioni religiose come il
pellegrinaggio alla Mecca o per puro
desiderio di conoscenza, recandosi,
dunque, nelle città più famose nel mondo
arabo del tempo: Cordova e Siviglia in
Andalusia, Qayrawan e Mahdiya in Tunisia,
Palermo e Mazara in Sicilia.
Dalla corte di Qayrawan, a causa
dell'imperversare della guerra in Tunisia, il
celebrato poeta Ibn Rasiq si trasferì, intorno
al 1062, nonostante l'avversione per il
viaggio in mare, attratto dalle notizie di una
città tranquilla e ricca, a Mazara dove trovò
l'amico- nemico e collega Ibn Safar, che lo
aveva preceduto da alcuni anni. Entrambi
ospiti del principe-mecenate Ibn Mankut,
sultano di Mazara, Trapani, Marsala e
Sciacca, nella reggia fortezza al centro della
città, nell'attuale Piazzetta Francesco
Modica, continuarono la loro produzione
poetica in quel felice ambiente culturale. Ma
dopo qualche tempo, a causa delle odiose e
persistenti guerre civili musulmane in Sicilia,
valutarono l'idea del trasferimento in
Spagna. Ibn Safar raggiunse Siviglia,
mentre Ibn Rasiq, impedito dall'innato timore
dei viaggi in mare, rimase a Mazara, dove
cullato dalla discreta brezza marina,
inebriato dal profumo di fiori di arancio e
gelsomino, quotidianamente e
nostalgicamente attratto dall'arrivo delle
navi musulmane che ormeggiavano lungo il
Mazaro, si spense nell'ottobre del 1064 ( o
1071). Tra le centinaia di tombe musulmane
ritrovate nella parte orientale della città,
durante le opere di edificazione di nuovi
edifici nella seconda metà dell'Ottocento, è
probabile che sia stata demolito anche
l'anonimo sepolcro dell'illustre poeta. Piace
ricordare alcuni suoi versi tratti dal
manoscritto n. 18330, conservato nella
Biblioteca Nationale, Suq al-Attarin di
Tunisi..
Tra gli altri visitatori musulmani ricordiamo
Idrisi, autore, nel 1154, del “Libro di
Ruggero”, ultimato, appunto, durante la
dominazione normanna. L'autore dà della
città del Mazaro senz'altro il giudizio più
lusinghiero (Benedetto Patera): “Mazara,
città splendida e superba, veramente
insuperabile per la posizione e il prestigio di
cui gode, ha raggiunto il vertice in quanto
all'eleganza della sua sistemazione
urbanistica. Essa raccoglie in sé tanti pregi
quanto nessun'altra: ha mura robuste ed
alte, case notevolmente graziose, arterie
larghe, molte strade, mercati rigurgitanti di
merci e prodotti vari, bagni sontuosi, vaste
botteghe, oltre ad orti e giardini con piante
pregiate; ad essa convengono viaggiatori da
tutte le parti per approvvigionarsi dei suoi
abbondanti prodotti…..”
Questo giudizio, tuttavia, con il passare dei
secoli diverrà solo un ricordo al quale
ritornare o per nostalgia o per indignazione o
per improponibile confronto. Anche il
geografo arabo Al-Himyari, tra la fine del
1200 e l'inizio del 1300, non risparmia le
parole nella descrizione della città del fiume
spiritato:”Città in Sicilia, non lungi da
Pantelleria, da cui dista una giornata di
navigazione, Mazara, rinomata per fama,
sorge a sud di Palermo sul litorale che
fronteggia l'Ifriqiyah. Ha un fiume in cui le
navi gettano l'ancora ed è città splendida,
superba, insuperabile per il prestigio di cui
gode, eccezionalmente bella per l'elegante
sistemazione urbanistica. Raccoglie in sé
tanti pregi quanti nessun'altra città; …”
Molto probabilmente, però, l'Himyari non
soggiornò a Mazara e per la sua descrizione
si avvalse delle opere di altri autori.
Ricordiamo, infatti, che egli è nativo di
Ceuta, al pari dell'Idrisi.
di Enzo Gancitano
Nel 1317, l'aragonese Federico III, re di
Sicilia, affascinato dalle bellezze del
paesaggio mazarese, volle soggiornarvi per
un anno circa trasferendovi l'intera corte
reale da Palermo. Verde riposante delle
campagne e dei boschi attorno alle città,
fiume pescoso, fruttuose ed allegre battute
di caccia nelle macchie e nei laghi mazaresi,
il verde-azzurro del mare, il violento colore
rosso fuoco del tramonto, il clamore del
mercato della Piazza Chinea, la vivacità del
Piano Maggiore e la schietta devozione dei
cittadini costituivano l'affascinante scenario
quotidiano del soggiorno reale. Il breve
soggiorno del re aragonese in Mazara fu
allietato dalla nascita del quartogenito
Ruggero, battezzato nella cattedrale ad
opera del vescovo Pellegrino Patti. Con la
dinastia aragonese l'economia cittadina
mazarese iniziò a declinare lentamente ma
irreversibilmente e i riflessi negativi si
manifestarono gradualmente ed
inesorabilmente sulla città.
