LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L
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LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L
LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO FRANCESCA GHEDINI Nella parte inferiore del piatto d’argento do rato rinvenuto ad Aquileia e conservato attual mente al Kunsthistorisches Museum di Vienna,1 è effigiata unì figura femminile semisdraiata con il busto nudo e le anche avvolte in un ampio mantello; in posizione simmetrica, e parzialmen te nascosto dal corpo della donna, è un bovino pigramente accovacciato (fig. 1). A questo gruppo non si è a quanto ne so prestata soverchia attenzione, poiché lo sforzo esegetico è stato catalizzato, fin dalle prime interpretazioni,2 dalla lettura politica dell’articolata composizione, in cui si riconobbe un cartello della propaganda im periale. Su questa linea si mosse anche il Picard, cui va peraltro il merito di aver messo in giusta luce la valenza eleusina del complesso, ispirato secondo lo studioso dalla devozione di Claudio per le dee di Eleusi. A questa significativa messa a punto fece seguito un vivace dibattito fra il Mòbius e il Matz che estesero la valenza politica a Demetra e ai bimbi presso l’altare; secondo il primo3 la dea sarebbe Demetra/Iside/Cleopatra VII e i bimbi Alessandro-Helios, Cleopatra-Sele ne e il piccolo Tolomeo che fungono da assistenti a Marco Antonio/Trittolemo; secondo l’altro4 De metra sarebbe invece Livia, Trittolemo Germani co e i fanciulli tre dei numerosi figli che questi ebbe da Agrippina Maggiore. Isolata rimase la solitaria contestazione dello Hafner5 che negò l’ispirazione politica del ma nufatto, preferendo riconoscere nella composi zione un’allegoria della ricchezza, impersonata dal giovane seminudo (Pluto, figlio di Demetra e di lasion) effigiato nell’atto di distribuire agli uomini il denaro contenuto nei piatti che i tre karpoi gli tendono. L’interpretazione propagan distica fu poi riproposta dal Bastet6 che in Trit tolemo riconobbe Nerone, mentre l’Alfàldi7 pen sò piuttosto a un principe della dinastia tolemaica. In questa vivace discussione la giovane donna recumbente fu comunemente e concordemente de nominata Tellus, senza che per una tale lettura siano stati portati probanti confronti; ed anzi pro— — prio l’esame dell’iconografia della dea, a noi nota da una ricca serie di documenti aggregantisi at torno a due poli cronologici ben distinti (fine I sec. a.C. inizi I sec. d.C., 11-1V sec. d.C.) evidenzia, al di là di superficiali analogie, alcune significative differenze che val la pena qui di porre in luce. Tralasciando i manufatti più tardi, in quanto nella seconda fase l’immagine di Tellus sembra aver subito una sclerotizzazione iconografica sul mo dello della prima fase, mi sembra che il raffronto si debba anzitutto istituire con quelle testimo nianze di età augustea che cronologicamente sem brano essere più vicine al piatto di Aquileia: mi riferisco al rilievo dell’Ara Pacis,9 cui generalmen te si affianca la lastra cartaginese ora al Louvre,’0 alla Gemma Augustea” e alla corazza dell’Au gusto di Prima Porta.’2 Non credo invece possa es sere citata nel novero delle raffigurazioni di Tel lus la figura recumbente del vaso di Braunschweig in cui più plausibilmente, io credo, si deve rico noscere l’Autunno)’ Nei monumenti ricordati, troppo noti perché valga la pena di riparlarne qui diffusamente, emergono alcune costanti che appartengono ad una comune matrice iconografica, la cui origine alessandrina mi sembra essere stata con convin centi argomentazioni chiarita da M. Th. Picard Schmitter;’4 la Tellus di età augustea presenta anzitutto il costante riferimento alla fecondità umana, sintetizzata dai due bimbi che nel rilievo dell’Ara Pacis sono effigiati fra le sue braccia, mentre nella Gemma e nella corazza stan ritti o accoccolati accanto a lei; egualmente essenziale appare il riferimento alla fertilità agricola espres so dalla corona che cinge il capo della dea fiori e frutta nel rilievo e nella Gemma, spighe nella corazza cui fa riscontro l’attributo della cor nucopia nella Gemma e nella corazza, e la raffi gurazione dei prodotti della natura in grembo alla dea nel rilievo. Minor uniformità si registra in vece per quanto riguarda l’abbigliamento, che nel la lastra dell’Ara Pacis è costituito da un chitone sottile che scivola mollemente dalla spalla destra, - — — 32 FRANCESCA GHEDINI mentre nella corazza si presenta come un pesante mantello obliquamente drappeggiato sul busto; solo nella Gemma la dea presenta il torace nudo secondo uno schema che sarà ampiamente ripreso dall’età adrianea in avanti. Dalla concordanza dei particolari mi sembra si possa dedurre che l’iconografia di Tellus in età augustea era caratterizzata dall’iterazione simbo lica delle allusioni alla fecondità (umana) e alla fertilità (agricola), cui non si rinunciò nemmeno nelle raffigu~azioni ridotte della corazza e della Gemma; secondaria doveva essere invece la fecon dità animale, cui si accenna solo nel rilievo, dove però l’ampiezza dello spazio consentiva la mol tiplicazione degli elementi allegorici in una più complessa composizione. Sembra pertanto scarsa mente plausibile istituire un rapporto fra il mo dello iconografico che siamo venuti enucleando e la fanciulla del piatto di Aquileia: essa infatti è del tutto priva di riferimenti alla fecondità uma na e alla fertilità agricola, che oltre ad essere i tratti caratterizzanti del modello augusteo, verran no ripresi anche nella rielaborazione adrianea, se pur con un viraggio nel simbolismo;18 e l’unico attributo qualificante, il bovino accovacciato, ap pare essere cifra simbolica individualizzante piut tosto che generico riferimento alla fecondità ani male. Difforme dall’iconografia di Tellus è anche l’inusuale gesto che la fanciulla compie con la mano sinistra, generalmente spiegato con una suggestiva immagine (la terra che scopre il grembo per ricevere il seme del grano) che non sembra però altrimenti attestata nel mondo antico.’