il giudice non puo` vincolare il pm sul tipo di indagine da compiere

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il giudice non puo` vincolare il pm sul tipo di indagine da compiere
I RAPPORTI TRA PM E GIP: LE ULTERIORI INDAGINI
Corte di cassazione, Sezione IV, 22 maggio 2012- 1° febbraio 2013 n. 5476
(Presidente Brusco; Relatore Foti; Pm – concl. diff.- Russo; Ricorrente Proc. Rep. Trib. Padova in
proc. Vittucci ed altri)
Giudice- Giudice per le indagini preliminari - Richiesta di archiviazione - Ordine rivolto al
pubblico ministero di procedere allo svolgimento di ulteriori indagini- Indicazione delle
modalità di svolgimento- Abnormità- Esclusione- Ragione- Assenza di vincolatività per il
pubblico ministero (Cpp, articoli 408 e segg., 606)
Non è abnorme l’ordinanza del giudice che ordini al pubblico ministero lo svolgimento di ulteriori
indagini pur quando ne abbia indicato le concrete modalità (nella specie, relativa ad vicenda di
sospetta esposizione ad amianto ed a radon di personale militare, con la indicazione di procedere
all’identificazione del personale risultato affetto da patologie eventualmente correlate mediante
l’interpello degli organi militari di vertice e con la successiva indicazione dell’incidente probatorio
come metodica necessaria di approfondimento tecnico): ciò in quanto tali indicazioni non sono
vincolanti per il pubblico ministero, che rimane comunque libero di scegliere lo strumento più
idoneo per approfondire i temi indicati dal giudice.
La Cassazione interviene sui limiti del potere del Gip di ordinare al pubblico ministero lo
svolgimento di ulteriori indagini nel caso in cui non ritenga di condividere la richiesta di
archiviazione (articolo 409, comma 4, del Cpp).
La Corte ha dovuto affrontare il tema della possibile “abnormità” del provvedimento del giudice
che, non limitandosi ad indicare il tema e la direzione delle stesse e, quando necessario, finanche i
singoli atti d’indagine, abbia esteso tale indicazione alle forme ed alle modalità degli accertamenti.
Sul punto, il giudice di legittimità, ha escluso l’abnormità, evidenziando come non vi fosse ipotesi
di ingiustificata invasione da parte del giudice nella sfera di autonomia propria dell’organo
requirente, per il semplice fatto che, in ogni caso, pur a fronte di un’indicazione esorbitante da
parte del giudice, il pubblico ministero era comunque libero di scegliere lo strumento più idoneo
per approfondire i temi investigativi indicati dal giudice.
La soluzione che la Cassazione ha ritenuto di fornire è frutto di un “compromesso” equilibrato, ma
senz’altro convincente nello specifico: pur a fronte di un provvedimento del giudice chiaramente
esorbitante, la Cassazione lo ha salvato, escludendone l’abnormità,
ma ciò ha fatto
“neutralizzandone” il contenuto attraverso la precisazione dell’inidoneità delle indicazioni del
giudice ad incidere sulla sfera di autonoma determinazione del pubblico ministero, comunque libero
di determinarsi secondo le modalità ritenute più proprie e convenienti.
Il “risultato” della decisione è quindi ineccepibilmente pragmatico, perché risolve il “contrasto” nel
modo economicamente più vantaggioso per l’iter del procedimento.
Il che, però, non esclude l’utilità di un approfondimento chiarificatore sul tema dell'esatto
discrimine tra il ruolo del pubblico ministero e quello del giudice per le indagini preliminari in
quella fase oltremodo delicata che è il controllo sulle modalità con le quali la pubblica accusa si
determina ad esercitare (rectius, a non esercitare) l'azione penale.