Nel 1495, il re di Napoli, Alfonso II
d'Aragona, sconfitto dai Francesi, poco
tempo dopo l'assunzione al trono, abdicò in
favore del figlio Ferdinando II, detto
Ferrandino, e si recò in esilio a Mazara, citta
reginale, appartenente alla matrigna, la
regina Giovanna, seconda moglie del padre
Ferdinando I. Nella città del Mazaro
consumò i giorni nella ricerca di quiete e di
pace, nel silenzio della pineta in Santa Maria
di Gesù, nelle confortanti parole dei frati
minori osservanti del vicino convento, nelle
sapienti conversazioni con l'erudito
mazarese Paolo Ferro. Attratto dall'amenità
del luogo acquistò una villa vicino al fiume
Mazaro, in prossimità del convento.
Nell'agosto del 1500 giunse a Mazara la
regina Giovanna d'Aragona che aveva
lasciato Napoli per timore dell'esercito
francese. Nella città reginale rimase alcuni
mesi alloggiando nel castello antistante il
litorale meridionale.
Il pittore ed incisore francese, Houel Jean,
nel primo viaggio in Sicilia nel 1776 visitando
Mazara raccontò delle vecchie abitudini del
luogo e cioè che gli abitanti prima di ricevere
in salone gli stranieri facessero uscire le
donne, costumanza di verosimile eredità
musulmana, oggi quasi del tutto scomparsa.
Durante la sua veloce visita disegnò i tre
sarcofagi romani conservati nella
Cattedrale. Lo scrittore e diplomatico
francese, Denon Dominique Vivant, visitò
la Sicilia nel 1778 e nella città del Mazaro si
limitò ad osservare le varie antichità. Ecco il
giudizio che riporta:” Vista dall'esterno offre
un certo colpo d'occhio. Conventi e
campanili abbastanza ricchi preannunziano
una città piacevole che non si trova più
quando si entra in strade tortuose e strette.
Soltanto la piazza antistante la Cattedrale
offre qualcosa di pittoresco”. Questo giudizio
sarà riferito, in seguito, da molti altri
viaggiatori stranieri.
Dirty and poor. Così si presentava Mazara al
saggista e poligrafo inglese Duppa Richard
durante il suo viaggio in Sicilia intorno agli
anni 1822-23. Dopo avere percorso le strade
tortuose e strette, oltre che sudicie, del
centro antico della città del Vallo, la definiva:
"sporca e miserabile” and filled with priests.
Stracolma di preti. Per la verità anche un
altro connazionale di questo saggista,
l'ufficiale della marina inglese W. H. Smith,
nel suo viaggio attorno alla Sicilia nel 1815 e
1816, aveva posto l'accento sul gran numero
di ecclesiastici e sulla sporcizia delle strade
tanto da potersi giustificare il vecchio detto
“ogni casa e tugurio di Mazara contiene un
prete e un porco”. Ma anche l'umanista
mazarese G. G. Adria aveva accennato nei
suoi scritti ad una ingens ordo clericorum,
ingente schiera di preti nella città del
Mazaro. Tuttavia lo Smith non potè non
manifestare lo spettacolo gradevolissimo
della veduta panoramica di Mazara dal mare
con le numerose chiese ed i suoi svettanti
campanili, tanto da prefigurarsi anch'egli
una città piacevole ed accogliente. Ma che
delusione quando vi mise piede !
