Novembre 2012. Numero 28.
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Novembre 2012. Numero 28.
Chi legge Max Keefe solleva le montagne VENTOTTO NOVEMBRE 2012 LIBRI 1Q84 terza parte di Haruki Murakami STORIE Simpatia per il demonio terza puntata FOTO Zhao Huasen Max Keefe è un mensile creato, impaginato e diffuso da Roberto Mengoni Rinfrescante, tollerante, gratuito, rifiuta la pubblicità. MAXKEEFE STORIE E AVVENTURE IMMAGINARIE 1Q84 terza parte di Haruki Murakami La perfezione solitaria Uscita in Italia l’ultima parte del romanzo fiume dello scrittore giapponese Torniamo su 1Q84, di cui è uscita in ottobre in Italia la terza ed ultima parte (delle prime due Max Keefe ha parlato nel numero di febbraio). Buona fortuna a chi ancora sta al primo capitolo. Non c’è da preoccuparsi: le 1113 pagine scorrono rapide, si sciolgono tra le mani come un calippo, lasciando un vago sapore di zucchero. Vi è mai capitato di pensare che oltre voi stessi non esiste nulla, che il mondo sia solo una creatura della vostra mente? Se fate parte di questa curiosa lega, allora niente di quello che scrive Murakami dalla sua bolla insonorizzata e pulitissima vi stupirà. Nella sua logica opprimente e lineare, 1Q84 è un meccanismo perfetto, una locomotiva elettrica e silenziosa, che scivola sui binari con un lieve tremito della terra, al cui interno i passeggeri bevono succhi 1 di frutta e cocktail moderatamente alcolici senza parlare mai con nessuno e poi si coricano nei loro vagoni letti, tra cuscini perfetti e lenzuola perfettamente stirate. Da soli. Da soli viaggiano, senza mai scendere ad una stazione. I due protagonisti di 1Q84, Aomame e Tengo sono donna e uomo. Si sono visti l’ultima volta vent’anni fa e si cercano per 1113 pagine. Una storia molto giapponese. Vivono a Tokyo e non potrebbe essere altrimenti. Quale altra città può comunicare un simile radicale rifiuto di vivere con gli altri? La città tentacolare è uno sfondo bidimensionale, esiste solo come uno schermo cinematografico. Si muove, respira, sbatte le portiere dei tassì, muove figure di fantasmi in palazzetti decrepiti. Non fa rumore. Tokyo è silenziosa, quasi pacifica, come un acquario, come se una membrana insonorizzata proteggesse i due giovani dal chiasso dei suoi diciotto milioni di abitanti. 1Q84 è un laboratorio scientifico, un centro di ricerca delle casi farmaceutiche, con scienziati in camici bianchi, pantofole bianche, mascherine bianche, che manipolano provette virali oltre un vetro piombato. Ci sono due modi per stare a Tokyo: come straniero o come ingranaggio. Aomame e Tengo hanno deciso di tagliare qualsiasi relazione emotiva e pratica con il resto del mondo. E’ una forma estrema di fuga dalla realtà e dal consumismo, ma anche dall’umanità. Il massimo dell’alternativo, senza seguire santoni né pratiche religiose. I due personaggi, non vogliono altro che essere se stessi. Pazienza se non sanno come esserlo. Si con- Tutti i numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEVENTOTTO 21novembre2012 2 fondono sulle pareti grigie della metropolitana, nei riflessi di un flute in un bar di Roppongi, sono il profumo della plastica che avvolge i piatti pronti. Macchine perfette e lucide, che assolvono le funzioni primarie: mangiare leggero e semplice, bere senza ubriacarsi, lavorare part-time per avere il tempo di restare soli. Fanno ginnastica ad ore precise, tengono la casa perfettamente in ordine, sono meticolosi nel lavoro, professionisti negli hobby, pratici nel sesso. Chiusi in un minuscolo paradiso di tatami, circondato dalla tecnologia e da mura bianche. Pensa Tengo “Una vita ordinaria? L’unica immagine di ‘vita ordinaria’ che gli veniva in mente era stereotipata, priva di profondità e sfumature. Una coppia, marito e moglie, con dei bambini, preferibilmente due. La mamma con il grembiule. Una pentola da cui si solleva il vapore, una conversazione intorno al tavolo da pranzo... Di cosa parla una famiglia ‘normale’ seduta intorno a un tavolo?” Cosa resta allora di umano in una vita meccanica e aliena dalla socialità? L’amore? Forse. Ma niente di