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L’UNIVERSITÀ IMPERIALE NAPOLEONICA E L’UNIVERSITÀ “IN SENSO TEDESCO” Sommario: 1. Idee e modelli a confronto - 2. L’università imperiale napoleonica e i suoi presupposti teorici - 3. L’università “in senso tedesco”: la conservazione del passato in un contesto nuovo 1. IDEE E MODELLI A CONFRONTO La riforma napoleonica del sistema d’istruzione con l’istituzione dell’università imperiale tra 1806 e 1808 e la costituzione di una nuova università a Berlino tra il 1808 e il 1810 sono eventi temporalmente contigui, che si intrecciano e, soprattutto, rappresentano simbolicamente un tornante importante nella storia dell’università come istituzione. Si può dire, guardando al diffondersi di istituzioni formative superiori e di ricerca con il nome di «università» in tutte le parti del mondo, che l’università è una di quelle strutture di carattere globale che segna la diffusione della cultura europea su scala planetaria. Istituzione incredibilmente fortunata, se si pensa ai suoi esordi di associazione di studenti e maestri coincidente pressoché con le persone fisiche dei suoi membri. Fortuna meno sorprendente se si considera come nell’università confluiscono processi di organizzazione del sapere dei grandi poteri medievali, la Chiesa e l’Impero, ma anche processi di organizzazione della società stessa, per i quali gli associati si uniscono per esigenze comuni e poi si fanno riconoscere dei privilegi. Per questo motivo il proliferare e il consolidarsi di istituzioni universitarie nelle città europee segue anche il dividersi del potere, i fenomeni di autonomia cittadina e signorile, il crescere di ricche borghesie cittadine. Il rispondere a queste molteplici esigenze spiega la longevità e anche la flessibilità dell’istituzione, che però aveva mantenuto nel corso del tempo la struttura e l’ordinamento delle Facoltà e dei loro rapporti mutuato dalla tradizione di studi medievale, con la divisione tra arti liberali e teologia, e le Facoltà di diritto e medicina. Altrettanto naturale però che l’università nel passaggio all’età moderna finisse con il risentire dei cambiamenti nell’organizzazione del potere e nelle richieste rivolte al sapere. Non sorprende quindi che l’età che sta tra il consolidarsi degli stati nazionali e il crollo in Francia dell’ancien règime segni anche un’età cruciale nella storia dell’istituzione universitaria. Anzi, mai probabilmente come in questa fase storica l’università è stata a rischio di scomparsa come istituzione. Soffermarsi sulle scelte operate in questa fase cruciale e sulle idee circolate può servire ad essere avvertiti su come sia cambiata e sia destinata a cambiare una forma di organizzazione del sapere che, proprio per la sua globalità, siamo abituati ad assumere come ovvia. Cambiamento che poi finisce, allora come oggi, con l’incentrarsi su alcune questioni sempre ricorrenti: autonomia delle università o dipendenza dal potere politico; autonomia del sapere e della ricerca o sua dipendenza dal mondo del lavoro e della produzione; legame tra la ricerca e l’insegnamento nelle stesse figure e negli stessi luoghi o opportunità e vantaggi di una loro netta separazione. 2. L’UNIVERSITÀ IMPERIALE NAPOLEONICA E I SUOI PRESUPPOSTI TEORICI Nel 1806 viene fissato il nuovo quadro normativo del sistema formativo francese. Esso segna la nascita di un sistema nazionale fortemente centralizzato: rimane il nome «università», ma il tratto di autonomia che caratterizzava l’istituzione universitaria viene meno. Il sistema napoleonico rappresentava l’esito di una tendenza presente nel corso del costituirsi dello Stato nazionale francese, evidenziata da istituzioni di alta formazione, per lo più ubicate a Parigi, che soprattutto nel Settecento avevano espresso le nuove istanze di luoghi di ricerca avanzati e, soprattutto rispetto alle università, 1 diretti a finalità particolari1. Raccoglieva poi anche le idee e le tendenze che si erano manifestate nella Francia rivoluzionaria, senza tradursi in sistemi compiuti e coerenti2. L’Assemblea