Ortese - Rete delle donne
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Ortese - Rete delle donne
Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese Silvia Zangrandi «Il personaggio che seguivo era una creatura “fatata”, di pace e di gioia fanciullesca. Per questo, Alonso è nato come una favola. […] La sua figurina di “piccino”, di “beato”, mi si inseriva in un tempo tremendo […] Il puma rappresenta tutta la terribile miseria del mondo»:1 così si esprime Anna Maria Ortese in una lunga intervista rilasciata a Luigi Vaccari a proposito del suo Alonso e i visionari,2 un libro complesso3 che, sotto le mentite spoglie di un romanzo realistico, offre 1 Anna Maria Ortese, Alonso e i visionari: una favola religiosa e pagana, a cura di L. Vaccai, «Berenice», a. 6, (1998), n. 16, p. 39. 2 Tutte le citazioni da Alonso e i visionari si riferiscono all’edizione Adelphi, Milano, 1996. Sulla genesi del romanzo e sulla sua accoglienza: L. Clerici, Apparizione e visione. Vita e opere di Anna Maria Ortese, Mondadori, Milano, 2002. 3 Sulle difficoltà di comprendere la storia la Ortese è ben cosciente: «“è un libro, forse, oscuro, e cercare di chiarirne tanti aspetti, è stata la mia vera fatica. Ma non direi di esservi riuscita (non è chiarissimo)” […] “Secondo lei si capisce?” chiederà la Ortese a Paolo Mauri a lavoro concluso. “Io stessa ho faticato per venirne a capo, per ricucire tutti i nessi della storia” […] “Non capivo più niente. Questa è la parte dolorosa del mio scrivere. Spesso non so che cosa sto scrivendo. Scrivo perché ne sento l’esigenza. Il lavoro diventa un’avventura bellissima, inventare ogni giorno che cosa fanno, che cosa diranno i miei personaggi. E quando ho finito, non capire più nulla”» (L. Clerici, Apparizione e visione, pp. 615-616). Il concetto sulla difficoltà di comprensione della realtà è ribadito anche lungo la narrazione: Op avvisa l’amica Stella: «se vuole sapere qualcosa di più sull’uomo, ricordi che all’ultimo momento, quando sembra di vedere, capire tutto, le lampade più perfette si spengono» (41). Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI diverse chiavi di lettura: in questa sede privilegeremo la prospettiva fantastico-visionaria seguendo il suggerimento della stessa Ortese che in apertura di romanzo cita lo scrittore russo Brodskij, secondo il quale non è possibile indagare la realtà: di essa si possono avere solo allucinazioni. Tale citazione è da considerarsi una sorta di avvertenza che indica che il cammino da percorrere per decifrare la realtà è quello suggerito dai “visionari”, coloro che hanno la ventura di incontrare il puma, cioè amore e partecipazione alle vicende del mondo. È curioso però sottolineare come Alonso non sia mai presente sulla scena, le notizie che lo riguardano sono sempre riportate, addirittura l’intera ricostruzione di Stella ha inizio quando Alonso è già morto, perciò la voce narrante non ha di lui esperienza diretta. Sostiene la Ortese: «Il puma è una idea, una parabola, una immagine. […] Io mi servo dell’impossibile per spiegare il possibile […] io non posso parlare di persone normali, non posso dire nulla se non in chiave favolistica».4 In altra sede però precisa: «Alonso e i visionari non è una storia di animali. Forse, è una storia di spiriti».5 A più riprese infatti si insinua il dubbio che il puma non sia mai esistito, che si tratti di un fantasma vivo solo nelle visioni allucinate di Op e Decimo che sostengono di averlo incontrato in Arizona, di Julio a Roma, di Stella attraverso i racconti di Op. Secondo Sharon Wood 4 F. Borrelli, Visionari in terra di prodigi, «Il Manifesto», 26 maggio 1996. 5 Anna Maria Ortese, p. 39. Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese «Ortese’s works […] use the dimension of the fantastic not to create an alternative, consolatory and escapist world, but precisely to encourage the reader to question the world around her, to destabilize the normal boundaries between real and unreal, and to superimpose […] the hidden desires and anxieties which we prefer to omit from our definition of the real».6 Non dobbiamo dimenticare che il fantastico per esistere ha bisogno di poggiare sul bagaglio della narrazione realistica; in Alonso e i visionari, poi, il procedimento è particolarmente evidente: si tratta di un romanzo in cui fantastico e reale si trovano accostati in continua tensione. Le irruzioni del fantastico sono infatti frequenti: alla morte del puma Op, che da allora non ha pensato ad altro, «decide (o comprende) di essere stato tra i complici della morte e ancora prima della persecuzione del puma; di esserlo stato in quanto cultura, e cultura della non responsabilità, della freddezza di fronte al dolore di Alonso (innocenza del mondo)»7 e per questa ragione si lascia imprigionare e morire. Altra visionarietà è data dalla doppia resurrezione di Alonso, una prima volta tornato da Julio, una seconda volta apparso a Prato. Infine l’uso della ciotola, che deve sempre essere, per esplicita richiesta di Op, riempita di acqua freschissima affinché Alonso possa venire a dissetarsi e che inspiegabilmente viene regolarmente trovata vuota. 6 S. Wood, Fantasy and Narrative in Anna Maria Ortese, «Italica», vol. 71, n. 3, autumn 1994, p. 356. 7 A.M. Ortese, Il puma dal cuore umano, «La Stampa», 2 giugno 1996. Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI «Le visioni, perciò, alimentano e guidano tutta la mia storia. Alonso e i visionari si presenta quindi come una difficile, sottile storia di evasione, in un primo tempo dal “reale”, o almeno dalla sua dimensione più accettata; e poi, in un secondo tempo, nell’approfondimento del “reale”, per effetto della forza misteriosa della “visione”. Nella visione l’uomo esce dalla superficie del mondo».8 Anche il dato cronologico segue la logica della visionarietà. La vicenda narrata ha inizio negli anni cinquanta (la prima lettera è datata 16 ottobre 1955), tuttavia non è possibile parlare di precisione temporale: non siamo in grado infatti di attribuire alla storia una durata precisa; crediamo di sapere che le lettere del professor Decimo al professor Opfering, detto Op, risalgano al 1955-56, ma anche questa indicazione è fuorviante perché da un certo punto in poi recano sempre e solo la data «18 maggio ...»; non sappiamo in quale anno sia avvenuto il viaggio in Arizona né quando Op e Decimo moriranno. In questo arco temporale dai confini imprecisi è contenuta la fabula e questa indeterminatezza nei dati temporali conferisce alla vicenda una tensione metastorica. Sembra evidente che alla Ortese non interessi tanto raccontare una storia quanto osservare come questa storia, qui particolarmente ingarbugliata e contraddittoria, venga accolta e recepita da chi ascolta. Perciò noi lettori ci rispecchiamo nelle sensazioni dei personaggi, nel loro spaesamento, nella loro impazienza di fronte a eventi che sfuggono a una spiegazione razionale. D’accordo con Trevi, «ogni autentico legame con una storia è, prima di tutto, un sondaggio interiore, la verifica della possibilità di 8 A.M. Ortese, Il puma dal cuore umano. Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese ospitarla integralmente, senza finte cautele».9 Da ciò deriva la difficoltà di lettura del romanzo che ora ci ammalia per le sue rivelazioni, ora ci allontana a causa della frustrazione dovuta alla difficoltà nel comprendere. A ben vedere, il libro è giocato anche attorno all’importanza della lettura e alle difficoltà che ne conseguono: tutta la vicenda ruota attorno a Stella che legge un rapporto epistolare tra un uomo che credeva di conoscere (Op), un uomo mai conosciuto di persona (Decimo) e ritagli di giornale che le svelano pian piano una vicenda privata, la storia di Alonso, e una