ordinario. Pensa Aomame “si accorse che da quando viveva in quell'appartamento non aveva mai fatto sesso né si era masturbata una sola volta... Aomame se ne rallegrava. Se nella situzione in cui si trovava avesse avuto voglia di fare sesso il suo desiderio non avrebbe trovato alcuno sbocco. Era contenta anche di non avere le mestruazioni. Nel suo caso non erano mai state troppo fastidiose, ma aveva la sensazione di essersi liberata comunque da un peso che aveva gravato su di lei troppo a lungo.” Sesso senza amore. L’amore fermo ad undici anni, al primo amore, al primo tocco delle mani. Un amore così puro e monacale da essere irrealizzabile. L’ultimo tocco mancante per la perfezione. Se l’amore è forza, schiaffo, bacio, insulto, penetrazione, per Murakami è stasi, equilibrio, un’impossibile infusione di due anime e di due corpi, senza dolore e senza preliminari, senza rose, inviti. Un circuito elettrico che si accende. Come lettore ho avuto una sensazione di graduale congelamento che approda allo stop finale dell’ultima lettera dell’ultima frase dell’ultima pagina. Poi, l’apertura di una grande pace, di aver letto qualcosa di profondamente umano, toccare il fondo di un abisso tenebroso dove si nasconde una sorgente di calore. Ed è quello che resta di 1Q84 alla fine delle sue 1113 pagine. Riassunto delle prime due puntate. Roma, futuro presente. Barnaba Leandri, dopo essere stato tamponato dall’auto blu del presidente della Camera, Gamberi, si sfoga per strada in una violentissima ed applauditissima inventiva contro i politici, che finisce su tutti i media. Contemporaneamente il presidente del consiglio, Italo Caliandro, convoca i principali esponenti del Partito del bel paese per una riunione urgentissima: oltre a Gamberi, il ministro delle finanze Folli; Meloni, imprenditore medico ed amico del Vaticano; il giornalista Bondeno; l’on. Samueli, la vera mente dietro Caliandro. Il presidente è preoccupato per i sondaggi sempre più deludenti. Mentre Barnaba è preoccupato per le conseguenze del suo sfogo. Racconto originale Simpatia per il demonio Terza parte Porno. Appiedato, schedato, diffidato e con la gola che bruciava, Barnaba Leandri attendeva un autobus davanti a un’edicola, sul lato sinistro, con gli occhi fissi ma vacui sulle foto delle riviste porno. Italiane sdraiate e prosperose. Slave alte e depilate. Brasiliane dagli occhi magici. Tutto a sua disposizione. Foto che venivano dalla strada, con lo stesso colore grigiastro di una periferia, la stessa sua piatta dimensione. Niente di quello che vedeva lo eccitava. Lui era maschio, aveva manco quarant’anni, era in forma, non c’era nulla di sbagliato in lui. Era prosciugato di energia. Aveva perso il desiderio di fare qualsiasi cosa. Non andava più al cinema da tempo, non seguiva il calcio, non accendeva la televisione da mesi. Non aveva neppure voglia di vedere i vecchi amici e neppure di farne di nuovi. Era questo dannato paese, questa città infernale, a renderlo impotente. Ogni sera la passava nello stesso modo, da mesi, forse da anni, a raccontare a Sandra gli stessi problemi: le difficoltà in ditta, la stupidità dei dirigenti, l’impossibilità di cambiare vita, la corruzione dei politici, la voglia di fare piazza pulita. Ecco, quella non gli era mai venuta meno. Il rombo delle automobili si confondeva con l’eco delle voci della folla che l’aveva ascoltato, incitato, seguito ed osannato solo qualche ora prima. Aveva subito una profonda alterazione chimica. I suoi sensi si erano trasformati. Gli occhi acuti che coglievano i sorrisi dei passanti, scavando nel loro sottobosco di perfidia e rassegnazione. L’udito teso a percepire un fischio, una chiamata, un raggiro, il suo nome. L’incidente gli aveva cancellato la memoria. Non ricordava quello che aveva detto, se non la sua rabbia, all’unisono con quella della plebe che lo acclamava come il suo Spartaco. Era invincibile. Invulnerabile. Avrebbe strangolato con le sue mani quel ridicolo mollusco elegantissimo e tiratissimo, nonché il suo tirapiede tirato a nuovo in una palestra. Ma chi era? Non riusciva a ricordarne la