~ Sgombrato il campo dall’equivoco dell’interpre tazione corrente credo che una possibile identifi cazione della figura recumbente debba essere ri cercata nell’ambito di quelle divinità o personifica zioni qualificate dal bovino accovacciato e a lui connesse attraverso i diramati fili dell’elaborazione mitologica. Nella tradizione greca la fanciulla-vacca per ec cellenza è Io, figlia del fiume Inaco e sacerdotessa della dea Era: come punizione per aver accettato le profferte amorose di Giove, la giovinetta sa rebbe stata trasformata in giovenca e posta sotto la custodia di Argo panoptes; l’intervento di Er mes, che da questo episodio mutuò l’appellativo di Argeifontes, restituì all’eroina la sua libertà ma non le sembianze originarie; né Era rinunciò alla sua vendetta e le inviò un tafano che inseguì la [ RdA lo sfortunata fanciulla-vacca attraverso il mare che da lei prese il nome e poi verso Oriente fino al Caucaso, alla Colchide, alla Battriana, all’India e di nuovo verso Occidente fino all’Arabia e al. l’Etiopia donde essa passò in Egitto. Qui final mente si compì il suo destino: il tocco divino di Zeus le consentì di tornar donna e al tempo stesso di sgravarsi del figlio che ella aveva da lui con cepito, Epafo, capostipite di dinastie, il cui nome fornì ad Eschilo pretesto per suggestive etimolo gie.’9 Questa nelle sue linee essenziali è la nar razione mitica, e le numerose varianti che ci sono giunte non ne mutano il nucleo fondamentale, che consiste appunto nella metamorfosi bovina della fanciulla.19 Ciò appare confermato dalla tra dizione iconografica, in cui il riferimento bovino fu sempre l’elemento caratterizzante: sotto l’aspet to di una giovenca ella fu effigiata, secondo la testimonianza di Pausania,~ sul trono di Apollo ad Amicle e con tali sembianze appare nelle prime raffigurazioni ceramiche;2’ fu soltanto alla metà circa del V sec. a.C., probabilmente per sugge stione dell’utilizzo del mito in ambito teatrale, che Io riacquistò fisionomia umana, conservando però il ricordo della metamorfosi nelle due piccole corna che compaiono sulla sua fronte; accanto a questo modello è documentato, per quanto io sappia, da una sola testimonianza il tipo con cor po animale e testa di fanciulla,~ mentre godette di una certa fortuna la tradizione della redupli cazione dell’immagine, attestata per la prima volta in un vaso attico di « stile fiorito » : ~ qui il ri ferimento alla trasformazione bovina scompare, quasi assorbito dalla ricca corona d’edera che cin ge il capo della fanciulla, ma accanto a lei è r~ffi girata una protome bovina. Anche in due affre schi pompeiani, del tempo d’Iside (fig. 2) e della Casa del Citarista (fig. 3),~ l’eroina è affiancata da una giovenca accovacciata, la quale non è dun que, come era stato da taluno proposto, allusiva al gregge d’Argo, ma traduce figurativamente la duplicità umano/bovina della fanciulla,25 consen tendo l’eliminazione dell’attributo delle corna.Z Senza corna è anche la Io effigiata su una coppa d’oro rinvenuta a Taranto, ma a ragione riven dicata dalla Segall ad ambiente alessandrino (fig. 4),21 e su un cammeo conservato attualmen te al Museo di Leningrado (fig. 5)?~ Queste due ultime testimonianze, in cui la giovenca è stata soppressa in ragione del ridotto spazio a dispo 1986 LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO sizione, sono facilmente riferibili al medesimo archetipo da cui deriva la Io degli affreschi pom peiani: identici sono infatti sia la posizione seduta su roccia sia l’abbigliamento un ricco mantello avvolto intorno alle anche che però lascia nudo il busto ma soprattutto identico è il gesto che la fanciulla compie con la mano destra, sollevando un lembo della veste, quasi per scoprirsi. Proprio questo gesto, che ritroviamo anche in un altro gruppo di pitture pompeiane, in cui l’eroina, egualmente seduta su una roccia, appàre con il busto velato e con le corna sul capo,~’ sembra essere l’elemento distintivo del l’iconografia di Io, sì che non è escluso che sulla base di questo particolare si possa rivendicare al mito della fanciulla-giovenca anche un’altra pit tura pompeiana che la perdita delle teste ha con finato nel limbo delle scene anonime.3’ Dalle testimonianze citate sembra dunque po tersi dedurre che esistevano due diverse versioni di Io: l’una, con busto velato e corna sul capo, può essere posta in relazione con la creazione di Nicia di cui ci parla Plinio,~ l’altra, con busto nudo, priva di corna ma generalmente affiancata dalla giovenca accovacciata, sarebbe una rielaborazione ellenistica dell’archetipo classico, da riconnettere forse ad ambiente alessandrino. A questo secondo modello sembra essersi ispirato l’artefice del piat to di Aquileia: anche la nostra fanciulla infatti ha come Io il busto nudo, anch’essa è affiancata da un bovino accovacciato, anch’essa infine solleva il lembo del mantello Y Una tale interpretazione sembra dare maggior pregnanza simbolica anche allo Zeus con fulmine e scettro raffigurato nella parte superiore del piatto di Aquileia, in asse con la figura recumbente. Questo per quanto riguarda l’iconografia. Ma quale può essere il significato dell’eroina-giovenca in un contesto in cui campeggiano alcuni evidenti riferimenti al complesso mitico-rituale demetriaco? La valenza eleusina del manufatto è infatti palesata dall’imponente Demetra seduta sotto l’olivo sa cro~ con il capo velato e la fiaccola nella mano destra, nonché dalla raffigurazione sull’altare ci lindrico del ratto di Kore, preludio al doloroso errare della madre afflitta. Che tuttavia non si tratti di un eleusinismo attico è cosa ben nota agli studiosi’5 che hanno soprattutto evidenziato la radice alessandrina dell’attributo del kalathos, raf figurato per ben due volte, a terra e sul capo della — — — — 33 fanciulletta in peplo dorico; esso è certamente al lusivo alla suggestiva processione che si svolgeva per le vie di Alessandria in onore della dea e che a torto lo scoliasta a Callimano ritiene esemplata su modello ateniesé?’ È nella tradizione mitolo gica alessandrina che si dovranno pertanto cercare possibili tangenze fra il mito di Demetra e quello d’Io che vadano al di là di superficiali analogie quali il disperato errare, che ha suggerito per en trambe un riferimento lunare?’ Sfiorare il problema dell’eleusinismo alessan drino significa imbattersi nella vivace discussione circa la sua reale consistenza,’5 che sembra rinver dire l’antica «querelle» sull’origine dei misteri di Eleusi: contro una tradizione cretese, che, pur nella finzione del racconto, sembra registrata nel l’Inno omerico,~ esistevano altre versioni, fra cui emerge a più riprese quella che rivendicava al~ l’Egitto la priorità del culto misterico; ad essa sembra prestar cauta fede anche Erodoto, quando afferma che sarebbero state le Danaidi, discen denti attraverso Epafo dell’errabonda Io, a por tare alle donne pelasgiche ~ A~siyupo; ~E)jEr~, ‘ri’w oL “EXX~w~ ~s iopép~a xa.XkUCL.4° Il passo è significativo, tuttavia manca nella testimonianza erodotea la coscienza di un rapporto tra il rituale dell’Egitto e la tradizione attica, come si deduce dal fatto che lo storico si affretta ad aggiungere che l’invasione dorica avrebbe cancellato anche il ricordo di tali cerimonie di cui solo gli Arcadi sarebbero rimasti depositari. Una certa contrad dizione si registra inoltre nell’identificazione fra wEXtrt~, che già in quell’epoca aveva assunto il si gnificato di rito forse iniziatico, e le feste Thesmo. phorie che, com’è ben noto, nulla avevano a che fare con i misteri veri e propri.4’ La tradizione egiziana emerge invece con ben maggiore organicità in Diodoro che, riecheggian do Ecateo di Abdera, autore al tempo di Tolomeo I di un perduto ALyuwrtaxà, ascrive l’introduzione dei misteri ad Eretteo, egiziano per nascita, il qua le sarebbe divenuto re d’Atene per aver salvato la città da una carestia portando ad essa grano dal l’Egitto.