Non cambiavano le sembianze e la realtà
della città del Mazaro circa ventanni dopo,
nel 1843, quando il pubblicista francese
Sivry de Louis, viaggiando per la Sicilia, ne
percorse le strade strette e fangose. Tuttavia
al pari di altri viaggiatori stranieri, era
rimasto, in precedenza, piacevolmente
colpito dal paesaggio che si presentava da
lontano. Definì, infatti, Mazara “belle de loin,
miserabile de pres”, bella da lontano,
desolante da vicino. In realtà si può
condividere parzialmente il giudizio
superficiale dei tre stranieri in quanto lo stile
islamico dell'impianto urbanistico,
rispondente ad una necessità d'ordine
bellico e cioè ad una esigenza di difesa dagli
attacchi nemici, presentava e presenta una
peculiare attrattiva. Condivisibile in pieno il
giudizio sulla mancanza di pulizia delle
strade cittadine. Eppure non mancavano le
norme igieniche per tenere pulite le vie della
città. Sin dal 1521, infatti, durante la Signoria
dei conti Cardona, era severamente vietato
buttare immondizia
di qualsiasi tipo,
abbandonare carcasse di animali morti,
riversare acque di rifiuto, dare fuoco a
qualsiasi tipo di oggetto. In più era
fortemente sentita la preoccupazione per
l'inquinamento delle acque vietando
rigorosamente la macerazione del lino nei
fiumi e l'avvelenamento con erbe venefiche,
calce viva ed escrementi d'ovini. Quindi, gli
abitanti, allora come oggi, in generale non
rispettavano le norme e gli amministratori
non s'impegnavano a farle applicare.
Comunque, una parte delle strade cittadine
non era lastricata e ciò costituiva, quindi, una
delle cause della fanghiglia durante la
stagione delle piogge. Tuttavia i viaggiatori
stranieri di fronte allo stesso spettacolo
davano dei giudizi diversi se non
contrastanti. Meyer de H., gentiluomo
francese del XVIII secolo, che visitò la Sicilia
nel 1791, e quindi anche Mazara, per
esempio, fu attratto dalle belle strade (sic!).
Probabilmente fu portato a vedere le strade
principali trascurando l'impianto urbanistico
prettamente islamico con strade strette a
decorso sinuoso oppure comprese ed
apprezzò la motivazione dello stile
dell'urbanistica locale.
L’arco DICEMBRE 2010
Pag. 7
Insufficienti e di scarsa qualità erano gli
alloggi a Mazara e non solo a Mazara. I
forestieri, sia visitatori stranieri che italiani,
trovavano alloggio presso i nobili locali o
presso i monasteri, in specie, nel Monastero
di San Francesco. L'egittologo ed ellenista
tedesco Parthey Gustav Friedrichvisitò
Mazara nel 1822 pernottando, infatti, nel
convento dei Francescani grazie alle lettere
di presentazione fornite dall'arcivescovo
Gravina a Palermo. Anche l'erudito tedesco
Johann Heinrich Westphal, pseudonimo
Tommasini Justus, durante il suo viaggio in
Sicilia soggiornò a Mazara, trovando
alloggio nel Convento dei Francescani.
Il prelato danese, ma tedesco di nascita,
Munter Frederik, che nel 1785 visitò la
Sicilia e quindi anche Mazara, alloggiò
infelicemente nella città del Mazaro, dove si
recò attratto da una veduta della campagna
circostante “la più mirabilmente deliziosa” e
dalla esistenza di antichi manoscritti
nell'archivio della Cattedrale di Mazara che
invano cercò per cui ripartì il giorno dopo per
Selinunte. Verosimilmente il prelato danese
compì tale viaggio su incarico della
massoneria europea per ricercare antichi
manoscritti che il vescovo Giacomo
Lomellino del Campo aveva portato con sé
nel Concilio di Trento dove morì e non furono
più restituiti secondo quanto afferma il Pirri
nella Sicilia Sacra. La capacità recettiva
della città era costituita solo dai fondaci posti
nei pressi delle Porte, principalmente
dinnanzi alla Porta Palermo, e dalle due
posate di Sant'Andrea, prossima alla Porta
del Fiume, e di S. Nicolicchio, nelle
vicinanze della Chiesa San Nicolò Regale.
La qualità dell'alloggio era davvero infima
sol se si pensi che i carrettieri che trovavano
ospitalità nei fondaci solevano dormire sub
bestiarum pedibus, sulla paglia o su qualche
coltre accanto ai piedi dei cavalli. Se il
numero dei posti letto con la loro scadente
qualità era insufficiente nell'ordinario,
diventava critico durante i giorni della fiera
franca del SS Salvatore quando l'affluenza
dei forestieri, mercanti, artigiani, lavoranti,
popolazioni dell'hinterland, etc. aumentava
vertiginosamente.
Allora era consentito ai forestieri non solo
visitare le chiese ma anche pernottarvi.