faccia. Sicuramente un pezzo grosso del Partito del Bel Paese, aveva sul bavero una spilla con la faccia di Caliandro. Un ragazzo di manco vent’anni comprò una copia di Muchachas libres. Mulatte cubane con cosce da chianina e poppe da nave in crociera. Il ragazzo non cercò di nascondere la rivista. Anzi, sembrava felice di mostrare in questo modo la sua mascolinità da guardone. Il borsello con la pila di verbali lo riportò alla realtà. Denuncia. Controdenuncia. Denuncia. Ne aveva per un paio di ergastoli. E non aveva fatto niente. Aveva solo gridato. Chiesto aiuto agli altri cittadini oppressi dalla politica viziata del Partito del Bel Paese e del Partito della Moderazione Democratica, della Lega dei Comunisti Alternativi e del Movimento delle Valli Libere, che voleva la secessione delle valli dalle montagne. Aveva insultato pesantemente il governo, ministro per ministro. Ad ogni nome, era salita un’ovazione. Quando aveva raggiunto il nome di Caliandro la folla era in delirio sanculotto. I carabinieri dei reparti antisommossa si erano sistemati pronti per difendere la Bastiglia. La Bastiglia sulla circonvallazione. Un tizio che aveva appena comprato “Guida dei ristoranti a buon mercato” lo scrutò a lungo. Barnaba restituì lo sguardo fisso. “Ho una faccia strana?” “Mi scusi. Lei non è quello che ha scatenato la rivolta contro Caliandro?” “No. Si sbaglia.” Tutti i numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEVENTOTTO 21novembre2012 3 “Ma no, è proprio lei. C’è la sua foto su internet.” Barnaba pensò che quelle sarebbero state le sue ultime ore di libertà. Sarebbe stato licenziato, sua moglie, che odiava la violenza, la volgarità e il romanesco, l’avrebbe cacciato di casa, i figli l’avrebbero disconosciuto, una camionetta dei servizi l’avrebbe prelevato e l’avrebbe fatto scomparire in uno dei supermercati di Caliandro. Condannato ad affettare salumi per i prossimi cinquant’anni. “E’ stato bravo, sa? Complimenti per le belle parole. Azzeccate. E che calma. Che grinta. Che eleganza. Come ha detto? ‘Noi siamo un popolo paziente ma abbiamo la memoria lunga. Vi dico che ci fate schifo! Vedrete il nostro disprezzo dovunque andrete! Non potrete più uscire di casa! Vomiteremo al vedere la vostra ombra! La vostra vita sarà impossibile finché non vi vergognerete e ve ne andrete lasciando libero questo paese!’” Barnaba balbettò. “Mah, io n-non so che sta dicendo. Mi scusi. Il telefono.” Era sua moglie. Un messaggio. ‘Sei stato fantastico! Tutti parlano di te! Ma dove hai trovato quelle parole così belle? Sono orgogliosa di te!’ Questa poi. Inaspettata. Sandra Bartolomei non era mai stata così espansiva di aggettivi. Per prenderlo in giro, al ginnasio lo avevano soprannominato Caliandro, bell’uomo, lui che era il più basso della classe e il più scuro. Era inutile mascherare l’origine meridionale, nascondere l’accento salentino che non se andava, malgrado lui ripetesse ad alta voce, per ore e ore, la pronuncia della Rai per essere più italiano degli italiani, più piemontese dei piemontesi che lo circondavano. Ma Caliandro era il più bravo. Non c’era materia che gli sfuggisse: scienze, inglese, greco, matematica. Aiutava i compagni, spiegava i passaggi in greco e latino, dava dritte su come comportarsi Anagrafe alle interrogazioni di matematica e fisiNon era un mistero che Italo Caliandro ca. E si faceva pagare. Piccole somme. non fosse il vero nome dell’imprendito- Cinquanta, cento lire che lui metteva da re, né del presidente del Torino, né della parte. Niente per i compagni, somme federazione calcio, né presidente del enormi per lui. consiglio. Non era neppure un segreto Capiva tutto al volo. Le persone e le che Caliandro non amava chi gli ricorloro debolezze. I trucchi del successo. In dasse le sue origini. All’anagrafe era seconda liceo il brutto Diomelalevi si Pasquale Diomelalevi, un nome e un trasformò, senza più ironia, nel belcognome che non sarebbero serviti né l’uomo del suo nomignolo. Se non belper diventare un politico né un impren- lo, interessante. Sapeva parlare, sapeva ditore, forse solo il presidente di una