nazionale aveva dato vita al Comitato d’Istruzione pubblica, dedicato anche alla riforma del sistema d’istruzione, con la chiara consapevolezza quindi della centralità dell’educazione per il consolidarsi della nazione rivoluzionaria. Le proposte di progetti complessivi e gli indirizzi e i suggerimenti legati all’attività del relativo comitato sono innumerevoli, ma il tono del dibattito è dato soprattutto da due progetti, che si staccano dagli altri anche per l’autorevolezza degli autori: il progetto presentato da Talleyrand, più noto come politico e diplomatico, in tre sedute del comitato del 10, 11 e 19 settembre 1791 e pubblicato nello stesso anno, e il progetto di decreto presentato dal filosofo Condorcet all’Assemblea nazionale nell’aprile del 1792. Condorcet aveva anche redatto nello stesso periodo cinque memorie sull’istruzione. Si tratta di progetti ispirati da un’alta consapevolezza sul ruolo dell’istruzione pubblica nello Stato moderno: per Talleyrand l’istruzione ha lo scopo «di perfezionare l’uomo in tutte le età», per cui deve essergli accessibile anche in età adulta3, e anche lo scopo di collocare gli uomini opportunamente formati al loro posto nel contesto sociale e lavorativo, costituendo quella che Talleyrand con espressione pregnante chiama «l’economia degli uomini» e indica come l’economia più grande di tutte4. Condorcet a sua volta nella sua prima Memoria sull’istruzione indica come scopo primario una conoscenza che deve essere data a tutti al di là del loro lavoro, poi una guida alla propria vocazione, infine le conoscenze di base per le professioni5. In una situazione storica nella quale l’istruzione pubblica stava appena facendo i primi passi, è naturale che l’attenzione si appuntasse anzitutto sull’istruzione primaria. I progetti sono però progetti di riordino complessivo del sistema d’istruzione, si occupano quindi anche del livello più alto, senza però mantenere la forma universitaria. La ragione di questa scelta non è da ricercarsi nella crisi del sistema universitario: certamente esso non era il luogo nel quale si elaboravano nuove idee, rimaneva tuttavia una sede di dignitosa trasmissione del sapere6; d’altra parte i progetti in questione non si diffondono sulle istituzioni esistenti né nominano o trattano le università, salvo indicare nelle proposte di decreto legislativo la loro chiusura nel momento in cui fosse andato a regime il nuovo sistema. Delle ragioni si possono individuare in entrambi i progetti: le università sono percepite come prodotto di regimi privilegiati propri dell’ordinamento feudale e di natura corporativa, laddove lo Stato moderno tende a uniformare e razionalizzare in un unico quadro legislativo e organizzativo le tradizioni e le autonomie di cui le università godevano7. In secondo luogo, la razionalizzazione del sistema comporta una più equilibrata distribuzione territoriale delle istituzioni formative: il progetto di Talleyrand si modella addirittura sui diversi livelli di rappresentanza del nuovo Stato rivoluzionario, per cui alle assemblee territoriali primarie corrisponde l’esistenza di scuole primarie e alle assemblee di distretto un secondo livello, scuole secondarie destinate già a un numero più limitato di alunni per un maggior sviluppo ed esercizio delle facoltà intellettuali. Sul piano territoriale le eredi delle università divengono le nuove scuole per alcune speciali funzioni all’interno della società: le Scuole Tali ad esempio il Jardin des Plantes, istituito nel 1626, o l’Ecole des Ponts et Chaussées o l’Ecole des Mines della seconda metà del Settecento. 2 Cfr. su tutto questo Histoire des Universités en France, ed. par J. Verger, Toulouse 1986, in particolare V. Karady, De Napoléon à Duruy: les origines et la naissance de l’université contemporaine, pp. 261-322. 3 C.-M. de Talleyrand-Perigord, Rapport sur l’instruction publique fait au nom du Comité de Constitution a l’Assemblée Nationale les 10, 11 et 19 Septembre 1791 par M. De Talleyrand-Pèrigord Ancien Évêque d’Autun, Paris 1791, pp. 6-7. 4 Cfr. ivi pp. 7-8. 