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Responsabile:
Dott. Massimo Valsecchi
Redazione:
NEWSLETTER
N. 1 - 2013
D.ssa Giuseppina Napoletano
[email protected] t
Dott. Federico Gobbi
[email protected]
Dott.ssa Emma Conti
[email protected]
Dott.ssa Chiara Postiglione
[email protected]
EPATITE E: QUALI
VIAGGIATORI SONO A
RISCHIO?
Il caso clinico
Recapiti:
tel. 045 8075918 – 5956
tel. 045 601 3563
Le newsletter e gli aggiornamenti in
epidemiologia sono reperibili nel sito
della Regione del Veneto al seguente
indirizzo:
http://www.regione.veneto.it/Servizi+alla
+Persona/Sanita/Prevenzione/Stili+di+vit
a+e+salute/Malattie+viaggiatori+interna
zionali/Newsletter.htm
Nel sito del Dipartimento di Prevenzione
ULSS 20 all’indirizzo:
http://prevenzione.ulss20.verona.it/viagn
ews.html
Una donna italiana di 30 anni, residente in India da circa 3 anni, il 9 dicembre
2012 torna in Italia per trascorrere un periodo con la sua famiglia.
Il 20 dicembre si reca in Pronto Soccorso per una sintomatologia iniziata 3
settimane prima, quando era ancora in India, caratterizzata da febbre serotina con
brivido ed episodi di diarrea. Al momento dell’accesso in ospedale la febbre non è
più presente, ma persiste marcata astenia.
La paziente riferisce di avere effettuato, in India, test per malaria, tifo e dengue
risultati negativi. Inoltre, nel 2010, di ritorno dall’India, era stata ricoverata per
epatite A. In ospedale vengono effettuati esami del sangue che escludono malaria
e dengue, evidenziano un aumento di bilirubina e transaminasi, fino a 100 volte
oltre la norma; un’ecografia dell’addome mostra un lieve ingrossamento epatico.
Si pone diagnosi di epatite acuta, resta però da individuarne la causa. Vengono
quindi effettuati i markers per: epatite A (negativi, con conferma dell’immunità
acquisita per pregressa malattia), epatite B (negativi per infezione acuta in atto e
titolo anticorpale protettivo da pregressa vaccinazione), epatite C (negativi).
Risultano negativi anche i virus epatitici minori (EBV, CMV). Viene quindi testata
la sierologia per l’epatite E che risulta positiva (sia le IgM che le IgG).
La paziente rimane in osservazione fino a che i valori di transaminasi si
mantengono oltre 5 volte la norma, per monitorare la funzione di coagulazione (PT
e PTT). Viene quindi dimessa senza esiti.
La malattia
Supporto tecnico:
Lucrezia Tognon
Andrea Comin
Il virus dell’epatite E è una scoperta abbastanza recente: la prima ipotesi di un
nuovo agente infettivo avvenne in seguito ad una importante epidemia di epatite
avvenuta in Kashmir, India, nel 1978. Nel 1983 fu isolato, per la prima volta, nelle
feci di militari sovietici in servizio in Afghanistan. Si tratta di un virus, a trasmissione
alimentare, che può causare sia focolai epidemici che infezioni sporadiche.
Una finestra sul mondo
Si è a lungo pensato che la diffusione di questa malattia fosse limitata ai paesi
in via di sviluppo, ma, negli ultimi anni, si è osservata una distribuzione geografica
più ampia.
Il virus
Il virus dell’epatite E ha forma sferica, un diametro di circa 32-34nm, privo di
rivestimento esterno (fig. 1), con un genoma costituito da un RNA a singola elica.
E’ classificato nel genere Hepevirus nella famiglia Hepeviridae.
Fig. 1
La particella virale
Esiste un unico sierotipo e 5 diversi genotipi. I genotipi 1 e 2 infettano soltanto
gli uomini, sono responsabili delle epidemie che si verificano nei Paesi in via di
sviluppo, per le scarse condizioni igieniche; i genotipi 3 e 4 possono infettare
uomini, suini ed altre specie animali, sono responsabili dei casi sporadici di
malattia; il genotipo 5 può infettare solo gli uccelli.
Distribuzione geografica
La diffusione globale dell’epatite E segue lo stato socioeconomico della
popolazione. Poiché l’infezione è trasmessa per via alimentare, soprattutto bevendo
acqua contaminata da feci di persone o animali infetti, è maggiormente diffusa nei
Paesi dove le condizioni di igiene idrica sono scadenti e la malattia è endemica.