~ All’origine egiziana dei misteri crede anche il vescovo Teodoreto,4’ il quale si rifà ad una versione, mediata attraverso l’orfismo, che attribuisce al mitico cantore tracio dopo un viag gio in Egitto l’introduzione ad Atene delle Dio nisie, delle Panatenee, delle Thesmophorie e dei misteri (questa volta ben distinti dalle Thesmo 34 FRANCESCA GHEDINI phorie); e la affermazione del vescovo siriaco sembra tanto più degna di credito in quanto egli cita a sostegno della sua tesi Plutarco, Demostene e Diodoro. A queste tre esplicite testimonianze 7 che coprono un arco di dieci secoli, possiamo forse aggiungere un altro passo di Diodoro, il quale, parlando del secondo Dioniso, figlio di Zeus ed Io, afferma che avrebbe regnato sull’Egitto introdu cendo in questo paese ‘r&~ -rEkEwà;;~~ ora, se pure è vero che non vi è alcun accenno a Demetra e pertanto non si può con sicurezza affermare che si tratti di una wEXsw~ demetriaca7 è pur vero che, se si tien conto della forte connotazione dio nisiaca del culto di Demetra in Alessandria,47 non si può sfuggire alla suggestione di ipotizzare che alla base di quei misteri egizi, che sarebbero poi stati esportati in Grecia dalle Danaidi (Erodoto), da Eretteo (Ecateo, Diodoro) o da Orfeo (Teodo reto), ci fosse un Dioniso, figlio di Zeus e di quella medesima Io, capostipite attraverso Epafo delle Danaidi che tanta parte avrebbero avuto nella diffusione in Grecia dei misteri. L’anello mancante che salda Io a Demetra, e per traslato l’Egitto ad Eleusi, sembra emergere nella mitologia argiva che propone una diversa versione del mito demetriaco, rivendicando ad Argo la priorità su Eleusi (tradizione questa cui sembra credere anche Erodoto che, come si è detto, parla di donne pelasgiche e di Peloponneso). È Pausania che diffusamente, anche se con critica accentuata, narra la vicenda dell’accoglimento di Demetra da parte di Pelasgo e Crisantide ~ (cor rispondenti argivi degli attici Celeo e Metanira e degli «orfici » Disaule e Baubo) e l’esportazione del culto della dea ad opera di Trochilo, ierofante di Demetra, il quale fuggito da Argo per l’inimi cizia con Agenore si sarebbe rifugiato in Attica, dove avrebbe sposato una fanciulla di Eleusi che gli avrebbe generato Trittolemo ed Eubuleo; ma Trochilo altri non è che il figlio di Kallithuessa cioè Io Kallithuessa7 la quale risulta pertanto legata da un lato a Demetra e ad Eleusi, dall’altro all’agricoltura che per mezzo di Trochilo, inven tore dell’aratro, e di Trittolemo, il grande semina tore, sarebbe stata diffusa fra gli uomini. La tra dizione argiva viene ovviamente ignorata in am bito attico, a meno di non voler scorgere poco plausibili tangenze fra Io Kallithuessa e Kallithoe, figlia di Celeo: secondo la tradizione attica infatti Trittolemo, che nell’Inno omerico era assieme a [RdA lo Diocle, Eumolpo e Celeo, uno dei re di Eleusi, assume il suo ruolo predominante nella diffusione dell’agricoltura come figlio minore di Celeo e Me tanira. Io Kallithuessa e Trochilo non compaiono nemmeno nella elaborazione «orfica », ove il gran de seminatore con Eubuleo e Eumolpo è detto 6glio di Disaule e Baubo.5° Tuttavia non è forse casuale il fatto che Trittolemo venga ad assumere in Attica un ruolo predominante proprio al tem po di Pisistrato, che potrebbe legarsi ad Argo at traverso la seconda moglie, Timonassa, argiva d’o rigine .~‘ Se un filo sottile, che prende forma in Trit tolemo, lega Argo ad Eleusi, ben più radicati le gami uniscono Argo all’Egitto: secondo Agostino infatti Apis, che nell’interpretatio greca diventa Epafo, figlio d’Io,~ sarebbe stato il terzo re della dinastia argiva, dopo Inaco e Foroneo (ricordiamo che Foroneo è padre di quell’Agenore che costrin se Trochilo ad emigrare da Argo), e sarebbe stato Argo, figlio di Apis/Epafo, ad iniziare gli Argivi all’agricoltura mentre un certo Omogiro avrebbe per primo aggiogato i buoi ad un carro;~’ ma allora Apis/Epafo, figlio di Io, sembra presentare signi ficativi contatti con Trittolemo, figlio di Tro chilo, figlio d’Io, mentre Omogiro è assimilabile a Trochilo, figlio d’Io. E le tangenze fra Tritto lemo e l’Egitto sono chiaramente espresse nel vaso apulo del Pittore dell’Ilioupersis,M in cui l’eroe seminatore è posto in rapporto con una raffigura zione nilotica: si tratta forse del Trittolemo ar givo, discendente attraverso Trochio di Io KaI lithuessa o di un Trittolemo che, seguendo Dio doro, potremmo dire «egiziano », essendo stato compagno di Osiride nell’insegnamento dell’agri coltura che egli avrebbe poi introdotto in Attica?~ Oppure il Trittolemo argivo e quello « egiziano» hanno Io come comune ascendente, Io in cui sem brano saldarsi diverse redazioni del mito agricolo? Se poi guardiamo all’Inno callimacheo a De metra, emergono ulteriori suggestioni che sembra no confermare l’apertura di Alessandria alla tra dizione argiva. Com’è noto infatti, dopo una breve introduzione in cui canta le lodi della dea, il poeta inserisce una lunga digressione che sviluppa il mito di Erisittone, figlio di Triopas.~ Si tratta di un racconto mitico tessalo, che anteriormente a Callimaco sembra essere stato ricordato solo da Ellanico di Mitilene,~’ ma che può essere pervenu to al poeta attraverso l’elaborazione argiva in cui, 1986] LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO com’è noto, è confluita la tradizione tessala. E il punto di contatto fra la Tessaglia ed Argo emerge in Triopas, padre di Erisittone, ma padre anche di quel Pelasgo che avrebbe benevolmente accolto la dea dopo il suo lungo peregrinare, quel mede simo Pelasgo che avrebbe dedicato a Demetra llEÀocoyL~ il santuario menzionato da Pausania, istituendone il culto in Ar~olide .‘~ E attraverso la dinastia argiva Triopas si lega anche alla mitica Io: egli infatti è detto figlio di Forbante, cioè ni pote di Foroneo, figlio d’Inaco (il padre d’Io), ma risulta anche padre di Messene, Agenore e laso; e laso, secondo una versione riportata da Pausa nia, sarebbe padre d’Io, mentre Agenore sareb be colui che spinse all’esilio Trochio, figlio d’Io.50 Triopas risulta legato anche a Demetra attraver so la figlia Messene che avrebbe introdotto i misteri della dea nella città che da lei avrebbe preso il nome.~ Sembra dunque che la scelta operata da Calli maco, di un racconto mitico tessalo non sia stata dettata solo dalla abituale ricerca erudita di epi sodi desueti, ma sia espressione di una conoscen za della tradizione argiva, in cui era forse ancora presente la coscienza di un legame fra Demetra ed Io. Ed è nell’Era argiva infatti di cui Io, com’è noto, fu la prima sacerdotessa, che tale legame prende corpo: la ~cU~itt~ Era, che nell’appellativo denuncia chiaramente ascendenze bovine, altri non sarebbe che la dea tessala tauromorfa, che, partita dalla Pelasgiotide alla guida di una tribù greca, avrebbe lasciato anzitutto traccia in Beozia nel culto di una waapo7t6Xo; che diventa poi Demetra v~upcit6Xo~, e successivamente, giunta « nella pia nura Achea », avrebbe assunto appunto l’aspetto cli t3oJntt~ lt&rvta “Hpa ‘ApyELa.6’ Attestato tale possibile punto di contatto ri sulta più plausibile il fatto che Trochilo, figlio della sacerdotessa di Era ~o~Sitt~ sia anche iero fante di Demetra e risulti di conseguenza ricon nettibile ai misteri e all’agricoltura. Su questa base acquista maggior pregnanza, e maggior credibilità, anche l’affermazione di Apollodoro, secondo cui il culto di Demetra sarebbe stato portato in Egitto proprio da Io al ritorno dal suo viaggio a Biblo, dove aveva ritrovato il figlio perduto.