5 Cfr. Condorcet, Oeuvres, Nouvelle impression en facsimilé de l’édition Paris 1847-1849, vol. VII, Stuttgart-Bad Cannstatt 1968, pp. 186-187. Queste indicazioni valgono per l’istruzione comune a tutti, da cui vengono distinte le forme d’istruzione dirette alle professioni e quella puramente scientifica volta ad ampliare le conoscenze e scoperte del genere umano. 6 Cfr. Histoire des Universités ... cit., pp. 250-251. In avvio della presentazione del suo progetto Talleyrand denuncia una condizione di «rapida decadenza» delle istituzioni allora vigenti (cfr. Talleyrand, Rapport … cit., p. 5). 7 Talleyrand nelle disposizioni transitorie conclusive equipara università e corporazioni (cfr. Rapport … cit., p. 216); il motivo corporativo ritorna nella prima memoria di Condorcet, là dove raccomanda che l’istruzione non sia affidata ad un corpo insegnante che si recluti in forma autonoma, per gli interessi personali e di corpo che finirebbero col prevalere (cfr. Condorcet, Oeuvres VII, cit., p. 205). Quest’interesse privato interviene anche nei comportamenti delle facoltà universitarie: dall’esposizione di Talleyrand si evince ad esempio il costume di alcune Facoltà di diritto di abbassare il livello di difficoltà degli esami per aumentare le entrate (cfr. Talleyrand, Rapport …, pp. 44-45). 1 2 per i Ministri della religione, le Scuole di Medicina, le Scuole di diritto e le Scuole militari. Nel progetto di Talleyrand la ragione di questa limitazione risiede nell’opportunità di istituire a livello territoriale, questa volta di Dipartimento, scuole soltanto per quelle funzioni che rispondono ai bisogni della società e nelle quali gli errori sarebbero funesti8. Si evince qui che per quelle branche del sapere che coltivano soltanto la conoscenza pura, proprio per la loro funzionalità più ridotta, è sufficiente una struttura centrale secondo il modello delle Accademie delle scienze ormai diffuse nell’Europa settecentesca. Un ulteriore motivo, più secondario in Talleyrand e evidente invece in Condorcet, viene da una riflessione critica sull’associare in un’unica istituzione l’attività di ricerca e quella di insegnamento: per Condorcet il talento richiesto per insegnare è diverso da quello che alimenta il progresso delle scienze, perché il primo deve rivolgersi a questioni di carattere più generale anche se affronta minori difficoltà, l’altro deve rispondere a sforzi più concentrati e intensi9. Per questo il livello più alto del sistema di istruzione nel progetto presentato da Condorcet, la Società nazionale delle scienze e delle arti, non ha fra i suoi compiti l’insegnamento: essa piuttosto deve controllare e dirigere il sistema di istruzione (come una sorta di Ministero), deve anche migliorare l’attività di insegnamento, far avanzare le conoscenze scientifiche e corrispondere, come rappresentante dello Stato francese, con le analoghe società estere. Diversamente però dal progetto di Talleyrand, che come istituzioni ancora diffuse sul territorio pensa soltanto alle Scuole per specifiche professioni, è presente nel progetto di Condorcet, dopo le scuole primarie, secondarie e gli istituti, un quarto e terminale livello che sarà centrale poi nell’assetto della scuola napoleonica: quello costituito dai licei. Nei licei, scrive Condorcet, «tutte le scienze vi sono insegnate in tutta la loro estensione», nei licei «si formano gli studiosi, coloro che della coltivazione del loro spirito, del perfezionamento delle loro proprie facoltà, fanno un’occupazione della loro vita»10, i licei sono i luoghi sia della trasmissione del sapere da una generazione all’altra, sia di formazione in vista delle professioni. Essi sono il corrispondente delle università, tanto che il progetto propone ne siano istituiti nove con la ragione che «confrontando questo numero con quello delle grandi università d’Inghilterra, Italia, Germania, ci è sembrato corrispondere a ciò che esigeva la popolazione francese»11. Perché allora, corrispondendo alle università in altri paesi, i licei non sono più università? Non lo sono perché costituiscono un