vicenda pubblica, gli atti terroristici del figlio di Decimo, Julio. Per Stella la lettura, spesso interrotta per incapacità a continuare, per mancanza di forza di volontà, è un enorme sacrificio che viene però portato avanti per avvicinarsi alla complessità del mondo. «Attraverso la lettura […] Stella progressivamente dà forma alla storia del cucciolo Alonso, a misura della sua capacità, sempre variabile, di assimilarla, di fare entrare l’animaletto selvatico e salvifico nel suo proprio specchio».10 Anche al lettore è chiesto un notevole sforzo interpretativo e la molteplicità delle voci che si intersecano e si sovrappongono è un altro elemento atto a disorientare. Su tutti campeggia la voce di Stella Winter Grotz che, inizialmente senza passione, fredda e distaccata, diventa, dopo faticoso tirocinio, capace di scardinare una visione del mondo falsa e cinica grazie alla frequentazione con Op, 9 E. Trevi, Il luogo delle storie: sull’ultimo romanzo di Anna Maria Ortese, «Nuovi Argomenti», ottobre-dicembre (1996), n. 9, p. 92. 10 E. Trevi, Il luogo delle storie, p. 93. Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI che rappresenta per lei la rivelazione della verità. Anna Maria Ortese, in un articolo del 2 giugno 1996 apparso su «La Stampa», spiega che per raccontare questa storia aveva «bisogno di un personaggio “ordinario”, senza immaginazione né grandi qualità umane, una donna, d’età e possidente, che ascoltava senza capirla la storia del puma da un altro personaggio».11 È sempre Stella a intervenire e a giudicare, in altre parole a interpretare personalmente la vicenda e a fornire al lettore la sua personale spiegazione dei fatti: tutto passa attraverso la sua voce che a distanza di mesi ripercorre la vicenda. Stella, come spesso succede quando viene adottata la tecnica della focalizzazione interna fissa, è una narratrice poco attendibile e si percepisce che alle sue spalle c’è un deus ex machina che a volte coincide, a volte prende le distanze e si mimetizza dietro altri personaggi. Stella apparentemente occupa una posizione privilegiata poiché non implicata nella vicenda del puma, in realtà gradualmente si lascerà coinvolgere dai fatti, e ciò culminerà nella preghiera finale che dimostra come si sia immersa nella stessa condizione di chi ha vissuto personalmente l’esperienza. In essa Stella invoca la comprensione e il perdono dell’«eccelso Spirito, autore di Cuccioli e altre visioni» e gli chiede di illuminare, salvare e consolare le creature della terra e di donare «la certezza di un’alba e di un’aurora che non finiranno più» (245). Il professor Op è colui che introduce Stella e il lettore nella storia del puma trovato in Arizona. Op è il personaggio che più di 11 A.M. Ortese, Il puma dal cuore umano. Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese chiunque altro ha forte la consapevolezza della colpa, tanto da sacrificarsi diventando così il capro espiatorio che vuole riparare al male inferto al cucciolo, cioè al male inferto ai deboli. Da una dichiarazione della Ortese capiamo l’importanza che questo personaggio riveste per lei: «Jimmy Op sono io, perché Jimmy Op è il portavoce della giustizia e della pietà in questo mondo a una sola dimensione, abitato dal superfluo».12 Accanto a lui il professor Antonio Decimo, che si distingue per il sinistro rigore intellettuale, uomo di lutto perché, per dirlo con la Ortese, ha «perduto il rapporto con la paternità del mondo […] l’uomo dello sgarbo agli dèi, sullo Spirito della vita».13 Infine Alonso, il puma oggetto di indicibile odio e di immenso amore, che i personaggi, identificandosi con la sua natura docile, riconoscono come madre e padre, messaggero inviato dal cielo, colui che soffre la sete e la miseria, randagio per le vie di Roma e di Genova sotto forma di cane bianco, che muore e risorge, salvatore del mondo. Dice la Ortese: «il puma, nel mio romanzo, rappresenta l’incorrotto, la semplice gioia, la sospensione, la tregua nella solitudine della ragione, del dolore che accompagna l’uomo».14 Alonso, come detto, è un romanzo facilmente riconducibile al modo fantastico: le ellissi che lasciano disorientati, la mancanza di conclusioni in alcune affermazioni fatte dai personaggi, certi discorsi che originano domande prive di risposta, il continuo aggrumarsi e sciogliersi nell’avvicendamento degli 12 E. Groppelli, Metti un puma nel romanzo, «Il Giornale», 8 giugno 1996. 