~ E non è un caso quindi che sia la dea dei misteri sia la fanciulla-giovenca siano state, in Egitto, assimi late ad IsideY~ 3, Fin qui la tradizione mitica nei suoi complessi rapporti e nelle sue diversificate versioni, ma forse le tangenze si farebbero più strette se potessimo gettare uno sguardo nei recessi del culto: da un lato l’anasyrmaM che nella tradizione «eleusino orfica » sarebbe stato posto in opera da Baubo, per provocare il sorriso di Demetra, mentre nella tradizione egiziana sembra legato ad Apis e ad Hathor, dea vacca di cui Io è forse l’int~erpretatio greca;50 dall’altro la formula Os xs~ che secondo Ip polito coincideva con il momento culminante dei misteri ~ e che sembra riecheggiare nella narrazio ne erodotea dell’ingravidamento della madre di Apis/Epafo ~ (in cui è lecito riconoscere Io anche se lo storico non ne fa espressa menzione) ~ ad opera di una gran luce (caa~) venuta giù (pio vuta?) dal cielo. E il riferimento alla luce acqui sisce ulteriori valenze se si tien conto della sua essenziale funzione nel rituale eleusino: ~ si ricor di la .pÀy~ pJ~ che al dire di Plutarco fuoriusciva dall’anaktoron quando lo ierofante svelava ‘~& Lrpà,7° nonché l’essenziale funzione dell’ùtctEo’v, e si ricordi ancora che, secondo la tradizione ari stotelica riportata da Psello7’ il momento culmi nante dell’epopteia coincideva con l’O~Xa~i’ja;, che può essere interpretata sia in senso astratto, come illuminazione dello spirito, sia in senso càncreto, con riferimento cioè alla gran luce che fuoriusciva dall’anaktoron. Ma tutto ciò ci allontana dal piatto di Aquileia, portandoci sull’accidentato sentiero della ritualità eleusina, la cui definizione esula dallo scopo della presente ricerca: in questa sede sia sufficiente l’aver sottolineato la legittimità mitologico-cultuale di una raffigurazione d’Io in un contesto ispirato al complesso mitico-rituale demetriaco. Accettare questo presupposto comporta però, come inevita bile conseguenza, la necessità di una revisione dell’interpretazione dell’intera raffigurazione e se gnatamente della figura centrale posta sull’asse che unisce Io a Zeus, in cui si è unanimemente rico nosciuto con l’unica eccezione dello Hafner Trittolemo in atto di partire per la sua missione. In realtà anche in questo caso, come già per Io, manca la possibilità di istituire un incontroverti bile raffronto iconografico: ~2 il grande seminatore ci è noto soprattutto dalla tradizione ceramica, attica ed apula, nonchè dai rilievi votivi,” che ci restituiscono l’immagine di un giovane, con lun ghe chiome coronate di mirto, seduto o stante — — FRANCESCA GI-IEDINI 36 sul carro alato che lo porterà per il mondo ad eseguire il compito affidatogli da Demetra; nel piatto invece è effigiato un uomo dalla corpora tura robusta e dai corti capelli, con un ampio man tello drappeggiato intorno alle anche, accanto al carro, ma non in diretta connessione con esso, in tento ad un atto che sembra di culto. Tale icono grafia si stacca nettamente anche da quella c.d. romana tramandataci da gemme, rilievi, lampade e monete che colgono il personaggio nel momento culminante della sua missione, mentre cioè dona alla terra il seme del grano.74 Né serve a giustifi care questa diversità iconografica il presupposto che essa sia da ascrivere al desiderio di dat mag gior risalto ai tratti individualizzati del personag gio storico assimilato a Trittolemo; l’ipotesi di uno sfruttamento politico del grande seminatore, data per scontata in tutti gli studi sul piatto di Aquileia, è in realtà tutta da verificare dopo la convincente esegesi del La Rocca, che nega l’esi stenza di precedenti tolemaici75 minando alla base il presupposto dell’interpretazione corrente. Credo pertanto che il significato del giovane stante vada indagato nell’ambito della tradizione argivo-alessandrina (e della propaganda tolemaica) in cui trovano un punto di contatto i miti di Deme tra ed IoY6 La posizione stessa che gli è stata as segnata, al centro geometrico e concettuale della raffigurazione, ribadisce la sua funzione di rac cordo fra la componente eleusina (Demetra/raffl gurazione del ratto di Persefone sul piccolo altare cilindrico) e quella alessandrina (Giove/Io), cui forse si può aggiungere una valenza latamerite dionisiaca, suggerita dalla pigna sull’altare e dal l’ampio risalto dato alle Stagioni?’ La moltepli cità dei riferimenti simbolici che in lui conver gono rende dunque quanto mai improbabile la riduttiva interpretazione corrente, secondo cui si tratterebbe di un Trittolemo « tout court ». Se si pone mente infatti alla direttrice alessan drina (verticale), credo che nel giovane non si possa riconoscere altri che il figlio della divina coppia, Apis/Epafo, capostipite di dinastie, fon datore di città, ma anche estensore attraverso il figlio Argo del dono dell’agricoltura. Un Apis/Epafo, ed è questa a mio parere la caratte ristica più significativa, plausibilmente inseribile in una tradizione propagandistica tolemaica. Tale ipotesi sembra già adombrata dalla Freyer-Schau enburg~ che in un gruppo di teste di Tolomeo III — — [RdA lo Evergete, caratterizzate da piccole corna sulla fron te, ha proposto di riconoscere il sovrano lagide assimilato ad Apis/Epafo, cui farebbe da «pen dant» una Arsinoe TI/Io, che la studiosa pone come « Urbild» di un gruppo di teste dell’eroina giovenca, utilizzate dalla propaganda imperiale per effigiare le Auguste in veste d’Io. A favore di questa suggestiva ipotesi val la pena di ricordare la significativa testimonianza dei testi di Kar nak,7° in cui Arsinoe TI è ricordata come madre divina di Apis, il che vale a dire, madre di Epafo, cioè Io; in tal caso al figlio adottivo Tolomeo III ben poteva convenire l’assimilazione ad Apis/ Epafo. Numerose altre considerazioni concorrono a confermare tale ipotesi: anzitutto la legittimità di questa operazione in Egitto, ove si poteva tro vare un lato riferimento nella tradizione faraonica dell’assimilazione ad Florus, figlio di Hathor, la dea dalla testa di vacca,80 e in secondo luogo lo stretto legame che univa i Tolomei ad Argo, e quindi alla mitologia locale, attraverso la pretesa discendenza dalla monarchia macedone, che ap punto ad Argo si riconnetteva.