L’epatite E, infatti, è endemica in molti Paesi dell’Asia e dell’Africa, dove la
prevalenza della positività alla sierologia (IgG anti HEV) può raggiungere il 50%.
Più del 60% dei casi, che si verificano nel mondo, si hanno nell’est e sud-est
asiatico dove la sieroprevalenza, in alcune fasce di età, raggiunge il 25%. Le zone
di endemia sono anche quelle in cui si verificano picchi epidemici in caso di
importante contaminazione di una fonte di acqua.
I Paesi industrializzati sono considerati non endemici, i casi che vi si verificano
sono sporadici e per lo più associati a viaggi (fig. 2).
E’ stato recentemente stimato che il virus causa più di 3 milioni all’anno di
infezioni acute sintomatiche, con circa 70.000 morti in tutto il mondo.
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Una finestra sul mondo
Fig. 2 A prevalenza della malattia nel mondo. B distribuzione geografica dei differenti
genotipi del virus
Il genotipo 1 del virus è responsabile delle infezioni da epatite E epidemiche ed
endemiche in Asia; il genotipo 2 è presente in Centro America e in Africa. Per
questi genotipi non sono noti serbatoi animali, la trasmissione avviene per via orofecale, ed è legata alle scarse condizioni idrico-sanitarie dei Paesi endemici.
Il genotipo 3 può infettare uomini, ma anche animali (maiali, cervi, cinghiali,
roditori). Persone che per lavoro sono a stretto contatto con animali (allevatori,
veterinari) sono più a rischio di sviluppare la malattia. Diversi studi hanno
confermato la presenza di virus dell’epatite E in prodotti alimentari a base di carne
suina; inoltre, è stato descritto, qualche anno fa in Giappone, un focolaio di
infezione tra persone che avevano mangiato carne di cervo cruda. La trasmissione
zoonotica rappresenta la principale fonte di malattia autoctona in nord America e in
Europa. Il genotipo 4 infetta uomini e suini ed è principalmente presente nell’est
asiatico.
Raramente l’epatite E viene trasmessa attraverso trasfusioni di sangue e
derivati infetti, o per via materno-infantile.
Manifestazioni cliniche
La maggior parte delle infezioni da virus E decorre in maniera silente. In
particolare, è quasi sempre asintomatica se contratta in età infantile. Nei casi
sintomatici, il periodo di incubazione va da 2 a 8 settimane, con una media di 40
giorni. I sintomi iniziali sono aspecifici e includono:
•
febbre;
•
artromialgia;
•
astenia;
•
dolori addominali;
•
nausea e vomito.
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Una finestra sul mondo
Può seguire la fase itterica in cui si può avere:
•
ittero;
•
segni di colestasi, compreso prurito;
•
emissione di urine scure e feci chiare;
•
aumentati livelli di transaminasi, bilirubina, fosfatasi alcalina e gamma
GT.
In casi rarissimi si può avere anche un’epatite fulminante mortale. Il tasso di
mortalità in corso di epidemie da epatite E è dello 0,07%-0,6%. Facendo un
confronto con l’epatite A, il tasso è inferiore: per la A infatti la mortalità va dallo
0,1% per l’età inferiore ai 14 anni, 0,3% per l’età tra i 15 e i 39 anni e 2,1% per
l’età superiore ai 40 anni.
Le donne incinte hanno una percentuale di rischio più elevata di sviluppare
un’epatite fulminante in corso di infezione da virus E; in generale presentano una
manifestazione più severa della malattia: tra le donne che contraggono la malattia
al terzo trimestre di gravidanza, c’è un tasso di mortalità del 20% (per l’epatite A,
invece, la gravidanza non rappresenta fattore di rischio aggiuntivo). Anche i
pazienti affetti da una patologia epatica cronica, hanno un più elevato rischio di
sviluppare una forma fulminante.
In linea generale l’epatite E è una malattia autolimitante che guarisce senza
lasciare traccia; negli ultimi anni, però, si è visto che questa infezione, nelle
persone immunodepresse, può cronicizzare. Nel 2008 sono stati dimostrati, per la
prima volta, casi di epatite cronica da virus E in pazienti che avevano subito
trapianto di reni. Infatti, su 14 casi di pazienti trapiantati da poco che hanno
manifestato una epatite E acuta, 8 hanno poi mostrato livelli persistenti di RNA del
virus, e segni di fibrosi epatica.