Dalla deposizione del 1504 dell'abbadessa
del Monastero di San Michele, Caterina de
Anellu e di alcune moniali si riporta: “…non
solamenti tali jorni di festivitati ut supra di lu
Salvaturi li ditti furisteri solinu visitari li
preditti ecclesii, ma ancora su soliti dòrmiri in
li ditti ecclesii…”
Anche il sacerdote Paolo Monteverdi il 22
agosto 1504, dichiarava:”…est solitu per lu
concorsu d'assai foristeri omni annu li ditti
foristeri cum tanti altri amichi quantu parenti
di la chitati visitari li ecclesii et monisteri di la
ditta chitati in quella andandu et videndu…
Non solum li furisteri su solitu visitari et vìdiri
li monisteri intus, ma ancora su soliti
dòrmirichi donni foristeri…”.
Questo secolare abuso dell'utilizzazione
delle chiese come dormitori pubblici, fu
severamente proibito dal vescovo Antonio
Lombardo con il sinodo diocesano del 1575.
La ricezione alberghiera non sembrava
diversa nelle altre città del territorio ad
eccezione di Trapani. Lo scrittore inglese,
Dryden John jr, che visitò la Sicilia nel
1700, sbarcato a Mazara il 22 dicembre
dello stesso anno, riferiva di avere trovato,
infatti, una soddisfacente sistemazione
alberghiera soltanto a Trapani che definì
città pulita, gradevole e signorile. Mazara e
Marsala furono definite povere e derelitte.
Ma “la città lilibetana almeno stimolava
l'interesse dei turisti con l'oscillazione del
campanile della chiesa dei Carmelitani al
suono delle campane”. Pure lo storico
americano Parkman Francis, durante il suo
viaggio in Sicilia nel 1844 potè usufruire
finalmente a Trapani di un eccellente
albergo e di un buon pasto, an admirable
albergo and an excellent dinner. A Mazara si
limitò a vedere la Cattedrale. Tuttavia
qualche viaggiatore straniero si lamentò
anche della sistemazione alberghiera
trapanese come lo scrittore inglese Sladen
Douglas che alla fine dell'Ottocento definì il
suo albergo “ the most forbidding-looking, il
più spaventoso in cui fosse incappato.
Probabilmente il suo giudizio negativo
derivò dal confronto, peraltro improponibile,
con la precedente deliziosa ospitalità dei
Whitaker nel baglio Ingham di Marsala.
Si diceva che i viaggiatori stranieri non
sempre emettevano lo stesso giudizio nel
visitare le città del nostro territorio. Per
esempio, lo scrittore francese, Forbin
(conte de) Louis-Nicolas-Philippe, che
visitò la Sicilia nel 1820, definì Mazara
“petite ville mal habitèe” , non discostandosi
molto, quindi, dai precedenti giudizi, ma
annotò il consiglio per i suoi connazionali di
non recarsi a Trapani per il suo territorio
malsano, rovente e poco interessante, in
difformità dalla maggioranza delle
valutazioni. Parzialmente discordante dai
giudizi finora riportati è quello dell'avvocato
francese Farjasse Denis Dominique che
nel 1833 per il timore della malaria
imperversante a Selinunte, si recò
nell'agiata e poco interessante Mazara.
Nel 1819 il viaggiatore svizzero Fehr Johan
Caspar si soffermò anche nella città di
Mazara visitando il palazzo municipale e
raccontandone le vicende della produzione
vinicola. L'economia mazarese nelle prime
decadi dell'Ottocento appare dalle
descrizioni dei viaggiatori dell'epoca
notevolmente depressa, anche se questi si
soffermavano ad uno sguardo rapido e
superficiale e non analizzavano la
situazione economico-sociale cittadina. Si
limitavano pertanto ad una occhiata
fotografica e forse anche alle informazioni
della guida. Tuttavia, quasi sempre la
descrizione rispecchiava, pur se
superficialmente, la condizione economica
della città. Trattando dell'Ottocento, fino a
quando gli Inglesi rimasero in Sicilia per
difendere il re Ferdinando IV, con la sua
corte in soggiorno a Palermo, in seguito
all'insurrezione napoletana, l'economia
locale mazarese poteva avvalersi di alcune
briciole dei dodici milioni di sterline che il
governo inglese spendeva ogni anno per il
suo esercito di 17000 uomini e poteva gioire
dell'iniziativa imprenditoriale di alcuni
commercianti inglesi, il Payne e l'Hopps.