°’ Ma v’è di più: Tolomeo III fu, com’è noto, il primo sovrano na to in Egitto e su questa base egli fondò il suo programma propagandistico, arrogandosi la quali fica di iniziatore di un nuovo corso della storia. Queste speranze di un «rinascimento », che si manifestano sia nel decreto di Canopo del 239/8 sia nella riforma calendariale messa in atto dal sovrano, riecheggiano ancora in quel passo di Ta cito in cui è ricordato lo stormo di fenici che al tempo di Tolomeo III volò sulla città di EliopoliY L’immagine propagandistica dell’Evergete, era dunque quella dell’iniziatore di una nuova età dell’oro e il mito d’Io poteva fornirgli un signi ficativo avallo mitologico: era comune opinione infatti che, quando era avvenuto il divino accop piamento fra il padre degli dei e la sacerdotessa d’Era, la terra avesse dato fiori e frutta in abbon danza (età dell’oro), si fosse poi inaridita per l’ira della moglie gelosa, per tornare a fiorire infine quando in Egitto l’eroina per il tocco divino di Zeus si era sgravata del figlio, recuperando le sue originarie sembianze;TM così, in occasione della nascita del nuovo Epafo, l’Egitto ritrovava benes sere e ricchezza. La scelta dell’assimilazione ad Apis/Epafo ac quista ancora maggior spessore se pòsta in rap 1986 1 LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO porto con la politica estera dell’Evergete: da un lato egli fu presente ad Atene, ove fece costruire un ginnasio a sue spese, in grazia del quale fu onorato dagli Ateniesi con l’istituzione di una tri bù, la Tolemaide, dall’altro si legò con vincoli d’amicizia ora con Cleomene III di Sparta e non a caso proprio da Sparta viene uno dei ri tratti come Apis/Epafo ora con la lega acheaY5 In quest’ottica di integrazione fra le due culture la greca e l’egizia la scelta per un’assimi lazione non poteva cadere che su Apis/Epafo, sul figlio cioè di quella mitica Io che nella cultura contemporanea era considerata espressione di tale sincretismo. Un’ulteriore conferma della prefe renza accordata dall’Evergete al figlio della vacca sacra viene dal fatto che il sovrano si preoccupò di ridare impulso al suo culto Alla scelta di Tolomeo III non fu infine estra nea, a mio parere, la grave crisi economica che travagliò l’Egitto nei primi anni del suo regno e che lo costrinse a rivolgersi ai mercati orientali per sopperire al fabbisogno cerealicolo, guada gnandosi l’appellativo di Evergete; egli sembrò ricalcare con tale provvedimento le gesta del mi tico Apis, terzo nella dinastia argiva, che avrebbe salvato il suo paese dalla carestia importando grano dall’Egitto. Ed è nel riferimento al grano che emerge il punto di contatto fra la tradizione argivo/ alessandrina e quella attica (non a caso i due poli di interesse dell’Evergete in Grecia): Apis/Epafo sembra appropriarsi delle qualità di Trittolemo, un Trittolemo che può essere il figlio di Trochilo, figlio d’Io, ma anche il figlio di Celeo e Metanira, un Trittolemo che spesso nella tradizione icono grafica tende a confondersi con Dioniso,87 un Trit tolemo che nella elaborazione siro-cilicia del rac conto mitico presenta, come Epafo, le qualità di un eroe ktistesY~ Nel giovane stante si deve dun que riconoscere Apis/Epafo/Trittolemo/Dioniso, un personaggio dalle molteplici connotazioni, la cui funziofle è quella di fare da cerniera fra l’asse ver ticale, ispirata alla mitologia argivo-alessandrina, e le diagonali, in cui emergono invece più evidenti riferimenti eleusino-dionisiaci. Ma se la raffigurazione del piatto di Aquileia sembra rispondere in pieno al programma politicoeconomico-religioso dell’Evergete (fusione fra la cultura greca e quella egizia, provvedimenti agri coli in favore dell’Egitto, rinnovamento del culto di Apis), ciò non toglie che difficilmente sj po — — — — .~ 37 trebbe proporre di riconoscere nel giovane stante al centro della raffigurazione il sovrano lagide: manca per una simile identificazione la benda intorno al capo, imprescindibile attributo della dinastia tolemaica.~ Il piatto di Aquileia, come giustamente notò già l’Alfòldi,~ sarebbe dunque la copia di un’icono grafia precedente, un’iconografia, possiamo ora aggiungere, a carattere propagandistico creata al tempo di Tolomeo III; né serve a modificare tale ipotesi il fatto che nella composizione si possano riconoscere anche schemi più antichi, qualé la Stagione che nutre il serpente, attestata già in connessione con il mito di Trittolemo su un cra tere apulo datato poco prima della metà del IV sec. a.CY’ L’aver identificato l’archetipo, e le implicazioni ideologiche che furono alla base della sua crea zione, oltre a consentire una migliore compren sione del significato del piatto, fornisce anche una utile traccia per il chiarimento del problema della datazione, irrisolvibile su base tecnico-stilistica, come prova l’ampio divarid delle cronologie cor rentiY2 La precisa emergenza di un programma tolemaico e i molteplici riferimenti alla composita mitologia alessandrina ci allontanano, mi sembra, dall’ambiente giulio-claudio (Germanico, Claudio, Nerone), a meno di non supporre un’adesione acritica al modello ellenistico o addirittura un. «misunderstanding » di esso. L’iconografia giulioclaudia si focalizza infatti, com’è noto, sull’im~ magine di un Trittolemo tradizionale, attico po tremmo dire, ma forse anche « orfico », di un Trittolemo cioè colto nell’atto culminante della sua missione, mentre sparge sulla terra il seme del grano. Il riferimento ad Io è del tutto estra neo a una simbologia così elementare, e prova ne sia che in quei documenti in cui fu in parte uti lizzato il medesimo cartone del piatto di Aquileia, e cioè nei medaglioni di Antonino Pio, la figura recumbente ha perduto l’attributo qualificante (la giovenca accovacciata), sostituito dall’aggiunta di generiche spighe verisimilmente per suggestio ne della consimile iconografia di TellusY3 Se dun que tali considerazioni ci consentono di escludere il periodo giulio-claudio, è ancora ad Alessan dria che dobbiamo volgerci: è nell’esaltato clima culturale che caratterizzò l’ultima fase dell’Egitto tolemaico, che va ricercato il committente del piat to, in cui credo non si possa riconoscere altri che FRANCESCA GHEDINI 38 Marco Antonio,~’ che propone sé stesso come Apis/Epafo/Trittolemo/Dioniso, cioè come eroe ktistes, estensore del dono dell’agricoltura e fon datore di dinastie. In tale prospettiva sembra ac quistare ulteriore pregnanza l’ipotesi del M6bius che nei tre bimbi presso l’altare si debbano in realtà riconoscere i figli ed eredi di Marco Anto nio;95 si sarebbe in tale particolare modificato il cartone. originario (è noto infatti che l’Evergete ebbe solo due figli, la piccola Berenice morta pre cocemente e Tolomeo, il futuro Filopatore) per ri badire le speranze dinastiche del nuovo capostipite. Nel piatto di Aquileia si concretizzerebbe dun que il messaggio politico di Marco Antonio che cerca, o impone, una ratifica al suo ruolo in Egitto e alle sue prospettive future, utilizzando per tale processo di legittimazione un modello della pro paganda lagide. Quanto al preciso momento storico in cui può essere avvenuta la commissione, viene spontaneo [RdA lo pensare al 34 a.C., quando si svolse nel ginnasio di Alessandria la fastosa cerimonia in cui palese mente si manifestò la volontà del duce romano di creare una nuova dinastia. Se la tazza Farnese, che secondo la più recente lettura sembra essere cronologicamente coeva, può essere considerata espressione delle speranze di Cleopatra VII, nel piatto di Aquileia prende invece corpo il grande sogno orientale di Marco Antonio: e nell’una e nell’altro vibra l’eterna illusione di una ritrovata età dell’oro. Istituto di Archeologia Università di Padova Desidero ringraziare il dr. A. Bernhard-Walcher del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che mi ha gentilmente concesso di prendere visione del prezio so oggetto e mi ha fornito la fotografia che qui si pubblica, e i colleghi ed amici Elena Di Filippo Ba * lestrazzi e Paolo Scarpi che hanno letto e discusso con me questo lavoro. Abbreviazioni. 