ibrido: viene insegnata l’enciclopedia del sapere, e in questo corrispondono alla funzione che nelle università era stata mantenuta dalla Facoltà delle arti, senza però che ci si avvii così ad una specializzazione nelle Facoltà superiori (teologica, di diritto o di medicina) e i professori del liceo sono soltanto votati all’insegnamento e non alla ricerca. Talleyrand pensa invece ad un «Istituto nazionale», organizzato, come tipico delle Accademie, in sezioni: la sezione di Scienze filosofiche, di belle lettere e delle belle arti, suddivisa a sua volta in molteplici classi, e la sezione di Scienze matematiche e fisiche e di arti meccaniche, ugualmente con ulteriori suddivisioni. L’Istituto nazionale è pensato come raccordo tra le diverse istituzioni letterarie e scientifiche di Francia, come vertice del sistema formativo territoriale, capace di ricevere e trasmettere impulsi nei diversi campi del sapere e dell’insegnamento e anche come luogo di formazione. In quest’ultima veste esso doveva servire per Talleyrand a quegli uomini dediti allo studio che avessero bisogno di conoscere gli ultimi progressi nella filosofia o nella matematica e per questo i professori avrebbero fatto conoscere nelle loro lezioni «non la parte elementare della scienza o dell’arte, ma ciò che più tenderà al progresso, al perfezionamento dell’una o dell’altra, ciò che potrà servire, in una parola, di complemento all’istruzione»12. Perché anche qui non abbiamo a che fare più con l’università della tradizione europea? A differenza che nel progetto di Condorcet, l’istituzione pensata da Talleyrand abbina ricerca e insegnamento, anche se con distinzioni rigorose di tempi e modalità, ma in un’unica istituzione nazionale, quindi per nulla paragonabile in questo alle università diffuse sul territorio, piuttosto assimilabile ad un’Accademia delle scienze. Di conseguenza anche la funzione dell’insegnamento ne risulta limitata. La chiara separazione delle Scuole destinate alle professioni fa poi Cfr. per questo Talleyrand, Rapport … cit., p. 17. Cfr. Condorcet, Oeuvres VII, cit., pp. 307-308. 10 Ivi p. 486. 11 Ivi p. 487. 12 Talleyrand, Rapport … cit., pp. 68-69. 8 9 3 di questa istituzione un luogo deputato della scienza, che non include più, com’era per le università tradizionali, gli studi giuridici o medici, almeno nella misura in cui erano diretti allo svolgimento di una professione. Il sistema che in effetti emergerà dalle convulsioni rivoluzionarie sotto Napoleone, con la legge del 10 maggio 1806 e il relativo decreto del 17 marzo 1808, si può considerare una sorta di ibrido tra le due soluzioni che non esce dalla commistione tra sistema d’insegnamento scolastico superiore e sistema accademico. La legge sancisce all’Articolo 1 la separazione di ricerca e insegnamento: «Sarà costituito, sotto il nome di Università imperiale, un corpo incaricato esclusivamente dell’insegnamento e dell’educazione pubblica in tutto l’Impero»13. La reintroduzione, nel relativo decreto, delle Facoltà (di teologia, di diritto, di medicina, di scienze matematiche e fisiche, di lettere) definisce delle istituzioni dedite all’approfondimento delle scienze e al conseguimento dei titoli, sempre entro l’esclusivo incarico dell’insegnamento14. Le Facoltà poi erano istituite presso Accademie (27 in tutta la Francia) in stretta correlazione con i licei, tanto da includere come propri membri di diritto professori di liceo15. Dietro i vecchi nomi però si celavano nuove realtà: l’«Università imperiale» denominava in realtà l’intero sistema scolastico di Francia, dalle Facoltà alle scuole primarie, e la «Facoltà» designava l’istituzione che conferiva i gradi (baccalaureato, licenza, dottorato), senza però rivestire un ruolo formativo di rilievo, soprattutto per ciò che concerne la didattica16. 