Da allora, sono stati individuati altri casi di infezione cronica in pazienti
trapiantati in terapia con farmaci immunosoppressori; in pazienti con malattie
ematologiche, in trattamento con antitumorali o HIV-positivi in avanzato stato di
immunodepressione.
L'infezione cronica non si verifica mai in caso di epatite A.
Diagnosi
Quando ci sono i segni di un’epatite acuta (aumento delle transaminasi) ed i
markers per per HAV, HBV e HCV risultano negativi, andrebbe sempre fatto un test
per epatite E, soprattutto se il paziente è stato in zone di elevata endemia (sud-est
asiatico, continente africano).
La diagnosi si fa con test sierologici che ricercano IgM e IgG specifiche per il
virus: nelle persone immunocompetenti compaiono già 1-3 settimane dopo
l’infezione acuta (anche le IgG compaiono presto, per cui, nell'infezione acuta,
possono coesistere sia IgG che IgM). Nei soggetti immunodepressi la
sieroconversione può avvenire anche 6-10 mesi dopo l’avvenuta infezione.
Il test più sensibile resta la ricerca del genoma virale su siero o feci mediante
metodo PCR. RNA virale più essere ritrovato nel siero da 10 a 30 giorni dopo l’inizio
dei sintomi, nelle feci fino a 2-3 mesi dopo.
Trattamento
Nei soggetti immunocompetenti non è richiesta alcuna terapia antivirale;
l’infezione si risolve spontaneamente, il più delle volte, senza richiedere
l’ospedalizzazione, che è eventualmente indicata solo per monitorare la
coagulazione (PT e PTT).
E’ necessario il ricovero in ospedale in caso di epatite fulminante (emergenza
medica che richiede cure in unità di terapia intensiva) e in caso di infezione in corso
di gravidanza.
Nei soggetti immunodepressi, la più efficace misura protettiva per evitare il
rischio di sviluppare un’epatite cronica, è quella di ridurre il livello di
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Una finestra sul mondo
immunodepressione; se ciò non bastasse all’eliminazione completa del virus,
alternativa valida, ma ancora in corso di studi, è la ribavirina, in monoterapia o in
associazione con interferone pegilato.
Prevenzione
Il rischio di infezione e trasmissione dell’epatite E può essere ridotto mediante:
•
mantenimento degli standard di qualità per le forniture di acqua
pubblica;
•
creazione di sistemi di smaltimento adeguati per eliminare i rifiuti
sanitari.
A livello individuale è fondamentale attenersi ad alcune norme igieniche,
soprattutto quando si viaggia:
•
lavarsi spesso le mani con acqua pulita, in particolare prima di toccare
il cibo;
•
evitare di bere acqua e / o ghiaccio di provenienza sconosciuta;
•
evitare di mangiare frutti di mare crudi, frutta non sbucciata e verdura
cruda in paesi ad alta endemia;
•
per il rischio legato all’ingestione di carne di animali infetti, presente
anche in Paesi non endemici, si consiglia di cucinare bene la carne:
infatti il virus è inattivato a temperature superiori a 70°C per più di un
minuto.
Attualmente, ci sono due vaccini contro l’epatite E in corso di sperimentazione
clinica. Uno dei due è stato approvato in Cina a dicembre 2011 ma, per ora, non è
disponibile in nessun altro Paese.
Bibliografia
•
H. Wedemeyer. S. Pischke, M.P. Manns Pathogenesis and Treatment of
Hepatitis E Virus Infection GASTROENTEROLOGY 2012;142:1388–1397
•
Florian Bihl and Francesco Negro Hepatitis E virus: a zoonosis adapting
to humans J Antimicrob Chemother 2010; 65: 817–821
doi:10.1093/jac/dkq085 Advance publication 23 March 2010
•
Rakesh Aggarwal1 and Shahid Jameel Hepatitis E HEPATOLOGY 2011;
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•
David B. Rein,1 Gretchen A. Stevens,2* Jordan Theaker,3 John S.
Wittenborn,3 and Steven T. Wiersma The Global Burden of Hepatitis E
Virus Genotypes 1 and 2 in 2005 HEPATOLOGY 2012, Vol. 55, No. 4
•
http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs280/en/
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