13 Anna Maria Ortese, p.41. 14 L. Vaccari, “Dio? Un piccolo puma ucciso dall’arroganza”, «Il Messaggero», 25 giugno 1996. Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI avvenimenti creano quel fantastico misterioso, strano, intellettuale, allegorico e metaforico che lascia il lettore perplesso e smarrito. Il fantastico investe il testo anche a livello stilistico e la narrazione mostra i limiti del linguaggio che deve dare un nome a una realtà che non è spiegabile. Per dare voce alle cose del mondo prive di voce, la scrittura ortesiana si caratterizza per la densa aggettivazione e prevede l’uso di analogie, similitudini, ossimori che, se da un lato concorrono ad avvicinare realtà e irrealtà, dall’altro evidenziano i limiti del linguaggio. La presenza quasi ossessiva di tali figure anima il mondo di Stella Winter e l’intera storia; per questa ragione si è pensato di dare risalto all’esame dei giochi aggettivali e delle figure retoriche prima citate, che determinano un’altissima qualità di scrittura. Costituisce una caratteristica del dettato ortesiano l’intensa aggettivazione che si distingue non solo per l’altissima frequenza e per le combinazioni più diverse (prenominali, postnominali, a sandwich, in triade, in elenco…), ma anche per il modo, spesso ardito e sempre inusuale, in cui vengono accostati ai sostantivi. Non è certo casuale se Op, riferendosi alla sequela di aggettivi usata da Stella per definire l’intelligenza del suo ospite, esclama: «Oh, gli aggettivi!» (126). Una lettura accurata mostra che il numero di aggettivi in posizione prenominale è maggiore rispetto alla posizione non marcata dell’aggettivo dopo il nome: gli aggettivi in posizione prenominale danno allo scritto maggiore soggettività di giudizio, particolare enfasi emotiva e ricercatezza stilistica. Diamo ora un elenco delle diverse tipologie: Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese • • • • • aggettivo + sostantivo («reverente pietà» 15; «ribollente ammirazione» 20; «solitario orrore» 28; «lento dolore» 41; «tollerabile mediocrità» 48; «rossi riverberi» 53; «arbitraria cancellazione» 75; «segreto allarme» 98; «indesiderabili colloqui» 104; «dissennata musica» 125; «gaia sicurezza» 129; «stanca pazienza» 132; «barbari significati» 143; «raggelante impressione» 187; «inconoscibile dolore» 209) formazione a sandwich, che prevede due soluzioni: aggettivo + sostantivo + aggettivo («piccolo vagabondo giallo» 20; «grossa busta verde» 29; «dolce suolo italiano» 31; «piccolo scrittoio lucente» 44; «gran cielo freddo» 80; «straordinaria calma invernale» 141; «caldo respiro affettuoso» 149; «ridicolo armamentario farmaceutico» 153; «bel sogno straziato» 173; «stimato cattedratico americano» 200) aggettivo + sostantivo + aggettivo + aggettivo («povera faccia scura, aguzza» 44) due aggettivi seguiti da sostantivo («dolce fervida sicurezza» 91; «superbo, baldanzoso io» 130; «maliziosa, finta corsa» 132) due aggettivi separati da e e seguiti da sostantivo («pura e fervida intelligenza» 39; «vecchia e malridotta casa» 68; «spiritosa e garbata presentazione» 74; «sinistra e debole figura» 84; «bella e nobile intelligenza» 126; «ardente e balzante certezza» 129; «alata e furiosa gioventù» 135). Diversamente, l’aggettivo posto dopo il nome qualifica oggettivamente il nome. In posizione postnominale