Con la restaurazione borbonica, il ritorno a
Napoli di Ferdinando, l'abolizione della
Costituzione Siciliana e la cessazione del
protettorato inglese, subentrò a Mazara un
periodo di miseria generale conseguente
all'eccessiva vessazione fiscale borbonica
che portò addirittura al sequestro degli
strumenti di lavoro di non pochi cittadini. Ciò
costituì, per i Mazaresi, il primo vero motivo
dei moti insurrezionali del 1820 piuttosto che
l'acquisita consapevolezza di indipendenza
e di libertà. Ecco così che il geologo inglese,
Greenough George Bellas, visitando la
Sicilia nel 1803, definiva Mazara, difatti,
“città miserrima”. “Sette lunghi anni di
carestia hanno affondato i poveri in un
abisso di miseria senza speranza di
recupero… Il numero dei derelitti che moriva
di fame per le strade era divenuto ad un
certo punto disturbo pubblico per cui gli
abitanti fecero una sottoscrizione ed otto
onze vengono adesso spese ogni giorno per
minestre ai poveri”. Lamentò il deplorevole
stato delle strade di tutte le città della
provincia, la carente e pessima ricettività
alberghiera ed annotò la difficoltà a trovare
cibo a Trapani. Nel 1809 soggiornò per due
giorni a Mazara il viaggiatore irlandese
Thompson William Henry, che trascurò gli
avanzi di antiche civiltà interessandosi delle
condizioni economiche della città e del
territorio circostante. Fu attratto dalla fertilità
della campagna mazarese che definì di
grado superiore a quella siciliana e si
rammaricò del fatto che non fosse
consentito la libera esportazione, cioè
senza le restrizioni governative,
dell'abbondante grano in eccesso che
avrebbe permesso più benessere
economico.
Lo scrittore e poeta parigino, La Harpe Jean
Francois, intorno al 1799, effettuò un
viaggio superficiale in Sicilia, trascurò
Selinunte, in fretta attraversò la città del
Vallo ritenendola poco interessante e rilevò
soltanto le ricche colture di cotone delle sue
campagne. In realtà in questo periodo
l'economia mazarese si basava
principalmente sulla produzione di olio, vino,
cotone e sulla attività estrattiva di materiale
calcarenitico, trasportato anche nei centri
viciniori. L'attività della pesca, irrisoria in
quel periodo, soddisfaceva appena il
fabbisogno degli addetti e vedrà il suo
imperioso sviluppo dopo la metà del
secondo decennio del Novecento.
Nell'aprile del 1767 anche il viaggiatore
tedesco, barone Riedesel von JosephHermann, si soffermò sulla coltivazione e
larga produzione di cotone a Mazara, che
definì impropriamente la migliore rendita
della contrada. Giudizio comunque
affrettato poiché pur potendogli apparire
immensa la visione di alcune coltivazioni
terriere di cotone, in realtà la produzione
agricola in quel periodo storico era
paragonabile ai momenti più bui della storia
di Mazara, nei quali la rendita agricola era
limitata “prevalentemente” al frumento, olio,
vino e orzo. Volle vedere le urne funeree
della Cattedrale.
La situazione economica era ancora
depressa intorno al 1858 quando lo scrittore
inglese Hare Augustus John C. visitò la
Sicilia. Definì, infatti, Mazara “well situated
but miserabile”, cioè collocata in una
posizione geografica invidiabile, ma
dall'economia misera.
Il poeta e scrittore francese, Julvecourt de
Paul, che visitò la Sicilia a dorso di mulo nel
1831, definì Mazara Petite sosie de
Marsala, piccola copia di Marsala. Persino
nel 1908, periodo delle tristi ondate
emigratorie, Mazara appariva, ancora, al
viaggiatore e pubblicista inglese Musson
Spencer C. “squalid and dirty”, squallida e
sporca. Nel recente 1953 lo storico d'arte
americano Berenson Bernhard visitò il
nostro territorio e la città del Vallo gli apparve
attraente e ben tenuta.
Se ne deduce che dalla seconda metà del
XX secolo la sporcizia e il disordine tendono
a diminuire ma non ad annullarsi in quanto i
Mazaresi, nella maggior parte,
amministratori compresi, preferiscono
essere ancora abitanti piuttosto che
cittadini, in quanto esageratamente
consapevoli dei loro diritti e, volutamente,
ignari dei doveri. Mahatma Gandhi dice: ”La
vera fonte dei diritti è il dovere. Se
adempiamo ai nostri doveri, non dovremo
andare lontano a cercare i diritti”. Ma le
parole di Gandhi sono lontane nel tempo
oltre che sconosciute.