Un discrimine che va ricercato cercando di trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza di garantire
il controllo del giudice sull'attività del pubblico ministero e quella, concorrente, di evitare di
trasformare tali poteri di controllo in uno "straripamento" del giudice nell'ambito delle competenze
esclusive del pubblico ministero in materia di esercizio dell'azione penale, con il rischio concreto di
indebitamente trascurare il carattere accusatorio del nuovo processo penale e la posizione di terzietà
del giudice che ne costituisce uno dei pilastri fondamentali. Ciò che si verificherebbe allorchè il
giudice finisca con l'esercitare compiti tipicamente inquisitori, in contrasto i principi basiliari del
nuovo codice di procedura penale, quali desumibili dalla stessa legge-delega (v. i punti 48-51 della
legge 16 febbraio 1987 n. 81).
Tali indicazioni possono essere efficacemente tratte da altre pronunce della Cassazione intervenute
in materia, dove il tema è stato risolto più radicalmente nel senso dell’ “abnormità” dei
provvedimenti del giudice che invadono la sfera di autonoma valutazione discrezionale del pubblico
ministero, snaturando il ruolo di (mero) controllore del primo.
In questa prospettiva ermeneutica, per rimanere ai rapporti tra pubblico ministero e giudice per le
indagini preliminari, l' “abnormità” del provvedimento giudiziale è ravvisabile in tutti i casi in cui il
giudice, con il provvedimento adottato, abbia finito con l'esorbitare dai propri compiti di controllo
sull' attività del pubblico ministero, in tal modo determinando una inammissibile invasione della
sfera di autonomia riservato al pubblico ministero in tema di esercizio dell'azione penale, ovvero
una indebita regressione del procedimento, in contrasto con il principio di irretrattabilità dell'azione
penale, ovvero, ancora, una stasi irrimediabile del processo con conseguente impossibilità di
proseguirlo.
E' tematica però caratterizzata da interventi giurisprudenziali non sempre coerenti, che non è
certamente possibile ricostruire in questa sede (basta richiamare, per i principi generali,
l’importante sentenza delle Sezioni unite, 31 maggio 2005, Proc. Rep. Trib. Brindisi in proc.
Minervini).
La difficoltà di applicare i principi generali al caso concreto è emblematicamente evidente
proprio nella tematica di interesse, relativa al contenuto dell’ordinanza impositiva delle indagini
“coattive”.
Qui, con la sentenza qui segnalata, la Corte, pur evidenziando il superamento dei limiti da parte del
giudice, ha risolto la vicenda pragmaticamente, escludendo l’abnormità.
E’ però rinvenibile altro orientamento del giudice di legittimità secondo cui è, invece, da qualificare
come “abnorme” e, come tale, censurabile con ricorso per cassazione, il provvedimento con il
quale il giudice per le indagini preliminari, ove non ritenga di accogliere la richiesta di
archiviazione del pubblico ministero e disponga un supplemento di indagini, non si limiti ad
indicare il tema e la direzione delle stesse e, quando necessario, finanche i singoli atti d’indagine,
ma estenda tale indicazione alle “forme” ed alle “modalità” degli accertamenti. In tale evenienza,
infatti, si è argomentato in parte motiva, si determinerebbe un esorbitante esercizio di poteri
inquirenti da parte del Gip, che finirebbe con il risolversi in una limitazione del potere del
pubblico ministero di gestione delle indagini, che implica la libertà dell’organo inquirente di
sceglierne le concrete modalità di svolgimento. Da queste premesse, nella specie, la Corte, ha
annullato in parte qua, qualificandola abnorme, l’ordinanza con la quale il Gip, nel disporre le
ulteriori indagini, aveva esorbitato dai propri poteri imponendo al pubblico ministero le modalità
con le quali dovevano essere svolte, attraverso l’indicazione dell’organo di polizia giudiziaria al
quale queste dovevano essere delegate (“i Carabinieri territorialmente competenti”) (cfr. Sezione
VI, 14 gennaio 2010, Proc. Rep. Trib. Napoli in proc. Suppa ed altri; in senso conforme, in
precedenza, Sezione IV, 20 dicembre 2007, Proc. Rep. Trib. Varese in proc. Bellavita).