la Ortese ci propone: • • • • • • aggettivi singoli («casa diruta» 13; «occhiata discreta» 35; «canaglia inestimabile» 180) in coppia separati da virgola («voce stridula, selvaggia» 44; «viso piatto, largo» 44) in coppia separati da e («giardino selvaggio e bagnato» 13; «cielo delicato e mutevole» 60; «uomo cortese e rispettabile» 104; «accento indifferente e febbrile» 198) in triade di cui la tipologia con virgola ed e («mondo reale, concreto e criminale» 116) con e seguita da virgola («carattere altero e solitario, beffardo» 27; «donna dura e cattiva, allucinata» 34) e con la sola presenza di punteggiatura («essere obbediente, innocente, benefico» 206). Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI Frequentemente incontriamo elenchi di aggettivi, come «vera storia italiana, atroce, segreta» (13); «duro, disumano, crudele» (57); «uomo rissoso, superbo, avido» (71); «occhi aperti, freddi, spalancati» (85); «[il puma] sfiancato, estatico, sofferente, sordo» (89); «tutto era pulito, vuoto, deserto, inabitato» (145); «amicizia modesta, benevola, operante, continua» (208). L’accorta scelta terminologica permette di definire visivo il linguaggio scelto, che va dalla «ribollente ammirazione» (15), alla «voce stridula, selvaggia» (44), alla «calma dicembrina» (128) fino ad arrivare all’immagine: «si affaccia il naso a becco della luna» (68). Tale operazione è rinvigorita dall’uso massiccio di similitudini, in larga misura introdotte da come, che convergono su esperienze comuni a scrittore e lettore, per cui si legge che le imprese terroristiche di Julio sono «come un dolore di denti per il suo paese» (27), oppure, per indicare la partecipazione del mondo al dolore di Stella, «sentivo gli alberi inchinarsi e rialzarsi come in preda a un dolore» (45). In altri casi, le immagini offerte dalle similitudini sono riproducibili con esattezza: «era qualcosa di antico e di chiuso insieme, come acqua in una vecchia bottiglia di vetro» (87); «[la mano era] energica e buia, come una trave» (103); «lacrime che rare volte io avevo pianto stampate di colpo, come pallini di fuoco, sul mio viso» (136); «la ciotola […] brillava come un topazio» (185); «mi sentivo […] simile a una vuota statuina di gesso» (160); «sembrava […] un sacco di pietre» (37). Oppure le immagini fanno riferimento al mondo naturale, animale e vegetale: «la gran parte degli uomini è di razza tranquilla, come è tranquillo il Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese mare» (76); «[le forze] traboccano nel nulla, come una immensa cascata» (78); «se ne stava lì come un allocco» (99); «demenza e delitto spesso si affiancano, senza mai avere, per questo, più contatti di quanto l’Africa ne abbia con le nevi e i ghiacci eterni del Polo» (114); «le mie secche gambe dure e dritte come rami» (137); «appariva avvilito, abbattuto come un cane o un fanciullo duramente rimproverati» (140); «quando ripenso a quel giorno di Natale […] mi sembra di vedere un gran volo, quasi di lunghi uccelli bianchi» (173); «[aveva] grandissimi occhi da cane delle favole» (239). Sebbene presenti in misura minore, anche sinestesie e metafore concorrono a incrementare la visibilità del dettato ortesiano. Tra le più significative segnaliamo: «fiumi azzurri, fioriti di tronchi vaganti e dentati di caimani» (129); «malinconico odore» (145); «i riccioli neri [erano …] una tempesta di anelli di ebano» (94). Altrettanto singolari sono certe soluzioni ossimoriche, tra cui spicca: «luminosa empietà» (35); «fosca felicità» (72); «dolce coraggio» (114); «innocente crudeltà» (132); «stanca pazienza» (132); «buona fiera» (204). Tanta precisione terminologica sottende un lessico assortito, la cui ricchezza è data dalla presenza di sostantivi rari, a volte desueti, e sostantivi di uso comune e colloquiale. Perciò incontreremo: «lepida» (37); «discacciata» (55); «proditoriamente» (70); «non