La città con la sua posizione geografica, well
situated, con il suo incantevole litorale, dono
della natura non della capacità dei suoi figli,
adesso maltrattato, trascurato abbandonato
e in certe intenzioni e programmi da
violentare, dalle spiagge di bianca sabbia di
Capo Fedo fino alle brune rocce di Capo
Granitola; con le necropoli di Roccazzo, con
i suoi Gorghi Tondi, con il fiume Mazaro,
scrigno di civiltà antiche e di memorie
storiche ripudiate, adesso deposito
succursale della Ato Belice Ambiente, da
rivestire con i suoi abiti migliori; con il Centro
Antico dal peculiare stile islamico, con le
poche Piazze (Piano Maggiore, Piano del
Collegio, Piazza Mokarta) attorniate da
chiese ed edifici medievali degni di uno
sguardo interessato, raramente quello dei
suoi abitanti; con i templi religiosi dal
barocco contrastante (San Francesco e San
Michele), con le chiese, materialmente non
più esistenti ma non divelte dalla memoria,
con i Monasteri decadenti e decaduti (San
Michele, Santa Caterina, Santa Veneranda,
San Francesco); con il Lungomare, il
dessert dopo il pranzo, sul quale si proietta e
si specchia la città delle cento chiese, delle
mille campane e delle centomila voci,
potrebbe fungere ancora da ulteriore polo
del turismo provinciale e regionale soltanto
se si decidesse di riordinare e ripulire la
propria Casa.
A N C H E L’ A R C O
R I S P E T TA L’ A M B I E N T E :
Q U E S TO N U M E R O
È S TATO S TA M PATO
S U C A R TA R I C I C L ATA
DICEMBRE 2010
Pag. 8
L’arco
LA CROCE: EPPUR… CI IDENTIFICA
A distanza di un anno dalla
sentenza del consiglio d'Europea
che ha stabilito che l'esposizione
nelle scuole violava il diritto alla
libertà di istruzione, si attende a
Strasburgo, presso la Grande
Chambre della Corte Europea dei
diritti dell'uomo, l'epilogo
dell'udienza dedicata al ricorso
dello Stato italiano contro tale
decisione. Come è noto, il 3
novembre 2009, il Consiglio
d'Europa accoglieva il ricorso della
signora Lautsi riguardo la
rimozione del crocifisso dalle
scuole. La sentenza, emanata dal
consiglio d'Europa, non è una
norma vincolante poiché non è il
risultato di un decreto proveniente
dall'U.E., quella cioè che noi
votiamo, quella legittimata a
legiferare ecco perché concordo
con lo stato italiano col
procedimento del ricorso.
Un consiglio d'Europa che emana
una sentenza….lo stesso che due
anni fa, udite udite, ha espresso
parere negativo riguardo la figlia di
musulmani che portava il velo,
dunque ne ha vietato l'uso. In
ultima analisi in quella famiglia
musulmana impone i processi
educativi, in quella finlandese che
vive in Italia si preoccupa che
determinati processi educativi,
invece, possano venir turbati da
una croce.
In Italia esiste un decreto regio del
'29, anteriore al concordato, che
prescrive si metta il crocefisso nei
locali pubblici (scuole compreso).
Un dato che, piaccia o non piaccia
a qualcuno, corrisponde alla nostra
tradizione cattolica. Ma vogliamo
riflettere un attimo sulle
dichiarazioni di questa madre
finlandese che vive in Italia? Il
crocefisso che turba il processo
educativo del figlio? Non mi pare
che uno che vede una moschea
l'indomani mi diviene musulmano.
Chi ascolta la voce al megafono del
muzlin islamico (si quella che si
ode a Mazara Del Vallo p.es.) viene
turbata nei valori della sua
religione? Non capisco perché in
uno stato laico, dove argomento
principe risulta essere la tolleranza,
non si debba rivendicare la propria
identità cristiana; le nostre radici
sono cristiane; l'Europa è cristiana,
l'Occidente è prevalentemente
cristiano. O la verità è un'altra?
Quella che sosteneva Pascal
“l'ateismo è segno di forza di spirito
ma fino a un certo punto”…perché
questa madre rilascia la sua
intervista di spalle e non de visu?
"La legge di Dio,
dunque, non attenua né
tanto meno elimina la
libertà dell'uomo, al
contrario la garantisce
e la promuove."
Giovanni Paolo II
Quali sono le ragioni di questa
vigliaccheria? Di che cosa si ha
paura? Forse di una religione che
si distingue per la tolleranza, la
condivisione, il rispetto dell'uomo,
l'uguaglianza, l'amore come
di Danilo Di Maria
donazione totale. Una madre, una
famiglia ospite nel nostro paese,
incapace di identificarsi con i valori
italiani. Ma la croce è il segno della
pietà, mettere in un posto d'onore
un sofferente: una meditazione
sulla sofferenza, sulla pace,
sull'amore, contro la violenza e
ogni possibile guerra.