Si tratta di un orientamento che merita condivisione, ponendosi tra l’altro nel solco già tracciato
dalla citata, fondamentale decisione delle Sezioni unite 31 maggio 2005, Proc. Rep. Trib. Brindisi
in proc. Minervini., intervenuta a ricostruire i rapporti tra pubblico ministero e giudice per le
indagini preliminari qualificando come “abnorme” il provvedimento del giudice in tutti i casi in cui
questo si finisca con l'esorbitare dai legittimi poteri di controllo sull' attività del pubblico
ministero, determinando una inammissibile invasione della sfera di autonomia riservato al pubblico
ministero. In quell’occasione, le Sezioni unite ebbero a qualificare come “abnorme” la
determinazione assunta dal Gip che, a fronte della richiesta di archiviazione per infondatezza della
notizia di reato formulata dal pubblico ministero, ritenendo di non doverla accogliere e disponendo
le ulteriori indagini che il pubblico ministero doveva compiere, aveva anche fissato una nuova
udienza davanti a sé per l'apprezzamento degli esiti di tali indagini.
Non è dubitabile, infatti, che il Gip, che non ritenga di accogliere l'archiviazione, per la ravvisata
necessità di nuove indagini, le possa indicare al pubblico ministero, fissando il termine
indispensabile per il compimento di esse (articolo 409, comma 4, del Cpp).
Quello che il giudice non può fare è "controllare" gli esiti delle “indagini suppletive” rinviando ad
una successiva udienza davanti a sé (come nel caso esaminato dalle Sezioni unite).
Così come, venendo al tema delle indagini “coatte”, il giudice non può certo stravolgere il proprio
ruolo di “controllore” trasformandosi in una sorta di “giudice istruttore” attraverso una indicazione
“tipica” delle indagini da svolgere e delle modalità del relativo svolgimento. Un tale modus agendi
finirebbe con il far perdere al giudice la sua posizione di terzietà, facendogli assumere la
conduzione delle indagini, e finirebbe, altresì, con l' invadere la sfera della competenza funzionale
del pubblico ministero in tema di esercizio concreto dell'azione penale.
Va solo soggiunto che le conclusioni cui qui si perviene non sono neppure contraddette da quella
decisione, pure intervenuta sul tema, che ha escluso fosse abnorme l'ordinanza con la quale il Gip,
in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di
archiviazione, aveva disposto che il PM dovesse procedere ad un supplemento di indagine nelle
forme, alternativamente menzionate, di una nuova consulenza tecnica o di una perizia da assumersi
in incidente probatorio (Sezione IV, 28 settembre 2010, PM in proc. Accolla ed altro): la Corte, a
quanto è dato capire, ha escluso vi fosse un vincolo ingiustificato per il pubblico ministero, giacchè
l’indicazione delle metodiche da seguire era stata meramente esemplificativa rispetto al tema da
investigare che, per la particolare natura [si trattava di una vicenda di responsabilità medica],
richiedeva comunque necessariamente l'intervento di uno specialista.
Le conclusioni qui raggiunte, non paiono neppure in contrasto con la sentenza qui segnalata.
Infatti, come già anticipato, l’esclusione dell’abnormità” appare il frutto di una scelta pragmatica,
con cui la Corte ha inteso “salvare” la decisione del Gip, pur dando concretamente ragione al
ricorrente.
Ed è anzi una scelta convincente, perché aiuta a risolvere, per il futuro, analoghe situazioni di
contrasto, senza il ricorso all’impugnazione finalizzata a ottenere la declaratoria di “abnormità”,
con l’indicazione importante dell’assenza di “vincolo” per il pubblico ministero in caso di
decisioni del giudice – in punto di modalità di svolgimento delle indagini suppletive- esorbitanti
dai rigorosi limiti dettatigli dai principi codicistici.
GIUSEPPE AMATO