1979: A. ALFÒLDI, Redeunt Saturnia Re gna, in «Chiron », 9, 1979, p. 553 Ss. ALFL3LDI, 1974: F. BARATTE, Le sarcophage de Triptolème au Muse’e du Louvre, in «R.A. », 1974, p. 271 ss. BARATTE, F. L. BA5TET, Nero und die Patera von Aquileja, in «B.A. Besch. », XLIV, 1969, p. BA5TET, 1969: in «J.d.I. 1967: G. HAFNER, Der Silberteller von Aquileia. Kein ‘historisches Relief ‘, in « J.d.I. », 82, 1967, p. 213 ss. KERÉNYI, 1952: J. BÉRARD, Les Hyksos et la lé gende d’lo. Recherches sur la période prémyce nienne, in < Syria », XXIX, 1952, p. 1 Ss. KERN, CooK, I: A. B. Cooic, Zeus. A Study in Ancient Religion, I, New York 1964 (rist.). 1984: E. Di FILIPPO BA del Sole e l’Artemis-Kybebe di Sardis, in Marco Mantova Benavides, il suo Mu seo e la cultura padovana del ‘500, Atti, Padova 1984, p. 103 ss. FILIPPO BALE5TRAZZI, LE5TRAZZI, L’idolo c.d. 1979: J. DUCHEMIN, La justice de Zeus et le destin d’lo, in « R.E.G. »,XCII, 1979, p. 1 ss. DUCI-IEMIN, ENGELMANN, ROSCHER, 1890-94: R. ENGELMANN, s.v. Io, in Lexikon, 1890-94, c. 263 ss. », HAFNER, 143 ss. BÉRARD, Di 1903: R. ENGELMANN, Die. Jo-Sage, 18, 1903, p. 37 ss. FRA5ER, 1972: P. M. FRA5ER, Ptolemaic Alexan dria, Oxford, 1972. ENGELMANN, 1967: C. KERÉNYI, Eleusis. Archetypal Image of Mother and Daughter, New York 1967. 1933: 0. KERN, sv. Mysterien, in « P.W. », XVI, 1933, c. 1209 ss. LA ROCCA, 1984: E. LA ROCCA, L’età d’oro di Cleo patra. Indagine sulla Tazza Farnese, Roma 1984. LEvI, 1947: D. LEVI, Antioch Mosaic Pavements, The Hague 1947. MATZ, 1964: F. MATZ, Zum Silberteller aus Aqui leja in Wien, in «Marb. W. Pr. », 1964, p. 23 Ss. MÒBIU5, 1965: H. MÒBIU5, Nochmals zum Silber teller von Aquileia, in « A.A. », 80, 1965, c. 867 Ss. MÒBIus, 1962: FI. MÒBIUS, Die Silberteller von Aquileia, in Festschrift fiir F. Matz, Mainz 1962, p. 80 ss. 1986 1 LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIAnO DI AQUILEJA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO 39 Musso, 1983: L. Musso, Mani/attura suntuaria e committenza pagana nella Roma del IV sec. Inda gine sulla ‘lanx’ di Parabiago, Roma 1983. MYLONAS, 1961: G. E. MYLONAS, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961. RAUBITSCHEK, 1982: I. K.-A. E. RAuBITSCHEiC, The Mission of Triptolemos, in Studies in Athenian Architecture, Sculpiure and Topography presented io H. A. Thompson, Princeton 1982, p. 109 ss. REINACH, Peint.: 5. REINACH, Répertoire de pein iures grecques ei romaines, Paris 1922. SIMON, 1957: La bibi. è raccolta in BASTET, 1969, p. 143 ss., cui si può aggiungere BARATTE, 1974, p. 288; H. LAuB SCHER, in « J.d.I. », 89, 1974, p. 249 s., n. 29; Zs. Kis s, L’iconographie des princes Julio-claudiens au temps d’Auguste ci de Tibère, Warszawa 1975, p. 114 s., ff. 393-4; H. KYRIELEI5, in «A.A. », 91, 1976, p. 88 5.; ALFÒLDI, 1979, p. 570 Ss.; brevi cenni anche in M. C. CALVI, Le arti suntuarie, in Da Aquileia a Venezia, Milano 1980, p. 471 s.; Musso, 1983, p. 55, n. 168; LA ROCCA, 1984, pp. 66, 68, 75, n. 52; R. LINDNER, Der Raub der Persephone in der antiken Kunst, B.z.A., 16, Wùrzburg 1984, p. 100, nr. 157, t. 31. 2 PICARU, 1950, p. 351 ss., ivi precedente bibl. 2 MÒBIu5, 1962, p. 80 Ss.; ID., 1965, c. 867 ss. portuna: 1, non mi pare convincente l’identificazione come Autunno nella figura stante dietro l’Estate, in quanto si tratta di un giovane e non cli una fanciulla (cfr. SIM0N, 1957, p. 58; conira LA ROCCA, 1984, p. 70, n. 36), e quindi è più plausibile Che S~ tratti di un inserviente del culto (cfr. il giovane su un frammento della cd. Ara Pietatis: M. TORELLI, Typology and Siructure o! Roman 1-listorical Reliefs, Ann Arbor 1982, p. 71 E, f. III, 24); 2, nella sfilata delle Stagioni verrebbe di conseguenza a mancare proprio quella più significativa per la missione di Trittolemo; 3, la figura recumbente è caratteriz zata da un attributo stagionale, un bel grappolo d’uva maturo che fuoriesce dal canestro. Sulla base di tali considerazioni credo pertanto che in essa si debba riconoscere l’Autunno; in tal caso acquisterebbe mag gior pregnanza anche la Suggestiva interpretazione proposta dal La Rocca per le due figure sotto il baldacchino (Ecate e Persefone nell’atto di uscire dall’Ade) dal momento che tale avvenimento, come sostengono la maggior parte degli studiosi, avveniva appunto in questa stagione (F. CASSOLA, Inni ome rici, 1975, pp. 25 e 483, commento ai vv. 401-403). 14 V. supra n. 10. ‘~ Inaccettabile mi sembra la proposta dello HAENER, 1967, p. 217 s., che i tre fanciulli presso l’altare siano in realtà tre karpoi. 16 J putti dall’età adrianea in avanti sembrano meno allusivi al tema della fecondità utnana e più carat terizzati in senso o agricolo (personificazioni dei frutti della terra) o allegorico-temporale (personificazioni delle Stagioni che eternamente si succedono rinnovel lando il miracolo del risvegliarsi della natura). 17 Tale gesto, caratteristico della figura recumbente associata a Trittolemo (cfr. anche i medaglioni di Antonino Pio: SIMON, 1957, t. 31, 2), sembra usato per raffigurare Tellus solo su un tardo mosaico afri cano (D. PARRISH, Season Mosaics of Roman North Africa, Roma 1984, p. 122 ss., nr. 13, t. 23) che però potrebbe dipendere dal consueto fenomeno della contaminazione di cartoni: sul simbolismo dello sve lamento v. in/ra n. 33. MATZ, 1964, p. 23 ss ° HAFNER, 1967, p. 213 ss. BASTET, 1969, p. 143 ss. 8 ALPÒLDI, 1979, p. 553 ss. GESZTÉLYI, 1981, p. 440 Ss., con precedente bibl.; v. anche Musso, 1983, p. 53 ss. E. LA ROCCA, Ara Pacis Augustae, Roma 1983, p. ~ Ss., con precedente bibl. ‘° Di diverso avviso M. TH. PICARD-ScHMITTER, in « RA.», 1971, 1, p. 29 ss. interpreta la scena in relazione alla mitologia isiaca. L’ipotesi appare con vincente mentre scarsamente plausibile mi sembra l’affermazione (p. 56, n. 6) di una diversità di car tone per i due rilievi. “ H. KÀHLER, Alberti Rubeni Dissertatio De Gemma Augustea, Berlin 1968, p. 25, t. 5, che ritiene però si tratti non di Tellus bensì di Italia. 