Recentemente abbiamo celebrato
la ricorrenza dell'unità d'Italia e
delle forze armate: in una società
piena di opportunità e di sfide vi è
sempre più bisogno di identità
vissute con passione. Va bene il
dialogo e la condivisione dei
progetti, ma rimando al mittente il
tentativo, a tutti costi, disfattista di
determinate prese di posizione
volte all'annullamento dell'altro.
Gesù di Nazaret è un evento
storico e una persona reale, ed è
l'immagine vivente di libertà e
umanità, di sofferenza e speranza,
di resistenza inerme all'ingiustizia,
ma soprattutto di laicità (“date a
Cesare quel che è di Cesare e a
Dio quel che è di Dio”) e gratuità
(“Padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno”), sia per
chi crede alla resurrezione, sia per
chi si ferma al dato storico della
crocifissione. Non reputo che
crescere e istruire i nostri ragazzi in
un ambiente asettico sia la cosa
giusta da fare; il crocifisso nella
pedagogia cristiana è una
opportunità per dare all'uomo una
visione integrale di un serio
progetto di vita. La simbologia, la
tradizione e la nostra identità
culturale sono elementi di crescita
che vanno salvaguardati. Il rispetto
di tutte le tradizioni storiche,
politiche, culturali e religiose passa
attraverso il riconoscimento dei
diritti e dei valori, non attraverso la
negazione dei simboli che spesso
esprimono l'identità e la storia di un
popolo. Escludendo il crocefisso
dalla realtà europea, in particolare
italiana, si toglie via quella sorgente
proprio dei diritti umani di cui la
corte europea era custode, per cui
mi domando: a quali valori poi si fa
riferimento? Una sentenza grave
dalla quale la stessa Unione
Europea si è dissociata; il
Cristianesimo che ha nel
crocefisso il suo simbolo
fondamentale è entrato come
stimolo alla solidarietà e alla
donazione di sé. anche nella
società civile europea. Nessuna
meraviglia in tal senso: del resto
Gesù, l'aveva pure predetto: se
hanno perseguitato me,
perseguiteranno anche voi.
150° ANNO DELL'UNITA' D'ITALIA
Strumento decisivo per l'emancipazione culturale, civile ed umana del Paese
L'unificazione dell'Italia, avvenuta il 17 marzo
1861, fu tormentata e molto spesso
contradditoria. L'idea di unità politica,
economica e sociale dei vari stati esistenti
prima del 1861 era sostenuta da una esigua
minoranza e costituiva il sogno di una élite
staccata dalla comunità di cui faceva parte. Il
Risorgimento non aveva avuto un carattere
popolare, era stata una rivoluzione
fomentata da una ristretta cerchia di
disoccupati intelliettuali, di diseredati e di
"teste calde".
La situazione d'Italia era caratterizzata da tre
fondamentali realtà storiche: 1)
l'analfabetismo quasi totale della
maggioranza della popolazione; 2)
l'avversione del Papa e della Chiesa all'unità
d'ltalia; 3) la divaricazione sostanziale di
visione politica tra gli uomini di cultura, di
patrioti, di politici, di letterati.
La condizione dell'istruzione pubblica, anche
quella primaria, era disastrosa specie nelle
regioni meridionali ove l'analfabetismo del
popolo minuto era totale e la percentuale
generale di analfabetismo nello Stato unitario
era del 78%.I contadini non nutrivano un vero
amore per l'unità d'Italia e resistevano a
qualsiasi esercito invasore costituendo di
fatto una forza politicamente
controrivoluzionaria poiché temevano di
avere sequestrato le provviste alimentari.
Per questa classe popolare e per i diseredati
ogni insurrezione rappresentava
un'occasione di saccheggio, di incendio dei
registri delle imposte e dei catasti: non
possedere niente costituiva, in ultima analisi,
un vantaggio non avendo da difendere
nessun bene.