convincere. Non era molto amato ma piccola squadra di calcio. era rispettato. I compagni ricorrevano a Pasquale voleva diventare qualcuno lui per i compiti e per qualche problema fin dall’infanzia. Voleva il potere e i con le ragazze, anche se lui una ragazza soldi e la bella vita che i soldi portavanon ce l’aveva. Per gli altri sapeva trovano, quando vedeva suo padre operaio re le parole giuste, lui che parlava poco leccese sporco di grasso meccanico e la per la paura che uscisse fuori il suo acmadre casalinga che s’ingegnava con la cento terrone. Scriveva poesie da rivenpasta al pomodoro e con i rammendi e dere. Metteva insieme tre accordi rogli abiti ridicoli fatti in casa, mettendo mantici con la chitarra da offrire a buon da parte ogni lira per farlo studiare, a prezzo ai compagni che volevano far lui Pasquale che avrebbe bevuto cham- colpo. Spacciava sigarette di contrabpagne e guidato un’Alfa Romeo e ama- bando mandategli dai suoi parenti in to donne come Sophia Loren e Gina Puglia. Lollobrigida e Amanda Sandrelli, alte, Alla maturità non fu una sorpresa il bionde e senza baffi, con i seni prospesuo sessanta con menzione speciale delrosi, solo per lui, da non condividere la commissione. Il suo tema di italiano con poppanti urlanti per la colite. venne pubblicato sul giornale della scuola. Era una dissertazione sul discorso di Pericle agli ateniesi, di cui aveva rovesciato completamente il senso dimostrandone la natura autoritaria e antidemocratica. Una frase rimase impressa e divenne quasi un suo slogan ‘noi ad Atene facciamo così perché io so cosa voglio e voi non lo sapete’. E così Caliandro cominciò. Anni dopo divenne imprenditore, presidente di calcio e politico di successo. La posizione del capo. Quando Samueli entrava nello studio privato di Caliandro, lo trovava quasi sempre impegnato in qualcosa che aveva a che fare con un video. Quella mattina invece era sdraiato sul divano con i piedi sul bracciolo, la cravatta slacciata, una posa quasi decadente. Leggeva il libro di Mariani, ‘Ho incontrato il boss’, la biografia non ufficiale sulla sua scalata. Annuiva con piacere. Gli piaceva quel giornalista senza padroni. “Settantasette” disse Caliandro senza muoversi dal divano. Gli altri attesero in piedi, tranne Samueli che si sedette su una poltrona. “Settantasette” ripeté. Gli altri interlocutori si guardarono perplessi pensando che il capo si riferisse al suo prossimo compleanno, che avrebbe festeggiato con pochi amici intimi. Aveva detto che sarebbero stati in dodici. Sei amici e sei amiche. Nel partito e nelle aziende si era scatenata la lotta per entrare nel gruppo della tavola rotonda. “I sondaggi dicono che il settantasette per cento degli italiani è insoddisfatto del mio governo. Che ne dici Franco?” Gamberi si asciugava il sudore che continuava a colargli dalla fronte e dal collo. Avrebbe tanto gradito aver avuto il tempo di passare nel suo appartamento accanto al Colosseo. “Non darei peso Tutti i numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEVENTOTTO 21novembre2012 4 ai sondaggi di Repubblica.” “Sono i miei sondaggi.” “L’opinione pubblica muta di accenti e di pensier” citò liricamente Gamberi. “Tre mesi fa i dati non erano migliori.” “In tre mesi sono peggiorati. Rispetto a sei mesi fa sono anche peggiori. Per non parlare di un anno fa. Perché?” Silenzio. Folli non si lasciò mancare l’occasione. “Alcune scelte economiche non sono state comprese. I tagli alla scuola. La privatizzazione del sistema sanitario. I soldi al calcio e alla chiesa.” “C’è qualcosa di male in tutto questo? Agli italiani piacevano.” “Sono state inefficaci. Anzi dannose. Le riforme attuate hanno semplicemente rafforzato i monopoli economici senza stimolare l’apparato produttivo che, come tu mi insegni, è soprattutto composto di piccoli e medi imprenditori...” “Va bene Alessandro. Non mi fare la solita lezione d’economia.” “Te la farò finché campi. Tu sei un imprenditore ma non capisci niente di economia.” “Come dire che il papa non sa niente di teologia.” Gli altri risero. Tutti, tranne Samueli. “Direi come un presidente