13 H. KÀHLER, Die Augustusstatue von Prima Porta, Kòln 1959, tt. 11, 20; per la discussa datazione della statua v. da ultimo K. FITTSCHEN, in «J.d.I. », 91, 1976, in particolare p. 203 Ss. n Verso una tale lettura sono indotta da una serie di considerazioni che qui brevemente riassumo, riser vandomi di riprendere il problema in sede più op E. SIMON, Die Porilandvase, Mainz 1957. SIMON, 1985: E. SIMON, Zeus und Io au/ einer Kal pis des Eucharidesmalers, in « A.A. », 1985, p. 265 ss. TRENDALL-CAMBITOGLU, I, 1978; Il, 1982: A. D. TRENDALL A. CAMBITOGLU, The Red-figured Va ses of Apulia, I-Il, Oxford 1978-1982. V0LKMANN, 1959: H. VOLKMANN, sv. Piolemaios (III Euergetes), in « P.W. », XXIII, 1959, c. 1667 - SS. 40 FRANCESCA GHEDINI Le fonti circa il mito d’Io sono raccolte e discusse in ENGELMANN, 1890-94, c. 263 Ss.; S. ErrREM, sv. Io, in « P.W. », IX, 1914, c. 1732 SS.; H. vor~ GR0SS, sv. Io, in « Der Kleine Pauly », 2, 1967, c. 1426 s.; SIMON, 1985, p. 265 Ss.; sulle peregrinazioni dell’eroina giovenca v. anche J. L. MIRES, in « Cl.R. »~ 1946, p. 2 ss. 19 Circa l’origine del mito è aperta la discussione, su cui v. da ultimo BÉRARD, 1952, 1 Ss.; DUCHEMrN, 1979, p. 1 ss., in particolare pp. 21 s., 39 ss. ~ PAUS., III, 18, 3. 21 Sull’iconografia d’Io manca una trattazione esauriente; elenchi di testimonianze in ENGELMANN, 1903, n. 37 ss.; F. BROMMER, Denkmdlerlisten zur griechischen Meldensage, III, Hamburg 1976, p. 176 ss; Si. MON, 1985, p. 265 ss. Non mi è stato possibile reperire l’annunciato volume di L. DEPANNEMAEcKER, Catalogue des documents littéraires et icona grapbiques concernant le mytbe d’lo (cit. in DUCHEMIN, 1979, p. 5, n. 2). ~ ENGELMANN, 1903, p. 39, f. ~ ~ ENGELMANN, 1890-94, c. 271; LEvI, 1947, p. 77 s.; SIM0N, 1985, p. 279 5., f. 63. 24 0. ELrA, Monumenti della Pittura antica scoperti in Italia: Pompei 111-1V. Le pitture del tempio d’Iside, Roma 1941, p. 25 ss, t. A, v. anche t. 2 (mcisione in rame); EAa, ibidem: Pompei 1. Le pitture della Casa del Citarista, Roma 1937, p. 22 s., f. 14. ~ Così si esprime il LEvI, 1947, p. 75 ss., che proprio sulla base di tale duplicità dell’effigie (donna! giovenca) ha proposto di riconoscere Io anzichè Enone nella fanciulla seduta del mosaico della Casa del Me nandro di Antiochia (p. 210, t. XLVI). ~ Le corna mancano senz’altro nell’affresco della Casa del Citarista, mentre sembrano esserci nella Io del tempio d’Iside, tuttavia il pessimo stato di conservazione inibisce una sicura lettura del particolare. 27 B. SEGALL, in « A.A. », 1965, p. 533 ss. 18 ~. ~ O. NEVEROV, Antique Cameos, Leningrad 1971, p. 86, nr. 58. ~ La medesima composizione è liberamente riprodotta in un affresco ercolanese, oggi perduto; REINACH, Peint., p. 16, 4. ~° V. da ultimo H. LAUTER-BUFE, Zur Stilgeschichie der figlirlichen pompejanischen Fnesken, Diss. 1967, p. 4 ss • ~‘ REINAcH, Peint., p. 97, 7. Cfr. anche uno specchio corinzio (?) degli inizi del III sec. a.C. ed uno magnogreco, all’incirca coevo in cui il modello è stato adattato ad un contesto dionisiaco (W. ZÙCHNER, Gniechische Klappspiegel, in « J.d.I. », 14 Erg., 1942, p. 42, KS 53, f. 118; p. 107, TKS 7, f. 119). ~ PL., N.H., XXXV, 32; v. anche LAUTER-BUFE, loc. cit. ~ Il gesto, che potrebbe essere allusivo ad un aspetto erotico, riecheggiando la cerimonia dello svelamento ERdA 10 della sposa (cfr. in tal senso il kantharos pompeiano con Marte e Venere: SIM0N, 1957, t. 6) oppure più concretamente alludere alla metamorfosi della fanciul la, mostra significative tangenze anche con l’anasyrma, su cui v. in/ra n. 64. ~ Per l’olivo e Demetra v. HOM., Hymn., lI, 100. ~ PICARD, l9SO,p. ALFÒ LDI, 1979. 36 354 ss.; MÒBIU5, 1962; ID., 1965; SCH0L. CALL., Hymn., VI, 1 (xwc& p~p~ptv ‘t&v ~ct~ sia ‘AD~y~’~’); a meno di non supporre che qui usato in più sfumata accezione: non cioè imita zione in senso stretto, ma più genericamente ispira zione da un modello. ‘~ Per Io = Luna cfr. CooK, I, p. 453 ss.; l’asso ciazione fra Demetra e Luna è meno evidente ma si veda KERÉNYI, 1967, p. 30; una conferma viene dall’identità fra Luna e Cerere (J. Gwm GRIFFITI-IS, in « Ci. Ph. », LXIII, 1968, pp. 143.45). Per altre tangenze fra Io e Demetra v. in/ra n. 63. ‘~ Contro l’esisten2a di una « succursale » alessan. drina del santuario eleusino in cui si svolgessero riti iniziatici esemplati su quelli attici si esprime recisa mente FRASER, 1972, I, p. 199 Ss.; Il, p. 339, n. 87, 90, 91, 95; cfr. anche N. H0PKIN50N, Callimachus, Hymn io Demeter, Cambridge 1984, p. 32 Ss.; LA RoccA, 1984, p. 68, n. 25 e passim; cli diverso av viso ALFÒLDI, 1979, p. 553 ss. ~ HOM., Hymn., lI, 123; v. anche Dron., V, 77, 3; sul problema dell’origine dei misteri v. KERN, 1933, c. 1211 5.; MYL0NAS, 1961, p. 14 55.; KERÉNYT, 1967, p. 18 ss. 4° HER., Il, 171. 41 Per taXs’~ v. V. GERHARD, s. v. Telete, in «P.W.n, v A, 1934, c. 393 Ss.; v. anche P. B0YANcÉ, in « R. E.G. », LXXXVIII, 1975, 197; sulle Thesmopho ne cfr. da ultimo E. SIMON, Festivals o/ Attica. An Archaeological Commentary, London 1983, p. 18 ss. ~. ~ Dioa, I, 29, 1-6; non vale a sminuire l’importanza del passo 11 fatto che lo storico siculo esprima pe santi riserve contro questa versione; ciò che conta infatti è la sua diffusione nella tradizione alessandrina (Ecateo), cui egli attinge. ~ ~ Ther., I, 21 Ss.; v. anche Il, 32; circa l’in terpretazione del passo cfr. GRAF, 1974, p. 22 Ss. La conferma di un legame fra l’Egitto ed Eleusi in età tolemaica ci è fornita anche da Tacito (Hist., IV, 83), che afferma che Tolomeo I Soter, dovendo interpretare un sogno, avrebbe fatto venire (exciverat) da Eleusi, dellachefamiglia Eumolpidi (quegli stessiTimoteo Eumolpidi secondo degli Diodoro (I, 29, 4) sarebbero stati all’origine dei sacerdoti egiziani) ut antistitem caenimoniarum; purtroppo la stringa tezza dello storico romano non ci consente di capire se la qualifica di sovrintendente alle cerimonie debba essere interpretata come esplicativa delle funzioni che Timoteo svolgeva ad Eleusi o si possa più specifica- 1986) LA FIGURA RECUMBENTE DEL PIATTO DI AQUILEIA E L’ELEUSINISMO ALESSANDRINO mente riferire a cerimonie alessandrine in onore di Demetra, né ci illumina sulla reale consistenza di tali cerimonie (su cui v. SAT., in P.Oxy., 2463, fr. 3, c. Il, rr. 4-11); circa l’interpretazione del passo di Tacito v. FRASER, Il, 1972, p. 338 s., n. 86. 4° DIOD., III, 74, 1. 4° Anzi se prestiam fede a Cm., De nat. Deor., 58, sembrerebbe trattarsi di una ‘rEXrd) orfica. ~ Basti pensare a CALL., Hymn., VI, 70: w6ca~ A~6. vucov y&p & xat A&p.trupa )~aXht’rEt; ma si veda anche LA ROCCA, 1984, p. 74 s., n. 52, con ampi ri ferimenti. PAUS., I, 14,2; per l’interpretazione cli questo passo si veda J. HEER, La personnalité de Pausanias, Paris 1979, p. 76; la priorità dell’Argolide è rivendicata anche in PAUS., Il, 5, 8 (Plemneus a Sicione); lI, 35, 4 (Atheras in Argolide); sulle diverse versioni del mito di Demetra v. N. J. RICHARDSON, The Homerie Hymn lo Demeter, Oxford 1974, pp. 11 ss., 74 ss. 4° C1e il nome completo dell’eroina-giovenca fosse Io Kallithuessa lo conferma HES., s. v. «‘I~ Kccflt *u~cca »; v. anche CooK, I, p. 453, n. 8; su Trochilo v. GEISAU, s. v. Trochilos, in «P.W. », VII A, 1948, c. 588 Ss. 5° F. Scuw~r’~, 5. v. Triptolemos, in « P. W. », VII A, 1948, cc. 221, 223, 229; per la tradizione orfica v. GRAF, 1974, passim; BALE5TRA±ZI Di FILIPPO, 1984, p. 125 ss. RAUBITSCHEK, 1982, p. 109 55., in particolare p. 111; v. anche R. M. SIMMS, in «Greek, Roman, Byzantin Studies» 16, 1975, p. 275 ss. 4° Per l’identità tra Apis ed Epafo si esprime chia ramente HER., Il, 153; III, 27, 28; v. da ultimo M. J. VERMASEREN, s. v. Apis, in «L.I.M.C. », Il, 1984, p. 178. 