Risorgimento politico non poteva avverarsi
senza una rivoluzione sociale poiché le
riforme sociali sono necessarie per la
stabilità politica: una mentalità nuova era
condizione indispensabile di progresso
sociale ed economico. L'atteggiamento della
Chiesa e del Papa era ostile a qualsiasi
processo di formazione di una nuova
nazione. L'abolizione dei beni temporali del
papato, la soppressione degli ordini religiosi
contemplativi, dei monasteri e dei loro
privilegi furono elementi determinanti di una
scomunica collettiva comminata nel 1860
che escludeva i patrioti italiani dai sacramenti
e dalla sepoltura in terra consacrata,
condanna che durò fino al 1929. Il terzo
elemento ostativo si coglie nel diverso
atteggiarsi degli uomini più rappresentativi
del Risorgimento sulla forma di governo della
futura nazione unita. Giuseppe Mazzini, il
maggiore profeta dell'unità d'Italia, sognava
una repubblica realizzata dalla iniziativa
popolare. La redenzione d'Italia, secondo lui,
era affidata ad un vasto moto di
rinnovamento morale e spirituale fondato
sulla certezza religiosa che ogni nazione ha
da compiere una missione stabilita da Dio
che appunto nel popolo rivela se stesso. Per
l'attuazione di questa missione era
essenziale che il popolo fosse pienamente
padrone di sé, nella libertà di una repubblica
indipendente e unitaria.
Anche Giuseppe Garibaldi, geniale
condottiero, uomo di grande integrità morale
e di amore disinteressato per l'Italia, si
definiva repubblicano e socialista. Denis
Mack Smith sostiene che egli "ebbe una sua
grandezza, in primo luogo, come eroe
nazionale, come famoso soldato e marinaio
cui più che ad altro si dovette l'unione delle
due Italie... Tutto queUo che fece, lo fece con
appassionata convinzione e illimitato
entusiasmo... lnoltre era una persona
amabile e affascinante, di trasparente
onestà." Per non creare difficoltà e remore al
processo di unificazione non esitò un
momento a consegnare il 13 febbraio 1869 a
Vittorio Emanuele Il le terre valorosamente
conquistate rinunziando al patrimonio
politico-culturale dele sue idee.
Atteggiamento ideologico-politico differente
si trova in Vincenzo Gioberti che nel suo
saggio più celebre, "Primato morale e civile
degli italiani", cercò di sciogliere l'antitesi tra
la religione tradizionale e il movimento
italiano sognando un'Italia stretta in
confederazione intorno al papato e sotto la
sua presidenza conciliando così il rispetto
dell'autorità con le aspirazioni liberali, la
nazionalità italiana con la chiesa cattolica. E'
l'affermazione del cosiddetto neoguelfismo.
Cesare Balbo, Leopoldo Galeotti, Giacomo
Durando sostenevano con leggere
diversificazioni il programma neoguelfo del
Gioberti.
Il prof. Luciano Malusa, ordinario
nell'Università di Genova, profondo
conoscitore e appassionato studioso del
pensiero e delle opere di Antonio Rosmini,
delinea "con una messe di importanti
documenti il progetto" ove stesso Rosmini
sostiene" una più stretta collaborazione degli
Stati italiani in vista dell'unificazione"
definendo giusto, "il ruolo del papato nel suo
accordo con le libertà costituzionali" ed
insistendo che "non possa esistere un
contrasto tra la Chiesa e le cosiddette "libertà
moderne" se intese come espressione delle
naturali libertà della persona," diritto umano
sussistente".
Altre correnti di pensiero svolsero un
programma di netto dissenso al
neoguelfismo. Il gruppo toscano di Raffaele
Lambruschini, di Gino Capponi, di Bettino
Ricasoli; i neoghibellini Domenico Guerrazzi
e G.Battisti Nicolini, l'altro gruppo radicale di
Carlo Cattaneo e di Giuseppe Ferrari
di Vito Ingrasciotta
sviluppano un variegato quadro di
programmi e di obiettivi politici tutti afferenti
alla forma di governo dopo l'unificazione.
Questa diversità di posizioni politiche e di
pensiero è la prova non solo di una vivacità
intellettuale ma anche di una aspirazione ad
una sintesi di promozione umana e civile.
Ernesto Galli della Loggia, eminente uomo di
cultura ed eccellente giornalista, afferma che
"la storia dell'Italia, dello Stato nazionale
italiano è stata senza alcun dubbio una storia
di successo... se negli ultimi 150 anni tutti gli
italiani hanno mangiato, abitato, vissuto
incomparabilmente meglio dei loro antenati,
se hanno avuto la possibilità di curarsi, di
istruirsi, di leggere un libro, di assistere ad
uno spettacolo, di conoscere il mondo, in una
misura anche 50 anni fa inimmaginabile, lo
devono per lo più solo all'esistenza di quella
gracile creatura nata nel lontano 1861...
Bisogna essere consapevoli che l'Italia unita
ha rappresentato lo strumento decisivo per la
nostra emancipazione culturale, civile ed
umana. L'Italia, lo Stato italiano, di cui tutti
conosciamo i mille difetti, le mille
inadempienze, le mille miserie ma che alla
fine è il solo paese che abbiamo: il nostro
Paese. Perchè buttarlo?