3. L’UNIVERSITÀ «IN SENSO TEDESCO »: LA CONSERVAZIONE DEL PASSATO IN UN CONTESTO NUOVO Nel saggio che Friedrich Schleiermacher pubblica intervenendo nel dibattito sulla fondazione della nuova università di Berlino fin nel titolo si incontra un’indicazione che lega l’università come istituzione alla cultura tedesca: la rivendicazione di un’università «in senso tedesco» intende contrapporsi alle nuove concezioni del sistema formativo, soprattutto francese17. La nascita dell’università berlinese è in Prussia l’occasione per un dibattito sul ruolo e l’assetto dell’università che avviene a più riprese. Una prima fase cade nel 1802, quando la discussione già avviata alla fine del Settecento si precisa in progetti più definiti, legati alla trattativa con un insigne medico dell’università di Halle, Johann Christian Reil, affinché si trattenesse nel regno di Prussia anziché accettare offerte di altre università tedesche, Göttingen o Erlangen. Il ministro Wilhelm Ernst von Massow pensava di poter far fronte alle richieste di riorganizzazione degli studi medici utilizzando le risorse di Halle e quelle dell’Accademia medico-chirurgica già attiva a Berlino. A questa fase risalgono alcuni interventi di quella che viene chiamata ora esplicitamente «università», ora, più genericamente, «grande» o «generale» «istituzione formativa»: il progetto di Reil stesso, del febbraio 1802, e quello di Johann Jakob Engel, del marzo dello stesso anno, forse anche quello di Christoph Wilhelm Hufeland, che però non è datato18. Una seconda fase si accende all’indomani della sconfitta militare prussiana per mano di Napoleone a Recueil des Lois et Réglements sur l’enseignement supérieur comprenant les décisions de la jurisprudence et les avis des conseils de l’instruction publicque et du Conseil d’Etat, ed. par A. De Beauchamp, Tome premier, 1789-1847, Paris 1880, p. 156. 14 Cfr. ivi pp. 171-172. 15 Cfr. ivi p. 173. 16 Cfr. su questo Histoire des Universités ... cit., pp. 271-272, in particolare la sottolineatura della scarsa autonomia e distinzione tra il livello liceale e quello delle Facoltà, soprattutto utilizzate per il conseguimento dei titoli. 17 Cfr. F. D. E. Schleiermacher, Gelegentliche Gedanken über Universitäten in deutschem Sinn nebst einem Anhang über eine neu zu errichtende, Berlin 1808, citato secondo l’edizione critica: Kritische Gesamtausgabe, hrsg. von H. Fischer und G. Ebeling, H. Kimmerle, G. Meckenstock, K.-V. Selge, I,6: Universitätsschriften – Herakleitos – Kurze Darstellung des theologischen Studiums, hrsg. v. D. Schmid, Berlin-New York 1998 (citato di qui in avanti con la sigla KGA). Oltre che nel titolo Schleiermacher riprende questo motivo anche nel corso del saggio: le università sono un’istituzione peculiarmente tedesca rispetto al proliferare in altri paesi (si intende prevalentemente la Francia) di scuole e accademie (ivi pp. 30-31) e il ritenerle superflue mostra la mancanza di un sentimento autenticamente tedesco (cfr. ivi pp. 34, 46). 18 Alcuni dei testi menzionati, e precisamente quello di Engel e quello di Hufeland, sono raccolti nel volume Idee und Wirklichkeit einer Universität. Dokumente zur Geschichte der Friedrich-Wilhelms-Universität zu Berlin, hrsg. von W. Weischedel in Zusammenarbeit mit W. Müller-Lauter und M. Theunissen, Berlin 1960, pp. 3-10, 16-27. Per questa fase della discussione e gli eventi ad essa legati cfr. M. Lenz, Geschichte der königlichen Friedrich-Wilhelms-Universität zu Berlin, Band 1, Gründung und Ausbau, Halle 1910, pp. 38-52. 13 4 Jena (1806) e della successiva pace di Tilsit (1807). Con la pace di Tilsit, la Prussia aveva perso la sua università principale e più avanzata, quella di Halle, minacciata di chiusura per la politica di scioglimento delle università perseguita da Napoleone. In questo contesto matura l’idea di spostare l’università di Halle a Berlino, o quanto meno impiantare una nuova istituzione formativa nella capitale prussiana spostandovi almeno parte del corpo docente di quell’università. Federico Guglielmo III assume un impegno in questo senso alla fine di agosto del 1807, investendo dell’incarico di seguire la cosa, come suo plenipotenziario, il consigliere di corte Karl Friedrich Beyme. La fisionomia della nuova istituzione in questa fase è ancora del tutto aperta: Beyme avvia immediatamente, nello stesso