4° AUG., De civ. Dei, XVIII, 3-5; v. anche Ei. Magn., 409, 28 ss. 5° TRENDALL-CAMBITOGLU, 1978, p. 193, nr. 6; LA ROCCA, 1984, p. 69, f. 60. 5° Dion., I, 18, 2; 20, 2. 5° CALL., Hymn., VI, 24 ss. 4° AmEN., X, 416 b; F.H.G., I, 48, fr. 17; cfr. O. KERN, s. v. Erysichton, in « P.W. », VI, 1909, c. 571 ss. ~“ 5° P.&us., lI, 22, 1 lI, 16, 1. 4° PAUS., IV; 1, 5; v. anche IV, 26, 8. 61 Per le fonti e la discussione del problema v. P. PHILIPPSON, Origini e forme del mito greco, Torino 1983 (1964), p. 141 ss., in particolare p. 155 ss. 5° L’episodio è riportato da APOLL., Il, 1, 3; ricor diamo che Biblo svolse un ruolo significativo anche nel mito isiaco: è PLUT., De Is. et Os., 15 ss., che 4° PArIS., 41 ricorda l’arrivo a Biblo dell’affranta Iside, il suo ac coglimento sotto mentite spoglie nella casa del re, la sua funzione di nutrice del figlio della regina, il suo improvviso svelarsi nello splendore della sua divinità; il tutto sembra strettamente esemplato sul mito at tico di Demetra secondo la versione dell’Inno ome rico. Per Io = Iside cfr. HER., lI, 41; DI0D., I, 24; APOLL., Il, 1, 3; HYG., Fab., CXLV; per Demetra = Iside v. HER., Il, 59; 156; DI0D., I, 13, 5; 25, 1. Un rapporto tra Io e Demetra può forse ravvisarsi anche in quel passo dell’Inno omerico (v. 124 s.) in cui la dea interrogata dalle figlie di Celeo circa la sua origine afferma di essere stata rapita dai pirati, subendo analoga sorte a quella dell’eroina-giovenca (v. HER., I, 1); sui miti di rapimento cfr. DUCI-SEMIN, 1979, pp. 14 ss., 39. 4° Il significato dell’anasyrma è sviluppato e discusso in A. M. Di NOLA, Antropologia religiosa, Firenze 1974, p. 15 Ss.; v. anche Di FILIPPO BALESTRAZZI, 1984, p. 125 ~ HEit., Il, 41; cfr. anche BÉRARD, 1952, p. 24. 4° Hipp., V, 7, 34; PROCL., In Tim., V, 293 C. Tale ipotesi è nettamente rigettata da MYLONAS, 1961, pp. 270, 310; sul problema v. anche KERÉNYI, 1967, p. 141 5.; circa la pertinenza di questa formula ad un generico rituale di fertilità si veda KERN, 1933, c. 1240. ~ ~ III, 28; v. anche F. WEHRLI, Io, Dichtung und Kulturlegende, in Festschrif i K. Schefold, Bern 1967, p. 199. 5° Circa l’identità fra Io e la vacca sacra madre di Apis v. DUCHEMIN, 1979, p. 17 s., ivi fonti. 5° D. SABBATUCCI, Saggio sul misticismo greco, Roma 1965, p. 145 5.; KERÉNYI, 1967, pp. 91 s., 95 ss. ~° PLUT., De pro/ed, in viri., p. 81 E. 71 Ad Johannem Climacum, in J. BIDEZ, Caralogue des manuscripts alchimiques grecs, VI, 1928, p. 171; P. BOYANCÉ, in « R.E.G. », LXXV, 1962, p. 462 ss. ~ Su ciò v. già MÒBIUs, 1962, p. 80; HAFNER, 1967, 4° p. 213 Ss. Cfr. B. G. GROSSMAN, The Eleusinian Gods and Heroes in Greek Ari’, Diss. Ann Arbor 1982 (1959), passim; RAUBITScHEK, 1982, p. 109 ss., con prece dente bibliografia. N G. CART, in Mél. Picard, I, 1949, p. 148 Ss.; BA RATTE, 1974, p. 271 ss. V. anche REINAcI-I, Peini., p. 50, 4. ‘° LA ROCCA, 1984, p. 65 Ss.; v. però P. SCARPI, Il picchio e il codice delle api, Padova, 1984, pp. 146148, dove sulla base di un passo di Isocrate si propone una assunzione da parte di Atene delle qualità di Trittolemo. ‘° Non si dimentichi che ad ambiente alessandrino ci riporta anche la sopra ricordata coppa tarantina (n. 27). ‘~ FRANCESCA GHEDJNJ 42 Circa il rapporto preferenziale fra Dioniso e la Stagioni si v. G. M. A. HANFMANN, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge Mass. 1951, passim; ma non si dimentichi che le Stagioni sono legate anche a Trittolemo, come è provato dal vaso apulo del pittore dell’Ilioupersis e dal vaso di Braunschweig (v. supra nn. 54, 13). ~ B. FREYER-SCHAUENBURG, in «R.M. », 90, 1983, p. 46 s., con precedente bibl. Poco convincente ri sulta l’aggiunta al gruppo, individuato già dal Rumpf della testa del Cairo (t. 29, 2); circa l’iconografia di Tolomeo III cfr. H. KYRIELEIS, Bildnisse der Pto lemàer, A.P. 2, Berlin 1975, pp. 31 ss., 167 Ss.; V. anche p. 148 s., ove però non è traccia di un’ipotesi di assimilazione ad Epafo. 9° S. SAUNERON, in «Bull. Inst. Fran~ais d’Arch. Or.», LX, 1960, p. 83 ss. in particolare p. 102. 11. FRANKEORT, Kingship and the Gods, Chicago London 1948, p. 171 ss. ~‘ H~R., VIII, 137; v. anche FRASER, 1972, pp. 45 s., 202 Ss. ~ DITTENBERG, O.G.I.S., nr. 56; v. anche LA RoccA, 1984, p. 99, n. 64, ivi ulteriore bibl. 9° T~&c., Ann., VI, 28; v. anche R. VAN DEN BROEK, The Myth o/the Phoenix, E.P.R.O. 24, Leiden 1972, p. 106 s. 9° Fonti in ENGELMANN, 1980-84, c. 265 s. 9° VOLKMANN, 1959, c. 1672 ss.; P. LÉVÈQUE, Il regno d’Egitto, in Storia e civiltà dei Greci, 7, Milano 1977, p. 178. 9° VOLKMANN, 1959, c. 1675. 81 CooK, I, p. 214 Ss.; per un tardo esito di tale assi milazione si v. la patera di Petroassa: M. VON HELANE, The Goiden Bowl-/rom Pietroasa, Stockholm 1973, p. 42, f. 28; ma si ricordi che secondo Mnaseas anche ~‘ - Epafo è uguale a Dioniso (cfr. PLUT., De Is. et Os., 35, 37). STRABO, XVI, 745-750; v. anche XIV, 673; cfr. inoltre CooK, I, p. 236 s. LA RoccA, 1984, p. 13 ss. 9° ALFÒLDI, 1979, p. 573. 91 TRENDALL-CAMBITOGLU, I, 1978, f. 408, t. 144, 1-2. 92 Le considerazioni del BASTET, 1969, p. 146 ss. circa l’opportunità di datare ad età neroniana la com posizione sulla base di una struttura centralizzata a diagonali incrociantisi sembrano contraddette da quan to già posto in luce dalla SEGALL (v. n. 27), circa l’origine tardo-classica di tale organizzazione dello spazio; ciò trova d’altronde ampia conferma nella tra dizionale ceramica apula (TRENDALL-CAMBITOGLU, Il, 1982, p. 454 ss.). 9° V. supra n. 17. Per la ritrattistica di Marco Antonio v. da ultimo B. HOLTZMANN F. SALvJAT, in «B.C.H. », 105, 1981, p. 265 ss., con precedente bibliografia. 9° La presenza dei bimbi, in cui da taluno si è voluto riconoscere, dei ,t~t6c~ &cp’ èc’r~~ (MYLONAS, 1961, p. 236 s.) può forse trovare giustificazione, fuori da un ambito strettamente cultuale, dal confronto, che mi sembra essere sfuggito agli studiosi, con due fasce d’oro di incerta destinazione provenienti da un tesoro tes salo (Demetriade?) e datate al III sec. a.C. circa, conservate oggi nella colI. H. Stathatos ad Atene (P. ArviANnRY, Coli. H. Stathatos. Le bijoux antiques, Strasbourg 1953, p. 86 ss., nr. 230/1, t. XXXIV); in esse accanto alla triade eleusina che occupa il centro della composizione (le due dee sedute a Trittolemo accanto al carro nell’atto del « Sandalenbinder ») si trova una teoria di Eroti due dei quali portano alti sopra le teste dei piatti rotondi del tutto simili a quelli dei fanciulli di Aquileia. 9° -