di calcio che vuol fare l’allenatore” rispose perfidamente Folli, riferendosi ai miliardi spesi inutilmente da Caliandro per restituire lo scudetto al Torino. “Ho sempre pensato che quando ci ritireremo dalla politica, Alessandro, potremmo fare una coppia di comici.” “Sì, potremmo imitare noi stessi.” Intervenne Bondeno. “I sondaggi non sono mai attendibili per definizione. Cosa significa ‘insoddisfazione’? Gli italiani sono sempre insoddisfatti del governo e pronti alla sommossa” “Lo so. E vorrebbero la rivoluzione per decreto. Ma fatta da un’altra parte. come le discariche.” “Voglio dire, presidente, i miei sondaggi dànno un quadro più sfumato. Anche se la percentuale degli insoddisfatti supera di molto quella dei soddisfatti, in realtà la maggior parte di questi insoddisfatti sta aspettando.” “Cosa?” “Vorrebbe semplicemente più attenzione ai problemi comuni.” “Quindi, secondo te, basterebbe che parlassimo più della lotta alla disoccupazione per convincere i tuoi insoddisfatti?” “Esatto.” “E’ come andare a letto con una donna di cinquant’anni. Sarà sexy e matura ma ha le grinze.” “Hai bisogno di un pacchetto di stimoli per rinvigorire l’economia. E anche te, invece di prendere le pillole” fece Folli. “Ah, fortunato Alessandro che non pensa mai al sesso. Per lui un libro su Keynes è meglio che toccare le tette di Silvia Brachetti.” “Il viagra fa male, caro Italo.” “Il presidente sta dicendo che l’Italia è una donna matura con le grinze” intervenne Samueli. “Io non credo che il problema sia l’economia” esordì sornione Meloni. “I miei amici in Vaticano mi dicono che le masse esprimono insoddisfazione ma quando sarà il momento di votare, nessuno sceglierà l’opposizione.” “Secondo te, quindi, basterebbe proseguire come abbiamo sempre fatto. Folli con la sua politica economica senza né capo né coda. Bondeno con le sue veline da MinCulPop. Gamberi farà sì che i miei deputati continuino a votare come dico io. Ed io potrò festeggiare il mio compleanno senza preoccuparmi.” “Mancano due anni alle elezioni.” “Venti mesi per la precisione” precisò Folli, che da economista amava i dati certi. “Quindi non devo arrendermi?” Risposte entusiastiche di resistere alle difficoltà momentanee. “Una donna con le grinze” fece Caliando dopo una lunga riflessione. “No, l’Italia non mi soddisfa più. Quando l’ho conosciuta per la prima volta aveva la pelle liscia e le tette grosse. Le sfioravio il culo e lei muggiva. Amava vestirsi con classe. Si truccava con eleganza. Non era mai volgare. Tacchi a spillo, minigonna, capelli lunghi. Me la sognavo di notte. Era mia. E adesso che ho? Una moglie isterica. Insoddisfatta. Che si cosparge di crema sulla pelle secca prima di venire da me chiedendomi di farle provare un brivido.” Perplessità nel salone cosparsi di DVD e di libri, compresi quelli scolastici usati al liceo. “Signore dio. Non posso. Non posso. Neanche al buio.” Grande pezzo di teatro del settantasettenne Caliandro. “E’ un problema che si può curare” fece Meloni con il suo fare da medicone di campagna. “Non si può curare” rispose Caliandro e gli altri cinque capirono che il capo stavolta aveva una seria preoccupazione. “L’Italia si può curare” fece Bondeno. “Non c’è campagna pubblicitaria a cui può resistere. Abbiamo i migliori grafici, i migliori creativi, i migliori scrittori, i comici, i registi, i musicisti. Possiamo rifarti da capo a fondo.” “No.” “Non vuoi neppure tentare?” “No. Non mi interessa. Io sono giovane e vitale, non ho bisogno del vostro viagra. L’Italia mi ha stufato.” “Scherzi?” Fece Meloni. “Non scherzo. Voglio goderni la vita. Mi sono fatto un mazzo così per voi italiani per sessant’anni e adesso parto in crociera per i prossimi vent’anni e vado in cerca di avventure come volevo fare da tempo. Me ne vado!” “I giudici ti spolperanno se te ne vai” disse Gamberi. “Vi spolperanno. E’ la fine. Stop. Trovatevi un altro che vi venda i compiti in classe. Avete tempo un mese.” Autentico terrore. Cinque uomini gettati in una zattera in un mare in tempesta. (Fine terza puntata) Tutti i numeri arretrati su www.robertomengoni.it