mese di settembre, un vero e proprio concorso di idee, sollecitando, separatamente, diverse personalità, tra le quali il giurista Theodor Anton Heinrich Schmalz, il filologo Friedrich August Wolf, e il filosofo Johann Gottlieb Fichte, a fornire con la massima libertà idee sul profilo culturale e la struttura della istituzione da fondare19. Schleiermacher compone il suo testo poco dopo, non investito direttamente del compito di produrre un contributo, ma indotto a questo dalle notizie e indiscrezioni fiorite intorno al progetto. I testi di Fichte e Schleiermacher sono i più articolati sul piano teorico, tracciano una concezione dell’università con punti di contatto ed elementi di differenza che disegnano comunque un profilo alternativo rispetto a quello affermatosi sotto Napoleone. I problemi al centro dell’attenzione di entrambi sono cruciali per il senso dell’istituzione universitaria: il ra pporto tra ricerca e didattica e la priorità di un sapere applicato oppure di un sapere puro. Soprattutto Schleiermacher mostra una chiara consapevolezza che una mancata risposta a questi problemi porterebbe all’estinzione dell’università: «Cos’è però ora l’università tra le due altre, la scuola e l’accademia? Si potrebbe pensare che queste due si dividano tutte le realizzazioni scientifiche e quella, tra le due, sarebbe del tutto superflua»20. L’interrogativo fissa una situazione di crisi e di trapasso. Le strutture universitarie tedesche si presentavano, alla fine del Settecento, bisognose di un profondo rinnovamento e il dato stesso della chiusura della gran parte di esse segnala la difficoltà di questa fase, legata anche alle trasformazioni politiche conseguenti all’espansione della Francia napoleonica e al collasso delle vecchie entità statali tedesche21. Nella gran parte dei casi esse erano avvertite come residuo del passato, di un’età medievale della quale portavano il segno nel sapere anacronistico che impartivano e nelle forme inadeguate con cui lo impartivano. In Fichte questa possibile inadeguatezza ritorna nell’interrogarsi sul ruolo dell’insegnamento universitario nell’epoca della diffusione del libro a stampa: ha senso ancora un’istituzione nata in un’epoca nella quale la trasmissione della cultura era prevalentemente orale?22 A partire da questa considerazione Fichte pone il problema della duplice natura, di formazione e di ricerca, che deve avere l’università moderna. Sia Fichte che Schleiermacher individuano una specifica funzione pedagogica dell’università. Per Fichte all’istruzione inferiore è riservata la struttura generale del patrimonio delle conoscenze, il linguaggio, l’uso dell’intelletto come capacità di comprensione e di memoria; all’università è riservata la capacità di valutazione critica, la distinzione dell’importante e del meno importante: in questo senso la si potrebbe definire «scuola dell’arte dell’uso dell’intelletto»23. Per questo la didattica universitaria sarà Ricordiamo quelle personalità i cui testi, con quello prima ricordato di Hufeland, più ricorrono nelle analisi sul contesto della fondazione dell’università berlinese. Per il testo di Schmalz cfr. W. Weischedel, Idee …, cit., pp. 11-15; per le posizioni di Wolf cfr. F. A. Wolf, Erziehung, Schule, Universität (“Consilia scolastica”). Aus Wolf’s litterarische Nachlasse zusammengestellt von Wilhelm Körte, Quedlinburg-Leipzig 1835, in particolare pp. 265-268. Infine il testo di Fichte, pubblicato soltanto postumo: Deducirter Plan einer zu Berlin zu errichtenden höheren Lehranstalt, Stuttgart-Tübingen, Cotta Buchhandlung, 1817, ora anche nell’edizione critica delle opere, J. G. Fichte, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, hrsg. von R. Lauth und H. Gliwitzky (citato di qui in avanti con la sigla GA), II,11: Nachgelassene Schriften 1807-1810, hrsg. v. R. Lauth, H. Gliwitzky, E. Fuchs und P. K. Schneider unter Mitwirkung von I. Radrizzani und A. M. Schurr-Lorusso, Stuttgart-Bad Cannstatt 1998, pp. 65-170. 20 KGA I,6 p. 34. 