me ne accoro» (82); «insipienza» (82); «stolida» (134); «reprobo» (137); «guardando in tralice» (141); «incertamente» (142) accanto a «non mi tenga sulla corda» (49); «era agli sgoccioli» (134); «logica chiaramente sballata» (140); «andare come Gli Scrittori d'Italia – XI Congresso Nazionale dell'ADI sempre al sodo» (142); «balle» (219). Il romanzo presenta diversi elementi caratteristici della prosa giornalistica, come l’uso di incisi e incidentali, dei due punti, delle frasi nominali. Con tutta probabilità la Ortese ha intrapreso questa strada non tanto per consuetudine verso uno stile a lei familiare, quanto perché la scrittura secca, pragmatica tipica del giornalismo è da lei ritenuta la più consona a «incatenare il lettore: era necessario introdurre un principio di realtà».15 Incisi e incidentali rappresentano un modo per ampliare il periodare semplice della paratassi senza usare snodi di congiunzioni e per permettere di chiarire concetti, di dare altre notizie in poco spazio. La Ortese usa con la stessa frequenza trattini e parentesi; prendiamo a titolo esemplificativo questi due passaggi che presentano una sequela di incisi con parentesi e trattini: «Non mi sono sbarazzato di Alonso, se è questo che pensi – ne ho già dato ampia assicurazione, con prove (la nota di un giornale della sera) – a Miss Rose» (63); «la vista di quell’esserino, l’ultimo elemento della brutta storia italiana – così perso e umile – mi strinse il cuore» (221). Alcune considerazioni sull’uso variatissimo dei due punti per le quali ci avvaliamo della classificazione operata da Serianni:16 15 Così dice la stessa Ortese in un’intervista di F. Borrelli, Incontro ai confini del surreale, «Il Manifesto», 26 maggio 1996. 16 L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Utet, Torino, 1991, pp. 75-76. Silvia Zangrandi – Una ciotola di acqua freschissima per la salvezza del mondo: Alonso e i visionari di Anna Maria Ortese • • • funzione sintattico-argomentativa: quando indicano la conseguenza logica di un fatto, l’effetto prodotto da una causa: «Seguiva un pensiero connesso alla domanda, e la risposta, quindi, mi giunse solo indirettamente: che non esistessero veri rifugi per i perseguitati» (32) funzione sintattico-descrittiva, se si esplicitano i particolari di un insieme o enumerando le singole componenti di quell’insieme, o rilevandone i tratti salienti: «il ragazzo venuto in visita a Phoenix era già […] come lo vide Milton: un essere obbediente, innocente, benefico» (206) funzione appositiva: «Oh, deserti dell’essere, fortezze dell’orgoglio inutile: il vostro unico credo è la cancellazione della tristezza» (190). Veniamo ora alle frasi nominali: spesso usate in luogo delle subordinate, assumono funzione di glossa o di commento: «A ciascuno la sua religione» (30); a volte sono di tipo modale-associativo: riferendosi a Op «Inzuppato di pioggia, con gli occhi aperti, con la testa appoggiata al muro, del tutto tranquillo» (222); a volte sono costituite da enumerazioni: «Sì, era questo. Denaro – eredità – patrimonio. Tutto dentro una storiaccia crudele, con un fondo misterioso per renderla meno volgare e, invece, davvero volgare» (44). Crediamo infine opportuno sottolineare la presenza contemporanea nel romanzo di diverse strategie narrative: in alcune parti gioca un ruolo centrale la struttura dialogica, grazie alla quale i dati forniti dal narratore in prima persona vengono modificati e, se necessario, rettificati; in altre sono le riflessioni della narratrice a intrattenere il lettore; la parte centrale è invece prevalentemente epistolare, stratagemma usato dalla Ortese per integrare il racconto e consentire l’ingresso di un diverso punto di vista; nella pagina conclusiva del romanzo, infine, scopriamo che si tratta di un diario perché chi narra così si esprime: «chiudo con infinita umiltà questo diario» (246).