21 Un sintetico quadro corredato di dati lo si trova alla voce «Università», curata da R. S. Turner, in Handbuch der deutschen Bildungsgeschichte, Band III: 1800-1870. Von der Neuordnung Deutschlands bis zur Gründung des Deutschen Reiches, hrsg. von K.-E. Jeismann und P. Lundgreen, München 1987, cfr. in particolare pp. 221-224; su questo cfr. anche C. E. McClelland, State, society, and university in Germany. 1700-1914, Cambridge-London et al. 1980, pp. 101-111. 22 Cfr. GA II,11 pp. 83-84. 23 Cfr. ivi p. 88. L’arte, nel senso in cui intende Fichte qui questo termine, esprime il cuore stesso dell’istituzione da riformare. Per illustrare questo concetto Fichte ricorre a situazioni della vita universitaria facilmente riconoscibili anche per 19 5 soprattutto dialogica, nella forma del seminario più che della lezione magistrale24. In questa forma è in grado di spingere avanti il pensiero, si sovrappone all’«Accademia», termine che Fichte usa pensando all’Accademia platonica. Schleiermacher invece separa insegnamento e ricerca, individuando comunque per l’università un ruolo formativo ben distinto dalla scuola. Delle due finalità fondamentali dell’educazione, vale a dire elevare alla conoscenza e far sì che il singolo si faccia carico di far progredire la scienza, la scuola risponde alla prima, l’accademia alla seconda 25. Il luogo proprio dell’università è per l’appunto l’essere un ponte, un tramite tra la scuola e l’accademia: il modo in cui viene proposto in essa l’intero del sapere e il peculiare tempo dedicato a questa fase della formazione corrispondono a questa sua particolare natura. L’università per Schleiermacher «costituisce il punto di passaggio tra il tempo in cui la gioventù attraverso i fondamenti delle conoscenze e il vero e proprio apprendere viene preparata alla scienza e quello in cui l’uomo con tutte le sue forze e nel pieno della vita scientifica estende da sé, ricercando, l’ambito della conoscenza o lo amplia in modo considerevole»26. Nell’apparente assenza di specificità di questo avvio alla scienza ci troviamo tuttavia di fronte, per Schleiermacher, ad un «nuovo processo di vita spirituale»27. Il compito dell’università è risvegliare l’idea della scienza, produrre una sorta di natura per cui ogni cosa non venga colta nella sua singolarità, ma trattata nelle sue connessioni e quindi dal punto di vista della scienza. Per questo l’università porta questo nome: «università» allude all’interezza del sapere che in essa dev’essere coltivato, nell’università quindi ancora non si realizza quella specializzazione che subentra soltanto nel lavoro scientifico o professionale28. In una parola, e una parola che suona particolarmente attuale, il nucleo dell’università è «apprendere ad apprendere», e per questo l’enciclopedia del sapere viene proposta in un tempo più ristretto che nella scuola, perché diverso è il senso dell’apprendimento che si opera a questo livello29. L’idea di unità del sapere è ben ferma in entrambi i progetti, un’unità che ha alla sua base la filosofia anche se con modelli diversi. In Fichte dalla filosofia germinano, secondo una visione di forte coerenza sistematica, le diverse discipline, con la totale esclusione di tutto ciò che ha a che fare con il lato applicativo e di pratica del sapere da insegnare. Questo è ad es. del tutto chiaro per gli aspetti applicati della medicina, che per Fichte dovrebbero essere separati dal piano teorico dell’anatomia o della botanica e insegnati in apposite istituzioni, dalle quali dovrebbero filtrare verso le discipline teoriche soltanto i risultati, come oggetto di ulteriori studi e teorizzazioni30. Per Schleiermacher il carattere sistematico, organico, del sapere, si centra sulla filosofia, compresa in chiave ermeneutica. Schleiermacher è meno rigido sull’esclusione dell’aspetto applicativo, guardando realisticamente al rapporto che l’università deve avere con il potere pubblico. L’università potrebbe organizzarsi autonomamente e in questo modo restare del tutto indipendente dal sostegno finanziario e anche dalle richieste e dai regolamenti dello Stato31. Schleiermacher, però, rispetto alle proprie convinzioni liberali è disposto a riconoscere l’intreccio di interessi e convenienze che lega potere pubblico e istituzione universitaria. Si tratta allora di riconoscere i reciproci vantaggi di questo legame e di creare le condizioni perché questi si realizzino: da parte dello Stato, di riconoscere che la costituzione di un’università può diventare motivo di ricchezza e di attrazione se non si conduce una miope politica di restrizione della libertà di circolazione delle persone, di vincolo al territorio, ma si entra piuttosto nella logica di una sana noi oggi: «Non si studia certo per restituire sempre e comunque a parole bello e pronto all’esame ciò che si è imparato, ma per applicarlo ai casi che accadono nella vita e quindi per trasformarlo in opere, non semplicemente per ripeterlo, ma per trarne qualcos’altro. E perciò anche qui il fine ultimo non è per nulla il sapere, quanto piuttosto l’arte (Kunst) di usare il sapere» (GA II,11 p. 86). 24 Cfr. ivi pp. 88-89. 25 Cfr. KGA I,6 p. 31. 26 KGA I,6 p. 35. 27 Ibidem. 28 Cfr. ibidem. 29 «Così si spiega il tempo più breve che ognuno trascorre all’università rispetto alla scuola. Non come se non si richieda più tempo per imparare tutto, ma perché l’apprendere ad apprendere (das Lernen des Lernens) si può portare a termine in minor tempo. Questo perché quello che si trascorre all’università è solo un momento, viene realizzato solo un atto: risvegliare cioè l’idea del conoscere, la suprema coscienza della ragione come principio guida nell’uomo» (KGA I,6 35-36). 30 Cfr. GA II,11 pp. 113-114. 31 Cfr. KGA I,6 pp. 22-23. 6 competizione tra centri universitari32; da parte delle università, di prendere atto dell’impossibilità di un’indipendenza economica che le affranchi dallo Stato, mentre la dipendenza per altro verso comporta assumere se stesse non solo come luoghi di sviluppo della scienza, ma prima di tutto come luoghi di formazione di quella classe media dalla quale il potere pubblico potrà vantaggiosamente trarre i propri quadri per l’amministrazione33. L’università che viene fondata a Berlino non risponde esattamente a nessuno di questi progetti, anche se più prossima alle idee più moderate e di compromesso di Schleiermacher. Gli statuti della nuova università berlinese sottolineano la continuità con le istituzioni universitarie già esistenti34, ma le circostanze storiche, ovvero l’esistenza di un’Accademia nella città di Berlino, portano al fondersi di una struttura di ricerca e una formativa. Rimanevano le Facoltà (teologica, giuridica, di medicina e di filosofia) su un piano di parità, il che lasciava aperto, con il permanere di discipline umanistiche e scientifiche all’interno della Facoltà di filosofia, il problema della specializzazione incipiente dei saperi, rispetto al quale alcuni dei progetti francesi manifestavano idee più moderne. E tuttavia siamo di fronte ad una restaurazione, nel suo innovamento, carico di conseguenze: il modello francese era stato vicino a realizzarsi anche in Prussia, mentre la costituzione di una nuova università che innovava gli assetti tradizionali e raccoglieva le migliori risorse del regno, doveva fornire un modello di università rinnovata che avrebbe poi salvaguardato la sua sopravvivenza come forma di organizzazione del sapere. Pierluigi Valenza Professore associato di Filosofia della religione Università di Roma “La Sapienza” Cfr. ivi pp. 24, 26-27. Cfr. ivi pp. 42, 44-45. 34 Così l’articolo 1 degli statuti indica come scopo dell’università berlinese «lo stesso delle altre università del nostro Stato, cioè la formazione scientifica generale e particolare» (M. Lenz, Geschichte ..., cit., Band 4: Urkunden, Akten und Briefe, Halle 1910, pp. 223-224), formazione diretta ai più alti uffici pubblici ed ecclesiastici. E nell’articolo 4 la divisione nelle quattro facoltà, nell’ordine la facoltà teologica, quella giuridica, quella di medicina e quella di filosofia, ugualmente è sottolineata nella sua continuità con la tradizione, propria cioè di tutte le altre università tedesche (cfr. ivi, p. 225). 32 33 7